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1 Gli strumenti di valutazione della performance nella prima applicazione del Decreto Legislativo n. 150/2009 di Vanessa Dioguardi Dipartimento di Studi su Politica, Diritto e Società “G. Mosca” Università di Palermo 1. Premessa e obiettivi Obiettivo del paper è quello di avviare una riflessione critica sugli attuali sistemi di misurazione e di valutazione della performance utilizzati nel settore pubblico italiano a seguito della riforma della pubblica amministrazione avviata con il Decreto Legislativo n. 150/2009 . La base empirica di riferimento dello studio sarà costituita dai documenti in proposito inviati dalle amministrazioni pubbliche alla CIVIT, la Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche. In particolare, dopo una breve introduzione, in cui si illustrerà e si analizzerà il paradigma del New Public Management, inteso come quadro di riferimento in cui si colloca l’introduzione dei sistemi di valutazione e di misurazione della performance, e dopo aver definito il concetto di performance, ci si soffermerà sul D.lgs. 150/2009 (Riforma Brunetta), cercando di evidenziare lo scostamento esistente tra ciò che è prescritto dal dettato normativo e ciò che effettivamente viene attuato dalle amministrazioni pubbliche in termini di misurazione della performance. Particolare enfasi verrà posta sulle criticità riguardanti gli attuali Sistemi che le amministrazioni pubbliche utilizzano al fine di valutare la performance, cercando altresì di formulare alcune proposte operative volte a migliorare non soltanto la valutazione ma anche la gestione della performance. 2. Il processo di riforma della pubblica amministrazione e la valutazione della performance La tematica delle performance e degli strumenti attraverso cui misurarle e valutarle è divenuta rilevante nel dibattito pubblico a seguito dei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche che, a partire dagli anni ’90, hanno condotto all’affermazione del paradigma del New Public Management (d’ora in poi NPM). Alla base di questi processi di riforma vi è senza dubbio la convinzione che l’applicazione delle logiche manageriali al settore pubblico avrebbe permesso di risolvere le inefficienze principali che spesso caratterizzano l’operato delle amministrazioni pubbliche (cfr. Boivard e Loeffler, 2003). Prima di addentrarci nello specifico, evidenziando cosa si intende effettivamente per NPM, analizziamo sinteticamente le ragioni principali che in letteratura (cfr. De Magistris et al., 2004) vengono identificate come le cause che hanno condotto alla nascita del NPM: - crisi finanziaria di molti Paesi OCSE e conseguente necessità di ridurre i costi delle amministrazioni pubbliche; - inadeguatezza delle prestazioni e dei servizi erogati rispetto alle richieste dei cittadini sempre più consapevoli dei propri diritti; - basse performance a livello macroeconomico (basso PIL pro-capite, alto tasso di disoccupazione, alta inflazione etc.). È evidente, sin da qui, come il miglioramento della performance costituisca uno dei motivi fondamentali che hanno spinto molti Paesi a ripensare le modalità di funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo i principi del nuovo paradigma. Volendo dare una definizione di NPM, Adinolfi (2005, p. 4), afferma, in maniera generica, che esso «rappresenta un nuovo modo di studiare e gestire le organizzazioni pubbliche» mentre Capano e Vassallo (2003, p. 13) sottolineano che la linea guida della strategia riformista

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Gli strumenti di valutazione della performance nella prima applicazione del Decreto Legislativo n. 150/2009

di Vanessa Dioguardi

Dipartimento di Studi su Politica, Diritto e Società “G. Mosca” Università di Palermo

1. Premessa e obiettivi Obiettivo del paper è quello di avviare una riflessione critica sugli attuali sistemi di

misurazione e di valutazione della performance utilizzati nel settore pubblico italiano a seguito della riforma della pubblica amministrazione avviata con il Decreto Legislativo n. 150/2009 . La base empirica di riferimento dello studio sarà costituita dai documenti in proposito inviati dalle amministrazioni pubbliche alla CIVIT, la Commissione indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche.

In particolare, dopo una breve introduzione, in cui si illustrerà e si analizzerà il paradigma del New Public Management, inteso come quadro di riferimento in cui si colloca l’introduzione dei sistemi di valutazione e di misurazione della performance, e dopo aver definito il concetto di performance, ci si soffermerà sul D.lgs. 150/2009 (Riforma Brunetta), cercando di evidenziare lo scostamento esistente tra ciò che è prescritto dal dettato normativo e ciò che effettivamente viene attuato dalle amministrazioni pubbliche in termini di misurazione della performance. Particolare enfasi verrà posta sulle criticità riguardanti gli attuali Sistemi che le amministrazioni pubbliche utilizzano al fine di valutare la performance, cercando altresì di formulare alcune proposte operative volte a migliorare non soltanto la valutazione ma anche la gestione della performance.

2. Il processo di riforma della pubblica amministrazione e la valutazione della

performance La tematica delle performance e degli strumenti attraverso cui misurarle e valutarle è divenuta

rilevante nel dibattito pubblico a seguito dei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche che, a partire dagli anni ’90, hanno condotto all’affermazione del paradigma del New Public Management (d’ora in poi NPM).

Alla base di questi processi di riforma vi è senza dubbio la convinzione che l’applicazione delle logiche manageriali al settore pubblico avrebbe permesso di risolvere le inefficienze principali che spesso caratterizzano l’operato delle amministrazioni pubbliche (cfr. Boivard e Loeffler, 2003).

Prima di addentrarci nello specifico, evidenziando cosa si intende effettivamente per NPM, analizziamo sinteticamente le ragioni principali che in letteratura (cfr. De Magistris et al., 2004) vengono identificate come le cause che hanno condotto alla nascita del NPM:

- crisi finanziaria di molti Paesi OCSE e conseguente necessità di ridurre i costi delle amministrazioni pubbliche; - inadeguatezza delle prestazioni e dei servizi erogati rispetto alle richieste dei cittadini sempre più consapevoli dei propri diritti; - basse performance a livello macroeconomico (basso PIL pro-capite, alto tasso di disoccupazione, alta inflazione etc.).

È evidente, sin da qui, come il miglioramento della performance costituisca uno dei motivi

fondamentali che hanno spinto molti Paesi a ripensare le modalità di funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo i principi del nuovo paradigma.

Volendo dare una definizione di NPM, Adinolfi (2005, p. 4), afferma, in maniera generica, che esso «rappresenta un nuovo modo di studiare e gestire le organizzazioni pubbliche» mentre Capano e Vassallo (2003, p. 13) sottolineano che la linea guida della strategia riformista

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avviata dalla pubblica amministrazione «si ispira direttamente alla filosofia managerialista che da ormai vent’anni rappresenta la new wave». In particolare, continuano gli Autori (ibidem), «la principale linea guida delle riforme consiste nel superare le logiche di tipo burocratico, introducendo significativi elementi di carattere manageriale, presi in prestito dalle organizzazioni private».

Pollit e Bouckaert (2004) sottolineano che il NPM è un approccio prevalentemente normativo che focalizza l’attenzione sulla trasformazione dello stile manageriale pubblico per consentire una maggiore misurabilità e valutazione delle prestazioni al fine di diminuire la spesa pubblica. Se l’obiettivo, dunque, è quello di ridurre i costi dell’amministrazione, il metodo attraverso cui raggiungere tale obiettivo sembrerebbe essere la misurazione e la valutazione delle prestazioni.

