Goldhagen Daniel Jonah - I Volonterosi Carnefici Di Hitler

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 Daniel Jonah Goldhagen I VOLONTEROSI CARNEFICI DI HITLER I tedeschi comuni e l'Olocausto "Hitler's Willing Executioners"

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Daniel Jonah Goldhagen I VOLONTEROSI CARNEFICI DI HITLERI tedeschi comuni e l'Olocausto"Hitler's Willing Executioners"

INDICE

PRIMO VOLUME Nota dell'editore Premessa all'edizione tedesca Introduzione: Ripensare gli aspetti principali dell'Olocausto Note all'Introduzione Parte prima CAPIRE L'ANTISEMITISMO TEDESCO: LA MENTALITA' ELIMINAZIONISTA 1. Rivedere la concezione dell'antisemitismo: uno schema d'analisi 2. L'evoluzione dell'antisemitismo eliminazionista nella Germania moderna 3. L'antisemitismo eliminazionista: il senso comune della societ tedesca nel periodo nazista Parte seconda IL PROGRAMMA ELIMINAZIONISTA E LE STRUTTURE 4. L'aggressione nazista agli ebrei: carattere ed evoluzione 5. Gli agenti e i meccanismi della distruzione Parte terza I BATTAGLIONI DI POLIZIA: TEDESCHI COMUNI, VOLONTEROSI ASSASSINI 6. I battaglioni di polizia: agenti del genocidio 7. Il Battaglione di Polizia 101: gli uomini e le loro azioni 8. Il Battaglione di Polizia 101: gli uomini e le loro motivazioni 9. I battaglioni di polizia: la vita, gli eccidi, le motivazioni SECONDO VOLUME Parte quarta IL LAVORO DEGLI EBREI COME ANNIENTAMENTO 10. Fonti e logiche del lavoro degli ebrei nel periodo nazista 11. La vita nei campi di lavoro 12. Lavoro e morte Parte quinta LE MARCE DELLA MORTE: FINO AGLI ULTIMI GIORNI 13. Sulla via della morte 14. Marciare verso che fine? Parte sesta L'ANTISEMITISMO ELIMINAZIONISTA: TEDESCHI COMUNI, VOLONTEROSI CARNEFICI 15. La condotta dei realizzatori: interpretazioni a confronto 16. L'antisemitismo eliminazionista come motivazione al genocidio

Epilogo Appendice 1 NOTA METODOLOGICA Appendice 2 SCHEMA DELLE TEORIE DOMINANTI IN GERMANIA SUGLI EBREI, I MALATI DI MENTE E GLI SLAVI Ringraziamenti

NOTA DELL'EDITORE

"I volonterosi carnefici" di Hitler uno dei casi pi clamorosi nella storiografia degli ultimi decenni. Uscito negli Stati Uniti nel marzo 1996, questo libro di un giovane e sconosciuto professore di Harvard ha suscitato un intenso dibattito ed entrato - fatto senza precedenti per un saggio di storia europea - nella classifica dei best seller americani. In Germania dove stato pubblicato nell'agosto seguente, ha determinato un vero choc nazionale paragonabile soltanto a quello provocato dallo sceneggiato televisivo "Holocaust". Ma perch si attirato, allo stesso tempo, critiche feroci e consensi entusiastici? Perch Daniel J. Goldhagen, nel suo tentativo di rispondere a un interrogativo inquietante che eravamo abituati a considerare chiuso come ha potuto il popolo tedesco, una delle grandi nazioni civili della civile Europa, compiere il pi mostruoso genocidio mai avvenuto? -, pare ad alcuni riproporre la tesi della colpa collettiva. A suo avviso nessuna delle spiegazioni finora date la follia criminale di Hitler, la segretezza in cui furono condotte le operazioni di sterminio, l'educazione alla disciplina che avrebbe spinto militari e burocrati a eseguire gli ordini - pu essere giudicata soddisfacente. Egli esamina da vicino le figure degli esecutori e reinterpreta la societ tedesca fra il 1933 e il '45 e il suo radicato antisemitismo. Attingendo a materiale non ancora vagliato o trascurato da altri studiosi, nonch a testimonianze dirette degli esecutori, Goldhagen dimostra che, contrariamente a quanto spesso si pensa, i responsabili dell'Olocausto non furono solo S.S. o membri del Partito nazista, ma tedeschi comuni di ogni estrazione, uomini (e donne) che brutalizzarono e assassinarono gli ebrei per convinzione ideologica e per libera scelta, sovente con zelo e con gratuito sadismo. E che, per di pi, si comportarono cos, non perch costretti, n perch ridotti alla stregua di schiavi, n perch tremende pressioni sociali e psicologiche li inducessero a adeguare la loro condotta a quella dei compagni. Lo fecero perch l'antisemitismo germanico era talmente diffuso, maligno, nutrito nei secoli di miti razzisti e false teorie scientifiche da disumanizzare gli ebrei, da trasformarli nell'immaginario collettivo in una

sorta di malattia, addirittura di forza demoniaca che si doveva eliminare a ogni costo dalla Germania. Attraverso le parole degli stessi carnefici Goldhagen ci presenta un quadro sconvolgente e immediato: la loro organizzazione della vita quotidiana, il modo di torturare e uccidere e le reazioni alle scene di morte. Vero e proprio atto di accusa, "I volonterosi carnefici di Hitler" un'opera scientifica nel metodo e provocatoria nelle conclusioni, che d'ora in avanti si riveler fondamentale per comprendere il pi profondo dramma dell'et moderna. Daniel Jonah Goldhagen professore di Government and Social Studies all'universit di Harvard ed membro del Minda de Gunzburg Center for European Studies. La sua tesi di dottorato, su cui si basa questo libro, ha ricevuto nel 1994 il prestigioso Gabriel A. Almond Award dell'American Political Science Association come miglior studio nel campo della politica comparata.

PREMESSA ALL'EDIZIONE TEDESCA [Questo saggio stato pubblicato in edizione tedesca nell'agosto 1996.] Dato il particolare interesse con cui i lettori tedeschi potranno affrontare la lettura di queste pagine e i suoi temi, mi sembra utile far precedere l'edizione tedesca da alcune parole di introduzione sullo scopo del libro, sulla natura e sui punti focali della trattazione, sulla questione della colpa e sulla Germania odierna. Nei "Volonterosi carnefici di Hitler" sposto il fulcro della ricerca sull'Olocausto dalle organizzazioni impersonali e dalle strutture astratte agli agenti stessi, agli esseri umani che hanno commesso i crimini e alla comunit dalla quale questi uomini e queste donne provenivano. Evito, tuttavia, le astoriche e generali spiegazioni sociopsicologiche - per esempio quelle secondo le quali gli uomini obbediscono a ogni forma di autorit o sono disposti a tutto sotto la pressione del gruppo dei loro pari - a cui si fa automaticamente riferimento non appena si consideri l'operato dei realizzatori. Al contrario, riconosco l'individualit e l'umanit degli agenti, uomini che, riguardo alla politica del regime, avevano opinioni che informarono le loro scelte come collettivit e come singoli. Anzi, tutta questa analisi si fonda sull'idea che ognuno ha sempre scelto come trattare gli ebrei. A questo proposito, ho seriamente considerato anche il contesto storico nel quale i realizzatori hanno sviluppato quelle convinzioni e quella concezione del mondo, che sono state determinanti nella loro interpretazione di ci che fosse giusto e necessario nel modo di trattare gli ebrei. Per tale motivo importante sapere quanto pi possibile sull'immagine che i realizzatori tedeschi avevano delle vittime e sulle loro motivazioni; al tempo stesso deve essere esaminata a fondo l'idea degli ebrei che dominava, in generale, nella societ. In questo libro, quindi, pongo dei quesiti fondamentali per la comprensione dell'Olocausto, ai quali, tuttavia, non stata finora rivolta la dovuta attenzione. In sostanza portano in due direzioni. Da un lato, verso i realizzatori: come vedevano gli ebrei? li consideravano pericolosi, nemici malvagi, o li giudicavano piuttosto esseri umani degni di

compassione che subivano un'ingiustizia? credevano veramente che ci che riservavano loro fosse giusto e necessario? Dall'altro lato, riguardano i tedeschi al tempo del nazismo: quanti erano antisemiti? che carattere aveva il loro antisemitismo? che opinione avevano delle misure antiebraiche degli anni Trenta? quanto sapevano dello sterminio degli ebrei, e che cosa ne pensavano? Colpisce il fatto che negli studi sull'Olocausto, salvo in alcune eccezioni, non siano stati esplicitamente sollevati questi importanti interrogativi sulla mentalit degli agenti, n siano stati elaborati in modo sistematico e approfondito. Laddove il tentativo stato fatto, le risposte, soprattutto quelle relative ai realizzatori, sono state date in modo superficiale, senza l'esposizione e la valutazione accurata dei documenti che, invece, per altri temi sono date per scontate. Tuttavia, nessuno studio che eluda questi interrogativi potr mai spiegare come e perch l'Olocausto abbia potuto realmente essere perpetrato. Tentando invece di rispondere a queste e ad altre domande, io presento qui nuove prove e argomentazioni che mettono in dubbio molte opinioni convenzionali su quel periodo e sugli agenti. "I volonterosi carnefici di Hitler" tratta della visione del mondo, delle azioni, delle decisioni individuali, della responsabilit che ogni singolo ha quale autore delle proprie azioni e della cultura politica dalla quale coloro che compirono l'Olocausto mutuarono le loro convinzioni. Esso mostra che una serie di idee sugli ebrei si era gi ampiamente diffusa fra i tedeschi e si era integrata nella vita culturale e politica della Germania ben prima che i nazisti arrivassero al potere, e che proprio tali idee determinarono quello che i tedeschi comuni, come singoli e come collettivit, furono disposti a tollerare e a fare durante il periodo hitleriano. Il carattere e lo sviluppo di una cultura politica sono sempre condizionati dalla storia; un tale contesto si evolve e si trasforma, come accaduto anche nella Germania federale. In questo senso nulla immutabile. Perci, nel libro non si sostiene affatto che esiste un eterno carattere nazionale dei tedeschi; non si tratta di una sorta di fondamentale e determinata disposizione psicologica dei tedeschi. Io rifiuto espressamente simili idee e le argomentazioni su cui si fondano; nel mio libro non ce n' traccia. Come l'esame della cultura politica di una societ non implica n si fonda su nozioni di caratteristiche immutabili, allo stesso modo qualsiasi affermazione generale su un popolo non presuppone n si basa su alcun concetto di etnia o razza.

