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GLI STILI DI VITA DEL CRISTIANO
Abbiamo parlato, nell’ultimo incontro, della città nuova a cui
anela Abramo nel suo si a Dio. Città nuova segno di una
umanità nuova e di nuove relazioni di cui Dio è artefice.
Relazioni nuove di cui ciascuno di noi è responsabile davanti a
Dio e agli uomini, relazioni che non possono, allora, non
richiamarci e condurci al nostro modo di vivere, al nostro stile di
vita di cristiano.
Questa sera, allora, mediteremo insieme proprio sugli stili di vita
del cristiano, sulla nostra vita concreta di ogni giorno, nel senso
di cosa e come siamo chiamati a vivere, cercando però di non
farne un’operazione morale, ma invece di adesione a Cristo, di
coerenza e conformità alla nostra fede, quella che andiamo
dicendo essere il tesoro della nostra vita.
E lo faremo facendoci guidare, per buona parte, da una lettera
pastorale del Cardinale Carlo Maria Martini che, nel 1996,
scriveva alla Chiesa Ambrosiana, alla sua diocesi, ma
sicuramente anche a tutta la chiesa di Dio.
Una lettera indirizzata a tutti coloro che aprendosi alla vita con
scelte ricercate e volute, sentono l’importanza di una via per
accogliere la Parola del Signore e vivere in comunione con Lui.
Tutto questo in un mondo ed in un clima sociale dove spesso
sembra forte la paura di prendere decisioni impegnative per la
propria vita.
Non c’è alcuna intenzione di esaurire le risposte alle molteplici
domande sugli stili di vita del cristiano o a ciò che deve regolare
la vita del cristiano, né daremo risposte facili, quanto piuttosto
un cammino spirituale , interiore, aperto, che aiuti a creare ogni
giorno lo spazio per lasciare parlare ed operare il Signore.
Indicazioni che possano incitarci alla testimonianza vera e
feconda per la quale ognuno, insieme con tanti fratelli, può
essere portatore della speranza che viene da Dio.
La nostra fede, fondata sulla speranza…
Il percorso passerà attraverso quattro momenti in risposta a
quello che abbiamo detto sin dall’inizio quest’anno quando
abbiamo parlato della fede in senso dinamico, nonché della
conversione che deve avvenire ogni giorno nella nostra vita:
1. INTERROGATIO: l’inquietudine del cuore
2. TRADITIO: i doni di Dio che ci sono trasmessi nella
chiesa
3. RECEPTIO: l’accoglienza dei doni ricevuti
4. REDDITIO: la restituzione dei beni accolti
INTERROGATIO
Siamo chiamati, in questo ambito, ad ascoltare le domande vere
del nostro cuore, a confessarcele fino in fondo. Questo è
importante: non è possibile trovare e dare risposte se non si
sono riconosciute le domande.
Vedete non meravigliamoci se questa sera sembra che
facciamo un passo indietro sulla nostra fede, perché non è così!
Sarebbe un grave errore perché potremmo sentirci come
arrivati, e questo non deve mai accadere nella nostra vita.
L’inquietudine del cuore di cui parliamo, allora, non è
l’inquietudine “PRIMA”, quella iniziale di chi ancora non ha
incontrato Dio, di chi cerca risposte nella sua vita (per intenderci
“L’uomo s’interroga”), ma quella che viviamo ogni giorno, che ci
attanaglia nei momenti bui, difficili, di tentazione (ricordiamo
sempre la lotta spirituale).
Quella in cui torniamo ogni volta a farci le solite domande
grandi, quando guardiamo fino in fondo a noi stessi ed apriamo
veramente il nostro cuore e vi troviamo tante gioie e dolori e,
forse, ancora tante domande aperte.
Quanto dolore, quante ingiustizie, quanta violenza, quanta
solitudine, quante prospettive di morte (non solo fisiche)
Signore, perché? Come si conciliano tutte queste cose con le
gioie autentiche?
Fare i conti con la miseria del mondo che copre la terra significa
riconoscere la grande difficoltà che tutti incontriamo nel trovare
le ragioni che giustifichino la fatica di vivere.