In realtà gli Autori (ivi) evidenziano che molteplici sono i fini cui il processo di riforma delle amministrazioni pubbliche tende. Il risanamento del bilancio pubblico è certamente un obiettivo importante da raggiungere, ma non meno urgente è la necessità di migliorare la qualità dei servizi pubblici e l’efficienza, così come gli effetti delle politiche pubbliche sulla collettività. Vi sono poi una serie di obiettivi intermedi che il NPM dovrebbe consentire di raggiungere; tra questi è da annoverare una maggiore autonomia di gestione della dirigenza e il rafforzamento dell’accountability. Quindi, in ultima analisi, il NPM dovrebbe generare governi più efficienti, con una maggiore qualità dei servizi e politiche pubbliche più efficaci; simultaneamente esso dovrebbe rendere i dirigenti più liberi di gestire le risorse, generare una maggiore trasparenza e migliorare l’immagine dell’amministrazione pubblica.

Perry e Kraemer (1983, p.10, trad. it. nostra), d’altro canto, sostengono che il NPM «è la fusione del tradizionale orientamento normativo della pubblica amministrazione con l’orientamento strumentale tipico del general management»; essi intendono il NPM come il risultato di una benefica fusione fra le tecniche e gli strumenti di management utilizzati nelle aziende private e i più tradizionali “affari” delle pubbliche amministrazioni. In tale ambito, continuano gli autori, la sfida è quella di dare un taglio netto al consueto modo di gestire le amministrazioni pubbliche in termini di assunzione del rischio, di flessibilità, di raggiungimento degli obiettivi e di misurazione della performance.

Metcalfe e Richards (1987) danno invece una definizione molto diversa rispetto a quella fornita da Perry e Kraemer. Secondo loro, infatti, bisogna soffermarsi non tanto sui valori che ispirano il NPM quanto sui processi e distinguere due livelli: macro e micro. A livello macro, il NPM può essere inteso come il tentativo di migliorare la struttura dell’intero sistema della public governance, tanto che successivamente Metcalfe (1993, p. 183, trad. it. nostra) chiarisce che «il compito innovativo del public managament inteso come macro processo è quello di sviluppare nuove e distintive capacità macro-organizzative relativamente a cambiamenti strutturali al livello interorganizzativo». Al contrario, il compito del public management a livello micro è visto come puramente “imitativo” in quanto si riduce essenzialmente all’adattamento delle tecniche e degli strumenti di gestione tipici delle aziende private al settore pubblico allo scopo di migliorare le abilità di governo a livello micro-organizzativo. È a questo livello che, secondo gli autori, si rilevano i limiti del NPM in quanto paradigma che non tiene conto delle specificità e delle peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato.

Negli anni ’90, negli Stati Uniti, le teorie del NPM sono state associate al concetto di Reinventing Government dall’omonimo libro di Osborne e Gaebler (1992)1 che, in un certo senso, ha poi costituito il presupposto concettuale di tutto il processo di riforma. Secondo Osborne e Gaebler (ivi), i governi non funzionano bene perché sono dispersivi, pigri, ultra centralizzati, preoccupati delle norme e delle regole e poco attenti al risultato, sia dell’individuo sia dell’organizzazione. Essi suggeriscono, quindi, l’adozione di logiche tipiche di un “governo imprenditoriale” (entrepreneurial government) che dovrebbe essere, tra l’altro, orientato ai risultati, anziché sugli input, e guidato dal cliente, non dalla burocrazia. 1 “Reinventing Government. How the Entrepreneurial Spirit is Transforming the Public Sector”

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Sulla base delle definizioni qui riportate di NPM, possiamo quindi individuare le principali componenti della riforma. Pollit e Bouckaert (2004), in particolare, hanno selezionato quattro componenti che identificano la sostanza della riforma (il “cosa”) e tre processi che identificano il modo attraverso cui la riforma è stata condotta (il “come).

Tabella 1 – Componenti e processi del NPM Le componenti della riforma Finanza: budget, conti, verifiche Personale: reclutamento, incarichi, remunerazione, sicurezza dell’impiego etc. Organizzazione: specializzazione, coordinamento, decentralizzazione Performance: sistemi di misurazione e di valutazione I processi della riforma Top down/bottom up Dimensioni legali Allocazione delle risorse Fonte: nostro adattamento da Pollit e Bouckaert (2004) Dovendo tralasciare per motivi di brevità tutte le altre componenti, ci concentriamo

sull’oggetto del nostro studio, cioè sulla misurazione della performance che, appare chiaro, rappresenta una tematica rilevante nell’ambito del processo di riforma qui analizzato.

Il concetto di performance non è certamente nuovo; anzi, sostiene Bouckaert (1994), esso sussiste da quando esistono le pubbliche amministrazioni. Già alla fine del diciannovesimo secolo circolavano, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, alcuni modelli utili per misurare la performance degli insegnanti. Tuttavia l’interesse per tale tematica si è sviluppato soprattutto negli ultimi 25 anni e lungo molteplici dimensioni: «la misurazione della performance è diventata più estesa. Molti livelli e molte aree sono incluse. La misurazione della performance è diventata più intensa perché riguarda più funzioni […]. Infine, la misurazione della perfomance è diventata più esterna. La performance viene misurata non solo per il pubblico interno, ma anche per i membri del corpo legislativo e per il pubblico in generale» (Bouckaert, 1996, p. 234, trad. it. nostra).

La diffusione del paradigma del NPM ha determinato, come su detto, il passaggio tecnico e culturale, dall’orientamento ai compiti ad un orientamento ai risultati che in Italia è stato istituzionalizzato con il D.lgs. 29/1993. Da un’amministrazione che considera la propria attività come mera applicazione a casi concreti di regole di fonte amministrativa o legislativa, si passa quindi a un’amministrazione orientata al risultato e alla qualità e, quindi, alla soddisfazione dell’utente. La nuova amministrazione che si delinea negli anni ’90, dunque, somiglia (o dovrebbe somigliare) sempre più a un’azienda che offre, in maniera efficiente ed efficace, servizi ai cittadini che ora vengono considerati “clienti” e che in quanto tali devono essere soddisfatti.

È in tale contesto quindi che la tematica della misurazione della performance nelle amministrazioni pubbliche assume particolare rilevanza.

Prima di spiegare nel dettaglio cosa si intende per performance, non possiamo esimerci dal ricordare che nonostante il NPM sia stato più volte invocato come rimedio alle carenze gestionali delle aziende pubbliche, nel corso degli ultimi anni è apparso sempre più evidente che in realtà tale paradigma non può essere applicato indistintamente ad ogni tipo di realtà politica e amministrativa. In Italia, soprattutto, si è finito per minimizzare le peculiarità delle amministrazioni pubbliche, in termini di caratteristiche strutturali e gestionali, nei quali i principi di NPM si sarebbero dovuti applicare, tanto che pochissimi sono, ad oggi, i casi di successo. Molto a lungo si è parlato della pretesa di universalità del paradigma del NPM ma, come sottolinea l’OCSE (1997), non c’è un solo migliore modello di public management e le riforme devono tenere conto delle differenze nazionali e delle contingenze locali.