Le generalizzazioni sono fondamentali per il nostro modo di pensare. Senza di esse non potremmo riconoscere strutture sensate n nel mondo n nelle nostre esperienze. Quando vogliamo parlare di gruppi o societ, generalizziamo sempre. La maggioranza dei tedeschi, oggi, davvero democratica. Prima della guerra civile americana, la maggior parte dei bianchi del Sud era convinta che i neri, per la loro costituzione, fossero inferiori sia intellettualmente sia moralmente, e che proprio per questo si prestassero a diventare bestie da soma e schiavi. La maggior parte dei bianchi del Sud era razzista, e il razzismo ha improntato le loro opinioni riguardo alla condizione sociale adeguata ai neri e al giusto tipo di rapporti da instaurare con loro. Tutte queste generalizzazioni sono vere. Il punto, perci, non quello della correttezza del procedimento di generalizzazione "in s", ma della veridicit e della dimostrabilit della base su cui si opera la generalizzazione. Non c' niente di razzista n tanto meno di improprio nell'affermare che oggi la maggior parte dei tedeschi sarebbe democratica; e altrettanto lecita l'affermazione secondo la quale la stragrande maggioranza dei bianchi americani del Sud, prima della guerra civile, fosse razzista o che la maggior parte dei tedeschi, negli anni Trenta, fosse antisemita. La sola cosa che conta in tali generalizzazioni la loro correttezza, se cio sono fondate empiricamente e se l'analisi da cui risultano rigorosa. In questo libro si presentano prove e le si interpretano per chiarire perch e come l'Olocausto ha avuto luogo, e perch, soprattutto, stato possibile che si realizzasse. E' un'opera di interpretazione storica, non un giudizio morale. Il mio punto di partenza assodato: l'Olocausto ha avuto origine in Germania, quindi principalmente un fenomeno tedesco. Questo un fatto storico. Chi vuole spiegare l'Olocausto deve concepirlo come una fase evolutiva della storia tedesca. Tuttavia, esso non ne stato un risultato inevitabile. Se Hitler e i nazisti non avessero raggiunto il potere, non ci sarebbe stato alcun Olocausto. E probabilmente non sarebbero arrivati al potere, se in Germania non ci fosse stata una crisi economica. Numerose circostanze, nessuna delle quali era inevitabile, hanno dovuto verificarsi perch l'Olocausto potesse essere perpetrato.

Nessuna spiegazione legata a un'unica causa potr mai essere adeguata per l'Olocausto. Molti fattori hanno contribuito a creare le condizioni necessarie a renderlo possibile e a realizzarlo. La maggior parte di tali fattori - come i nazionalsocialisti arrivarono al potere, come sconfissero l'opposizione interna, come assoggettarono l'Europa, come crearono le strutture preposte al genocidio e organizzarono lo sterminio - ben nota e perci non presa in esame in questo libro, dove ci si concentra invece sul problema della motivazione all'Olocausto. La mia tesi che la volont di uccidere gli ebrei, sia in Hitler sia in coloro che hanno realizzato i suoi piani omicidi, derivasse principalmente da un'unica sorgente comune: da un virulento antisemitismo. Il suo manifestarsi dipeso da diversi altri fattori - materiali, situazionali, strategici e ideologici - che discuter approfonditamente, in particolare illustrando lo sviluppo della politica antiebraica e il carattere del lavoro ebraico nel periodo nazista. Il regime e i realizzatori concepirono provvedimenti e comportamenti ostili agli ebrei complessi e a volte apparentemente contraddittori, proprio perch agivano in accordo con i loro sentimenti di odio antisemita, e perch dovevano muoversi in un ambito politico, sociale ed economico in cui, spesso, la loro libert operativa era limitata. Inoltre, mentre impostavano e realizzavano la politica antisemita, dovevano pensare agli altri loro obiettivi pratici e ideologici. Per questo motivo, se si vuole spiegare l'Olocausto in tutti i suoi aspetti, non ci si pu limitare all'antisemitismo, ma si devono considerare numerosi altri fattori. Tuttavia, qualunque effetto questi possano aver avuto sullo sviluppo e sulla realizzazione del programma antisemita dei nazisti, la "volont" del governo e di molti tedeschi comuni di perseguitare effettivamente gli ebrei e di ucciderli, mettendo in atto i piani politici, non riconducibile a nessuno di essi. Determinante fu l'antisemitismo comune a tutti gli agenti. I tedeschi trovarono la motivazione per perseguitare e, quando fu loro richiesto, per uccidere gli ebrei in una forma virulenta di antisemitismo che rappresentava la visione dominante degli stessi ebrei in Germania durante e prima del periodo nazista. Tuttavia, senza l'avvento dei nazisti al potere, tale antisemitismo sarebbe rimasto latente. L'Olocausto si potuto, perci, verificare in Germania solo perch tre fattori hanno interagito.

Primo: in Germania presero il potere gli antisemiti pi criminali e malvagi della storia dell'umanit e decisero di porre al centro della politica dello stato le loro follie omicide private. Secondo: essi lo fecero in una societ in cui la loro immagine degli ebrei era ampiamente condivisa. L'Olocausto, per lo meno nella forma nella quale stato realizzato, ha potuto avere luogo solo perch questi due fattori si sono verificati. L'odio pi selvaggio, sia esso antisemitismo o altra forma di razzismo o pregiudizio, porta allo sterminio sistematico solo quando un governo politico mobilita coloro che lo condividono e organizza un programma di morte. Ancora una volta: senza i nazisti e senza Hitler, l'Olocausto non sarebbe, quindi, stato possibile. Tuttavia, altrettanto fondamentale si dimostrata la grande disponibilit della maggior parte dei tedeschi comuni a tollerare prima e sostenere poi, spesso persino collaborando attivamente, la furiosa persecuzione degli ebrei negli anni Trenta, e a partecipare, infine, anche al loro sterminio (ci vale, almeno, per coloro che ne avevano ricevuto l'ordine). Senza tale disponibilit, il regime non avrebbe potuto uccidere sei milioni di ebrei. Entrambi questi fattori - la presa del potere da parte dei nazisti e la disponibilit dei tedeschi a sostenere la politica antisemita dello stato erano necessari. Uno solo non sarebbe stato sufficiente. E unicamente in Germania arrivarono a coincidere. Per tale motivo, la diffusione e la profondit dell'antisemitismo in altri paesi non hanno alcuna rilevanza, se si vuole spiegare quello che accadde in Germania e le azioni dei tedeschi. Naturalmente, c'era antisemitismo anche in Francia, Polonia e Ucraina; in nessuno di questi paesi, tuttavia, arriv al potere un regime che mirasse allo sterminio degli ebrei. L'antisemitismo di un popolo, da solo, non porta al genocidio, a meno che non venga utilizzato per una politica statale di violenta persecuzione e di morte. Non servono, quindi, studi comparati per spiegare perch proprio in Germania, e in nessun altro luogo, esso abbia avuto conseguenze cos catastrofiche. Inoltre, siccome per la realizzazione dell'Olocausto furono necessari entrambi i fattori - una popolazione antisemita e un regime risoluto allo sterminio di massa degli ebrei - (ossia uno solo non sarebbe bastato),

l'evidente assenza in altri paesi di una delle due condizioni fondamentali (il regime) rende inutile, dati gli scopi di questo libro, valutare il grado di presenza dell'altra (il virulento antisemitismo eliminazionista). Voglio per sottolineare che la diffusione ovunque in Europa dell'antisemitismo permette di chiarire perch i tedeschi abbiano trovato, in altri paesi, cos tanti uomini disposti e smaniosi di aiutarli nello sterminio degli ebrei. Un terzo fattore dimostra che l'Olocausto, soprattutto come programma di sterminio che abbracciava l'intera Europa, avrebbe potuto avere origine solo in Germania. Solo il Reich tedesco aveva la forza militare per conquistare il continente europeo, e quindi solo il governo tedesco poteva, impunemente e senza alcun timore della reazione degli altri paesi, iniziare lo sterminio degli ebrei. Era perci improbabile che un altro stato, anche dominato da un regime simile a quello nazista, avviasse una tale politica di sterminio. Persino Hitler, un uomo che si era votato all'annientamento degli ebrei, era cauto nel muovere i propri passi contro di loro negli anni Trenta, ossia finch la Germania era ancora vulnerabile dal punto di vista militare e diplomatico. Allora una soluzione della questione ebraica non era praticabile. Ci non significa che il genocidio degli ebrei non sarebbe stato pensabile anche in un altro paese; significa solo che sarebbe stato improbabile a causa delle limitazioni che abbiamo ricordato. Fatto sta che altrove non arrivato al potere alcun regime analogo a quello nazista che fosse risoluto a sterminare gli ebrei del proprio paese. L'antisemitismo virulento, in altri popoli, si trasformato in azione solo quando i tedeschi hanno iniziato a perseguitare e a uccidere gli ebrei nei territori conquistati. "I volonterosi carnefici di Hitler" non vuole essere una storia completa dell'Olocausto, della Germania nazista, n, tanto meno, degli sviluppi o della cultura politica tedesca in epoca recente. Molti risvolti di tali temi hanno dovuto essere tralasciati. Questo libro si concentra infatti sugli aspetti fondamentali e predominanti della questione, e a volte perci riporta solo brevemente, o addirittura tralascia, i singoli casi o le eccezioni. Tuttavia non vuole sostenere che tali singolarit o eccezioni non abbiano avuto luogo; molte peraltro, ad esempio le varie forme di resistenza contro Hitler, sono gi note. Il compito che mi sono prefisso quello di chiarire perch e come si sviluppato l'Olocausto e di illustrarne gli aspetti generali, fondamentali e

predominanti, che finora, a mio avviso, non sono stati sufficientemente spiegati. Poich mio scopo la spiegazione storica e non il giudizio morale, non sollevo mai direttamente le questioni della colpa e della responsabilit. Io illustro come la gente pens e ag, e perch lo fece, ma non dico come dobbiamo giudicarla. Infatti il giudizio morale non rientra in un'opera interpretativa di questo genere. Inoltre ho la sensazione che avrebbe confuso lo scopo e le conclusioni della ricerca. D'altra parte non ho neanche la competenza necessaria per potermi esprimere in materia e voglio quindi lasciare la valutazione etica, da un lato, a coloro che hanno maggiore esperienza, quali i filosofi morali, e, dall'altro, al lettore stesso perch si faccia un'opinione, secondo le sue convinzioni. Tuttavia, per il pubblico tedesco, devo illustrare brevemente la mia visione di questioni cos importanti in Germania, quali quella della colpa e della responsabilit. Rifiuto categoricamente la nozione di colpa collettiva. In questo modo, a prescindere dal comportamento, l'accusa colpisce una persona esclusivamente perch egli o ella appartiene a una collettivit, in questo caso perch un tedesco o una tedesca. Ora, non possiamo considerare colpevoli dei gruppi, ma solo gli individui, appunto colpevoli per quello che hanno fatto personalmente. Il concetto di colpa dovrebbe essere utilizzato quando qualcuno ha davvero commesso un crimine, poich il termine in tale accezione ha connotazione giuridica, ossia rimanda alla colpa per aver commesso un reato. In Germania, come negli Stati Uniti, gli uomini non sono dichiarati colpevoli, e quindi perseguibili per legge, per il fatto che hanno determinate idee, che odiano altri gruppi (nella Repubblica federale non possono per esprimerlo) o che approvano i crimini che altri commettono. Neppure la semplice disponibilit a commettere un crimine, qualora ne capitasse l'occasione, sufficiente per una condanna. Ci dovrebbe valere anche per i tedeschi che hanno vissuto nel periodo nazista; e conformemente a tale principio ha proceduto la giustizia federale tedesca con i criminali nazisti. In questo libro dimostro che la complicit individuale era pi diffusa di quanto molti hanno supposto finora.

