Gli indicatori per la misura del capitale territoriale...

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Gli indicatori per la misura del capitale territoriale Bologna, Aprile 2012

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Gli indicatori per la misura del capitale

territoriale

 

Bologna, Aprile 2012  

 

 

 

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Il presente rapporto è stato redatto a cura della Professoressa Cristina Brasili.

L’elaborazione degli indici sintetici per le dimensioni del capitale territoriale è a cura di Federica Benni e Annachiara Saguatti. 

   

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Sommario

1. Introduzione di Cristina Brasili .........................................................................................................................5

2. Le dimensioni del capitale territoriale ......................................................................................9

2.1. Il capitale umano di Annachiara Saguatti ......................................................................................................9

2.2. Il capitale cognitivo di Annachiara Saguatti ....................................................................................................15

2.3. Il capitale sociale di Aldo Marchese .............................................................................................................19

2.4. Il capitale infrastrutturale di Aldo Marchese .............................................................................................................23

2.5.  Il capitale produttivo di Federica Benni.............................................................................................................29

2.6.  Il capitale relazionale di Federica Benni.............................................................................................................33

2.7.  Il capitale ambientale di Diego Gandolfo............................................................................................................37

2.8. Il capitale insediativo di Diego Gandolfo............................................................................................................45

3. Un indice del capitale territoriale di Annachiara Saguatti ...............................................................................................................51

4. Conclusioni di Cristina Brasili .......................................................................................................................57

5. Appendice metodologica di Federica Benni........................................................................................................................59

Riferimenti bibliografici ..................................................................................................................61

 

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1. Introduzione Perché vogliamo “misurare” il capitale territoriale delle regioni italiane? Per due ordini di motivi: per dare una risposta ad un’idea di sviluppo alternativa a quella

fino ad ora proposta e perché la misura della dotazione di capitale territoriale delle regioni corrisponde maggiormente a questa idea. E quindi facendo leva, mediante azioni politiche, sulla dotazione di capitale territoriale si agisce sull’attrattività del territorio stesso e si pongono le basi per nuove potenzialità di sviluppo.

Quale concezione dello sviluppo?

L’idea di sviluppo che preferiamo prescinde dalla teoria economica degli anni cinquanta che, per lo studio delle economie arretrate, proponeva di tener conto delle relazioni e delle trasformazioni sociali, politiche e istituzionali. Per l’analisi delle economie più avanzate si riteneva invece che questi aspetti fossero meno rilevanti e perciò si dovesse parlare solo di “crescita economica”. Ne scaturiva, quindi, un concetto unidimensionale di crescita, basato esclusivamente sulla misura del reddito attraverso il PIL (prodotto interno lordo) pro capite, che non era neanche affiancato da una misura di concentrazione di tale variabile. Questo importante limite della teoria economica è stato in parte superato, seppure non ancora completamente, con i contributi di molti studiosi, primo fra tutti quello di Amartya Sen (1990, 2001) che faceva riferimento ai concetti di “capacità”, la possibilità di fare, e quello di “attribuzioni”, l’insieme dei panieri alternativi ai quali una persona può avere accesso usando l’insieme dei diritti e delle opportunità della società in cui vive. Nello stesso tempo, la sostenibilità ambientale dello sviluppo e l’uguaglianza di genere sono diventati sempre più elementi essenziali per valutare il progresso e il benessere di una comunità (rapporto Brundtland, 1987), poichè lo sviluppo locale non è un processo neutro. Sulla base di tali concetti negli anni novanta si arrivò anche alla definizione dell’Indice di sviluppo umano (Human development index), adottato dalle Nazioni Unite, che intende lo sviluppo in senso multidimensionale. Dal 2004 l’OCSE ha proposto un progetto di revisione degli indicatori perché andassero oltre la misura del PIL nella valutazione dei progressi della società, e ha recentemente presentato una graduatoria dei 34 Paesi membri in base al nuovo indice denominato "Better life index" (BLI). Nel Rapporto finale della Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress, istituita dal Presidente francese Sarkozy all’inizio del 2008 e composta, tra gli altri, da Joseph Stiglitz, Amartya Sen, Jean-Paul Fitoussi, Enrico Giovannini e Nancy Folbre, vi è una nuova definizione e misura del benessere basata sulla sostenibilità e l’equità. L’idea di fondo, quindi, è superare una concezione meramente quantitativa della crescita, sintetizzata dalla misura del PIL, per sostituirla con una concezione dello sviluppo multidimensionale in grado di considerare l’insieme dei mutamenti - economici, politici, sociali e istituzionali - che contribuiscono al benessere dei cittadini e al potenziamento delle loro “libertà”, intese come capacità di scelta. Anche il nostro Istituto nazionale di statistica ha recentemente avviato un progetto che dovrebbe portare all’individuazione di nuovi indicatori da affiancare al classico PIL, in grado di misurare il livello non solo della crescita economica, ma anche del benessere sociale e sostenibile (Indice BES).

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Quali definizioni e quale misura per il capitale territoriale?

Quello sopra esposto è il concetto di sviluppo locale a cui ci ispiriamo e il potenziamento del capitale territoriale indubbiamente è uno degli elementi che favoriscono la possibilità di innescarne il processo di sviluppo. Ma quale definizione e quale misura adottiamo per il capitale territoriale?