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3. Cosa si intende per performance? Negli ultimi due decenni, a livello internazionale2, il tema della misurazione della performance

ha assunto una posizione di assoluta centralità nell’ambito dei processi di riforma delle amministrazioni pubbliche, tanto che anche il Libro Bianco della Commissione Europea sui processi di riforma contiene un capitolo intitolato “Performance-oriented working methods”. Nonostante ciò molta ambiguità permea ancora il concetto di performance. Varie, e talvolta controverse, sono le definizioni.

Secondo Pollit e Bouckaert (2000) tale concetto è innanzitutto multidimensionale. Due sono gli aspetti che lo rendono tale:

- l’ampiezza della performance, che fa riferimento alla sua estensione orizzontale, in termini di “contenuto”: input/processo/output/outcome;

- la profondità della performance, che riguarda il suo sviluppo verticale, cioè il suo ambito di applicazione: livello individuale, livello organizzativo, livello di programma o politica pubblica.

In particolare, Pollit e Bouckaert (2000) hanno proposto uno schema interpretativo (Fig. 1) attraverso cui è possibile chiarire meglio il concetto di “ampiezza” della performance.

Figura 1 – L’ampiezza della performance

Fonte: adattamento da Pollit e Bouckaert, 2000 Il presupposto alla base del modello è che le amministrazioni pubbliche sono organizzazioni

deputate al soddisfacimento dei bisogni collettivi che derivano da problemi socio-economici presenti nel loro contesto di riferimento. Tali bisogni si traducono (o dovrebbero tradursi) in obiettivi strategici e operativi che, attraverso il processo di trasformazione delle risorse, si trasformano in determinati output (beni e servizi) che producono (o dovrebbero produrre) risultati (outcome) sulla collettività. Il valore generato dall’agire pubblico risiede, in ultima analisi, proprio nei risultati intermedi e finali (outcome).

Lo schema di Pollit e Bouckaert evidenzia due ulteriori elementi impliciti nel concetto di performance: l’efficienza – che concerne quanto dell’input è tradotto in output e quanto invece va disperso – e l’efficacia – intesa come l’attitudine di una prestazione a provocare un effetto

2Solo a titolo di esempio si considerino le seguenti riforme a livello internazionale: USA: Government Performance and Results Act (1993), UK: Comprehensive Performance Assessment (Local Government Act 2003), France: Loi organique relative aux lois de finances LOLF (2001).

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desiderato. Per quel che riguarda invece la profondità del concetto di performance, Pollit e Bouckaert (ivi)

individuano tre livelli principali: - livello individuale: riguarda la performance dell’individuo singolarmente

considerato. Essa fa riferimento sia alla capacità del singolo di raggiungere gli obiettivi assegnatigli sia ai suoi comportamenti e atteggiamenti (ad esempio, problem solving, collaborazione con i colleghi etc.) all’interno dell’amministrazione;

- livello organizzativo: riguarda la performance sia dell’intera amministrazione sia delle singole unità organizzative interne all’amministrazione. È chiaro che, a questo livello, dice Monteduro (2010), il tema della performance si lega al processo di pianificazione e programmazione strategica, così come ai sistemi di rilevazione della qualità e della soddisfazione dell’utente e alla generazione di accountability tramite le forme tipiche della rendicontazione sociale;

- livello dei programmi e delle politiche pubbliche: siamo nel campo della policy evaluation che riguarda, fondamentalmente, la valutazione delle performance dei programmi e delle politiche pubbliche e, dunque, i loro effetti sulla collettività.

Sulla stessa scia di Pollit e Bouckaert si muove Talbot (2005) che sottolinea il fatto che molte

dimensioni sono sottintese al concetto di performance: l’accountability, la soddisfazione del cittadino, l’efficienza, l’efficacia, la capacità di allocare le risorse e di creare valore pubblico.

La multidimensionalità del concetto di performance è perfettamente comprensibile anche se si analizza il cosiddetto “Performance Reference Model” elaborato dalla FEA (Federal Enterprise Architecture) nel 2005.

Figura 2 – Performance Reference Model

Fonte: FEA, 2005, tratto da http://www.finance.gov.au Si tratta di un modello che ben evidenzia la relazione di causa-effetto che lega gli inputs, gli

outputs e gli outcomes al fine di generare valore e che soprattutto mette in rilievo le molteplici “aree” e “categorie” che dovrebbero essere oggetto di misurazione della performance:

- area dei risultati finanziari,

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- area dei risultati verso il cittadino - area dei processi e delle attività - area delle risorse umane - area delle tecnologie - area comprendente altri assets

Ogni area, come è possibile rilevare dalla figura 2, è a sua volta articolata in una serie di categorie che rappresentano gli attributi o le caratteristiche dell’area che dovrebbero essere oggetto di misurazione. Per esempio, l’area dei risultati verso il cittadino include la customer satisfaction, la qualità dei servizi, la cosiddetta responsiviness etc.

Molti, dunque, in base a tale modello sono gli ambiti di misurazione della performance che quindi non può essere inteso come un concetto unitario con un significato univoco. Piuttosto esso va visto come un complesso di informazioni relativamente ai risultati giudicati significativi da differenti stakeholder (cfr. Boivard, 1996).

È da sottolineare inoltre che il concetto di performance non dovrebbe essere assimilato, come spesso accade, a quello di risultato. Come evidenzia il General Accounting Office (2003) la performance è un’operativizzazione del risultato che è, invece, un concetto più generale e meno ampio. La performance infatti si riferisce non soltanto al risultato dell’azione, ma anche alle modalità con cui questo risultato è stato raggiunto. In tale ottica, dunque, bisognerebbe anche misurare l’efficacia e l’efficienza dell’azione, così come già avevano evidenziato Pollit e Bouckaert (2004).

C’è poi chi sottolinea che una componente fondamentale della performance di un’amministrazione è la sua “salute finanziaria”, la sua capacità di governance e di coinvolgere gli stakeholder (Agranoffe e Mcguire, 2004; Bovaird e Löffler, 2003) e di accumulare capitale organizzativo (Valotti, 2005) espresso dalla cultura e dal clima dell’organizzazione, dal grado di motivazione dei dipendenti, dalla loro capacità di lavorare in gruppo etc.

Il D.lgs. 150/2009 (Riforma Brunetta) riporta una definizione di performance che, in qualche maniera, riassume le definizioni precedentemente illustrate:

«il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del risultato) che un’entità (sistema, organizzazione, unità organizzativa, team, singolo individuo) apporta attraverso la propria azione al raggiungimento delle finalità degli obiettivi ed, in ultima istanza, alla soddisfazione dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata costituita. In tale accezione, dunque, il significato di performance si lega strettamente all’esecuzione di un’azione, ai risultati della stessa e alle modalità di rappresentazione».

Nella Delibera 112/2010 la CIVIT3 effettua un’importante distinzione, già esplicitata del Dlgs. 150/2009, fra performance individuale e performance organizzativa. La prima esprime il contributo fornito da un individuo al raggiungimento degli obiettivi, in termini di risultati ottenuti e di comportamenti manifestati, mentre la seconda esprime il risultato che un’intera organizzazione con le sue singole articolazioni consegue ai fini del raggiungimento di determinati obiettivi e, in ultima istanza, della soddisfazione dei bisogni dei cittadini.

