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Gli obiettivi di questo modulo possono essere così riassunti:

• Riconoscere quando evitare i chelanti del P a base di calcio

• Ottimizzare il trattamento dell’iperfosforemia: dati sperimentali

• Ottimizzare il trattamento dell’iperfosforemia nei pazienti con CKD

• Ottimizzare il trattamento dell’iperfosforemia nei pazienti in dialisi

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Il paziente con IRC avanzata sviluppa iperfosforemia. Tale alterazione biochimica è al centro di una serie di conseguenze dannose per il soggetto, se i livelli di fosforo non vengono adeguatamente controllati.

È noto da diversi anni come il fosforo elevato induca direttamente patologia scheletrica e iperplasia paratiroidea, con iperparatiroidismo secondario. È invece una nozione più recente il fatto che l’iperfosforemia sia associata a un declino più rapido della funzione renale, e soprattutto a un rischio aumentato di patologia cardiovascolare e di calcificazioni vascolari. Ne deriva che i livelli elevati di fosforo si associano ad aumentata mortalità nei pazienti in dialisi.

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I chelanti del fosforo attualmente disponibili sono idrossido di alluminio (Al), salidi calcio (carbonato e acetato), sevelamer e lantanio (La).

In questa tabella vengono riassunte le caratteristiche principali di ognuno diquesti principi attivi.

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L’idrossido di alluminio è uno dei chelanti di prima generazione che presenta le seguenti caratteristiche:

1. Efficacia: è un chelante del P altamente efficace a livello intestinale

2. Dipendenza dal pH intestinale: funziona bene a tutti i pH dell’ambiente gastro-intestinale

3. Assorbimento sistemico: è altamente assorbito

4. Tossicità: è tossico a diversi livelli (osseo, midollare e del SNC)

5. Compliance: molto buona, perché disponibile anche in formulazione di sciroppo, più gradita ai pazienti rispetto alle compresse

6. Costo: assai ridotto

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I sali di calcio (acetato e carbonato) sono tuttora tra i chelanti del fosforo più utilizzati, con le seguenti caratteristiche:

1. Efficacia: sono chelanti del P altamente efficaci a livello intestinale

2. Dipendenza dal pH intestinale: funzionano bene solo a determinati pH dell’ambiente gastro-intestinale

3. Assorbimento sistemico: sono assorbiti

4. Tossicità: sono tossici per aumento della deposizione di calcio-fosfato a livello vascolare

5. Compliance: buona, anche se può dare effetti indesiderati a livello gastroenterico (stipsi)

6. Costo: assai ridotto

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Per i chelanti a base di Ca, la quantità di Ca elementare fornita per grammo di prodotto è nettamente differente, per cui somministrare 1 g di carbonato di calcio è diverso da somministrare 1 g di calcio acetato.

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Sevelamer è stato il primo chelante del fosforo non contenente calcio né alluminio, con le seguenti caratteristiche:

1. Efficacia: è un chelante del P moderatamente efficace a livello intestinale, perché come resina lega anche i lipidi, l’acido urico e le endotossine, favorendone un cosiddetto effetto pleiotropico

2. Dipendenza dal pH intestinale: funziona bene solo a determinati pH dell’ambiente gastro-intestinale

3. Assorbimento sistemico: non è assorbito

4. Tossicità: non è tossico

5. Compliance: moderata/buona, per il numero elevato di compresse necessarie (6-8 al giorno)

6. Costo: assai elevato

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La terapia di prima generazione delle alterazioni della sindrome CKD-MBD (chronic kidney disease - mineral bone disorder) era rappresentata dai chelanti del fosforo a base di calcio (sali calcici a base di carbonato di calcio o calcio acetato) per il controllo dell’iperfosforemia e da calcitriolo come forma di vitamina D attiva per il controllo dei livelli di PTH (paratormone).

Purtroppo, questo cocktail pro-calcificante è concausa di patologia cardiovascolare nei soggetti in dialisi, provocando aumenti dei valori del prodotto calcio-fosforo e del rischio di calcificazioni extrascheletriche.

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Il fatto che il carbonato di calcio ad alte dosi sia causa di patologia è noto da alcuni decenni (Clarkson et al., Clin Science 1966;30:425-38).

