GOTICO INTERNAZIONALE

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GOTICO INTERNAZIONALE Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento si afferma in Europa un linguaggio artistico definito "gotico internazionale". Questa denominazione sottolinea, da un lato, la continuità con la tradizione artistica gotica, dall'altro mette in evidenza la molteplicità e l'internazionalità dei centri di elaborazione del nuovo stile. Il Gotico internazionale si sviluppa principalmente attorno alle corti europee e non è un fenomeno artistico di ritardo o di pura decadenza, come talora lo ha definito la critica (da qui il nome tardogotico). Esso è anzi caratterizzato dalla creazione di un linguaggio artistico di portata continentale, seppure articolato in numerose varianti locali. Il processo di superamento dell’erte gotica inizia da un lato nelle Fiandre, dove si realizza una formula di realismo attento alla riproduzione fedele della realtà, e dall’altro a Firenze, grazie ad nuova concezione della centralità dell’uomo e a un’innovativa modalità di rappresentazione dello spazio, che sono alla base della cultura figurativa che caratterizza il Rinascimento. I caratteri principali di questo linguaggio sono: 1. l’adozione di un realismo minuto ed epidermico, che analizza tutti gli aspetti del reale e della natura e che convive con esasperazioni grottesche e atmosfere idealizzate; 2. frammentarietà della rappresentazione: ogni parte viene cioè singolarmente analizzata, quindi ricomposta con le altre entro uno spazio che non possiede quei caratteri di ordinata disposizione visiva e di sintesi mentale che saranno propri della visione rinascimentale; 3. la predilezione aristocratica per una narrazione elegante e pacata, che risponde al desiderio della società cortese di vedere celebrati i propri valori; 4. uno spirito profano nelle rappresentazioni sacre: le Madonne sono raffigurate come principesse e le sante come dame di corte.

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GOTICO INTERNAZIONALETra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento si afferma in Europa un linguaggio artistico definito "gotico internazionale". Questa denominazione sottolinea, da un lato, la continuità con la tradizione artistica gotica, dall'altro mette in evidenza la molteplicità e l'internazionalità dei centri di elaborazione del nuovo stile. Il Gotico internazionale si sviluppa principalmente attorno alle corti europee e non è un fenomeno artistico di ritardo o di pura decadenza, come talora lo ha definito la critica (da qui il nome tardogotico). Esso è anzi caratterizzato dalla creazione di un linguaggio artistico di portata continentale, seppure articolato in numerose varianti locali.Il processo di superamento dell’erte gotica inizia da un lato nelle Fiandre, dove si realizza una formula di realismo attento alla riproduzione fedele della realtà, e dall’altro a Firenze, grazie ad nuova concezione della centralità dell’uomo e a un’innovativa modalità di rappresentazione dello spazio, che sono alla base della cultura figurativa che caratterizza il Rinascimento.I caratteri principali di questo linguaggio sono:

1. l’adozione di un realismo minuto ed epidermico, che analizza tutti gli aspetti del reale e della natura e che convive con esasperazioni grottesche e atmosfere idealizzate;

2. frammentarietà della rappresentazione: ogni parte viene cioè singolarmente analizzata, quindi ricomposta con le altre entro uno spazio che non possiede quei caratteri di ordinata disposizione visiva e di sintesi mentale che saranno propri della visione rinascimentale;

3. la predilezione aristocratica per una narrazione elegante e pacata, che risponde al desiderio della società cortese di vedere celebrati i propri valori;

4. uno spirito profano nelle rappresentazioni sacre: le Madonne sono raffigurate come principesse e le sante come dame di corte.

In Italia, uno dei protagonisti del gotico internazionale è stato Gentile da Fabriano (Fabriano, 1370 circa – Roma, settembre 1427). Incarna la tipica figura dell'artista itinerante, che preferiva spostarsi per trovare le più svariate occasioni di lavoro offerte dalle corti piuttosto che stanziarsi a bottega. La sua pittura poetica e fiabesca, il gusto per la linea e un uso impareggiabile degli elementi decorativi lo portarono al vertice della scuola italiana dell'epoca, ricevendo commissioni di grandissimo prestigio.

