Gli Slavi: unità e differenziazione etnolinguistica e...

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1 Università degli Studi "Roma Tre" Dipartimento di Lingue, letterature e culture straniere Area Slavistica Prof. Krassimir STANTCHEV Gli Slavi: unità e differenziazione etnolinguistica e storico-culturale DISPENSA DI F I L O L O G I A S L A V A PER IL CORSO TRIENNALE Versione aggiornata – maggio 2018

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Università degli Studi "Roma Tre"

Dipartimento di Lingue, letterature e culture straniere

Area Slavistica

Prof. Krassimir STANTCHEV

Gli Slavi: unità e differenziazione etnolinguistica e storico-culturale

DISPENSA DI F I L O L O G I A S L A V A PER IL CORSO TRIENNALE

Versione aggiornata – maggio 2018

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Programma del corso

1. L'etnogenesi degli Slavi e la lingua protoslava; dal protoslavo al paleoslavo 2. Le migrazioni slave, la divisione dello spazio etno-linguistico, la formazione dei primi Stati

slavi 3. L’opera di Cirillo e Metodio e la nascita della civiltà scrittoria slava: gli alfabeti slavi, la

lingua paleoslava (o slava antica), le prime opere letterarie. 4. Le tradizioni cirillometodiane dalla Grande Moravia al Primo impero bulgaro e alla Rus’ di

Kiev. Slavia ortodossa. 5. Dal protoslavo e paleoslavo alle lingue slave moderne

6. La stampa cirillica; la riforma petrina dell'alfabeto, le ulteriori riforme del cirillico moderno e la questione della sua traslitterazione.

Bibliografia di base

DISPENSA Stantchev e allegati (verranno forniti in formato PDF sul sito del docente; alcuni testi verranno distribuiti in fotocopie) – è il principale testo di riferimento per il corso, comprese le indicazioni bibliografiche contenute in esso.

Garzaniti M., Gli Slavi. Storia, culture e lingue dalle origini ai nostri giorni, a cura di F. Romoli, Carocci editore, 2013 (in seguito Garzaniti 2013 con indicazione delle pp.). N.B. È un libro di riferimento, non è “Il Manuale” per il presente corso!

Boriero Picchio L., La letteratura bulgara con un profilo della letteratura paleoslava, Sansoni-Accademia, 1969 (pp. 9-69: Introduzione alla letteratura paleoslava);

Le Vite paleoslave dei santi Cirillo e Metodio – in traduzione italiana: – Peri V. (a cura di), Cirillo e Metodio. Le biografie paleoslave, Ed. O.R., Milano

1981 (PDF sul sito del docente/"Materiali didattici") oppure Le Vite paleoslave di Cirillo e Metodio, a cura di M. Garzaniti, in A.E. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici cristiane della cultura slava, Jaca Book 2005, pp. 163-223;

– in traduzione russa: Флоря, Борис Н., Сказания о начале славянской письменности, ІІ изд., "Алетейя", С.-Петербург 2000, стр. 135-338;

Per un approfondimento:

Marcialis N., Introduzione alla grammatica paleoslava, Firenze University Press, 2005 (II ed., 2007), [Biblioteca di Studi Slavistici, 1], pp. 3-76: Introduzione. <https://vdocuments.mx/documents/introduzione-alla-lingua-paleoslava.html>

Si vedano anche gli articoli su singoli argomenti inseriti nel sito del docente/"Materiali didattici".

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Programma dettagliato (per un totale di 36 ore)

0. Introduzione al corso: Che cos'è la filologia? Cenni storico-bibliografici sullo sviluppo e lo stato attuale della Filologia slava. Indicazioni bibliografiche 1. L'etnogenesi degli Slavi e la lingua protoslava; dal protoslavo al paleoslavo 1.1. La questione della protopatria slava. Slavi e baltici. Protoslavo (o ‘slavo comune’) e paleoslavo (o ‘slavo antico’): terminologia, periodizzazione 1.2. Protoindoeuropeo à protoslavo à paleoslavo: principali cambiamenti fonetici 2. Le migrazioni slave, la divisione dello spazio etno-linguistico, la formazione dei primi stati slavi e la loro cristianizzazione 3. L’opera di Cirillo e Metodio e la nascita della civiltà scrittoria slava 3.1. Costantino Filosofo (s. Cirillo) e Metodio: vita e opera; le loro Vite paleoslave 3.2. Le prime traduzioni in lingua (paleo)slava e la questione delle opere originali di Costantino-Cirillo; Proemio al Vangelo 3.3. L’alfabeto glagolitico: struttura, base linguistica, confronto con l'alfabeto cirillico; ulteriore sviluppo e tramonto del glagolitico 3.4. L’attività dell’arcivescovo Metodio dopo la morte di Costantino-Cirillo; le sorti dell’opera cirillometodiana presso gli Slavi occidentali 4. Le tradizioni cirillometodiane dalla Grande Moravia al Primo impero bulgaro e alla Rus’ di Kiev 4.1. Gli allievi cirillometodiani in Bulgaria (886-893): il nuovo status della lingua paleoslava; il nuovo alfabeto, il cirillico; le nuove traduzioni; 4.2. Il ‘secolo d’oro’ della letteratura anticobulgara e la formazione del sistema letterario della Slavia ortodossa 4.3. L’inizio dell’attività scrittoria nella Rus’ di Kiev 5. Dal protoslavo e paleoslavo alle lingue slave moderne 5.1. Dal paleoslavo e le sue redazioni allo slavo ecclesiastico. Il problema della formazione delle lingue nazionali nell'area slavo-ortodossa 5.2. Le lingue slave moderne: classificazione e principali caratteristiche 6. La stampa cirillica; la riforma petrina dell'alfabeto, le ulteriori riforme del cirillico

moderno e la questione della sua traslitterazione.

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1. L'etnogenesi degli Slavi e la lingua protoslava; dal protoslavo al paleoslavo

1.0. Gli indoeuropei

La proto-patria dei popoli indoeuropei è stata ipotizzata o nella zona dei Balcani e dell'Asia Minore, o nel Sud dell'Asia Centrale. Tuttavia, secondo le ultime ricerche linguo-etno-antropologiche, essa sarebbe stata localizzata nella zona montagnosa del Kurdistan, intorno ai laghi di Van e di Urmia, limitata a sud-ovest dal corso superiore del fiume Tigri e a Nord dal monte Ararat (dove si crede che fosse approdata l'arca di Noè). È il territorio dove nascono gli Stati arcaici di Urartu e Assiria. Di là i diversi gruppi etno-linguistici si spostano verso l'Iran, verso l'India e verso l'Europa. Questi ultimi si stabiliscono per qualche tempo nelle terre a nord del Mar Nero, per diffondersi fra il III e il I millennio a. C. in tutta l'Europa.

Mappa e dettagli: http://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_indoeuropee

1.1. La questione della protopatria slava. Slavi e baltici. Protoslavo (o ‘slavo comune’) e paleoslavo (o ‘slavo antico’): terminologia, periodizzazione

1.1.1. La proto-patria degli Slavi ovvero il loro habitat primitivo, a prescindere da alcune vecchie teorie (‘pannonica’, ‘danubiana’) già superate, è da collocare nelle pianure dell'Europa Centro-Orientale, a nord e nord-est della catena dei Carpazi, tra i fiumi Vistola, Oder, Dnestr superiore e Dnepr, con centro immaginario nel punto d'intersezione dei confini tra gli odierni Stati di Bielorussia, Polonia e Ucraina (v. mappa) Da lì nei secoli VI-VII numerose tribù slave mossero, in modo pacifico, in direzione nord/nord-ovest, mescolandosi con i popoli baltici, a ovest verso le terre dei Germanici, a est in direzione dell'odierna Russia, a sud-est verso la Crimea (Chersoneso) e a sud verso i Balcani, aggirando i Carpazi o da ovest (attraverso la pianura pannonica) o da est (il delta del Danubio e il Mar Nero). In questo modo entrarono in contatto attivo con popolazioni di lingue baltiche, germaniche, paleo-balcaniche, greca, (tardo)latina e iraniche (in particolare con i Sarmati).

Sulla genesi dell'etnonimo ‘Slavi’ non esiste un'ipotesi del tutto convincente e accettata dalla maggioranza degli studiosi. È da ritenere leggendaria l'etimologia da slava ('gloria'), quindi slavan, slaven ('glorioso, popolo glorioso'). Non è del tutto priva di fondamento, invece, l'ipotesi che l'etnonimo sia di origine germanica, dall'ipotetico protogermanico *slavoz, 'muto' (cfr. il gotico

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slawan, 'tacere, essere muto'), ovvero che i Germanici chiamassero gli Slavi 'muti' (perché non parlavano la loro lingua) esattamente come gli Slavi ancora oggi chiamano i Germanici e in particolare i Tedeschi nemci, nemcy ovvero 'muti'. In ogni caso, le più antiche fonti scritte attribuiscono ai popoli che parlavano lingua slava tre nomi diversi: Anti, Sclavini e Venedi (cfr. Garzaniti 2013: 45-46 dove sono esposte anche altre ipotesi sulla denominazione ‘slavi’).

1.1.2. Slavi e Balti

Nel piano etno-linguistico i più vicini agli Slavi tra i popoli circostanti erano i popoli baltici. Si discute ancora oggi se bisogna parlare di una comune proto-lingua balto-slava (concezione genetica) o di una comunità linguistica balto-slava dovuta sia a influssi reciproci sia a uno sviluppo tipologicamente parallelo. Quello che non si può negare è l’elevato numero di isoglosse balto-slave (la più arcaica fra le lingue baltiche esistenti è il lituano), ma l'ipotesi dell'esistenza di una comune proto-lingua balto-slava viene sempre più spesso messa in dubbio.

1.1.3. ‘Protoslavo’ o ‘slavo comune’ viene chiamata la lingua (la somma di parlate strettamente imparentate) dei proto-Slavi nell'epoca di vita comune nella proto-patria e nei primi secoli dopo l'inizio delle significative migrazioni slave. Si tratta di una lingua ricostruita (le sue forme vengono sempre segnate con un * che le precede) sulla base degli elementi comuni a tutte le lingue slave e, parzialmente, baltiche (lituano in primis) e delle conoscenze sui processi linguistici indoeuropei, individuando anche specifiche leggi e tendenze di sviluppo slave.

Il termine ‘protoslavo’ (in russo праславянский) che rispecchia la dominante metodologia genealogica degli studi glottologici ottocenteschi è tradizionalmente diffuso tra i filologi di lingua germanica e di lingue slave ed è comunemente usato anche ai giorni nostri (cfr. http://ru.wikipedia.org/wiki/Праславянский_язык). Sulla scia del trionfante strutturalismo che poneva in primo piano negli studi linguistici l'aspetto sincronico, e in sintonia con alcune teorie sociolinguistiche consone con lo strutturalismo, negli anni '30 del Novecento nacque il termine ‘slavo comune’ (fr. slave commune, ingl. Common Slavic, rus. общеславянский), introdotto dal noto indoeuropeista francese Antoine Meillet (1866-1936) nel volume Le slave commun (scritto in collaborazione con A. Vaillant, Paris 1934) oggi usato prevalentemente dagli studiosi di lingua francese e inglese, con qualche tentativo di introdurlo anche in Italia (cfr. Garzaniti 2013: capitoli 6-8). Si tentò anche di impiegare entrambi i termini applicando il primo al protoslavo arcaico e il secondo (‘slavo comune’) al tardo protoslavo. Qui di seguito verrà usato solo il termine tradizionale ‘protoslavo’.

Il protoslavo arcaico (fino all'anno 500 d.C. ca.) - relativamente omogeneo; alcuni studiosi suppongono l'esistenza di un'antica differenziazione dialettale distinguendo un dialetto sud-orientale e un dialetto nord-occidentale (Gălăbov 1980: 14).

Il tardo protoslavo (VI – X/XI sec.) - coincide coll'inizio della formazione graduale dei macrodialetti dai quali nasceranno le lingue slave medioevali. La fine di questo periodo, quindi di tutta la storia del protoslavo, viene solitamente legata all'ultimo processo fonetico panslavo, la caduta o la re-vocalizzazione delle cosiddette "vocali ridotte" (ъ, ь), che nelle zone dell'Europa centrale e nei Balcani si realizzò entro il X sec., mentre presso gli Slavi (nord-)orientali ebbe luogo nel corso del sec. XI, addirittura fino al XII, secondo alcuni studiosi.

1.1.4. Nell'ambito della Filologia slava è ampiamente diffusa l'opinione che già nella proto-patria, vale a dire nel periodo protoslavo arcaico, fosse iniziata a profilarsi una tripartizione macro-dialettale delle parlate slave che giustificherebbe la tradizionale classificazione delle lingue slave in tre gruppi: orientale, occidentale e meridionale. Tuttavia, appare probabile che (come si è già detto sopra), nel periodo arcaico vi sia stata una bipartizione macro-dialettale sud-est vs. nord-ovest, mentre solo nel periodo tardo protoslavo si possano osservare elementi e dinamiche di sviluppo che accomunano le parlate occidentali e meridionali contrapponendole a quelle orientali. In ogni caso, dopo la fine del

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periodo protoslavo – che grosso modo coincide con la stabilizzazione territoriale dei popoli slavi in formazione (si veda più avanti), cioè dopo il secolo XI –, e fino ai giorni nostri si può parlare non di tre, ma di quattro gruppi di lingue slave: nord-orientale, nord-occidentale, sud-occidentale e sud-orientale (si veda più avanti la classificazione delle lingue slave moderne).

1.1.5. La prima lingua slava letteraria: terminologia, periodizzazione

‘Paleoslavo’ ('старославянский') oppure ‘slavo antico’ ('древнеславянский'), ‘bulgaro antico’ ('старобългарски', 'Altbulgarisch'), ‘slavo ecclesiastico antico’ ('древнецерковнославянский', 'Altkirchenslavisch', 'Old Church Slavonic'): questioni terminologiche e non solo.

Verso la fine del periodo tardo-protoslavo compare la prima lingua slava scritta (letteraria), il paleoslavo (o slavo antico), il cui sviluppo storico potrebbe essere così periodizzato:

– norma (‘redazione’) cirillo-metodiana creata verso l'862/63 sulla base delle parlate bulgare sud-occidentali (oggi dette anche ‘bulgaro-macedoni) della zona intorno a Salonicco, la città natale degli ‘apostoli degli Slavi’ Costantino-Cirillo e Metodio che crearono anche il primo alfabeto slavo, il glagolitico (si veda più avanti); questa norma venne usata negli anni 60-80 del IX sec. con funzione missionaria (‘apostolica’) in Grande Moravia e Pannonia, dove la lingua subì un influsso nord-occidentale (i cosiddetti ‘moravismi’); fu in uso, limitato, anche dopo gli anni '80 nei territori slavi occidentali; si ipotizza una continuazione diretta delle tradizioni cirillo-metodiane nei territori croati, ma le testimonianze scritte pervenuteci risalgono solo all'inizio del XII sec.;

– norma (‘redazione’) anticobulgara di uso statale ed ecclesiastico con piena dignità di lingua liturgica e più ampiamente letteraria; codificata nel Primo impero bulgaro (ufficializzata nell'anno 893) e diffusasi presto anche in territorio serbo; scritta in glagolitico e nel cirillico che nacque nei territori nord-orientali del Primo Impero Bulgaro; ‘rebulgarizzazione’ dello slavo antico durante il ‘secolo d'oro’ della letteratura anticobulgara (fine IX – X sec.);

– diffusione e varianti locali della norma anticobulgara (redazioni ‘nazionali’ ovvero macroregionali dello slavo antico) in Russia (dal XI/XII sec.), in Serbia (dal XII sec.), nella stessa Bulgaria (‘redazione medio-bulgara’, dalla fine del XI sec.); formazione di diverse norme ortografiche locali dentro le ‘redazioni nazionali’ (a partire dal XII-XIII sec.);

– slavo ecclesiastico: l'impiego preciso del termine si riferisce alla norma (‘redazione’) tardorussa del paleoslavo (dopo la cosidetta ‘seconda influenza slavo-meridionale’ che ebbe luogo tra la fine del XIV e la metà del XV sec.), usata prevalentemente a fini ecclesiastici, diffusasi in tutta la Slavia ortodossa attraverso i libri liturgici stampati nelle terre russe (in senso ampio) e codificata nella Grammatica slava di Meletij Smotric'kij (Ґрамма́тіки Славе́нския пра́вилное Cv́нтаґма, Евье [Vievis, Jewie, nei pressi di Vilnius in Lituania], 1619).