Sono due passaggi diversi e nessuno dei due di immediata realizzazione. Le politiche di sviluppo dovrebbero intervenire per incrementare il capitale territoriale

delle regioni e se questo può sembrare un fatto scontato, è molto meno evidente come quantificare il capitale territoriale per la carenza di dati disaggregati e aggiornati. Il concetto di “capitale territoriale” è stato proposto per la prima volta in un contesto di elaborazione di politiche territoriali dall’OCSE, nella pubblicazione "Territorial Outlook" del 2001 e chiama in causa tutti gli elementi che formano la ricchezza del territorio (come le attività, il paesaggio, il patrimonio, il know-how), per ricercare e individuare specificità che possono essere valorizzate. In alcuni territori, ad esempio, ciò può implicare il recupero di specifici elementi abbandonati nel tempo, la cui scomparsa potrebbe accentuare ulteriormente il carattere anonimo di quella zona. Ogni territorio cerca una sua “specificità” puntando sull’accesso al mercato, sulla propria immagine, sulla capacità di rinnovare la governance, sul potere di attrarre intelligenze creative e imprese. L’OCSE ha stilato una lunga lista di fattori che determinano il capitale territoriale, comprendenti, oltre ai tradizionali asset materiali, quelli, più recentemente sviluppati, a carattere immateriale. Le nuove tipologie di beni includono la localizzazione geografica dell’area, la sua dimensione, la disponibilità di fattori produttivi, il clima, le risorse naturali, la qualità della vita e possono anche includere gli incubatori, i distretti industriali o altre reti di impresa. Vi possono essere altri fattori, come le interdipendenze “non di mercato” rappresentate dalle convenzioni, dalle tradizioni e dalle regole informali che permettono agli attori locali di lavorare insieme, oppure dalle reti di solidarietà, di associazionismo e di collaborazione nello sviluppo e nel supporto di nuove idee, che si possono trasformare in cluster di piccole e medie imprese operanti nello stesso settore. Infine esiste un fattore intangibile, il quale può richiamare il milieu dei distretti industriali, prodotto dal contesto e dall’ambiente come risultato di una combinazione di istituzioni, regole, pratiche, produttori, ricercatori e decisori pubblici, che rende possibile creatività e innovazione.

L’analisi del capitale territoriale proposta da Roberto Camagni e Nicola Dotti nel volume “La crisi italiana nel mondo globale, Economia e società del nord” (a cura di Paolo Perulli e Angelo Pichierri, Einaudi, 2010), individua sette componenti, quelle produttiva, cognitiva, sociale, relazionale, ambientale, insediativa e infrastrutturale. A queste, nel presente documento è stata aggiunta un’ottava dimensione, il “capitale umano”. Siamo consapevoli che il capitale umano non sia una fattore “immobile” del territorio ma, a nostro avviso, è intrinsecamente parte dello sviluppo del territorio stesso (soprattutto considerando il livello regionale).

Nel secondo capitolo abbiamo identificato, sulla base di alcune variabili, le otto dimensioni del capitale territoriale per tutte le regioni italiane, nel 2003 e nel 2009. Ciascuna delle variabili è stata standardizzata e riportata ad una unità di misura comune (l’elenco delle variabili utilizzate e maggiori dettagli sono contenuti nell’Appendice metodologica). Infine, si è sintetizzata l’informazione in un unico indicatore per le otto dimensioni e, quindi, per il capitale territoriale negli anni 2003 e 2009 (capitolo 3). L’analisi si propone, infatti, due obiettivi

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principali: poter valutare il capitale territoriale in un’ottica comparativa tra le regioni e confrontare la dotazione nel tempo per misurare l’impatto della crisi sulle componenti strutturali della realtà socio economica delle regioni italiane.

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2. Le dimensioni del capitale territoriale

2.1. Il capitale umano

La formazione di un solido capitale umano rappresenta per un’economia una condizione per instaurare un processo di sviluppo duraturo nel quadro della competizione internazionale: una forza lavoro istruita e formata favorisce infatti il consolidamento e l’innovazione delle attività economiche esistenti sul territorio e l’attrazione di nuove dall’esterno (Camagni, 2009). Le variabili utilizzate per fornire una misura della dotazione di capitale umano delle economie regionali sono: tasso di partecipazione nell’istruzione secondaria superiore di secondo grado, tasso di abbandono nel primo biennio delle scuole secondarie di secondo grado, indice di attrattività delle università e quota di laureati in discipline scientifiche e tecnologiche1.

Le regioni del Centro risultano essere, a livello di macro-area, quelle con la maggiore dotazione di capitale umano sia nel 20032 che nel 2009, mentre è l’Emilia-Romagna la regione che presenta il valore più elevato, seppure in calo, dell’indice sintetico di capitale umano (pari a 0,89 nel 2003 e 0,79 nel 2009). In generale, nel periodo considerato si osserva un calo degli indici di capitale umano (Figure 2.1 e 2.2), con le sole eccezioni delle regioni Trentino-Alto Adige, Puglia e Campania, che però non si collocano nelle prime posizioni. L’Umbria, che è la seconda regione meglio dotata di capitale umano nel 2003 a poca distanza dall’Emilia-Romagna, vede anch’essa una riduzione del valore dell’indice sintetico nel 2009 (da 0,87 a 0,75) e perde alcune posizioni in termini relativi, mentre il Lazio, pur passando da 0,82 nel 2003 a 0,77 nel 2009, guadagna tre posizioni e si colloca immediatamente dietro l’Emilia-Romagna nel 2009. Il Friuli-Venezia Giulia permane invece stabile in terza posizione in entrambi gli anni considerati, con un valore dell’indice di capitale umano pari a 0,86 nel 2003 e 0,77 nel 2009. Nelle ultime posizioni si collocano la Valle d’Aosta (0,22 nel 2003 e 0,17 nel 2009) e la Sicilia (0,43 nel 2003 e 0,36 nel 2009) a causa soprattutto di una scarsità di laureati in materie scientifiche, di una scarsa attrattività delle proprie università (la Valle d’Aosta) e di un elevato tasso di abbandono nel primo biennio di scuola secondaria superiore (la Sicilia).

