Globalizzazione reale e globalizzazione finanziaria · motivo alcuni fra i più autorevoli studiosi...

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1 Globalizzazione reale e globalizzazione finanziaria: aspetti teorici e problemi di regolamentazione. Pier Francesco Asso Università degli Studi di Palermo 1. Introduzione Negli ultimi cinquanta anni la politica economica internazionale ha favorito un aumento nella liberalizzazione degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie. Questo processo ha subito una forte e a volte traumatica accelerazione in conseguenza di mutamenti improvvisi e in parte imprevedibili che hanno interessato il quadro politico internazionale e la facilità di accesso ai diversi mercati nazionali da parte di imprese e consumatori. L'analisi e la descrizione di questo fenomeno, che comunemente viene definito con il termine di "globalizzazione", ha attirato l'attenzione di coloro che si occupano di problematiche connesse alle relazioni economiche internazionali, ma anche di una folta schiera di studiosi appartenenti alle diverse scienze politiche e sociali. Come spesso succede, si è assistito a un'esplosione nell'uso e nell'abuso del termine "globalizzazione". Cominciamo quindi proponendo una questione solo apparentemente semantica: qual'è la definizione più corretta di globalizzazione? E che cosa intendono gli economisti quando parlano di globalizzazione? Per un economista una definizione molto generale di globalizzazione potrebbe suonare grosso modo così: la globalizzazione è un regime che permette di ridurre il costo di effettuare transazioni economiche su scala mondiale e quindi di aumentare il tasso di crescita del prodotto e del benessere economico. La globalizzazione si realizza attraverso un processo (legislativo, tecnologico, politico, culturale etc.) che promuove: ? l'abbattimento di tutte le forme di restrizione agli scambi commerciali (dazio, contingente o altro) che impediscono o riducono il livello di integrazione fra i mercati; ? una maggiore mobilità dei prodotti oggetto di scambio internazionale (beni e servizi); ? la libera circolazione delle idee, delle conoscenze e dei fattori produttivi (capitale e lavoro); ? un più efficace sfruttamento nella riduzione dei costi di trasporto, di comunicazione e di informazione. Fra le caratteristiche salienti della globalizzazione vi è dunque quella di rafforzare l'integrazione fra mercati e, anzi, il suo obiettivo finale può essere identificato nella creazione di un mercato unico mondiale, nel quale i prezzi e le quantità dei beni e dei fattori produttivi oggetto di scambio non vengono distorti dalla politica commerciale e dalle decisioni imposte dalle autorità di politica economica. In ultima analisi, la globalizzazione dei mercati viene quindi a coincidere con la libertà che i soggetti economici (imprese e consumatori) hanno acquisito relativamente alla loro capacità

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Globalizzazione reale e globalizzazione finanziaria: aspetti teorici e problemi diregolamentazione.Pier Francesco AssoUniversità degli Studi di Palermo

1. Introduzione

Negli ultimi cinquanta anni la politica economica internazionale ha favorito unaumento nella liberalizzazione degli scambi commerciali e delle transazionifinanziarie. Questo processo ha subito una forte e a volte traumatica accelerazione inconseguenza di mutamenti improvvisi e in parte imprevedibili che hanno interessatoil quadro politico internazionale e la facilità di accesso ai diversi mercati nazionali daparte di imprese e consumatori. L'analisi e la descrizione di questo fenomeno, checomunemente viene definito con il termine di "globalizzazione", ha attiratol'attenzione di coloro che si occupano di problematiche connesse alle relazionieconomiche internazionali, ma anche di una folta schiera di studiosi appartenenti allediverse scienze politiche e sociali. Come spesso succede, si è assistito a un'esplosionenell'uso e nell'abuso del termine "globalizzazione". Cominciamo quindi proponendouna questione solo apparentemente semantica: qual'è la definizione più corretta diglobalizzazione? E che cosa intendono gli economisti quando parlano diglobalizzazione?Per un economista una definizione molto generale di globalizzazione potrebbesuonare grosso modo così: la globalizzazione è un regime che permette di ridurre ilcosto di effettuare transazioni economiche su scala mondiale e quindi di aumentare iltasso di crescita del prodotto e del benessere economico. La globalizzazione sirealizza attraverso un processo (legislativo, tecnologico, politico, culturale etc.) chepromuove:? l'abbattimento di tutte le forme di restrizione agli scambi commerciali (dazio,

contingente o altro) che impediscono o riducono il livello di integrazione fra imercati;

? una maggiore mobilità dei prodotti oggetto di scambio internazionale (beni eservizi);

? la libera circolazione delle idee, delle conoscenze e dei fattori produttivi (capitalee lavoro);

? un più efficace sfruttamento nella riduzione dei costi di trasporto, dicomunicazione e di informazione.

Fra le caratteristiche salienti della globalizzazione vi è dunque quella di rafforzarel'integrazione fra mercati e, anzi, il suo obiettivo finale può essere identificato nellacreazione di un mercato unico mondiale, nel quale i prezzi e le quantità dei beni e deifattori produttivi oggetto di scambio non vengono distorti dalla politica commercialee dalle decisioni imposte dalle autorità di politica economica. In ultima analisi, laglobalizzazione dei mercati viene quindi a coincidere con la libertà che i soggettieconomici (imprese e consumatori) hanno acquisito relativamente alla loro capacità

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di effettuare scelte in merito ai beni e ai servizi reali e finanziari che essi decidono diprodurre o desiderano di acquistare.Quali sono gli interrogativi più frequenti che gli studiosi si sono posti a proposito diquesto processo di globalizzazione dei mercati e dei suoi principali protagonisti.Proviamo a presentarne un breve elenco.? E' possibile identificare con precisione le cause che determinano la

globalizzazione e gli effetti che essa produce sulla ricchezza delle nazioni, sullasua crescita e sulla sua distribuzione?

? Quali sono le argomentazioni che inducono a ritenere che il processo diglobalizzazione dei mercati sia effettivamente il (principale) responsabile di alcunifra i più gravi problemi economici che affliggono l'umanità (povertà, fame,mortalità, inquinamento)?

? Chi è, e chi può diventare, un protagonista della globalizzazione? Soltanto legrandi imprese multinazionali oppure anche quelle di dimensioni più contenute? Iconsumatori dei paesi ricchi o anche coloro che vivono al di sotto del livello dipovertà? E con quali effetti sul loro standard di vita e sulle aspettative disopravvivenza?

? Chi è che rischia maggiormente di soccombere di fronte alla globalizzazione deimercati? Lo stato nazione o il sistema dei partiti? Il lavoratore dipendente o ilsindacato? Le società multinazionali o le piccole e medie imprese?

? In che modo è possibile intervenire per regolamentare gli eccessi dellaglobalizzazione ed eliminare le distorsioni che essa produce? Chi dovrebbe farlo?Gli stati nazionali, gli organismi internazionali o chi altro?

? Quali utili lezioni è possibile trarre dall'esperienza storica? E' condivisibile la tesiche sostiene che siamo in presenza di un fenomeno che è già esistito in fasiprecedenti della storia economica? E con quali similitudini? E si può forse dedurreche siamo di fronte a un fenomeno reversibile e in quale misura?

Questo saggio non si propone di offrire risposte originali su tutte queste tematiche né,tantomeno, di tentare un bilancio storiografico sui dibattiti che sono fioriti intorno aesse. Più modestamente, ci limiteremo a esporre i risultati di alcune ricerche chehanno indagato sulle principali tipologie dei costi e dei benefici economici checomunemente vengono associati alla globalizzazione, e a suggerire alcuni possibilirimedi per una sua più efficace governabilità da parte delle istituzioni sovranazionali1.Ma, prima di tutto, quand'è e in che modo la parola “globalizzazione” fa il suoingresso nella terminologia corrente e in quella specialistica?Occorre ricordare che per gli storici dell'economia la globalizzazione è un fenomenorelativamente antico. Senza voler andare troppo indietro nel tempo, illustri studiosihanno descritto gli effetti prodotti dall'era della globalizzazione che si sviluppò nellaseconda metà dell'800 a seguito dell'ondata di innovazioni tecnologiche cherivoluzionarono il sistema delle comunicazioni e dei trasporti2. Essa produsse effetti

1 Si vedano in proposito le rassegne della letteratura presentate in Bird and Rajan (2001), e nei contributi pubblicati inPizzuti (1999) e Corsetti, Rey, Romagnoli (2001).2 Bordo, M., B. Eichengreen and D. Irwin (1999); Baldwin and Martin (1999).

