Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione,...

33
1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto Universitario ‘Sophia’ Crowding-out reciprocity, cooperation, and citizenship is a waste of human and material resources and presents a serious challenge to the sustainibility of democratic institutions over time(Elinor Ostrom, 2005, p.270) 1. Introduzione La fiducia, è un dato ormai largamente condiviso, sta alla base di ogni processo efficace di cooperazione. Solo attraverso la concessione di fiducia e conseguenti comportamenti affidabili, è possibile superare gli ostacoli legati al perseguimento di obiettivi comuni, è possibile godere dei benefici della divisione del lavoro e, più in generale, è pensabile di coordinare le azioni di una molteplicità di soggetti verso esiti socialmente ottimali. Dove maggiore è la dotazione di fiducia, o capitale sociale, per usare la terminologia oggi in voga tra gli economisti, si rilevano più elevati tassi di crescita economica, le istituzioni vengono percepite come più giuste ed efficienti, i redditi sono più elevati e distribuiti in maniera più egualitaria, il sistema finanziario è più sviluppato ed infine i cittadini riportano livelli di felicità e benessere soggettivo più alti rispetto a quelli che vivono in comunità dove invece prevale la diffidenza e l’opportunismo (cfr. Knack e Keefer, 1997; Guiso et al., 2004, 2009; Pelligra 2007). Benché ormai, come dicevo, esista tra gli economisti e gli scienziati sociali più in generale, un diffuso accordo circa la significatività di queste relazioni empiriche,

Transcript of Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione,...

Page 1: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

1

Governare la Fiducia:

Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali

Vittorio Pelligra

Università di Cagliari

e Istituto Universitario ‘Sophia’

“Crowding-out reciprocity, cooperation, and

citizenship is a waste of human and material resources

and presents a serious challenge to the sustainibility of

democratic institutions over time”

(Elinor Ostrom, 2005, p.270)

1. Introduzione

La fiducia, è un dato ormai largamente condiviso, sta alla base di ogni processo

efficace di cooperazione. Solo attraverso la concessione di fiducia e conseguenti

comportamenti affidabili, è possibile superare gli ostacoli legati al perseguimento di

obiettivi comuni, è possibile godere dei benefici della divisione del lavoro e, più in

generale, è pensabile di coordinare le azioni di una molteplicità di soggetti verso esiti

socialmente ottimali. Dove maggiore è la dotazione di fiducia, o capitale sociale, per

usare la terminologia oggi in voga tra gli economisti, si rilevano più elevati tassi di

crescita economica, le istituzioni vengono percepite come più giuste ed efficienti, i

redditi sono più elevati e distribuiti in maniera più egualitaria, il sistema finanziario è

più sviluppato ed infine i cittadini riportano livelli di felicità e benessere soggettivo

più alti rispetto a quelli che vivono in comunità dove invece prevale la diffidenza e

l’opportunismo (cfr. Knack e Keefer, 1997; Guiso et al., 2004, 2009; Pelligra 2007).

Benché ormai, come dicevo, esista tra gli economisti e gli scienziati sociali più in

generale, un diffuso accordo circa la significatività di queste relazioni empiriche,

Page 2: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

2

ancora poco si sa circa la natura dei comportamenti fiduciari. Questo, con tutta

probabilità è dovuto alla struttura dei modelli teorici che generalmente vengono

utilizzati per descrivere e prevedere il comportamento dei soggetti economici. Come

si sa, l’assunto antropologico fondamentale su cui si basa la scienza economica è

quello di un agente sociale fondamentalmente autointeressato, individualista e

ottimizzante.

“Il primo principio dell’economia – scriveva Francis Edgeworth nel 1881 - è che ogni

agente è mosso esclusivamente dal proprio interesse personale”. E da allora questa

posizione non ha subito sostanziali revisioni. E se è vero che non necessariamente

l’autointeresse coincide con l’egoismo psicologico, è altrettanto vero, che spesso,

questa distinzione cade, e la sovrapposizione dei due concetti diventa totale.

Un altro aspetto che può aver reso difficile la comprensione delle dinamiche

fiduciarie in economia ha a che fare con il fatto che l’economia è stata

tradizionalmente impegnata nella spiegazione di una forma di cooperazione del tutto

peculiare; quella cioè che ha luogo nell’ambito del mercato e che porta, attraverso

scambi volontari, coloro che si scambiano beni e servizi, ad una situazione di mutuo

vantaggio. Questa impostazione culturale è la stessa che parte dal Mandeville dei

“vizi privati e pubbliche virtù” e che arriva attraverso la “mano invisibile” di Adam

Smith, fino ai nostri giorni producendo i teoremi fondamentali dell’economia del

benessere. Nel mercato la “cooperazione” porta all’ottimo sociale e questo si ottiene

semplicemente come conseguenza inintenzionale di azioni intenzionalmente

autointeressate. Nel mercato di concorrenza perfetta dunque il problema della

cooperazione, del perseguimento di obiettivi comuni è risolto perché l’aggregazione

delle scelte individuali porta al risultato individualmente non voluto, ma socialmente

desiderato dell’ottimo paretiano.

Questa impostazione culturale che ha caratterizzato la teoria economica fino

agli anni ’70 del secolo scorso, si trova però in difficoltà quando si esce dal mercato

di concorrenza perfetta e si entra nell’ambito delle interazioni strategiche: quelle nelle

quali le scelte di ogni soggetto sono fortemente interdipendenti e le conseguenze delle

azioni di ciascuno dipendono dalla combinazioni delle scelte di ogni altro agente. In

quest’ambito la cooperazione diventa difficile da spiegare se si continua a considerare

soggetti autointeressati e le dinamiche fiduciarie acquistano un ruolo centrale.

Tale difficoltà produce effetti importanti non soltanto perché essa si traduce

nella creazione di modelli teorici incompleti, ma soprattutto perché quando, come

Page 3: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

3

spesso avviene nell’ambito delle scienze sociali, si passa dal piano puramente

descrittivo a quello normativo, quando cioè i modelli vengono utilizzati per guidare

l’azione di policy e di progettazione istituzionale, le assunzioni semplificatrici e le

conclusioni errate cui queste possono portare, rischiano di: “danneggiare (e perfino

distruggere) realtà non economiche importanti come le motivazioni intrinseche e le

relazioni sociali” (Gibbons, 1998, p. 130). Da qui l’importanza di comprendere i

meccanismi individuali e sociali che producono e distruggono fiducia, facilitando o

ostacolando i comportamenti cooperativi, e la necessità di studiare a fondo le

implicazioni per la progettazione di istituzioni capaci di favorire il coordinamento

delle azioni sociali sulla base di norme fiduciarie e non solo di regole formali e

coercitive, che come vedremo, non di rado producono effetti di spiazzamento

controproducenti.

In questo capitolo proponiamo, nella prima parte (par. 2-4) una disamina delle

principali strategie che sono state utilizzate in ambito biologico ed economico per dar

conto dell’emergenza e dell’evoluzione dei fenomeni cooperativi, mentre nella

seconda parte (par. 5-7) descriveremo alcuni dei principi comportamentale che è

necessario tenere in considerazione per superare i limiti che evidenziano le teorie

tradizionali. Nella terza parte infine (par. 8), discuteremo le implicazioni di questi

risultati per l’attività di progettazione istituzionale e implementazione normativa.

2. Chi miete il mio raccolto?

Iniziamo, a mo’ d’esempio, col considerare questo famoso passaggio di David Hume:

“Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi

se oggi io lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo

nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che

neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho

alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti

lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il

maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per

mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia” (1737, III, II, 5).

L’estrema semplicità della situazione descritta in queste poche righe dal filosofo

scozzese non deve trarre in inganno. Egli infatti ha appena descritto ciò che sta al

Page 4: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

4

cuore del problema della cooperazione. Soggetti autointeressati che coordinando le

loro azioni possono ottenere un risultato ottimale, sia da un punto di vista sociale che

individuale, ma a causa delle caratteristiche dell’interazione in cui sono coinvolti e

della stessa natura umana, sono condannati per reciproca mancanza di fiducia, ad un

esito meno che ottimale, in questo caso, alla perdita del raccolto. Ma perché? Perché,

per quanto strano possa apparire, questa è la scelta più razionale… date le circostanze.

Se il primo agricoltore infatti riuscisse ad ottenere l’aiuto del secondo, il giorno dopo

non avrebbe nessun incentivo per ricambiare l’aiuto. Il secondo giocatore, se

razionale, anticiperà questa tentazione e, per ridurre il danno, sceglierà, già il primo

giorno di non aiutare il compagno. Abbiamo appena descritto un dilemma sociale, che

con il linguaggio degli economisti chiamiamo “Dilemma del Prigioniero”.

La razionalità, almeno nella sua versione più radicale, spesso però non coincide con la

ragionevolezza; e infatti ogni giorno, da migliaia di anni ormai, la specie umana, e

non solo quella, ha imparato a cooperare, estensivamente, stabilmente e negli ambiti

di attività più disparati. Già novanta mila anni fa i nostri progenitori cooperavano per

procurarsi il cibo costituito da grandi animali che sarebbe stato possibile catturare da

soli. E dopo la caccia un altro dilemma sorgeva, quello della divisione della preda, e

anche questo, se noi oggi siamo qui, è stato risolto un’infinità di volte in modo

brillante. La difesa del gruppo da parte degli attacchi dei predatori rappresentava un

ulteriore dilemma. E così via, praticamente ogni istante di ogni giorno per migliaia e

migliaia di anni, la specie umana ha dovuto affrontare e imparare risolvere tali

dilemmi attraverso l’azione congiunta. Queste forme di cooperazione non

rappresentano solo esempi di “mutualismo”, ma di vero e proprio altruismo. Spesso

infatti fare la propria parte nell’ambito di uno di questi processi cooperativi può

produrre, non solo mutui benefici, ma anche costi netti. Quante volte, per esempio,

colui chiamato a vegliare sul gruppo contro gli attacchi dei predatori ha dovuto pagare

il prezzo più alto. E quante volte la cooperazione ha coinvolto e coinvolge ancora

oggi soggetti non appartenenti alla famiglia o al gruppo. Perché doniamo il sangue a

perfetti sconosciuti? Perché aiutiamo la ricerca scientifica che andrà a beneficiare

probabilmente persone che non sono ancora nate? Perché scioperiamo e perché

adottiamo un bambino a distanza anche se non lo conosceremo mai se non attraverso

qualche foto o qualche lettera? Molti di noi sono favorevoli a pagare le tasse per

finanziare un welfare state che provvederà ai bisogni dei disoccupati, degli orfani, dei

disabili, anche se valutiamo come estremamente bassa la possibilità di poter o dover

Page 5: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

5

accedere a quei servizi? Eppure, allo stesso tempo, non possiamo certo negare che

l’egoismo e l’interesse individuale giochi un ruolo importante nelle nostre scelte.