Il maggior tasso di partecipazione nell’istruzione secondaria superiore di secondo grado nel 2003 si registra in Lazio, seguito da Umbria (0,93), Marche e Basilicata (0,92). Sono invece il Trentino-Alto Adige, seguito a distanza dalla Lombardia (0,48) e dalla Campania (0,52), le regioni che presentano i valori più bassi di questa variabile (75,1% per il Trentino-Alto Adige, 87,4% per la Lombardia e 88,5% per la Campania). La situazione cambia leggermente nel 2008, quando è la Basilicata la regione che registra il valore più alto di questo indice, seguita da Sardegna (0,8) e Marche (0,78), mentre sono tre regioni del Nord, Lombardia, Trentino-Alto Adige (0,12) e Veneto (0,15), quelle che presentano il minor tasso di partecipazione all’istruzione secondaria superiore. Questo dato si inserisce in un trend che nel 2005 ha visto le regioni del Mezzogiorno superare quelle del Centro-Nord per tasso di partecipazione nell’istruzione secondaria superiore di secondo grado (MIUR, 2011).

                                                            1 La scelta delle variabili è stata fortemente condizionata sia dalla disponibilità dei dati a livello regionale che dal loro aggiornamento per tutte le dimensioni del capitale territoriale. Per la descrizione della metodologia utilizzata per la standardizzazione delle variabili e per la costruzione dell’indice sintetico si veda l’Appendice metodologica. 2 I dati riferiti all’anno 2003 sono stati calcolati come valore medio del periodo 2002-2003-2004 per tutte le variabili considerate.

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La variabile “tasso di abbandono al primo biennio delle scuole secondarie superiori di secondo grado” è scelta perché l’abbandono prematuro degli studi assume una rilevanza particolare proprio nel corso dei primi due anni di scuola secondaria superiore (MIUR, 2011). Nel 2003, il maggior tasso di abbandono è registrato nella regione Sicilia, seguita da Campania (0,9) e Sardegna (0,83). Sono invece Umbria, Friuli-Venezia Giulia (0,12) e Marche (0,15) le regioni più virtuose. Il quadro subisce qualche cambiamento nel 2009, quando la Sardegna risulta essere la regione caratterizzata dal maggior tasso di abbandono, seguita dalla Sicilia (0,86) e, a distanza, dalla Valle d’Aosta (0,68). In Sardegna e Valle d’Aosta, in particolare, il tasso di abbandono cresce leggermente tra le due rilevazioni, passando da 10,2% a 12,6% nella prima regione e da 9,3% a 9,9% nella seconda. Il minor tasso di abbandono nel 2009 si registra in Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia (con un indice pari, per queste ultime, a 0,12).

In entrambi gli anni considerati, l’Emilia-Romagna risulta essere la regione dotata delle università più attrattive, in termini di iscritti provenienti dal di fuori del territorio regionale. Poco distanti si collocano Umbria (0,94) e Toscana (0,92) nel 2003 e Lazio (0,97) e Toscana (0,96) nel 2009. Le regioni meno attrattive, che presentano valori grezzi negativi per questa variabile, sono sia nel 2003 che nel 2009 la Valle d’Aosta, la Basilicata (rispettivamente 0,29 e 0,11) e la Calabria (0,62 e 0,66).

La quota di laureati in discipline scientifiche e tecnologiche per mille abitanti in età 20-29 anni è una variabile capace di dare un contributo positivo ai processi di innovazione del sistema produttivo. Nel 2003, è l’Emilia-Romagna la regione con la quota maggiore di laureati in scienza e tecnologia, anche se la Toscana presenta un valore dell’indice molto prossimo (0,99). La Valle d’Aosta invece risulta essere particolarmente poco dotata sotto questo punto di vista, ma poco distante dal Molise (0,01). Nel corso del periodo considerato, il Lazio ha accresciuto notevolmente la propria quota di laureati in materie scientifiche, passando al primo posto nel 2009. L’Emilia-Romagna e la Toscana si attestano alle sue spalle con valori dell’indice pari rispettivamente a 0,95 e 0,87.

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Tabella 2.1. Il capitale umano nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003-2004)

Tasso di partecipazione nell'istruzione

secondaria superiore di secondo grado

(1)

Tasso di abbandono al primo biennio delle scuole secondarie di

secondo grado (2)

Indice di attrattività

delle università

(3)

Laureati in scienza e

tecnologia

(4)

Capitale umano (indice

sintetico)

PIEMONTE 0,60 0,50 0,83 0,77 0,67 VALLE D'AOSTA 0,60 0,72 0,00 0,00 0,22

LOMBARDIA 0,48 0,67 0,88 0,82 0,63 LIGURIA 0,88 0,57 0,78 0,84 0,73

TRENTINO-A. A. 0,00 0,17 0,80 0,44 0,52 VENETO 0,54 0,26 0,83 0,63 0,68

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,84 0,12 0,89 0,82 0,86 EMILIA-ROMAGNA 0,84 0,28 1,00 1,00 0,89

TOSCANA 0,82 0,44 0,92 0,99 0,82 UMBRIA 0,93 0,00 0,94 0,61 0,87 MARCHE 0,92 0,15 0,88 0,58 0,81

LAZIO 1,00 0,44 0,91 0,80 0,82 ABRUZZO 0,85 0,27 0,86 0,48 0,73 MOLISE 0,83 0,19 0,67 0,01 0,58

CAMPANIA 0,52 0,90 0,82 0,48 0,48 PUGLIA 0,55 0,76 0,70 0,26 0,44

BASILICATA 0,92 0,39 0,29 0,25 0,52 CALABRIA 0,64 0,54 0,62 0,42 0,54

SICILIA 0,55 1,00 0,82 0,35 0,43 SARDEGNA 0,77 0,83 0,78 0,43 0,54

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

Tabella 2.2. Il capitale umano nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Tasso di partecipazione nell'istruzione

secondaria superiore di secondo grado*

(1)

Tasso di abbandono al primo biennio delle scuole secondarie di

secondo grado (2)

Indice di attrattività

delle università

(3)

Laureati in scienza e

tecnologia

(4)

Capitale umano (indice

sintetico)