N.B. Fino alla riforma petrina dell'alfabeto cirillico (1707-1709), che ne codificò due forme – la nuova, il cirillico ‘civile’ (гражданский шрифт), e la vecchia, impiegata da allora in poi esclusivamente per la stampa di libri ecclesiastici –, la lingua letteraria che discendeva dal paleoslavo veniva chiamata semplicemente 'slava' (славянский язык); solo in seguito, giacché era anche stampata in caratteri diversi, ‘ecclesiastici’, le fu attribuita la denominazione di 'slavo ecclesiastico', che è da intendersi in opposizione alle nascenti norme linguistiche nazionali: (slavo-)russa, (slavo-)serba, (slavo-)bulgara ecc. Lo slavo ecclesiastico viene usato ancora oggi come lingua liturgica delle Chiese slave ortodosse e viene insegnato nelle scuole e nelle accademie ecclesiastiche. In questa lingua vengono scritte anche nuove composizioni poetiche liturgiche.

1.2. Protoindoeuropeo à protoslavo à paleoslavo: principali cambiamenti fonetici.

Si vedano: Stantchev, Appunti di grammatica paleoslava. Fonetica (sul sito) e Garzaniti 2013: cap. 6, 7, 14 e 15.

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2. Le migrazioni slave, la divisione dello spazio etno-linguistico,

la formazione dei primi Stati slavi e la loro cristianizzazione Sulle migrazioni degli Slavi e sui loro nuovi insediamenti nell'epoca tardo-protoslava: Garzaniti 2013: cap. 9, 10.

Si tenga conto dei seguenti fatti:

– L'unione slavo-iranica degli Anti (il nome è di origine iranica e più precisamente sarmata) – formatasi tra i secoli IV e VI d.C. nei territori a nord del Mar Nero, tra i fiumi Dnepr e Dnestr; dalla metà del sec. VI questa unione fu in continua lotta con gli Avari, che nel 602 sconfissero l'unione; dal VII sec. la denominazione Anti non compare più nelle fonti. L'unione degli Anti spesso viene indicata come il primo tentativo degli Slavi nord-orientali di dare vita, assieme ad altre popolazioni, a una organizzazione statuale, ciò che naturalmente non consente di considerare la suddetta unione come ‘il primo stato proto-ucraino’ come qualcuno ha recentemente voluto fare – cfr. http://histua.com/ru/istoriya-ukraini/pervobitnoe-vremya/anty.

– Il cosidetto ‘Regno di Samo’ – il primo tentativo di organizzazione statuale degli Slavi nord-occidentali. Fondato nel 623/24 dal mercante franco Samo in Europa centrale come una sorta di unione sovra-tribale di discussa localizzazione (da ricercarsi comunque nel territorio che comprenda le odierne Moravia, Slovacchia sud-occidentale, Bassa Austria). L'unica fonte affidabile, la Cronaca di Fredegario (redatta tra il 658 e il 660), narra che negli anni 623-624 Samo, assieme ad altri compagni, intraprese un viaggio d'affari «in Sclavos, cognomento Winidos» («presso gli Slavi detti Venedi») e successivamente prese le parti degli Slavi nel corso della loro ribellione contro gli Avari, cosa che avrebbe portato alla sua proclamazione a rex da parte degli Slavi (esistono anche altre ipotesi su come egli giunse al potere). Sempre la Cronaca di Fredegario riporta che Samo avrebbe avuto ben 12 mogli slave, con le quali avrebbe generato 22 figli e 15 figlie. Dalla durata del suo ‘regno’, che, stando alle fonti, fu di 35 anni, possiamo dedurre che Samo morì attorno al 658. Il ‘regno’, con ogni probabilità, non sopravvisse al fondatore. Non ci fu, in ogni modo, alcuna connessione politica o istituzionale fra il ‘Regno di Samo’ e i principati di Moravia e di Nitra che si formarono più tardi sugli stessi territori e annetterono le stesse popolazioni slave.

– Nell'anno 681 fu firmato da parte di Bisanzio un atto di pace che testimonia la nascita nella Penisola Balcanica del Primo Impero Bulgaro (Първо българско царство oppure Първа българска държава, 681-1018), formatosi pochi anni prima come unione tra un ramo dei protobulgari (di origine asiatica), capeggiato dal khan Asparuch, e sette tribù slave stanziate tra il Danubio e la catena dei Balcani. Ebbe come capitale Pliska (681-893), poi Preslav (893-971). Nei due secoli successivi la Bulgaria si estese a sud dei Balcani, verso la Tracia settentrionale e l'attuale Macedonia, e anche verso il medio corso del Danubio, diventando il principale antagonista di Bisanzio nei Balcani e una forza politico-militare della quale dovette tenere conto anche l'Impero carolingio. Nel 864/65 il khan Boris (al potere dal 852) introdusse nello Stato bulgaro il cristianesimo come religione ufficiale, diventandone il primo principe cristiano con il nome di Michail (in onore del suo padrino, l'imperatore bizantino Michele III); egli accolse nell'886 gli allievi di Cirillo e Metodio espulsi dalla Grande Moravia (v. più avanti). Boris-Michail abdicò nell'889 in favore del figlio primogenito Rassàte-Vladimìr (sostituendolo nell'893 con il figlio minore Simeone), morì il 2 maggio 907 da monaco.

– All'inizio del sec. IX, presso gli Slavi dell’Europa centrale sorsero due entità politiche formatesi nel corso delle guerre contro gli Avari che fino ad allora dominavano il territorio: il Principato di Moravia (sul territorio dell'attuale Moravia sud-orientale e della Slovacchia occidentale; le prime testimonianze scritte della sua esistenza risalgono all’anno 822), con capitale probabilmente presso l'attuale Mikulčice, e il Principato di Nitra (nel territorio dell'attuale Slovacchia centrale e occidentale), dal nome della capitale. Entrambi i principati si convertirono al Cristianesimo negli anni '20 del IX sec. Nell’833 il principe di Moravia Mojmìr I conquistò Nitra, e la unì alla Moravia: nacque così l'importante unità politica nota come Grande Moravia o Impero Moravo. Il principe di Nitra, Pribina, con la sua corte e con una parte del proprio esercito si rifugiò nel territorio dei Franchi, e nell'847 ottenne dall'imperatore Ludovico II il Principato di Blatno (intorno al lago Balaton, nella Pannonia inferiore, oggi Ungheria). I figli di Mojimir, Rastislav (846-870), e di Pribina, Kocel (861 ca. – 876) accolsero la missione cirillometodiana in Grande

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Moravia (863-866) e in Pannonia (867). Nell’874 il principe della Grande Moravia Svetopolk annetté il Principato di Blatno alla Grande Moravia, ma nell'876, dopo la morte di Kocel, Lodovico II rimise questi territori sotto la corona imperiale (più tardi tutta la Pannonia fu conquistata dai magiari che vi fondarono lo Stato ungherese). La Grande Moravia, invece, cessò di esistere dopo la Battaglia di Bratislava nell'estate del 907; i suoi territori furono divisi tra i nascenti Stati di Polonia, Boemia e Ungheria. – La Rus' di Kiev (‘Киевская Русь’ oppure ‘Antica Rus'’, ‘Древняя Русь’, intesa come la prima formazione statuale degli Slavi nord-orientali, cioè degli attuali bielorussi, russi e ucraini). Anno di fondazione: 862, quando il normano Rjurik diventa principe di Novgorod. Nell’882 Oleg, parente di Rjurik, sposta la capitale a Kiev proclamandola ‘madre delle città russe’ e vi regna con il titolo di Gran principe per una trentina di anni; successivamente il potere passa nelle mani di Igor', figlio di Rjurik (912 ca. – 945). Tra il 945 e il 960 ca. governa Ol'ga, moglie di Igor', la quale si fa battezzare, ma senza introdurre il Cristianesimo nel paese. La Rus' viene cristianizzata da Vladimir, nipote di Ol'ga, nel 988. Nel 1015 Svjatopolk, figlio maggiore di Vladimir, uccide i fratelli minori (di madre bulgara) Boris e Gleb, che diventano i primi santi russi, protagonisti di un ampio ciclo liturgico-letterario. L’epoca della maggiore fioritura della Rus' di Kiev si ha sotto il Gran principe Jaroslav il Saggio (Ярослав Мудрый, 1019-1054). Nel 1051 Ilarion diventa il primo metropolita di Kiev di origine russa (è ritenuto l'autore del celebre Sermone sulla legge e sulla grazia); nello stesso anno viene fondato il Monastero delle grotte di Kiev (Киево-Печерская лавра), culla del monachesimo russo. Dopo la morte di Jaroslav, conformemente alle regole di successione in vigore, lo Stato viene spartito fra i suoi figli. Inizia una fase di guerre intestine, interrotta solo durante il regno di Vladimir II il Monomaco (1113-1125), che segna un nuovo periodo di potenza e fioritura della Rus' di Kiev. Nel 1169 il principe di Vladimir-Suzdal' Andrej Bogoljubskij distrugge la città di Kiev e, una volta ottenuta la vittoria, trasferisce il centro del potere a Vladimir. Nel 1237, quando la Rus' è ormai diventata di fatto una federazione di principati pressoché indipendenti (in quell'anno se ne contavano 15) i mongoli invadono le terre russe e nel 1240 radono al suolo la città di Kiev – per questo motivo l'anno 1240 viene tradizionalmente considerato l'anno della fine dello Stato della Rus' di Kiev.

3. L’opera di Cirillo e Metodio e la nascita della civiltà scrittoria slava

N.B. Il volume di A.E. Tachiaos, Cirillo e Metodio. Le radici cristiane della cultura slava, Jaca Book 2005, citato nella bibliografia di base per via della traduzione delle Vite dei ss. Cirillo e Metodio (VC e VM) ad esso allegata, non è consigliabile per uno primo studio delle problematiche cirillo-metodiane poiché contiene alcune interpretazioni dei fatti e dei processi storici troppo individuali, non condivise dalla maggioranza degli specialisti in materia, e che riguardano questioni ancora in discussione tra gli studiosi (cfr. al riguardo la recensione di K. Stantchev in Studi Slavistici, III, 2006, pp. 353-361), questioni che richiedono una profonda conoscenza delle fonti, che gli studenti ai quali questa dispensa è rivolta non possono possedere.

3.1. Costantino Filosofo (s. Cirillo) e Metodio: vita e opera; le loro Vite paleoslave

3.1.1. Cenni biografici (cfr. in italiano Garzaniti 2013: cap. 11-12; Marcialis 2005: 6-16)

– Costantino (che assunse il nome monastico di Cirillo) e Metodio (del quale non conosciamo il nome di battesimo) erano nati a Salonicco nella nobile famiglia di Leone, alto funzionario amministrativo-militare (drungarios) alle dipendenze dello stratega della città. Giacché morì, secondo fonti affidabili, il 14.02.869 all'età di 42 anni a Roma, Costantino deve essere nato nell’826/827 (di solito viene indicato l’827; in Garzaniti 2013:135, probabilmente per un errore di stampa, si legge 824). L'indicazione della Vita Constantini (VC, si veda più avanti) che egli era il settimo e ultimo figlio della coppia è di forte sapore simbolico-leggendario, e comunque non ci aiuta a stabilire l'anno di nascita di Metodio che era più grande, ma non sappiamo di quanto, così come non conosciamo il suo nome di battesimo. Le indicazioni di Wikipedia, in varie lingue (cfr. per esempio http://ru.wikipedia.org/wiki/Кирилл_и_Мефодий), e di altre fonti enciclopediche secondo le quali Metodio era nato nell’815 oppure tra l’815 e l’820 e da laico si

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chiamava Michele sono pure supposizioni senza fondamento nelle fonti. L'unico dato certo è che Metodio morì il 6 aprile 885, molto probabilmente nella capitale della Grande Moravia Velehrad (oggi non precisamente localizzabile). Costantino-Cirillo fu sepolto a Roma, nella Basilica di San Clemente, dove dalla metà del XIX sec. viene venerata la sua (presunta) tomba, mentre il luogo di sepoltura di Metodio rimane sconosciuto.

– Metodio evidentemente era il figlio maschio primogenito e come tale fu destinato a seguire le orme del padre: completati gli studi (sui quali la Vita Methodii [di seguito VM] non fornisce alcuna informazione), egli riceve l'incarico «di amministrare un arcontato slavo per conoscere tutti gli usi slavi e abituarsi ad essi, come se, direi, [l'imperatore] avesse presagito che lo dovrà inviare come maestro e primo arcivescovo degli Slavi» (VM II.5; il passo dimostra esplicitamente che per l'autore della VM il protagonista non era di origini slave). Rimasto al suo posto fino alla metà degli anni '50 del IX sec., dopo un colpo di stato (856) in cui viene ucciso il protettore suo e di Cirillo, il logoteta (≈ Gran cancelliere) Teottisto, Metodio si ritira in un monastero nel Monte Olimpo (Bitinia, Asia Minore) dove presto viene raggiunto da Costantino.

– Costantino, dimostratosi molto incline agli studi, riceve un'ottima educazione: inviato a Costantinopoli verso l'anno 843, studia alla Scuola imperiale e ha come maestri Fozio (il futuro patriarca), uomo di vasta cultura, filologo, esegeta ed esperto di retorica e patristica, e Leone il Matematico, scienziato e inventore (in particolare aveva costruito i famosi leoni ruggenti che decoravano la sala di accoglienza del Grande palazzo imperiale). Viene nominato poi cartofilace (chartophilax), cioè direttore degli archivi e della biblioteca del patriarcato di Costantinopoli (mansione che gli consentirà di conoscere libri scritti in varie lingue con vari alfabeti), e successivamente professore di filosofia nella Scuola imperiale (donde il soprannome 'Filosofo'). La VC (cap. V) attribuisce a Costantino una poco probabile disputa pubblica con il deposto ultimo patriarca iconoclasta Giovanni VII, che avrebbe avuto luogo a quei tempi (fine anni '40 – prima metà degli anni '50). È un fatto reale, invece, la missione che compì presso gli Arabi, ma non all'età di 24 anni, come si legge nel testo della VC (VI, 4), cioè non nell’851, ma tra l'855 e l'856, e in modalità ben diverse da quello che racconta il cap. VI della VC (v. più avanti gli appunti per l'analisi delle VC e VM). Ritornato da questa missione dopo il colpo di stato che vide ucciso il logoteta Teottisto (v. sopra), Costantino si rifugia da Metodio nel monastero dove i due fratelli «pregano in modo ininterrotto, colloquiando esclusivamente con i libri» (VC VII, 5). Si può supporre, ma senza il sostegno di una solida base documentaria, che proprio in questo periodo, ricchi di diverse esperienze tra popoli non di lingua greca, Costantino e Metodio abbiano iniziato a riflettere sulla creazione di un alfabeto slavo e sulla traduzione dei principali libri cristiani in lingua slava.

– Nell’anno 858 Fozio, che era stato maestro di Costantino, viene elevato al trono patriarcale, ma la sua nomina viene contestata da papa Niccolò I, che si pronuncia a favore del deposto patriarca Ignazio. Pare che il desiderio di Fozio di risolvere la questione inviando a Roma un dono significativo, per esempio le reliquie di un papa-martire dei primi secoli del cristianesimo, sia stato il principale motivo che nell’860-861 lo indusse a inviare Costantino e Metodio in una missione presso i Cazari (o Khazari) che aveva anche scopi diplomatici. Trovandosi a Chersoneso (Crimea, nei pressi dell'odierna Sevastopol') mentre attendevano di entrare nel khanato dei Cazari, il 30.01.861 C. e M. trovarono le reliquie del santo papa Clemente I, che al loro ritorno portano trionfalmente a Costantinopoli.

– Nell’863 l'Imperatore (minorenne) e il patriarca Fozio (il vero stratega della diplomazia costantinopolitana del tempo) inviano Costantino e Metodio presso gli Slavi della Grande Moravia su richiesta del principe Rastislav. Egli, stando alle Vite di C. e M., aveva chiesto a Bisanzio «un vescovo e maestro» «in grado di spiegarci la vera fede cristiana nella nostra lingua» (VC XIV.3-4), ma ricevette solo i due missionari con l'incarico di maestri (učiteli) poiché Costantinopoli non poteva nominare vescovi in territori che, come la Grande Moravia, si trovavano sotto la giurisdizione romana. Preparandosi per la missione morava, Cirillo e Metodio, con l'aiuto di alcuni loro allievi eseguono le prime traduzioni in lingua slava (v. avanti) fissate per mezzo dell'alfabeto glagolitico (l'alfabeto potrebbe essere stato approntato qualche tempo prima, ma la sua esistenza viene resa pubblica proprio in occasione della missione morava). Giunti nella Grande Moravia molto probabilmente verso l'autunno dell’863, i due fratelli e gli allievi che li accompagnano vi si fermano per tre anni (VM V.13) o poco più (40 mesi secondo VC XV.18) e poi, congedatisi dai Moravi, si fermano per 6 mesi in Pannonia, nel Principato di

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Blatno, dove secondo la VC (XV.19) il principe Kocel affida loro 50 allievi che apprendono le Lettere slave.