Se si considerano, inoltre, tutti i crimini commessi contro i non ebrei durante il periodo nazista, allora il numero dei tedeschi che hanno agito in modo criminale enormemente alto. Tuttavia, si dovrebbero considerare colpevoli solo coloro che realmente si sono comportati in modo criminale. Con "I volonterosi carnefici di Hitler" voglio oppormi all'opinione cos spesso sostenuta nella letteratura scientifica, secondo la quale i tedeschi avrebbero agito come automi, come rotelle prive di volont, di un ingranaggio. Io li considero agenti responsabili, che erano nella condizione di decidere e per questo furono i veri artefici delle proprie azioni. Sottolineo che ogni uomo o donna decise singolarmente come comportarsi nei confronti degli ebrei. E perci nella mia analisi non solo respingo il concetto di colpa collettiva ma fornisco anche importanti argomentazioni per confutarlo. Il giudizio morale sui tedeschi - e anche sui polacchi, sui francesi e sugli ucraini -, che erano antisemiti o che approvarono diverse fasi della persecuzione degli ebrei e che, se fossero stati membri di una struttura genocida, avrebbero intenzionalmente ferito o ucciso ebrei, ma non lo fecero, viene lasciato al singolo che vi sia interessato. Non diversamente ci si comporta oggi nei confronti dei contemporanei che hanno convinzioni e tendenze riprovevoli. Va da s che i tedeschi, nati dopo la guerra o che durante la guerra erano bambini, non possono essere colpevoli, n in alcun modo responsabili per i crimini commessi allora. Forse la Germania e i tedeschi dovrebbero risarcire gli ebrei e i non ebrei, o i loro parenti sopravvissuti, per i crimini che da altri tedeschi furono commessi. Ma questo molto diverso dal ritenerli diretti responsabili di un crimine. Nei cinquant'anni trascorsi dalla fine della seconda guerra mondiale la cultura politica dei tedeschi cambiata. Il mutamento riguarda soprattutto due aspetti, strettamente collegati tra loro: la cultura politica della Repubblica federale tedesca e la maggior parte dei tedeschi sono, nel frattempo, diventate profondamente democratiche. Anche l'antisemitismo molto diminuito e ha cambiato essenzialmente il proprio carattere. In particolare, al giorno d'oggi sono scomparsi quegli elementi deliranti che attribuivano agli ebrei poteri e propositi demoniaci - tipici del fenomeno nel periodo nazista e nel precedente.

L'indebolimento generale e costante e il mutamento dell'antisemitismo nella Repubblica federale tedesca, come risulta chiaramente dalle inchieste condotte, possono essere compresi, dal punto di vista storico, utilizzando lo stesso schema adottato in questo studio per spiegare la sua grande persistenza in Germania durante e prima del nazismo. Grazie alla sconfitta bellica e alla costruzione di un sistema democratico nella Germania del dopoguerra, sono potute subentrare nuove convinzioni e valori democratici, nell'ambito pubblico, al posto delle vecchie concezioni antidemocratiche e antisemite. Al contrario di quanto fecero le istituzioni politiche e sociali che prima del 1945 propagarono e rafforzarono idee antidemocratiche e antisemite, quelle della Repubblica federale tedesca hanno promosso idee di politica e di umanit opposte all'antisemitismo del periodo nazista e del precedente e lo hanno delegittimato. La societ tedesca ha subito un cambiamento graduale. Alla giovent stata trasmessa la convinzione generale che tutti gli uomini sono uguali; non le stato pi insegnato che l'umanit composta da una gerarchia di razze, le quali sono diverse per capacit, devono essere trattate secondo criteri morali differenti e si trovano l'una contro l'altra in un inesorabile conflitto. Dal momento che gli uomini traggono, in larga misura, le proprie convinzioni fondamentali dalla societ in cui vivono e dalla sua cultura, la creazione di nuova cultura politica in Germania, unitamente al cambio generazionale, ha portato al risultato atteso: un indebolimento e anche un mutamento di fondo dell'antisemitismo. Da quando questo libro stato pubblicato in lingua inglese, mi stato spesso chiesto a che cosa miravo veramente nello scriverlo. La risposta, che si articola in due parti, semplice: vorrei ampliare le nostre conoscenze sul passato, e perci ho descritto e interpretato l'Olocausto e le figure dei realizzatori quanto pi precisamente sono riuscito. E vorrei permettere a tutti coloro che vogliono farlo di imparare dal passato, dando loro l'opportunit di affrontare queste conoscenze in modo diretto e obiettivo. Daniel Jonah Goldhagen Cambridge, Massachusetts, Luglio 1996. I VOLONTEROSI CARNEFICI DI HITLER A Erich Goldhagen, mio padre e maestro

"Non conviene combattere lo spirito della propria epoca e del proprio paese; e, per quanto forte un uomo possa essere, difficilmente indurr i suoi contemporanei a condividere sentimenti e idee che vanno contro il corso generale delle speranze e dei desideri." Alexis de Tocqueville, "La democrazia in America".

AVVERTENZA Nella traduzione si deciso di rispettare la distinzione dell'autore tra i termini "executioner", "perpetrator", "executor" e "actor" o "agent", che sono stati resi rispettivamente con carnefice, realizzatore, esecutore e agente o agente materiale. In particolare si scelto di tradurre "perpetrator" con realizzatore, e non con esecutore, per sottolineare la volontariet della condotta dei tedeschi, che non si limitarono a eseguire degli ordini, ma agirono, e si industriarono allo scopo, in base a profonde convinzioni personali.

Introduzione RIPENSARE GLI ASPETTI PRINCIPALI DELL'OLOCAUSTO

Il capitano Wolfgang Hoffmann fu uno zelante carnefice di ebrei: comandante di una delle tre compagnie del Battaglione di Polizia 101, insieme ai suoi ufficiali guid i soldati - che non erano S.S., ma tedeschi comuni - nelle operazioni di deportazione e di truce massacro, in Polonia, di decine di migliaia di uomini, donne e bambini. Eppure una volta lo stesso Hoffmann, nel bel mezzo delle sue attivit genocide, disobbed platealmente a un ordine superiore che considerava moralmente reprensibile. L'ordine imponeva ai membri della compagnia di firmare una dichiarazione che era stata mandata loro. Hoffmann si oppose per iscritto: leggendone il testo, afferm, aveva pensato a un errore, perch per me un atto di insolenza pretendere che un buon soldato tedesco firmi una dichiarazione in cui si impegna a non rubare, a non saccheggiare, a non prendere nulla senza pagare.... Era una richiesta inutile: i suoi uomini, proseguiva il capitano, mossi tutti dalle giuste convinzioni ideologiche, sapevano benissimo che quelli erano reati punibili. Hoffmann espose quindi ai superiori il suo giudizio sul carattere e sull'operato dei propri uomini, che comprendeva, dobbiamo supporre, il modo in cui si comportavano nel massacro degli ebrei. L'adesione dei suoi soldati alle norme di moralit tedesca, annotava, deriva da una libera scelta, non dalla ricerca di vantaggi o dal timore di punizioni. E concludeva, con un certo tono di sfida: Come ufficiale me ne dolgo, ma la mia personale opinione contrasta con quella del comandante del Battaglione e non mi permette di eseguire l'ordine, in quanto lesivo del mio senso dell'onore. Devo quindi rifiutarmi di firmare una dichiarazione generale (1). La lettera di Hoffmann sconcertante e istruttiva per pi ordini di ragioni. Quest'ufficiale aveva guidato i suoi uomini nelle operazioni genocide di decine di migliaia di ebrei, eppure considerava offensivo che qualcuno osasse supporre che lui e i sottoposti potessero rubare cibo ai polacchi! Qui si feriva il suo onore di assassino genocida, e lo si feriva doppiamente, in quanto soldato e in quanto tedesco: nella sua mente i doveri di un buon

cittadino germanico nei confronti dei subumani polacchi erano dunque incommensurabilmente maggiori di quelli nei confronti degli ebrei. Hoffmann, va aggiunto, era persuaso che l'istituzione da cui dipendeva fosse abbastanza tollerante da permettergli di contestare un ordine, e persino di registrare per iscritto quella sfacciata insubordinazione, in quanto a suo giudizio un giudizio certo basato sulla condotta complessiva dei soldati, genocidio incluso - i suoi uomini non agivano per timore della punizione, ma per consapevole consenso: ci che facevano corrispondeva al loro convincimento, alla loro fede interiore. Il rifiuto scritto di Hoffmann pone in netta evidenza alcuni aspetti importanti, e non abbastanza considerati, dell'Olocausto - la flessibilit di molte strutture dello sterminio, la possibilit di opporsi agli ordini (anche a quello di uccidere) e, non ultima, l'autonomia morale dei realizzatori - e getta luce sulla mentalit di coloro che lo compirono, nonch sulle motivazioni che li indussero a uccidere. Quel documento ci dovrebbe costringere ad affrontare interrogativi, da troppo tempo rimossi, sulla visione del mondo e sul contesto istituzionale che potevano produrre una dichiarazione di questo genere: dichiarazione che, pur riguardando, nella sua apparente eccentricit, un argomento marginale, rivela tutta una serie di aspetti caratteristici del modo in cui i tedeschi perpetrarono l'Olocausto. Capire gli atti e il sistema di valori delle decine di migliaia di tedeschi che, come il capitano Hoffmann, si trasformarono in assassini genocidi, appunto quanto questo libro si propone. Nel corso dell'Olocausto i tedeschi tolsero la vita a sei milioni di ebrei e, se la Germania non fosse stata sconfitta, ne avrebbero annientati altri milioni. L'Olocausto fu il tratto caratterizzante della vita e della cultura politica tedesche nel periodo nazista, l'evento pi sconvolgente del ventesimo secolo e il fenomeno meno comprensibile dell'intera storia della Germania. La persecuzione degli ebrei culminata nell'Olocausto dunque l'aspetto saliente della realt tedesca nel periodo nazista, non tanto perch ci lascia retrospettivamente esterrefatti di fronte all'evento pi traumatico del secolo, ma per il significato che ebbe per i tedeschi del tempo e per i motivi che indussero tanti di loro a prendervi parte. Fu, quell'evento, il segnale della loro uscita dal consorzio dei popoli civili (2): un'uscita che non pu rimanere senza spiegazione. Spiegare l'Olocausto il problema intellettuale fondamentale per la comprensione della Germania durante il nazismo.