Infatti, i sali di calcio assunti ad alte dosi per via orale e assorbiti per via intestinale possono determinare calcificazione di tessuti molli nei soggetti con malattia renale cronica, ma anche con funzione renale normale. Una delle sedi maggiormente colpite è il rene stesso, con calcificazioni tubulari e peggioramento della funzione renale.

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Ecco perché la ricerca in questo campo ha portato alla scoperta di nuovi farmaci chelanti del fosforo privi di calcio e di alluminio, quali sevelamer HCl e carbonato di lantanio, per poter controllare in maniera efficace il fosforo senza dare calcio al paziente.

Inoltre, gli analoghi della vitamina D (paracalcitolo) e i calcio-mimetici (cinacalcet) sono farmaci importanti per il controllo del PTH, con minor effetto sui livelli di fosforo nei pazienti in dialisi.

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In un recente articolo pubblicato su NEJM, Marcello Tonelli e coll. hanno elegantemente analizzato i chelanti del fosforo per i pazienti con insufficienza renale. Tra le conclusioni, gli Autori suggeriscono che sevelamer e il lantanio sono chelanti promettenti, ma la loro superiorità rispetto ai chelanti a base di calcio non è stata dimostrata.

Inoltre, i nuovi chelanti sono costosi e associati a maggiore frequenza di eventi avversi. Detto questo, gli Autori concludono che sevelamer e lantanio non possono essere raccomandati come prima scelta per la terapia dell’iperfosforemianel paziente in dialisi.

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Possiamo essere in disaccordo con alcune di queste affermazioni, basandoci su dati presenti in letteratura.

Innanzitutto, l’uso dei chelanti a base di calcio dovrebbe essere ridotto al minimo nei pazienti con episodi di ipercalcemia e calcificazioni vascolari, fenomeni proinfiammatori, dislipidemia e/o diabete mellito.

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In questa slide sono elencate le situazioni nelle quali è consigliabile evitare l’assunzione del calcio come chelante del fosforo nel paziente dializzato.

I pazienti più anziani hanno un rischio maggiore di sviluppare aterosclerosi, calcificazioni vascolari e patologia cardio-vascolare.

I soggetti maschi hanno un rischio cardiovascolare maggiore. Le donne sono protette da tale rischio fino alla menopausa.

I soggetti diabetici se trattati con chelanti a base di calcio raddoppiano il rischio di progressione delle calcificazioni vascolari.

I pazienti in dialisi con malattia dell’osso adinamico mostrano un peggioramento del quadro clinico dovuto a una soppressione maggiore del PTH.

Per i pazienti con calcificazioni vascolari e/o valvolari è opportuno evitare di far progredire tale processo con ulteriore “calcio”.

La microinfiammazione predispone alle calcificazioni vascolari.

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Iniziamo ad analizzare alcuni dati importanti derivanti dal laboratorio.

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L’iperfosforemia causa direttamente iperparatiroidismo secondario, indipendentemente da calcio e vitamina D, attraverso due potenziali meccanismi:

1) elevati livelli di fosforo aumentano la sintesi di PTH nel nucleo della cellula paratiroidea;

2) elevati livelli di fosforo causano iperplasia ghiandolare paratiroidea e di conseguenza aumento del PTH.

È importante sapere che ciò avviene per un meccanismo diretto che non dipende dalle variazione ematiche di calcio e di vitamina D.

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In questo disegno vengono rappresentati diversi attori coinvolti nella patogenesi dell’iperparatiroidismo secondario.

Ratti uremici nutriti con una dieta a basso contenuto di fosforo non sviluppano iperplasia paratiroidea e aumentata sintesi di PTH, per un’inibizione diretta intracellulare.

I meccanismi coinvolti nella patogenesi dell’iperplasia paratiroidea sono molteplici: la downregulation dell’espressione del recettore del calcio (CaSR), la downregulation dell’espressione del recettore della vitamina D (VDR), l’attivazione nucleare della ciclina D1, la downregulation nucleare di p21 e p27 (quali proteine inibitrici il ciclo cellulare) e l’aumentata espressione di transforming growth factor (TGFalpha).

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In corso di insufficienza renale cronica si assiste a una downregulation della stabilità del PTH mRNA, che può essere regolata dal carbonato di lantanio come chelante del fosforo.

1) La CKD induce iperfosforemia e pertanto aumenta l’espressione del gene del PTH nel tempo. In ratti con iperfosforemia trattati con carbonato di lantanio è stata registrata una riduzione della sintesi di PTH.