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importanti per l'avvio e, soprattutto, per la propagazione della cosiddetta secondarivoluzione industriale, per poi interrompersi bruscamente con l'attentato di Sarajevoe lo scoppio della prima guerra mondiale. Nei trent'anni successivi vi fu l'apoteosidella "non globalizzazione" che prese, di volta in volta, il nome di autarchiaeconomica, bilateralismo, neomercantilismo e nazionalismo economico. Diglobalizzazione si tornò timidamente a parlare negli anni della ricostruzionepostbellica anche se fu soltanto nel 1957 che la parola "globalizzazione" fece il suoingresso nell'Oxford Dictionary.Da un punto di vista analitico, negli anni cinquanta si attribuì a "globalizzazione" unsignificato fondato sulla contrapposizione fra due possibili modelli alternativi diintegrazione economica: quello fondato su un approccio regionale o preferenziale equello fondato appunto su un approccio globale o multilaterale. Storicamente, ilprimo veniva adottato da un gruppo limitato di paesi che, per motivi politici, diprossimità geografica o di consistente integrazione economica, raggiungeva unaccordo per favorire il rilancio del commercio reciproco. Proprio nel 1957 questomodello fu consacrato dalla sottoscrizione del trattato di Roma e dalla conseguentecreazione di un'unione doganale fra sei paesi. Come lo stesso termine "preferenziale"sottintende, tutti gli accordi regionali sono basati sulla discriminazione fra produttorie consumatori appartenenti a paesi diversi: si ha una riduzione (spesso unazzeramento) dei dazi e delle restrizioni commerciali fra i paesi che costituiscono la"regione" o l'area di libero scambio; si mantengono (e spesso si rafforzano) le barrieretariffarie e non tariffarie fra la nuova area e il resto del mondo. Proprio per questomotivo alcuni fra i più autorevoli studiosi della politica commerciale ritengono che laformazione di blocchi commerciali preferenziali finisce per ostacolare ilconsolidamento di un nuovo ordine economico internazionale fondato sulla libertàdegli scambi3. Tuttavia, almeno in una prima fase, essi sono spesso ritenuti piùrealisticamente praticabili rispetto a una politica commerciale fondata su unapproccio globale e multilaterale, dove il processo di liberalizzazione viene esteso aun numero quanto più ampio di prodotti e di paesi, e trae alimento dai principi dellaconcorrenza perfetta, della non discriminazione e dell'adozione della clausola dellanazione più favorita4.Storicamente, due sono stati i propulsori fondamentali che hanno agevolato latrasformazione dei blocchi regionali in un processo più ampio di globalizzazione. Daun lato, vi è il contributo della tecnologia: l'introduzione di innovazioni cheabbattono i costi di trasporto dei prodotti e quelli relativi all’acquisizione delleinformazioni accelera l'integrazione fra mercati, riducendo le distanze spaziali etemporali nell'ambito delle quali si effettuano le scelte di produzione e di consumo.Le ferrovie e il telegrafo nell'800, il trasporto aereo e le nuove e sempre più efficientitipologie di comunicazione nella seconda metà del '900 hanno condiviso parteimportante nei due diversi processi di globalizzazione. In effetti, il crollo dei costi di

3 Si veda Bhagwati (1996).4 Grazie all'adozione di questa clausola, qualsiasi atto di liberalizzazione bilaterale dei rapporti commerciali fra 2 paesidiventa automaticamente multilaterale. Cioè tutti i benefici e le concessioni decise a favore di un paese devono essereestese a tutte le altre parti contrattuali in base al principio della non discriminazione.

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trasmissione delle informazioni rappresenta l'elemento distintivo della ripresa dellaglobalizzazione negli ultimi decenni del XX secolo. Dall'altro lato vi è il contributodella politica e della armonizzazione della normativa: la promozione diprovvedimenti legislativi o istituzionali che riducono le barriere allo scambio e allamobilità di prodotti e fattori produttivi ha rappresentato alla fine dell’800 e negliultimi due decenni del ‘900 un'ulteriore spinta alla creazione di un mercato unico suscala mondiale.Tuttavia, i più autorevoli rappresentanti della scienza economica hanno mostratomaggiore interesse nella discussione degli effetti, piuttosto che delle cause, dellaglobalizzazione. Si è spesso riconosciuto che l’introduzione di un regime globalecomportava la produzione di vantaggi e di svantaggi per il singolo soggettoeconomico (impresa e consumatore) così come per la nazione o il mondo intero. Ilparagrafo successivo è appunto dedicato a una breve esposizione dei risultati dellediverse analisi "costi - benefici" che gli economisti hanno prodotto in questi ultimianni.

2. Vantaggi e svantaggi della globalizzazione

Utilizzando una prospettiva storico - dottrinaria, cominciamo a esporre quali sono iprincipali vantaggi e svantaggi della globalizzazione, e a fornire alcuni spunti diriflessione su che cosa si è fatto e su che cosa non si è fatto per regolamentare questofenomeno in modo da massimizzare i primi e minimizzare i secondi.La teoria economica ha ormai da alcuni secoli stabilito alcuni principi fondamentaliper spiegare i collegamenti che esistono fra integrazione economica e crescita delreddito. Sin dagli scritti degli economisti appartenenti alla scuola classica (1776-1848), l'opportunità di scambiare liberamente con soggetti economici appartenenti adaltri paesi e di avviare processi di integrazione economica internazionale sono statiinterpretati come una causa fondamentale di aumento nella produttività del lavoro, dimiglioramento nell'efficienza dei mercati e, in questo modo, di incremento nelbenessere e nella ricchezza internazionale. Negli anni della prima Rivoluzioneindustriale, gli economisti predicarono (invano) l'instaurazione di una maggiorelibertà di commercio: se essa fosse stata stabilita con un atto del Parlamento, sisarebbe creato un regime che, meglio di altri possibili regimi alternativi, avrebbegarantito la promozione dello sviluppo economico. La libertà di scambio, in altreparole, avrebbe prodotto effetti del tutto equivalenti a quelli determinatidall'introduzione di una innovazione tecnologica o di un'invenzione all'interno di unprocesso produttivo.E' utile osservare che soprattutto in Adam Smith, ma anche in David Ricardo e JohnStuart Mill, la liberalizzazione degli scambi raramente assuse la forma di un dogmainviolabile o di una legge naturale. Essa rappresentava piuttosto un'opzione, unaregola di politica economica che gli Stati – nazione avrebbero dovuto seguire e unutile strumento analitico per approfondire le relazioni fra crescita della ricchezza,distribuzione della ricchezza e localizzazione delle attività produttive. Per di più,

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come tutte le regole, gli economisti del passato facevano notare che anche il regimedi libero scambio ammetteva eccezioni importanti in particolari contingenze: quandoqueste si verificavano, le politiche di limitazione del libero scambio, e cioèl'introduzione di misure protezionistiche, diventavano ottimali e richiedevanol'esistenza di ordinamenti e istituzioni deputate al loro controllo e alla lororealizzazione. Quindi, il processo di globalizzazione andava analizzato con spiritopragmatico, utilizzando un approccio che mettesse a confronto i suoi costi e i suoibenefici, i vantaggi e gli svantaggi.Un altro aspetto sul quale gli economisti si sono spesso trovati d'accordo, riguardal'opportunità di procedere a una distinzione preliminare, che separasse la sfera dellaglobalizzazione reale (intesa come perfetta integrazione fra mercati dove sieffettuano scambi fra beni, servizi e fattori produttivi reali) dalla sfera dellaglobalizzazione finanziaria (intesa come perfetta integrazione dei mercati dove siscambiano attività finanziarie e patrimoniali).Utilizzando questa duplice prospettiva (approccio "costi - benefici" e distinzione fraglobalizzazione reale e finanziaria) cominciamo ad analizzare rapidamente quali sonoi principali vantaggi della globalizzazione dal punto di vista dell'economia reale. Inprimo luogo, un sistema economico in cui vige la libertà di scelta e di integrazionepermette di esaltare le potenzialità della divisione del lavoro e della specializzazioneproduttiva fondata sul modello dei vantaggi comparati. Cioè con la globalizzazione siesaltano due principi che sin dai tempi di Smith e Ricardo gli economisti hannoindicato essere fra i principali motori della crescita della ricchezza e del reddito diuna nazione. La globalizzazione aumenta, per definizione, l'ampiezza del mercato equindi le potenzialità del lavoro diviso. La globalizzazione rende possibile laspecializzazione produttiva, consente di migliorare le possibilità di consumo eproduzione attraverso lo scambio volontario, e agevola il conseguimento di beneficiper l'individuo e la collettività a cui appartiene. Fu proprio David Ricardo adimostrare per primo che i vantaggi economici del libero scambio potevano essereacquisiti anche da quei paesi le cui imprese erano relativamente meno efficienti nellaproduzione di tutti i beni rispetto ai propri partners commerciali potenziali. In sintesi,l’affermazione della globalizzazione permette ai sistemi economici di acquisire imassimi vantaggi statici dal commercio a seguito di una più ottimale allocazione deifattori produttivi (capitale e lavoro).A differenza di un regime fondato sulla non globalizzazione, la progressivaintegrazione fra i mercati reali consente di acquisire numerosi e ancor più rilevantiguadagni dinamici che favoriscono l'aumento dell'attività di produzione e di consumoe quindi del benessere collettivo. In particolare, avendo la possibilità di sfruttare iprocessi di accentramento e delocalizzazione degli impianti produttivi, avendo lapossibilità teorica di produrre per l’intero globo, la globalizzazione consente a tutte leimprese di diventare "multinazionali" e di realizzare più compiutamente economienella scala produttiva ed economie nell’apprendimento di nuove conoscenze. Cioé diabbattere l'incidenza dei costi unitari di produzione; di accelerare il trasferimento ditecnologia per stimolare l'attività economica in aree storicamente caratterizzate darelativa arretratezza ma da elevati rendimenti potenziali; di realizzare una riduzione