Al confronto relativamente semplice capire tutti i passi compiuti dal nazionalsocialismo: in che modo conquist il potere, come elimin la sinistra, come rilanci l'economia, come struttur e gest lo stato, come condusse la guerra. L'Olocausto, invece, e il mutamento di sensibilit che ne deriv sfidano ogni interpretazione. Non esiste nella storia del ventesimo secolo, e anzi in tutta la storia dell'Europa moderna, un fatto paragonabile. Al suo confronto la genesi di ogni altro grande evento nella storia e nell'evoluzione politica della Germania, indipendentemente dal dibattito che suscita, di una trasparenza cristallina. Spiegare come avvenne un'impresa ciclopica, sul piano empirico ma ancor pi su quello teorico, tanto che alcuni hanno sostenuto, a mio avviso erroneamente, che l'Olocausto inspiegabile. La difficolt teorica data dalla sua natura assolutamente nuova, dall'incapacit della teoria sociale di allora (o di quanto passava per senso comune) di cogliere il bench minimo preavviso non soltanto di ci che sarebbe avvenuto, ma neanche della sua possibilit. La teorizzazione retrospettiva non ha fatto molto meglio, gettando modeste luci su quelle tenebre. Questo libro si propone di spiegare perch l'Olocausto avvenne e perch fu possibile che avvenisse. Il successo dell'impresa dipende da un certo numero di elaborazioni accessorie, che sostanzialmente consistono nella reimpostazione di tre temi di ricerca: i realizzatori dell'Olocausto, l'antisemitismo tedesco e la natura della societ tedesca nel periodo nazista. In primo luogo, i realizzatori dell'Olocausto. Sono sicuramente pochi i lettori di questo libro che non si siano interrogati sui motivi che li spinsero a uccidere; e pochi avranno evitato di darsi una risposta, che in genere avranno desunto - per forza di cose - non da una conoscenza profonda dei realizzatori stessi e dei loro atti, bens soprattutto dalla propria personale concezione della natura umana e della vita sociale. E' comunque probabile che pochi dissentiranno sulla necessit di studiarli. Fino a oggi, per, i realizzatori, la categoria pi importante tra i responsabili dello sterminio degli ebrei d'Europa dopo il gruppo dirigente stesso del regime nazista, sono stati oggetto di ben poca attenzione sistematica negli studi che ricostruiscono quegli eventi, proponendosi di spiegarli.

Nella vasta letteratura sull'Olocausto sorprendente l'esiguit delle informazioni sulle persone che lo perpetrarono: sappiamo poco su chi fossero, sui dettagli e le circostanze di molte loro azioni, per non parlare delle motivazioni. Nessuno mai arrivato a una stima attendibile del numero di persone che contribuirono al genocidio, dei realizzatori veri e propri; alcune strutture dello sterminio e le persone che le facevano funzionare sono state a malapena prese in considerazione. E a causa di questa generale mancanza di conoscenze che sui realizzatori abbondano malintesi e leggende di ogni genere, tanto pi gravi in quanto influiscono sulla pi generale percezione, e comprensione, di ci che furono l'Olocausto e la Germania in epoca nazista. Dobbiamo quindi riportare l'attenzione, e tutte le energie intellettuali finora dedicate ad altri aspetti, sui realizzatori, sugli uomini e le donne che contribuirono, essendone intimamente consapevoli, alla strage degli ebrei (3). Dobbiamo studiare e spiegare nei dettagli il loro operato: non basta considerare le strutture dello sterminio, tutte insieme o una per una, come meri strumenti della volont dei dirigenti nazisti, macchine ben lubrificate, semplici internamente, che il regime attivava, come schiacciando un interruttore, per far eseguire i propri ordini, di qualsiasi cosa si trattasse. Gli uomini e le donne che insieme davano vita a quelle inerti forme istituzionali, che occupavano le strutture del genocidio, devono diventare il tema centrale negli studi sull'Olocausto e assumere, in quell'indagine, lo stesso ruolo fondamentale che ebbero nella realizzazione del genocidio. Queste persone erano in larghissima e schiacciante maggioranza tedeschi. Se vero che nello sterminio degli ebrei furono affiancati da esponenti di diverse comunit nazionali, questi per non furono indispensabili per il compimento del genocidio, n venne da loro l'iniziativa e la spinta a portarlo avanti. Certo, se i tedeschi non avessero trovato negli altri paesi d'Europa (soprattutto orientale) persone disposte ad aiutarli, l'Olocausto si sarebbe svolto in modo differente, ed probabile che essi non sarebbero riusciti a uccidere tanti ebrei. Ma furono comunque tedesche le decisioni, la pianificazione e le risorse organizzative; tedeschi, in grande maggioranza, i realizzatori. Per comprendere e spiegare come avvenne l'Olocausto occorre dunque capire che cosa spingesse "i tedeschi" ad ammazzare gli ebrei.

Qui l'attenzione si concentra sui realizzatori tedeschi perch quel che vale per loro non vale per nessun'altra singola nazione, n per tutte le altre nazioni considerate insieme: cio, senza tedeschi non si d Olocausto. Per fare dei realizzatori la chiave interpretativa dell'Olocausto, il primo passo consiste nel restituire loro un'identit trasformando la forma grammaticale passiva in attiva al fine di evitare che proprio loro, gli agenti materiali, siano estraniati dalle azioni che compirono (come quando si dice, per esempio, che cinquecento ebrei furono uccisi nella citt di X alla data Y) (4), e rifiutando certe etichette comode ma spesso inesatte e fuorvianti come nazisti o S.S., per chiamarli in causa invece per ci che realmente erano: tedeschi. La definizione "generale" pi corretta, anzi l'unica corretta, dei tedeschi che perpetrarono l'Olocausto tedeschi (5). Erano tedeschi che agivano nel nome della Germania e del suo popolarissimo leader, Adolf Hitler. Alcuni erano nazisti, perch iscritti al Partito nazionalsocialista o per convinzione ideologica; altri non lo erano. Alcuni appartenevano alle S.S., altri no. I realizzatori uccisero o comunque contribuirono al genocidio sotto l'egida di molte strutture diverse dalle S.S. Il minimo comun denominatore tra loro era di essere tedeschi impegnati a realizzare gli obiettivi politici nazionali della Germania, che, in questo caso, coincidevano con il genocidio degli ebrei (6). Certo, talvolta corretto fare riferimento a qualifiche e ruoli istituzionali o professionali, cos come ai pi generici termini di realizzatori o assassini, ma sempre e soltanto partendo dal presupposto che tali persone erano prima di tutto tedeschi, e solo in secondo luogo S.S., poliziotti o guardie dei campi. Il secondo passo consiste, di conseguenza, nel rivelare qualcosa circa l'ambiente da cui provenivano, ricostruendo la natura e le caratteristiche della loro vita di assassini genocidi, riportando alla luce il loro mondo. Cosa facevano "esattamente", quando uccidevano? Cosa facevano, all'interno delle strutture preposte allo sterminio, quando non erano materialmente impegnati a uccidere? Fino a quando non saremo bene informati sui dettagli di quelle esistenze e di quelle azioni, non potremo capire n le persone n il modo in cui perpetrarono i loro delitti. Svelare come vivevano, presentare una descrizione di un certo spessore, in luogo della solita immagine appiattita, del loro operato sono passi importanti e necessari di per s, ma specialmente come basi di partenza

verso l'obiettivo principale di questo libro: trovare una spiegazione di quegli atti (7). La mia tesi che questo sia impossibile se innanzi tutto non si arriva a capire la societ tedesca prima e durante il periodo nazista, e in particolare la cultura politica che produsse i realizzatori e le loro azioni. Un obiettivo vistosamente assente da altri lavori che si sono proposti di motivare quegli atti e che sono perci condannati a trovare solo spiegazioni contingenti e si concentrano quasi esclusivamente sulle influenze sociali e psicologiche pi immediate, istituzionali, spesso considerate pressioni irresistibili. Invece, le persone che divennero i realizzatori dell'Olocausto si erano formate e operavano all'interno di un contesto storico e sociale particolare e, con quel contesto, avevano in comune una complessa visione del mondo ereditata dal passato, che va indagata se si vogliono capire i loro atti. Il momento fondamentale di questa indagine deve dunque essere un riesame del carattere e dell'evoluzione dell'antisemitismo in Germania nel periodo nazista e in quello precedente, che a sua volta impone una nuova valutazione teorica della pi generale natura dell'antisemitismo. Ora, gli studi sull'Olocausto peccano di una scarsa comprensione e di un'insufficiente teorizzazione dell'antisemitismo. Antisemitismo un termine generico, usato sempre in modo impreciso, che comprende una vasta gamma di fenomeni diversi: questo fatto pone un problema di non poco conto, perch una fase fondamentale in ogni tentativo di spiegare l'Olocausto stabilire se e in quale misura l'antisemitismo ne abbia prodotto e influenzato i molteplici aspetti. Ritengo che la nostra interpretazione dell'antisemitismo, e del suo rapporto con il (mal)trattamento degli ebrei, sia carente. Dobbiamo riprendere questi argomenti, elaborando un apparato concettuale descrittivo e analitico capace di affrontare le cause ideative dell'azione sociale. Il capitolo 1 di questo libro dedicato appunto ad avviare tale riesame teorico. Lo studio dei realizzatori impone inoltre un analogo riesame, e anzi un radicale ripensamento, del carattere della societ tedesca prima e durante l'epoca nazista. L'Olocausto fu il tratto distintivo del nazismo, ma non suo soltanto: in quel periodo caratterizz l'intera societ tedesca, nella quale non rimase indenne dalla prassi antiebraica nessun ambito di rilievo, dall'economia e dalla politica alla cultura, dagli allevatori ai commercianti, dagli

amministratori delle piccole citt agli avvocati, ai medici, ai fisici, agli insegnanti. E' impossibile analizzare la societ tedesca, comprenderla o definirla, se non si pongono al centro dell'attenzione la persecuzione e lo sterminio degli ebrei. Le fasi iniziali del programma, con la sistematica esclusione degli ebrei dalla vita economica e sociale della Germania, si svolsero alla luce del sole, viste con approvazione dall'opinione pubblica e in pratica con la complicit di tutti i settori della societ tedesca, dagli ambiti professionali - giustizia, sanit, insegnamento - alle chiese, la cattolica come la protestante, all'intera gamma dei gruppi e delle associazioni economiche, sociali e culturali (8). Furono centinaia di migliaia i tedeschi che contribuirono al genocidio e all'ancor pi vasto sistema di sottomissione costituito dai campi di concentramento; e, nonostante i poco convinti tentativi del regime di nascondere le stragi alla vista della maggioranza, erano milioni a sapere delle esecuzioni in massa (9). Hitler dichiar pi volte, con grande enfasi, che la guerra si sarebbe conclusa con lo sterminio degli ebrei (10): gli eccidi venivano accettati, se non approvati, da tutti. Nessun'altra impresa (di portata simile o maggiore) fu condotta con uno zelo tanto tenace, con cos poche difficolt, tranne forse la guerra stessa. L'Olocausto non definisce soltanto la storia degli ebrei negli anni centrali del ventesimo secolo, ma anche quella dei tedeschi; se esso modific irrevocabilmente l'ebraismo e gli ebrei, la sua realizzazione fu possibile sostengo - perch i tedeschi erano "gi" cambiati. La sorte degli ebrei fu forse la conseguenza diretta, il che non significa comunque inesorabile, di una visione del mondo condivisa dalla grande maggioranza del popolo tedesco. Ognuna di queste revisioni concettuali - dei realizzatori, dell'antisemitismo tedesco e della societ in Germania nel periodo nazista in s complessa, richiede una difficile elaborazione teorica e una base considerevole di materiale empirico, e meriterebbe in definitiva un libro a s stante. Inoltre sebbene tutte e tre siano singolarmente giustificabili sul piano teorico e su quello empirico, sono per convinto che ciascuna di esse, poich trattano temi interconnessi, risulti rafforzata dalle altre due. Insieme, ci invitano a un deciso ripensamento di alcuni momenti importanti della storia tedesca, della natura della societ in Germania nel periodo nazista e della realizzazione dell'Olocausto.