Cerchiamo di pagare per la nostra spesa al supermercato il meno possibile. Quando

subiamo un torto cerchiamo di rifarci su chi ne è responsabile con gli interessi. Se la

selezione e la pressione evolutiva preservano i più adatti, coloro che mettono in atto

comportamenti massimizzanti, come è possibile spiegare la sopravvivenza, anzi, la

diffusione di comportamenti che avvantaggiano il gruppo, la società, nel suo insieme,

ma danneggiano il singolo? L’aiuto, infatti, può essere negato, l’altruismo può essere

sfruttato, la fiducia tradita. Ma nonostante questo, senza aiuto reciproco, altruismo e

fiducia, gran parte delle conquiste della civiltà sarebbero rimaste al di là della nostra

portata.

Abbiamo appena iniziato a comprendere che l’evoluzione, le forze naturali e sociali

che plasmano il nostro comportamento e che determinano le nostre istituzioni, non

favoriscono solo l’autointeresse e l’egoismo, ma possono promuovere anche

l’altruismo, l’affidabilità, il rispetto delle norme e i comportamenti etici, benché

costosi. Ecco perché diventa “naturale” che la risposta alla domanda di Hume – “Chi

miete il mio raccolto?”, sia “lo facciamo insieme”.

Nelle pagine che seguono discuteremo varie soluzioni che sono state avanzate per dar

conto dell’insorgenza della cooperazione umana; alcune traggono spunto da recenti

teorie di biologia evolutiva, altre ricorrono al ragionamento prettamente economico.

Tutte presentano, secondo noi, grandi pregi, ma anche delle significative limitazioni.

3. Meglio un uovo oggi?

3.1. Selezione familiare

Come è perché un soggetto autointeressato dovrebbe essere disposto a incorrere in un

costo per produrre un beneficio per la società? E’ questa una delle più profonde

domande che negli ultimi secoli ha attratto gli sforzi di centinaia e forse migliaia di

scienziati sociali e naturali. Da Tocqueville a Darwin, da Hobbes e Hume ad Haldane,

da Trivers ad Aumann, tutti, con metodi differenti, della biologia, filosofia, teoria dei

giochi, politologia, hanno cercato di spiegare la cooperazione partendo dall’egoismo.

Ma come è possibile che un agente egoista sia al contempo così altruista da riuscire a

cooperare con gli altri, a volte a costo di grandi sacrifici, anche nell’ambito di

dilemmi sociali? Nell’ambito della prima prospettiva che adotteremo, la risposta è

Page 6: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

6

semplice, basta considerare un “autointeresse giustamente inteso”, per usare

un’espressione cara ad Alexis de Tocqueville (1835-9, II, 5). Questo essenzialmente

vuol dire che ciò che occorre spiegare, ciò che informa le scelte cooperative, se

“giustamente intese”, ci appariranno in fondo come nient’altro che esempi di

autointeresse illuminato.

I primi ad inaugurare questa strategia nell’ambito delle spiegazioni biologiche del

comportamento cooperativo sono stati William Hamilton (1964), George Price (1970)

e Robert Trivers (1971).

La soluzione escogitata da Hamilton (1964), va sotto il nome di Kin-Altruism, o

altruismo “familiare”. La “regola di Hamilton”, la condizione se soddisfattà portarà

all’emergenza della cooperazione, stabilisce che in un dilemma sociale, per esempio

un dilemma del prigioniero, la selezione naturale favorirà qualsiasi azione capace di

conferire un beneficio b ad un altro individuo, ad un costo c, per il benefattore, solo se

dove con r si indica il grado di parentela che lega i due soggetti (1/2 tra fratelli, 1/4 tra

nipoti e 1/8 tra cugini). Se la condizione è rispettata, allora l’inclusive fitness1 del

soggetto benefattore aumenterà, rendendo vantaggioso in termini evolutivi il

comportamento altruistico adottato, benché questo sia per il soggetto che lo adotta

immediatamente costoso. Tanto maggiore è la vicinanza genetica tra un benefattore

ed un beneficato, tanto maggiore sarà, secondo Hamilton, il costo che il benefattore

sarà disposto a sopportare per aiutare l’altro. Tale costo, in termini di mancata

trasmissione diretta del proprio patrimonio genetico ai discendenti, infatti, sarà più

che compensato dalla trasmissione indiretta dello stesso patrimonio genetico

attraverso il parente beneficato. Questo spiega molto bene perché la nostra spinta

altruistica, che si manifesta in un’enorme varietà di modi, è tendenzialmente maggiore

verso i nostri cari che non rispetto agli estranei. Ma sta qua, nella sua capacità di

spiegare l’altruismo verso i familiari, non solo il punto di forza dell’idea di Hamilton,

1 Per Inclusive Fitness si intende la somma tra il numero di discendenti diretti del soggetto e il numero

di soggetti equivalenti, soggetti cioè che potranno riprodurre parte del suo patrimonio genetico, si

aggiungeranno alla popolazione generale.

Page 7: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

7

ma anche la principale debolezza. Essa infatti non ci aiuta in nessun modo a

comprendere tutte quelle forme di altruismo che osserviamo comunemente e che si

estendono oltre i confini della famiglia naturale e spesso riguardano dei perfetti

estranei, o come dicevamo precedentemente, perfino soggetti non ancora nati.

3.2. Altruismo reciproco.

Un secondo modello di evoluzione naturale dell’altruismo, quello proposto

originariamente da Robert Trivers (1971), è capace di superare il confine delle

relazioni familiari, entro il cui ambito rimane invece confinato, come abbiamo visto, il

modello di Hamilton. Supponiamo di considerare due soggetti appartenenti ad un

gruppo estremamente numeroso, non legati geneticamente, che si incontrano per caso

e si trovano a interagire ripetutamente in un dilemma del prigioniero come quello

descritto nella figura 1.

Giocatore B

C D

C b-c , b-c -c , b

Giocatore A D b , -c 0 , 0

Figura 1. Dilemma del Prigioniero

Le azioni a disposizione di ogni giocatore sono quella di aiutare (C) o di non aiutare

(D). La prima produce un costo pari a c per chi aiuta e conferisce un beneficio pari a b

(con b>c) per chi è aiutato (il costo ed il beneficio sono misurati in termini di fitness).

La seconda opzione, il non aiuto, non implica né costi, né benefici. Naturalmente

entrambi i giocatori sarebbero più felici se entrambi scegliessero C, perché in questo

modo ognuno otterrebbe un beneficio netto positivo pari a (b-c). Se entrambi invece

scegliessero D non avrebbero sicuramente nessun costo, ma non potrebbero neanche

sperare in alcun beneficio. Dove sta il problema allora? Perché questa situazione

rappresenta un dilemma sociale? E’ presto detto. Se A decidesse di giocare C, e B lo

sapesse, sarebbe interesse di B giocare D. In questo caso infatti B potrebbe ottenere

un beneficio b senza nessun costo. Per contro, il giocatore A avrebbe solo costi (-c) e

Page 8: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

8

nessun beneficio. Il giocatore A sa che B avrà questa tentazione e quindi sceglierà di

non rischiare. Un argomento analogo lo si può applicare al caso in fosse sia B a voler

giocare C e il giocatore A a volerne approfittare. Insomma la conclusione è che

qualunque cosa ognuno si aspetta che l’altro faccia, sarà nel suo interesse minimizzare

i danni e giocare D. Come gli amici di Hume, anche in questo caso, la mancanza di

fiducia reciproca condanna i giocatori all’esito sub-ottimale di (0,0).

Per farci uscire da questa impassei, Robert Trivers avanza un’idea brillante. La sua

intuizione è che le cose potrebbero cambiare e per il meglio, se invece di considerare

il singolo dilemma in isolamento, iniziassimo a considerare una serie di dilemmi, tutti

uguali e giocati indefinitamente. Cosa succederebbe, in altri termini, se gli agricoltori

di Hume ragionassero non soltanto con un orizzonte temporale di un anno, ma

piuttosto considerassero il loro problema in termini complessivi, come un problema

fatto da singole decisioni, cooperare o non cooperare, che si ripetono di anno in anno

per l’intera durata, indefinita, della loro vita. Ci dimostra Trivers, che a questo punto

le cose cambiano e di parecchio. Immaginiamo che i due giocatori siano dei

“cooperatori condizionali”, che inizino, cioè, a cooperare al primo incontro o round, e

che poi facciano ciò che l’altro ha fatto nel round precedente: se tu ieri hai cooperato

io oggi coopererò, se tu ieri hai tradito, io tradirò oggi. Che tipo di risultati

otterrebbero questi giocatori in una popolazione formata da molti altri giocatori con i

quali si incontrano casualmente per giocare un dilemma del prigioniero? Proviamo

innanzitutto a chiederci che cosa succederebbe se in una popolazione formata

interamente da cooperatori condizionali arrivasse un nuovo soggetto “mutante”

disposto a giocare un’altra strategia. Se questo soggetto non è in grado di fare meglio

dei cooperatori condizionali e quindi di invadere la popolazione originaria, possiamo

definire la strategia iniziale di cooperazione condizionale come “evolutivamente

stabile”. Per verificare se questo è il caso, assumiamo che il gioco sia ripetuto

indefinitamente e che la probabilità che il round attualmente giocato sia l’ultimo, sia

pari a δ. La durata attesa D dell’intera relazione sarà pari a 1/(1-δ). Allora la

condizione affinché la cooperazione condizionale sia una strategia evolutivamente

stabile è data da

Page 9: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

9

Consideriamo, infatti, cosa succede ad un cooperatore che incontra un cooperatore

condizionale. Indichiamo la vincita in questo caso con ν. Il suo payoff complessivo

allora sarà pari a

υ = b − c +δυ

Che posto in altri termini equivale a

Quest’ultima formula mette in luce come il payoff che un cooperatore ottiene

incontrando un cooperatore condizionale sia uguale al payoff che si ottiene

cooperando in un gioco non ripetuto, moltiplicato per il numero infinito di periodi

D=1/(1-δ). Se invece si decidesse di non cooperare con un cooperatore condizionale

allora si otterrebbe un payoff pari a b per il primo round, ma poi più niente in tutti i

round successivi. Si capisce quindi che converrà cooperare solo se la seguente

condizione sarà soddisfatta

Il che equivale alla condizione enunciata sopra.