E come spieghiamo il silenzio di Dio? Quante volte ci chiediamo
“Signore dove sei?”, e ci portiamo nel cuore queste domande
che inquietano la nostra fede e ci rendono uomini e donne
pensose ed in ricerca… Anche nel cuore di chi cammina da anni
abitano gli interrogativi che ci fanno umani, che ci rendono
bisognosi di Dio.
Tutte domande che poniamo a Dio, a pensarci bene, quasi a
chiedergli conto e ragione di questo mondo.
E se provassimo, invece, a capovolgere la domanda, a passare
dall’interrogare all’essere interrogati? E se consentissimo a Dio
di porci le sue domande?
Chiediamoci, allora, quali potrebbero essere le domande di Dio:
se mi immagino davanti a Lui, al suo sguardo penetrante e
creatore, non posso non riconoscere l’invadenza dell’io, cioè
come il mio cuore sia mosso tante volte da motivazioni che mi
fanno stare al centro e misurare su di me tutte le cose, e perfino
l’agire di Dio.
Non posso non pensare alla fatica di tutti noi ad uscire dalle
pastoie delle nostre motivazioni egoistiche, dalla facilità con cui
cadiamo nelle logiche particolaristiche, ecc…
Le domande che Dio ci farebbe, ed io dico ci fa oggi, sono
invece spirito e vita, perché ci invitano a riconoscere le ragioni
del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e
di pace anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare
apertamente che ci portiamo dentro, nel sospetto di non essere
amati, in una parola nel fare chiarezza in noi stessi,
autenticamente.
E’ così, allora, che capisco la verità su me stesso: è così che
prendo coscienza del mio egoismo e della mia fragilità, che
fanno cadere l’ingenua (e lo sappiamo fratelli che è così se
siamo onesti fino in fondo) convinzione che bastino le buone
intenzioni per cambiare il mondo e la vita, per una testimonianza
autentica ed efficace.
Gli alti e i bassi si susseguono con un’impressionante
frequenza: nelle scelte del cuore e negli orientamenti della vita.
Allora vedete, comincia a prendere corpo il percorso di questa
sera: la strada da percorrere e da vivere, l’autenticità della mia
scelta, del mio si a Dio…
C’è una via chiara che il Vangelo ci sbatte in faccia senza
mezze misure, la via più difficile.
Occorre innanzitutto imparare a convivere con noi stessi, ad
accettare la nostra instabilità spirituale ma ancor più imparare
ad accettare che anche attraverso questo cammino contorto,
difficile, doloroso, Dio ci ama e vuole farci suoi.
Accettare che dalla morte venga la vita ci ripugna: eppure deve
essere proprio così, se il Signore ci lascia in questa lotta.
Forse, però, è proprio questa ripugnanza ad accettare e
scegliere la via dell’amore fino alla morte che mostra al tempo
stesso la condizione tragica del peccato ed il bisogno che noi
tutti abbiamo d’imparare ad amare con un aiuto che ci venga
dall’alto: in questo senso, la fatica a credere che un Dio sia
morto in croce è la riprova della necessità di questa morte.
Il cristianesimo, allora, non è la risposta banale alla domanda
del dolore e della morte, una risposta che giustifichi tutto, no! Il
cristianesimo è la “lectio difficilor”, la via più difficile, che prende
sul serio la condizione di morte e di peccato, e proprio così
annuncia la compassione di un Dio che si fa carico di questa
morte e di questo peccato per sollevare e salvare ciascuno di
noi.
Capiamo ora la via più difficile a cui siamo chiamati: la via della
CROCE, fratelli, la via della morte a noi stessi per fare spazio
all’altro, per generare vita. E’ questo lo stile di vita primo del
cristiano!!! Da qui, poi, tutto discende nella vita quotidiana.
Capiamo così che la sofferenza divina non è incompatibile con
le perfezioni di Dio: è la sofferenza dell’amore che si fa carico,
frutto di gratuità senza limiti. Un Dio tenero come un Padre e
una Madre, un Dio umile che manifesta la sua onnipotenza e la
sua libertà proprio nella sua apparente debolezza di fronte al
male.