PIEMONTE 0,17 0,45 0,86 0,75 0,58 VALLE D'AOSTA 0,32 0,68 0,00 0,03 0,17

LOMBARDIA 0,00 0,58 0,94 0,72 0,52 LIGURIA 0,45 0,55 0,85 0,71 0,61

TRENTINO-A. A. 0,12 0,00 0,81 0,33 0,55 VENETO 0,15 0,12 0,83 0,51 0,59

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,47 0,12 0,93 0,80 0,77 EMILIA-ROMAGNA 0,55 0,34 1,00 0,95 0,79

TOSCANA 0,61 0,43 0,96 0,87 0,75 UMBRIA 0,74 0,20 0,94 0,53 0,75 MARCHE 0,78 0,35 0,87 0,70 0,75

LAZIO 0,54 0,40 0,97 1,00 0,77 ABRUZZO 0,59 0,28 0,94 0,41 0,66 MOLISE 0,74 0,27 0,70 0,00 0,53

CAMPANIA 0,35 0,64 0,81 0,49 0,50 PUGLIA 0,42 0,40 0,71 0,29 0,51

BASILICATA 1,00 0,30 0,11 0,16 0,47 CALABRIA 0,50 0,41 0,66 0,42 0,53

SICILIA 0,21 0,86 0,79 0,29 0,36 SARDEGNA 0,80 1,00 0,78 0,35 0,48

*Dato aggiornato al 2008 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

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Nota: Per il calcolo dell’indice sintetico, sono stati considerati i complementi ad 1 dei valori standardizzati per le variabili indicate dal riquadro tratteggiato, il cui contributo al capitale territoriale è negativo per valori alti della variabile. Per maggiori dettagli si veda l’ Appendice metodologica.

Legenda variabili: (1) Tasso di partecipazione nell'istruzione secondaria superiore di secondo grado.

Il tasso è calcolato rapportando il totale degli iscritti alle scuole secondarie di secondo grado alla popolazione residente nella classe d'età 14-18 anni e può assumere valori superiori a 100 per la presenza di ripetenze o anticipi di frequenza.

(2) Tasso di abbandono alla fine del primo biennio delle scuole secondarie superiori: abbandoni sul totale degli iscritti al primo biennio delle scuole secondarie superiori (%). La scuola secondaria superiore (rinominata scuola secondaria di secondo grado a partire dalla Riforma Moratti, varata con Legge 28 marzo 2003 n. 53) costituisce il secondo ciclo di istruzione in cui si struttura il sistema scolastico italiano, che comprende il sistema dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali. Non sono, invece, considerati i percorsi formativi professionali di competenza delle regioni, finalizzati al conseguimento di una qualifica triennale e di un diploma quadriennale riconosciuti a livello nazionale. Gli abbandoni si riferiscono agli studenti che interrompono la frequenza scolastica e non si iscrivono all'anno scolastico successivo. Le interruzioni di frequenza possono risultare in numero negativo per effetto della mobilità territoriale in entrata e in uscita.

(3) Indice di attrattività delle università: rapporto tra saldo migratorio netto degli studenti e il totale degli studenti immatricolati (%). Il saldo migratorio netto è definito come la differenza tra gli immatricolati iscritti nelle sedi della regione e gli immatricolati al sistema universitario residenti nella regione stessa. Nel saldo migratorio non sono inclusi gli studenti stranieri immatricolati nelle sedi universitarie italiane, gli italiani residenti all'estero e gli iscritti alle Università telematiche. A partire dal 2001-02 il saldo degli studenti e il numero di immatricolati per regione sono calcolati per regione sede del corso e non più per regione sede dell'ateneo. Tale calcolo permette di attribuire correttamente la sede di immatricolazione degli studenti: è il caso degli studenti dell'Università Cattolica di Milano (sede dell'ateneo) iscritti nelle sedi dei corsi di Roma.

(4) Laureati in scienza e tecnologia. Laureati in discipline scientifiche e tecnologiche per mille abitanti in età 20-29 anni. Sono stati considerati i diplomati (corsi di diploma del vecchio ordinamento), i laureati, i dottori di ricerca, i diplomati ai corsi di specializzazione, di perfezionamento e dei master di I e II livello (corrispondenti ai livelli Isced 5A, 5B e 6) nelle seguenti facoltà: Ingegneria, Scienze e tecnologie informatiche, Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Scienze statistiche, Chimica Industriale, Scienze nautiche, Scienze ambientali e Scienze biotecnologiche, Architettura (corrispondenti ai campi disciplinari Isced 42, 44, 46, 48, 52, 54 e 58).

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Figura 2.1. Il capitale umano nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 2.2. Il capitale umano nelle regioni italiane (anno 2009)

0.89

0.82 0.810.87

0.82

0.67

0.63 0.68

0.86

0.73

0.58

0.67

0.22

0.52

0.54

0.52

0.440.48

0.43

0.54

0.17 - 0.50.5 - 0.540.54 - 0.660.66 - 0.770.77 - 0.89

0.580.79

0.75 0.750.75

0.770.66

0.59

0.550.77

0.58

0.520.17

0.48

0.36

0.50 0.51

0.47

0.53

0.53

0.17 - 0.50.5 - 0.540.54 - 0.660.66 - 0.770.77 - 0.89

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

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2.2. Il capitale cognitivo

L’avvento sullo scenario mondiale delle nuove economie emergenti di Paesi come Cina, India e Brasile richiede la definizione di nuove strategie competitive da parte delle economie occidentali, che puntano oggi su una strategia di “crescita intelligente” (Europa 2020) e sull’“economia della conoscenza” (Strategia di Lisbona).

L’indice sintetico di capitale cognitivo presenta una situazione dinamica e di crescita generalizzata nel periodo considerato per quanto riguarda le regioni maggiormente dotate di questa dimensione del capitale territoriale. Nel 2003 è il Lazio la regione che presenta il valore dell’indice più elevato (0,72), grazie alle performance registrate in termini di addetti alla R&S, capacità innovativa e diffusione di spettacoli teatrali e musicali, seguita da vicino dall’Emilia-Romagna (0,71), Piemonte (0,70), Lombardia (0,67) e Friuli-Venezia Giulia (0,66) che rispetto alle altre regioni presentano valori più elevati di tutti gli indici (mai inferiori a 0,5). Le regioni con la minore dotazione di capitale cognitivo (misurata sempre in termini relativi rispetto alle altre regioni italiane) sono tutte quelle del Mezzogiorno (Figura 2.3).