Sia nella Grande Moravia sia in Pannonia i due fratelli si sono limitati a insegnare agli allievi come ufficiare in slavo, ma non potevano introdurre la liturgia in lingua slava, come spesso viene affermato (anche da studiosi di tutto rispetto), poiché non avevano nessuna facoltà, nessuna autorità per farlo. Pare tuttavia che nella cerchia del principe Kocel sia nata l'idea di ottenere il nulla osta per celebrare la liturgia in lingua slava, rivolgendosi alle autorità competenti. Verso l'autunno dell'867 i due fratelli si diressero verso Roma, fermandosi a Venezia (o più generalmente nel Veneto) dove, secondo il cap. XVI della VC, si sarebbe svolta una disputa (non documentata da alcun'altra fonte) rimasta celebre nella tradizione cirillometodiana come la prima difesa pubblica del diritto degli Slavi di avere i testi cristiani nella propria lingua. Successivamente i fratelli proseguirono per Roma, dove nel frattempo era morto papa Niccolò I (13. XI. 867), ed era stato eletto il suo successore Adriano II (intronizzato il 14 dicembre). Grandi cambiamenti si verificarono quell'autunno anche a Bisanzio: il 25 novembre venne assassinato l'imperatore Michele III, cui successe Basilio I il Macedone, che depose il patriarca Fozio e restituì il trono all’esiliato patriarca Ignazio. Minacciati entrambe dalle incursioni arabe, Roma e Costantinopoli cercarono un ravvicinamento. In questo quadro, Costantino e Metodio giunsero a Roma, probabilmente poco prima del Natale dell'867, portando con sé le reliquie di papa Clemente I: li accolsero papa Adriano II e il popolo romano acclamante. Le reliquie vennero esposte per la pubblica venerazione nella basilica di San Pietro e poi solennemente traslate e deposte nella basilica dedicata appunto a San Clemente. Verso la primavera dell’868, probabilmente (ma non è documentato) nel giorno di Pentecoste (quando dopo la Resurrezione di Cristo avvenne il Miracolo delle lingue), papa Adriano II «consacrò [i libri sacri in slavo] e li depose nella chiesa di Santa Maria, detta ‘il Presepe’ (= Santa Maria Maggiore) e cantarono con loro la santa liturgia. Quindi il Papa diede ordine a due vescovi, Formoso [di Porto] e Gondric [Gauderico di Velletri], di consacrare i discepoli slavi» (VC XVII.5-6; su questo punto l'informazione nella Vita di MetodioVI.4 è più concreta: «diede disposizione […] di consacrare tre sacerdoti e due lettori»).

– A Roma Costantino si ammala, prende i voti monastici e il nome di Cirillo* e muore all'età di 42 anni il 14 febbraio dell'anno 6377 dalla Creazione del mondo, ovvero 869 dalla nascita di Cristo**.

* Questa notizia, tratta da VC XVIII, è oggetto di diverse interpretazioni. Il fatto che proprio qui si parli anche di cambiamento del nome (obbligatorio quando si prendono i voti monastici) suggerisce che solo poco prima della morte Costantino il Filosofo si fece monaco e prese il nome Cirillo; una conferma indiretta di tale interpretazione è il fatto che nei documenti latini dell'epoca viene denominato "il Filosofo" e non si parla di lui come di un monaco. Secondo un'altra interpretazione, Costantino si sarebbe fatto monaco già nell’856 o poco più tardi, dopo che si era rifugiato nel monastero presso suo fratello, mentre a Roma sarebbe passato a un grado monastico più alto, il “Grande schema”, che comporta un nuovo cambiamento del nome. Questa seconda ipotesi non rende ragione del fatto che nelle Vite si parla di Costantino già dalla nascita, come fosse nome di battesimo, e non si fa nessun cenno di voti presi e di cambiamento del nome (obbligatorio!) dopo il ritorno dalla missione presso gli Arabi. Sembra dunque più logico accettare che Costantino sia rimasto un maestro laico, un Filosofo (insegnante di filosofia e retorica) per tutta la sua vita e che veramente si fece monaco solo presagendo la morte. Nella tradizione cultuale comunque è più noto con il suo nome monastico, come san Cirillo.

** A Bisanzio e di conseguenza presso gli Slavi ortodossi il nuovo anno iniziava il 1° settembre e gli anni venivano contati non dalla Nascita di Christo (NCr), come oggi, ma dalla Creazione del mondo (CrM). Secondo il computo bizantino dalla CrM alla NCr sarebbero passati 5508 anni, mentre secondo il computo detto Alessandrino (e usato in molti dei più antichi monumenti slavi) 5500. Ergo, per ottenere la cronologia a noi abituale, cioè dalla NCr, con Anno Nuovo dal primo di gennaio, dobbiamo sottrarre dall'anno della creazione del mondo il coefficiente 5508 oppure 5500 a seconda del computo usato nel rispettivo monumento, tenendo però conto che per i mesi da settembre a dicembre dobbiamo sottrarre rispettivamente 5509 oppure 5501.

3.1.2. Per le Vite paleoslave dei ss. Cirillo e Metodio come opere letterarie e come fonti storiche si vedano gli appunti presi durante la lezione ad esse dedicata. Nell'analisi si tenga conto dei seguenti aspetti:

– Le differenze nella struttura delle due opere – si vedano: la lunga introduzione di carattere catechetico nella VM non ha nessuna corrispondenza nella VC dove, invece, troviamo un lungo racconto allegorico

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della giovinezza di Costantino (VC II e III, cfr. Danti 1981 e, sul motivo "sposare la Sapienza", Carbajosa 2013); le ampie dispute di Costantino che costituiscono la maggior parte dell'opera e le conferiscono un carattere fortemente retorico vs. un racconto molto più fattuale (che non vuol dire realistico!) della VM.

– L'episodio con il segretario Giorgio nella VC (VI.1), che in realtà era una sorta di "segretario di Stato" e guidò personalmente la missione presso gli Arabi svoltasi nell’855/56 – nella VC la responsabilità della missione viene attribuita a Cirillo ("aiutato dal segretario Giorgio"), che invece era evidentemente solo uno dei 50 partecipanti dei quali parla la cronaca araba che narra la vicenda. Plausibile spiegazione dell'affermazione della Vita (VC VI.4) che «il Filosofo aveva allora ventiquattro anni» (si veda anche la nota 16 in Peri 1981: 70): in slavo antico le lettere si usavano anche come cifre; in cirillico 24 si scriverebbe k©d mentre con k©® si scriverebbe il 29; a questo punto il paleoslavista bulgaro Jordan Ivanov in una pubblicazione postuma (Ivanov 1965) ha ipotizzato un errore di lettura in una delle prime copie cirilliche del testo della VC (scritto inizialmente in glagolitico) dove k©® (29) è stato interpretato come k©d (24); essendo nato nell’826/827 Costantino il Filosofo doveva avere 29 anni quando nell’855/56 si svolse l'unica missione diplomatica bizantina presso gli arabi dalla fine degli anni '40 alla metà degli anni '50 (epoca di continui conflitti armati tra Bisanzio e gli Arabi) – quella guidata da Giorgio appunto.

– La questione delle "lettere russe" citate nella VC VIII alla luce della seguente giustissima osservazione:

Иногда утверждается о существовании славянской письменности до Кирилла и Мефодия, с опорой на отрывок из жития Кирилла [VC VIII.15], в котором говорится про книги, написанные «русскими письменами»:

«И нашел Философ здесь [в Корсуни] Евангелие и Псалтырь, написанные русскими письменами, и человека нашел, говорящего той речью. И беседовал с ним и понял смысл языка, соотнося отличия гласных и согласных букв со своим языком. И вознося молитву к Богу, вскоре начал читать и говорить. И многие изумлялись тому, славя Бога.»

Однако из отрывка не следует, что упоминаемый там «русский язык» является славянским; наоборот, тот факт, что овладение им Константином-Кириллом воспринимается как чудо, прямо свидетельствует, что это был язык неславянский. Следует помнить, при этом, что во времена Кирилла и Мефодия и много позже славяне легко понимали друг друга и считали, что они говорят на едином славянском языке, с чем согласны и некоторые современные лингвисты, считающие, что о единстве праславянского языка можно говорить до XII века. Большинство исследователей считают, что во фрагменте говорится либо о Евангелии на готском языке (идея, впервые высказанная Шафариком), либо в рукописи содержится ошибка и вместо «русьскими» следует считать «сурьскими», то есть «сирийскими» [= aramaiche, K.S.]. Показательно, что вообще весь фрагмент приводится в контексте рассказа об изучении Константином еврейского языка и самаритянского письма, которым он занялся в Корсуни, готовясь к диспуту в Хазарии. (http://ru.wikipedia.org/wiki/Кирилл_и_Мефодий#.D0.A3.D1.87.D0.B5.D0.BD.D0.B8.D0.BA.D0.B8_.D1.81.D0.B2.D1.8F.D1.82.D1.8B.D1.85_.D0.9A.D0.B8.D1.80.D0.B8.D0.BB.D0.BB.D0.B0_.D0.B8_.D0.9C.D0.B5.D1.84.D0.BE.D0.B4.D0.B8.D1.8F)

3. 2. Le prime traduzioni in lingua (paleo)slava e la questione delle opere originali di Costantino-Cirillo; Proemio al Vangelo.

3.2.1. Raccontando dell'invenzione dell'alfabeto slavo da parte di Costantino, l'agiografo scrive: «Il Filosofo se ne andò e secondo la sua abitudine si dedicò alla preghiera assieme ad alcuni [futuri suoi] collaboratori. Presto Dio, che ascolta le preghiere dei suoi servi, gli apparve [secondo altri copie del testo «gliele mostrò», riferito alle lettere, KS] ed egli subito compose le lettere e inizio a scrivere [in slavo] il discorso evangelico che dice: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”» (VC XIV.14). Poiché con le parole citate, che costituiscono l'inizio del Vangelo secondo Giovanni (1.1.), comincia l'Evangeliario (il Lezionario evangelico che contiene le letture liturgiche tratte dai Quattro vangeli e disposte secondo l'ordine del calendario liturgico a partire del giorno di Pasqua) si ritiene che la prima traduzione in lingua slava eseguita da Costantino il Filosofo e scritta con le nuove lettere

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glagolitiche fosse appunto l'Evangeliario. Una conferma e nello stesso tempo un'informazione più dettagliata sulle prime traduzioni dal greco in slavo ci viene fornita dalla VM (XV.4): «In precedenza [o «all'inizio»], insieme al Filosofo, [Metodio] aveva tradotto soltanto il Salterio e il Vangelo con l'Apostolo e con ufficiature ecclesiastiche scelte». Sulla base di queste notizie tratte dalle Vite, considerando anche la prassi missionaria in generale, si può affermare che Costantino e Metodio siano partiti per la Grande Moravia portando con sé le traduzioni del Salterio, delle forme liturgiche (=lezionari) del Vangelo e dell'Apostolo e, forse, qualche preghiera e qualche formulario di confessione.

Sempre la VC racconta che Costantino, giunto in Moravia, avrebbe tradotto (oppure “applicato”, ma anche “accettato” – in diverse copie del testo a questo proposito sono usate 5 diverse forme verbali) «tutto l'ordine ecclesiastico» e avrebbe insegnato agli allievi affidatigli da Rastislav «il mattutino, le ore [canoniche], il vespro, la compieta e l'ufficio mistico [= la messa]» (VC XV.2). In Peri 1981: 91 la locuzione "tutto l'ordine ecclesiastico" (con "ordine" cui traduco lo slav. чинъ = lat. Ordo, gr. ταξις, K.S.) viene tradotta in italiano con “l'insieme dei libri ecclesiastici”, mentre in Garzaniti 2005: 197 si legge “l'intera ufficiatura ecclesiastica” e in nota si precisa, che “si intende il complesso dei libri necessari per la celebrazione della liturgia, con la messa, i sacramenti e la liturgia delle ore, come si può vedere dalla successiva descrizione, secondo la tradizione bizantina”. Va notato, però, che oltre alla prassi monastica bizantina l'ordine delle ufficiature giornaliere ivi citato corrisponde anche all'ordine liturgico nei monasteri benedettini. Ma soprattutto va detto e ribadito che Cirillo e Metodio giungono in Grande Moravia come missionari con un compito molto preciso e con limiti chiari: quello di insegnare, di evangelizzare le popolazioni slave, già convertite al Cristianesimo, usando la loro lingua. Non avevano alcun diritto di intervenire sull'ordine ecclesiastico ormai da tempo istituito grazie all'attività dei missionari e dei chierici latino-germanici e, inoltre, erano inviati da Costantinopoli che aveva il diritto/dovere di diffondere il Cristianesimo tra i popoli "barbarici" ma non poteva intervenire sulle gerarchie e sull'ordine ecclesiastico in un territorio che si trovava sotto la giurisdizione ecclesiastica di Roma. Tenendo conto di tutto questo, si capisce che la frase sopra citata può significare soltanto che Costantino iniziò a insegnare come si doveva ufficiare l'ordine liturgico giornaliero in (paleo)slavo senz'altro servendosi dei libri già tradotti (Salterio, Vangelo, Apostolo) e traducendo con scopi didattici qualche libro che esponeva questo “ordine” (e da nessuna parte sta detto quale ordine, quale rito !). Ma da questo, cioè in sostanza dalla preparazione di sacerdoti e diaconi slavofoni, all'introduzione del rito bizantino (?) in lingua slava, come spesso viene presentata l'attività di Cirillo e Metodio negli anni 863-867, c'è una grande differenza. Solo dopo l'anno 870 (ergo, dopo la morte di Costantino), Metodio – già in qualità di vescovo e poi di arcivescovo, cioè come capo di una chiesa locale, ebbe la facoltà e, a quanto sembra, tentò di introdurre la liturgia in lingua slava nella sua diocesi (forse con un rito simile a quello impiegato presso la popolazione grecofona nell'Italia del Sud) e questo gli valse le accuse di eresia (v. più avanti, 3.4).

3.2.2. Sul carattere della lingua delle traduzioni cirillometodiane esistono due principali visioni contrapposte: 1/ sarebbe nata come codificazione del tardo protoslavo o slavo comune, ancora abbastanza omogeneo come lingua; 2/ sarebbe sorta come codificazione di un gruppo di dialetti del meridione balcanico, cioè delle parlate slave dei dintorni di Salonicco, la città natale di Costantino e Metodio (arricchendosi dopo, in Grande Moravia e Pannonia, di elementi slavo-occidentali detti di solito "moravismi").

Riassume bene le diverse posizioni N. Marcialis (2005: 31-33) che propone una formulazione condivisibile:

“In conclusione, possiamo dire che la lingua paleoslava nasce su un nucleo bulgaro-macedone, cresce in Moravia e Pannonia, durante i quindici anni di arcivescovato di Metodio, e raggiunge infine la piena maturità nella Bulgaria di Simeone, dove un nuovo strato bulgaro, questa volta di provenienza anche bulgaro-orientale, si sovrappone e si salda a quello originario bulgaro-occidentale (macedone). È infatti nella Bulgaria di Boris e di suo figlio Simeone (893-927) che la cultura cirillometodiana si avvia a una rapida evoluzione: le traduzioni vengono riviste e completate, l'omiletica riceve nuovo impulso, al glagolitico viene affiancato un alfabeto più semplice, un adattamento del greco alla fonetica slava che non ricerca una propria originalità”. (Marcialis 2005: 33) N.B. Sulla struttura della lingua stessa si vedano gli Appunti di grammatica paleoslava allegati (senza i dettagli sulla

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morfologia, si consideri soltanto la struttura della lingua). Cfr. anche Garzaniti 2013: cap. 15.

3.2.3. La questione delle opere originali di Costantino-Cirillo; Proemio al Vangelo

Diversi studiosi hanno cercato di ricostruire il corpus di opere che Costantino-Cirillo avrebbe scritto o tradotto (oltre alle prime traduzioni di testi sacri in slavo). Queste ricostruzioni di solito si basano sulla VC che, come è stato già detto, è un testo agiografico da usare con molta cautela come fonte storica. Nella VC III.18-20, per esempio, si riporta una preghiera indirizzata a s. Gregorio il Teologo (Nazianzeno) che il giovane Costantino avrebbe scritto «sulla parete» (!?). Questa preghiera è stata oggetto di più di una ricostruzione in versi da parte di autorevoli studiosi. Però, se fosse davvero scritta dal giovane Costantino (cosa piuttosto inverosimile), sarebbe stata scritta in greco (siamo anni prima dell'invenzione dell'alfabeto slavo) e poi tradotta (viene da chiedersi da dove avrebbe saputo di essa l'agiografo). Ha naturalmente ragione di trattarla come frammento poetico R. Jakobson, però come elemento compositivo della Vita di s. Cirillo (ergo, appartenente al suo autore) e non come opera del protagonista stesso. Rimane poco chiaro anche se l'agiografo conoscesse qualche appunto di Costantino legato alle sue dispute presso gli Arabi e presso i Cazari, soprattutto alla luce di un passo di VC X.95-96 messo alla fine delle dispute di Costantino con i rappresentanti del giudaismo:

«Dalle molte [argomentazioni] noi abbiamo proposto in breve solo queste, allo scopo di ricordarle. Chi però vuole cercare questi discorsi nella loro pienezza, li troverà nei suoi libri che il nostro Dottore, l'arcivescovo Metodio, tradusse e divise in otto sermoni/discorsi» (cfr. Peri 1981: 84-85,dove però la traduzione è un po' troppo libera).