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dei costi attraverso processi di "learning by doing". La diffusione delle conoscenze eil trasferimento della tecnologia sono dunque più facili all'interno di un regimeglobale, mentre risultano più ardue se non addirittura impossibili in un regimefondato sulla non globalizzazione. Inoltre, la globalizzazione produce una riduzionedei costi associati all'attività di scambio (i cosiddetti costi di transazione) attraversoun uso più efficiente delle informazioni e degli strumenti di intermediazione degliscambi (a seguito, ad esempio, della progressiva eliminazione del numero dellemonete in circolazione). Infine, si ritiene che l'esistenza di mercati integrati consentedi abbattere i costi (spesso non facilmente quantificabili) indotti dalla attività diricerca di protezioni, di favoritismi e di altre forme di discriminazione e direpressione della concorrenza. Fra i quali i costi connessi all'attività di lobbying, allaricerca di rendite personali (rent-seeking), e alla corruzione del personale politico.In definitiva, se globalizzare significa eliminare le esistenti restrizioni al commercio eallo scambio fra soggetti economici appartenenti a paesi diversi, i processidecisionali, legislativi, culturali etc. che portano alla creazione di un mercato globaleconsentono di realizzare un aumento della produttività di lavoro e capitale, e quindidel benessere e della ricchezza.Vediamo quali sono le principali argomentazioni avanzate dagli economisti contro laglobalizzazione reale. Esse coincidono con quelli che sono ritenuti i principalivantaggi del protezionismo. Abbiamo detto che, come tutte le regole, anche questostrumento affidato ai lumi del legislatore e dell'autorità di politica economicaammette alcune eccezioni che l'economista può contribuire a definire. NuovamenteSmith, Ricardo e gli altri economisti classici seppero dedicare riflessioni importanti aqueste tematiche che altri autori hanno successivamente ripreso e arricchitonell'evidenza empirica e nelle elaborazioni teoriche. In generale, si può dire che unregime fondato sulla libertà di commercio e sulla globalizzazione reale puòammettere restrizioni commerciali e misure protezionistiche nel caso di settoriconsiderati strategici (ad esempio la difesa del territorio nazionale o, in tempi piùrecenti, la tutela dell'ambiente); nel caso di settori nascenti (nei quali le potenzialitàeconomiche non possono essere pienamente sfruttate a causa della mancanza delleeconomie di apprendimento); nel caso di settori soggetti a forme diverse diconcorrenza sleale e operanti in mercati inefficienti. E' vero che, con una certapreveggenza, gli economisti classici giudicarono con scetticismo e riserve l'esistenzadi uno Stato lungimirante che fosse effettivamente capace di discernere fra settoristrategici e non, fra attività nascenti e non, fra imprese colpite da comportamentisleali e discriminanti tali da impedire il loro ingresso sui mercati internazionali. Matant'è, almeno in questi casi, gli economisti classici riconobbero che un processoimmediato e perfetto di integrazione commerciale avrebbe potuto produrre un saldonegativo fra i benefici attesi e i costi affrontati.Passiamo ora al caso della globalizzazione finanziaria.Anche in questo caso, gli economisti si sono sforzati di definire con precisione unagriglia di costi e di benefici associati al fenomento dell'integrazione fra mercati neiquali si scambiano attività e prodotti caratterizzati da un grado più o meno elevato diliquidità. La conoscenza del pensiero di Smith e Ricardo può essere illuminante, se

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non altro per giungere alla conclusione che in materia di globalizzazione finanziaria ilverdetto emesso dai fondatori della scienza economica è sempre stato assai menonetto e assoluto rispetto a quanto avveniva sul versante della globalizzazione reale5: illaissez faire assoluto in materia di globalizzazione finanziaria non è una sceltauniversalmente auspicabile e i soggetti economici sono perfettamente razionaliquando manifestano una spiccata tendenza a privilegiare l’acquisto di attivitàfinanziarie interne pur in presenza di un differenziale favorevole nei rendimentiofferti dalle attività finanziarie estere (cioè quando l’investitore segue il cosiddettohome bias approach). Si tratta di una conclusione che è tuttora condivisa da moltieconomisti e su cui è necessario soffermarsi brevemente6.Occorre precisare preliminarmente che se i protagonisti della globalizzazione realesono, in ultima analisi, le imprese e i consumatori, i protagonisti della globalizzazionefinanziaria devono essere identificati nei risparmiatori. Sono loro che, seppureinfluenzati dal comportamento di alcuni soggetti (i cosiddetti "raiders") o dai consigliforniti dagli intermediari finanziari (banche, fondi di investimento, promotorifinanziari) muovono la finanza internazionale e trasmettono l'ordine di investimento(o disinvestimento) che gli intermediari finanziari portano ad esecuzione. Vacomunque sottolineato che, in misura sicuramente maggiore rispetto allaglobalizzazione reale, gli intermediari o alcuni particolari soggetti sono in grado dipossedere o acquisire a costi minori informazioni rilevanti sull'andamento dei mercatifinanziari.Detto questo, esaminiamo quali sono i principali benefici economici che vengonocomunemente associati a un incremento della globalizzazione finanziaria e quindi auna maggiore facilità di mobilizzare e trasferire le proprie attività patrimonialiall'interno di un mercato reso più ampio dalla globalizzazione.Sul versante dei vantaggi statici, per definizione, la globalizzazione finanziariaaccresce la mobilità del risparmio e dei fondi mutuabili, che finiscono dunque perperdere il loro contatto esclusivo con lo Stato di appartenenza. Questa maggioremobilità dei capitali permette di acquisire rendimenti più elevati per i propriinvestimenti e di sfruttare opportunità di impiego più profittevole. Ciò contribuisce auna migliore allocazione delle risorse finanziarie dei soggetti economici, resapossibile dalla accresciuta capacità di diversificazione del portafoglio finanziario.Inoltre, anche la globalizzazione finanziaria permette di conseguire benefici staticiper la maggiore capacità degli intermediari di specializzarsi nella produzione diservizi finanziari dove la loro produttività è relativamente maggiore rispetto a quelladei concorrenti internazionali.In secondo luogo, il processo di integrazione dei mercati dei capitali rendeprogressivamente meno stringente il vincolo stabilito dall'uguaglianza fra risparmio einvestimento interno. In un'economia chiusa, evidentemente, questo vincolo èinsuperabile. L'impossibilità di realizzare investimenti privati in mancanza di unprecostituito stock di risparmi disponibili finisce per soffocare le potenzialità disviluppo delle aree arretrate, prive come sono di capitali originariamente accumulati 5 Su questo aspetto rinviamo a Asso (2002).6 Obstfeld (1998); Bird and Rajan (2001).

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o di un efficiente sistema di intermediazione finanziaria. Al contrario, questo vincolopuò essere rimosso in presenza di maggiore integrazione fra i mercati finanziari.Storicamente numerosi sono i sistemi economici che sono stati in grado di ridurre e dieliminare il differenziale nei tassi di crescita e di avviare processi dinamici di"catching up" nei confronti delle aree maggiormente sviluppate, grazieall'investimento di capitali stranieri e a decisioni di delocalizzazione produttiva resepossibili dalla globalizzazione finanziaria. In questa ottica, episodi virtuosi diglobalizzazione finanziaria si verificarono in Italia negli ultimi decenni dell'800,quando il processo di industrializzazione fu efficacemente sostenuto dalla presenza diuna rete di nuove istituzioni bancarie a capitale prevalentemente franco - tedesco.E' stato anche sostenuto, sempre sul fronte dei vantaggi, che l'esistenza diglobalizzazione finanziaria stimola l'adozione di comportamenti ispirati al rigore eall'efficienza da parte delle autorità di politica economica. Il mercato premia i paesivirtuosi e boccia quelli che hanno sistemi economici e politici non in regola. Ciò siverifica perché i risparmiatori tendono a valorizzare maggiormente imprese e paesi icui conti economici sono in ordine e i cui programmi di sviluppo sono realistici epromettenti; al contrario tendono a penalizzare (e quindi a disincentivare)comportamenti e politiche economiche orientate all'inefficienza, allo spreco, allacorruzione, al clientelismo. Quindi, governi e soggetti economici sottoposti a unregime di globalizzazione finanziaria acquisiscono credibilità, reputazione e capacitàdi attirare investimenti esteri soltanto se dimostrano con i loro comportamentieffettivi di meritare la fiducia degli investitori, non tradendola con comportamentiirresponsabili e dissoluti.Infine, fra i vantaggi della globalizzazione finanziaria viene spesso menzionata lacircostanza che, nell'epoca del trionfo delle tecnologie informatiche, tutte le politicheorientate al controllo e alla repressione dei movimenti internazionali dei capitali sonoinevitabilmente destinate al fallimento, soprattutto se esse vengono applicateunilateralmente da un paese o da un gruppo circoscritto di paesi. Ad esempio,l'efficacia del ricorso alla celebre Tobin tax per disincentivare i movimenti di capitalea breve termine è spesso ritenuta debole e insufficiente (anche dal suo stesso autore):tassare le transazioni finanziarie in funzione diretta rispetto alla loro velocità (e cioèaliquote elevate se l'investimento iniziale ha breve durata) finisce per avere scarsosignificato in presenza di una elevata volatilità delle quotazioni (che alimentanoaspettative di elevati margini di guadagno) e in assenza di una coesioneinternazionale che riduca gli incentivi ad evaderla. L'esistenza di zone off-shore (icosiddetti “paradisi fiscali”) e di resistenze alla armonizzazione delle aliquote ancheall'interno di regimi fondati sull'Unione economica e monetaria, indebolisconofortemente gli effetti repressivi della Tobin tax. In definitiva, se è bassa l'efficienzadei provvedimenti di politica economica che hanno l'obiettivo di ridurre il livello diglobalizzazione finanziaria, l'abolizione dei controlli e delle restrizioni diventa un attoinevitabile che peraltro consente risparmi di risorse e minori occasioni di generarecosti di transazione a danno dello sviluppo di nuove attività economiche. Per di più,alcuni studiosi ritengono che se il mercato finanziario tornasse a essere represso dalle