L'Adorazione dei Magi è una tempera su tavola (203x282 cm) con un'elaborata cornice scolpita in legno dorato, ed è considerato il capolavoro di Gentile da Fabriano, datato 1423, oltre che una delle opere più rappresentative del Gotico internazionale in Italia. È conservata agli Uffizi di Firenze.Il tema dell'adorazione dei Magi ben si prestava per una messa in scena sfarzosa e opulenta, che celebrasse la ricchezza del committente (il

banchiere Palla Strozzi) e la bravura dell'artista. Il corte dei Magi si dispiega su tutta la parte centrale del dipinto,

Gentile da Fabriano. ADORAZIONE DEI MAGI, 1423

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sfruttando la forma tripartita nella parte alta per dare origine a più focolai d'azione, arricchiti da una miriade di dettagli naturalistici e di costume, che creano un effetto vibrante dove l'occhio dello spettatore si sposta da un particolare all'altro.La pala non rappresenta un'unica scena ma racconta tutto cammino dei tre saggi orientali che seguirono la stella cometa per giungere al cospetto di Gesù bambino. La narrazione ha inizio nelle tre lunette, da sinistra, dove si vedono i tre Magi, vestiti d'oro, che vedono la stella cometa dall'alto del monte Vettore, raffigurato come una rupe a picco sul mare; subito il corteo si mette in moto ed arriva, nella lunetta centrale, nei pressi della città di Betlemme, dipinta in un paesaggio incantato di campi coltivati e boschetti fioriti; infine si vede l'entrata nella città.Il corteo riappare quindi da destra ed occupa tutta la metà inferiore del dipinto. A sinistra si trova il punto di arrivo della grotta della Natività dove si è posata la cometa luminosa e dove si trovano il bue e l'asinello avanti alla mangiatoia. Davanti al riparo di una capanna diroccata si trovano san Giuseppe, la Madonna assisa col Bambino e due servitrici. Davanti al Bambino si stanno inginocchiando i tre Magi: il primo, quello anziano, ha già deposto la corona ai piedi della Sacra Famiglia ed è prostrato a ricevere la benedizione del Bambino; il suo dono è già tra le mani delle servitrici; il secondo, di età matura, si sta per accovacciare e con la mano destra sta sfilandosi la corona, mentre con la sinistra tiene il calice dorato del suo dono; il terzo è appena sceso da cavallo, un servitore gli sta infatti ancora smontando gli speroni, ma con lo sguardo guarda già il bambino e tiene in mano un'ampolla d'oro da donare. I tre Magi, nonostante la fonte biblica che li vuole tutti e tre già vecchi, sono rappresentati nelle tre età dell'uomo: giovinezza, maturità e vecchiaia. I loro vestiti sono di incredibile sfarzo, con broccati d'oro finemente arabescati, copricapi sfavillanti e cinture con borchie preziose, ottenute a rilievo tramite punzonature e applicazioni.Dietro di loro, in posizione centrale, si trovano due personaggi due ritratti ben riconoscibili: l'uomo col falcone in mano, dal vestito più ricco dopo quello dei Magi (un damasco con disegni vegetali, ma privo di dorature) è il committente Palla Strozzi, mentre quello accanto a lui, che guarda verso lo spettatore, è probabilmente il suo figlio primogenito Lorenzo, anche se Vasari indicava al suo posto un autoritratto di Gentile, improbabile in una posizione così preminente, inoltre l'indicazione agli artisti di evidenziare i propri ritratti dipingendosi con lo sguardo rivolto lo spettatore è leggermente più tarda, contenuta nelle opere di Leon Battista Alberti.Le tre cuspidi sono decorate da un tondo, al centro, e da due profeti sdraiati ai lati, mentre in alto si trovano dei più semplici cherubini. La predella è composta da tre scomparti rettangolari, che mostrano (da sinistra) la Natività, la Fuga in Egitto e la copia della Presentazione al Tempio (l'originale è di proprietà del Louvre dal XIX secolo).

Un altro dei maggiori esponenti del Gotico Internazionale fu Pisanello (Pisa, 1395 circa – Napoli, 1455 circa). Pisanello era noto soprattutto per i suoi splendidi affreschi di grandi dimensioni, sospesi tra realismo e mondo fantastico, popolati da innumerevoli figure, con colori brillanti e tratti precisi. Nessuno prima di lui era giunto a un'analisi del mondo naturale così accurata, come testimonia la sua vastissima produzione grafica.