Può essere interessante notare come nell’ambito della teoria dell’altruismo reciproco,

il fattore di sconto δ , gioca lo stesso ruolo attribuito alla relazione genetica nella

teoria della selezione familiare. Se questa condizione vale e la popolazione è

interamente composta da cooperatori condizionali che si incontrano casualmente e

ripetutamente per giocare un dilemma del prigioniero, il payoff che ottiene un non-

cooperatore sarà sempre inferiore a quello ottenuto da un cooperatore condizionale.

Questo significa che quest’ultima strategia non può essere invasa e che quindi è

evolutivamente stabile.

E’ interessante notare che questo tipo di spiegazione del problema della fiducia

reciproca e della cooperazione non equivale a convincere due soggetti entrambi

egoisti a cooperare, quanto piuttosto, in uno spirito pienamente humeano, a trovare un

Page 10: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

10

sistema per rassicurare due soggetti che già conoscono i benefici della cooperazione,

che nessuna delle loro mosse cooperative verrà sfruttata da qualcun altro. Questa è

l’idea che sta dietro il concetto di strategia evolutivamente stabile.

Il modello di Trivers ci mostra che la cooperazione può inizialmente fondarsi su una

parentela genetica, ma una volta che questa si diffonde sufficientemente nella

popolazione, per sostenerla è sufficiente un numero adeguato di cooperatori

condizionali, che cooperano non più perché imparentati tra loro, ma perché, come

aveva ipotizzato Hume, attratti dai benefici individuali che possono ottenere da questa

scelta.

Questo incoraggiante risultato però, è soggetto ad un’importante limitazione. Esso

infatti si riferisce esclusivamente ad interazioni di tipo diadico, che hanno luogo, cioè,

sempre nell’ambito della stessa coppia di soggetti. Cosa succederebbe nel caso di una

interazione con la stessa struttura del dilemma del prigioniero ma che coinvolgesse un

numero di partecipanti superiore a due? L’interazione in questione viene chiamata

gioco dei beni pubblici (public good game). In questo gioco ogni partecipante può

cooperare contribuendo alla produzione del bene pubblico, oppure può defezionare,

nella speranza di poter godere dei benefici associati al bene pubblico b, anche quando

questo viene prodotto dagli altri giocatori, risparmiando così il suo costo di

produzione individuale, che indichiamo con c (con c<b). Se tutti contribuiscono

ognuno guadagna b-c>0, ma così come nel dilemma del prigioniero, anche nel gioco

dei beni pubblici ogni giocatore avrà un incentivo alla defezione. Se il gioco non è

ripetuto o è ripetuto un numero finito di volte l’esito dell’interazione sarà

invariabilmente la mutua defezione. Se invece il gioco è ripetuto indefinitamente

allora la cooperazione può emergere, ma questa sarà estremamente fragile ed

instabile, in quanto basata su condizioni piuttosto stringenti e irrealistiche. Tra queste,

come dimostrano Bowles e Gintis (2010), il fatto che il gruppo non deve essere troppo

numeroso, i benefici della cooperazione molto alti, la conoscenza circa il

comportamento di tutti gli altri membri del gruppo deve essere perfetta, gli errori di

percezione e di scelta devono essere assolutamente infrequenti. Alla base di queste

limitazioni sta il fatto che mentre in una interazione diadica ogni soggetto osserva ciò

che ha fatto l’altro nel round precedente e la defezione può efficacemente essere

punita con un’altra defezione, nel gioco con n>2 giocatori, la defezione di un

Page 11: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

11

individuo che vuole punire qualcuno che ha defezionato nel round precedente andrà a

danno non solo di chi ha defezionato, ma di tutti i membri del gruppo, sia cioè di

coloro che hanno defezionato come di coloro che hanno cooperato. Questo semplice

fatto unitamente all’impossibilità da parte dei membri del gruppo di distinguere una

defezione punitiva da una egoistica, fa saltare totalmente la logica dell’altruismo

reciproco.

3.3. Reciprocità Indiretta.

Ma non tutto è perduto. Robert Sugden (1986), ha fornito una spiegazione della

cooperazione anche in gruppi numerosi facendo ricorso al concetto di “reciprocità

indiretta”. L’assunzione addizionale che dobbiamo inserire riguarda la capacità degli

individui di ricordare in qualche modo il comportamento passato dei soggetti con cui,

anche infrequentemente, si sono incontrati. Chiamiamo un soggetto che ha cooperato

nell’incontro precedente, un “buon incontro” (BI), mentre quello che non ha

cooperato sarà definito un “cattivo incontro” (CI). Un BI assume lo status di CI se

sceglie di non cooperare contro un BI, mentre se un BI non coopera quando

interagisce con un CI questo non avrà nessun effetto sullo status del BI. Proviamo a

immaginare ora la seguente strategia: coopera solo ed esclusivamente se hai a che fare

con un BI oppure coopera sempre se per caso hai sbagliato a non cooperare e devi

recuperare il tuo status di BI. Proviamo a vedere ora se tale strategia è evolutivamente

stabile. Supponiamo che gli individui si incontrino per giocare il dilemma del

prigioniero descritto sopra e formino coppie casuali, ma adesso ogni volta con un

soggetto differente. Assumiamo inoltre che la probabilità di continuazione del gioco

sia pari a δ. Per rendere il modello ancora più realistico consideriamo l’evenienza che

la scelta di non cooperare possa essere frutto di un errore; la probabilità che ciò

avvenga sarà indicata con ε.

Consideriamo ora un BI che gioca la strategia cooperativa contro un altro BI; egli

otterrà il beneficio b con probabilità pari a 1-ε, la probabilità di cooperazione senza

errori, e il costo c con probabilità pari a ε, nel caso in cui il suo avversario scelga la

strategia sbagliata. Il gioco ora passerà ad un nuovo round, con probabilità pari a δ, e

il soggetto che ha sbagliato sarà ora diventato un CI (con probabilità pari a ε) oppure

sarà rimasto un BI (con probabilità pari a 1-ε). Se con νBI indichiamo il payoff atteso

Page 12: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

12

di un BI mentre con νCI quello di un CI, nella generalità della popolazione, il valore

atteso che ottengono i buon incontri sarà pari a

νBI = b(1−ε) − c +δ(ενCI + (1−ε )νBI )

Mentre quello che ottengono i cattivi incontri sarà uguale a

νCI = bε(1−ε) − c +δ(ενCI + (1−ε )νBI )

Risolvendo le due precedenti equazioni otteniamo

νCI =νBI − b(1−ε)2

L’espressione per νBI è data dal payoff atteso in ogni periodo (il numeratore

dell’espressione) moltiplicato per il numero dei round 1/(1-δ). La necessità di mettere

in atto punizioni costose riduce il payoff per ogni individuo, in ogni periodo, di un

valore pari a bδε . In queste condizioni la scelta di cooperare è la migliore strategie

fintantoché il payoff che si ottiene dalla continua cooperazione è maggiore di quello

che si otterrebbe defezionando e ottenendo poi lo status di CI, detto in altri termini

quando νBI ≥ b(1-ε)+ δCI . Semplificando otteniamo

Se ε è sufficientemente piccolo e δ è sufficientemente vicino ma minore di 1, allora la

diseguaglianza indicata sopra sarà valida finché il beneficio b supererà il costo c.

Benché il modello di Sugden si spinga molto in avanti rispetto alle conclusioni degli

altri modelli fin qui analizzati, anche esso non è privo di limiti, il più importante dei

quali è di tipo informativo. Perché il modello funzioni, infatti, dobbiamo assumere

νBI =b(1−ε(1+δ)) − c + bδε 2(2 −ε )

1−δ

bδ(1−ε)(1+δ(1−ε )2 +ε 2)1+δ

≥ c.

Page 13: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

13

che tutti i membri della popolazione siano in grado di riconoscere se l’avversario è un

BI o un CI, devono cioè sapere ciò che egli ha fatto nel round precedente. Questo

requisito può realisticamente essere soddisfatto solo in gruppi di piccole dimensioni,

ed è infatti a questi casi che il modello più efficacemente si può applicare.