Nel 2009 la distribuzione dei valori dell’indice di capitale cognitivo risulta più elevata, dipingendo in media una situazione di accresciute capacità innovative e culturali. Le maggiori differenze si registrano tra le regioni più dotate di capitale cognitivo (Figura 2.4): il Friuli-Venezia Giulia presenta al termine del periodo considerato l’indice di capitale cognitivo più alto, pari a 0,87, frutto di un miglioramento rispetto alle altre regioni in tutte le dimensioni considerate. Anche il Trentino-Alto Adige, che presenta il secondo valore più elevato di questo indice (0,80), registra un importante miglioramento, mentre l’Emilia-Romagna perde una posizione, in termini relativi, pur registrando anch’essa un incremento dell’indice rispetto al 2003 (0,79). Nel complesso, soltanto l’Abruzzo registra una diminuzione dell’indice di capitale cognitivo tra il 2003 ed il 2009, passando da un valore di 0,34 ad uno di 0,28.

A livello regionale, questi aspetti si concretizzano nella dotazione di capitale cognitivo, che è stata misurata, da un lato, in termini di propensione alla ricerca e all’innovazione dei sistemi regionali, frutto dell’integrazione tra offerta formativa (misurata in termini di capitale umano) e struttura produttiva (misurata in termini di capitale produttivo), e dall’altro in termini di vivacità ed offerta culturale. Le variabili che sono state utilizzate per fornire una misura sintetica del capitale cognitivo delle regioni italiane sono: addetti alla R&S, capacità innovativa, intensità brevettuale, diffusione degli spettacoli teatrali e musicali, lettori di libri, visitatori di mostre e musei (Tabelle 2.3 e 2.4).

La regione italiana che per il 2003 presenta il maggior numero di addetti alla ricerca e sviluppo (in percentuale del PIL) è il Lazio, sede di molti ed importanti centri di ricerca privati ed in particolare pubblici, che è seguito ad una certa distanza dal Piemonte (0,72) e dall’Emilia-Romagna (0,61), mentre le regioni più povere in termini di addetti alla R&S nel 2003 sono la Calabria, il Molise (0,06) e la Basilicata (0,09) ed in generale le regioni del Mezzogiorno (con l’eccezione della Valle d’Aosta). Nel 2009 la regione che presenta il valore più elevato per questa variabile è sempre il Lazio, seguito più da vicino da Emilia-Romagna (0,9) e Piemonte (0,89). La percentuale di addetti alla R&S in Lazio, infatti, è rimasta costante tra i due anni considerati, mentre è cresciuta in Emilia-Romagna, Piemonte ed in generale in tutte le altre regioni (ad eccezione dell’Abruzzo).

Il Lazio è la regione che presenta anche la maggiore capacità innovativa, definita come la spesa sostenuta per attività di R&S (in percentuale del PIL), nel 2003, seguita da Piemonte (0,88)

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e Liguria (0,61). Nello stesso anno, la regione con minore capacità innovativa è la Valle d’Aosta, seguita a poca distanza da Calabria (0,01) e Molise (0,03). Tra le regioni del Sud spiccano la Campania (0,47), l’Abruzzo (0,46) e la Sicilia (0,31), che nel 2003 presentavano una capacità innovativa superiore rispetto al Veneto (0,21) ed al Trentino-Alto Adige (0,22). Nel 2009 è il Piemonte la regione con la maggiore capacità innovativa, seguita dal Lazio (0,97), che però registra una diminuzione della spesa per R&S in percentuale del PIL, e dal Friuli-Venezia Giulia (0,74).

L’intensità brevettuale fornisce una misura del livello di innovazione delle regioni, frutto sia della qualità dell’offerta formativa che della struttura produttiva. L’Emilia-Romagna è la regione che detiene il primato per numero di brevetti registrati allo European Patent Office in entrambi gli anni considerati, seguita da Lombardia (0,87) e Piemonte (0,75) nel 2003 e da Friuli-Venezia Giulia (0,85) e Lombardia (0,84) nel 2008. Tra queste regioni, che rappresentano l’eccellenza nazionale per imprese innovatrici, si segnala che soltanto il Friuli-Venezia Giulia ha visto aumentare la propria intensità brevettuale nel periodo considerato, mentre Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia hanno sperimentato un calo del numero di brevetti. Anche in questo caso si evidenzia una netta differenziazione tra le regioni del Nord e quelle del Sud del Paese: il Molise e la Calabria (0,01) sono le regioni con la minore capacità innovativa in entrambi gli anni considerati, seguite a poca distanza dalla Basilicata e dalla Sardegna (0,02) nel 2003 e dalla Sicilia (0,04) nel 2008.

La diffusione di spettacoli teatrali e musicali nel 2003 è particolarmente elevata in Lazio e Toscana (0,83) rispetto alle altre regioni, mentre anche in questo caso è il Molise, seguito dalla Calabria (0,12), la regione con la peggiore performance. La situazione cambia leggermente nel 2009 per le prime regioni, con il Friuli-Venezia Giulia che raggiunge il primato, superando di poco il Lazio (0,96), mentre resta invariata in coda, con le regioni del Sud caratterizzate da valori più bassi per questa variabile.

Un’immagine analoga è quella che emerge se si analizza la variabile “persone che leggono libri”: le tre regioni caratterizzate dal maggior numero di lettori sono Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia (0,92 nel 2003 e 0,96 nel 2008) e Valle d’Aosta (0,9 nel 2003 a pari merito con la Liguria e 0,87 nel 2008). Campania, Puglia e Sicilia sono invece le tre regioni con il minor numero di lettori su 100 persone, in entrambi i periodi considerati. Tra le regioni del Mezzogiorno, spicca la Sardegna con valori dell’indice relativo a questa variabile piuttosto elevati sia nel 2003 (0,65) che nel 2008 (0,51), anche se in diminuzione.