Proprio così, nella morte di Gesù sulla croce, ci insegna a trarre
il bene dal male, la vita dalla morte. E comincia ad apparire tutta
la contraddizione del nostro continuo voler essere gratificati da
tutti e da tutto, a cominciare da Dio, mentre lo contempliamo
crocifisso…
Dov’è lo stile di vita del cristiano se restiamo così?
Scriveva Martini: “Come vorrei che tutti a questo punto
capissero che il mistero di un Dio morto e risorto è la chiave
dell’esistenza umana e il succo del Vangelo e della nostra
fede!”.
Eppure, vedete, contro questa roccia del mistero pasquale
cozzano tutte le onde delle nostre resistenze; eppure è proprio
qui che si ricongiungono i nodi del rapporto che lega morte e
vita, dolore e gioia, fallimento e successo, frustrazione e
desiderio, umiliazione ed esaltazione, disperazione e speranza.
Quando la “legge della croce” ci tocca, ci sconvolge e ne siamo
profondamente turbati: ma solo qui si attua la piena liberazione
dal male, fino ad accettarne le conseguenze su di sé per
perdonarlo e superarlo.
Allora non c’è che una via possibile: arrendermi senza riserve
nelle mani di Dio, del Dio umile e sofferente, del Dio crocifisso.
Solo così potrò ogni giorno riprendere nelle mie mani il bandolo
della matassa intricata della vita (ecco ancora lo stile di vita del
cristiano da cui tutto discende). Gesù Cristo in croce è la
“custodia silenziosa in cui riposa il senso della vita e della storia,
il senso del mondo”.
Nell’ottica della fede come arrivo a questa conclusione così
certa e definitiva? Come avviene che ancora e sempre, ogni
giorno, mi aiuti a vivere e ad illuminare per me e per gli altri la
fatica di vivere?
Possiamo rispondere solo così: io mi sento amato,
sommamente, da questo Dio più grande di noi tutti; mi sento
come uno che non può fare a meno di Dio. Anche se difficile e
contrastata sento che questa scelta è l’unica valida. Non è
volontarismo: è RICONOSCIMENTO.
E il riconoscimento si trasforma in RICONOSCENZA.
Ma dove posso incontrare questo Dio? Dio della compassione e
della misericordia, Dio ce si fa compagno del nostro dolore e ci
aiuta a portarne il peso, dandogli senso? Questo Dio possiamo
trovarlo nella Chiesa: nel suo annuncio, che è il Vangelo di
Gesù, nei suoi sacramenti, nella compagnia di quanti, credendo,
sono stati resi fratelli e sorelle nello Spirito e – pur con tutti i loro
limiti – si sforzano ogni giorno di imparare a credere, sperare ed
amare.
TRADITIO
La regola che detta i tempi allo stile di vita del cristiano è il
Vangelo del Signore Gesù, vissuto nella grazia dello Spirito
Santo effuso nei nostri cuori a gloria di Dio Padre.
Regola di vita semplice e grande, a noi consegnata nel giorno
del nostro battesimo ed accolta e vissuta mediante la nostra
professione di fede. Ed è in questa fede ricevuta e vissuta che
troviamo luce per le nostre domande, ci sosteniamo nella vita e
di fronte alla morte. In questa fede possiamo comprendere qual
è la vocazione profonda di ciascuno di noi, quali le condizioni
per discernere e vivere la volontà di Dio. In questa fede troviamo
la forza ed il coraggio per affidarci totalmente a Dio e vivere
senza timore e paura le sue “beatitudini”.
E non può restare fuori da questa fede e da ogni stile di vita la
conoscenza amorosa delle Scritture: la Parola di Dio fa parte
dell’identità del cristiano, sta al principio della nostra vita e
continuamente la nutre e la rinnova.
Nel rapporto con la Parola di Dio siamo chiamati, ancora, al
“silenzio contemplativo” come stile di vita; dobbiamo imparare e
conservare la capacità di entrare e rientrare nel nostro intimo, di
ritrovare il centro di noi stessi, fermandoci ad ascoltare. La
dimensione contemplativa ci è necessaria per cominciare e
vivere un autentico cammino di fede.