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autorità di politica economica è verosimile che ciò comporterebbe un incrementodella corruzione e della speculazione [Byrd 1998].Fin qui abbiamo esaminato le principali fonti di guadagno prodotte dalla creazione diun mercato finanziario globale. Tuttavia, soprattutto sul versante dei costi, laglobalizzazione finanziaria può produrre distorsioni e distruzioni della ricchezza dinotevole entità e durata temporale tali da neutralizzare i benefici prodottidall'integrazione.In primo luogo, molti osservano che la relazione che esiste fra la liberalizzazione deimovimenti di capitale a breve termine e tasso di crescita del reddito sia debole e pocodimostrata da un punto di vista empirico, a differenza di quanto invece si verifica sulversante degli scambi internazionali di merci e servizi. Molto spesso gli investimentifinanziari a breve termine non vengono distribuiti in maniera efficiente; non vengonoimpiegati laddove il rendimento è più elevato; non generano un corrispondenteaumento degli investimenti reali. Quando poi effettivamente si verifica, il guadagnoin termini di maggiore efficienza nella allocazione delle risorse non compensal'aumento dei rischi provocati dalla deregolamentazione e dalla liberalizzazione deimercati finanziari. Questi ultimi non sono meccanismi perfetti ma vengono semprepiù influenzati da ondate improvvise di ottimismo e pessimismo, e dall'impiego distrumenti speculativi sempre più raffinati. Quindi l'evidenza empirica convalida lasensazione che i capitali non seguono i cosiddetti "fondamentali" dell'economia (ecioè la crescita del reddito, lo sviluppo degli investimenti o della produttività dellavoro) quanto piuttosto la moda, le influenze psicologiche o i comportamenti deiraiders7.In secondo luogo, si ritiene che la libertà nei movimenti di capitale genera instabilitàeconomica e alimenta sentimenti di incertezza che finiscono per deprimere gliinvestimenti e per generare situazioni di crisi dei sistemi bancari e dei mercatiazionari. E' un dato di fatto che la recente esplosione nei movimenti internazionali deicapitali negli ultimi 15 anni sia attribuibile soprattutto agli investimenti di portafogliopiuttosto che agli investimenti diretti all'estero, il cui impatto sulla crescita del redditoe dell'occupazione è maggiore. Dai dati pubblicati periodicamente dal FondoMonetario Internazionale, emerge che su scala mondiale il rapporto investimenti diportafoglio / prodotto interno lordo è aumentato sensibilmente dal 2% nel 1885 aoltre il 10% nel 1998, mentre nello stesso periodo gli investimenti diretti all'esteromostrano una dinamica più contenuta, crescendo dal 2 al 4%.In terzo luogo, la globalizzazione finanziaria è associata al manifestarsi del rischiomorale e delle asimmetrie informative che, con maggiore frequenza, si verificanoquando il mercato dei capitali progressivamente diventa unico. Si ha una situazione dirischio morale quando gli operatori non prendono le dovute precauzioni perminimizzare i rischi che affrontano nell'acquistare titoli che garantiscono un piùelevato rendimento nominale. Ciò avviene perché chi effettua l'investimento sa cheesiste una forma implicita di assicurazione che lo tutela dal rischio di insolvenza daparte dell'ente che ha emesso il titolo ad elevato rendimento. Queste forme di

7 Bird (1998).

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assicurazione fanno sì che gli operatori assumano quantità di rischio eccessive chealimentano a loro volta l'instabilità dei mercati e del sistema finanziario. Nel passato,ad esempio, il Fondo Monetario Internazionale, come prestatore di ultima istanza, èstato spesso accusato per aver fornito questa assicurazione implicita contro il rischiodi insolvenza, stimolando in questo modo comportamenti eccessivamente rischiosi daparte degli investitori internazionali e comportamenti poco illuminati da parte degliStati che non si assumono i costi politici per effettuare le riforme indispensabilialimentando l'instabilità dei propri "fundamentals" (quali ad esempio il disavanzopubblico o il tasso d’inflazione).Il problema delle asimmetrie informative, invece, insorge quando non tutti glioperatori dispongono dello stesso livello di informazione sulle condizioni del prestitoe, più in generale, del sistema economico e delle attività patrimoniali che lorappresentano (azioni, obbligazioni, strumenti derivati) e che il risparmiatore è ingrado di scegliere per effettuare i propri investimenti sul mercato globale. Ciò puòverificarsi perché le informazioni sono carenti, oppure sono state artatamentemanipolate oppure, quando le informazioni esistono e sono attendibili, risultanotroppo costose da acquisire. Anche in questo caso si verifica la tendenza a prestarefondi in eccesso che però vengono immediatamente ritirati quando gli investitoriacquisiscono l'informazione mancante o l'informazione corretta. Inoltre, in presenzadi ineguale accesso alle informazioni, i soggetti economici tendono a seguirepassivamente il comportamento di un investitore leader, determinando il cosiddetto"effetto gregge" che, prima o poi, con il modificarsi delle aspettative, sconvolge lastabilità dei mercati. Quindi l'esistenza di asimmetrie informative, così come lapresenza del rischio morale, genera eccessi di comportamenti rischiosi e speculativi,che producono instabilità e volatilità nei movimenti internazionali dei capitali che, aloro volta, possono provocare crisi finanziarie che colpiscono intermediari finanziarie risparmiatori. Queste turbolenze che colpiscono il sistema finanziario di un paese sipropagano rapidamente fino a contagiare i sistemi finanziari di altri paesi (effettispillover) come è per esempio accaduto nel caso della crisi messicana del 1994(Tequila effect) o di quella thailandese di tre anni dopo.In quarto luogo, sempre parlando dei possibili costi, la presenza della globalizzazionefinanziaria può indebolire la capacità dei governi di imporre decisioni di politicaeconomica. Ad esempio, in presenza di trattamenti fiscali difformi, i soggettieconomici sono maggiormente in grado di evadere legalmente le proprie obbligazionie di neutralizzare gli effetti di una politica monetaria restrittiva. Inoltre, se alcunifattori produttivi (capitale, lavoro) diventano perfettamente mobili, vi sarà latendenza a trasferire l'incidenza della tassazione su quelli che restano immobili (qualiad esempio la terra o le proprietà immobiliari) creando distorsioni nella distribuzionedel reddito e nella politica fiscale. Anche a seguito di questa ridotta efficacia dellapolitica economica, molti osservatori affermano che la globalizzazione finanziaria hasensibilmente contribuito alla crescita delle ineguaglianze e della povertà su scalamondiale8.

8 Si vedano Tanzi (1998 e 2000) e Stiglitz (2001).

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Infine, in quinto luogo, in presenza di forte integrazione dei mercati finanziari, si èregolarmente verificato, oggi come nel passato, il crollo nei trasferimenti pubblici dicapitali per motivi umanitari e il naufragio di tutti i progetti di assistenzainternazionali elaborati a favore di particolari aree sottosviluppate o di sistemieconomici in transizione. Dai dati pubblicati dalla Global Development Finance,emerge che i finanziamenti ufficiali a favore dei paesi in via di sviluppo sonodrasticamente diminuiti nel corso degli anni novanta sia in termini assoluti che intermini relativi, passando da 56 a 30 miliardi di dollari, e crollando dal 64 al 10% deifondi complessivamente investiti in queste aree. Fra i costi della globalizzazionefinanziaria vanno dunque annoverati i mancati benefici attribuibili a una più incisivaazione di assistenza finanziaria che gruppi di stati hanno svolto nel passato perfavorire la crescita e la ripresa di aree economiche arretrate o quando queste vengonosconvolte da particolari eventi esogeni, come guerre, epidemie etc.A seguito di tutte queste tipologie di costo, la liberalizzazione dei movimenti dicapitale è spesso coincisa con un forte aumento dei rischi connessi alla crisi deisistemi bancari e alla propagazione di queste crisi anche a danno di sistemi finanziaristrutturalmente più solidi. In altre parole, si è assistito a un forte aumentodell'instabilità (dei mercati), della volatilità (dei corsi degli strumenti finanziari) edell'incertezza (del clima economico) a detrimento delle decisioni di investimento edi consumo e quindi della crescita del sistema economico. Lo scoppio di una crisifinanziaria è considerato un evento molto più dannoso e costoso rispetto allo scoppiodi una crisi dell'economia reale quando uno shock da domanda o da offerta colpisceun particolare settore produttivo (ad esempio, il settore delle automobili). Il costo intermini di risorse impiegate per il salvataggio di un sistema finanziario o bancario èenorme e la crisi finanziaria tende a propagarsi rapidamente quando, ad esempio,viene meno la fiducia in una moneta o nella solidità di particolari attività finanziarie(azioni, obbligazioni del debito pubblico etc.). E nel mercato dei capitali la fiducia èun bene essenziale molto difficile da riconquistare e riprodurre. Un paese puòsopravvivere al fallimento di un'impresa o di un'industria, ma difficilmente puòsopravvivere al fallimento di una grande banca o di un sistema finanziario.Ultima questione relativa ai costi della globalizzazione finanziaria: come sideterminano questi effetti contagio? Perché una crisi finanziaria che colpisce unpaese tende a propagarsi rapidamente e a colpire altri mercati finanziari mentre se unacrisi economica colpisce un paese non necessariamente altri paesi vengono(immediatamente) coinvolti?In una situazione di globalizzazione finanziaria esistono numerosi canali ditrasmissione di una crisi da un paese a un altro. Esaminiamone due:1. supponiamo che le prospettive di sviluppo di un paese emergente (ad es. il

Messico) siano state indebolite da un particolare shock esterno (un colpo di stato,la mancata attuazione di politiche economiche adeguate ai problemi economiciinterni etc.). Gli investitori internazionali perderanno la loro fiducia nei confrontidel Messico e ritireranno i fondi che avevano investito sul mercato finanziariomessicano (titoli e azioni), mettendo sotto pressione la moneta messicana. Benpresto si assisterà al crollo del valore del peso messicano sul mercato dei cambi, e

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l'economia messicana si ritroverà ad avere improvvisamente un formidabilevantaggio competitivo nei confronti di tutti gli altri paesi (es. Argentina, Brasileetc.) con i quali ha intensi flussi di commercio internazionale. Sul mercato deicambi si formeranno aspettative che anche questi paesi, prima o poi, andranno incrisi non potendo sostenere lo svantaggio competitivo che si è determinato aseguito della svalutazione del peso messicano. Le monete di Argentina e Brasileandranno sotto pressione e, molto spesso, l'esistenza di queste aspettativeprovocherà il forzato deprezzamento delle altre monete. La crisi valutaria che hacolpito il Messico si propaga rapidamente fino a contagiare Brasile e Argentina,ma ben presto altre monete subiranno lo stesso destino;

2. supponiamo che a seguito di una crisi che ha colpito le azioni e le obbligazionimessicane le banche internazionali vedono ridursi il valore degli investimenti intitoli messicani che detengono nel loro portafoglio. Supponiamo inoltre che questebanche abbiano acquisito titoli messicani a garanzia "collaterale" della loro attivitàdi prestito alla clientela. Uno dei modi per ripristinare il valore del collaterale edevitare crisi di liquidità è quello di ridurre l'esposizione delle banche nei confrontidi altri paesi, strutturalmente più solidi del Messico. Così facendo le bancheinternazionali cominceranno a vendere titoli di stato emessi da Stati Uniti,dall'area dell'Euro o da altri paesi contribuendo significativamente alla diffusionedella crisi finanziaria e all'effetto contagio.