L'affresco di San Giorgio e la principessa di Pisanello si trova nella chiesa di Santa Anastasia a Verona, nella parete esterna, sopra l'arco, della cappella Pellegrini (o "Giusti"). Si tratta di una delle opere più famose del tardo gotico, punto di arrivo della tradizione lombarda e settentrionale in questo stile.È stato commissionato a Pisanello dalla famiglia Pellegrini. L'affresco era composto da due parti, quella destra, con il commiato di San Giorgio dalla principessa di

Pisanello. LA PARTENZA DI SAN GIORGIO, 1436-38

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Trebisonda, che ci è pervenuta in condizioni buone, e quella sinistra, con il drago al di là del mare, che è quasi totalmente perduta.L'opera superstite mostra al centro San Giorgio, il suo cavallo bianco (di terga) e un levriero, mentre verso destra si trova la principessa, dai tratti nobili e finissimi, a altri due cavalli, uno di fronte e uno di profilo. Straordinaria è la ricchezza delle armature e dei paramenti delle cavalcature, come anche la ricercatezza delle vesti e delle acconciature della principessa e del suo seguito. Essa è dipinta di profilo, come nelle effigi delle medaglie, ed ha un'acconciatura molto elaborata, con fasce che trattengono sospesa la grande massa di capelli e l'attaccatura della capigliatura altissima, come nella moda dei primi decenni del secolo, ottenuta depilando i capelli sulla fronte e le tempie con una candela accesa[1]. Il suo abito sontuoso è di stoffa e pelliccia. Il santo è ritratto con un piede già sulla staffa, nell'atto di salire sul cavallo con lo sguardo già rivolto verso la sua destinazione, una barchetta che lo traghetterà dal mostruoso drago.Un cagnolino e un muflone si trovano in basso, tra le rocce, e dimostrano, ancora una volta, la predilezione dell'autore per le raffigurazioni di animali. La parte sinistra è occupata dal corteo di curiosi, di dimensione più piccola, radunatisi nei pressi dell'attracco dove è già pronta la barca, con la quale l'eroe deve salpare. I loro volti presentano una grande varietà di ritratti, studiati accuratamente come testimoniano i molti disegni fatti da Pisanello e dalla sua bottega. Tra questi spiccano i due volti grotteschi a sinistra, forse due "turcimanni", ispirati dalle descrizioni degli ottomani che stavano assediando l'Impero bizantino, o suggestionati da più antichi resoconti sull'invasione dell'Orda d'Oro.La parte superiore è occupata da un'alta rupe che incombe sul mare, molto goticheggiante, e dalla città ideale di Trebisonda, dalla ricchissima architettura, popolata da fitte torri, guglie di edifici religiosi e, all'estrema destra, un castello. Queste immaginifiche architetture contribuiscono alla creazione di un'atmosfera fiabesca, rotta però, come tipico nel gotico internazionale, da notazioni macabre e grottesche: fuori dalla porta cittadina si trovano infatti due impiccati alla forca, uno addirittura coi pantaloni abbassati.

In campo architettonico la più maestosa eredità gotica è costituita dal Duomo di Milano. Il Duomo è per molti il simbolo di Milano, ma per i milanesi è anche l'anima della città in quanto sorge proprio nel suo centro. I lavori di costruzione iniziarono 1386 per volere dell'arcivescovo Antonio da Saluzzo e di Gian Galeazzo Visconti, all'epoca signore della città. Sorse nell'area precedentemente occupata dalla Chiesa di Santa Maria Maggiore. La sua elaborazione fu assai lenta e comprese un arco di tempo lunghissimo di ben sei secoli, seppe però rimanere fedele ai principi originali dell'arte gotica.Il senso di grandiosità colpisce subito il visitatore, la cui attenzione viene sollecitata da numerose particolarità. La chiesa lunga esternamente 157 metri, e larga al transetto 92 metri, con una superficie di 11.700 mq, con ben 3.400 statue. La pianta a croce latina, lo spazio del braccio lungo articolato in cinque navate, quello del transetto in tre. Lo sguardo corre subito verso l'altare posto in una zona leggermente sopraelevata, accompagnato da pilastri, il cui capitello in di otto nicchie popolate da statue di martiri sino all'altezza dell'altare, e da statue di angeli nella zona absidale. La navata centrale è più alta delle laterali che conservano sulle volte la decorazione ottocentesca a finto traforo; le volte sono a sesto acuto, (elemento tipico del gotico), così come tipiche sono le vetrate con giochi di luce e colore, narrano vite di santi e passi delle sacre scritture.