2) In percentuale di espressione rispetto al controllo (100%), la CKD aumenta di circa 6 volte il PTH mRNA. Il carbonato di lantanio riporta la sintesi di PTH a livelli simili alla normalità.

3) La regione nucleare delle cellule paratiroidee a essere influenzata dal fosforo è la 5’-UTR. In questo sito, il lantanio previene l’upregulation del PTH mRNA.

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Inoltre, è noto come il fosforo possa direttamente entrare nella cellula muscolare liscia vascolare e causare calcificazione vascolare e trasformazione osteoblastica. Il fosforo, attraverso il cotrasportatore sodio-fosfato, entra nelle cellule e manda un segnale al nucleo per attivare la sintesi di geni che normalmente sono coinvolti nella sintesi e produzione di osteoblasti per la formazione di matrice ossea.

Tra tutti, è stato riconosciuto un ruolo chiave al core-binding factor alpha 1(CBFA1), un fattore di trascrizione che permette alle cellule vascolari di cambiare il fenotipo in osteoblasti attraverso la sintesi di bone matrix protein, quali l’osteonectina, l’osteopontina, l’osteoprotegerina, ecc. Questa trasformazione attiva porta a una mineralizzazione della matrice extracellulare.

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L’acido fosfonoformico (PFA) protegge dalla calcificazione vascolare. Cellule muscolari lisce vascolari sono state incubate per 10 giorni in un medium di calcificazione con acido ascorbico e concentrazioni elevate di fosforo in presenza o assenza di 1 mM di PFA. La deposizione di calcio è stata misurata e normalizzata per il contenuto proteico cellulare. L’inibizione indotta da PFA della deposizione di calcio è risultata statisticamente significativa (*p <0,01). I dati sono illustrati come media ± errore standard.

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Cellule muscolari lisce vascolari sono state incubate con fosforo a 5 mM con concentrazioni crescenti di lantanio. La deposizione di calcio è stata misurata e normalizzata per il contenuto proteico cellulare. La presenza di lantanio inibisce in maniera significativa le calcificazioni vascolari indotte dal fosforo elevato, in maniera dose-dipendente (*p <0,01). I dati vengono illustrati come media ±errore standard per 5 diversi esperimenti.

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In corso di insufficienza renale l’iperfosforemia causa aumento dei depositi arteriosi di calcio. Il carbonato di lantanio al 2% riduce la precipitazione di calcio a livello arterioso, inoltre previene la calcificazione della tunica media arteriosa, attraverso una riduzione dell’espressione del CBFA1.

La calcifilassi è una conseguenza drammatica delle calcificazioni vascolari da iperfosforemia nel dializzato. In questo studio clinico è possibile osservare un processo di calcifilassi a livello di un arto inferiore. Dopo 2 mesi di trattamento combinato con carbonato di lantanio e dialisi intensiva si è assistito a una significativa guarigione della ferita da calcifilassi con una semplice ulcera superficiale.

L’effetto del lantanio sulla calcifilassi è dovuto alla riduzione del fosforo sierico, che provoca un netto miglioramento del quadro clinico: minor infiammazione e deposito di calcio.

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Passiamo dal laboratorio al paziente con malattia renale cronica in fase conservativa non in dialisi.

In tale fase è importante ricordare che i livelli di fosforo diventano >4,2 mg/dl (soglia di normalità) quando la velocità di filtrazione glomerulare (GFR) si riduce al di sotto di 25 ml/min/1.73 m2. Infatti, i pazienti sono protetti dall’iperfosforemia fino a questo livello di malattia renale cronica da ormoni fosfaturici (PTH e fibroblast growth factor 23, FGF23) che aumentano l’escrezione urinaria del fosforo assunto con la dieta, senza aumentare la fosforemia. Poi è necessario somministrare i chelanti del fosforo.

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L’efficacia e la sicurezza del carbonato di lantanio è stata studiata in pazienti con CKD in stadio 3 e 4, poiché mancano dati a riguardo dell’uso di chelanti del fosforo in questa popolazione.

Sono stati arruolati i pazienti con P >1,49 mmol/L, per raggiungere un obiettivo di P <1,29 mmol/L. Ottanta pazienti hanno ricevuto carbonato di lantanio e 41 placebo. Lo studio è stato completato da 71 pazienti in totale.