Cerchiamo ora di comprendere, una volta chiarito il concetto di performance, cosa si intende per misurazione e valutazione della performance.

In linea generale possiamo definire la misurazione della performance come la raccolta, l’analisi e l’utilizzazione di dati relativi alle azioni della pubblica amministrazione e ai programmi pubblici, compresi dati sugli input, sugli output e sugli outcomes.

Bottari (2010) dà una definizione più precisa, evidenziando che misurare la performance significa fissare gli obiettivi, stabilire delle grandezze, cioè degli indicatori che siano specchio

3La CIVIT è la Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni pubbliche istituita dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, recante attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

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delle stesse, rilevare sistematicamente il valore degli indicatori. Gamble et al. (2007) d’altro canto, affermano che la misurazione della performance è quel

processo attraverso cui un’organizzazione stabilisce dei parametri per rilevare se i programmi e gli investimenti hanno raggiunto i risultati desiderati.

Comune a tali definizioni sembra, quindi, essere la necessità di fissare in anticipo dei precisi indicatori attraverso cui rilevare se gli obiettivi stabiliti da un’organizzazione sono stati raggiunti.

Il decreto 150/2009 non dà definizioni dettagliate sui sistemi di misurazione, anche se definisce in modo preciso gli output sui quali rendicontare e sui quale basare le valutazioni. Ma su questo aspetto ritorneremo in seguito. La CIVIT (Delibera 89/2010), però, chiarisce che la misurazione della performance è «un processo empirico e formalizzato, che mira ad ottenere ed esprimere informazioni descrittive delle proprietà di un oggetto tangibile o intangibile (ad es. un processo, un’attività, un gruppo di persone). Per effettuare la misurazione della performance, un’organizzazione deve dotarsi di un sistema che svolga le funzioni fondamentali di acquisizione, analisi e rappresentazione di informazioni».

Per quel che riguarda invece il processo di valutazione, secondo Bottari (2010) valutare le performance significa interpretare il contributo (risultato e modalità di raggiungimento del risultato ottenuto) e argomentare quanto, come e perché tale contributo abbia inciso sul livello di raggiungimento delle finalità dell’organizzazione, mentre Monteduro (2010) afferma che valutare significa assegnare un valore a qualcosa. Per valutare, quindi, bisogna misurare anche se la valutazione, continua Monteduro (ibidem) è un processo che implica elementi soggettivi di giudizio e apprezzamento, cioè un sistema di valori e di preferenze individuale.

Il D.lgs. 150/2009 chiarisce poi che oggetto della valutazione è la performance, nelle sue diverse dimensioni (input, output, outcome, qualità, soddisfazione dell’utente etc.), riferita ai soggetti che sono oggetto di valutazione: l’amministrazione nel suo complesso, le unità organizzative e i singoli dipendenti.

Concentriamoci adesso sui contenuti del D.lgs. 150/2009 con l’obiettivo di mettere a fuoco i “valori”, gli strumenti e gli attori che dovrebbero svolgere un ruolo chiave nell’ambito del processo di misurazione e di valutazione della performance.

4. La misurazione e la valutazione della performance secondo il D.lgs. 150/2009 L’ultima riforma della pubblica amministrazione in Italia (nota come Riforma Brunetta),

concretamente esplicitata nella Legge delega n.15 del 4 marzo 2009 e nel successivo decreto attuativo n.150 del 27 ottobre 2009, si compone di un insieme di norme che si riferiscono ad aspetti molto variegati della realtà politico-amministrativa: si va dall’azione collettiva alla riforma della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, del Formez e del CNIPA, dall’introduzione della posta elettronica certificata ad altre iniziative, come per esempio “Mettiamoci la Faccia, volte a migliorare la qualità dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione.

Oggetto di questa relazione, come anticipato, saranno solo gli aspetti relativi alla misurazione e alla valutazione delle performance.

Analizzando l’articolo 3 del D.lgs. 150/2009, comma 1, si comprende subito quali sono i “valori” che hanno ispirato l’ultima Riforma della pubblica amministrazione: «la misurazione e la valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l’erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative in un quadro di pari opportunità di diritti e doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e delle risorse impiegate per il loro perseguimento». Possiamo dunque individuare alcuni valori intorno a cui ruota buona parte della riforma, per identificare poi gli “strumenti” e gli “attori” del processo di misurazione e di valutazione delle performance.

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In primo luogo appare evidente che il miglioramento della qualità dei servizi rappresenta oltre che un valore, una delle finalità principali della riforma. In questo senso, il concetto di performance non è assimilabile a quello di mera prestazione; al contrario, al centro dell’attenzione è posta la soddisfazione dell’utente che diviene quindi un elemento della performance dell’organizzazione pubblica. In altri termini, il cittadino “entra” nel sistema di valutazione dei dipendenti pubblici che adesso vengono valutati anche in base alla loro capacità di generare customer satisfaction (cfr. Hinna, 2010). Come, infatti, è possibile leggere nel comma 4, «le amministrazioni pubbliche adottano metodi e strumenti idonei a misurare, valutare e premiare la performance individuale e quella organizzativa, secondo criteri strettamente connessi al soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi».

Un altro valore cardine della riforma è quello della trasparenza, che deve essere garantita in ogni fase del del ciclo di gestione della performance e che deve essere intesa come accessibilità totale, il che significa che tutto deve essere accessibile a tutti, indipendentemente dall’interesse soggettivo (così come invece stabilito dal D.lgs. 29/93).

Il decreto 150 recupera poi il valore della meritocrazia, evidenziando la selettività della premialità che viene garantita ai singoli e alle unità organizzative in base ai risultati conseguiti.

Proseguendo nella lettura dell’articolo 4 del medesimo decreto, si nota che la tematica della performance viene inserita all’interno di un ciclo integrato, denominato “ciclo di gestione della performance”, con il quale si vuole fare in modo che le funzioni di programmazione, misurazione, valutazione, controllo e trasparenza delle performance vengano svolte in maniera integrata e in un’ottica di sistema: «le amministrazioni pubbliche sviluppano, in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del bilancio, il ciclo di gestione della performance». Il comma 2 del medesimo articolo chiarisce quali sono le fasi in cui si articola tale ciclo:

− definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori;

− collegamento tra gli obiettivi e l'allocazione delle risorse; − monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi correttivi; − misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale; − utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito; − rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle

amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi.

Vediamo ora quali sono i requisiti fondamentali che ogni fase del ciclo di gestione delle performance deve possedere. Iniziando dalla prima fase, quella della pianificazione, l’articolo 5 chiarisce che gli obiettivi sono programmati su base triennale e debbono essere:

- rilevanti e pertinenti rispetto ai bisogni della collettività; - specifici e misurabili in termini concreti e chiari; - temporalmente definiti; - commisurati ai valori di riferimento derivanti da standard definiti a livello nazionale e internazionale, nonché da comparazioni con amministrazioni omologhe; - correlati alla qualità e alla quantità delle risorse disponibili.