Nella tradizione manoscritta non vi è alcuna traccia di una simile opera polemistica antigiudaica che si potrebbe legare al nome di Costantino-Cirillo ed è più probabile che si tratti di una invenzione letteraria dell'agiografo – cosa che vale anche per una precedente "notizia" (VC VIII.10) secondo la quale Costantino, giunto a Chersoneso, avrebbe appreso «la lingua e la scrittura ebraica, avendone tradotto le otto [anche qui otto! KS] parti grammaticali» (va notato che in quell'epoca non esistevano grammatiche dell'ebraico esposte secondo le otto parti del discorso, come lo erano quelle greche già dai tempi antichi). È senza dubbio opera dell'agiografo e non del protagonista stesso (come a volte si vuole) la preghiera che Costantino avrebbe pronunciato prima di chiudere gli occhi per sempre (si veda VC XVIII.8-11).

Sembrerebbe affidabile, invece, la notizia riportata in VC VIII.18 che Costantino il Filosofo abbia descritto il rinvenimento delle reliquie di s. Clemente papa nel Chersoneso (Crimea) organizzato da lui stesso con la partecipazione di Metodio. Nella tradizione manoscritta slava è conservato un testo (noto come Leggenda di Chersoneso) che descrive l'evento proprio dal punto di vista di un testimone-partecipante e nel cui incipit si legge la stessa parola usata nella VC per indicare l'opera di Costantino: обрѣтеніе (‘rinvenimento’). Inoltre, da una lettera di Anastasio Bibliotecario (che, essendo il principale traduttore della Santa sede dal greco in latino e viceversa, era stato incaricato di seguire Cirillo e Metodio durante il loro soggiorno a Roma) sappiamo, che Costantino in occasione del rinvenimento delle reliquie di s. Clemente aveva scritto una “breve storia”, un “sermone declamatorio” e un inno (i primi due tradotti da Anastasio dal greco in latino ma la traduzione non ci è pervenuta) – si suppone che il testo della Leggenda di Chersoneso sia o la traduzione slava (sempre dal greco) della “breve storia” (cosa che a me personalmente sembra più probabile, K.S.) oppure un riassunto compilativo di quella e del sermone.

Un'altra traduzione, il cui originale greco verosimilmente era opera di Costantino, sarebbe il testo di una Esposizione della retta fede i cui titolo e incipit rimandano direttamente alla persona di s. Cirillo: Написание ѡ правѣи вѣрѣ. из8щеное Кѡнстантиномъ блаженымъ Фїлософомъ. оучителемь о б[о]зѣ словѣн'скомоу ѧзыкоу (Miscellanea dello zar Ivan Aleksander dell'a. 1348). Verso la fine del testo si legge che l'autore fa questa esposizione-confessione (che è piuttosto una professione della fede) insieme al suo fratello Metodio. Il testo ha un carattere rigorosamente dogmatico, non letterario: sono esposti e difesi (contro le opinioni ereticali) i dogmi cristiani sulla Trinità, sulle due nature in Cristo, sulle due volontà e le due operatività in Cristo e sulla venerazione delle icone.

L'unica opera prettamente letteraria che molti studiosi attribuiscono a Costantino-Cirillo è una poesia intitolata Proemio al Vangelo (v. la traduzione italiana nel file omonimo in "Materiali didattici"). Ci è pervenuta in 4 manoscritti (1 del XIII, 2 del XIV e 1 del XVI sec.) che nel titolo indicano come autore «il

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nostro beato Maestro Costantino Filosofo». La poesia, composta da ca. 110 versi (tra 108 e 111 nei diversi manoscritti) dodecasillabi, è un appello agli Slavi ad ascoltare la parola di Dio, «la Parola che nutre le anime umane / la Parola che rafforza i cuori e le menti, / la Parola che prepara tutti a conoscere Dio» (versi 25-27) «non in lingua straniera» ma in lingua propria, comprensibile. L'intero testo tramanda l'affetto di chi per la prima volta aveva tradotto il Vangelo in lingua slava e sappiamo che costui è stato Costantino Filosofo – San Cirillo.

3.3. L’alfabeto glagolitico: struttura, base linguistica, confronto con l'alfabeto cirillico; ulteriore sviluppo e tramonto del glagolitico

N.B. Si vedano la tabella all'inizio degli Appunti di grammatica paleoslava (Stantchev), gli appunti presi in classe durante le lezioni e la presentazione PowerPoint n° 6: “Gli alfabeti slavi”. Cfr. anche Garzaniti 2013: cap. 14.

Per l'esame lo studente, partendo dalla tabella suddetta, deve essere in grado di confrontare i due alfabeti slavi, glagolitico e cirillico, spiegando le principali differenze tra di loro, indicando gli indizi interni del carattere creativo, originale del glagolitico (la croce in funzione della lettera A; nomi sacri scritti in abbreviatura con segni identici soltanto capovolti; il valore numerico delle lettere glagolitiche) e le caratteristiche del cirillico come adattamento e ampliamento (di un terzo) dell'alfabeto greco.

3.4. Nell'anno 870 ca. papa Adriano II consacra Metodio vescovo, secondo alcune fonti letterarie con sede nell'antica Sirmium (l'attuale Sremska Mitrovica nella provincia autonoma Vojvodina della Repubblica Serba, provincia multietnica dove sono ufficialmente riconosciute le lingue serba, ungherese, rumena, slovacca e russina [rutena]). In tutta la tradizione medievale e moderna egli è tuttavia chiamato "vescovo di Moravia e Pannonia". Mentre si dirige verso la propria diocesi Metodio viene arrestato dai vescovi latino-germanici di Salzburg (Salisburgo), Passau (Passavia) e Regensburg (Ratisbona), viene processato in quest'ultima città per avere occupato una diocesi altrui (la sede di Sirmio era vacante da secoli e i succitati tre vescovi se ne erano divisi il territorio) e rinchiuso in monastero per ben tre anni; si suppone che il luogo della sua prigionia sia stata l'abbazia benedettina sull'isola di Reichenau nel lago di Costanza, ma vi sono anche altre ipotesi.

3.4.1. Liberato grazie all'intervento di papa Giovanni VIII, nell’873 Metodio finalmente riuscì a occupare la sede episcopale assegnatagli e a dedicarsi, negli ultimi 12 anni della sua vita, all'istituzione di una Chiesa cristiana con l'uso liturgico della lingua slava parallelamente a quella latina. Infatti, solo ora, diventato vescovo, egli aveva la possibilità di decidere e che lingua e, forse, che rito avrebbero dovuto usare i fedeli della sua diocesi: cosa che era assolutamente impensabile negli anni 863-867 quando lui e il fratello Costantino-Cirillo erano dei semplici missionari, che potevano insegnare ma non potevano cambiare nulla nel rito e negli usi linguistici già in vigore (rito occidentale, lingua latina).

L'attività di Metodio incontrò una forte opposizione da parte del clero latino-germanico e non ebbe solido appoggio da parte del potere secolare poiché nell’870 il principe Rastislav fu deposto dal proprio nipote, Svatopluk (nei testi moderni spesso indicato anche come Svjatopolk), che si dimostrò meno favorevole alla slavizzazione della vita ecclesiastica in Moravia e Pannonia (nell’874 annetté il Principato di Blatno alla Grande Moravia). Finì che Metodio e i suoi allievi e discepoli furono accusati di essere portatori di eresia: accuse riferite sia all'introduzione di elementi dell'ufficiatura liturgica bizantina e, naturalmente, della lingua paleoslava; inoltre, probabilmente erano stati accusati dall'episcopato latino-germanico di non riconoscere il filioque, cioè l'aggiunta, nel Credo, che lo Spirito Santo «procede dal Padre e dal Figlio» (aggiunta mai riconosciuta dalle chiese d'Oriente, in quell'epoca molto cara al clero latino-germanico e poi adottata ufficialmente dalla Chiesa romana). Convocato a Roma nell’880, Metodio difese in modo brillante l'opera che aveva iniziato con Costantino-Cirillo e come risultato il papa Giovanni VIII lo elevò al rango di arcivescovo (alcune fonti insistono che già nel 870 fosse stato nominato arcivescovo), mentre con la bolla papale Industriae Tuae sancì l'uso liturgico della lingua slava e lodò l'alfabeto inventato da Costantino.

Al ritorno da Roma Metodio visitò per la prima volta Costantinopoli dopo la partenza nell’863, ritrovando sul trono patriarcale Fozio (che era stato deposto nell'867 e rinominato patriarca nell'877): si suppone che

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lì Metodio abbia ricevuto come dono alcuni libri dei quali si sarebbe servito poi per le sue ultime traduzioni. Tornato nella Grande Moravia, egli dettò a due suoi allievi la traduzione dell'intero testo dell'Antico Testamento «dal greco in slavo, eccezione fatta per i [libri dei] Maccabei» (VM XV.1). La Vita Methodii gli attribuisce anche la traduzione del Nomocanone (il principale libro di diritto canonico orientale) e di un non meglio precisabile «libro dei Padr» (“отеческие книгы”, VM XV.59), ma la questione di queste due traduzioni resta ancora tutta da chiarire.

L'arcivescovo Metodio morì il 6 aprile 885, stando alla testimonianza della sua Vita – nel terzo giorno dopo la Domenica delle Palme. «I suoi discepoli lo prepararono [per le esequie] e gli resero degni onori; celebrarono un servizio ecclesiastico in latino, greco e slavo e lo deposero nella cattedrale» (VM XVII.11).

Sempre secondo la VM (XVII, 5-6) prima di morire Metodio, su richiesta dei propri discepoli, avrebbe indicato il suo successore: «Allora indicò loro uno dei suoi fedeli discepoli, di nome Gorazd, e disse: “Questi è un uomo libero della vostra terra, conosce bene le lettere latine ed è di retta fede, che sia [con lui] la volontà divina e l'amore vostro, come [è] il mio”». Ma così non fu. Gorazd non raggiunse mai Roma e non fu mai ordinato vescovo al posto di Metodio, la sua sorte si perde nelle leggende.

3.4.2. Morto Metodio, come più alto prelato nella Grande Moravia rimase il vescovo di Nitra (nell'attuale Slovacchia) Vikhing, nemico acerrimo di Metodio e della liturgia in lingua slava. Egli riuscì a convincere il principe Svatopluk e il pontefice che gli allievi cirillometodiani non seguivano le norme della Chiesa Romana. Verso la fine dell’885 papa Stefano V scrisse a Svatopluk: «Che non sia permesso più in nessun modo e a nessuno di celebrare gli uffici divini e i misteri sacri in lingua slava come si era permesso [di fare] questo Metodio» (Divina autem officia et sacra mysteria ac missarum sollemnia, quae idem Methodius Sclavorum lingua celebrare praesumpsit, nullo modo deinceps a quolibet praesumatur). Nella stessa lettera il pontefice ordinò di espellere, dopo due ammonimenti, «lontano dai vostri confini» quelli che non obbedivano e insistevano “nello scandalo”, «perché una pecora ammalata non infetti tutto il gregge». La prescrizione papale venne eseguita alla lettera: nell'inverno dell’885/886 gli allievi cirillometodiani più anziani, ordinati sacerdoti ancora nel 868 da papa Adriano II, furono espulsi dalla Grande Moravia e andarono in Bulgaria; quelli più giovani, ordinati da Metodio, furono banditi come eretici e ceduti ai commercianti di schiavi a Venezia dove furono riscattati da un emissario dell'imperatore bizantino. Stando alle testimonianze agiografiche, alcuni trovarono pace a Bisanzio, altri andarono in Bulgaria sperando di trovare lì pace e le condizioni per continuare la propria opera (secondo la Vita Greca Major di san Clemente di Ocrida e la Vita paleoslava di san Naum).

Per quanto concerne le sorti dell'opera cirillometodiana presso gli Slavi occidentali, si osserva da parte di alcuni studiosi, prevalentemente di origine ceca e slovacca, la tendenza a sopravvalutare l’ipotesi che qualcuno abbia continuato a scrivere, a insegnare e a ufficiare in lingua (paleo)slava. Di fatto, due decenni dopo la morte di Metodio e l'espulsione dei suoi allievi e seguaci, la stessa Grande Moravia cessò di esistere dopo la Battaglia di Bratislava nell'estate del 907, e i suoi territori furono divisi tra i nascenti Stati di Polonia, Boemia e Ungheria (la quale occupò tutta la pianura pannonica). Nell'anno 1032, quasi 150 anni dopo la morte di Metodio, venne fondato sul fiume Sázava, in Boemia, un monastero benedettino il cui primo abate fu san Procopio, del quale sappiamo che era a capo di una comunità di monaci che parlavano e, forse, ufficiavano in lingua slava. Dopo la morte di Procopio (25.03.1053) i monaci slavofoni dovettero dapprima lasciare il monastero, nel 1056/1061 (cioè subito dopo lo scisma tra Roma e Costantinopoli nel 1054), e furono poi definitivamente espulsi nel 1096. Si tratterebbe, in questo caso, dell'ultima testimonianza che le tradizioni cirillometodiane fossero sopravvissute in alcune comunità spirituali nell'Europa centrale. Non vi è, però, nessuna documentazione che testimonierebbe l'attività scrittoria е libraria dei monaci slavofoni in Sázava: ogni indicazione (negli studi moderni) di manoscritti o testi paleoslavi scritti lì è pura supposizione. Inoltre, i libri che i monaci di Sázava o altri loro confratelli slavofoni usarono nella loro prassi liturgica sarebbero stati rigorosamente occidentali come rito (ricordiamo che parliamo di un monastero benedettino) e tradotti dal latino, come lo sono i famosi Fogli di Kiev che qualcuno vorrebbe risalenti all'epoca cirillometodiana, ma più probabilmente sono del sec. X – inizio XI e di origine boema. Nella tradizione occidentale qualche linea di continuità con l'opera cirillometodiana potrebbe ricercarsi

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solo nella tradizione glagolitica croata, anche se le testimonianze scritte pervenuteci non sono più antiche dell'anno 1100 (e parliamo di testimonianze epigrafiche; per quanto concerne i manoscritti, i più antichi codici croato-glagolitici risalgono alla seconda metà del sec. XIII). Qualche studioso ha ipotizzato un’origine croata anche per i Fogli di Kiev, nei quale la forma delle lettere in effetti sembra piuttosto mostrare un passaggio dal glagolitico rotondo antico al glagolitico angolare (oggi detto anche quadrato) croato. In ogni caso il primo libro stampato con dei caratteri mobili slavi fu un Messale romano stampato in caratteri glagolitici angolari (croati) nel 1483, probabilmente a Venezia.

«Киевские глаголические листки (Киевский миссал) — одна из древнейших дошедших до нас старославянских глаголических рукописей. Содержит отрывок из литургии по римскому обряду, считается переводом с латинского оригинала. Написана чернилами на семи листах хорошо выделанного пергамента, датируемых в основном Х веком (лишь первая страница более позднего письма и содержит другой текст). Происхождение признается западно-славянским (чешским или моравским), на что

указывает ряд особенностей языка (славянское богослужение там было запрещено в середине XI века).»

Fogli di Kiev, f. 7r, l'incipit (in rosso) in traslitterazione cirillica:

МЬШѣ О ВЬСѢХЪ НЕБЕСЬСКЪХЪ [sic] СИЛАХЪ.

Inizio della stampa glagolitica: Misal po zakonu rimskogo dvora, [Venezia?] 22.II.1483.

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4. Le tradizioni cirillometodiane dalla Grande Moravia al Primo impero bulgaro e alla Rus’ di Kiev

4.1. Gli allievi cirillometodiani in Bulgaria (886-893)

Nell'inverno dell'885/886 gli allievi cirillometodiani della vecchia generazione, esiliati dalla Grande Moravia, attraversano il Danubio e giungono ai confini del Primo Impero Bulgaro. Lo sappiamo con certezza per Clemente, Naum e Angelario che, secondo la Vita di san Clemente, giungono a Belgrado (allora una buona parte dell'attuale Serbia era sotto la corona bulgara) e da lì vengono inviati dal comandante (proto)bulgaro della fortezza alla capitale Pliska, presso il principe Boris-Michail che, stando al racconto dell'agiografo, “desiderava fortemente tali uomini” (Vita Greca Major di san Clemente di Ocrida). La Bulgaria, cristianizzata negli anni 864-866, dall’870 godeva di una chiesa autonoma con a capo un arcivescovo (nella tradizione bulgara considerato quale patriarca) che, come tutto il clero, era di lingua greca. Il sogno di Boris-Michail era di vedere la Chiesa bulgara nelle mani di un clero bulgaro e l'arrivo degli allievi cirillometodiani, della cui attività in Grande Moravia era probabilmente informato, gli offrì lo strumento desiderato. Così a Clemente e Naum (Angelario, sfinito dalle peripezie dell'esilio, morì poco dopo l'arrivo a Pliska) furono affidati importanti compiti preparatori: il primo fu inviato con il titolo ufficiale di Maestro (учитель) nella zona di Ocrida (nell'attuale Repubblica di Macedonia) con lo scopo di preparare ecclesiastici slavofoni di rito bizantino (la leggenda agiografica vuole che in 7 anni, tra l’886 e l’893 Clemente abbia istruito 3.500 allievi), mentre Naum dovette occuparsi dell'organizzazione della vita monastica e, probabilmente, di uno scrittorio slavo nei pressi della capitale.