Vetrate quattrocentesche

Vetrate cinquecentesche

Pannelli erratici

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Vetrate sostituite da rimpiazzi ottocenteschi.Un altro capolavoro del tardo gotico è Il Palazzo Ducale, uno dei simboli della città di Venezia. Sorge nell'area monumentale di piazza San Marco, tra la Piazzetta e il Molo. Antica sede del Doge e delle magistrature veneziane, ne ha seguito la storia, dagli albori sino alla caduta, ed è oggi sede del Museo Civico di Palazzo Ducale. L'edificazione del palazzo iniziò presumibilmente nel IX secolo. Dell'originale impianto, eretto forse su modello del Palatium di Diocleziano di Spalato, oggi nulla sopravvive. A partire dal 1340, sotto il dogado di Bartolomeo Gradenigo, il palazzo cominciò una radicale trasformazione verso la forma attuale.Le due facciate principali del palazzo, in stile gotico-veneziano rivolte verso la piazzetta ed il molo si sviluppano su due livelli colonnati sovrastati da un poderoso corpo a marmi intarsiati aperto da grandi finestroni ogivali, con

monumentale balcone centrale, e coronamento di guglie. Gli ariosi loggiati a colonnine ed archi ogivali traforati, delimitati da balaustre, sono sorretti dal portico al piano terreno, che deve l'attuale aspetto ribassato alle successive opere di rialzo della pavimentazione per combattere il secolare innalzamento del livello marino, che hanno conferito un aspetto più massiccio alle colonne sormontate da capitelli finemente scolpiti.Ingresso monumentale del palazzo è la Porta della Carta, che deve il suo nome all'usanza di affiggervi le nuove leggi e decreti oppure alla presenza sul luogo degli scrivani pubblici o dal fatto che vi fossero nei pressi gli archivi di documenti statali. Fu costruita in stile gotico fiorito da Giovanni e

Bartolomeo Bon: sull’architrave si legge difatti l'incisione OPVS BARTHOLOMEI (opera di Bartolomeo).

Il Quattrocento si apre, a Firenze, con una gara tra scultori: si bandisce il concorso per la seconda porta bronzea del Battistero di San Giovanni. Vi partecipano due scultori poco più che ventenni: Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. I concorrenti dovevano presentare una “storia”, il Sacrificio di Isacco, a rilievo, in una formella, come quelle della porta trecentesca. Tanto il Ghiberti che il Brunelleschi sono per un ritorno all’antico ed hanno una cultura umanistica e storicistica: tuttavia le loro posizioni divergono.

PALAZZO DUCALE

Lorenzo Ghiberti. IL SACRIFICIO DI ISACCO 1401 Filippo Brunelleschi IL SACRIFICIO DI ISACCO 1401