3. A proposito di alcuni problemi di "governance" della globalizzazione

Una delle conclusioni a cui siamo giunti è che la teoria economica ha evidenziatol’esistenza di costi della globalizzazione reale e ancor più della globalizzazionefinanziaria. Questi costi potrebbero essere contenuti da una più efficace azione digoverno della globalizzazione. Ed è a questo argomento che noi ora volgiamo lanostra attenzione. Prima di affrontare il problema della regolamentazione dellaglobalizzazione, rispondiamo ad alcuni quesiti preliminari:? Possiamo dire che attualmente viviamo in un regime di globalizzazione dei

mercati reali e finanziari?? Possiamo dire che gli strumenti di discriminazione fra prodotti e gli strumenti di

distorsione dei prezzi internazionali che determinano de facto una segmentazionefra mercati sono stati effettivamente eliminati?

? E' ancora utile, da un punto di vista empirico e operativo, la distinzione fraglobalizzazione reale e globalizzazione finanziaria?

Occorre dire che il tema della misurazione del livello effettivo raggiunto dallaglobalizzazione alla fine del XX secolo ha appassionato gli studiosi e numeroseindagini empiriche stanno tentando di fornire risposte adeguate a questeproblematiche9. Queste ricerche tendono a rispondere negativamente alle prime duedomande e positivamente alla terza. In generale, si afferma che la globalizzazione ha

9 Rodrik (1997 and 2000); Bird and Rajan (2001).

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proceduto a due velocità: essa è stata assoluta e improvvisa nel mercato dei capitalidove ha interessato la quasi totalità dei paesi e la quasi totalità dei prodotti finanziarioggetto di scambio. Negli anni novanta, i movimenti internazionali dei capitali sonodiventati la manifestazione più evidente di ciò che comunemente si intende perglobalizzazione. Al contrario, nel mercato dei prodotti e dei servizi, il livello effettivodi globalizzazione è rimasto relativamente modesto seppure progressivamentecrescente se si pensa che soltanto un numero ristretto di paesi (circa 20) e di settoriproduttivi (pari al 30% del prodotto mondiale) può dirsi veramente coinvolto.Risultati così difformi trovano una possibile spiegazione nelle cause esterne chehanno prodotto accelerazioni e ritardi nel processo di creazione del mercato globale eche abbiamo richiamato in precedenza. Nel caso della globalizzazione finanziaria,infatti, è possibile identificare un mix fra responsabilità politiche e shocks di tipotecnologico. Fra le prime si devono considerare i processi di liberalizzazione deimovimenti di capitale imposti su scala mondiale dal connubio Wall Street - FondoMonetario Internazionale, oppure la ripresa dello spirito europeistico che avvenne apartire dalla seconda metà degli anni ottanta, con la conseguente abolizione deicontrolli sui movimenti valutari. Resta il fatto che, fino agli anni 80 e con l'eccezionedi Usa e Germania, molti paesi avevano adottato legislazioni restrittive sui movimentidi capitale, che furono abolite in tutti i paesi avanzati e in buona parte dei paesi in viadi sviluppo. La liberalizzazione finanziaria, è bene precisarlo, è stata pressochèassoluta, nel senso che mentre il commercio di merci, anche se è giuridicamente"libero" da tariffe e contingenti, può venire condizionato da regolamentiamministrativi, clausole contrattuali e altre forme di discriminazione, la moneta e icapitali quando vengono liberalizzati è difficile "ingabbiarli". Fra le causetecnologiche, il ritmo di accelerazione nell'integrazione è stato sicuramente resopossibile dalle innovazioni tecniche e informatiche che hanno rivoluzionato ilfunzionamento dei mercati finanziari, il loro grado di interdipendenza, lo scambiodelle informazioni e l'impatto che le informazioni hanno nella determinazione deiprezzi. Nel caso invece della globalizzazione reale le decisioni politiche hannomantenuto un'importanza relativamente superiore, e l'incremento nel livello diliberalizzazione è sempre stato guidato dall'alto, tenuto sotto controllo, e direttosoprattutto alla convenienza dei soggetti economici dotati di maggiore potere einfluenza.In particolare, negli ultimi decenni, la globalizzazione reale ha preso la forma di:? una forte discesa del protezionismo tariffario soprattutto nei settori industriali

caratterizzati da alto valore aggiunto e da elevato contenuto tecnologico cheinteressano gli scambi che avvengono fra paesi economicamente avanzati;

? una modesta riduzione del protezionismo tariffario e non tariffario su produzionitipiche dei paesi in via di sviluppo e in particolare nel settore agricolo e nei settoriindustriali a basso valore aggiunto e, almeno inizialmente, una modesta riduzionedel protezionismo sui servizi oggetto di commercio internazionale;

? una forte crescita del rapporto fra le esportazioni mondiali e il Pil, a testimonianzache la crescita della ricchezza e del benessere è fortemente dipendentedall'aumento dell'interscambio commerciale. Se si confrontano gli anni cinquanta

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con gli anni novanta del secolo scorso, si ha immediatamente la percezione delmaggior livello di integrazione e di apertura: infatti, nel 1950, questo rapporto,calcolato a prezzi costanti, superava appena il 6%, mentre nel 1995 era giunto al16%. Rispetto al 1950, sempre in termini reali, le esportazioni erano cresciute diben 20 volte, mentre il Pil era aumentato di circa 8 volte (Rodrik 2000, p. 178).

Già da questi dati è possibile notare una contraddizione che questi studi hannocontribuito a evidenziare10. La globalizzazione "sana", cioè quella che crea aumentinella produttività nei fattori e nella ricchezza, è un fenomeno ancora tutto sommatoincompleto, geograficamente circoscritto, che pare aver avvantaggiato soprattutto leeconomie più avanzate e particolari settori o gruppi di imprese. Al contrario laglobalizzazione più rischiosa, quella che nel giudizio degli economisti e degli storicieconomici non ha ancora acquisito meriti incontrovertibili in materia di creazione dimaggiore ricchezza e produttività, sembra essere ormai imperante, è effettivamenteestesa a tutto il globo, e resta difficilmente governabile da parte delle istituzioninazionali e internazionali. Tradotto in termini quantitativi, le transazioni giornaliereaventi un carattere puramente finanziario superano di oltre 50 volte le transazionigiornaliere aventi un carattere reale e hanno raggiunto un ammontare superiore ai2000 miliardi di dollari: cioè per ciascun dollaro che viene scambiato per acquistarebeni e servizi, più di 50 vengono utilizzati per acquistare attività finanziarie. Se siosserva questa realtà da un'altra prospettiva, l'ammontare di liquidità internazionaleinvestita sui mercati finanziari è invece superiore di beni quindici volte rispettoall'ammontare complessivo delle riserve ufficiali detenute da tutte le banche centrali,rendendo del tutto vana la possibilità di intervento anche concertato a difesa di unaparticolare valuta del sistema monetario internazionale.Molte sono le proposte avanzate dalla letteratura specializzata per ridurre questosquilibrio fra globalizzazione reale e globalizzazione finanziaria, migliorare la qualitàdella globalizzazione reale, riducendo i rischi di quella finanziaria. Si possonofrequentemente leggere suggerimenti e proposte per creare una World FinancialOrganization o una World Financial Authority che abbiano compiti di sorveglianza eregolamentazione dei mercati e delle istituzioni finanziarie al fine di garantire ilrispetto di comportamenti ispirati alla prudenza e al contenimento dei rischi. Vi è chiha proposto l'istituzione di una World Tax Organization e chi ha sostenutol'opportunità di dar vita a una Global Environmental Organization per affrontare,rispettivamente, le dimensioni internazionali dei problemi collegati all'imposizionefiscale per disincentivare comportamenti economici rischiosi o il problema deldeterioramento ambientale. Altri più semplicemente hanno proposto di rafforzare larete istituzionale esistente (il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale,l'Organizzazione Mondiale del Commercio), rendendola più sensibile ai problemi cheil processo di globalizzazione ha contribuito ad esacerbare in materia di distribuzionedella ricchezza, instabilità finanziaria o di lotta alla povertà.Nella parte restante di questo lavoro ci occuperemo della Organizzazione mondialedel commercio (o World Trade Organization, Wto) che è stata costituita nel 1995 a