Intorno all'anno 888 da Costantinopoli ritorna in Bulgaria il principe Simeone, il figlio minore di Boris-Michail, che con una sua cerchia di compagni aveva studiato nella capitale dell'Impero (molto probabilmente alla Scuola imperiale dove negli anni '50 insegnava Costantino il Filosofo) servendo nello stesso tempo come garante della pace. Con Simeone, che conosceva a perfezione la lingua e la cultura greca, deve essere tornato in Bulgaria anche un certo Giovanni che più tardi diventerà «Esarca di tutte le chiese bulgare». Sempre in quegli anni giunge nella capitale bulgara Costantino, che secondo le fonti «fu allievo di Metodio» e che successivamente diventerà il primo vescovo di Preslav, la nuova capitale dello Stato. Così intorno a Simeone, che il padre forse vedeva come futuro capo della Chiesa bulgara di lingua slava, si formò una cerchia di allievi cirillometodiani e di persone preparate a Costantinopoli che intrapresero un'intensa attività letteraria: furono ripristinate le traduzioni dei libri ecclesiastici eseguite nella Grande Moravia (poiché fuggendo da quelle terre gli allievi cirillometodiani più che libri in senso materiale portavano con sé le competenze di traduttori), furono eseguite molte nuove traduzioni, prima di tutto di testi innografici [innografia = poesia liturgica] caratteristici della Chiesa orientale e ben diversi da quelli usati nella tradizione occidentale, e furono composti alcuni testi originali (si veda più avanti).

Nacque probabilmente a quei tempi e in quella cerchia l'idea di adottare un altro alfabeto per la lingua (paleo)slava, più famigliare a chi, come Simeone, era di educazione greco-bizantina. Va detto a questo proposito che l'alfabeto greco era ben conosciuto in Bulgaria poiché già dalla nascita dello Stato (681) si scriveva in greco, ma anche in proto-bulgaro con caratteri greci. Non si sa da chi e quando esattamente, tra l'ultimo decennio del IX secolo e il primo del secolo X, nella zona della capitale bulgara e sulla base dei dialetti slavo-bulgari nord-orientali venne composto l'alfabeto cirillico, nel quale sono presenti tutti i 24 caratteri dell'alfabeto greco (più tre che venivano usati solo come segni numerici), ai quali furono aggiunti da 14 a 18 grafemi corrispondenti ai fonemi slavi assenti nella lingua greca. Alcune delle lettere aggiuntive provengono dall'alfabeto glagolitico (per es. Ç, Í), altre da forme antiche o locali di alcune lettere greche (per es. Å), altre ancora, forse, da segni (finora non decifrati) proto-bulgari (per es. ‰, ¿), altre infine, furono inventate ad hoc sui modelli grafo-fonematici del glagolitico. Il nuovo alfabeto si diffuse ben presto anche fuori dagli ambienti ecclesiastici: la prima iscrizione datata scritta in cirillico a noi nota risale all'anno 921. Il cirillico presto prevalse sul glagolitico nella zona della capitale, mentre a Ocrida e dintorni, dove Clemente e successivamente anche Naum continuavano in modo più diretto le tradizioni cirillometodiane, venne usato ancora a lungo il glagolitico benché si conoscesse e si diffondesse anche il cirillico. Pare che il glagolitico godesse dello status di scrittura sacra: nel Vangelo di Assemani,

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per esempio, scritto probabilmente tra la seconda metà del sec. X e la prima dell'XI, si vede molto bene che la scrittura quotidiana dello scriba del testo principale, che è in glagolitico, era il cirillico.

Sul confronto grafo-fonematico "cirillico vs. glagolitico" si vedano gli appunti della lezione a esso dedicata e la tabella all'inizio degli Appunti di grammatica paleoslava.

Nell'anno 888 il principe Boris-Michail, dopo un lungo e travagliato regno (era sul trono dall’852), si ritirò in monastero lasciando sul trono il figlio primogenito Rassate-Vladimir. Nel frattempo proseguiva il lavoro per la creazione di un fondo di libri liturgici slavi e la preparazione di sacerdoti e diaconi slavofoni. Pare che sempre nel periodo 886-893 gli allievi di Cirillo e Metodio abbiano promosso il culto dei loro maestri scrivendo le opere liturgico-letterarie necessarie per la venerazione ufficiale: le Vite (il nucleo di quella di san Cirillo forse era già stato steso in Grande Moravia), gli uffici liturgici (quello di san Cirillo mostra di essere la traduzione-adattamento di testi innografici greci, mentre quello di Metodio ha due canoni, uno dei quali porta un acrostico con il nome di Costantino di Preslav come autore, l'altro invece ha quello di Clemente di Ocrida), i panegirici (uno di Cirillo scritto da Clemente e l'altro, anonimo, dedicato ai due fratelli ma diffuso nei manoscritti per la data commemorativa di Metodio, il 6 aprile).

– Nell'anno 893 il principe Boris-Michail, insoddisfatto della politica condotta da Vladimir, uscì dal monastero e con il diritto di principe-padre depose il figlio, ordinò che fosse accecato e incarcerato ed elevò al trono Simeone. Per questa operazione fu convocato un raduno dei capi proto-bulgari dei sette distretti militari in cui era suddiviso lo Stato e dei principi slavi, noto nella storiografia come Concilio di Preslav, che oltre alla sostituzione del sovrano approvò anche il cambiamento di capitale, trasferita da Pliska (nel passato fortezza dell'élite proto-bulgara contraria alla politica di Boris-Michail di cristianizzazione e slavizzazione del Paese) a Preslav, ex avamposto militare che difendeva Pliska dalle incursioni nemiche. (Negli anni successivi Simeone trasformò Preslav in una autentica capitale cristiana alla quale fu attribuito il soprannome di Piccola Costantinopoli, un soprannome ancora in uso nel sec. XVII.) Assieme a questi profondi cambiamenti dello Stato furono prese decisioni di fondamentale importanza anche per la Chiesa bulgara e per tutto il mondo slavo dell'area bizantina: fu decisa la sostituzione dei libri liturgici greci con quelli slavi (un atto del quale nella Cronaca dei tempi passati russa si parla come del “преложение книг” avvenuto 30 anni dopo l'invenzione dell'alfabeto slavo: 893-863=30, appunto), quindi la sostituzione del clero grecofono con ecclesiastici slavofoni; contestualmente Clemente fu elevato a vescovo di Velika o Belica (τῆς Βελίτσας) mantenendo la sede di residenza nella città di Ocrida dove già era attivo come maestro. Al suo posto per continuare l'attività d'insegnamento fu inviato Naum, che fondò un monastero sulle sponde del Lago di Ocrida, conservatosi fino ai nostri giorni (v. la foto dell'antica chiesa qui sotto).

Le decisioni del Concilio di Preslav aprirono una nuova pagina nella storia della civiltà scrittoria slava: per la prima volta la lingua (paleo)slava diventava la lingua ufficiale di uno Stato e della sua Chiesa. In questo modo la lingua codificata per la prima volta da Costantino-Cirillo e Metodio nell’863 e usata nella Grande Moravia come lingua missionaria ("lingua dell'apostolato" secondo la terminologia di Riccardo Picchio), quindi impiegata da Metodio in qualità di vescovo e arcivescovo come lingua liturgica sussidiaria accanto al latino, diventò una lingua sacra, applicata nella prassi liturgica a tutti i livelli, dalla predica ai sacramenti. Nei decenni successivi in questa lingua si sviluppò una ricca letteratura di carattere prevalentemente ecclesiastico, ma non priva anche di opere con finalità non ecclesiastiche.

4.2. Il “secolo d’oro” della letteratura bulgara antica e la formazione del sistema letterario della Slavia ortodossa

Dopo l'anno 893, nel Primo Impero Bulgaro (che allora si estendeva su gran parte della Penisola Balcanica, e comprendeva territori che oggi, oltre alla Bulgaria, appartengono a Macedonia, Serbia, Bosnia, Albania e Romania) si assiste a una fioritura dell'attività letteraria in lingua paleoslava (in quell’epoca identica al bulgaro antico) nota come ‘Secolo d'oro’, e che durò per tutto il regno del principe, dal 917 zar, Simeone (893-927) e di suo figlio lo zar Pietro (927-967, † 969). Entrambi i sovrani presero parte della vita letteraria sia come suoi organizzatori e regolamentatori, sia come autori o curatori di testi.

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Sull'attività letteraria nel Primo Impero Bulgaro si veda Boriero Picchio 1969, cap. I (sito del docente /Materiali didattici/Boriero-Letteratura paleoslava), tenendo conto delle precisazioni/attualizzazioni riportate qui sotto.

Tra gli allievi cirillometodiani della vecchia generazione giunti in Bulgaria si distingue come scrittore soprattutto san Clemente di Ocrida (840 ca. – 916). La tradizione manoscritta gli attribuisce una serie di sermoni, didattici e panegirici, tra i quali i panegirici di san Cirillo, di san Clemente Papa e altri (complessivamente, una ventina giuntici con il suo nome). Compose anche sermoni-modello usati dai suoi allievi che li adattavano a diverse ricorrenze ecclesiastiche. Nella tradizione storiografica spesso è indicato come probabile autore delle Vite paleoslave dei ss. Cirillo e Metodio (anonime), ma gli studi più recenti hanno dimostrato che le due opere non possono appartenere allo stesso autore; forse Clemente contribuì, assieme ad altri colleghi, alla stesura della Vita Constantini. Essendo l'autore del sermone panegirico di san Cirillo, a volte gli si attribuisce anche l'Ufficio liturgico di Cirillo, del quale recentemente è stato dimostrato che è piuttosto una traduzione-adattamento dal greco. È, invece, l'autore di uno dei due canoni nell'Ufficio di san Metodio (una scoperta relativamente recente). Nel passato gli veniva attribuita anche la creazione dell'alfabeto cirillico – tesi non confermata dalle analisi più attuali delle fonti (inoltre, proprio nella regione dove Clemente fu attivo il glagolitico venne usato più a lungo).

Negli ultimi decenni (e comunque dopo l'uscita del volume della Borriero Picchio), grazie alla decifrazione degli acrostici di una serie di testi innografici si è appreso che Clemente fu uno degli maggiori poeti ecclesiastici dell'epoca, assieme a Costantino di Preslav. Compose cantici sia per singoli santi, sia per uno dei fondamentali libri liturgici, l'Ottoeco.

Si cimentò come innografo anche il confratello di Clemente, il santo Naum († 910), il cui nome per ora è stato rinvenuto solo nell'acrostico di un’opera innografica, un Canone dell'apostolo Andrea. Sapendo che dopo l'893 egli sostituì Clemente come maestro nella regione di Ocrida si può ipotizzare una sua attività nel campo predicatorio.

Costantino, elevato poco dopo Clemente a vescovo di Preslav, la nuova capitale bulgara, e che sappiamo essere stato allievo di Metodio (quindi tra i più giovani, dopo la morte di san Cirillo), è tradizionalmente noto come traduttore e autore-compilatore di una raccolta di sermoni didattici per tutte le domeniche dell'anno (salvo quella di Pasqua) nota come Učitel'noe evangelie nella cui prefazione è inserita la famosa Preghiera alfabetica, una delle più antiche poesie sillabiche (ritmo dodecasilabo) in lingua slava nella quale ogni verso inizia con la successiva lettera dell'alfabeto (glagolitico, sebbene le copie pervenuteci siano solo in cirillico). A partire dal 1978 una serie di scoperte dello studioso bulgaro Georgi Popov ha rivelato che Costantino fu un poeta prolifico, autore di un ciclo di cantici per il Triodio (libro dei canti liturgici per le dieci settimane di preparazione alla Pasqua) uniti da un gigantesco acrostico composto a sua volta da 18 versi dodecasillabi, il cui primo verso funge anche da titolo e recita "Granesa dobra Konstantinova" ovvero "Versi buoni/giusti di Costantino". Con Clemente di Ocrida scrisse anche un ciclo di inni liturgici per il periodo dal Natale all'Epifania e, come già detto, l'Uffico di san Metodio, dove uno dei canoni è firmato (tramite acrostico) da Costantino, l'altro – da Clemente. Di Costantino si sa soltanto che era ancora vivo negli anni 906/907, mancano però dati biografici più dettagliati (non essendo proclamato santo all'epoca, manca infatti una sua Vita).

Giovanni Esarca (ultimo quarto del IX – primo quarto del X sec.), come già detto, era stato molto probabilmente uno dei compagni di studi di Simeone a Costantinopoli. È noto come traduttore di un'opera teologica intitolata Nebesa ("Cieli", parte di un opera più ampia di san Giovanni Damasceno), come compilatore di un Esamerone dove si espone la storia della Creazione in sei giorni e in ogni giorno-capitolo si parla della rispettiva parte del mondo, visibile e invisibile; nel cap. VI, dedicato alla creazione dell'uomo, vi sono interessanti notizie su alcune tradizioni dei proto-bulgari e una descrizione del palazzo dello zar Simeone al quale è dedicata l'opera. La prefazione di Nebesa contiene importanti riflessioni sull'arte della traduzione. Inoltre, Giovanni Esarca è autore di alcuni sermoni panegirici (in gran parte compilativi) che a differenza di quelli di Clemente di Ocrida non puntano sull'impatto poetico, emotivo, ma su una percezione razionale, logica, ovvero su un pubblico che aveva una certa preparazione teologica, come era quello della cerchia dello zar Simeone.

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Nell'ultimo decennio del sec. IX fu scritta un importantissima apologia della scrittura slava spesso intitolata nei manoscritti "О писменех черноризца храбра" [riporto il titolo in forma russificata, K.S.], che si può tradurre come "Delle lettere del monaco Chrabar", intendendo che un non meglio identificato Monaco Chrabăr (in it. anche Hrabar, v. Borriero Picchio 1969: 42-43) ne fosse l’autore (ipotesi privilegiata dagli studiosi) oppure come "Delle lettere del monaco coraggioso", dove per "monaco coraggioso" si deve intendere l'autore delle lettere, cioè Costantino-Cirillo. Quest'ultima interpretazione, meno diffusa, merita seria considerazione anche perché alcuni copisti del sec. XVII avevano già interpretato proprio in questo modo il titolo dell'opera. In ogni caso, il trattato Delle lettere è una delle fonti più preziose sull'attività di Costantino-Cirillo e Metodio, ed è l'unica di quell'epoca che indica con precisione l'anno in cui venne inventato dell'alfabeto slavo: 6363 dalla Creazione del mondo ovvero 862/63 dell'era cristiana.

Naturalmente, il "Secolo d'oro" non si esaurisce con l'attività di questi pochi personaggi di rilievo che conosciamo oggi; ci sono pervenuti anche altri nomi di traduttori e scriba dei quali non sappiamo nulla, e vi è una grande quantità di traduzioni, ma anche di opere originali (cioè non tradotte), rimaste anonime. Alla seconda metà del X secolo appartengono, invece, personaggi come il pope Ieremia, autore di sermoni di carattere apocrifo, e il presbitero Cosmà, autore di un ampio trattato contro l'eresia dualistica del Bogomilismo apparsa nei territori bulgari durante il regno dello zar Pietro.

Verso la fine del X sec. l'attività letteraria del "Secolo d'oro" e la lingua letteraria tramite essa elaborata trovarono un fertile terreno per ulteriore sviluppo nell'antica Rus' convertita al Cristianesimo nell'anno 988, 30 anni prima della caduta definitiva del Primo Impero Bulgaro (1018) sotto i colpi dell'esercito bizantino guidato dall'imperatore Basilio II, che orgogliosamente si autoproclamò Bulgaroctono, cioè Ammazza-bulgari.

4.3. L’inizio dell’attività scrittoria nella Rus’ di Kiev e la nascita della Slavia ortodossa

4.3.1. L'inizio dell'attività letteraria nella Rus' di Kiev è tema che viene trattato nel corso di letteratura russa, perciò noi parleremo soltanto dell'inizio dell'attività scrittoria in senso stretto.