Per far questo, bisogna ribaltare le idee convenzionali su svariati argomenti, considerando in una luce nuova e alquanto diversa certi aspetti essenziali dell'epoca che siamo abituati a dare per risolti. Per spiegare perch avvenne l'Olocausto occorre una radicale revisione di tutto quanto stato scritto finora: questo libro, appunto. Tale revisione ci impone di individuare ci che per tanto tempo stato negato o sfumato dai ricercatori, accademici o meno che fossero: il fatto, cio, che le convinzioni antisemite dei tedeschi furono la causa principale dell'Olocausto, e non soltanto della decisione hitleriana di annientare l'ebraismo europeo (che molti condivisero), ma anche della disponibilit dei realizzatori a uccidere e brutalizzare gli ebrei. Questo libro giunge alla conclusione che fu l'antisemitismo a indurre molte migliaia di tedeschi comuni - e altri milioni ne avrebbe indotti, se si fossero trovati al posto giusto - a massacrare gli ebrei. Non la crisi economica, non i poteri coercitivi di uno stato totalitario, non la pressione sociale o psicologica, non immutabili tratti del carattere, bens le idee sugli ebrei che da decenni pervadevano la Germania indussero della gente qualunque ad ammazzare sistematicamente, senza misericordia, migliaia di uomini, donne e bambini ebrei inermi e indifesi. Di quali sviluppi dovrebbe tener conto una spiegazione esauriente dell'Olocausto? Per arrivare allo sterminio degli ebrei, dovevano darsi quattro condizioni generali: i nazisti - cio il gruppo dirigente, e in particolare Hitler - dovevano 1) decidere di intraprendere lo sterminio (11); 2) assumere il controllo degli ebrei, cio del territorio in cui essi risiedevano (12); 3) organizzare lo sterminio, dedicandovi risorse sufficienti (13); 4) indurre un gran numero di persone a compiere gli eccidi. La vasta letteratura sul nazismo e sull'Olocausto tratta approfonditamente i primi tre fattori, insieme con altri come le origini e la natura delle convinzioni genocide di Hitler, e l'ascesa al potere dei nazisti (14). Il quarto invece, il tema di questo libro, stato considerato, come ho gi detto, in modo approssimativo e preconcetto. E' quindi importante prendere in esame alcune questioni analitiche e interpretative fondamentali nello studio dei realizzatori dell'Olocausto. Non sorprende, data la scarsa attenzione dedicata all'argomento, che le poche interpretazioni esistenti in merito siano in genere nate in una specie di vuoto empirico: fino a poco tempo fa non esistevano ricerche sui realizzatori, con l'eccezione che per i capi del regime nazista. Negli ultimi anni sono apparse pubblicazioni che trattano di qualche singola categoria, ma lo stato generale delle conoscenze rimane ancora carente (15).

Sappiamo poco su molte strutture preposte allo sterminio, poco su molti aspetti della realizzazione del genocidio, e ancor meno su coloro che lo perpetrarono. Su questi ultimi abbondano quindi i miti e i malintesi, popolari o accademici che siano. Eccone uno: comune l'idea che gli ebrei siano stati quasi tutti uccisi nelle camere a gas (16), e che senza camere a gas, mezzi di trasporto moderni e una burocrazia efficiente i tedeschi non sarebbero riusciti a eliminarne a milioni. Permane la convinzione che sia stata la tecnologia a rendere in qualche modo possibile l'orrore su questa scala (17): catena di montaggio della morte una delle frasi ricorrenti nella letteratura scientifica. Si convinti che, grazie alla loro efficienza (che a sua volta viene, e molto, esagerata), le camere a gas fossero uno strumento necessario per il genocidio, e che i tedeschi le avessero costruite proprio perch avevano bisogno di mezzi pi funzionali per uccidere gli ebrei (18). Si creduto a lungo (e ancora recentemente), tra gli studiosi come tra i profani, che i realizzatori fossero innanzi tutto e soprattutto S.S., i nazisti pi fanatici e brutali (19). Si diffusamente pensato (di nuovo, fino a tempi recenti) che se un tedesco si fosse rifiutato di uccidere gli ebrei, lui stesso sarebbe stato ucciso, o mandato in campo di concentramento, o severamente punito (20). Tutte queste idee, elementi fondamentali nell'interpretazione dell'Olocausto, sono state condivise acriticamente, come se si trattasse di verit lapalissiane. Autentici articoli di fede (desunti da fonti estranee alla ricerca storica), esse si sono sostituite alla vera conoscenza, distorcendo l'interpretazione di quel periodo. La mancanza di attenzione per la figura dei realizzatori sorprende per tutta una serie di ragioni, una delle quali l'ormai pi che decennale dibattito sull'"avvio" dell'Olocausto, noto col termine improprio di dibattito intenzionalista-funzionalista (21). Nel bene e nel male, intorno a tale dibattito che si venuta organizzando buona parte della letteratura scientifica; ma sebbene esso sia servito a chiarire l'esatta cronologia della persecuzione e dell'eccidio degli ebrei, proprio per i termini in cui viene esposto ha reso pi confusa l'analisi delle cause (su questo ritorneremo nel capitolo 4), non aggiungendo nulla a quanto sappiamo dei realizzatori. Uno soltanto tra gli studiosi che per primi hanno definito i temi fondamentali del dibattito ha ritenuto opportuno chiedersi perch, una volta

dato l'avvio (comunque fosse) alla strage, chi ebbe l'ordine di uccidere obbed (22). Per un motivo o per l'altro, tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito danno per scontato che il fatto di eseguire quell'ordine non ponesse problemi n agli agenti materiali, n poi agli storici e agli studiosi di scienze sociali. La nostra scarsa conoscenza del periodo, e dunque la nostra limitata capacit di comprendere, si evidenzia nel semplice fatto che, indipendentemente dalla definizione del termine realizzatore, il numero delle persone che lo furono ci ignoto. Non esiste una stima attendibile - non esiste anzi alcuna stima di quante persone parteciparono consapevolmente al genocidio. Su questo, inspiegabilmente, gli studiosi non azzardano cifre, n rilevano che, data l'importanza dell'argomento, si tratta di una grave lacuna nelle nostre conoscenze (23). Eppure, se tra i tedeschi i realizzatori furono diecimila, allora la realizzazione dell'Olocausto, e l'Olocausto stesso, furono un fenomeno di un certo tipo, forse l'opera di un gruppo selezionato e poco rappresentativo. Ma se furono cinquecentomila, o un milione, allora si tratt di un fenomeno di altro tipo, che probabilmente faremmo meglio a concepire come un progetto nazionale tedesco. In base al numero e all'identit dei tedeschi che parteciparono al genocidio, la sua spiegazione ispirer o imporr generi diversi di interrogativi, indagini e sistemi teorici. Comunque, la scarsit delle conoscenze, non soltanto sui realizzatori ma anche sul funzionamento delle strutture cui facevano capo, non ha impedito ad alcuni studiosi di prendere posizione in proposito (colpisce peraltro che siano tanto pochi anche i rapidi accenni, per non dire le trattazioni approfondite). La letteratura scientifica distilla inoltre interpretazioni congetturali, bench non sempre definite chiaramente, o elaborate in modo sistematico (capita spesso, anzi, una commistione di elementi di ipotesi diverse, a discapito della coerenza). Alcune sono state proposte per spiegare il comportamento del popolo tedesco in generale, applicandole anche al problema dei realizzatori. Non riporteremo la posizione di ciascuno degli studiosi; presentiamo invece una sintesi analitica delle argomentazioni pi rilevanti, facendo riferimento ai portavoce di ciascuna. Possiamo riassumerle in cinque categorie principali.

La prima teoria si basa sulla costrizione esterna: i realizzatori furono coartati. La minaccia della punizione non lasciava loro scelta: dopo tutto, facevano parte di organizzazioni militari e poliziesche, con una rigida struttura di comando che imponeva ai sottoposti di eseguire gli ordini e che avrebbe punito severamente ogni insubordinazione, anche con la morte. E' opinione comune che chiunque abbia una pistola puntata alla testa sia disposto a uccidere gli altri per salvare se stesso (24). La seconda teoria vuole che i realizzatori non fossero altro che ciechi esecutori degli ordini. Sulla o sulle origini di questa presunta disposizione all'obbedienza sono state avanzate numerose ipotesi: il carisma di Hitler (l'incantesimo, per cos dire, che avrebbe fatto su di loro) (25), la generale tendenza dell'uomo a obbedire all'autorit (26), una reverente propensione all'obbedienza peculiare ai tedeschi (27), o la capacit di una societ totalitaria di ottundere il senso morale dell'individuo, condizionandolo a svolgere qualsiasi compito sia considerato necessario (28). Esiste dunque una proposizione comune, cio che gli uomini obbediscono all'autorit, con una variet di ipotesi sul motivo per cui lo fanno; ed ovvio che l'idea che l'autorit, in particolare quella dello stato, abbia la capacit di imporre obbedienza, merita la massima considerazione. Secondo una terza teoria, i realizzatori furono sottoposti a tremende pressioni sociali e psicologiche, esercitate su ognuno di loro dai camerati e/o dalle aspettative che accompagnavano il ruolo istituzionale da loro occupato. E' estremamente difficile per un individuo resistere alle pressioni che lo inducono a conformarsi, pressioni che possono costringerlo a prendere parte ad azioni che per proprio conto non compirebbe, anzi aborrirebbe. Inoltre esiste una vasta gamma di meccanismi psicologici che consentono di razionalizzare gli atti compiuti in tali condizioni (29). Una quarta teoria vede nei realizzatori dei meschini burocrati, o dei tecnocrati senz'anima, che guardavano al proprio interesse, o ai propri obiettivi tecnocratici, con fredda indifferenza per le vittime. E questo vale per i funzionari di Berlino come per il personale dei campi di concentramento: tutti dovevano far carriera e, data la propensione psicologica di chi si sente un ingranaggio in una macchina ad attribuire ad altri la responsabilit dell'indirizzo generale, potevano dedicarsi tranquillamente al proprio avanzamento o ai loro particolari interessi materiali e istituzionali (30).