L’articolo 6 è invece dedicato alla fase di monitoraggio della performance e chiarisce che

spetta agli organi di indirizzo politico, con il supporto della dirigenza, la verifica dell’andamento della performance rispetto agli obiettivi prefissati, mentre l’articolo 7 è interamente dedicato al “sistema di misurazione e valutazione della performance”: «le amministrazioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale. A tal fine adottano con apposito provvedimento il Sistema di misurazione e valutazione della performance». Vengono

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poi individuati gli attori a cui è affidato il compito di misurare e valutare la performance; si tratta di un organismo esterno e tre organismi interni ad ogni amministrazione: la CIVIT - Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle Amministrazioni Pubbliche – è l’organismo esterno che deve definire apposite linee guida e i requisiti minimi metodologici di cui le amministrazioni dovranno tenere conto per valutare le performance, gli Organismi Indipendenti di Valutazione della performance cui compete la misurazione e valutazione della performance di ciascuna struttura amministrativa nel suo complesso, l’organo di indirizzo politico amministrativo che definisce, in collaborazione con i vertici dell’amministrazione, il Piano della Performance e la Relazione sulla Performance e i dirigenti di ciascuna amministrazione che si occupano della valutazione individuale, in funzione dei vari livelli gerarchici.

Si chiarisce poi che il documento “Sistema di misurazione e valutazione delle performance” che deve essere redatto dagli Organismi Indipendenti di Valutazione in accordo con la CIVIT e adottato dall’organo di indirizzo politico amministrativo, deve contenere informazioni specifiche circa le fasi, i tempi, le modalità, i soggetti e le responsabilità del processo di misurazione e valutazione della performance, le procedure di conciliazione relative all’applicazione del sistema di misurazione e valutazione delle performance, le modalità di raccordo con i sistemi di controllo esistenti e con i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio.

Gli articoli 8 e 9, invece, chiariscono qual è il contenuto del sistema di misurazione e di valutazione della performance organizzativa e individuale. Per quel che riguarda la performance organizzativa, vengono esplicitati otto ambiti che dovrebbero essere oggetto di valutazione: l’attuazione di piani e programmi, la rilevazione della customer satisfaction, la capacità delle politiche pubbliche di generare soddisfazione della collettività, la modernizzazione della pubblica amministrazione, lo sviluppo delle relazioni con i cittadini, l’efficienza dell’impiego delle risorse, la qualità e la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati, il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità. Si tratta dunque di ambiti che, a ben vedere, possono essere facilmente riconducibili alle tradizionali dimensioni di efficienza e di efficacia e che, in ultima analisi, riguardano aspetti il cui fine ultimo è la soddisfazione finale dei bisogni della collettività.

Per quel che riguarda, invece, gli ambiti di misurazione della performance individuale, sembrerebbe che (cfr. Monteduro, 2010) l’obiettivo della norma sia quello di collegare la valutazione di chi ha una responsabilità rilevante all’interno dell’amministrazione alla performance organizzativa e quindi alla capacità di generare soddisfazione nel cittadino. Man mano che si scorre la catena gerarchica, invece, la valutazione della performance è ancorata alla capacità di raggiungere gli obiettivi individuali. In altri termini, è chiaramente effettuata una distinzione tra la misurazione e la valutazione della performance del personale dirigente e non dirigente. Vediamo adesso nel dettaglio che cosa dovrebbero fare le amministrazioni al fine di misurare e valutare correttamente le performance. L’articolo 10 stabilisce che le risultanze dello svolgimento della fase iniziale e della fase finale del ciclo di gestione della performance, cioè la definizione degli obiettivi e la rendicontazione dei risultati, dovranno costituire i contenuti del Piano della Performance, documento programmatico triennale in cui vengono esplicitati gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definiti gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell'amministrazione, nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori. Le pubbliche amministrazioni sono poi chiamate a redigere la Relazione sulla Performance, documento che evidenzia, a consuntivo e con riferimento all'anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti. Centrale in tale processo è il ruolo della CIVIT e dell’Organismo Indipendente di Valutazione, organismi chiave per l’attuazione della riforma in termini valutazione della performance. In particolare la CIVIT, tra l’altro, dovrebbe promuovere sistemi e metodologie finalizzate al miglioramento della performance delle pubbliche amministrazioni, fornendo supporto tecnico e metodologico all’attuazione delle varie fasi del ciclo di gestione della

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performance.4 L’Organismo Indipendente di Valutazione, invece, garantisce che vengano utilizzate in modo corretto le linee guida fornite dalla Commissione su come pianificare, cosa e come misurare, cosa e come valutare.

5. Lo stato di attuazione della normativa in materia di valutazione della performance Una volta delineato il quadro normativo di riferimento, cerchiamo ora di comprendere qual

è lo stato di attuazione del D.lgs. 150/2009 in materia di valutazione della performance. Come base empirica di riferimento della nostra analisi, utilizzeremo i materiali pubblicati sul

sito internet della CIVIT5, nella pagina “Piani e Programmi delle Amministrazioni Pubbliche”, che contiene i link ai documenti preparati dalle pubbliche amministrazioni in relazione all’attuazione della riforma.

Considerate le finalità di questo studio e la brevità che esso necessita, analizzeremo soltanto i documenti relativi al “Sistema di misurazione della performance” che come richiesto nella delibera n. 104/2010 della CIVIT, avrebbe dovuto essere definito dagli Organismi Indipendenti di Valutazione di ciascuna amministrazione entro il 30 settembre del 2010 e reso operativo a partire dal 1° gennaio 2011.

Utilizzeremo come punto di riferimento per l’individuazione delle principali problematiche e criticità che emergono dall’analisi dei suddetti documenti le indicazioni applicative ai fini della adozione del Sistema di misurazione e valutazione della performance fornite dalla CIVIT stessa con la delibera n. 114/2010, nonché le indicazioni relative ai principi e ai contenuti cui devono conformarsi gli Organismi Indipendenti di Valutazione al momento della definizione del Sistema secondo la delibera CIVIT n. 104/2010 e le indicazioni pratiche su come procedere nell’implementazione dei Sistemi di misurazione fornite nella delibera CIVIT 89/2010.

Al 12 luglio 2011, solo 95 amministrazioni (13 Ministeri, 56 Enti Pubblici Nazionali e 26 Università) hanno inviato alla CIVIT la documentazione prevista dalla normativa relativamente alla definizione del Sistema di misurazione e valutazione della performance. Un primo dato che emerge riguarda dunque l’esiguo numero di amministrazioni che hanno finora assolto ai compiti previsti dal dettato normativo: si tratta dello 0,37%6 del totale delle amministrazioni, il che lascia presagire l’esistenza di alcune criticità insite al sistema, anche se è certamente da tenere in considerazione il breve tempo trascorso dall’entrata in vigore della normativa.

Risulta che, nonostante la delibera Civit 104/2010 chiarisca che il Sistema adottato deve essere pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione, nel rispetto del principio di trasparenza totale, solo 64 amministrazioni hanno provveduto alla pubblicazione. In molti casi, infatti, come sottolineato nella delibera Civit n. 114/2010, i documenti inviati sono bozze che riportano semplici citazioni di elementi che si intendono introdurre nel Sistema di misurazione e valutazione, senza fornire informazioni che sarebbero utili per comprendere l’effettiva adeguatezza delle soluzioni adottate.