10 Bird and Rajan (2001).

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conclusione dell'Uruguay round. In particolare, ci proponiamo di illustrare quali sonole principali funzioni del Wto, i suoi poteri, i risultati prodotti nel corso dei primicinque anni di attività, e alcune riforme che sarebbe necessario introdurre perregolamentare in maniera più efficace la globalizzazione.Il Wto costituisce la sede di negoziati commerciali multilaterali e di confronto fra gliStati riguardo al processo della globalizzazione reale. Nel suo ambito si realizzanonuovi negoziati che producono accordi commerciali fra paesi membri e ci siconfronta in merito all'interpretazione e all'applicazione degli accordi commercialiraggiunti.Il Wto rappresenta il risultato di un lungo processo di consolidamento e di sviluppodelle relazioni economiche internazionali fondate sui principi della liberalizzazione,del multilateralismo e della non discriminazione. Storicamente l’idea di creare unacornice istituzionale per regolamentare i rapporti commerciali internazionali nascecon il processo di ricostruzione postbellica e trova nella costituzione del Gatt unprimo tentativo di soluzione. Infatti, la prospettiva di cedere sovranità nazionale afavore di istituzioni internazionali in materia di politica commerciale portò allasottoscrizione, nel 1947, di un Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GeneralAgreement on Tariffs and Trade, Gatt). Il Gatt rappresentò il primo tentativo diricostituzione di un ordine economico internazionale su scala globale che contribuisseal superamento dei traumi che erano state prodotti da oltre 15 anni di guerrecommerciali, di discriminazioni e di accordi bilaterali fondati sul baratto e sugliscambi amministrati.Nella sua formulazione iniziale il Gatt si caratterizzò per la presenza di pochi paesi (ipartecipanti iniziali erano poco più di 20), per la possibilità di intervenire su pochistrumenti della politica commerciale (fondamentalmente gli strumenti di prezzo, cioèi dazi e la tariffa), e su pochi settori (fondamentalmente i settori manufatturieriavanzati); e per l'esistenza di forti carenze in materia di disciplina e risoluzione dellecontroversie commerciali fra paesi membri.Seppure condizionato da questi limiti strutturali, il Gatt esercitò queste sue funzioninel corso di una serie di "rounds" durante i quali i paesi membri approvarono accordiche, come detto, riuscirono a determinare una riduzione significativa nelle tariffemedie sullo scambio dei prodotti industriali avanzati.Sotto tutti gli altri aspetti il Gatt si rivelò un esperienza fallimentare: per quantoriguarda i paesi poveri e quelli in via di sviluppo, ad esempio, i settori economicitradizionali (l'agricoltura, l'industria tessile) che potevano essere occasione di crescitae sviluppo dei paesi poveri restarono a lungo al di fuori del processo diregolamentazione internazionale affidato al Gatt. L'applicazione di contingenti erestrizioni quantitative fu formalmente proibita, anche se si introdusse una clausolache le ammettevano nel caso generico in cui "le importazioni minacciavano discardinare il mercato interno". La possibilità di effettuare politiche di dumping dellaproduzione nazionale e di sovvenzionare direttamente le esportazioni furono ridotte.Inoltre, in occasione delle recessioni internazionali che furono originate dai dueshocks petroliferi, il processo di crescita del multilateralismo e di riduzione delle

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discriminazioni prodotte dal protezionismo amministrativo e dalle barriere nontariffarie sembrò arrestarsi bruscamente.Resta il fatto che, per superare queste e altre deficienze e per ridurre l’incapacità delGatt di intervenire su nuovi settori e su nuove forme di protezionismo commerciale,nel corso dell'Uruguay round (1995) si procedette alla costituzione del Wto che findall'inizio raccolse l'adesione di un gran numero di paesi. Oggi sono ormai più di 140che complessivamente coprono oltre il 90% del commercio mondiale.Se il Gatt era un contratto volontario sottoscritto fra i paesi partecipanti, sin dalla suaconfigurazione iniziale al Wto fu attribuita la capacità di imporre ai suoi membriobblighi più vincolanti ed esecutivi. Si stabilì che la nuova istituzione avrebbe avutoampia possibilità di intervento su settori nuovi e tradizionali dell'attività economica(compresi i servizi, i diritti di proprietà intellettuale, e gli investimenti direttiall'estero), su qualsiasi strumento di politica commerciale (comprese le barriere nontariffarie e le barriere amministrative), nonché una nuova disciplina dei meccanismidi risoluzione delle controversie che ha comportato un sensibile rafforzamento deisuoi poteri di arbitrato e di sanzione dei comportamenti non conformi agli accordisottoscritti.Quali sono dunque le principali funzioni della nuova organizzazione?In termini generali il Wto è un'istituzione che opera per ridurre i rischi di reversibilitàdel processo di globalizzazione. Infatti, negli anni venti del secolo scorso, lamancanza di una solida cornice istituzionale che garantisse la sopravvivenza delprocesso di globalizzazione è stata ritenuta una delle cause della sua interruzionetraumatica, del crollo del commercio estero e della crisi economica mondiale.Il principio cardine dell'ordinamento del Wto è quello di favorire la liberalizzazionedel commercio internazionale attraverso l'abbattimento dei costi economici e non delprotezionismo. Alcuni studi recenti hanno calcolato che i costi del protezionismosono tuttora molto elevati, se si pensa che i consumatori dei paesi ricchi pagano circa400 miliardi di dollari l'anno per sovvenzionare produzioni agricole locali chealtrimenti non reggerebbero la concorrenza internazionale e se si pensa chel'eliminazione delle barriere su prodotti tessili e dell'abbigliamento potrebbe produrreun aumento del benessere mondiale pari a 50 miliardi di dollari l'anno (fonte Oecd).Sulla base di queste considerazioni, dalla sua nascita il Wto ha tentato di imprimereuna forte accelerazione al processo di liberalizzazione dei mercati internazionali. IlWto ha incoraggiato la riduzione delle tariffe e la sostituzione delle restrizioniquantitative con restrizioni tariffarie (il cosiddetto processo di tariffazione), comepreludio alla più completa liberalizzazione degli scambi11.Per realizzare questo processo di liberalizzazione delle transazioni, il Wto stabilisceprotocolli che prevedono l'applicazione e il rispetto di nuovi procedimenti per ridurrele barriere tariffarie e non tariffarie che tuttora colpiscono i prodotti oggetto discambio internazionale. Questi protocolli devono essere approvati all'unanimità per

11 Il Wto ha fatto proprie le conclusioni del dibattito teorico sulla "non equivalenza" fra tariffe e contingenti, che si èconcluso a favore della preferenza per gli strumenti di prezzo rispetto agli strumenti quantitativi. Le principalimotivazioni di questa preferenza sono fondate sulla minore discriminazione, sulla maggiore efficienza, e sui minoriincentivi di rent seeking che le tariffe garantiscono rispetto ai contingenti.

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poi essere applicati all'interno degli ordinamenti nazionali dei paesi membri egeneralmente stabiliscono tempi ben definiti per l'introduzione delle nuove misure dipolitica commerciale, in modo da evitare traumatici processi di aggiustamento indottida una esposizione improvvisa di un settore alla concorrenza internazionale. Unavolta approvati, la loro validità è estesa a tutti i paesi membri pena la comminazionedi sanzioni o l'esclusione dall'Organizzazione. Il Wto opera quindi all'interno di unprocesso decisionale non particolarmente snello e la cui efficacia rischia di esserefortemente ridimensionata dalla continua richiesta dell'unanimità dei consensi.Quando ciò non avviene, il processo decisionale e il trasferimento di nuovi poterisotto la giurisdizione del Wto si interrompe, come è avvenuto nel corso del recentefallimento del Seattle round. Tuttavia, il meccanismo dell'unanimità è stato fino adora difeso e mantenuto, anche perché esso determina, da un lato, un forte aumento delpotere contrattuale dei paesi membri appartenenti alle aree economicamente menosviluppate e, dall'altro, permette ai paesi ricchi di negoziare contemporaneamente contutti i principali partners commerciali.Un altro aspetto innovativo dei processi decisionali condotti all'interno di questaistituzione è che tutti gli accordi elaborati dal Wto vengono negoziati secondo ilprincipio dell'impegno unico e con il rispetto della clausola del trattamento nazionalee della non discriminazione.Il principio dell'impegno unico implica che i paesi membri sono obbligati adesprimersi (accettando o rifiutando) sull'intero accordo che viene sottoposto alla loroapprovazione (e non su singole parti di esso) e sono altresì obbligati a introdurre lenecessarie riforme interne per adeguarsi al contenuto dell'accordo. Con questoprincipio si intende ridurre il ricorso a trattamenti speciali e differenziali a favore diun paese o di un gruppo di paesi che erano invece previsti dal Gatt per rendere piùgraduale il processo di liberalizzazione a tutti gli aggiustamenti strutturali che essocomporta. Esiste ancora la possibilità di ottenere deroghe al principio dell'impegnounico che sono, tuttavia, concesse sulla base di procedure istituzionali molto piùrigide rispetto a quanto accadeva sotto l’egida del Gatt. Per ottenerle è necessarial'approvazione di una maggioranza qualificata del 75% dei paesi membri, l'evidenzadi circostanze eccezionali che le giustificano, la fissazione di una data di scadenza, ela possibilità di sottoporre la decisione di concessione a un riesame periodico.Il rispetto della clausola del trattamento nazionale implica che le imprese e i prodottidei paesi membri devono ricevere lo stesso trattamento che lo Stato riserva alleproprie imprese nazionali in materia di autorizzazioni, regolamenti amministrativi,standards produttivi, imposizione fiscale etc. La presenza del Wto dovrebbecontribuire a "legare le mani" ai governi nazionali, impedendo loro di incorrere nellatentazione di "peccare" concedendo favori, privilegi e sovvenzioni a beneficio deiproduttori nazionali o di speciali gruppi di pressione (questa funzione implicita svoltadal Wto è definita "l'effetto Ulisse").Infine, il rispetto della clausola di non discriminazione implica l'adozione di unapproccio multilaterale che eviti il ricorso a forme di accordi parziali fra gruppi dipaesi membri. Nel caso però in cui alcuni paesi membri decidono di sottoscrivere unaccordo preferenziale (quali ad esempio la costituzione di un'area di libero scambio