3.4. L’altruismo come segnale di qualità.

Un’ulteriore possibile spiegazione per comportamenti di natura altruistica fa

riferimento alla possibilità che tali comportamenti fungano da segnali credibili delle

qualità, altrimenti difficilmente verificabili, dei soggetti che li mettono in atto. Se

contribuisce in modo rilevante, attraverso generose donazioni, all’attività di

un’associazione benefica, per esempio, un soggetto autointeressato può volerlo fare

per segnalare, con una qualche precisione una grande disponibilità monetaria. Se si

cimenta in attività fisiche pericolose, allo stesso modo, può voler segnalare un

coraggio e magari un’abilità fisico superiore alla norma. Se aiuta un amico e questo

aiuto è costoso, tale aiuto può essere un segnale affidabile di un carattere leale e un

attaccamento alle persone care che, se osservabile da terze parti, potrà essere utile nel

trovare partner con cui cooperare, costituire alleanza e sfruttare i vantaggi dell’azione

collettiva. Tutti questi comportamenti, e molti altri, benché costosi per chi li adotta,

potrebbero avere un valore adattativo proprio perché segnali credibili, cioè

difficilmente falsificabili. Per questa ragione anche soggetti autointeressati potrebbero

trovare conveniente adottare simili comportamenti in virtù dei potenziali benefici

derivanti dalla formazione di una reputazione di persona forte, onesta, ricca,

affidabile, e qualsiasi altro tipo di informazione tali comportamenti potrebbero

segnalare. Questa idea ha trovato una importante applicazione in ambito biologico

attraverso il cosiddetto “principio dell’handicap” (Zahavi, 1975). Alcuni tratti sia

comportamentali che morfologici di molte specie animali rappresentano per i soggetti

che li posseggono dei costi, a volte anche ingenti, il che dovrebbe rendere

evolutivamente impossibile la loro sopravvivenza. Zahavi dimostra però, che tali tratti

(le corna del cervo, la coda del pavone, il rituale del potlatch, o anche il bungee

jumping) possono servire per discriminare in maniera efficace le caratteristiche non-

osservabili dei soggetti in questione. Solo i cervi in buona salute e molto robusti

possono permettersi delle corna imponenti ed estremamente scomode, così come solo

soggetti molto coraggiosi (?) sarebbero disposti a saltare da un ponte legati per la

caviglia ad una corda elastica.

Page 14: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

14

Anche questo tipo di spiegazione non è esente da difetti. Il problema principale

risiede nel fatto che, come si può evincere anche dagli esempi precedenti, il principio

dell’handicap o quello più generale della segnalazione costosa, giustifica non

solamente comportamenti pro-sociali, ma anche comportamenti anti-sociali. I mafiosi

che si sfidano tra loro a chi brucia più banconote o i membri delle gang giovanili che

vanno in giro con pesanti catene d’oro al collo a vessare coetanei e a terrorizzare il

quartiere, stanno certamente mandando messaggi credibili che possono anche essere

evolutivamente robusti, ma certo non stanno contribuendo in nessun modo al

benessere né del gruppo né della comunità in generale. Da questo punto di vista, il

bullismo e il volontariato hanno esattamente lo stesso significato evolutivo e quindi la

stessa giustificazione teorica.

4. Cooperazione ed egoismo: ripetizione, errori e osservabilità

Uno dei passaggi certamente più noti di tutta la storia del pensiero economico è quello

in cui Adam Smith dichiara che “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio, o

del fornaio che ci aspettiamo la nostra cena, ma dalla considerazione del loro proprio

interesse”. In questa frase è racchiusa l’essenza della visione economica della

cooperazione, per la quale lo scambio e la cooperazione, può aver luogo, attraverso la

mediazione del mercato, anche tra soggetti autointeressati e mutuamente indifferenti,

proprio in virtù del reciproco beneficio che, inintenzionalmente, essi si procurano

vicendevolmente. Questa idea della cooperazione autointeressata è stata ripresa

nell’elaborazione delle teorie economiche che cercano di spiegare, anche fuori dal

mercato, perché soggetti auto interessati dovrebbero cooperare tra di loro, magari

incorrendo in costi personali o patendo il rischio di comportamenti opportunistici.

L’idea è semplice, perché, come sembra suggerire Smith, la cooperazione non è altro

che il risultato non voluto, inintenzionale appunto, del perseguimento diretto o

indiretto, del proprio tornaconto personale. Anche le teorie economiche quindi,

sembrano adottare la stessa strategie esplicativa di quelle teorie evolutive di cui

abbiamo appena discusso, che vedono nell’apparente altruismo nient’altro che una

forma sofisticata di egoismo. In fondo in fondo, due soggetti autointeressati decidono

di cooperare perché temono le conseguenze di ciò che potrebbe accadere loro se non

cooperassero. La minaccia di una punizione o dei mancati benefici della cooperazione

sono, in questa prospettiva, le vere ragioni che stanno alla base di quei

comportamenti cooperativi che chiamiamo altruismo, mutualismo, affidabilità,

Page 15: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

15

reciprocità. Lo strumento teorico su cui si fonda quest’approccio prende il nome di

folk-theorem (Fudenberg e Maskin, 1986).

Immaginiamo che due giocatori A e B, si trovino ad interagire ripetutamente in un

dilemma del prigioniero come quello rappresentato nella figura 2.

Giocatore B

C D

C 10 , 10 -1 , 11

Giocatore A D 11 , -1 0 , 0

Figura 2. Dilemma del Prigioniero

Le potenziali vincite o perdite degli incontri futuri vengono scontati attraverso un

fattore d (0<d<1). Immaginiamo che il gioco venga giocato un numero finito di volte,

assumiamo, per esempio, quattro sole ripetizioni. Come faranno due giocatori

razionali a decidere come scegliere. Teniamo innanzitutto conto del fatto che l’unica

ragione plausibile che potrebbe portare un giocatore a cooperare oggi è la paura che

se non lo facesse, l’altro giocatore potrebbe decidere, per punirlo, di non cooperare

domani. La minaccia della non-cooperazione potrebbe essere sufficiente a sostenere la

cooperazione in un gioco ripetuto un numero finito di volte? Per capire se conviene

cooperare o tradire nella prima ripetizione, ognuno cercherà di capire cosa l’altro farà

nel secondo incontro, e per capire come comportarsi nel secondo, occorrerà guardare

al terzo e poi al quarto. Nell’ultimo gioco sia A che B sceglieranno con certezza di

defezionare, perché non esiste un ulteriore periodo nel quale chi ha cooperato possa

punire chi non ha cooperato. Per questo nell’ultimo round entrambi i giocatori

sceglieranno di defezionare. Se questo è vero anche nella terza ripetizione non esisterà

più nessuna ragione per cooperare, infatti i giocatori sanno già che entrambi non

coopereranno nel round successivo. E questo stesso ragionamento si applica anche al

secondo round e infine anche al primo. La logica della cosiddetta induzione

retrospettiva (backward induction) dimostra in modo stringente che se il gioco è

ripetuto un numero finito di volte, per quanto grande sia tale numero, l’unico esito

possibile sarà quello della non-cooperazione. Le cose però possono cambiare in

Page 16: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

16

maniera drastica se si inserisce una qualche incertezza circa la durata del gioco.

Immaginiamo ora che il gioco sia ripetuti indefinitamente, cioè che esista una certa

probabilità che il round che si sta giocando non sia l’ultimo dell’intera serie. Allora la

durata complessiva del gioco sarà data da 1 + d + d2 + d3 + … = 1/(1-d). Ipotizziamo

ora che i giocatori scelgano le loro mosse seguendo questa strategia: inizia a

cooperare e poi coopera se l’altro coopera o continua a defezionare se l’altro

defeziona anche solo una volta. Se i giocatori adottano questa “strategia a grilletto”

(trigger strategy) e cooperano per tutti i periodi del gioco riceveranno un payoff

complessivo finale pari a 10/(1-d). Cosa succederebbe a questo punto se uno dei due

cercasse di approfittare della cooperazione dell’altro per ottenere un payoff maggiore

defezionando? Questo giocatore otterrebbe in quel periodo un payoff di 11, ma

farebbe anche scattare il grilletto della defezione perpetua dell’altro giocatore, per cui,

da quel momento in poi, otterrebbe sempre 0. Defezionare sarebbe conveniente quindi

solo nel caso in cui la somma dei payoff 8+0+0+0+… fosse maggiore di 10/(1-d).

Questo può accadere solo quando d < 1/11. Ma quando il fattore di sconto d è

sufficientemente grande, vicino a 1, quando cioè i giocatori tengono sufficientemente

a quello che gli capiterà nel futuro, la prospettiva di una punizione seguita a una

defezione è sufficiente a scoraggiare ogni tentazione di scelte opportunistiche. Questo

risultato è valido indipendentemente dal valore dei payoff ed è legato esclusivamente

al valore del fattore di sconto, quindi alla “pazienza” dei soggetti. Generalizzando

questo tipo di conclusione, il folk-theorem afferma che ogni coppia di strategie che

consente ai giocatori di ottenere un payoff medio superiore al payoff che si ottiene

dalla mutua defezione, è un equilibrio del gioco, vale a dire, può essere scelta da due

giocatori razionali e auto interessati. Questa è una conclusione molto positiva per chi

voglia ricorrere alla strategia esplicativa dell’egoismo indiretto. Anche questa però,

una conclusione non priva di difficoltà. Se analizziamo il risultato del folk-theorem

con più attenzione infatti, ci accorgiamo subito che esso si fonda su alcune condizioni

piuttosto restrittive. Tra queste il fatto che l’interazione debba avvenire sempre tra due

soli individui e che il loro comportamento sia perfettamente osservabile e non

soggetto ad errori di esecuzione o di interpretazione. Appena si introduce anche una

piccola dose di incertezza o di opacità rispetto al comportamento passato il modello

collassa. Anche un piccolo errore, se per esempio, scelgo di defezionare mentre avrei

voluto cooperare, oppure l’altro crede che io abbia defezionato anche se in realtà ho

Page 17: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

17

cooperato, porterebbe immediatamente alla defezione perenne ed irreversibile tra i

giocatori.

Questi tre elementi, la validità solo per le coppie, la possibilità di errori e la non

perfetta osservabilità, trova soluzione nella variante del folk-theorem, sviluppata da

Kandori (1992) e in quelle con segnalazione imperfetta e con segnalazione privata

(Bowles e Gintis, 2010).

Come abbiamo detto più sopra l’idea fondamentale che sta alla base della teoria dei

giochi ripetuti e del folk-theorem in particolare, è che la minaccia di una ritorsione da

parte di un avversario tradito, può essere da sola, una ragione sufficiente per sostenere

la cooperazione anche tra soggetti autointeressati che interagiscono in coppie stabili.

Il lavoro di Kandori (1992) ha esteso questa stessa logica anche ai casi nei quali i

giocatori interagiscono non in coppie fisse ma attraverso incontri casuali e sporadici.