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Il Ghiberti elenca tutti gli elementi del racconto biblico: Isacco, Abramo, l’ara, l’angelo, l’ariete, i servi, l’asino, la montagna. La sua cultura classica gli suggerisce un’interpretazione allegorica del fatto storico: la rinuncia agli affetti personali per l’obbedienza a un imperativo superiore. Non rappresenta un dramma, ma evoca un antico rito sacrificale. Le figure sono vestite all’antica, la fronte dell’ara ha un fregio classico: sappiamo così che il fatto è accaduto in un tempo remoto e non ha più mordente drammatico. Isacco, in un bell’atto di offerta, ostenta le proporzioni perfette del corpo nudo; Abramo inarca l’alta figura con un movimento garbato. Affinché lo sguardo possa indugiare sulla bellezza dei particolari, la storia ha un tempo rallentato: una lunga cesura cade tra il fatto principale e il secondario, tra la scena del sacrificio e i servi rimasti ai piedi del monte. La segna, tagliando diagonalmente il campo, un’erta cresta di roccia, che agisce anche da schermo riflettente e regola l’illuminazione delle due parti. Questa trasversale coordina anche due orbite di moto: la lunga curva falcata di Abramo e quella opposta più breve ed inversa, del collo dell’asino. Questi ritmi di moto trovano un’eco nelle curve della cornice: il movimento non si concentra in un’azione, si dissipa nello spazio luminoso. L’azione è ancora sospesa: Abramo non ha vibrato il colpo, l’angelo è lontano nel cielo, Isacco non è atterrito, l’ariete è sul monte. La storia del Brunelleschi dura molto meno. Gli atti delle figure sono simultanei, formano un unico moto imperniato sul forte risalto del corpo di Isacco. Le forze si scontrano: tutta la massa protesa del corpo di Abramo spinge la mano ad affondare la lama, l’altra man o rovescia brutalmente all’indietro la testa della vittima scoprendo la gola indifesa. Il busto di Isacco si flette sotto la spinta, ma nelle g ambe è già un accenno di resistenza e di reazione. L’angelo piomba dal cielo: la sua figura è una traiettoria tesa, che termina nella mano che afferra il polso di Abramo. Con l’altra indica l’ariete riluttante. L’urto di tre volontà in contrasto si concentra nel nodo delle teste e delle mani al vertice di un triangolo che rompe il ritmo ripetuto delle curve della cornice. La base è formata dai servi e dall’asino: ma la loro estraneità all’azione l’intensifica ancor più: il dramma parte da zero e sùbito è al colmo. Il Ghiberti descrive lo spazio in un succedersi di piani e di episodi; il Brunelleschi lo costruisce con la simultaneità dei moti, l’equilibrio dinamico del loro contrapporsi.

Quale dei due scultori è più naturale? Il Ghiberti. Cerca di proporzionare paesaggio e figure; studia le sfaldature della roccia e le fronde degli alberi, fa scorrere la luce lungo i piani e i risalti, incanala l’ombra nei solchi della forma. Il Brunelleschi, del paesaggio, vede poco o nulla: una scheggia di roccia lontana e convenzionale, un albero che dovrebbe essere distante e al cui tronco, invece, aderisce un lembo del mantello di Abramo sbattuto dal vento.

Quale è più studioso dell’antico? Il Ghiberti. Evoca costumi antichi, inserisce ornati classici, ritrova, chi sa come, il gusto pittorico e perfino la cadenza poetica dei rilievi ellenistici. Il Brunelleschi si limita a citare, in un servo, il motivo classico del giovane che si toglie la spina dal piede. Quale è più “moderno”? Non è facile dirlo. Il Ghiberti non è certo un sostenitore dei ritmi melodici del tardo-gotico: elimina le cadenze leziose, i particolari inutili, ma le onde ritmiche di curve, la luminosità effusa, il gusto decorativo della composizione guidata dalla cornice sono ancora motivi di un’estetica tardo-gotica. Il rilievo del Brunelleschi è in duro contrasto con tutta quell’estetica; e si richiama invece, direttamente, a Giovanni Pisano. Il richiamo è quasi testuale nel gesto dell’angelo, nell’asino, nell’arcaismo ostentato dello spunto paesistico.

Quale è più rivoluzionario? Il Brunelleschi, senza dubbio. Lo spazio del Ghiberti è uno spazio naturale in cui accade un certo fatto. Il Brunelleschi elimina lo spazio naturale, fa il vuoto; nel vuoto costruisce uno spazio nuovo con i corpi, i gesti, l’azione delle persone. Del nuovo spazio definirà, pochi anni dopo, la struttura, e sarà la prospettiva; ma l’intuizione prima è già in questo rilievo. Non sarà lo spettacolo naturale, sia pure più meditato, più misurato, più “obiettivamente” inteso. Sarà uno spazio non-naturale, di fatti più che di cose, pensato come la dimensione dell’agire storico. Quale dei due scultori è più naturale? Il Ghiberti. Cerca di proporzionare paesaggio e figure; studia le sfaldature della roccia e le fronde degli alberi, fa scorrere la luce lungo i piani e i risalti, incanala l’ombra nei solchi della forma. Il Brunelleschi, del paesaggio, vede poco o nulla: una scheggia di roccia lontana e convenzionale, un albero che dovrebbe essere distante e al cui tronco, invece, aderisce un lembo del mantello di Abramo sbattuto dal vento.