Verso la fine del X – inizi dell’XI sec., con la cristianizzazione, nella Rus' di Kiev si diffonde la tradizione della scrittura slava ereditata dal Primo Impero Bulgaro. Viene adottato in via di principio l'alfabeto cirillico, sebbene in alcuni ambienti non fosse sconosciuto anche il glagolitico, al momento attuale testimoniato soltanto da alcuni graffiti ma da nessun testo librario. Esiste, però, almeno una testimonianza che nella prima metà del XI sec. a Novgorod venivano eseguite traslitterazioni dal glagolitico in cirillico: è il caso del volume Libri dei profeti trascritto dal pope Upir' Lichyj (ОУПИРЬ ЛИХЫИ, oggi modernizzato in Упырь Лихой) nell'a. 1047. Il codice originale non ci è pervenuto, ma nelle copie dei secc. XV-XVI è stata riprodotta anche la postilla (il colophon) originale dove egli dice di aver «(tra)scritto questi libri dal cirillico (ис коуриловицѣ)». Essendo il testo stesso in cirillico, la maggior parte degli studiosi concorda che dovrebbe trattarsi di una traslitterazione dal glagolitico che nella prima metà dell'XI sec. sarebbe stato noto nell'Antica Rus' con il nome del suo inventore, san Cirillo.

Il colophon di Upir' Lichyj in una copia del XVI sec. (ms. РГБ/Троицкое собрание, № 89)

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Nella Rus' di Kiev venne adottata anche la norma linguistica elaborata nel Primo Impero Bulgaro, con alcuni inevitabili russismi fonetici e lessicali, relativamente rari nei primi monumenti scritti in territorio russo (il Vangelo di Ostromir, l'Izbornik del 1073 e altri).

Oggi sono noti alcuni manoscritti e alcune iscrizioni (comprese quelle su corteccia di betulla trovate durante gli scavi archeologici a Novgorod) che possono essere datati verso l'inizio del sec. XI. Però i primi manoscritti datati, che sono anche i primi manoscritti slavi in assoluto a portare una data precisa (quelli antico bulgari non sono datati, lo sono solo alcune iscrizioni), sono i seguenti:

– Il Vangelo di Ostromir (Остромирово Евангелие), copiato dal diacono Gregorio per il nobile Ostromir di Novgorod nell'anno 1056/57, forse a Kiev. È un Evangeliario miniato, scritto in onciale cirillica e si ritiene fosse copia di un manoscritto bulgaro antico (si discute, però, se questo vale anche per le miniature).

– L'Izbornik (=raccolta, antologia) del 1073, copiato a Kiev da una miscellanea anticobulgara dedicata allo zar Simeone di Bulgaria, ma nella coppia del 1073 la dedica, in versi, è reindirizzata al principe Svjatoslav (perciò noto anche come Izbornik Svjatoslava del 1073) mentre una copia più tarda, sempre russa, conserva la poesia dedicatoria con il titolo e nome originali: zar Simeone. L'Izbornik è una miscellanea di tipo enciclopedico destinatа a un ambiente alto, alla corte principesca/reale. È da notare che in questa miscellanea troviamo la prima (e per lungo tempo rimasta l'unica nella Slavia ortodossa) traduzione anticoslava (anticobulgara) di un manuale di retorica: il trattato Delle figure poetiche del filologo bizantino Giorgio Chirobosco (fine VI – in. VII sec.).

Per un approfondimento:

ИЗБОРНИК 1073 г. — древнейший памятник древнерусской литературы, являющийся списком с болгарского оригинала. Дает суммарное изложение основ христианских представлений о бытии и одновременно является обширной сводкой сведений из различных областей знания (астрономии, географии, права, политэкономии, истории и пр.). Восходит к «Спасительной книге» 9 века Протографом Изборника является более обширный по сравнению со «Спасительной книгой» греческий кодекс, с которого был сделан славянский перевод для болгарского царя Симеона (893—927). Русский список переписан с болгарского оригинала и переадресован Святославу. […] Изборник содержит восходящий к аристотелевской традиции логико-философский трактат «Максимово о различении сущности и естества по внешним», «Феодора, пресвитера Раифского о том же». Здесь воспроизводятся разделы «Метафизики», «Физики» и «Категорий» Аристотеля. Источником, скорее всего, служил текст не самого Аристотеля, а кого-то из его средневековых толкователей. В этой наиболее философичной части памятника дано определение общим понятиям: «сущность», «сущее», «природа», «ипостась», «род», «вид». Первоисточником сущего и описываемого в аристотелевских категориях бытия объявляется Бог. В разделе «Иустина Философа» воспроизводится античное учение о четырех стихиях, прилагаемое для объяснения строения плоти человека, а также для обоснования учения христианства о воскресении тел. Проблема человека — вторая по значимости проблема Изборника. Подчеркивается двуприродность человека, взаимозависимость плотского духовного начал. Материальная природа человека, согласно тексту, образуется сочетанием простейших элементов: огня, воды, земли, воздуха. В состав сборника входит трактат Георгия Хировоска «Об образех», где рассматриваются эстетические понятия: «аллегория», «метафора», «гипербола», «притча». (В. В. Мильков) http://rummuseum.info/node/4311

– L'Izbornik del 1076, una miscellanea di carattere didattico-catechetica il cui protografo tradizionalmente spesso veniva definito come Seconda miscellanea dello zar Simeon († 927), recentemente si è fatta strada l'ipotesi che si tratta di una delle discendenze di un comune archetipo anticobulgaro convenzionalmente denominato Knjažeskij izbornik, la cui datazione viene fata risalire al periodo 919-969.

4.3.2. La nascita della Slavia ortodossa

Sessant'ani fa, preparando la prima edizione della sua Storia della letteratura russa antica (Milano 1959) Riccardo Picchio (1923-2011) introdusse il termine e il concetto di ‘Slavia ortodossa’ (Slavia Orthodoxa) che ebbe un grande successo nell'ambito della Slavistica nonostante alcune osservazioni critiche. Secondo questo concetto, l'opera cirillometodiana trasferita nel Primo impero bulgaro creò le fondamenta di una

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comunità linguistica, confessionale e culturale che – a partire dall'XI sec. e fino alla nascita delle lingue e delle culture nazionali moderne (secc. XVII-XVIII) – teneva uniti gli Slavi balcanici e quelli orientali, e tra i secoli XIV–XVII anche i rumeni (la cui lingua liturgica era, in quel periodo, lo slavo ecclesiastico). Questa comunità rappresentava, per così dire, il “terzo polo” della Cristianità europea medievale e premoderna accanto a quelle latino-cattolica e greco-ortodossa. La confessione, dopo lo scisma del 1054, era quella greco-ortodossa con significato prevalente del rito ecclesiastico (le differenze dogmatiche difficilmente arrivavano alle masse dei credenti; non cambiò radicalmente il tipo di cultura neanche dopo il passaggio di alcune aree di tradizione slavo-ortodossa all'obbedienza romana a partire dalla fine del XVI sec. e la nascita delle comunità greco-cattoliche o 'uniate'). La lingua era lo slavo ecclesiastico basato sullo slavo antico; nonostante il profilarsi delle differenze regionali (“redazionali”) questa lingua rimase comprensibile per tutte le zone della Slavia ortodossa e garantì la libera circolazione di testi (originali o, prevalentemente, tradotti) e di letterati in tutta la macro-area. La cultura, letteraria in primis (ma anche artistica, che qui non ci interessa specificamente), basata sui modelli bizantini e in gran parte su traduzioni dal greco bizantino, era e, per quanto concerne quella ecclesiastica, ancora è assai comune per tutte le popolazioni della Slavia ortodossa e per le odierne nazioni, loro eredi.

Basata sull'opera cirillometodiana e sull'alfabeto cirillico, la Slavia ortodossa ebbe la formazione dei suoi primi modelli linguo-letterari e culturali nell'ambito del Primo impero bulgaro (che inglobava anche popolazioni di origine serba) ma divenne una vera e propria comunità con l'ingresso dell'Antica Rus' nella sfera del Cristianesimo. Il patrimonio del Primo impero bulgaro, di cui fanno parte i modelli letterari ma anche opere concrete, fu la base sulla quale si sviluppò l'attività scrittoria e letteraria anticorussa che a sua volta influenzò il ripristino della tradizione in Bulgaria dopo il periodo della dominazione bizantina (XI-XII sec.) e la sua nascita in Serbia. Tra la fine del XIV e l'inizio del XV sec. si ebbe la cosiddetta ‘Seconda influenza slavo-meridionale’ sulla cultura scrittoria e letteraria degli Slavi orientali e successivamente, dopo l'occupazione ottomana dei Balcani, di nuovo si osserva una influenza da nord-est verso sud nell'ambito della Slavia ortodossa: processi normali, simili a quelli che si sono sviluppati nell'ambito della Latinitas medievale. Per questo, senza negare l'esistenza di certe tradizioni locali che consentono di studiare le letterature medievali bulgara, russa, serba ecc. in sé, si deve sempre tenere conto dell'esistenza di una massa di testi e di “regole del gioco” comuni per tutta la Slavia ortodossa che permettono, da un punto di vista sovranazionale, di parlare di una Letteratura della Slavia ortodossa (come s'intitola, per esempio, il volume di R. Picchio pubblicato nel 1991 dalle Ed. Dedalo, Bari).

5. Dal protoslavo e paleoslavo alle lingue slave moderne

5.1. Dal paleoslavo e le sue redazioni allo slavo ecclesiastico. Il problema della formazione delle lingue nazionali nell'area slavo-ortodossa

N.B. Rileggere i §§ 1.1.3 – 1.1.5.

A partire dal sec. XI. nei codici paleoslavi sempre di più si osserva la diramazione della lingua paleoslava ovvero della sua norma anticobulgara (che fu quella che effettivamente si diffuse nell'area che dopo la meta del XI sec. può essere definita Slavia ortodossa) in varianti macro-regionali, tradizionalmente definite 'redazioni': mediobulgara, anticorussa, anticoserba (e, all'interno di esse, si possono individuare suddivisioni ulteriori: varianti locali, "scuole ortografiche" ecc.); l'unica area cattolica dove lo slavo fu impegnato nella tradizione scritta, ecclesiastica e non, fu quella croata, dove si parla rispettivamente di redazione croata dello slavo antico. Queste “redazioni” rispecchiavano le particolarità delle pronunce regionali (si vedano le pagine di fonetica negli Appunti di grammatica paleoslava di K. Stantchev), le differenze tra di loro sono prevalentemente grafo-fonetiche e non incidono decisivamente sulla struttura morfologica della lingua che rimane sostanzialmente quella paleoslava; solo recentemente si sono evidenziate anche alcune differenze sintattiche tra i testi meridionali e quelli nord-orientali.

Alcuni studiosi che, pur usando il termine 'paleoslavo', parlano di redazioni dello slavo ecclesiastico (e non del paleoslavo), giustificando quest'uso con il fatto che in alcune aree, in particolar modo quella anticorussa, iniziò a formarsi, a partire dal XII sec., uno standard di lingua scritta diversa dal

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paleoslavo, nel caso concreto 'anticorusso' (древнерусский), mentre l'uso della rispettiva redazione del paleoslavo si limitava sempre di più alla sfera ecclesiastica, appunto. Successivamente, a partire dai sec. XV-XVI sec., sulla base di queste due componenti sarebbero nate una o più lingue ibride che infine avrebbero dato inizio alle norme linguistiche nazionali – russa, bielorussa, ucraina, mentre la redazione regionale del paleoslavo sarebbe rimasta in funzione esclusivamente ecclesiastica (ergo, slavo ecclesiastico, v. più avanti).

Altri studiosi contestano questa ricostruzione, insistendo che non si tratta di due lingue diverse, ma di diversi livelli stilistici della stessa lingua (nel caso citato: della redazione russa dello slavo antico), i più bassi dei quali sono più esposti all'influenza della lingua parlata, mente quelli alti (e il livello più alto è quello dei testi biblici e liturgici) sono più conservativi. In ogni caso è in questo modo che tradizionalmente viene descritta la situazione linguistica nella Slavia ortodossa balcanica (Bulgaria, Serbia, Bosnia) tra i secoli XII/XIII e XV/XVI. A partire dal sec. XVII in quest'area si osservano processi diversi nelle varie sotto-aree. Sul territorio bulgaro-macedone si diffondono delle miscellanee manoscritte denominate Damaskini scritte in una lingua fortemente influenzata da quella parlata non solo nell'aspetto lessicale, ma anche morfologico (considerando che era in fase avanzata il processo di passaggio delle parlate della zona dal sintetismo all'analitismo: perdita della flessione casuale e dell'infinito, sviluppo dell'articolo definito ecc., v. più avanti). Essendo i compilatori di queste miscellanee persone legate alla chiesa e istruite in slavo ecclesiastico, nel linguaggio dei singoli damaskini in diversa proporzione si mescolano le forme slavo ecclesiastiche e quelle del rispettivo volgare locale. A questo punto è discutibile se si tratti di una lingua ibrida (v. sopra) o, come per esempio recentemente viene formulato negli studi bulgaristici, di un КЕНО (“книжовен език на народна основа”), cioè lingua scritta, basata sulle parlate volgari. Partendo, invece, dallo studio della formazione della lingua serba moderna, la studiosa italiana Rosanna Morabito recentemente ha affermato che «nel sistema slavo ecclesiastico c'era spazio per vari livelli di lingua e gli elementi linguistici 'popolari' ('nazionali') potevano ancora svilupparsi e acquisire prestigio entro il sistema tradizionale, senza dover 'lottare' con lo slavo ecclesiastico» (Morabito 2001: 292).

Comunque siano andate le cose nelle diverse sotto-aree della Slavia ortodossa (e dobbiamo tenere conto che in esse le condizioni socio-culturali non erano identiche), lo slavo ecclesiastico propriamente detto nasce come codificazione per uso ecclesiastico della tarda redazione russa del paleoslavo. Questa codificazione viene effettuata nei secoli XVI-XVII tramite le edizioni stampate di libri ecclesiastici e tramite le prime grammatiche della lingua «slava», come veniva chiamata, tra le quali la più importante è la Grammatica di Meletij Smotrickij stampata in Evia (nei pressi di Vilno) nel 1618/19. Questa lingua è ancora in uso (sia pur limitato) nella prassi liturgica delle chiese slavo-ortodosse e si studia nei seminari e nelle accademie ecclesiastiche. Chi si serve della locuzione "slavo ecclesiastico antico", invece, in questo caso parla di "nuovo slavo ecclesiastico" (o di "slavo ecclesiastico sinodale").

Le varie lingue nazionali, invece, indipendentemente del tipo di rapporto tra lo slavo ecclesiastico e le parlate volgari (che potevano avere anche diverse espressioni scritte) che può essere stabilito per le diverse sotto-aree, si formarono tra i secoli XVI e XVIII e vennero codificate tra la metà del XVIII (il russo, per esempio) e la metà del XIX sec. (il bulgaro e il serbocroato, esistito – come unica lingua – fino agli anni '90 del XX sec). Dopo la II guerra mondiale viene ufficialmente codificata la lingua macedone come una norma linguistica diversa da quella bulgara, mentre negli anni '90 del XX sec., dopo la disgregazione della Federazione Jugoslava, al posto del serbocroato subentrarono quattro norme linguistiche nazionali – in ordine alfabetico bosniaca, croata, montenegrina e serba. Così nelle due aree macro-dialettali, serbo-croata e bulgaro-macedone, oggigiorno esistono sei diversi standard linguistici.

Nella Slavia nord-orientale già nell'epoca anticorussa in alcuni monumenti si possono cogliere alcune caratteristiche delle diverse regioni macro-dialettali legate alle zone di Smolensk, Galicia e Volynia, Novgorod, Pskov, Rostov e Suzdal' (a quest'ultima appartengono anche le parlate di Vladimir e Mosca). Dopo che la Russia Moscovita tra la fine del XIV e la metà del XV sec. si liberò dal dominio tataro-mongolo e iniziò una politica di centralizzazione intorno a Mosca, mentre la maggior parte

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dell'antica Rus' di Kiev entrò a far parte del Granducato Lituano a sua volta dipendente dalla corona Polacca, iniziò un processo di sempre più percepibile differenziazione linguistico-culturale tra la Rus' o Rutenia e Moscovia. Nella zona rutena è fortissima l'influenza linguistica polacca (e tramite il polacco quella della cultura in lingua latina), che si fa portatrice di un influsso culturale innovativo, mentre la Moscovia rimane più tradizionalista (non solo nell'ambito linguistico-culturale). Le nuove realtà socio-politiche nella Rutenia, sconosciute alla Moscovia, richiedono anche una nuova espressione linguistica per formulare documenti amministrativi, esprimere concetti scientifici ecc. Nasce cosi, tra i secoli XVI e XVII, una realtà linguistica rutena dalla quale poi nasceranno le norme linguistiche ucraina e bielorussa. Nello stesso tempo nel Regno Moscovita che poi diventerà l'Impero Russo si fa sempre più strada il linguaggio della nascente borghesia commerciale moscovita, con le riforme di Pietro il Grande vi è un forte e ampio ingresso di terminologia scientifica, tecnica e cancelleresca che affianca la sempre più sentita necessità di modernizzare anche il linguaggio letterario. Così, dopo la riforma dell'alfabeto (v. più avanti) negli anni 1707-1710 e la nascita dell'opposizione “cirillico ecclesiastico – cirillico civile” e dopo il divieto di pubblicare con quello ecclesiastico altri testi che non siano quelli ecclesiastici, nasce anche il concetto/termine “lingua slavo ecclesiastica”, mentre, grazie all'attività soprattutto di M. V. Lomonosov, verso la metà del XVIII sec. viene codificato lo standard della lingua russa che include ampiamente elementi dello slavo ecclesiastico, soprattutto lessicali, il ché conferisce una particolare ricchezza espressiva alla lingua russa.