Dalla fede professata e vissuta, nutrita dalla Parola di Dio e
dall’Eucarestia, emerge tutto il senso della vita, senso che
impone al cristiano di essere sempre e dappertutto con Cristo e
di vivere alla sua sequela. No, allora, ad una vita scollata dalla
fede, SI ad una vita unificata e radicale, cioè che mette radici in
Dio.
Questo significa vincere il senso di vuoto e di insignificanza che
tante volte ci tenta, vivere uno stile di vita in Dio e confessare
con la vita Cristo Gesù.
RECEPTIO
Io che ricevo questi doni di Dio (Parola, Eucarestia, sacramenti
tutti) sono un uomo che sente tutta la fatica della condizione
umana, ma che riconosce sempre forte (ecco ancora lo stile di
vita) il bisogno di essere sostenuto, nutrito, rianimato dalla
misericordia e dalla salvezza che ci sono data in Gesù Cristo.
Il mio stile sarà, allora, quello di chi riconosce la gratuità di
questi doni, che essi sono immeritati e sempre inattesi.
Ed anche la PREGHIERA è uno di questi doni, personale e
liturgica.
La preghiera come risposta alla Parola di Dio che per prima mi
interpella e mi raggiunge; il cristiano più che pregare un Dio,
prega in Dio, prega nascosto con Cristo nella Trinità, sorgente e
grembo di vita.
Allora Preghiera, Parola, Sacramenti ed esercizio della carità
costituiscono il tessuto della Receptio, il terreno nel quale
riceviamo ogni giorno nella Chiesa i tesori della rivelazione
divina.
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Siamo
chiamati a celebrare con fiducia il sacramento della
riconciliazione, nel quale riconosciamo gli innumerevoli doni di
Dio nella nostra vita (confessio laudis), confessiamo umilmente
ciò che non va nella nostra vita, ciò che non è stato secondo Dio
(confessio vitae), professiamo la nostra fede nella infinita
misericordia del Padre (confessio fidei). Anche questo è stile di
vita del cristiano autentico, fratelli, non possiamo dimenticarlo.
Né possiamo tralasciare l’incontro costante con una guida
spirituale, sostegno prezioso nel cammino di santità vissuto
nel quotidiano!!!
Ancora: vivere secondo lo Spirito di Dio, che significa lasciarsi
guidare dal dono di Dio, confortati e sostenuti in OGNI
situazione dalla certezza della presenza di Gesù (l’abbandono a
Lui, l’affidamento a Dio, questo è ancora stile di vita del
cristiano), che non viene mai meno alle sue promesse.
C’è uno stile di vita del cristiano, poi, nei sacramenti della
comunione ecclesiale: l’ordine sacro ed il matrimonio.
Attraverso di essi la grazi divina consacra i vincoli che si
formano e si stabiliscono nella comunità (parrocchia, ecc…);
perciò questi due sacramenti conferiscono una missione
specifica al servizio dell’edificazione del popolo di Dio. Capite a
cosa siamo chiamati? Qual è lo stile di vita cristiana che
dobbiamo avere noi coniugi nello specifico della nostra
vocazione? Che doni grandi ci fa il Signore!
Una vera grazia, ancora, da coltivare e promuovere, è lo
scambio di doni e ricchezze spirituali tra le diverse vocazioni
nella Chiesa, tra le varie forme di vita consacrata ed i laici;
scambio che si attua nel dialogo, nella collaborazione e nella
preghiera comune. Anche questo è stile di vita cristiana.
A partire dal sacramento dell’unzione, poi, è bene riscoprire
nella vita ecclesiale e comunitaria il valore salvifico del dolore,
vissuto in Cristo e con Lui. Abbiamo uno stile di vita cristiana
che si rispecchi anche in una compassione fattiva e discreta
verso i sofferenti, in una solidarietà per aiutarli a vivere essi
stessi con fede il loro dolore.