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oppure l'ingresso di nuovi paesi all'interno di un'unione economica e monetariapreesistente) il Wto acconsente, ma impone l'obbligo di avviare un processo diarmonizzazione della politica commerciale uniformando barriere tariffarie e nontariffarie al livello più basso fra quelle esistenti a seguito del nuovo accordo. Adesempio, un allargamento a est dell'Unione europea che amplierebbe nei fatti l'area dilibero scambio creata con il Mec e l'atto unico, comporterebbe una liberalizzazioneaccelerata della politica agricola comunitaria, a causa della presenza di nuovi paesimembri che adottano barriere protezionistiche più contenute su un gran numero diprodotti agricoli.Se dunque queste funzioni rappresentano un significativo potenziamento di quelleoriginariamente presenti nel Gatt, che cosa succede se un paese membro non siadegua a questi obblighi e, più o meno consapevolmente, agevola una loro violazioneda parte dei soggetti economici? Una fra le principali novità del Wto è, appunto,costituita dal nuovo meccanismo di risoluzione delle controversie commerciali (ilcosiddetto "dispute settlement process"). Con queste nuove procedure, i paesi membrisono tenuti a risolvere eventuali controversie commerciali in merito all'applicazione oall'interpretazione di un accordo sulla base di un meccanismo rigidamente prestabilitoe valido per tutti.In generale, nella gestione del Dispute Settlement Process, il Wto agisce come unasorta di "authority" del commercio mondiale che ha il compito di interpretare gliaccordi, stabilire i casi in cui si è verificata una loro violazione da parte di paesimembri e determinare le forme sanzionatorie a carico dei colpevoli. Il processo per larisoluzione delle controversie è articolato in numerose fasi "processuali" distinte e icui tempi sono rigidamente prestabiliti. Le principali sono:? L'apertura della controversia: ciò avviene da parte di un paese membro,

eventualmente affiancato da altri paesi membri che ritengono di essere statidanneggiati dalla politica commerciale di un terzo paese che avrebbe commessoviolazioni di un accordo sottoscritto o ritardi nella sua applicazione;

? La ricerca di una soluzione amichevole extragiudiziale ("out of court settlement")? La costituzione di un panel di esperti chiamati alla formazione del giudizio? La formazione e costituzione delle prove? L'emanazione della sentenza? Il ricorso in appello? Il rispetto del dispositivo della sentenza e la sua applicazione? La concessione da parte del Wto di poteri e di strumenti di rappresaglia unilaterale

che il paese vincitore della controversia può applicare a danno della contropartenel caso in cui continui ad esservi contestazione sulla applicazione della sentenzada parte del paese colpevole. Queste misure di compensazione del danno possonoessere applicate a settori diversi, anche se affini, rispetto a quello che ha originatola controversia.

Quali sono i principali risultati prodotti da questo nuovo sistema di risoluzione dellecontroversie? A cinque anni dalla sua istituzione, si può dire che i paesi membristanno facendo un crescente uso dei meccanismi per risolvere le controversie

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commerciali, a dimostrazione di una diffusa fiducia nella sua efficacia. In questoperiodo di tempo il Wto ha affrontato oltre 250 casi di controversie commerciali, afronte dei 300 interventi effettuati dal Gatt nei 50 anni della sua esistenza.La codificazione delle procedure e dei tempi massimi di espletamento dei singolipassaggi ha reso il sistema più efficiente, automatico e trasparente. Il sistema è ingrado di trattare i casi più complessi relativi ai nuovi accordi Wto.Un risultato significativo che emerge dalle tabelle che regolarmente vengonopubblicate nel sito ufficiale del Wto, riguarda la circostanza che la maggior partedelle procedure avviate sono state risolte amichevolmente con "out of courtsettlements". Ciò dipende dal fatto che la maggiore efficienza del sistema e il rischiodi essere condannati dal panel Wto hanno prodotto effetti positivi nella ricerca disoluzioni extragiudiziarie e nella ricerca dei necessari aggiustamenti per pervenire alrispetto degli accordi sottoscritti.Viene spesso sottolineato nei rapporti ufficiali del Wto che i casi risolti dal sistemanon riguardano soltanto le controversie che sono sorte fra paesi ricchi eindustrializzati. E' vero che, in termini relativi, le controversie più importantirigurdano l'interscambio fra Unione Europea e Stati Uniti, che rappresentano le duemaggiori potenze commerciali del mondo. Tuttavia, vi sono numerose istanze dicontroversie sorte fra paesi in via di sviluppo e paesi ricchi che si sono risolte con ilriconoscimento delle ragioni dei paesi poveri e la richiesta di adeguamentoall'accordo da parte dei paesi ricchi. Anche questo fatto ha contribuito a rafforzare lacredibilità del Wto e a indurre comportamenti ispirati al rispetto delle obbligazionireciproche. Ad esempio, il 44% dei casi completati al gennaio 1999 erano statisollevati dai paesi in via di sviluppo. Infine, nella maggior parte dei giudizi, lacontroparte sconfitta ha adottato le riforme necessarie per adeguarsi agli accordi. Inaltre parole, chi ha violato l’accordo è stato punito e ha accettato le sanzionicomminate.Quali sono, secondo gli studiosi delle relazioni economiche internazionali, gliobiettivi che il Wto e i nuovi meccanismi di risoluzione delle controversie non sonostati in grado di realizzare? In primo luogo, si sono incontrate notevoli difficoltà nellagestione di dispute non tradizionali. Il Wto e il Dsm sono stati utilizzati per affrontarequestioni che solo perifericamente appartengono alla sfera del commerciointernazionale e dove il saldo finale fra i costi e i benefici della globalizzazione (o delprotezionismo) risulta essere ancora più incerto. Si tratta di controversie che nascononon tanto perché un paese membro ha agito in violazione di accordi preesistenti perragioni che rientrano nei tradizionali obiettivi del protezionismo e della distorsionedella concorrenza internazionale (quali ad esempio la sovvenzione indiretta diproduttori nazionali o la tassazione di produttori esteri). Esse invece riguardano iconflitti che si sono scatenati fra le ragioni della globalizzazione e la salvaguardia divalori e obiettivi non strettamente quantificabili da un punto di vista commerciale,quali i diritti umani, i diritti degli animali, i diritti dei lavoratori o di particolariminoranze, la difesa dell'ambiente, la tutela della salute, il consumo di beni prodottiattraverso mutazioni genetiche.

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Sinteticamente, questi conflitti originano in situazioni in cui i paesi membri possonoessere caratterizzati da funzioni del benessere sociale molto diverse fra loro12; dove lefunzioni del benessere sociale dipendono da parametri tipicamente economici (quali,ad esempio, il reddito pro capite), ma anche da parametri non economici (lasensibilità nei confronti dei problemi dell'ambiente e dell'inquinamento, delle specieanimali in via di estinzione, del rispetto per le minoranze etc.). Oppure conflitti sonoinsorti quando i paesi membri, seppure caratterizzati da funzioni del benessere socialerelativamente simili, sono costretti a decidere in condizioni di incertezza scientifica oin mancanza di informazioni attendibili su quali possono essere le ripercussioni che illibero scambio commerciale produce su determinati valori non strettamenteeconomici. Spesso il Wto è stato accusato di operare in un vuoto morale, nonriconoscendo legittimità a qualsiasi politica di restrizione della globalizzazione,neppure quando questa viene imposta per motivi etici, ambientali etc. Il Sistema dirisoluzione delle controversie è stato giudicato insufficiente in quanto non ha mai"invertito" l'onere della prova chiamando in causa il paese che opera contro il rispettodei valori non economici, obbligandolo a dimostrare che la liberalizzazioneeffettivamente non produce effetti negativi su questi valori. In tutti questi casi,l'esperienza recente ha mostrato l'inadeguatezza del Wto a intervenire.Tuttavia, trascurando le dispute che hanno per oggetto la violazione di valori e dirittinon strettamente economici, nel paragrafo successivo ci limiteremo ad affrontarel'inadeguatezza del Wto in merito agli effetti che l'attuale processo di globalizzazioneproduce su valori e categorie economiche e in primo luogo sulla diffusione dellapovertà nel mondo.

4. Globalizzazione e povertà

Nell'anno 2000 più di un miliardo di persone vive con meno di 1 dollaro al giorno.La globalizzazione dei mercati e il vigente ordine economico internazionale sonospesso accusati di non aver risolto i più urgenti problemi che affliggono l'umanità.Alcuni osservatori ritengono che essi possono contribuire a mettere a repentaglio lesue prospettive di sopravvivenza. In particolare, la povertà e l'ineguaglianza nelladistribuzione del reddito; la sostenibilità e la salvaguardia dell'ambiente; la tuteladella salute, dell'istruzione e di alcuni fra i più fondamentali diritti dell'uomo corronoil rischio di essere aggravati dalla tendenza, per molti aspetti inarrestabile,all'integrazione e alla liberalizzazione delle principali attività economiche. Nel casodella globalizzazione finanziaria, l'esistenza di una relazione diretta fra aumento dellaliberalizzazione dei mercati e aumento della povertà viene oramai riconosciuta dalleautorità internazionali. In un recente rapporto della Banca Mondiale (World Bank2000) si legge che "l'integrazione finanziaria espone i paesi in via di sviluppo ashocks esogeni. Questi shocks riducono spesso i vantaggi dal commercio econtribuiscono significativamente ad aumentare la povertà nel breve e nel mediotermine. Questo fatto sottolinea l'importanza di risolvere il problema della volatilità al