Fuori della Slavia ortodossa soltanto la lingua croata segue lo stesso modello, interagendo con lo slavo ecclesiastico, mentre nel resto del mondo slavo, cattolico o protestante che fosse, la situazione linguistica e ben diversa: sulla formazione del lessico e di alcune norme grammaticali incide non poco il latino oltre che le lingue non slave con le quali si era in contatto, in primis il tedesco e l'italiano.

5.2. Le lingue slave moderne: classificazione e principali caratteristiche

Le lingue slave per una tradizione che proviene dal sec. XIX di solito vengono classificate in tre gruppi: occidentale, orientale e meridionale. Quest'ultimo, però, includerebbe lingue che nel loro sviluppo storico si sono diversificate notevolmente. In particolare, nella zona delle parlate bulgaro-macedoni si ha uno sviluppo per molti aspetti unico nel mondo slavo (e simile a quello italiano rispetto al latino): la perdita della flessione casuale e dell'infinito, la conservazione (e addirittura un ulteriore arricchimento) del sistema dei tempi verbali (in particolare di quelli passati), lo sviluppo dell'articolo. Questo ha indotto alcuni linguisti a parlare di una bipartizione delle lingue slave meridionali contemporanee in orientali (bulgaro e macedone) e occidentali – bipartizione che oggigiorno è accettata anche nelle classificazioni internazionali delle lingue indoeuropee, considerata però (pagando dazio alla tradizione) come una suddivisione del gruppo slavo meridionale in due sottogruppi. Qui verrà presentato in modo estremamente sintetico l'attuale quadripartizione delle lingue slave in nord-occidentali, nord-orientali, sud-occidentali e sud-orientali.

5.2.1. Lingue slave nord-occidentali: polacco, casciubo, ceco, slovacco, lusaziano (detto anche sorabo) superiore e inferiore. Lingua estintasi: polabo.

Il polacco come lingua letteraria si è formato tra la metà del '300 e il '500 e oggi è parlato come madre lingua da ca. 45 milioni di persone. È la lingua ufficiale della Repubblica Polacca. Viene scritta in caratteri latini con uso di segni diacritici e digrammi. L'accento fonico cade sempre sulla penultima sillaba della parola. È l'unica lingua slava che possiede vocali nasali (on scritto ą, e en scritto ę) formatisi, però, come risultato della cosiddetta "seconda nasalizzazione", e che non sono eredi dirette delle nasali protoslave. Altri fonemi/grafemi caratteristici: y (simile alla ы russa), ó (letta u, per esempio Kraków, Cracovia), w, ł, ć, ś, ń, ź e ż, i dirgrammi ch, dz, dź, dż, rz, sz. È una lingua sintetica, flessiva, conserva i 7 casi protoslavi (compreso il vocativo), nel sistema verbale si usano tre tempi (presente, futuro, passato).

Il casciubo è la lingua della minoranza etno-linguistica dei casciubi che vivono nel Nord della Polonia ed è parlata da poco più di 100.000 persone. Il casciubo a lungo è stato considerato dai polacchi un

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dialetto polacco finche venne ufficialmente riconosciuta come lingua nella nuova costituzione polacca nel contesto dell'ingresso della Polonia nell'UE; ed è riconosciuta come lingua ufficiale assieme al polacco nella regione di maggioranza casciuba. Si è formato tra i secoli XIV e XVI, la codificazione della norma scritta risale alla seconda metà del XIX sec. Viene scritto in caratteri latini, presentando differenze grafo-fonetiche rispetto al polacco, per esempio la presenza di ā, è, ë, ò, ô. Il sistema morfologico non si distingue in particolar modo dal polacco.

Il ceco oggi è la madre lingua di ca. 10 milioni di persone ed è la lingua ufficiale della Repubblica Ceca. Come lingua letteraria si è formato tra i secoli XIV e XV con un importante ruolo della Proto-Riforma Hussita (v. Jan Hus) che precede di ca. un secolo la Riforma di Lutero. La norma attuale della lingua ceca si è formata tra la fine del XVIII e la metà del XIX sec. Il ceco standard è parlato raramente, in Boemia si parla uno "ceco comune" basato sostanzialmente sul vernacolare praghese mentre in Moravia (con capoluogo Brno) si parla un'altra variante vernacolare del ceco che in alcuni aspetti s'avvicina allo slovacco. Il ceco ha conservato le sonanti L e R che possono creare sillaba da sole (come in slavo antico). Un altro fonema che crea difficoltà per chi studia ceco e ř, risultato del cosiddetto rotacismo (es.: řeka = река, fiume). Le vocali possono essere brevi o lunghe, quelle lunghe vengono segnate con un accento sulla lettera. Altri fonemi/grafemi caratteristici: ě, č, ň, š, ž e altre. È scritto in caratteri latini; per i fonemi caratteristici si ricorre in via di principio a lettere con segni diacritici e raramente a digrammi, a differenza dal polacco. L'accento tonico e molto debole e cade sulla prima sillaba. È una lingua sintetica, flessiva, conserva i 7 casi protoslavi compreso il vocativo. I tempi verbali sono tre, come in polacco.

Lo slovacco è parlato come madre lingua da ca. 5 milioni di persone ed è la lingua ufficiale della Repubblica Slovacca e della provincia della Vojvodina in Serbia. Lo standard linguistico slovacco inizia a formarsi nel XVIII sec. e viene codificato nella seconda metà del XIX. Nello slovacco parlato si distinguono tre varianti substandard: occidentale, centrale e orientale. Nella lingua standard l'accento cade sempre sulla prima sillaba della parola. Come in ceco, si distinguono vocali lunghe e brevi e L e R possono essere sonanti e creare sillaba da sole (come in slavo antico e in ceco). Lo slovacco è scritto in caratteri latini, la grafia è vicina a quella ceca; le vocali lunghe vanno segnate con un accento sulla lettera. Fonemi/grafemi caratteristici: ä, ȏ. Nel sistema nominale sono conservati 6 casi, il vocativo praticamente è scomparso; si distinguono 12 tipi di declinazione. Nel sistema verbale si distinguono quattro tempi: presente, futuro, perfetto e più che perfetto.

Le lingue lusaziane (spesso dette sorabe, ma anche serbo-lusaziane o venede) sono parlate nella regione storica di Lusazia (Łužica) in Germania da un numero di persone (recentemente stimato complessivamente a ca. 20.000) che va continuamente diminuendo. Trattasi di due lingue strettamente imparentate ma comunque distinte (non sono due dialetti!): lusaziano (sorabo) superiore e inferiore. Sono riconosciute come seconde lingue ufficiali, assieme al tedesco, nella Lusazia che è unità amministrativa in sé. L'Alta Lusazia (al Sud, detta "Alta" perché situata sui Monti Lusatici) appartiene in parte alla Prussia e in parte alla Sassonia, confina con la Polonia all'Est e con la Repubblica Ceca al Sud, il capoluogo è Bautzen (Budyšin in lusaziano superiore). La Bassa Lusazia (al Nord, nella pianura, confina con la Polonia all'Est) è situata in Brandeburgo, il suo capoluogo è Kottbus (Chóśebuz in lusaziano inferiore). Entrambe le lingue lusaziane sono scritte in caratteri latini con uso di segni diacritici. Hanno l'accento sulla prima sillaba della parola. Sono presenti 6 casi (senza forme specifiche per il vocativo) e tre numeri: singolare, duale e plurale. Le prime testimonianze scritte/stampate del lusaziano inferiore risalgono agli anni '40 del XVI sec. e sono legate alla diffusione del protestantesimo luterano. Codificazione letteraria e filologica della lingua: seconda metà del XIX sec.; è relativamente vicina alla lingua polacca; oggi è in via di estinzione. Alcune caratteristiche distintive: 5 tempi verbali: presente, futuro e tre passati; è conservato il supino. Anche le testimonianze più antiche del lusaziano superiore risalgono al XVI sec. (1579) e sono legate alla diffusione del protestantesimo luterano. La lingua letteraria si sviluppa e viene codificata a partire dalla metà del XIX sec.; è relativamente vicina alla lingua ceca; oggi il lusaziano superiore ha un suo posto nella vita sociale dell'Alta Lusazia. Alcune caratteristiche distintive: 6 tempi verbali: presente, futuro e quattro passati.

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La lingua polaba (alcuni studiosi parlano di un insieme di lingue o idiomi) era parlata dagli slavi nell'attuale Germania settentrionale, lungo il fiume Elba (Laba in slavo) e si è estinta nel XVIII sec. Era vicina al polacco e al casciubo, conservava le nasali, l'aoristo e l'imperfetto, non era del tutto scomparso il numero duale. Non aveva una forma scritta, la conosciamo grazie ad alcuni dizionari e registrazioni di testi realizzati tra i secoli XVII e XVIII.

5.2.2 Lingue slave nord-orientali: russo, bielorusso, ucraino, russino.

Le lingue slave nord-orientali derivano dai dialetti anticorussi (o slavi nord-orientali) e la loro interazione con la redazione russa dello slavo antico e poi slavo ecclesiastico. Dopo il XV sec. si vanno a formare la lingua rutena (definita anche "russo occidentale", "bielorusso antico" o "ucraino antico", per i propri parlanti storici: "prosta mova" oppure ruski, cfr. la Biblija ruska di Francysk Skorinà nella parte successiva della Dispensa) nell'ambito dello stato polacco-lituano e la lingua della Russia Moscovita. Le lingue nazionali si sono formate nei secoli XVII-XVIII.

La lingua russa moderna, codificata nelle grammatiche e retoriche della metà del XVIII sec. e formatasi definitivamente nella letteratura russa da A.S. Puškin (1799-1837) in poi, oggi viene parlata come madre lingua da ca. 140 (secondo altre stime ca. 180) milioni di persone e come seconda lingua da altri 110-120 milioni ca. È la lingua ufficiale statale della Federazione Russa, una delle due lingue ufficiali statali della Bielorussia, lingua ufficiale in alcuni altri paesi che facevano parte dell'ex Unione Sovietica, una delle lingue ufficiali dell'ONU e dell'UNESCO. Viene scritta in cirillico; l'alfabeto russo contiene 33 lettere (se viene considerata come lettera autonoma la ë). N.B. Poiché questa dispensa è destinata a studenti-russisti, qui non verranno esposte le principali caratteristiche della lingua russa che loro dovrebbero conoscere in modo molto più dettagliato.

La lingua bielorussa (беларуская мова) contemporanea si è formata verso la fine del XIX sec. principalmente sulla base delle parlate volgari poiché dalla fine del XVII sec. lingua statale nel paese è il polacco, mentre dalla fine del XVIII – il russo. Oggi è la lingua ufficiale statale della Bielorussia (capitale: Minsk) ed è la madre lingua di ca. 7-8 milioni di persone. È scritta in cirillico, composto da 32 lettere tra le quali i grafemi caratteristici i, ё, ў; rispetto al russo mancano щ e ъ. È in uso anche una versione bielorussa dell'alfabeto latino (con segni diacritici) denominata "łacinka". La caratteristica più distintiva della fonetica bielorussa sono le consonanti molli з', с', ц', дз' e la semivocale bilabiale ў (in fine parola la в non viene pronunciata come ф, ma come ў appunto). A differenza dal russo sono ampiamente presenti i risultati della seconda palatalizzazione (v.) delle consonanti velari (к, г, х > ц, з, с). Le consonanti possono essere lunghe e allora si scrivono con il grafema doppio. Il passaggio O>A in posizione atona, caratteristico anche per il russo, è codificato nell'ortografia. Nella morfologia il bielorusso è abbastanza vicino alle altre lingue slave nord-orientali: nel sistema nominale vi sono 6 casi, 3 generi e 2 numeri. Nel sistema verbale sono presenti l'infinito, un unico tempo passato, futuro semplice dai verbi perfettivi e futuro composto dai verbi imperfettivi. La lingua ucraina condivide con quella bielorussa lo sviluppo storico nei secoli XVI-XVIII, tenendo conto che dalla metà del XVII sec. le terre ucraine fanno parte dell'Impero Russo. La lingua ucraina contemporanea si è formata nel corso del XIX sec.; nel processo della sua codificazione hanno avuto un ruolo importante l'opera del poeta Taras Ševčenko (1814-1861) e del filologo e scrittore Ivan Franko (1856-1916). La lingua ucraina oggigiorno è parlata da ca. 36 milioni di persone ed è la lingua ufficiale statale dell'Ucraina (capitale: Kiev, in ucraino Київ). È scritta in cirillico ucraino composto da 33 lettere, ma (come in bielorusso) esiste anche una versione ucraina dell'alfabeto latino, detta "latynka". Grafemi caratteristici: ґ, є, ї. L'ucraino, a differenza di russo e bielorusso, non conosce il passaggio O>A in posizione atona. In certe posizioni, invece, vi è il passaggio di O e di E etimologici in I (per es. кот>кіт). Dopo ж, ч, ш e [j] E>O indipendentemente dalla posizione dell'accento. L'accento e libero come in russo e bielorusso. L'ucraino, come le altre lingue slave nord-orientali, è una lingua sintetica. Sono conservati tutti i 7 casi, compreso il vocativo. Una caratteristica specifica è la presenza di nomi con doppio genere; alcuni sostantivi possiedono forme addirittura per tutti e tre generi (per es. перл/перла/перло = perla). Nel sistema verbale è conservata desinenza protoslava/paleoslava dell'infinito (-ти); il passato è unico ma si

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distinguono bene funzionalmente le forme dei verbi perfettivi da quelle dei verbi imperfettivi; il futoro è come in russo e bielorusso, però sono presenti anche forme sintetiche per il futuro dei verbi imperfettivi (infinito+suffisso -m- + vocali tematiche –u- oppure -e- + desinenze di persona: per es. писатиму, писатимеш, писатиме; писатимемо, мисатимете, писатимуть). Vi sono anche forme specifiche per il condizionale passato. La lingua russina è la lingua parlata dalle minoranze russine in Ucraina, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Austria, Romania, Serbia e Croazia per un totale di 600.000 persone ca. Le minoranze etnolinguistiche russine sono riconosciute in tutti questi paesi eccetto l'Ucraina dove ufficialmente non è riconosciuta l'esistenza di tale minoranza e i russini sono considerati ucraini della Transcarpazia, mentre in Russia spesso li considerano russi della Transcarpazia. In Slovacchia, invece, il russino spesso è visto come un dialetto slovacco quando in realtà si tratta di una slovacchizzazione secondaria delle parlate russine in Slovacchia. In realtà, le parlate russine, fortemente imparentate con quelle ucraine, sono nord-orientali nella loro base, ma hanno subito diverse influenze a seconda della loro convivenza con altri gruppi etnolinguistici slavi: sia nord-occidentali (polacchi, slovacchi), sia sud-occidentali (serbo-croati). Laddove il russino esiste in forma scritta (in cirillico) rispecchia le particolarità degli usi dialettali locali, perciò è praticamente impossibile proporre una sua descrizione unificata. Il russino è una delle lingue ufficiali della provincia autonoma della Voivodina in Serbia dove vive una ben consolidata comunità di russini; nel 1995 venne riconosciuto come lingua minoritaria in Slovacchia, godendo dello status di lingua ufficiale nei distretti con più del 20% degli abitanti che parlino russino. Curiosità: In Polonia (e non solo) i russini sono chiamati Lemky (Лемкы) e la zona dei Carpazi occidentali, dove abitano, si chiama Lemkovyna. Era lemko, cioè di origini russine, Andy Warhol (nato Andrew Warhola, figlio di Ondrej Warhola e Júlia Justína Zavacká, emigrati negli USA da un paesino dell'attuale Slovacchia nord-orientale), figura di spicco del movimento della Pop art e uno dei più influenti artisti del XX sec.