Infine, il Trentino-Alto Adige è la regione che, sia nel 2003 che nel 2008, presenta il maggior numero di persone che dichiara di aver visitato musei e mostre, seguita a distanza, nel 2003, da Veneto e Friuli-Venezia Giulia (0,71). Nel 2008 si registra un incremento di questa variabile rispetto al periodo precedente in Friuli-Venezia Giulia (0,86) e Valle d’Aosta (0,83). Le regioni del Mezzogiorno presentano anche in questo caso valori significativamente più bassi della variabile considerata per entrambi i periodi considerati, con valori dell’indice prossimi allo zero per Calabria (0 nel 2003 e 0,06 nel 2008), Sicilia (0,07 nel 2003), Campania (0,08 nel 2003 e 0,05 nel 2009) e Puglia (0,09 nel 2003 e 0 nel 2008).

17

   

Tabella 2.3. Il capitale cognitivo nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003-2004)

Addetti alla

Ricerca e Sviluppo

(5)

Capacità innovativa

(6)

Intensità brevettuale

(7)

Grado di diffusione degli

spettacoli teatrali e musicali

(8)

Persone che

leggono libri (9)

Persone che hanno visitato

musei e mostre

(10)

Capitale cognitivo (indice

sintetico)

PIEMONTE 0,72 0,88 0,75 0,54 0,80 0,55 0,70 VALLE D'AOSTA 0,18 0,00 0,35 0,52 0,90 0,55 0,42

LOMBARDIA 0,50 0,54 0,87 0,65 0,86 0,63 0,67 LIGURIA 0,46 0,61 0,32 0,65 0,90 0,45 0,57

TRENTINO-A. A. 0,35 0,22 0,32 0,75 1,00 1,00 0,61 VENETO 0,26 0,21 0,65 0,72 0,87 0,71 0,57

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,50 0,52 0,56 0,75 0,92 0,71 0,66 EMILIA-ROMAGNA 0,61 0,56 1,00 0,75 0,75 0,59 0,71

TOSCANA 0,45 0,50 0,45 0,83 0,73 0,52 0,58 UMBRIA 0,40 0,32 0,23 0,68 0,41 0,36 0,40 MARCHE 0,23 0,17 0,30 0,66 0,45 0,45 0,38

LAZIO 1,00 1,00 0,20 1,00 0,61 0,47 0,72 ABRUZZO 0,37 0,46 0,20 0,41 0,33 0,26 0,34 MOLISE 0,06 0,03 0,00 0,00 0,18 0,17 0,07

CAMPANIA 0,25 0,47 0,04 0,26 0,00 0,08 0,18 PUGLIA 0,11 0,17 0,04 0,18 0,02 0,09 0,10

BASILICATA 0,09 0,10 0,02 0,20 0,18 0,16 0,12 CALABRIA 0,00 0,01 0,01 0,12 0,05 0,00 0,03

SICILIA 0,16 0,31 0,06 0,31 0,04 0,07 0,16 SARDEGNA 0,18 0,21 0,02 0,39 0,65 0,43 0,31

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat

Tabella 2.4. Il capitale cognitivo nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Addetti alla

Ricerca e Sviluppo

(5)

Capacità innovativa

(6)

Intensità brevettuale*

(7)

Grado di diffusione degli

spettacoli teatrali e musicali

(8)

Persone che

leggono libri*

(9)

Persone che hanno visitato

musei e mostre*

(10)

Capitale cognitivo (indice

sintetico)

PIEMONTE 0,89 1,00 0,80 0,55 0,76 0,66 0,78 VALLE D'AOSTA 0,35 0,17 0,19 0,49 0,87 0,83 0,48

LOMBARDIA 0,77 0,61 0,84 0,71 0,86 0,74 0,75 LIGURIA 0,71 0,66 0,49 0,60 0,78 0,45 0,62

TRENTINO-A. A. 0,77 0,62 0,58 0,81 1,00 1,00 0,80 VENETO 0,72 0,46 0,74 0,67 0,76 0,77 0,69

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,82 0,74 0,85 1,00 0,96 0,86 0,87 EMILIA-ROMAGNA 0,90 0,69 1,00 0,75 0,75 0,63 0,79

TOSCANA 0,63 0,56 0,47 0,69 0,70 0,55 0,60 UMBRIA 0,42 0,39 0,26 0,53 0,57 0,46 0,44 MARCHE 0,41 0,18 0,43 0,62 0,44 0,43 0,42

LAZIO 1,00 0,97 0,23 0,96 0,67 0,65 0,75 ABRUZZO 0,30 0,37 0,18 0,25 0,33 0,25 0,28 MOLISE 0,13 0,04 0,00 0,00 0,27 0,13 0,10

CAMPANIA 0,32 0,61 0,10 0,32 0,01 0,05 0,23 PUGLIA 0,17 0,24 0,08 0,25 0,03 0,00 0,13

BASILICATA 0,17 0,15 0,07 0,10 0,18 0,16 0,14 CALABRIA 0,00 0,00 0,01 0,09 0,08 0,06 0,04

SICILIA 0,16 0,29 0,04 0,36 0,00 0,13 0,16 SARDEGNA 0,19 0,15 0,07 0,45 0,51 0,52 0,32

*Dati aggiornati al 2008 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat

18

 

Legenda variabili: (5) Addetti alla Ricerca e Sviluppo (R&S): addetti alla Ricerca e Sviluppo per 1000 abitanti.

Il dato comprende ricercatori, tecnici e altro personale addetto alla ricerca e sviluppo della Pubblica Amministrazione, Università e imprese pubbliche e private; il numero è espresso in unità equivalenti tempo pieno.