Al basale i livelli di P erano 1,71±0,03 mmol/L (carbonato di lantanio) e 1,74±0,04 mmol/L (placebo), con una percentuale simile di pazienti (80%) naïveper chelanti del fosforo.

Dopo 8 settimane di trattamento, la maggior parte dei pazienti trattati con carbonato di lantanio aveva livelli di P controllati rispetto al placebo (differenza 0,12 mmol/L, p = 0,02), con consensuale riduzione del PTH.

La terapia con carbonato di lantanio è stata ben tollerata.

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Il deficit di vitamina D è definito come riduzione dei livelli di 25-idrossivitamina D (25-OH D, calcidiolo) <75 nmol/L insieme a una riduzione dell’attività dell’enzima 1-alpha idrossilasi nel rene. Questo contribuisce a riduzioni dei livelli della forma attiva di vitamina D, 1,25-diidrossivitamina D (1,25-[OH]2 D, calcitriolo).

Pertanto i pazienti con CKD necessitano di terapia con vitamina D, che non è esente da effetti collaterali, come l’ipercalcemia soprattutto nei pazienti in terapia chelante del fosforo con sali di calcio.

In questo studio si è analizzato l’effetto dell’assunzione di carbonato di lantanio in pazienti con CKD allo stadio 3 e 4 sui livelli e sulla biodisponibilità di vitamina D.

Pazienti con P >1,49 mmol/L sono stati trattati con carbonato di lantanio o placebo per raggiungere livelli di P <1,29 mmol/L.

Trentatre pazienti (carbonato di lantanio = 17, placebo = 16) sono stati arruolati per essere trattati con ergocalciferolo (n = 13), calcitriolo (n = 9), doxercalciferolo (n = 6) o paricalcitolo (n = 5).

Il carbonato di lantanio non altera i livelli di 25-OH D o 1,25-(OH)2 D nei pazienti con CKD in stadio 3 e 4.

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Che cosa fare nel paziente in dialisi?

Il compito fondamentale del chelante del fosforo è quello di legare a livello gastro-intestinale il fosforo introdotto con la dieta, impedendone l’assorbimento; per essere il chelante ideale dovrebbe al contempo essere scevro di effetti collaterali, facilmente accettabile dal paziente in quanto a modalità di assunzione e risultare poco costoso.

Attualmente i chelanti presenti in commercio in Italia si dividono in chelanti contenenti alluminio (idrossidi di alluminio e di magnesio), chelanti a base di calcio (calcio acetato e carbonato di calcio), chelanti calcium-free (sevelamer carbonato e acetato, carbonato di lantanio).

Le linee guida KDOQI consigliano la riduzione dell’utilizzo dei chelanti calcici per ridurre lo sviluppo di calcificazioni e promuovono invece l’utilizzo di sevelamer e carbonato di lantanio; l’utilizzo di idrossido di alluminio è altamente sconsigliato alla luce degli effetti collaterali possibili.

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Questa slide mostra un’analisi ad interim di uno studio di fase 3 (intent-to-treat, n = 359) che ha valutato l’efficacia del carbonato di lantanio in pazienti iperfosforemici trattati precedentemente con un diverso chelante.

Il 41% dei pazienti era in terapia con 2 o più chelanti del fosforo allo screening (sevelamer + carbonato di calcio +/- idrossido di alluminio).

Allo screening nel 35% dei pazienti la fosforemia risultava controllata come da linee guida (KDOQI) con la precedente terapia chelante.

Dopo 2-3 settimane di wash-out il 92% dei pazienti mostrava valori di P >5,5 mg/dl.

Dopo 3 settimane di terapia con carbonato di lantanio il 39% dei pazienti era in target.

Dopo 5 settimane di terapia con carbonato di lantanio il 44% dei pazienti era in target

Dopo 12 settimane di terapia con carbonato di lantanio il 48% dei pazienti era in target

Per alcuni pazienti è stato possibile prolungare per 6 mesi la monoterapia con carbonato di lantanio ed è evidente che permane un buon effetto chelante(42%).

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A differenza di quanto inizialmente ipotizzato, i chelanti privi di calcio come sevelamer e il lantanio proteggono i pazienti dalla patologia dell’osso adinamico, rispetto al carbonato di calcio.