5.2.3. Lingue slave sud-occidentali: sloveno, standard nazionali nella zona serbo-croata.

La lingua slovena oggi è parlata come lingua madre da ca. 2 milioni di persone in Slovenia, dov'è la lingua ufficiale statale, e da minoranze slovene nei paesi confinanti: Italia, Austria, Croazia e Ungheria. È basata su dialetti, assai differenti tra di loro, le testimonianze scritte di alcuni dei quali risalgono ai secoli X-XI (i Frammenti di Frisinga) e XIV-XV. Fino alla metà del sec. XVI le principali lingue della cultura sono il latino e il tedesco, la formazione di una lingua slovena scritta risale all'epoca della Riforma ma lo standard attuale viene codificato verso la metà del XIX sec. sulla base dei dialetti centrali (della capitale Lubiana e dintorni). Come lingua slava sud-occidentale è più vicina al croato, ma condivide alcune caratteristiche anche con le lingue slave nord-occidentali. È scritto in caratteri latini (25 lettere) con uso di segni diacritici per č, š, ž. L'accento è libero e mobile, di norma dinamico ma in alcuni dialetti vi è un accento musicale. Lo sloveno ha conservato il numero duale solo nel nominativo/accusativo e dativo/strumentale, mentre nel genitivo e locativo si usano solo singolare e plurale. I casi sono 6, mancano forme specifiche per il vocativo (si usano quelle nominative). Gli aggettivi conservano parzialmente l'opposizione protoslava/paleoslava tra forme indefinite (i vecchi aggettivi di forma breve) e forme definite (lunghe). I tempi verbali sono principalmente tre, presente, passato e futuro composto, ma nella parlata di alcuni portatori dello sloveno standard è ancora in uso anche il più che perfetto. In Italia, in Friuli-Venezia Giulia, vi sono più di 50.000 persone di madre lingua slovena; un caso particolare è il resiano che linguisticamente è un dialetto sloveno, parlato nella Val Resia, i cui portatori però si distinguono per un'identità forte, distinta da quella slovena, per via dello storico isolamento dal mondo sloveno. In Italia esiste una Legge di tutela della minoranza slovena (legge 38/2001).

Nella vasta area delle parlate serbo-croate storicamente sono esistite due principali tradizioni linguistico-culturali, abbastanza distinte: quella croata, legata alla cultura latina e poi italiana, cattolica e in parte rinascimentale, e quella serba o serbo-bosniaco-montenegrina, nel Medioevo parte della Slavia ortodossa. Nella parte croata e cattolica i modelli linguistico-culturali venivano da Roma e Venezia, le traduzioni dei testi ecclesiastici e letterari si facevano prevalentemente dal latino e dall'italiano; gli alfabeti in uso erano il glagolitico (soprattutto in Dalmazia) e il latino, il cirillico era sistematicamente

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usato solo nella repubblica di Dubrovnik/Ragusa. Nella parte ortodossa, invece, serbi, bosniaci e montenegrini si servivano dello slavo antico nella sua redazione serba con varianti locali, i testi venivano tradotti quasi esclusivamente dal greco e scritti in cirillico. Il Regno di Croazia, esistito dal 925, nel 1102 fu annesso al Regno di Ungheria (che aveva pretese anche sui territori bosniaci) e dal 1603 entrò a far parte dell'Impero Asburgico (fino al 1918); la parte di Dalmazia con al centro la città di Dubrovnik (Ragusa), invece, dal X sec. al 1808 è stata una repubblica marinara la cui cultura si è sviluppata sotto una forte influenza veneziana. A partire dai sec. XV i territori serbi, bosniaci e montenegrini, come il resto dei Balcani, furono occupati dall'Impero Ottomano (in Bosnia vi fu anche una conversione di massa all'islam) e in gran parte rimasero suoi sudditi fino alla metà del XIX sec., salvo alcune zone annesse all'Impero Asburgico. Nella seconda metà del XIX sec. viene elaborata una norma comune del serbo con un preciso sistema di traslitterazione del cirillico in caratteri latini e viceversa. Nel 1918, dopo la fine della Prima guerra mondiale e la disgregazione degli imperi, venne fondato il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (che includeva anche una parte della Macedonia), nel 1929 ribattezzato in Regno di Jugoslavia. Dopo la Seconda guerra mondiale fu istituita la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, nel 1963 ribattezzata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia (СФРЮ), ed esistita fino ai primi anni '90 del XX secolo, quando la federazione si è disgregata. La federazione jugoslava univa 6 repubbliche: Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia; all'interno della Republica Socialista di Serbia vi erano due regioni autonome: Kosovo e Vojvodina; erano ufficiali tre lingue: sloveno (v. sopra), macedone (v. più avanti) e serbocroato oppure croato-serbo, la cui norma ammetteva alcune diversità di pronuncia nelle diverse zone di applicazione e veniva scritto in caratteri sia cirillici, sia latini con segni diacritici. Dopo la disgregazione della federazione ciascuno dei nuovi stati nazionali indipendenti proclamò nella propria costituzione l'uso della rispettiva lingua (sarebbe meglio parlare di norma linguistica o di standard) nazionale: bosniaco, croato, montenegrino (staccatosi per ultimo dall'ex-serbocroato) e serbo. Nel catalogo internazionale di tutte le lingue e idiomi nel mondo, 'ISO 639-3 (ultima versione, pubblicata nel 2007), la situazione linguistica nell'ex Jugoslavia è presentata così:

Serbo-Croatian is a macrolanguage. Identifier code: hbs. Reference Name: Serbo-Croatian. Individual Languages: Bosnian, Croatian, Serbian, Montenegrin.

Macrolanguage Identifier

Macrolanguage Name Individual Language Identifier

Individual Language Name

hbs Serbo-Croatian bos Bosnian

hbs Serbo-Croatian cnr Montenegrin

hbs Serbo-Croatian hrv Croatian

hbs Serbo-Croatian srp Serbian

Fonte: <https://iso639-3.sil.org/code_tables/macrolanguage_mappings/data?name=&name_1=serbo-croatian>

In Wikipedia, invece, il montenegrino, per esempio, è presentato ccosì:

« La lingua montenegrina (in montenegrino crnogorski jezik o црногорски језик) è un varietà standard della lingua serbo-croata, lingua ufficiale in Montenegro. Tassonomia: Lingue indoeuropee à Lingue slave à Lingue slave meridionali à Lingue slave sud-occidentali à Lingua serbo-croata à Standard montenegrino.» La macrolingua serbo-croata, dunque, è una lingua sintetica, sono conservati tutti i 7 casi protoslavi/paleoslavi, l'infinito in via di principio si conserva, ma nei dialetti orientali può essere sostituito

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da costruzioni analitiche con la particella "da" e forme personali del verbo (come in bulgaro e macedone); in teoria sono conservati tutti i tempi passati paleoslavi, però l'imperfetto e il più che perfetto attualmente non sono in uso attivo; vi è la tendenza di creare le forme dell'aoristo da verbi perfettivi. Esistono due tempi futuri: Futuro 1° (quello solito) che ha sia forme semplici, sia forme composte, e Futuro 2° (futuro anteriore). Si distinguono 4 tipi di accento: breve discendente, lungo discendente, breve ascendente e lungo ascendente. È conservata la R̥ sonante (cfr. врх, russo верх, bulgro връх), mentre la L̥ sonante è passata in u (сунце, russo солнце, bulgaro слънце). Vi sono dei fonemi palatali per i quali esistono grafemi specifici: љ, њ, ћ, ђ (in caratteri latini lj, nj, ć, đ), cfr. љубав, russo любовь, bulgaro любов. Nelle forme maschili del partecipio passato la L finale è passata in O: писао, писала, писало, cfr. russo e bulgaro писал, писала, писало. L'ortografia del serbocroato è fonematica, rispecchia i cambiamenti fonetici. In Serbia tradizionalmente si usa l'alfabeto cirillico ma è conosciuto e a volte usato, anche nella prassi editoriale, quello latino che invece e tradizionale per la Croazia; la Bosnia ha una antica tradizione cirillica (esiste anche un tipo di scrittura cirillica medioevale chiamato "bosànčica") ma oggi lo standard bosniaco prevede l'uso dei caratteri latini; in Montenegro, dove nel 1494 fu stampato il primo libro cirillico nei Balcani, sono ufficiali entrambi gli alfabeti ma recentemente prevale l'uso di quello latino con segni diacritici. Il numero dei parlanti i vari standard della macrolingua serbocroata supera 15 milioni.

Curiosità:

Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria, 30 marzo 2017: «Presentata a Sarajevo la “Dichiarazione sull'unitarietà” della lingua parlata in Croazia, Serbia, Bosnia- Erzegovina e Montenegro, sottoscritta da più di 200 linguisti ed intellettuali dei quattro paesi ex-jugoslavi. Le quattro lingue parlate in Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro, e definite “serbo-croato” o “croato-serbo” fino allo smembramento della Federazione jugoslava, dal punto di vista linguistico rappresentano un'unica lingua, unitaria anche se “policentrica”. Questa la tesi della “Dichiarazione sull'unitarietà della lingua” presentata oggi a Sarajevo e frutto del lavoro e di duecento linguisti, intellettuali e figure pubbliche di spicco dei quattro paesi interessati. Secondo gli autori, le differenze di lessico e ortografia nelle varie versioni della “lingua unica” che si parla nello spazio ex-jugoslavo, sono state esagerate ed utilizzate dalle ideologie nazionaliste che hanno contribuito allo sfascio della Jugoslavia e alla nascita di vari stati indipendenti sulle rovine della federazione di Tito. “Un narcisismo delle piccole sfumature” che ha avuto conseguenze pesanti, dalla ghettizzazione dei “diversi” sulla base di differenze nell'uso della lingua, al blocco del normale sviluppo letterario e stilistico della “lingua contesa”. Ma anche sbocchi comici e paradossali, come la sottotitotolazione di film già totalmente comprensibili al pubblico interessato. Vista la sensibilità dell'argomento nel contesto ex-jugoslavo, la “Dichiarazione” ha provocato polemiche soprattutto in Croazia, il paese che - più degli altri – ha posto l'“unicità e diversità” del croato come pilastro della propria identità culturale e statuale.»

5.2.4. Lingue slave sud-orientali: bulgaro e macedone.

La parte orientale dei Balcani slavi, similmente a quella serbo-croata, presenta una area linguistica in sé tradizionalmente conosciuta come bulgara. Negli anni '80 del IX secolo qui viene trasferita e in qualche modo rifondata la tradizione cirillo-metodiana, viene creato l'alfabeto cirillico (fine IX-inizio X sec.) e, nell'ambito del Primo Impero Bulgaro viene sviluppata un'attività letteraria che diventa la base della futura comunità linguistico-letteraria detta Slavia ortodossa (si vedano i §§ 4.1 e 4.2.). Le successive "redazioni" dello slavo antico si sono formate sulla base della norma linguistica anticobulgara, conosciuta dai manoscritti del cosiddetto "Canone paleoslavo", glagolitici e cirillici, scritti tra la metà del X e l'inizio del XII sec. Per questa ragione negli studi bulgaristici questa norma linguistica viene chiamata "bulgaro

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antico" e si ritiene che grosso modo coincidesse con la koinè bulgara parlata all'epoca e chiamata "bulgaro antico". Tra la fine dell'XI e l'inizio del XII sec. si forma la redazione mediobulgara del paleoslavo/anticobulgaro (presente in più varianti ortografiche nei manoscritti) che rispecchia alcuni processi caratteristici delle parlate della zona: confusione tra le nasali ѫ e ѧ e il loro successivo passaggio in Ъ ed Е, confusione tra le vocali Ъ e Ь ecc. (si vedano gli Appunti di . grammatica paleoslava, p. 5). Dall'inizio del XV sec. (quando tutto il territorio in questione era già sotto il dominio turco) sono testimoniate in testi scritti (non ecclesiastici) alcune delle principali caratteristiche del bulgaro moderno, mentre le prime testimonianze scritte delle parlate macedoni si possono rintracciare in manoscritti dei secoli XVI-XVII. Lo sviluppo della lingua scritta nell'area continuava comunque a essere comune e la (in)comprensione tra i parlanti non superava le normali differenze dialettali. Verso la metà del XIX sec. venne codificato lo standard della lingua bulgara contemporanea basato sulle parlate del gruppo orientale (dove l'antica ѣ ha un riflesso doppio, alternativo: Я/Е (cfr. бял/бели, bianco/bianchi, mentre nelle parlate occidentali è sempre E: бел/бели). La liberazione della Bulgaria nel 1878 e la creazione di uno Stato bulgaro inizialmente autonomo e dal 1908 indipendente, mentre i territori macedoni fino alle guerre balcaniche 1912-1913 e la Prima guerra mondiale rimasero sotto l'Impero Ottomano, creò i presupposti per la formazione di una autocoscienza etnolinguistica macedone. Tra gli anni '90 del XIX sec. e il primo decennio del XX sec. comparvero delle pubblicazioni nelle quali per la prima volta s'affermava che parti delle parlate bulgare occidentali rappresenterebbero una lingua diversa, macedone appunto. Nel 1903 Krste Misirkov, nato nel 1874 nella Macedonia greca (allora ancora sotto il dominio ottomano), pubblicò a Sofia un libro intitolato "Sulle vicende macedoni" (За македонцките работи, v. foto) nel quale affermava la necessità della creazione di una lingua macedone letteraria standard a partire dai dialetti centrali della Macedonia, che avrebbe usato un'ortografia fonemica.

L'idea fu realizzata soltanto dopo la Seconda guerra mondiale con la formazione, nel seno della Federazione Jugoslava (v. sopra), della Repubblica Popolare di Macedonia con il macedone come lingua ufficiale, la cui prima grammatica fu pubblicata nel 1946 (autore: Krume Kepeski, v. foto). Nel 1945, invece, in Bulgaria fu introdotta la nuova ortografia, usata fino ad oggi (furono eliminate le lettere ѫ e ѣ, ridotto e regolato in modo novo l'uso della ъ). Oggi in Bulgaria lo standard macedone è considerato "norma letteraria macedone della lingua bulgara".

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Il bulgaro e il macedone si distinguono da tutte le altre lingue slave per i loro compiuto sviluppo verso l'analitismo. La flessione casuale è scomparsa (residui di accusativo e dativo si osservano solo nel sistema dei pronomi personali), è conservata solo la forma vocativa; al posto dell'infinito si usano forme personali dei verbi precedute dalla particella "да". Si è sviluppato, sulla base dei pronomi dimostrativi, l'articolo determinativo (aggiunto alla fine della parola) che nello standard macedone ha forme variabili a seconda della posizione dell'oggetto: non specifica, prossimo (o vicino) e distante (o lontano) – cfr. le tre forme del pronome dimostrativo nel paleoslavo (i tre tipi dell'articolo determinativo esistono anche in alcuni dialetti bulgari meridionali e occidentali). Solo nel macedone esistono forme verbali composte anche con verbo ausiliare имам (avere), mentre in bulgaro si usa come ausiliare solo съм/бъда (essere): con "avere" si creano le forme del nuovo perfetto mentre quello tradizionale usa il verbo "essere". Nello standard macedone l'accento è stato stabilito sulla terzultima sillaba nelle parole trisillabe, nella prima sillaba nelle parole mono- e bi-sillabe, mentre in bulgaro e libero e mobile (come, per esempio, in russo). In entrambi gli standart esistono i seguenti tempi verbali: presente, futuro, futuro anteriore (entrambi i futuri sono composti), aoristo, imperfetto, perfetto, più che perfetto, futuro nel passato (funzionalmente equivale a condizionale passato); solo in bulgaro si usa anche futuro anteriore nel passato. Entrambe le lingue si scrivono in cirillico che presenta alcune differenze dovute a diversità fonetiche (si veda il file "Grafemi cirillici breve" sul sito del docente/"Materiali didattici").

6. La stampa cirillica; la riforma petrina, le ulteriori riforme dell’alfabeto cirillico moderno e la questione della sua traslitterazione Sul tema si veda la presentazione PowerPoint disponibile per essere copiata su pen-drive ma non sul sito del docente per via del suo peso eccessivo.

Sulla traslitterazione scientifica del cirillico, obbligatoria per le tesi di laurea e per le pubblicazioni di carattere filologico, si veda la seguente tabella presente su Internet: https://it.wikipedia.org/wiki/Traslitterazione_scientifica_del_cirillico (ultima consultazione: 4.05.2018). + + + + + Bibliografia citata nella dispensa ma non indicata per gli studenti:

Carbajosa 2013 Carbajosa I., «Ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza» (Sap. 8,2). La bellezza della sapienza nella Bibbia. – A. Rovetta, M. Desjatova (a cura di), Il destino della Bellezza. La Bellezza nella prospettiva delle scienze umanistiche. Ed. Pagina, Bari 2013, 111-121.

Danti 1981 Danti A., L'itinerario spirituale di un santo: dalla saggezza alla Sapienza. Note sul cap. III della Vita Constantini. – AA. VV., Константин-Кирил Философ. Материали..., София 1981, 37-58.

Gălăbov 1980: Гълъбов И., Старобългарски език с увод в славянското езикознание. 1. Увод и фонетика. София 1980.

Ivanov 1965: Иванов Й., Сарацинска (арабска) мисия на Кирил Философ. – Известия на Института за литература при БАН, 16, 1965, 91-104 (= Иванов Й., Избрани произведения, т. І, София 1982, 23-39).

Morabito 2001: Morabito R., Tradizione e innovazione linguistica nella cultura serba del XVIII secolo, Cassino 2001.