La condizione affinché questo possa avvenire è che esista un sistema di diffusione

dell’informazione circa il comportamento passato di ogni membro del gruppo. Se ciò

esiste e tale informazione è credibile allora ogni soggetto avrà interesse a formarsi una

reputazione di affidabilità comportandosi in maniera affidabile.

Nei modelli con segnalazione imperfetta il comportamento dei giocatori è opaco,

osservato cioè con un certo grado di errore. Può verificarsi, in altri termini che ad un

giocatore venga attribuita una defezione o perché egli ha commesso un errore nella

scelta, oppure perché ha cooperato, ma tale comportamento è stato male inteso.

Assumiamo che la probabilità di tali errori sia pari a ε > 0. Immaginiamo ora che un

soggetto che per qualche ragione ha defezionato venga punito nel periodo successivo

dai membri del gruppo di giocatori per un ammontare pari a p. Ogni giocatore per

punire le defezioni subirà quindi un costo complessivamente pari a εp/(n-1), dove n è

il numero complessivo dei giocatori. Il numero invece dei segnali di defezione sarà

uguale a (n-1)ε e questi porteranno come conseguenza una punizione complessiva del

valore di a (n-1)εp. Siccome abbiamo detto che tale somma andrà divisa per ogni

giocatore ad esclusione del punito, e immaginando che una punizione pari a p costi a

chi la mette in atto αp (α > 0), allora ogni individuo subirà un costo atteso pari a εp(n-

1)/(n-1) = εp, per un costo complessivo di αεp. Tale punizione dev’essere tale che

nessun giocatore possa trovare conveniente defezionare oggi e poi ritornare a

cooperare domani. Se indichiamo con πc il payoff che si ottiene quando tutti

cooperano e con πd quello che invece si ottiene se si defeziona oggi mentre tutti gli

Page 18: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

18

altri cooperano e poi si torna a cooperare, allora tale condizione sarà verificata quando

πc ≥ πd. I due payoff si ottengono nel modo seguente:

πc =b – c – αεp – εp

πd =b – (αε +1)p

se, per semplificare, imponiamo che il valore della punizione p sia uguale a

c/(1-ε), allora il payoff di ogni giocatore sarà dato da

dove cε(1+α)/(1-ε) è il costo che ogni giocatore deve sostenere per contribuire

all’intero sistema di punizione. Tale costo si riduce al ridursi dell’opacità dei

comportamenti e all’aumentare dell’osservabilità del segnale.

Ma qui sorge un ulteriore problema che è legato al fatto che la punizione di coloro che

defezionano ha le stesse caratteristiche di un bene pubblico; vale a dire che la

punizione continuerà ad essere efficace anche se tutti, tranne me, decidessero di

punire chi ha defezionato. In altri termini un giocatore autointeressato avrebbe un

forte incentivo a non punire per sfruttare, senza nessun costo individuale, i benefici

delle punizioni messe in atto dagli altri. Me se tutti ragionassero allo stesso modo,

l’intero sistema delle punizioni collasserebbe e con esso l’incentivo principale a

cooperare. Bowles e Gintis (2010) forniscono una risposta anche a questo problema.

Quando tutti sono disposti a punire, il numero di defezioni osservate sarà pari a εn e il

numero di punizioni effettivamente messe in atto sarà pari a εn(1-n). Se osserviamo a

questo punto il numero di punizioni, anche queste saranno soggette ad errori, per cui

potremmo osservare nel periodo successivo un numero di defezioni sulle punizioni

pari a ε2n(1-n), e nel periodo successivo ancora a ε3n3(1-n), per un totale

complessivo, di periodo in periodo, pari a

εn(n −1) +ε 2n2(n −1) +ε 3n3(n −1) + ... = (n −1) εn1−ε

π c = b − c 1+ε1+α1−ε

⎝ ⎜

⎠ ⎟

Page 19: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

19

la somma totale delle punizioni p va poi divisa per (n-1) soggetti i quali in ogni

periodo subiranno un costo pari a

se assumiamo un valore per ε < 1/n allora il payoff complessivo per coloro che

cooperano e puniscono chi non coopera sarà pari a

Tale risultato, diversamente da quanto abbiamo visto nel caso dell’altruismo

reciproco, mantiene la sua validità anche nel caso di gruppi numerosi. Questo

principalmente perché nel caso di defezione da parte di un giocatore non vengono

puniti anche tutti gli altri, ma solo e unicamente il colpevole.

Il terzo problema che avevamo introdotto discutendo del folk-theorem era connesso

alla pubblica osservabilità dei comportamenti. Se per qualche ragione introduciamo

un certo livello di opacità circa ciò che gli altri fanno, se il gruppo è numeroso questa

possibilità diventa piuttosto realistica, il risultato originale del folk-theorem non regge

più. Tale limite è stato superato grazie al contributo di Sekiguchi (1997), il quale ha

sviluppato un modello basato sul folk-theorem considerando la presenza di segnali

non pubblicamente osservabili. La critica che in maniera convincente Bowles e Gintis

(2010) muovono a questo modello si fonda sul fatto che benché esso sia logicamente

coerente, produce un risultato soddisfacente, in termini di strategie di equilibrio,

solamente in presenza di condizioni estremamente restrittive e le proprietà dinamiche

degli equilibri sono, al meglio, irrilevanti.

Questo ultimo problema, in gradi differenti, affligge tutti i risultati basati sul folk-

theorem, proprio in virtù della sua stessa natura. Il teorema infatti ci dice che un

equilibrio esiste, ma non ci spiega come giocatori razionali possano riuscire a

coordinare le loro azioni per raggiungerlo. Un equilibrio infatti si può ottenere solo le

credenze dei giocatori rispetto alle azioni degli altri giocatori sono mutuamente

(n −1) pεn1−εn

πc = b − c 1+εn 1+α(1−εn)(1−ε )

⎝ ⎜

⎠ ⎟

Page 20: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

20

allineate. Mentre questo risultato è facilmente, o meno problematicamente, ottenibile

in un gioco statico, questo diventa estremamente complicato in un gioco ripetuto e

ancor più se i giocatori sono più di due. In questi casi in assenza di un “meccanismo

di correlazione” delle credenze di ciascun giocatore circa le azioni di ogni altro

giocatore, la possibilità di raggiungere un equilibrio diventa decisamente implausibile,

anche se il folk-theorem afferma che tale equilibrio esiste. Un tipico esempio di

“meccanismo di correlazione” che adempie a tale funzione nella vita reale sono le

norme sociali, le quali ci aiutano a formarci credenze a priori, circa il possibile

comportamento che gli altri soggetti, in una data situazione, in un dato ruolo,

tenderanno con tutta probabilità a porre in essere.

Questa è la ragione principale perché le norme sociali si sono evolute, anche con una

fisionomia molto differente, da cultura a cultura, lungo i secoli: per consentire un più

efficace coordinamento tra soggetti decentrati, che interagendo in gruppi e potendo

osservare in maniera solo imperfetta il comportamento e le scelte altrui, non di meno

aspirano a godere i benefici di una azione cooperativa.

Per questa ragione una spiegazione della cooperazione, dell’emergenza e della

sopravvivenza di comportamenti fiduciari ed affidabili, che trascuri il ruolo delle

norme sociali è destinata a rimanere un’impresa meritoria, ma fondamentalmente

destinata all’insuccesso.

Nel proseguo del capitolo introdurremo alcuni modelli che, attraverso la

considerazione del ruolo centrale delle norme sociali, possono aiutarci a comprendere

meglio le dinamiche cooperative e fiduciarie che sostengono la nostra vita comune.

5. Homo economicus o Homo Sapiens?

Avevamo aperto il paragrafo precedente citando la celeberrima frase di Adam Smith

circa le virtù del mercato nella quale si evidenziava come sia possibile che soggetti

autointeressati e mutuamente indifferenti riescano a cooperare facendo leva

esclusivamente sul reciproco egoismo. Questa filosofia è, a pensarci bene, quella

stessa che informa tutte le spiegazioni di natura biologica ed economica relativa

all’emergere della cooperazione che abbiamo fin qui analizzato. E abbiamo anche

visto come tutte queste teorie, in un modo o nell’altro, per un verso o per l’altro,

presentino dei forti limiti esplicativi o, nel migliore dei casi, siano soggetti a

condizioni altamente restrittive.

Page 21: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

21

Le difficoltà legate ai modelli che abbiamo finora analizzato e che, in modo

differente, caratterizzano tutti i tentativi di spiegazione di questo tipo, mettono in luce,

non solo difficoltà di natura tecnica, ma piuttosto un vizio di fondo, un pregiudizio

antropologico che in qualche modo condanna all’insuccesso questo tipo di modelli.

Per capire la natura di questo pregiudizio può esserci utile continuare a seguire Adam

Smith, ma passando dell’impostazione tipica della Ricchezza delle Nazioni, aquella

dal lui adottata nella Teoria dei Sentimenti Morali. All’inizio di questo libro Smith

descrive l’essere umano in questi termini: “Per quanto [egli] possa esser supposto

egoista, vi sono evidentemente alcuni principi nella sua natura che lo inducono ad

interessarsi alla sorte altrui e gli rendono necessaria l'altrui felicità, sebbene egli non

ne ricavi alcunché, eccetto il piacere di constatarla”. Dunque non solo, afferma Smith,

nel mercato è sufficiente il ricorso all’autointeresse per spiegare gli scambi improntati

al mutuo guadagno, ma anche che in generale, negli essere umani è presente una

tendenza altruistica, che seppure non necessaria nel mercato, è fondamentale per la

costruzione di convivenze coese e cooperative.

Ecco il tassello mancante nella nostra spiegazione dell’emergere della cooperazione e

della fiducia: un modello di agente economico più ricco, un agente economico dotato

di preferenze sociali, e non solo un massimizzatore autointeressato della sua utilità

individuale. Questa tipologia di agente, se inserito nelle teorie che abbiamo

considerato potrà dar conto in maniera più compiuta e descrittivamente adeguata,

dell’evidenza empirica che possediamo circa la capacità di cooperare e di fidarsi

reciprocamente che l’homo sapiens mette in essere ormai da qualche centinaia di

migliaia di anni e a cui dobbiamo in larga misura in nostro attuale livello di sviluppo

culturale, economico e sociale.

