Gli spioni di piazza

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È fatta riforma, vi che bellezza Ha dato le terre agli spioni di piazza Compreso le vacche cavallo e’ carozza. 3 Ed è proprio da questa riflessione che ho preso spunto per dare il titolo al mio libro. Il mondo contadino e operaio di oggi altro non è che la maschera di fango degli anni ’50 bagnata nell’oro dei giorni nostri, che nasconde prepoten- ze ed ingiustizie, che caratterizzano oggi, come caratterizzavano allora, la vita politica-sociale di un piccolo paese del sud. Luigi Ditella

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INTRODUZIONE

Sono passati ormai 50 anni dal periodo delle lotte contadine che sfociarono nella riforma agra-ria, e quel mondo si riflette ancora oggi nella vita di tutti i giorni.

Quei gesti, quei modi di vivere, quei pregiudi-zi, descritti da autori del passato, rivivono con tutte le sfumature più o meno curiose, e a volte drammatiche.

Vero è che i volti non sono più gli stessi, e la si-tuazione economica e sociale è migliorata di mol-to. Ma i modi di fare, di essere, di emergere e so-prattutto di apparire contornati da prepotenze anche ai limiti della legalità, trovano riscontro oggi come negli scritti di quel tempo, soprattutto in quelli che raccontano gli anni della riforma, da cui tutto ha avuto inizio. Là dove vi fu il supera-mento di quella condizione di miseria verso una situazione di piccoli proprietari terrieri, nacquero invidie, gelosie e ingiustizie.

Chi ha già trattato incisivamente queste te-matiche è il poeta tricaricese Nicola Zotta. Una delle sue poesie più significative recita:

È fatta riforma, vi che bellezzaHa dato le terre agli spioni di piazzaCompreso le vacche cavallo e’ carozza.

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Ed è proprio da questa riflessione che ho preso spunto per dare il titolo al mio libro.

Il mondo contadino e operaio di oggi altro non è che la maschera di fango degli anni ’50 bagnata nell’oro dei giorni nostri, che nasconde prepoten-ze ed ingiustizie, che caratterizzano oggi, come caratterizzavano allora, la vita politica-sociale di un piccolo paese del sud.

Luigi Ditella

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10 FEBBRAIO 1947

C’è una terra che piangeAl di là del confineDal fondo del pozzo Mio fratello mi chiama

E i passi vuoti di chi aspettaDi uscire dalla tana mortaCome una talpa in primaveraChe il manto più non conosce

Si respira il sangue dell’odioFra i sassi e gli alberi adultiChe tutto hanno vistoE che scuote il loro silenzio

Il mio patriota grida giustiziaLa morte non conosce coloreMa solo il pianto delle madriDavanti alle tombe del Carso.

Il silenzio urlato del beneNon dimentica verità d’orroreChe il terrore rosso come il neroHanno versato il mio sangue italiano.

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A MIA NONNA

È l’alba d’un nuovo giornoLa primavera distrattaCinguetta davanti la portaCome una rondine al suo guscio.

Oltre quella portaUn cuore non batte piùFreddo nel suo minuto involucroHa dato l’estremo risuono.

Chi è partito per l’ultimo viaggioÈ l’anima di mia nonnaChe il sangue mi detteE che ora dall’alto mi scruta.

Al capezzale del suo lettoAd ogni mia ripartenzaUn bacio sulla rugosa fronteE la lacrima a salutarmi.

Io suo nipote sempre bambinoChe ora è per il mondoLa carezza dei suoi schiaffiMi porto nel soffocato pianto.

E ora che non mi parli,E dietro non mi corriTi vedo in questo giorno caldo E sento tanto freddo.

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AL FRONTE DELLA MATTINA

Persi i miei cari quando partiiPer le strade verso il nordTu rugosa madre non parlavi Se ti dicevo che mi mancavi

Eri donna alla mia etàE sulla tavola tarlata Tua madre ti piegavaA lavare e cucinare.

Il mio viaggio è solitarioNella carezza del mattinoMi insegnasti a non cadereE a frenare il mio sveltire.

Ora al fronte della mattinaI miei compagni brigantiLottano in terra natia.Al canto freddo della litania.

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AL PRIMO GATTO

Occhi di gatto alla seraLuccicano al fissaggioAttento lo sguardoChe delizia chi va per vie.

Non mi fissareA me che vago ragguagliatoMi osservano tutti i saggiE mi trema la voce dal palco.

Un addio è il tuo miagolareMe ne vado per vie lontane,Lassù non ti turberòIl randagiare per le strettoie.

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ALL’OSPEDALE DI POTENZA

All’Ospedale di PotenzaLo sguardo avaro alla finestraIl ribussare del vento dalle porteE il passo lieve del chirurgo

Nei letti tacitiCol sonnecchiare dell’ammalatoI colpi accecanti al campanelloE l’improvvido sguardo all’infermiera

Giorno di interventoLa lacrima stenta della mia bellaE il passo fumante di mio padreAll’accennare del sicuro sorriso

Tutto è andato beneNel letto ormai spinosoE l’uscita il gemente pensieroAl pallido sole mattutino

Di fronte al mio lettoL’ignaro degente aspettaArrivare il suo estratto Al gioco del proprio destino.