Solo così ogni cristiano, ciascuno di noi, si sforza di recepire i
doni del Signore per mostrare in ogni tempo e luogo che è
possibile vivere comunità autentiche ed il Vangelo nella
semplicità e nella gioia.
REDDITIO
Quanto abbiamo gratuitamente ricevuto da Dio, e riceviamo ogni
giorno attraverso la Chiesa nei suoi molteplici aspetti
(sacramenti, vita fraterna, ecc…), dobbiamo offrirlo
gratuitamente a coloro a cui il Signore ci manda. Siamo tutti
chiamati a COMUNICARE la nostra fede, per ridare a molti quel
senso pieno della vita che ci è stato donato.
Cosa ci distinguerà, allora? L’accoglienza fraterna, anzitutto
tra i credenti, che poi si aprirà e ci aprirà agli altri.
Il cristiano non fa preferenze di persone, ma a tutti mostra
l’accoglienza che mostrerebbe al Signore Gesù (noi?) Ecco lo
stile di vita del cristiano! E’ aperto al dialogo a partire da una
coscienza della propria identità (quella di chi ha scelto il Vangelo
in TUTTO) che è così certa e serena da lasciarsi volentieri
arricchire dai tesori degli altri.
Farsi prossimo: dall’accoglienza scaturisce l’impossibilità di
chiudersi agli altri. Una fede autentica, seppur nelle difficoltà del
nostro essere piccoli e miseri, spinge il cristiano a farsi prossimo
a ogni uomo o donna, facendo spazio nella casa, nella comunità
ecclesiale, nel cuore, a chi ha bisogno di accoglienza.
Allora ecco forme come l’affido familiare o l’adozione, scelte di
solidarietà con lo straniero, l’emarginato, il debole, il malato,
l’indifeso, l’anziano, il bambino solo, esperienze di volontariato
da vivere con piena gratuità e dedizione, nel rispetto e
discernimento delle nostre vocazioni, dei nostri ministeri, delle
nostre attitudini. Tutte urgenze, queste, di una vita cristiana che
tenda alla SANTITA’ nel quotidiano.
Non moralismo, fratelli, ma vera vita vissuta nella fede: vi
ricordate la prima meditazione di quest’anno? La fede operante
attraverso l’amore…
Siamo chiamati in tutte le situazioni della vita a scegliere sempre
ciò che più piace a Dio: il cristiano deve imparare, ed avere il
coraggio, ad essere coscienza vigile della società, critico di tutto
quanto sia contro le logiche di Dio, pronto alla denuncia di
quanto offenda o manipoli la dignità dell’essere umano, deciso
nell’annuncio della fede professata, PAGANDO ANCHE A
CARO PREZZO.
Le scelte impopolari, allora, saranno quasi sempre quelle
gradite a Dio, anche a costo di risultare antipatici o rischiare di
rimanere soli in varie circostanze della nostra vita.
Coscienza critica: una coscienza critica, nutrita dalla
contemplazione della croce e ispirata alla speranza, deve
guidare il cristiano che s’impegnerà nel servizio della cosa
pubblica, in campo sociale e politico. E’ demandato di imitare
Gesù nella propria vita, non solo nel rispetto della legalità e nella
disponibilità a spendere la propria esistenza secondo la volontà
del Signore e il bene più grande del prossimo, ma anche fino al
punto di seguire Gesù nella via della solitudine e
dell’abbandono, se egli lo chiedesse.
Non sarà possibile realizzare queste forme di vera e propria
carità politica e sociale se non ci eserciteremo nella quotidiana
rinuncia di noi stessi, nell’accoglienza e nel servizio generoso e
fedele degli altri.
Spiritualità del lavoro: nell’esercizio della propria attività
lavorativa il cristiano si sforzerà di avere sempre l’intenzione di
fare tutto per la gloria di Dio ed il maggior bene degli altri: perciò
si verificherà spesso con chi nell’ambiente di lavoro possa
aiutarlo, e soprattutto con il Signore nell’ascolto della Parola e
nella preghiera, perché anche il lavoro sia luogo di grazia e di
santificazione per sé e per coloro che incontra, superando le
contraddizioni, le sofferenze e le povertà che pesano sul lavoro
dell’uomo.