Non occorre certo insistere sull'effetto ottundente delle istituzioni sul senso di responsabilit individuale da un lato n, dall'altro, sulla tendenza dell'individuo ad anteporre i propri interessi a quelli degli altri. La quinta teoria vuole che, data la frammentazione dei compiti, i realizzatori non potessero comprendere la vera natura del loro operato; non potessero accorgersi che i loro incarichi limitati rientravano di fatto in un programma di sterminio globale, e che, quand'anche se ne fossero resi conto, la frammentazione fosse tale da consentire loro di negare a se stessi l'incidenza del proprio apporto, scaricando la responsabilit su altri (31). E' noto che dovendo intraprendere un compito sgradevole o moralmente dubbio gli uomini tendono ad attribuirne la colpa agli altri. E' possibile reinterpretare queste teorie sulla base del valore che ciascuna di esse assegna alla volont degli agenti materiali. La prima (la coercizione) comporta che gli assassini non potessero dire no; la seconda (l'obbedienza) e la terza (la pressione ambientale) implicano che i tedeschi fossero psicologicamente incapaci di dire no; la quarta (l'interesse personale) vuole che i tedeschi avessero sufficienti incentivi personali a uccidere per non voler dire no; la quinta (la miopia burocratica) sostiene che i realizzatori non percepissero nemmeno di essere impegnati in un'azione che poteva porli di fronte alla responsabilit di dire no. Ognuna di queste teorie convenzionali pu apparire plausibile, e in alcune c' ovviamente una parte di verit. Dove sta dunque l'errore? A parte i difetti particolari (sui quali ci soffermeremo in dettaglio nel capitolo 15), vale la pena di accennare qui ad alcuni presupposti ed elementi di incerta validit che sono "comuni" a tutte. Le teorie convenzionali "danno per scontato" un atteggiamento neutro o negativo dei realizzatori rispetto al loro operato, fondandosi sul presupposto che occorra dimostrare in quale modo una persona possa essere indotta a commettere atti su cui non interiormente consenziente, che non considera necessari o giusti. Nella formazione della disponibilit a uccidere, esse ignorano, confutano o minimizzano l'importanza dell'ideologia dei nazisti e forse anche dei realizzatori, dei loro valori morali, del loro stesso modo di concepire le vittime. E inoltre alcune di queste teorie convenzionali forniscono un'immagine caricaturale dei realizzatori, e dei tedeschi in generale, trattandoli come uomini privi di senso morale e incapaci di prendere decisioni e difenderle. Non li concepiscono come persone dotate di volont, bens come esseri guidati esclusivamente da forze esterne o da tendenze psicologiche

metastoriche e invariabili come la ricerca del pi servile e meschino interesse personale. A questo si aggiungono altri due gravi errori concettuali. Da un lato non viene sufficientemente riconosciuto il carattere del tutto straordinario di un atto come la strage: "si d per scontato" e implicito il fatto che, in fondo, indurre la gente a uccidere non sia diverso dall'indurla a fare una qualsiasi altra cosa sgradita o disdicevole. Dall'altro lato, non pare che l'"identit" delle vittime abbia alcuna importanza: "si presuppone" che i realizzatori avrebbero riservato un identico trattamento a ogni altro gruppo di vittime designate; che fossero gli ebrei - cos vorrebbe la logica di queste teorie - irrilevante. Io sostengo invece che qualunque teoria che non tenga conto della capacit degli agenti materiali di intendere e di giudicare, cio di comprendere e valutare il significato e la moralit delle loro azioni, che non consideri fondamentali le loro convinzioni e i loro valori, che non indichi con la massima evidenza l'autonoma forza motivante dell'ideologia nazista, e in particolare della sua componente portante, l'antisemitismo, non pu in alcun modo farci capire perch i realizzatori abbiano agito come in realt agirono. Una teoria che ignori la natura specifica di quelle azioni - il massacro e la brutalizzazione sistematici e su vasta scala - o l'identit delle vittime si rivela inadeguata per una serie di ragioni. Tutte le interpretazioni che come le teorie convenzionali tralasciano questi aspetti sono quindi carenti nell'individuazione dei due fattori umani presenti nell'Olocausto: l'umanit dei realizzatori, cio la loro capacit di giudicare e scegliere di agire in modo disumano, e quella delle vittime, persone con identit specifiche, non animali o cose, che subirono le conseguenze del loro operato. La mia interpretazione - una novit tra gli studi sull'argomento (32) - che i realizzatori, i tedeschi comuni, furono mossi dall'antisemitismo, da una particolare "forma" di antisemitismo che li induceva a concludere che gli ebrei dovevano morire (33). Le loro convinzioni, quella particolare forma di antisemitismo, furono dunque una causa decisiva e indispensabile, seppure ovviamente non l'unica, di quanto fecero, e vanno poste al centro di qualsiasi tentativo di spiegazione. In poche parole i realizzatori, indotti dalle proprie convinzioni morali a considerare giusto lo sterminio degli ebrei, non vollero dire no.

Studiare la realizzazione dell'Olocausto impresa difficile sul piano interpretativo come su quello metodologico, e impone subito di affrontare una serie di questioni nel modo pi aperto e diretto. Espongo quindi gli elementi fondamentali del mio approccio all'argomento, specificando con chiarezza la gamma degli atti che richiedono un'interpretazione. Il discorso verr ripreso nell'Appendice 1, dove discuter alcuni aspetti accessori che possono essere privi di interesse per il lettore non specialista: nel libro ho scelto, invece, di presentare i temi, i casi e alcuni altri problemi di interpretazione e di metodo che potessero risultare interessanti per tutti. Gli studiosi commettono un grave errore quando non accettano di credere che la gente potesse massacrare intere popolazioni - specie quando queste, a un qualsiasi esame obiettivo, non rappresentavano alcuna minaccia - per sola convinzione ideologica. Perch continuare a credere nell'impossibilit che persone comuni abbiano potuto sanzionare il massacro su vasta scala di esseri umani o, peggio ancora, prendervi parte? La storia, dall'antichit al presente, ricca di testimonianze della disinvoltura con cui gli uomini possono uccidere altri uomini, e persino trarre piacere dalla loro morte (34). Non c' motivo di ritenere che l'uomo moderno, occidentale, persino cristiano sia incapace di condividere ideologie che svalutano la vita, auspicandone l'annientamento, ideologie peraltro simili a quelle propugnate dagli esponenti di tanti movimenti religiosi, culturali e politici in tutto il corso della storia, compresi - per fare soltanto due esempi calzanti tra gli antenati dell'Europa cristiana del ventesimo secolo - i crociati e gli inquisitori (35). Chi mette in discussione che gli assassini degli oppositori dei recenti regimi autoritari in Argentina e in Cile fossero convinti che le vittime meritassero di morire? Chi dubita che i tutsi che massacravano gli hutu in Burundi, o gli hutu che ammazzavano i tutsi in Ruanda, o la milizia libanese che eliminava i sostenitori civili della milizia avversaria, o i serbi che uccidevano croati e musulmani bosniaci, lo facessero nella convinzione della giustezza dei loro atti? Eppure, perch non vogliamo riconoscerlo anche per i realizzatori tedeschi dell'Olocausto? I molteplici problemi di un saggio sull'Olocausto iniziano con la scelta dei principi ai quali informare la ricerca sulla societ tedesca; su questo ritorneremo pi a lungo nel capitolo 1. La decisione forse pi importante se si debba o meno presupporre, come fa la maggioranza degli studiosi, che fosse una societ pi o meno normale, funzionante in base a norme di senso comune simili alle nostre.

In questa prospettiva, perch delle persone siano disposte a ucciderne altre, devono essere mosse dalla pi cinica brama di potere e ricchezza o essere dominate da una fortissima ideologia cos tautologicamente falsa da poter essere condivisa solo da pochi squilibrati (oltre che da coloro che la sfruttano a fini opportunistici). E quei pochi potranno anche riuscire a prendere in giro la maggioranza, semplice e perbene, di un popolo moderno, ma non certo a conquistarla. In alternativa, questo periodo pu essere affrontato evitando di porre tale presupposto, ma esaminandolo con l'occhio critico dell'antropologo che sbarca in una terra sconosciuta, aperto all'incontro con una civilt radicalmente diversa dalla propria e consapevole dell'eventualit di dover elaborare interpretazioni che non si adattano al suo senso comune, o che persino lo contraddicono, per poter capire la struttura di quella civilt, i comportamenti intolleranti, i progetti e i prodotti comuni all'intera collettivit. In tale ottica risulta possibile affermare che un gran numero di persone, nel caso specifico i tedeschi, possa aver ucciso, o fosse disposto a uccidere, altre persone, nel caso specifico gli ebrei, in tutta coscienza. Un simile approccio che, diversamente da quello adottato in quasi tutti gli studi finora svolti, non si pone l'obiettivo predeterminato di individuare ci che costrinse delle persone ad agire contro la propria volont (o, indipendentemente da qualsiasi volont, come automi) si potrebbe, invece, rivelare necessario per spiegare in quale modo i tedeschi siano divenuti volontariamente potenziali assassini di massa e come il regime nazista abbia saputo sfruttare questa catastrofica potenzialit. A tale approccio, appunto, che rifiuta l'idea fondamentale nell'antropologia come nelle scienze sociali - dell'universalit del nostro senso comune (36), improntata questa ricerca (37). Scarteremo perci i presupposti metodologici e sostanziali che, considerati basilari e di regola indiscussi, hanno ispirato quasi tutti gli studi sull'Olocausto e su coloro che lo perpetrarono, in quanto insostenibili sia sul piano teorico che su quello empirico. Questo libro d, invece, importanza alla consapevolezza e ai valori degli agenti materiali del genocidio, investigando l'operato dei realizzatori alla luce del criterio della scelta: un'impostazione che, se riferita all'Olocausto, pone una serie di domande di teoria sociologica che, sia pur brevemente, vanno affrontate. I realizzatori operavano all'interno di strutture che assegnavano a ciascuno un ruolo e dei compiti, lasciando per margini di scelta, individuali e collettivi.

Occorre dunque individuare, analizzare e integrare in qualsiasi spiegazione o interpretazione generale questo margine di scelta, e soprattutto i modelli che determinarono le decisioni. Idealmente si dovrebbe rispondere alle seguenti domande: che cosa fecero davvero i realizzatori del genocidio? che cosa fecero in pi di quanto era necessario? che cosa si rifiutarono di fare? che cosa si sarebbero potuti rifiutare di fare? che cosa avrebbero preferito non fare? (38) in quale modo svolsero i loro compiti? quanto agevolmente procedettero nel complesso le operazioni? Nello studio dei modelli di comportamento dei realizzatori alla luce dei ruoli istituzionali e della struttura incentivante, occorre seguire due fili conduttori che vanno oltre il semplice atto di uccidere. In primo luogo, al di l del colpo letale i tedeschi fecero subire agli ebrei (e ad altre vittime) una lunga serie di azioni: per comprendere il genocidio, importante definire la "gamma" di tali azioni. Su questo tema ritorneremo subito nel dettaglio. In secondo luogo, anche il comportamento dei realizzatori nei momenti in cui "non" erano impegnati nel genocidio fornisce informazioni preziose: le indicazioni sul loro carattere in generale e sulla loro disposizione ad agire, oltre che sul contesto sociopsicologico in cui vivevano, ricavate da un'analisi delle attivit non omicide, potrebbero rivelarsi indispensabili per comprendere i modelli dell'azione genocida. Si pone quindi un interrogativo di fondo: nella gamma di tutti gli atti compiuti dai realizzatori, quali costituiscono quell'universo di azioni che richiedono un'indagine? Di regola gli studiosi si sono concentrati su un solo aspetto delle azioni dei tedeschi: quello di uccidere. Questa prospettiva limitata va allargata. Si immagini che i tedeschi avessero deciso di non sterminare gli ebrei, ma di limitarsi a infliggere loro tutti i maltrattamenti cui di fatto li sottoposero nei campi di concentramento, nei ghetti, ai lavori forzati. Si immagini che oggi, nella nostra societ, qualcuno eserciti sugli ebrei o sui cristiani, sui bianchi o sui neri, un trattamento che abbia anche soltanto un centesimo della brutalit e della crudelt che i tedeschi, a prescindere dall'assassinio, fecero subire agli ebrei: chiunque riconoscerebbe la necessit di chiederne ragione. Se i tedeschi non avessero perpetrato un genocidio, l'attenzione si sarebbe concentrata sulle privazioni e sulle crudelt inflitte agli ebrei, che sarebbero state considerate come un oltraggio, un'aberrazione, una perversione della storia tali da non poter rimanere senza spiegazione.