(6) Capacità innovativa: spesa sostenuta per attività di ricerca e sviluppo intra muros della Pubblica Amministrazione, dell'Università e delle imprese pubbliche e private in percentuale del PIL.

(7) Patent applications to the EPO by priority year at the regional level, per million inhabitants. (8) Grado di diffusione degli spettacoli teatrali e musicali: biglietti venduti per attività teatrali e musicali per 100

abitanti. Le attività teatrali e musicali comprendono: prosa, teatro dialettale, lirica e balletti, concerti di danza e musica classica, operetta, rivista e commedia musicale, concerti e spettacoli di musica leggera e arte varia, burattini e marionette, saggi culturali. Dal 2006 rientra fra le attività teatrali anche il circo; inoltre, l'attività di concerto classico comprende le tipologie "classico", "bandistico" e "corale".

(9) Persone che leggono libri per Regione. Popolazione di riferimento: 6 anni e più. Quozienti per 100 persone con le stesse caratteristiche.

(10) Persone che hanno visitato musei e mostre per Regione. Popolazione di riferimento: 6 anni e più. Quozienti per 100 persone con le stesse caratteristiche.

Figura 2.3. Il capitale cognitivo nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 2.4. Il capitale cognitivo nelle regioni italiane (anno 2009)

0.70

0.670.42

0.61

0.57

0.66

0.38

0.71

0.58

0.70

0.34

0.10

0.12

0.07

0.31

0.16

0.03

0.18

0.40

0.72

0.03 - 0.160.16 - 0.350.35 - 0.570.57 - 0.710.71 - 0.87

0.870.80

0.75

0.78

0.79

0.75

0.48

0.600.44

0.42

0.28

0.10

0.13

0.140.23

0.04

0.16

0.32

0.62

0.69

0.03 - 0.160.16 - 0.350.35 - 0.570.57 - 0.710.71 - 0.87

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat

19

   

2.3. Il capitale sociale

L’origine del termine capitale sociale viene di solito attribuita a L. J. Hanifa (1916), che ne parlò per descrivere l’importanza del supporto attivo delle comunità locali nel garantire l’efficacia delle scuole elementari rurali dello stato della Virginia di cui, come ispettore (e riformatore) scolastico, si occupava. Il rilancio (e la moderna fortuna) del termine si associa però senz’altro a R. Putnam, che ha usato il termine analizzando sia gli Stati Uniti che l’Italia (Putnam, 1993), anch’egli enfatizzando la rilevanza del capitale sociale come sorta di grandezza intangibile con rilevanti effetti sul buon funzionamento della vita sociale e politica, e quindi indirettamente della performance economica, di una comunità. In mezzo, ci sta l’ampio utilizzo del termine nella letteratura sociologica (a partire grosso modo dal 1960), in un’accezione peraltro diversa e più legata al funzionamento di reti e contatti all’interno di una data comunità (De Blasio, Sestito, 2011).

Focalizzando l’analisi a livello regionale per misurare il capitale sociale si è deciso di utilizzare un approccio multidimensionale, spaziando dall’analisi del mondo associativo e del volontariato a quello del lavoro, passando per l’interessamento degli individui per la politica e per il rispetto dell’ambiente. Le variabili utilizzate sono poche, ma va tenuto conto della scarsità di dati a disposizione come proxi per la misura della dotazione di capitale sociale delle regioni italiane: attività di volontariato, persone che hanno versato soldi ad associazioni, unità di lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro, frequenza con cui ci si informa o si parla di politica, reati ambientali per 100 kmq (Tabelle 2.5 e 2.6).

Il Nord-Est evidenzia i valori più elevati nella graduatoria dell’indice sintetico del capitale sociale, infatti, sia nel 2003 che nel 2009, il podio è composto nell’ordine da Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Veneto. Seguono con valori molto prossimi la Lombardia e la Toscana (tutte regioni del Centro-Nord). Disaggregando l’analisi emerge come il Trentino-Alto Adige, nel 2003, fosse la regione con il maggior numero di persone impegnate nel volontariato, con il minor numero di reati ambientali e con la maggior quantità di persone di 14 anni e più che hanno versato soldi a favore di associazioni, questo a riprova della grande attenzione e sensibilità che si riscontra verso le tematiche socio-ambientali in quei territori. Sempre nello stesso periodo la regione Emilia-Romagna, seconda nell’indice sintetico con 0,81, risultava essere quella in cui si parlava con maggiore frequenza di politica, mentre la Lombardia (0,71) aveva il minor numero di unità di lavoro irregolari sul totale.

Passando ad analizzare le criticità, sempre nel 2003, emergeva con forza il dualismo Nord-Sud, infatti, Campania, Calabria e Sicilia chiudevano la classifica. Particolarmente grave appariva la situazione della Campania che deteneva il primato negativo in ben tre delle variabili considerate: attività di volontariato, frequenza con cui si parla o ci si informa di politica e il numero di reati ambientali. La Calabria invece era la regione con la maggior quantità di unità di lavoro irregolare, mentre gli abitanti della Sicilia erano quelli meno disponibili a versare soldi per associazioni.

Nel 2009 restano sostanzialmente stabili i parametri dell’indice sintetico eccezion fatta per la Liguria, +0,14, grazie soprattutto alla riduzione del numero di reati ambientali e della Campania, +0,11, merito della sensibile diminuzione delle unità di lavoro irregolari, risultato questo non sufficiente però, a risollevare la posizione della regione stabilmente agli ultimi posti della graduatoria; male invece la Puglia, -0,8, a causa dell’aumento dei reati ambientali e la

20

 

drastica riduzione dell’interesse della popolazione verso la politica, un cambiamento così profondo da far scivolare la regione all’ultimo posto nella classifica nazionale in questa specifica variabile e che sorprende se si considera, invece, l’attenzione che i media nazionali riservano alla politica regionale.