Questa spiritualità del lavoro diventa un modo concreto per
rendere grazie a Dio dei suoi doni.
Restituire i beni educando: anche educare significa dare
gratuitamente ad altri ciò che ci è stato donato. L’educazione è
una forma alta della restituzione dei beni ricevuti, e perciò la
Chiesa si riconosce chiamata ad essere comunità educante
nella gratitudine a Dio, datore dei doni.
La famiglia: luogo altissimo della realizzazione del progetto di
Dio su ciascuno di noi.
Nei rapporti quotidiani non ci sono maschere che tengano:
siamo chiamati ad essere veri davanti alla nostra coscienza e
davanti a Dio.
Andiamo incontro agli altri senza aspettare che siano essi a fare
il primo passo, rispettiamo la dignità di coloro che vivono con
noi, privilegiamo sempre il dialogo, anche nei momenti di
stanchezza e di delusione, vinciamo la tentazione del mutismo e
dell’isolamento: tutti modi, questi, concreti e possibili, anche se
a volte difficili, di seguire Cristo nella nostra vita quotidiana.
La fedeltà coniugale ed il reciproco sostegno diventeranno un
riflesso della fedeltà e amorevolezza di Dio.
La preghiera in famiglia, anche nella forma semplice e breve
che precede i pasti, è un aiuto grande per vivere tutti INSIEME
alla presenza di Dio. Ed ora una domanda: non è valido tutto ciò
anche per la COMUNITA’? Meditiamo, fratelli!
Lo stile della sobrietà: la sobrietà come stile di vita personale e
familiare, oltre che comunitario, è non solo una forma chiara e
vera di imitazione di Gesù povero e crocifisso, ma anche la
contestazione più credibile dei falsi modelli della società,
dell’edonismo più diffuso. Capiamo, allora, il perché della critica
delle marche, degli status e delle etichette: non è moralismo, ma
riconoscimento di una vita altra, fondata su Gesù Cristo.
La vera felicità e il vero senso della vita non consistono nel
possedere
di più, ma nell’essere di più nella verità e nell’amore. L’uso
maturo e responsabile del proprio tempo, la vigilanza nei
confronti dei “media” tesa a non farsi dominare dalle correnti del
momento ( spesso occulte e infime) per mantenere vigile e
libero il cuore sono altri aspetti importanti di questa sobrietà di
vita.
La comunione ecclesiale: il sacrificio più grande da offrire a Dio
è la nostra pace e la fraterna concordia, noi radunati dall’unità
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (San Cipriano).
Tutto ciò che abbiamo detto sinora non può essere vissuto
pienamente e veramente se non si è in piena comunione con i
propri fratelli nella fede. La comunione ecclesiale è richiesta da
Cristo come condizione della credibilità del nostro annuncio.
La missione: chi ha incontrato il Signore nella comunione della
Chiesa non può non sentire il bisogno di annunciare ad altri la
buona novella dell’amore di Dio di cui ha fatto esperienza.
Ecco, allora, alcuni tratti degli stili di vita del cristiano, della
differenza cristiana da incarnare ogni giorno, e poco conta se
siamo in pochi. Come ha scritto Enzo Bianchi nel 2009 a
conclusione di un suo articolo sul “Convegno nazionale al
Lingotto delle Caritas diocesane”: “E proprio per salvaguardare
lo stile cristiano occorre resistere alla tentazione di contarsi, di
farsi contare, di mostrare i muscoli… La fede non è questione di
numeri ma di convinzione profonda e di grandezza d’animo, di
capacità di non avere paura dell’altro, del diverso, ma di saperlo
ascoltare con dolcezza, discernimento e rispetto. Dalla
testimonianza quotidiana dei cristiani nel mondo dipende la
ricezione del Vangelo come buona o cattiva comunicazione, e
quindi buona o cattiva notizia.”
NON FACCIAMO RESTARE SOLO PAROLE TUTTO
QUESTO…