E, invece, quelle stesse azioni sono scomparse all'ombra del genocidio e sono state ignorate dai precedenti tentativi di capire gli aspetti pi significativi di questo evento (39). La scelta di concentrarsi sullo sterminio e di escludere tutte le altre azioni dei realizzatori a esso correlate ha portato a definire gli obiettivi stessi del lavoro interpretativo in maniera radicalmente distorta. Per ovvi motivi, lo sterminio deve rimanere al centro di tutti gli studi; tuttavia non l'unico aspetto del trattamento riservato dai tedeschi agli ebrei che richieda un'indagine interpretativa sistematica. Non si devono spiegare soltanto i massacri, ma anche il modo in cui vennero effettuati: il come fornisce spesso preziose indicazioni sul perch. L'assassino pu rendere la morte altrui pi o meno dolorosa, fisicamente ed emotivamente, a seconda se la consideri giusta o ingiusta. Il modo in cui i tedeschi, a livello collettivo e individuale, cercarono nella pratica, o anche solo nelle intenzioni, di alleviare o acuire le sofferenze delle loro vittime deve occupare un posto di rilievo in qualsiasi tentativo di interpretazione. Qualunque teoria, che pure colga i motivi che portarono i tedeschi ad ammazzare gli ebrei ma non tenga conto del modo in cui lo fecero, inevitabilmente inadeguata. Se vogliamo fare un'analisi chiara, dobbiamo individuare con la massima precisione le azioni da prendere in esame. Possiamo perci ricorrere a uno schema classificatorio che, per raggrupparle in quattro tipologie principali, si presenta a due dimensioni: la prima indica se l'azione compiuta da un tedesco fu la conseguenza di un ordine preciso o di un'iniziativa personale; la seconda se con essa il realizzatore tedesco commise un atto di crudelt (40). Nel contesto della Germania dell'epoca, gli atti compiuti per ordini superiori, come il rastrellamento, la deportazione e l'uccisione degli ebrei, in assenza di eccessi e di crudelt gratuite, erano motivati da un intento utilitaristico: sono gli atti che avrebbe compiuto il proverbiale (e mitico) buon tedesco, che si limitava a eseguire servilmente gli ordini ricevuti. Gli atti di iniziativa personale e gli eccessi, invece, sono entrambi di fatto azioni volontarie, in cui non ci si limitava a eseguire gli ordini: il loro comune aspetto saliente consiste nel derivare appunto dalla volont dei singoli realizzatori. Ci che li differenzia soltanto il grado di crudelt: gli atti di iniziativa personale sono le azioni di un freddo carnefice, gli eccessi quelle del tedesco che, presumibilmente, traeva un piacere particolare dalle sofferenze che infliggeva.

L'ultima categoria comprende le azioni intraprese per ordine dei superiori, il cui unico scopo era far soffrire gli ebrei. Si tratta di azioni interessanti, su alcune delle quali ritorneremo in specifici capitoli, perch mettono in dubbio la tesi della razionalizzazione retrospettiva avanzata da molti realizzatori dopo la fine della guerra. Una mente nazificata alla ricerca di una qualche motivazione utilitaristica del genocidio poteva forse anche credere alle diverse false giustificazioni dell'eliminazione degli ebrei che venivano in genere proposte allora ai realizzatori (e dagli stessi realizzatori, dopo la guerra): gli ebrei come minaccia per la Germania, partigiani e banditi, diffusori di malattie e via dicendo. Ma l'ordine di torturare le vittime avrebbe dovuto suscitare qualche dubbio sulla legalit e la ragionevolezza della presunta logica del trattamento generale riservato agli ebrei. Tale trattamento, che giungeva fino a comprendere la loro uccisione, era costituito da diversi tipi di azioni, ognuno dei quali richiede un'interpretazione, e di ognuno dei quali deve tenere conto qualsiasi teoria complessiva sul contributo tedesco al genocidio. Nelle numerose categorie di azioni che vanno analizzate rientrano quelle che abbiamo classificato secondo le due dimensioni, per ordini superiori e crudelt: 1) tutte le azioni compiute per ordini superiori senza crudelt inutili, e in particolare quelle che contribuirono direttamente al genocidio; 2) crudelt commesse per direttive dell'autorit: gli atti di crudelt istituzionali, strutturati, sono pi importanti di quelli compiuti in situazioni contingenti da individui o piccoli gruppi; 3) azioni che richiedevano da parte del realizzatore un'iniziativa che andava oltre la lettera di quanto ordinato o richiesto dall'autorit, ma non contrassegnate da eccessiva crudelt; 4) crudelt commesse per iniziativa personale del realizzatore. Per quanto utile, questa schematizzazione oggettiva comunque insufficiente sia sul piano descrittivo e classificatorio, sia come base per un'interpretazione. In assenza di ulteriori specificazioni, infatti, tale modello analitico, cos come le teorie precedenti, presuppone che eseguire gli ordini sia una categoria non problematica; e, invece, bisogna riconoscere che esistono diversi tipi di comportamenti - ad esempio il fatto che un individuo, pur eseguendo gli ordini omicidi, non obbedisca ad altri - che possono gettar luce sul significato dell'espressione eseguire gli ordini in questo particolare contesto. In altre parole, se i tedeschi operavano delle distinzioni tra gli ordini che sceglievano, o no, di eseguire, e tra le modalit della loro esecuzione,

bisogna esaminare e interpretare tanto la loro obbedienza quanto i loro modi di esprimerla. Inoltre, tale classificazione non tiene conto delle occasioni che potevano presentarsi ai realizzatori di evitare situazioni o di uscire da strutture nelle quali pi alta era la probabilit di ricevere incarichi sgraditi (41). Le ingenue categorie dell'obbedienza o dell'esecuzione degli ordini finiscono, insomma, per astrarre i comportamenti dei realizzatori dal pi ampio contesto sociale, politico e istituzionale, che invece indispensabile cogliere per comprendere la loro disponibilit a obbedire agli ordini. Per questo, dobbiamo valutare quanto segue: la prima categoria di azioni e le sue varianti, quella dell'obbedienza, non di per s non problematica. I tedeschi potevano tentare di evitare le corve omicide, o di ridurre le sofferenze delle vittime; perch, e fino a che punto, non approfittarono di tale possibilit? Quanto al secondo tipo di azioni, le crudelt imposte da autorit superiori, dovremmo chiederci per quali motivi, in Europa, in pieno Novecento, delle organizzazioni di massa si vennero strutturando in modo tale da infliggere intenzionalmente - nella misura in cui ciascuna di esse lo fece - spaventose sofferenze ad alcune popolazioni. Tutte queste organizzazioni, per la loro natura e il loro modo di funzionare, dipendevano infatti necessariamente dal loro personale. Bisogna ovviamente spiegare anche il terzo tipo di azioni, gli atti di iniziativa personale, volontari, in quanto possiamo supporre che chi era contrario alla strage si limitasse a fare il minimo indispensabile di quanto imposto dall'alto. Va da s, infine, che occorre interpretare il quarto tipo di azioni, le crudelt per iniziativa personale (42). Occorre poi tener conto di altri due aspetti della questione. In primo luogo, vanno valutati la riluttanza o lo zelo con cui i realizzatori tedeschi svolsero i compiti loro assegnati, anche quando si trattava di azioni eseguite per ordine superiore: chi obbedisce pu farlo con gradi ben diversi di dedizione, di precisione, di perfezionismo. Rastrellando gli ebrei nascosti, i tedeschi potevano impegnarsi il pi possibile per scoprirli, o invece cercarli in modo distratto, poco convinto. Lo zelo con cui lo fecero rivela molto sulla loro motivazione, e necessita a sua volta di essere spiegato. Il secondo aspetto legato all'orrore dei loro atti. Perch l'orrore, la brutalit delle stragi, spesso raccapriccianti, non servirono a fermare la mano dei realizzatori o quanto meno a farli esitare? Quelle operazioni non ci appaiono tanto terrificanti, ovviamente, per un particolare tipo di azioni compiute dai realizzatori, ma per il fatto che il loro

orrore non influ in misura significativa sulle scelte di chi le port a termine (43). Fatte queste precisazioni, bisogna comunque allargare la prospettiva oltre la categorizzazione oggettiva, integrandola con un'indagine delle motivazioni che indussero i tedeschi - in particolare coloro che si possono considerare esecutori di ordini - a compiere azioni di un determinato tipo. Indipendentemente dalla categoria in cui viene correttamente inserita un'azione, l'atteggiamento di chi la compie e la motivazione che lo muove rimangono comunque importanti, poich modificano la natura stessa dell'azione (44). Alla categorizzazione oggettiva va, dunque, aggiunta quella soggettiva della motivazione, della grande variet di ragioni compatibili con l'azione compiuta per ordine superiore, con le manifestazioni di iniziativa personale, con l'eccesso o con il fatto che un dato compito venga svolto bene o male. E in questo fondamentale appurare se i realizzatori ritenessero o meno che quanto facevano agli ebrei fosse giusto, e, se cos fu, perch (45). La sfera delle motivazioni indispensabile per comprendere la disponibilit dei realizzatori ad agire, ed in buona misura un prodotto della costruzione sociale della conoscenza (46). Quale tipo di azione un individuo sia disposto a eseguire - per ordine diretto, per iniziativa personale, per desiderio di eccesso o per zelo dipende dalla sua motivazione; ma le azioni vere e proprie non corrispondono "necessariamente" alle motivazioni, poich sono influenzate dalle circostanze e dalle occasioni. E' evidente che, mancando l'occasione, la motivazione personale a uccidere o torturare non potr realizzarsi; ma anche vero che non basta l'occasione per far l'uomo assassino o torturatore. Sostenere che ogni azione (socialmente rilevante) debba essere motivata non significa che tutti gli atti siano il semplice risultato delle convinzioni acquisite da chi agisce circa l'opportunit e la giustizia dell'azione stessa. Significa solo che una persona deve decidere di compiere un'azione, che un determinato calcolo mentale (forse nemmeno percepito come tale) la induce a non astenersi dal compierla. Il calcolo potr tener conto del desiderio di far carriera, o di non sfigurare di fronte ai compagni, o di non farsi fucilare per insubordinazione. Si pu uccidere qualcuno senza essere convinti che sia giusto farlo, quando si sufficientemente motivati, per quanto consapevoli dell'ingiustizia, da altre considerazioni come quella della propria sicurezza: volersi salvare la vita, ad esempio, un'ottima ragione.