L’orientamento all’altro, e le preferenze sociali spiegano inoltre l’evoluzione e il

funzionamento di quelle norme sociali che codificano in cultura i comportamenti

funzionali alla cooperazione.

Il ruolo di tali norme e di tali preferenze è ormai largamente riconosciuto e l’enorme

quantità di evidenza empirica raccolta sia sul campo che in laboratorio, che testimonia

forme di cooperazione sistematica appare difficile da conciliare con le previsioni dei

modelli tradizionali (cfr. Camerer, 2004 per una valida rassegna).

Di seguito discuteremo brevemente alcuni dei principi comportamentali non-

autointeressati che sono stati recentemente individuati e incorporati in alcune teorie

formali di scelta strategica.

Page 22: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

22

6. Giustizia distributiva e avversione all’iniquità.

Il primo elemento che vorremmo prendere in considerazione fa riferimento al

concetto di equità. Innumerevoli esperimenti hanno messo in luce l’esistenza di un

taste for fairness, una preferenza per l’equità, ampiamente diffusa nella popolazione

ed largamente invariante rispetto a considerazioni di natura soggettiva, culturale e

sociale. Tale elemento è stato ampiamente analizzato e descritto formalmente in

particolare nell’accezione di “avversione all’iniquità”. Questi modelli (Fehr e

Schmidt, 1999; Bolton e Ockenfels, 2000) postulano che gli agenti economici, nel

valutare la desiderabilità di una data azione non considerano solo l’esito materiale che

ne deriva per loro stessi, ma anche la natura della distribuzione dei guadagni e delle

perdite che le loro scelte determinano e che coinvolgono tutti gli altri soggetti con cui

essi interagiscano. Queste distribuzioni concorrono a determinare l’utilità del soggetto

in modo tale che egli cercherà contemporaneamente di massimizzare il suo benessere

materiale e di minimizzare la differenza tra la sua posizione e quella di tutti gli altri.

In altri termini questo significa che un agente siffatto sarà disposto a rinunciare ad una

frazione della sua ricchezza per fare in modo che si determini una distribuzione della

stessa più egualitaria. La diseguaglianza quindi rappresenterà un costo di natura

psicologica che i soggetti cercheranno di evitare, sia che tale diseguaglianza, in

termini materiali, sia vantaggiosa per il soggetto, sia che essa sia svantaggiosa. Questa

tensione verso l’equità appare naturalmente come un elemento necessario per

l’emergenza di norme cooperative. Eppure, benché importante, l’aspetto dell’equità

non esaurisce tutte le ragioni che possono portare all’emergere di comportamenti

cooperativi. Infatti il principio di avversione all’iniquità è un principio puramente

consequenzialista. Ciò significa che ogni scelta viene valutata esclusivamente sulla

base delle sue conseguenze. Eppure le osservazioni di laboratorio mostrano che

spesso gli agenti valutano azioni equivalenti tra loro, in termini di conseguenze, in

maniera differente sulla base delle differenti intenzioni che ad esse possono essere

associate. Immaginiamo che tu mi possa offrire una certa somma di denaro. La mia

gratitudine rispetto a tale gesto non dipenderà solamente dalla somma che deciderai di

regalarmi, ma anche dall’intenzione che io associo a tale gesto. Per esempio, un conto

è ricevere 5 euro sapendo che tu ne avevi 10 in totale; un altro conto è ricevere 10

euro sapendo che tu ne avevi a disposizione 100. Spesso nella nostra valutazione e

quindi nelle potenziali reazioni, la prima scelta ci appare più gentile della seconda,

Page 23: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

23

benché la somma ricevuta in questo caso (la conseguenza), sia inferiore rispetto a

quella ricevuta nel secondo caso.

L’importanza del processo di attribuzione delle intenzioni è stata riconosciuta e

recentemente formalizzata nei modelli che considerano le preferenze sociali legati ai

principi di reciprocità e rispondenza fiduciaria.

7. Incentivi relazionali: Reciprocità e fiducia

Per reciprocità si intende la disponibilità di un soggetto A a rinunciare ad un

guadagno materiale per conferire un beneficio ad un soggetto B, il cui comportamento

ha un effetto positivo sul benessere di A. Questa la definizione di reciprocità

“positiva”, cui si affianca quella di reciprocità “negativa”, dove la disponibilità a

rinunciare ad un guadagno o a sopportare un certo costo, è finalizzata a punire un

comportamento che viene valutato scorretto. Sono vari i modelli teorici che

incorporano questo concetto di reciprocità (Rabin, 1993; Dufwenberg e Kirchsteiger,

2004, tra gli altri) e che spiegano comportamenti cooperativi che sfuggono al campo

di significatività del modello classico. Con l’introduzione di una struttura di

motivazioni fondata sulla reciprocità, naturalmente diventa più semplice spiegare

l’evoluzione e la sopravvivenza di modelli comportamentali cooperativi, in quanto sia

la ricompensa di scelte funzionali al benessere del gruppo, sia la punizione di

comportamenti devianti, benché possano comportare un costo individuale in termini

materiali, producono anche dei benefici di natura psicologica per lo stesso soggetto

che le pone in atto. Tale beneficio psicologico diretto va a sommarsi a quello

materiale indiretto che riguarda l’intero gruppo, rendendo in questo modo la

probabilità della fissazione di scelte cooperative complessivamente più probabile.

Il concetto di reciprocità ci dice qualcosa di importante anche rispetto alle

relazioni di natura fiduciaria. Immaginiamo due imprenditori (A e B) che decidono di

cooperare in un progetto innovativo. Il soggetto A inizia a fare degli investimenti che

pagheranno solo se anche il soggetto B farà la sua parte. Gli investimenti di A

altrimenti saranno un costo per lui. Il soggetto B a questo punto può decidere se fare

la sua parte nel progetto congiunto o sfruttare i risultati ottenuti insieme ad A fino a

quel momento cambiando progetto in modo da tagliare fuori A. Se il soggetto A

decida di fidarsi e quello B di ripagare la sua fiducia, potremmo spiegare tale

comportamento affermando che B ha reciprocato la gentilezza diA, il quale,

fidandosi, lo aveva messo nelle condizioni di ottenere un risultato migliore di quello

Page 24: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

24

che avrebbe ottenuto se A non si fosse fidato di lui. Tale gentilezza viene

ricompensata da B attraverso la rinuncia alla scelta opportunistica e la tutela degli

interessi di A. Sulla base di questo ragionamento, la fiducia di A potrebbe benissimo

fondarsi sull'aspettativa di un comportamento reciprocante da parte di B. Eppure

siamo convinti che la reciprocità da sola non è sufficiente a dar conto dei fenomeni

fiduciari, se questi vengono intesi in senso più generale. Essa infatti, funziona solo nel

caso in cui una relazione fiduciaria preveda per entrambi i giocatori la possibilità di

un mutuo vantaggio. Ma dobbiamo tener conto che pure esistono situazioni fiduciarie

nelle quali tale condizione non è presente; situazioni, cioè, nelle quali il fiduciario non

ha niente da guadagnare dalla fiducia che viene riposta in lui, e addirittura situazioni

nelle quali il comportamento affidabile non solo non determina un guadagno per il

fiduciario, ma è associato ad un costo.

Immaginiamo che ci venga chiesto un favore: quando il nostro vicino di casa ci

chiede di annaffiargli le piante mentre lui è in vacanza, o quando ci viene confidato

un segreto e chiesto di mantenerlo, o quando, ancora, uno studente sconosciuto ci

manda una e-mail chiedendo indicazioni e consigli di vario genere. In questi casi, non

solo io non guadagno niente dal comportarmi in maniera affidabile (innaffiare le

piante, mantenere il segreto, fornire buone ed esaurienti indicazioni), ma questi

comportamenti possono essere associati ad un costo (il tempo necessario per

l'annaffiatura o per rispondere alla mail o ancora la tensione emotiva legata al

mantenimento del segreto). Questi sono solo tre semplici esempi di interazioni

fiduciarie dove non solo non esiste la possibilità di vantaggio per il fiduciario, ma anzi

la sua affidabilità è associata ad un costo. Queste considerazioni ci portano ad

affermare che la visione della fiducia quale aspettativa di reciprocità, debba essere

intesa come una concezione parziale e nient'affatto generale di ciò che generalmente

intendiamo con il termine “fiducia”.

Per questo appare necessario fare un passo in avanti e proporre elementi per una

teoria dei comportamenti fiduciari almeno parzialmente distinta dalle varie teorie

della reciprocità. Come base di tale teoria proponiamo il concetto di “rispondenza

fiduciaria” (Pelligra 2007, 2010a). Secondo tale principio è la stessa la fiducia

ricevuta a costituire una delle ragioni che motiva una risposta affidabile. Il nesso

causale tradizionale tra l’affidabilità che giustifica la fiducia, è in questo caso

invertito, considerando che è anche la fiducia a promuovere l'affidabilità.

Page 25: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

25

I comportamenti fiduciari, ancor più di quelli fondati sul movente della reciprocità,

rappresentano un esempio chiaro dell'importanza della componente relazionale anche

in ambiti economicamente rilevanti. Questo fatto appare ancora più chiaro alla luce

della distinzione appena introdotta tra fiducia intesa come aspettativa di reciprocità e

fiducia come aspettativa di affidabilità. Nel primo caso, infatti, la tipologia di

interazione tra soggetti, il primo che si fida e il secondo che si comporta in maniera

affidabile, è sempre riconducibile ad un tipo di scambio materiale, sia pure

sequenziale e differito nel tempo. La fiducia, in questo caso, entra nella relazione

perché la possibilità del guadagno reciproco è condizionata alla rinuncia del

comportamento opportunistico da parte del fiduciario. Ma la tipologia di relazioni

fiduciarie è, come abbiamo visto, più ampia di quelle nelle quali è presente la

possibilità di mutuo guadagno e coinvolge anche situazioni nelle quali, non potendo

esserci nessun tipo di scambio e quindi di reciproco vantaggio materiale, non è

presente il movente della reciprocità. Ma allora, è proprio in questi casi nei quali non

è presente la dimensione dello scambio materiale mutuamente vantaggioso, che

l'elemento genuinamente relazionale emerge con più chiarezza.