Il materiale empirico che utilizzeremo in questo sede sarà quindi costituito dai 64 documenti attualmente consultabili. La delibera 104/2010 sottolinea che il documento relativo al Sistema deve essere articolato secondo i seguenti punti che saranno oggetto di analisi da parte nostra:

- Descrizione del Sistema: essa deve contenere una sintetica descrizione delle caratteristiche distintive dell’organizzazione, nonché la metodologia che si intende adottare ai fini della misurazione della performance (organizzativa e individuale) e i

4 Per un elenco dettagliato dei compiti della CIVIT si rimanda alla lettura del D.lgs. 150/2009. 5 www.civit.it6 Secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 2010 il numero di amministrazioni pubbliche italiane era pari a 25.179 (Fonte: http://www.innovazionepa.gov.it)

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relativi ambiti di misurazione. L’analisi dei documenti evidenzia che la descrizione delle caratteristiche distintive dell’organizzazione non sempre è esaustiva, mancando del tutto in determinati casi o limitandosi a pochi elementi in altri. In linea generale, i Ministeri sembrerebbero essere più dettagliati su tale punto (anche se non sempre), mentre le Università un po’ meno “virtuose”. In relazione alla metodologia che si intende adottare ai fini della valutazione della performance organizzativa, emerge che alcune amministrazioni hanno individuato per ogni ambito di misurazione della performance (così come indicato nell’articolo 8 del D.lgs. 150/2009) il relativo sistema di misurazione. Così, per esempio, la dimensione “soddisfazione della collettività” si può valutare misurando il relativo outcome; la dimensione “stato di salute dell’amministrazione” si può misurare adottando, come sistema di misurazione, un set di indicatori finanziari. Ciò che non è chiarito, in alcuni casi, è per l’appunto qual è l’outcome oppure qual è il relativo indicatore e come esso si potrebbe misurare. In altri casi, invece, vengono individuate le aree strategiche che definiscono la missione dell’amministrazione, l’outcome di riferimento e il relativo indicatore. Così, per esempio, fa il Ministero degli Esteri che per l’area strategica “promozione della pace e della sicurezza” definisce il relativo outcome “rafforzare la sicurezza dell’Italia da minacce internazionali” e come indicatori “il numero di conflitti internazionali” e il “numero dei conflitti interni nelle aree geopolitiche di primario interesse per l’Italia”. Ma si tratta di indicatori sufficienti? Siamo sicuri che non debbano essere presi in considerazione altri indicatori come, per esempio, “il numero di attentati terroristici subiti da Paesi alleati” o indicatori che facciano riferimento alla percezione di sicurezza da parte dei cittadini? Quasi mai infatti vengono individuati indicatori volti a rilevare aspetti qualitativi della prestazione erogata e spesso non è chiaro il “razionale” dell’indicatore, cioè il motivo per cui l’indicatore è stato introdotto. In altri casi, poi, la formulazione degli indicatori si concentra soprattutto su aspetti interni all’amministrazione. Così fa, per esempio, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che per l’obiettivo operativo “implementazione dell’attività di vigilanza sull’ENAC ai fini del monitoraggio del servizio svolto dai vettori aerei” utilizza come indicatore il “numero di schede elaborate”. Ciò che appare poi evidente è la quasi totale assenza di standard, qualitativi e quantitativi ben definiti. In altri termini, ciò che non è esplicitato, nella maggior parte dei documenti analizzati, è qual è lo standard di riferimento rispetto al quale l’obiettivo può dirsi raggiunto (il cosiddetto target). Per esempio, un outcome individuato dal Ministero degli Esteri è così definito: “Contribuire alla crescita dell’Italia nei mercati internazionali”; il relativo indicatore è “crescita delle esportazioni italiane nel triennio”. Di quanto devono crescere tali esportazioni, affinché l’obiettivo da cui esso deriva possa dirsi realizzato, non è specificato. E sulla stessa scia si muovono molte altre amministrazioni. Anche la definizione degli obiettivi a cui si riferiscono gli indicatori, specialmente nel caso degli enti pubblici statali, non è sempre chiara, nel senso che l’obiettivo è spesso presentato in modo generico ed eccessivamente discorsivo. Per esempio, l’Università di Ferrara definisce due tipologie di obiettivi dei dirigenti: miglioramento dei servizi e realizzazione di progetti mediante attivazione di nuovi servizi, senza indicare alcun’altra specificazione. Un’altra indicazione assente, nella maggior parte dei documenti presi in analisi, è la frequenza di rilevazione, cioè ogni quanto tempo l’indicatore deve essere rilevato. In relazione agli strumenti di misurazione della performance, sembrerebbe che gli enti pubblici statali preferiscano utilizzare la Balanced Scorecard e il Performance Prism. Per

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esempio, il Ministero della Salute dichiara di volere utilizzare la Balanced Scorecard, in quanto metodologia che si caratterizza per una visione multidimensionale e che quindi fa sì che si possa evitare di concentrarsi su una dimensione prettamente economico-finanziaria. La maggior parte delle amministrazioni però non fa riferimento ad alcun modello di misurazione. Per quel che riguarda gli ambiti di misurazione della performance organizzativa, come già evidenziato dalla CIVIT (ivi), in molti casi gli ambiti riportati nel testo del D.lgs. 150/2009 (art. 8) sono solo citati. Manca quasi del tutto il riferimento alle modalità di misurazione e di valutazione della performance riferita ai singoli ambiti. Così, per esempio, il MIUR che si limita a una semplice citazione letterale di quanto indicato nel Decreto o l’ENEA che definisce 4 macro-ambiti di valutazione (grado di attuazione ella strategia, portafoglio delle attività e dei servizi, stato di salute dell’amministrazione, impatto dell’azione amministrativa), senza indicare le modalità grazie alle quali questi entreranno a far parte del Sistema. In riferimento alla valutazione della performance individuale, la maggior delle amministrazioni, coerentemente con quanto indicato nel decreto (art.9), definisce due distinti processi di misurazione e di valutazione: uno per i dirigenti e uno per il restante personale. Così fanno, ad esempio, il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero della Salute, che valutano il personale dirigente sulla base del raggiungimento di obiettivi strategici e di obiettivi di struttura, mentre il personale non dirigente viene valutato sulla base del raggiungimento di obiettivi individuali. Il Ministero degli Esteri si spinge addirittura oltre e differenzia anche le competenze che dovrebbe possedere il personal in posizione dirigenziale e quello con ruolo non dirigenziale. Non mancano tuttavia casi di amministrazioni che dichiarano di volere utilizzare gli stessi criteri per entrambe le categorie di personale, come fa l’Enea che dettagliatamente esplicita i criteri e le modalità attraverso cui valutare le performance individuali, senza però fare alcuna distinzione a seconda del ruolo ricoperto. Il dizionario delle competenze, nei pochissimi casi in cui è presente, appare essere molto generico e basato fondamentalmente su una lista, in alcuni casi estremamente ridotta, di comportamenti che ogni soggetto dovrebbe mettere in pratica (es. soluzione dei problemi, orientamento al risultato, gestione dei gruppi e delle riunioni) indipendentemente dagli obiettivi assegnati a ciascuno e, in alcuni casi, anche dal ruolo svolto (dirigenziale o non dirigenziale). Quasi mai, inoltre, ad ogni comportamento atteso viene abbinato un descrittore del giudizio ad esso associato, ciò che rischia di rendere il giudizio dei valutatori molto disomogeneo. Molto raramente vengono definite specifiche scale di valutazione della qualità del contributo individuale che esprimono, anche quantitativamente, le caratteristiche salienti della prestazione erogata, così come fa l’Ente Parco Appennino Tosco-Emiliano che definisce una scala di valutazione per attribuire un punteggio al dipendente sulla base della percentuale di obiettivi realizzati:

1) Risultati molto scarsi – è indispensabile una percentuale di obbiettivi realizzati tra il 10 e il 20 % - Massimo Punti 10 2) Risultati scarsi – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra il 20 e il 40 % - Massimo Punti 20 3) Risultati buoni – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra il 40 e il 60 % - Massimo Punti 40

4) Risultati ottimi – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra il 60 e l’80 % - Massimo Punti 50

5) Risultati eccellenti – è indispensabile una percentuale di obiettivi realizzati tra

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l’80 e il 100 % - Massimo Punti 70”

Il punteggio conseguito, non soltanto in relazione al raggiungimento degli obiettivi, ma anche in relazione ad altri aspetti, come per esempio la capacità di proporre innovazione nei processi organizzativi etc., sarà determinante nella corresponsione della retribuzione di risultato, tanto maggiore quanto elevato sarà il punteggio ottenuto sul totale delle dimensioni valutate. Molte amministrazioni chiariscono che le performance individuali verranno valutate tramite un sistema di pesi e alcune procedure di calcolo che permetteranno di comporre un punteggio sintetico finale. Rari sono però i casi di amministrazioni che forniscono dettagli in proposito, evidenziando le modalità di calcolo di tale punteggio. Un’ultima annotazione, anche se moltissime altre ce ne sarebbero da fare, riguarda il criterio delle “giornate di presenza” che viene utilizzato da moltissimi ministeri come l’unico criterio di valutazione della performance individuale. Ciò apporta evidentemente un grave limite al Sistema che dovrebbe, invece, essere basato pure su altri criteri, anche di tipo qualitativo.

- Definizione del processo: si deve descrivere il processo di misurazione e valutazione della performance, articolato in fasi e, quindi, attività da svolgere secondo una cadenza temporale determinata, con strumenti e modalità adeguate, da parte dei soggetti coinvolti ai diversi livelli di responsabilità (fasi, tempi e modalità). In riferimento a questo punto, l’analisi dei documenti evidenzia che la maggior parte delle amministrazioni definisce in maniera puntuale le fasi del processo di valutazione della performance (es. Fase 1: monitoraggio dello stato di avanzamento degli obiettivi – Fase 2: valutazione finale dei risultati). Tali fasi però non sempre vengono inquadrate all’interno del ciclo di gestione della performance che prevede una precisa articolazione (cfr. supra), In altri termini, ciò che non viene chiarito è in che modo la fase di misurazione e di valutazione si lega alle altre fasi del ciclo di gestione della performance, per esempio alla rendicontazione esterna dei risultati. Un po’ meno precisa, inoltre, è la programmazione delle tempistiche volte a definire le scadenze entro cui le varie fasi del processo di misurazione e di valutazione dovranno essere portate a termine. Tali scadenze, nella maggior parte dei casi, non sono completamente esplicitate. Per quel che riguarda, infine, le modalità con cui dovrebbe essere attuato il Sistema, si evince dai documenti analizzati una sorta di sovrapposizione tra questo punto e il successivo. In altri termini, vengono definiti i soggetti coinvolti nel Sistema (il più delle volte si tratta del valutatore di prima istanza, del valutato e del valutatore di seconda istanza), ma non le risorse strumentali (es. strumenti informatici) e le tecniche (es. indagini di customer satisfaction che possano integrare i dati raccolti all’interno dell’amministrazione) che potrebbero essere utilizzate allo scopo di ottimizzare i risultati ottenibili.

- Soggetti e responsabilità: il documento che contiene la descrizione del Sistema deve individuare chiaramente i soggetti chiamati a svolgere la funzione di misurazione e valutazione. In relazione a questo aspetto, l’analisi dei documenti evidenzia quanto prima detto: molto spesso, ma non sempre, vengono individuati i soggetti, interni all’amministrazione, chiamati a svolgere la funzione di misurazione e di valutazione della performance. Si tratta, come del resto disciplinato nell’ambito del decreto 150/2009, dell’organo di indirizzo politico-amministrativo (che svolge in monitoraggio in corso d’anno, al fine di rilevare eventuali gap tra gli obiettivi intermedi programmati e il risultato di performance raggiunto), dell’Organismo Indipendente di Valutazione (che presidia il processo di

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misurazione e di valutazione delle performance organizzativa nel suo complesso) e dei dirigenti (che, a vari livelli, provvedono alla valutazione della performance individuale). Tuttavia manca spesso il riferimento ad altri soggetti, portatori di interesse esterni all’amministrazione, che potrebbero essere in vario modo coinvolti nel processo di valutazione. Il rischio è quello di implementare un processo autoreferenziale che non incorpora i bisogni della collettività nei giudizi di valutazione. È da rilevare tuttavia che alcune amministrazioni, come per esempio l’Ente Parco dell’Arcipelago Toscano, specificano che oltre ai portatori di interesse interni all’amministrazione (vertice politico, dirigenza e personale dipendente) bisogna coinvolgere nel processo di misurazione e di valutazione anche gli stakeholder esterni (cittadino, utente e collettività), senza chiarire però le modalità di tale coinvolgimento.

- Procedure di conciliazione ai fini della verifica della correttezza valutativa: definizione delle iniziative volte a risolvere i conflitti nell’ambito della processo di valutazione della performance individuale e a prevenire l’eventuale contenzioso in sede giurisdizionale. L’obiettivo è quello di individuare delle procedure volte a prevenire o a risolvere eventuali conflitti sorti fra chi effettua la valutazione e i valutati. Nei documenti della maggior parte delle amministrazioni è chiarito che il valutato può presentare una richiesta di conciliazione che è valutata con la comparizione delle parti interessate in sede conciliativa. Quasi mai però viene esplicitamente individuato, così come previsto dalla Delibera CIVIT 104/2010, un soggetto terzo e imparziale chiamato a pronunciarsi sulla corretta applicazione del Sistema. In alcuni casi viene genericamente indicata la possibilità di richiedere l’assistenza di un rappresentante sindacale e legale, senza specificare però le relative procedure.

- Modalità di raccordo e integrazione con i sistemi di controllo esistenti: in molti casi si ravvisa la necessità di raccordare il Sistema con quello di valutazione e controllo strategico e con quello per il controllo di gestione. In alcuni documenti manca del tutto la parte dedicata a tale tematica, mentre in altri tale raccordo rimane solo una dichiarazione di intenti, dato che non vengono esplicitate le modalità attraverso cui tale integrazione dovrebbe essere realizzata. Alcune amministrazioni, invece, come per esempio il Ministero degli Esteri, chiariscono che è in corso un aggiornamento dei programmi informatici volto a garantire il collegamento tra i risultati ottenuti mediante i vari sistemi di controllo.