J Am Soc Nephrol 2008;19(2):405-12. Studio della durata di un anno, in 119 pazienti in emodialisi, di confronto tra sevelamer e carbonato di calcio sull’outcome osteodistrofia renale, valutato con 2 biopsie ossee (basale e a 12 mesi). Al basale il 59% dei pazienti era affetto da patologia dell’osso adinamico. A parità di fosforemie, i livelli di calcio erano molto più bassi nei pazienti trattati con sevelamer, i quali presentavano anche livelli di PTH più elevati, rispetto a coloro che ricevevano carbonato di calcio. Dopo 12 mesi di terapia, in entrambi gruppi la malattia adinamica ossea rimaneva stabile.

Kidney International 2003;63:S73-S78. Novantotto pazienti in emodialisi sono stati randomizzati a carbonato di lantanio (n = 49) o carbonato di calcio (n = 49) per verificare l’outcome osteodistrofia renale, valutato con 2 biopsie ossee (basale e a 12 mesi). La percentuale di pazienti con patologia dell’osso adinamico si riduceva in maniera importante (–50%) nel gruppo carbonato di lantanio, rispetto al gruppo carbonato di calcio (+30%). Inoltre, l’iperparatiroidismo severo non si modificava nei pazienti in terapia con carbonato di calcio, mentre si dimezzava in coloro che ricevevano carbonato di lantanio.

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Il carbonato di lantanio si mantiene efficace nel tempo.

Centoquarantacinque pazienti sono stati arruolati in uno studio prospettico della durata di un anno di fase III. Di questi, 63 hanno proseguito per un’estensione di altri 2 anni.

Il carbonato di lantanio è stato somministrato con un dosaggio di 750-4500 mg/die per 156 settimane (3 anni), al fine di verificare l’efficacia della riduzione della fosforemia.

La fosforemia si è mantenuta sempre più bassa (p <0,05) rispetto ai valori basali durante i 3 anni di osservazione.

I maggiori effetti indesiderati del carbonato di lantanio sono stati quelli gastro-intestinali, come già osservato in precedenti studi, anche per gli altri chelanti.

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Il carbonato di lantanio è più efficace di sevelamer carbonato.

In questo studio, 31 volontari sani sono stati randomizzati a placebo, carbonato di lantanio (1 compressa da 1 g) o sevelamer carbonato (3 compresse da 800 mg). Il carbonato di lantanio ha ridotto l’assorbimento netto di fosforo del 45% (156,0±14,2 mg), mentre sevelamer acetato del 21% (221,8±14,1 mg), (p <0,001).

Il carbonato di lantanio ha chelato 135,1±12,3 mg di fosfato, mentre sevelameracetato ha chelato 63,2±12,3 mg, con una differenza di 71,9 mg (IC al 95% 40,0-103,8; p <0,001). Per compressa, ciò equivale a 135 mg di fosforo chelato con carbonato di lantanio rispetto a 21 mg con sevelamer acetato.

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In conclusione, ci sono almeno tre casi in cui occorrerebbe evitare la somministrazione di calcio come chelante del fosforo nei pazienti con malattia renale cronica.

Innanzitutto nel paziente con malattia adinamica dell’osso e/o diabetico e/o con calcificazioni vascolari.

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In secondo luogo, nei soggetti in dialisi con infiammazione cronica che predispone allo sviluppo di aterosclerosi, con livelli ridotti di fetuina-A ed elevati livelli di PCR.

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Infine, nei pazienti in terapia anticoagulante con warfarin, con ridotti livelli di proteine inibitrici le calcificazioni vascolari (MGP).

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Il trattamento dell’iperfosforemia nei pazienti con CKD non deve solo ridurre il rischio di CKD-MBD, ma anche la patologia cardiovascolare e la progressione della malattia renale.

Non si conoscono ancora i livelli di fosforemia normali per i pazienti con CKD allo stadio 3-4. I chelanti del fosforo rappresentano la scelta terapeutica principale, quasi inevitabile nei pazienti in dialisi, mentre rimangono discutibili nei pazienti con CKD allo stadio 3-4.

Oggi abbiamo a disposizione diversi chelanti del fosforo, ma l’ottimizzazione del trattamento si basa su una personalizzazione della terapia, sulla base delle caratteristiche cliniche del singolo paziente.

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