Se la fiducia non è una aspettativa di reciprocità che si fonda sulla

disponibilità del fiduciario di rinunciare all'opportunismo per rispondere

positivamente alla possibilità di guadagno che gli offre il fiduciante, allora che cos'è?

Ma soprattutto, se l'affidabilità non è solo una forma di reciprocità, come possiamo

definirla, pensando in particolare a quei casi nei quali una scelta affidabile è gratuita o

addirittura costosa?

Per rispondere a tali quesiti è opportuno discutere più in profondità il principio di

“rispondenza fiduciaria”. In questa concezione dei rapporti fiduciari è proprio la

natura della relazione, e non solo le caratteristiche dei singoli protagonisti, a

determinare l’esito dell’interazione stessa. Perché l’entrare in relazione, se tale

relazione è una vera relazione inter-umana, modifica di per sé stessa i soggetti che ne

sono coinvolti, nelle loro aspettative e di conseguenza nelle loro decisioni. L’ipotesi

di rispondenza fiduciaria descrive, in questo senso, l'influenza che in un rapporto

fiduciario, esercitano sulle decisioni dei soggetti le aspettative circa il comportamento

altrui ma anche le aspettative circa le aspettative rispetto a tale comportamento.

Sintetizzando potremmo dire che la fiducia responsiva implica che il comportamento

fiducioso del fiduciante, proprio perché segnala al fiduciario la sua aspettativa di

affidabilità, susciti e giustifichi tale risposta affidabile da parte del fiduciario. In

Page 26: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

26

questo caso, quindi, la logica tradizionale secondo cui “io mi fido perché tu sei

affidabile” viene completamente ribaltata, fino a prendere la forma del “tu sei

affidabile perché io mi sono fidato”.

La “responsività” (responsiveness) che contraddistingue una relazione siffatta, è

una qualità della fiducia che emerge nella relazione tra fiduciante che si fida, e

fiduciario, colui di cui ci si fida, e può essere compresa solo guardando all’interazione

tra le intenzioni e le azioni di coloro che sono coinvolti. Una scelta fiduciosa, infatti,

quando viene osservata dal fiduciario, segnala a quest'ultimo l'aspettativa che il primo

ha circa la sua affidabilità; nessuno si fida, infatti, se ha la certezza di venire tradito.

Tale aspettativa di affidabilità porta con sé un beneficio psicologico, un dono

immateriale per il fiduciario, il quale però può solo incassare tale beneficio se decide

di corrispondere positivamente all'aspettativa di affidabilità, comportandosi

effettivamente in maniera affidabile. In questo senso possiamo considerare una scelta

affidabile che segue una scelta fiduciosa, come una vera e propria “profezia che si

auto-avvera”. E' questo gioco di aspettative e congetture, intenzioni ed azioni che

rende impossibile descrivere la logica della rispondenza fiduciaria all'interno della

teoria della scelta tradizionale. Se le preferenze dei soggetti, infatti, si modificano

all'interno della relazione stessa, sono cioè endogene alla relazione, non è possibile

descriverle in un quadro puramente consequenzialista, quale quello della scelta

razionale ma anche dei modelli di avversione all’iniquità. L'esito dell'interazione

dipende in maniera cruciale non solo dalle conseguenze effettive cui una coppia di

scelte, fiduciosa e affidabile o diffidente e opportunista, può condurre; essa si fonda

anche sulle credenze relative alla probabilità di tali scelte che gli agenti coinvolti si

possono formare (Pelligra, 2010b).

Nelle teorie della scelta tradizionali tutte le ragioni per fidarsi e per essere

affidabili sono rappresentate come dei dati esogeni. Ma se la fiducia è realmente un

fattore relazionale che si manifesta, e direi di più, si crea all'interno di una relazione

interpersonale, sembra altamente improbabile che un modello di spiegazione che

consideri le ragioni delle scelte come esterne alla relazione stessa, possa essere in

grado di fornire un resoconto soddisfacente della reale natura dei fenomeni fiduciari.

La rispondenza fiduciaria, al contrario, considera, almeno in parte, l'affidabilità come

una conseguenza endogena della scelta fiduciaria. Anche l'idea di reciprocità che

abbiamo introdotto più sopra, implica una qualche forma di responsività: gli atti di

Page 27: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

27

“gentilezza”, infatti, inducono risposte gentili, mentre atti scorretti esplicitano

risposte punitive.

Dunque, mentre la reciprocità scaturisce dalla constatazione di un beneficio

materiale ottenibile in relazione alla scelta osservata o attesa dell'altro giocatore, la

rispondenza fiduciaria funziona semplicemente sulla base dell'osservazione di una

azione che manifesta aspettative fiduciarie da parte del fiduciante. La reciprocità

quindi risulta in fin dei conti, attivata dalla possibilità di uno scambio mutuamente

vantaggioso, sia pure differito nel tempo, dal quale entrambi i soggetti traggono un

beneficio materiale. La rispondenza fiduciaria, invece, non necessita di questa

componente materiale quale elemento attivante della risposta cooperativa.

Come abbiamo più volte ripetuto, nello schema della rispondenza fiduciaria, un

atto di genuina fiducia fornisce al fiduciario ragioni addizionali per rispondere in

maniera affidabile alla scelta fiduciosa del fiduciante. L'ipotesi è in sostanza quella

secondo cui siamo spinti a conferire benefici a persone che hanno credibilmente

mostrato di attenderseli (i fiducianti) e sulla base di tale aspettativa si sono esposte

volontariamente al rischio legato ad una eventuale mossa opportunistica. La nostra

ipotesi è che tale meccanismo, accanto ad altri, possa fornire importanti elementi per

la comprensione delle dinamiche evolutive dei comportamenti cooperativi tra persone

reali.

Una più estesa e dettagliata trattazione dei tratti principali dell'ipotesi di

rispondenza fiduciaria sono esposti in Pelligra (2007 e 2010a), mentre Dufwenberg e

Gneezy (2000), Guerra e Zizzo, (2005) e Bacharach, Guerra e Zizzo (2007) riportano

i primi risultati sperimentali che sembrano avvalorare empiricamente tale ipotesi.

8. Alcune implicazioni per l’implementazione e la progettazione

istituzionale.

La rassegna che qui abbiamo voluto proporre relativamente ai modelli biologici ed

economici della emergenza della cooperazione umana, unitamente alle considerazioni

che abbiamo svolto sulla complessità della struttura motivazionale dovrebbero aver

messo in luce, sia pure in maniera veloce e perlopiù non tecnica, i limiti legati alle

spiegazioni unidimensionali del fenomeno della cooperazione. Per unidimensionali

intendiamo quei modelli di spiegazione che fanno ricorso ad un modello di agente

economico puramente autointeressato il quale è capace di rinunciare ad un guadagno

Page 28: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

28

immediato solo se a questo, attraverso la formazione di una solida reputazione, né può

seguire uno maggiore nel lungo periodo. Quello che dovrebbe apparire chiaro ora è

che tale strategia risulta inefficace se non si completa tale modello di agente con

nuove dimensioni legate alla sua struttura motivazionale, che come abbiamo visto,

risulta in realtà essere più complessa e incorpora elementi quali, tra gli altri, equità,

reciprocità e rispondenza fiduciaria.

L’importanza di questa operazione è legata non solamente alla costruzione di un

modello completo e descrittivamente adeguato di agente sociale, ma anche e

soprattutto, alla possibilità di progettare più efficacemente delle politiche e delle

istituzioni capaci di promuovere la cooperazione e di scoraggiare,

contemporaneamente i comportamenti opportunistici e disfunzionali. La complessità

del nesso tra teoria e politica è tale che un modello teorico incompleto, infatti, può

portare all’elaborazione di politiche e alla progettazione di istituzioni non solo

inefficaci, ma addirittura controproducenti e dannose.

Se i soggetti reali differiscono sensibilmente dall’immagine tradizionale dell’homo

economicus, nel senso che non solo reagiscono ad incentivi materiali come quelli che

si considerano nei modelli che abbiamo considerato nella prima parte del capitolo, ma

traggono utilità anche da comportamenti other-regarding che sono guidati dai principi

di equità, reciprocità e rispondenza fiduciaria, allora tali elementi dovranno essere

incorporati in un sistema di incentivi più complesso e gestiti di conseguenza, alla

stregua di importanti risorse motivazionali. Gli schemi di relazione che stanno alla

base di regole, contratti, costituzioni e altre forme di strutture interattive, dovranno

essere pensati, nell’ambito delle comunità, in modo da essere in grado di attivare i

principi suddetti e di orientare i comportamenti verso la piena cooperazione.

Quando, per esempio, costruiamo uno schema di interazione che lasci spazio al

funzionamento del meccanismo di rispondenza fiduciaria, stiamo creando una

domanda di affidabilità, e questo possiamo farlo non solo in virtù del beneficio che il

fiduciante avrà dall’affidabilità del fiduciario, ma anche perché in questo modo, da

tale relazione, potremmo ottenere un incremento di capitale sociale, che, al momento

del bisogno, andrà a beneficio anche del fiduciario stesso, quale membro di un gruppo

più coeso e cooperativo. Ricorrere invece ad un eccessivo monitoraggio e a regole

strettamente cogenti, può avere l’effetto di bloccare il meccanismo della rispondenza

fiduciaria e, in ultima analisi, di incentivare proprio quell’opportunismo che le regole

erano intese a scoraggiare.

Page 29: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

29

La fiducia, in questo senso, è una questione di “segnali”. Il fiduciario sa che il

fiduciante si sta mettendo volontariamente e coscientemente nelle sue mani. E’ questo

segnale che crea ragioni addizionali per il fiduciario a comportarsi in modo affidabile.