- Modalità di raccordo e integrazione con i documenti di programmazione finanziaria e di bilancio. In riferimento a questo punto si nota che nella maggior parte dei documenti è indicato il raccordo temporale con le scadenze relative ai cicli di programmazione finanziaria e di bilancio. Spesso, infatti, il calendario delle attività di programmazione e valutazione è stato concepito in modo da tenere conto del calendario delle attività di programmazione finanziaria e di bilancio. Ciò significa che la fase di programmazione degli obiettivi strategici e operativi avviene in concomitanza con la comunicazione da parte del MEF delle previsioni di bilancio, in modo che vi sia concordanza tra gli obiettivi strategici, che saranno poi contenuti nel Piano della Performance, e quelli inseriti nelle note integrative di bilancio.

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6. Osservazioni conclusive I documenti analizzati evidenziano, senza dubbio, alcune criticità collegate alla definizione del

Sistema di misurazione e valutazione della performance che fanno, innanzitutto, emergere una forte esigenza di accompagnamento tecnico-metodologico delle amministrazioni pubbliche.

Concentriamoci, per motivi di brevità, sulle principali problematiche emerse dalla nostra analisi.

Un primo elemento di criticità riguarda la definizione degli indicatori atti a misurare l’outcome. Nonostante la CIVIT, con la delibera 89/2010, abbia fornito una scheda metodologica per lo sviluppo di indicatori (Fig. 3), molto spesso questi ultimi sono definiti in termini molto generici, senza che sia evidenziata la motivazione per cui quello specifico indicatore è stato introdotto. Ciò che si nota è poi la quasi totale assenza di indicatori atti a rilevare la soddisfazione dell’utenza, ovvero dei destinatari delle attività e dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche.

Figura 3 – Scheda anagrafica dell’indicatore

Fonte: CIVIT, 2010 (www.civit.it) Un altro elemento di criticità è quello legato alla non sempre facile reperibilità dei documenti

relativi al Sistema di misurazione e valutazione della performance. Tali documenti talvolta non sono pubblicati sui siti istituzionali delle amministrazioni interessate oppure, se pubblicati, rimandano spesso ad informazioni contenute in direttive dipartimentali di non facile reperibilità. Il che si pone certamente in contrasto con l’obiettivo dell’accessibilità totale auspicato dal Decreto 150/2009, anche perché quasi mai i documenti contengono indicazioni chiare e

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specifiche circa le modalità di comunicazione dei risultati ottenuti tramite il processo di misurazione della performance. Connesso a tale tema è quello del coinvolgimento degli stakeholder esterni nel processo di misurazione e di valutazione. Abbiamo visto, analizzando le varie definizioni date (cfr. supra), che quello di performance non può essere inteso come un concetto unitario. Esso piuttosto va visto come un complesso di informazioni relative a risultati giudicati significativi da differenti stakeholder che, dunque, dovrebbero essere attivamente coinvolti nel processo di misurazione che molto spesso è invece “monopolizzato” da soggetti interni all’amministrazione. Il che, come su detto, rischia di innescare un processo autoreferenziale che non tiene conto degli effetti dell’attività amministrativa sulla collettività. La soddisfazione e il coinvolgimento del cittadino costituiscono, infatti, il vero motore dei processi di miglioramento e innovazione (cfr. Delibera Civit 89/2010), ragion per cui i Sistemi di misurazione della performance dovrebbero concentrarsi sul valore pubblico prodotto dalle amministrazioni nell’erogazione dei servizi per la collettività. Il rischio che si corre è altrimenti quello di coprire, attraverso il Sistema, solo ciò che è misurabile, tralasciando ciò che per l’amministrazione è estremamente significativo ma magari meno misurabile in termini quantitativi. In linea generale, è stata rilevata una maggiore “maturità” dei Sistemi di valutazione della performance dei Ministeri, rispetto a quelli elaborati dagli enti pubblici statali e dalle Università. Certamente la peculiarità delle amministrazioni è un elemento importante, da tenere in considerazione nel momento in cui ci si occupa di tale tematica. In questa sede ci si è concentrati essenzialmente sull’analisi degli aspetti tecnico-metodologici dei documenti presi in esame; non dobbiamo tuttavia dimenticare che c’è una “dimensione di contenuto” che rende i vari documenti specifici a seconda dei compiti e delle missioni degli enti a cui il Sistema si riferisce e che noi, per motivi di brevità, non abbiamo potuto tenere in considerazione. L’analisi dei documenti prodotti dalle amministrazioni ha permesso inoltre di rilevare che scarsa attenzione viene in essi posta alle modalità di gestione e di valorizzazione degli esiti e dei risultati derivanti dall’applicazione, a livello individuale e collettivo, dei dispositivi individuati. Il rischio è che anche questa operazione si giochi in una logica di natura essenzialmente adempimentale, che non superi la prova di realtà rappresentata non solo dall’effettiva applicazione del Sistema ipotizzato, ma anche dal passaggio dalla misurazione alla gestione della performance. Il che significa fare in modo che i risultati ottenuti contribuiscano alla definizione dei processi decisionali (cfr. Radin, 2006). In altri termini, i sistemi di misurazione della performance sono strumenti essenziali per il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e della governance in generale solo se i risultati che essi consentono di ottenere sono utilizzati nel governo complessivo del sistema pubblico e nelle relazioni interistituzionali (cfr. Monteduro, 2010). Ci sono alcuni punti su cui si dovrebbe certamente investire per favorire il passaggio dalla semplice misurazione alla gestione della performance (cfr. ivi). In primo luogo va certamente menzionata la maggiore attenzione che si dovrebbe porre non solo agli aspetti tecnici del Sistema di misurazione, ma anche alla legittimazione dello stesso, sia all’interno sia all’esterno dell’amministrazione. Il che significa curare i processi di comunicazione e di rendicontazione non soltanto, a valle, dei risultati ottenuti, ma anche, a monte, dei metodi, delle tecniche e delle modalità che si intendono utilizzare, cercando altresì di coinvolgere gli stakeholder nella messa a punto del Sistema. Ciò aiuterebbe, tra l’altro, a capire cosa è necessario misurare e quali dimensioni includere nel Sistema di misurazione. In secondo luogo è assolutamente opportuno creare le condizioni volte a far sì che le informazioni rilevate attraverso la misurazione della performance diventino parte integrante delle procedure utilizzate all’interno delle pubbliche amministrazioni e siano concretamente usate nell’ambito del processo decisionale. È chiaro che, per fare ciò, è necessario sia che le informazioni di performance siano coerenti con i fabbisogni informativi dei diversi utilizzatori (dipendenti dell’amministrazione ma anche cittadini) sia che all’interno dell’organizzazione siano

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presenti le capacità, organizzative e manageriali, per saperle utilizzare. Centrale diventa, in tal senso, il ruolo dei processi formativi che dovrebbero, tra l’altro, aiutare a promuovere una cultura non burocratica della gestione della performance, puntando sull’idea che il ciclo di gestione della performance è un processo volto al miglioramento e non alla sanzione dell’errore.

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