12 Calzolari e Immordino (2001).

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fine di massimizzare gli effetti positivi che la crescita determina nella lotta allapovertà".In effetti, nonostante i progressi registrati negli ultimi decenni in termini di crescitadel reddito e del benessere, alcuni di questi problemi sono oggi sensibilmente piùacuti e più drammatici rispetto a quanto apparivano, ad esempio, negli anni sessanta.Almeno da un punto di vista empirico, se il processo di integrazione è andato avanti,e il tasso di crescita dell’economia mondiale è aumentato, anche la povertà nelmondo e le disuguaglianze sono aumentate. Se si guarda, ad esempio, al rapporto fraredditi pro capite dei paesi più ricchi e dei paesi più poveri, si osserva una crescitaimpressionante da 11:1 nel 1870, a 38:1 nel 1960, 1 52:1 nel 1985, a 68:1 nel 1996(Onida 1998). Tuttavia, il problema dell'esistenza di un'eventuale correlazionepositiva fra i due fenomeni è tuttora sull'agenda della ricerca scientifica e del dibattitopolitico, anche se è opportuno effettuare alcune considerazioni in merito.In generale, il dibattito sulla relazione fra globalizzazione da un lato, e povertà,standards di vita e diritti dell'uomo dall'altro risulta spesso oscurato da atteggiamentisuperficiali e fortemente ideologizzati. Questo, è opportuno notarlo, avviene suentrambi i fronti che vedono schierati detrattori e sostenitori. Da un lato i critici dellaliberalizzazione dei mercati sostengono che concorrenza e integrazione sono semprecausa di sciagura per coloro che si trovano in una posizione di "inferioritàcomparata", in quanto poveri, sfruttati o emarginati. Dall'altro lato, i critici delprotezionismo e dell'intervento restrittivo dello Stato affermano che i guadagni dalcommercio esistono, vanno sicuramente a vantaggio di pochi fortunati ma prima opoi finiscono per ricadere a valle a beneficio della grande massa che vive nellapovertà, nell'indigenza, nella malattia. In altre parole, il povero agricoltore nelmomento in cui acquista gradi di libertà per rifornirsi sui mercati mondiali e pervendere i propri prodotti a un numero potenzialmente infinito di consumatori (e nonsoltanto al dispotico governo nazionale a prezzi amministrati) crea inevitabilmente lepremesse per aumentare il proprio benessere e la propria capacità di produrre.Ora l'evidenza empirica dimostra che entrambi questi punti di vista rappresentanogeneralizzazioni estreme, spesso errate e sicuramente parziali sul funzionamento deimeccanismi che legano i due fenomeni. La realtà della globalizzazione èestremamente complessa e non può essere descritta con conclusioni universali. Piùpragmaticamente, molti ricercatori si sono recentemente interrogati sul fatto se laglobalizzazione e la sua “governance” possano essere causa di un ulteriorepeggioramento nella distribuzione del reddito e quindi causa di un incremento dellapovertà e della sua diffusione [Onida (1998), Finger (2001), Lorentzen (2002) ebibliografia ivi citata].Dalla lettura di questi lavori si ha conferma che il recente processo di globalizzazionerealizzato sotto la supervisione del Wto non ha facilitato in misura rilevante l'accessoal mercato globale dei sistemi economici in via di sviluppo. Gli interessi economicidei paesi poveri continuano a restare subordinati e discriminati rispetto agli interessieconomici dei paesi ricchi i quali, sotto la compiacente supervisione del Wto,continuano a utilizzare strumenti tradizionali di discriminazione e distorsione diprezzi e quantità a svantaggio di beni che sono potenzialmente oggetto di scambio

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internazionale e che vengono prodotti dai paesi economicamente arretrati (Lorentzen2002).Le ragioni per cui i paesi in via di sviluppo sono tuttora ostacolati dagli accordidell'Uruguay round e dalla loro applicazione sono molteplici. Cominciamo dalle piùbanali: l'introduzione del meccanismo di risoluzione delle controversie e il processodi implementazione degli accordi richiedono impegni finanziari considerevoli cheprendono la forma di una pletora di costi aggiuntivi che riducono il guadagnodall'integrazione e che comprendono:? costi per l'acquisizione delle informazioni;? costi per l'acquisizione delle capacità tecniche per avviare e seguire le dispute;? costi per introdurre i provvedimenti e le riforme stabilite dall’accordo;? costi per il mantenimento delle delegazioni presso la nuova Organizzazione.Se questi costi risulteranno più che compensati dai benefici prodotti dal maggiorgrado di integrazione e di trasparenza è una questione che, allo stato attuale, restatutta da dimostrare. Inoltre, i paesi in via di sviluppo non hanno mancato didimostrare il loro scetticismo e le loro critiche nei confronti dell'introduzione dellenuove materie sotto l'egida del Wto. Essi ritengono che introdurre regolamentazionirestrittive sugli standards connessi all'ambiente o alle condizioni lavorative non siaaltro che assecondare i desideri dei paesi ricchi che riescono, in questo modo, aimporre forme di protezionismo mascherato e a mantenere elevate le barriereall'ingresso di nuove produzioni altamente competitive che potrebbero provenire daipaesi più poveri.Arriviamo agli argomenti più scottanti. E' noto che le economie dei paesi poveri o invia di sviluppo sono largamente dipendenti da produzioni agricole, dall'esportazionedi prodotti di base e dell'industria leggera (principalmente tessile, abbigliamento ealimentare). I paesi ricchi hanno deluso le aspettative del resto del mondorelativamente alla completa liberalizzazione dei settori nei quali molti paesi arretratiavrebbero potuto proficuamente specializzarsi e vedere crescere con successo leproprie imprese. In altre parole il protezionismo nel settore tessile, in agricoltura,nelle produzioni di articoli in pelle, nell'abbigliamento è restato elevato in terminiassoluti e relativi, con gravi danni per i paesi poveri. Le prove per la dimostrazione diquesto assunto sono riportate con dovizia di particolari e di dati statistici in unarecente ricerca del Wto [Wto 2001]. In essa si osserva che la quota dei prodotti "dutyfree" è tuttora molto bassa nei settori dove i paesi poveri godono di vantaggiproduttivi che potrebbero sfruttare maggiormente se queste produzioni fosseroricondotte all'interno di un mercato più ampio e più libero. Una completaliberalizzazione del commercio estero sui loro prodotti comporterebbe un incrementoannuale dei "gains from trade" pari a 155 miliardi di dollari, cioè oltre tre voltequanto essi ricevono annualmente sotto forma di aiuti pubblici (Wto 2001). Secondoun altro studio condotto dall'università del Michigan una riduzione di un terzo dellebarriere commerciali che ancora affliggono i beni prodotti dai paesi in via di sviluppoprovocherebbe un'espansione dell'economia mondiale pari a oltre 600 miliardi didollari, che diventerebbero 2000 se l'eliminazione delle restrizioni fosse assoluta.Quali sono le principali argomentazioni a sostegno di queste tesi?

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In primo luogo, il processo di liberalizzazione dei contingenti, delle restrizioniquantitative e delle barriere non tariffarie che ostacolano l'ingresso dei produttori nelmercato globale è risultato tortuoso, eccessivamente graduale e inadeguato allepotenzialità di crescita delle esportazioni dei paesi in via di sviluppo. Ad esempio ilprocesso di tariffazione dei contingenti sui prodotti tessili a seguito della abolizionedell'accordo multifibre sta procedendo con grande lentezza.In secondo luogo, anche la riduzione delle tariffe in questi settori è avvenuta a ritmipiù blandi, condizionati all'utilizzazione di fattori produttivi e semilavorati "made inUsa", e mantenendo dei "picchi tariffari" che non hanno riscontro in settori industrialipiù evoluti: rispetto ad altri settori produttivi, quelli nei quali sono specializzati ipaesi poveri sono complessivamente colpiti da dazi più elevati.In terzo luogo, i settori più aperti alla concorrenza dei paesi poveri sono tuttora colpitida forme esose di tariff escalation che, aumentando l'incidenza della tassa man manoche il processo produttivo avanza, rende particolarmente ardua la possibilità direalizzare livelli crescenti di valore aggiunto13. Ciò limita la possibilità di avviare unprocesso di industrializzazione all'interno della aree arretrate fondato sullosfruttamento di attività di base o di produzioni agricole.In conclusione, la mancata realizzazione della globalizzazione in questi mercati e unapoco efficiente regolamentazione da parte del Wto sono considerate cause importantidi ostacolo all'industrializzazione e al superamento del livello di povertà che affliggeintere aree geografiche del mondo. In questo modo si è contribuito a mantenere invita imprese concorrenti che operano nei sistemi economici avanzati e a ritardare losviluppo delle esportazioni e della crescita dei paesi in via di sviluppo.Vediamo alcuni esempi dell'incidenza del fenomeno che va sotto il nome di tariffescalation. Dai dati prodotti dal Wto (2001) emerge che, relativamente ai settoridell'abbigliamento, della pelle e delle calzature, le tariffe sulle esportazioni di materieprime da parte dei paesi in via di sviluppo sono alquanto inferiori rispetto alle tariffeimposte sull'esportazione di prodotti semilavorati, i quali sono a loro volta colpiti datariffe più basse rispetto a quelle imposte sull'esportazione dei prodotti finali.Un caso particolarmente eclatante è l'Australia dove, mediamente e per il settoretessile, questi tre livelli tariffari sono, rispettivamente pari a 1,5%, 23% e 36%; maanche l'UE, gli Usa e il Giappone sono caratterizzati da un atteggiamento di politicacommerciale fondato sulla tariff escalation. Tutto ciò si inserisce in un panorama resopiù difficile dagli effetti indotti da altri provvedimenti di tipo restrittivo, che riduconola possibilità dei paesi poveri di partecipare alla globalizzazione (leggisull'emigrazione, sugli standards ambientali etc.).In definitiva, il soggetto economico che vive in un paese povero non è in grado divendere alle condizioni migliori i prodotti che sa fare meglio; non è in grado divendere i fattori produttivi di cui dispone a più buon mercato (attraversol'emigrazione della forza lavoro) e magari è costretto a vivere in un ambiente reso piùostile e degradato dall'uso eccessivo e dagli sprechi di gas e di altre fonti di energia 13 In altre parole il tasso effettivo di protezione (che indica il livello di protezione effettivamente accordata allaformazione di valore aggiunto da parte di un settore produttivo) risulta essere fortemente positivo per i settoriconcorrenti che si trovano nei paesi industrialmente avanzati.

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utilizzate da parte dei paesi industrializzati. Questa forma di globalizzazione realeriduce le potenziali economie di scala per i paesi poveri mentre impone loro alcunediseconomie esterne che li danneggiano.Per contribuire a ridurre povertà e disuguaglianza, la politica commerciale devediventare effettivamente globale, nel senso che deve essere regolamentata perconsentire a tutti i paesi eguale condizioni di accesso al mercato globale. Attualmenteviviamo, soprattutto nei settori di produzione dei beni reali e dei servizi, in un regimedi globalizzazione parziale e discriminante soprattutto nei confronti dei più deboli eche tende a favorire la capacità di produzione ed esportazione dei paesiindustrializzati e delle imprese multinazionali.

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