Spesso l’assicurazione dal rischio di opportunismo fa si che tali segnali non possano

essere veicolati, riducendo l’effetto motivante della fiducia e riducendo,

conseguentemente, la disponibilità del fiduciario all’affidabilità.

Quella di reciprocità e di affidabilità sono inoltre, norme rinforzate dalla

pressione dell’approvazione o della disapprovazione sociale. Per questa ragione, come

recentemente dimostrato da Fehr e Falk (2002), tali norme sono soggette ad un

meccanismo di “complementarietà strategica”. Questo implica che l’efficacia

dell’approvazione o della disapprovazione dipende dal comportamento degli altri

soggetti e dalla valutazione che essi danno del comportamento in questione. Se gli

altri soggetti sono sensibili alla valutazione sociale espressa dai membri del loro

gruppo, l’agire di ogni soggetto troverà del desiderio di approvazione un movente

spesso sufficientemente forte da controbilanciare l’incentivo materiale. Tale

meccanismo apre la possibilità del verificarsi di una molteplicità di equilibri. Alcuni

di questi equilibri saranno ottimali e quindi preferibili, mentre altri saranno sub-

ottimali e quindi li si vorrà evitare. La transizione da un equilibrio inefficiente verso

uno migliore dipenderà allora dal modo in cui gli incentivi relazionali e sociali

vengono fatti funzionare all’interno di ogni data comunità. Un dato insieme di regole

possono creare uno schema di community governance nel quale il valore

dell’approvazione sociale e del rispetto delle norme condivise vengono incoraggiati e

in questo modo, tali regole, possono essere in grado di favorire e promuovere

comportamenti cooperativi.

Le motivazioni psicologiche e morali dei soggetti devono quindi essere considerate

come beni importanti, a volte cruciali, di ogni comunità. Trascurare o sottovalutare

l’importanza di questo punto, può portare ad esiti controproducenti e in ogni caso, ad

uno spreco di risorse ed in ultima analisi ad un danno per l’efficienza sociale della

comunità.

L’attività di progettazione istituzionale e la connessa teoria dell’implementazione

mirano, da una parte, a regolare le interazioni tra soggetti a differenti livelli,

attraverso la creazione di istituzioni formali capaci di coordinare gli interessi dei

diversi agenti e di dirigerli verso gli esiti cooperativi desiderati, e dall’altra, a

Page 30: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

30

sostenere e promuovere con sanzioni e altre forme di (dis)incentivi materiali e

immateriali certe tipologie di comportamenti.

L’idea di fondo che sta alla base della teoria e della pratica della progettazione

istituzionale di stampo tradizionale non è certo nuova e può essere fatta risalire fino a

Mandelville, il quale nella sua Favola delle Api affermava la necessità per i

governanti di fare in modo che “il peggiore di tutta la Moltitudine faccia qualcosa per

il Bene Comune”. Sulla stessa linea si muove David Hume, quando suggerisce che

“nel progettare qualsiasi sistema di governo (...) si dovrebbe presupporre che ogni

uomo sia un delinquente senza altro fine, in tutte le sue azioni, che il perseguimento

del suo interesse privato”.

Un gran numero risultati sperimentali e teorici hanno messo in luce

recentemente che tale teoria è basata su un errore di fondo. Si è iniziato a capire infatti

come, quando e perché, regole progettate per egoisti portano anche soggetti non-

autointeressati a comportarsi da egoisti. Questo approccio che è stato definito devian-

centered (Pettit, 1996), è destinato a sprecare, in questo modo, le risorse

motivazionali e le inclinazioni other-regarding dei soggetti reali. Questo esercizio

basato sull’assunzione secondo cui ogni agente deve essere considerato come un

“furfante razionale” (Hume), non è così innocuo come si era propensi pensare fino a

qualche tempo fa, perché esso può avere come conseguenza l’erosione degli

orientamenti pro-sociali dei membri di una comunità, la loro fiducia e la tendenza alla

reciprocità. L’inadeguatezza teorica dei modelli standard, può portare quindi

all’elaborazione di regole e schemi di incentivi che scoraggiano in pratica, i

comportamenti cooperativi.

Queste conclusioni accentuano necessariamente la necessità di individuare un

percorso alternativo, più focalizzato sulla promozione della cooperazione che sul

contrasto all’opportunismo. Un tale approccio complier-centered, è in linea con

quanto suggerisce Alber Hirschman, il quale segnala come leggi e regolamenti non

dovrebbero servire tanto ad aumentare il costo di comportamenti antietici o

antisociali, quanto a “stigmatizzare [tali comportamenti] e dunque a influenzare i

valori dei cittadini e i loro codici comportamentali”.

Non possiamo, per ragioni di spazio, spingerci oltre nell’analisi dei modelli complier-

centered, è stato fatto in altre occasioni (Pelligra, 2002), ma ora il messaggio di fondo

dovrebbe essere emerso in modo sufficientemente chiaro. Le diverse tipologie di

Page 31: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

31

regole, incentivi e schemi di relazioni attraverso i quali le comunità governano i loro

membri e attivano le loro risorse dovrebbero essere accuratamente strutturate in

modo da non provocare effetti controproducenti e di spiazzamento e, più in generale,

un’erosione della fiducia e dell’inclinazione alla reciprocità. I rapporti di lavoro, la

pubblica amministrazione, la rappresentanza politica, l’attività di consumo e di

scambio, l’auto-organizzarsi della società civile, sono solo alcuni dei campi per i quali

tali raccomandazioni possono essere rilevanti.

Non ci resta che concludere sottoscrivendo l’affermazione di Samuel Bowles

secondo cui la scoperta e la pratica attuazione dei modi “in cui ciò potrebbe essere

fatto è una delle sfide maggiori degli studi contemporanei sulle istituzioni e i

comportamenti economici” (2005, p. 500).

Bibliografia

-

- Bacharach, M., Guerra, G., Zizzo, D., 2007. “Is Trust Self-Fulfilling? An

Experimental Study”, Theory and Decision, 63, 349-388.

- Bowles, S., Gintis, H., 2010. A Cooperative Species. Human Reciprocity and

its Evolution. (http://people.umass.edu/gintis/acs.html).

- Camerer, C., 2004. Behavioral Game Theory, Princeton: Princeton

University Press.

- deWaal, F.B.M., 2008. “Putting the Altruism Back into Altruism: The

Evolution of Empathy”, Annual Review of Psychology 59, 279-300.

- Dufwenberg, M., Gneezy, U., 2000. “Measuring Beliefs in an Experimental

Lost Wallet Game”, Games and Economic Behavior, 30, 163-182.

- Dufwenberg M., Kirchsteiger, G., 2004. “A Theory of Sequential

Reciprocity”, Games and Economic Behavior 47, 268-298.

- Edgeworth, F.Y., 1881. Mathematical Psychics, London: Kegan and Paul.

- Fehr, E., Falk, A., 2002. “Psychological Foundations of Incentives”,

European Economic Review 46, 687-724.

- Fudenberg, D., Maskin, E., 1986. “The Folk Theorem in Repeated Games

with Discounting or with Incomplete Information”, Econometrica 54, 533-

554.

Page 32: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

32

- Gibbons, R., 1998. “Incentives in Organisations”, Journal of Economic

Perspectives 12, 15-132.

- Guerra, G., Zizzo, D., 2004. “Trust Responsiveness and Beliefs”, Journal of

Economic Behavior and Organization, 55, 25-30.

- Guiso, L., Sapienza, P. e Zingales, L., 2004. “The Role of Social Capital in

Financial Development”, American Economic Review», 94, pp. 526-556.

- Guiso, L., Sapienza, P. e Zingales, L., 2009. “Cultural Biases in Economic

Exchange”, Quarterly Journal of Economics 124, 1095-1131

- Hamilton, W.D., 1963. “The Genetical Evolution of Social Behavior, I &

II”, Journal of Theoretical Biology 7, 1-16 & 17-52.

- Hume, D., 1737 [1975]. A Treatise of Human Nature. Edited by L. A. Selby-

Bigge and P. H. Nidditch. Oxford: Clarendon Press.

- Kandori, M., 1992. "Social Norms and Community Enforcement", The

Review of Economic Studies 59, 63-80.

- Knack, S., Keefer, P. 1997. “Does Social Capital Have an Economic

Payoff? A Cross-country Investigation”, Quarterly Journal of Economics

112, 1251-1288.

- Pelligra, V., 2002. “Rispondenza Fiduciaria: Principi e Implicazioni per la

Progettazione Istituzionale”, Stato e Mercato 65, 330-353.

- Pelligra, V., 2007. I Paradossi della Fiducia. Scelte Razionali e Dinamiche

Interpersonali. Bologna: Il Mulino.

- Pelligra, V., 2010a, “Trust Responsiveness: On the Dynamics of Fiduciary

Interactions”, Journal of Socio-Economics, 39, 653-660.

- Pelligra, V., 2010b, “Intentions, Trust and Frames: A note on Sociality and

the Theory of Games”, Review of Social Economy (in stampa).

- Pettit, P., 1996. “Institutional Design and Rational Choice”, in Goodin R. (a

cura di), The Theory of Institutional Design, Cambridge: Cambridge

University Press.

- Price, G. R., 1970. “Selection and Covariance”, Nature 227, 520-521.

- Sekiguchi, T., 1997. “Efficiency in Repeated Prisoner’s Dilemma with

Private Monitoring”, Journal of Economic Theory 76, 345-361.

- Sugden, R., 1986. The Economics of Rights, Co-operation and Welfare.

Oxford: Basil Blackwell.

- Tocqueville A., 1835-9 [1945]. Democracy in America, Vintage: New York.

Page 33: Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e …1 Governare la Fiducia: Reputazione, Informazione e Relazioni Interpersonali Vittorio Pelligra Università di Cagliari e Istituto

33

- Trivers, R.L., 1971. “The Evolution of Reciprocal Altruism”, Quarterly

Review of Biology 46, 35-57.

- Zahavi, A., 1975. “Mate Selection - A Selection for Handicap”, Journal of

Theoretical Biology 53, 205-214.