In quanto tali, invece, le strutture, gli incentivi o le sanzioni, formali e informali, non possono mai essere motivazioni: si limitano a fornire stimoli ad agire o a non agire, di cui l'agente potr tener conto al momento di decidere (47). E' vero, certo, che in determinate situazioni la stragrande maggioranza delle persone si comporta nello stesso modo, apparentemente indifferente alle convinzioni e alle finalit precedenti. Di fronte a casi come questi, molti sono stati tentati di concludere, erroneamente, che siano le strutture a determinare l'azione (48): ma le strutture sono sempre interpretate da coloro che agiscono, ed prevedibile che, quando questi condividono convinzioni e valori ( un valore desiderare di salvarsi la vita o di vivere in una societ razzialmente pura, o di fare carriera, o di diventare ricchi, o di essere a tutti i costi uguali agli altri), vi si attengano in genere allo stesso modo. Ci nonostante, non tutti anteporranno la sicurezza personale ai principi; n tutti violeranno una profonda convinzione morale perch i compagni non la condividono. Se invece succeder, si dovr vedere nei valori che li inducono a farlo che non sono valori, n tanto meno disposizioni sociopsicologiche universali - un elemento interpretativo fondamentale. C' chi, per gli altri, disposto a rischiare la vita, a rinunciare a una promozione, a dissentire con parole e fatti dai camerati. Gli oggetti inanimati non producono autonomamente conoscenze e valori; tutte le nuove conoscenze e i nuovi valori derivano da una struttura preesistente di conoscenze e di valori che attribuisce significato alle circostanze materiali della vita. E sono le conoscenze e i valori, e soltanto questi, che in ultima istanza inducono un uomo a levare volontariamente la mano contro un altro uomo. Indipendentemente dalla struttura delle conoscenze e dei valori degli individui, un cambiamento in quella degli incentivi, in cui i realizzatori operano, potrebbe indurli - e in molti casi li induce - a modificare le proprie azioni, in quanto essi calcolano il comportamento da assumere alla luce delle loro conoscenze e valori, e delle possibilit di concretizzarli in diverse combinazioni. Va sottolineato che ci non significa che sia la struttura degli incentivi in s a provocare le azioni, ma solo che essa "concorre con la struttura di conoscenze e di valori" nel provocarle. Per comprendere il comportamento dei realizzatori bisogna dunque valutare con attenzione la loro realt fenomenologica.

Dobbiamo tentare la difficile impresa di immaginarci al loro posto, ad agire come essi agirono, a vedere ci che essi videro (49). Per far questo, dobbiamo tenere sempre a mente la natura essenziale di quanto fecero: ammazzavano uomini, donne e bambini indifesi, gente che palesemente non rappresentava la minima minaccia militare, spesso debole ed emaciata, in preda a un'inequivocabile agonia fisica ed emotiva, e che a volte implorava di aver salva la propria vita, o quella dei propri figli. Troppi interpreti di questo periodo, specie quando si lanciano in elucubrazioni psicologiche, considerano gli atti dei tedeschi come se fossero reati di poco conto, come se si trattasse di spiegare per quale motivo, di tanto in tanto, un brav'uomo ruba nei negozi (50), e ne perdono di vista il carattere radicalmente diverso, straordinario. In molte societ, comprese quelle occidentali, il tab che impedisce di ammazzare gli indifesi e i bambini forte; i meccanismi psicologici che consentono alla brava gente di commettere piccole trasgressioni morali, o di chiudere un occhio su quelle, anche gravi, commesse da altri, soprattutto se lontani, non possono essere applicati - a meno che non si ritenga che abbiano un'autentica validit esplicativa - a chi compie un genocidio, a chi sta a guardare il massacro di centinaia di persone. Per comprendere il genocidio dobbiamo quindi tenere sempre a mente due considerazioni. Scrivendo o leggendo a proposito di quelle operazioni omicide, fin troppo facile divenire insensibili al vero significato delle cifre: diecimila morti qui, quattrocento l, quindici da un'altra parte. Ciascuno di noi dovrebbe soffermarsi a pensare che se ci furono diecimila morti vuol dire che i tedeschi ammazzarono diecimila persone - uomini disarmati, donne, bambini, vecchi, giovani, ammalati -, che per diecimila volte privarono un essere umano della vita. Ciascuno di noi dovrebbe riflettere sul significato che tutto questo pu aver avuto per i tedeschi che presero parte allo sterminio; se penso al senso di angoscia, di orrore o repulsione, di indignazione morale che io stesso provo di fronte all'assassinio di una sola persona, o a un omicidio di massa contemporaneo, una ventina di persone - a opera di un serial killer o di un sociopatico che scarica un fucile semiautomatico in un fast-food -, riesco a intravedere qualcosa della realt che ebbero di fronte quei tedeschi. Le vittime ebree non erano dati statistici, come ci appaiono sulla carta: per i loro assassini gli ebrei erano persone che un attimo prima respiravano, e ora giacevano senza vita, spesso ai loro piedi. E tutto questo avveniva indipendentemente dalle operazioni militari.

La seconda considerazione da non dimenticare mai data dall'orrore di ci che facevano i tedeschi. Chiunque appartenesse a un reparto addetto alle eliminazioni, sia che sparasse lui stesso, sia che stesse a guardare i suoi compagni che ammazzavano gli ebrei, si trovava immerso in scene di orrore indicibile. Una descrizione meramente oggettiva delle operazioni omicide inquadra in una prospettiva sbagliata la fenomenologia della strage, svuotando le azioni delle loro componenti emotive e impedendone la comprensione. In qualsiasi interpretazione dei fatti tuttavia indispensabile una descrizione adeguata, capace di ricreare la realt fenomenologica degli assassini. Per questo motivo, rifiuto l'approccio meramente oggettivo e tento di comunicare l'orrore, il raccapriccio "per i realizzatori" (il che naturalmente non significa che essi fossero sempre inorriditi): schizzi di sangue, frammenti di ossa e di cervello che spesso ricadevano sugli assassini, insozzandone la faccia e i vestiti; grida e lamenti di gente in attesa del massacro imminente o in preda agli spasimi della morte che riecheggiavano nelle orecchie dei tedeschi. Queste scene - non le descrizioni asettiche proposte dalla semplice cronaca delle operazioni - furono la realt di molti realizzatori; per poter comprendere il loro mondo fenomenologico dovremmo raccontare a noi stessi ognuna delle immagini raccapriccianti che essi videro, ognuna delle grida di angoscia e dolore che udirono (51). L'analisi di ogni operazione, di ogni singola morte dovrebbe ridondare di questo tipo di descrizioni; ma ci non possibile, naturalmente, non solo perch renderebbe troppo vasto qualsiasi studio sull'Olocausto, ma anche perch ben pochi riuscirebbero ad arrivare in fondo alla lettura di resoconti tanto orripilanti; un fatto, quest'ultimo, che di per s un efficace commento alla straordinaria fenomenologia dell'esistenza dei realizzatori, e alla forza delle motivazioni che poterono imporre ai tedeschi di mettere a tacere tali emozioni per uccidere e torturare gli ebrei e i loro bambini. Le convinzioni e i valori comuni nella cultura tedesca, e in particolare quelli che diedero forma all'atteggiamento nei confronti degli ebrei - la cui comprensione il passaggio essenziale nella spiegazione dell'Olocausto -, costituiscono il tema portante della prima parte del libro. I primi tre capitoli propongono uno schema per analizzare l'antisemitismo. Seguono due capitoli dedicati a una discussione dell'antisemitismo tedesco rispettivamente nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, in cui si dimostra che ben prima dell'avvento al potere dei nazisti si era affermata in

Germania una virulenta variante eliminazionista dell'antisemitismo, che chiedeva appunto l'eliminazione dell'influenza ebraica, o degli ebrei stessi, dalla societ tedesca. Quando i nazisti presero il potere, si videro padroni di una societ gi intrisa di convinzioni sugli ebrei adatte alla pi estrema forma di eliminazione che si potesse immaginare. La seconda parte passa in rassegna le decisioni che portarono alla sofferenza e alla morte degli ebrei, e le strutture che le concretizzarono. Il primo capitolo di questa parte propone una nuova interpretazione dell'evolversi dell'aggressione dei tedeschi contro gli ebrei, dimostrando che al di l dell'effettiva o apparente alternanza di indirizzo, quella politica si conform sempre ai precetti dell'antisemitismo eliminazionista tedesco. Il secondo capitolo fornisce una descrizione sintetica delle strutture dello sterminio, definisce la gamma delle categorie dei realizzatori e si sofferma sulla pi emblematica delle strutture tedesche della morte: il campo. Insieme, i due capitoli delineano il contesto pi ampio all'interno del quale vanno studiati e compresi i temi centrali di questo libro, le strutture della morte e i realizzatori. I capitoli compresi tra la terza e la quinta parte presentano casi specifici riguardanti le tre strutture dello sterminio - i battaglioni di polizia, i campi di lavoro e le marce della morte - esaminando nel dettaglio le azioni dei loro componenti, nonch i contesti organizzativi di quelle azioni. Tale indagine consente una conoscenza approfondita degli atti dei realizzatori, nonch dei contesti contingenti e delle strutture incentivanti nella loro vita di assassini genocidi, conoscenza indispensabile per l'analisi e l'interpretazione dell'Olocausto. Il primo capitolo della sesta parte analizza sistematicamente le azioni dei realizzatori, dimostrando quanto siano inadeguate, sul piano teorico e pratico, le spiegazioni convenzionali dei fatti rilevati dagli studi empirici. Ne risulta che l'antisemitismo eliminazionista basta a spiegare la condotta dei realizzatori, e che la medesima spiegazione si presta a consentirne l'interpretazione in tutta una serie di prospettive comparate. Il secondo capitolo approfondisce il carattere dell'antisemitismo eliminazionista, capace di indurre nel gruppo dirigente nazista, nei realizzatori dell'Olocausto e nel popolo tedesco, l'assenso e, ciascuno a suo modo, la partecipazione al programma di eliminazione. Il libro si conclude con un breve epilogo, un riassunto delle lezioni che si possono trarre dallo studio dei realizzatori che propone la necessit di ripensare la natura della societ tedesca nel periodo nazista, suggerendo alcuni tratti portanti di una nuova impostazione.

"I volonterosi carnefici di Hitler" incentrato sui realizzatori dell'Olocausto. Per spiegare le loro azioni, integra la micro, la meso e la macroanalisi, dall'individuo alle strutture, alla societ. Gli studi precedenti, e in pratica tutte le interpretazioni delle azioni dei realizzatori, sono nati in laboratorio, o sono stati desunti da un qualche sistema filosofico o teoretico, o ancora hanno trasferito alla sfera individuale conclusioni (spesso a loro volta erronee) tratte dall'analisi del livello sociale o istituzionale. Per questo affrontano troppo superficialmente le ragioni di quelle azioni, e non riescono a giustificarne, e nemmeno a specificarne (52), la variet e le varianti. E ci vale in particolare per tutte le interpretazioni strutturali, non cognitive: pochi studiosi si sono occupati della microfisica dell'Olocausto, che invece il necessario punto di partenza per un esame delle azioni dei realizzatori (53). Questo libro mette a nudo quelle azioni e ne d ragione analizzandole nei rispettivi contesti organizzativi e sociali e alla luce della loro collocazione sociopsicologica e ideale. Occorre una motivazione per uccidere qualcuno, altrimenti non si uccide. Quali furono le condizioni culturali ed etiche che in quel periodo della storia tedesca resero plausibili le motivazioni d