Per quanto concerne le altre regioni, nel 2009, si confermano ai vertici il Trentino-Alto Adige, che detiene il primato nel numero di volontari e di persone che hanno versato soldi a favore dell’associazionismo, seguito dall’Emilia-Romagna che ha il merito di aver il minor numero di unità di lavoro irregolari sul totale e da Friuli-Venezia Giulia, dove si parla e ci si informa con maggiore frequenza di politica e Veneto a riprova della grande dotazione di capitale sociale del nostro Nord-Est.

Si confermano anche le criticità del Mezzogiorno, seppur con sensibili miglioramenti nell’indice sintetico, le ultime tre posizioni sono infatti occupate dalla Calabria (0,13) nel 2009, +0,5 rispetto al 2003, che continua ad avere la maggior quota di lavoro irregolare sul totale, seguita dalla Campania che, come abbiamo visto, pur migliorando con l’indice a 0,17 mantiene la penultima posizione in classifica considerando che in questa regione c’è il maggior numero di reati ambientali per 100 km quadrati e il minor numero di persone impegnate nel volontariato. Discorso a parte merita la Sicilia che dimostra, a differenza di quanto appena detto per le altre regioni del Meridione, l’incapacità di migliorare almeno alcuni dei risultati delle variabili, si conferma infatti, nel 2009, un indice sintetico limitato e pari a 0,21.

Tabella 2.5. Il capitale sociale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003)

Attività di volontariato

(11)

Persone che hanno versato

soldi ad associazioni

(12)

Unità di lavoro irregolari sul

totale delle unità di lavoro*

(13)

Frequenza con cui ci si

informa o si parla di politica

(14)

Reati ambientali

per 100 kmq**

(15)

Capitale sociale (indice

sintetico)

PIEMONTE 0,26 0,40 0,07 0,60 0,02 0,63 VALLE D'AOSTA 0,42 0,48 0,14 0,47 0,02 0,64

LOMBARDIA 0,41 0,59 0,00 0,64 0,09 0,71 LIGURIA 0,21 0,47 0,05 0,79 0,94 0,50

TRENTINO-A. A. 1,00 1,00 0,05 0,49 0,00 0,89 VENETO 0,56 0,60 0,15 0,73 0,11 0,73

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,38 0,48 0,22 0,73 0,17 0,64 EMILIA-ROMAGNA 0,36 0,76 0,02 1,00 0,06 0,81

TOSCANA 0,35 0,67 0,07 0,91 0,27 0,72 UMBRIA 0,22 0,31 0,25 0,63 0,14 0,55 MARCHE 0,19 0,42 0,14 0,55 0,17 0,57

LAZIO 0,06 0,11 0,25 0,61 0,51 0,41 ABRUZZO 0,06 0,22 0,28 0,27 0,13 0,43 MOLISE 0,11 0,23 0,58 0,29 0,16 0,38

CAMPANIA 0,00 0,05 0,77 0,00 1,00 0,06 PUGLIA 0,11 0,13 0,52 0,15 0,39 0,30

BASILICATA 0,16 0,25 0,65 0,13 0,18 0,34 CALABRIA 0,05 0,08 1,00 0,12 0,85 0,08

SICILIA 0,03 0,00 0,74 0,11 0,36 0,21 SARDEGNA 0,19 0,37 0,60 0,52 0,22 0,45

* Valore medio 2002-2003-2004 ** Valore medio 2003-2004 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente

21

   

Tabella 2.6. Il capitale sociale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Attività di volontariato

(11)

Persone che hanno versato

soldi ad associazioni

(12)

Unità di lavoro irregolari sul

totale delle unità di lavoro*

(13)

Frequenza con cui ci si

informa o si parla di politica

(14)

Reati ambientali

per 100 kmq**

(15)

Capitale sociale (indice

sintetico)

PIEMONTE 0,33 0,43 0,11 0,77 0,12 0,66 VALLE D'AOSTA 0,29 0,48 0,07 0,19 0,00 0,58

LOMBARDIA 0,47 0,61 0,04 0,64 0,16 0,70 LIGURIA 0,17 0,43 0,03 0,86 0,24 0,64

TRENTINO-A. A. 1,00 1,00 0,04 0,54 0,09 0,88 VENETO 0,51 0,55 0,12 0,83 0,15 0,72

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,39 0,54 0,21 1,00 0,10 0,72 EMILIA-ROMAGNA 0,49 0,65 0,00 0,97 0,16 0,79

TOSCANA 0,35 0,69 0,04 0,94 0,38 0,71 UMBRIA 0,29 0,41 0,14 0,57 0,12 0,60 MARCHE 0,35 0,49 0,11 0,42 0,10 0,61

LAZIO 0,10 0,28 0,11 0,66 0,71 0,45 ABRUZZO 0,07 0,15 0,18 0,43 0,15 0,46 MOLISE 0,09 0,10 0,55 0,18 0,03 0,36

CAMPANIA 0,00 0,05 0,35 0,15 1,00 0,17 PUGLIA 0,05 0,11 0,50 0,00 0,54 0,22

BASILICATA 0,20 0,31 0,68 0,03 0,13 0,35 CALABRIA 0,07 0,13 1,00 0,03 0,59 0,13

SICILIA 0,08 0,00 0,52 0,01 0,51 0,21 SARDEGNA 0,15 0,60 0,56 0,73 0,41 0,50

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente

Nota: Per il calcolo dell’indice sintetico, sono stati considerati i complementi ad 1 dei valori standardizzati per le variabili indicate dal riquadro tratteggiato, il cui contributo al capitale territoriale è negativo per valori alti della variabile. Per maggiori dettagli si veda l’Appendice metodologica. 

Legenda variabili: (11) Persone di 14 anni e più che hanno svolto attività gratuita per associazioni di volontariato per 100 persone di

14 anni e più. (12) Persone di 14 anni e più che hanno versato soldi ad associazioni per 100 persone di 14 anni e più anni . (13) Capacità di offrire lavoro regolare: unità di lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro (%). Le unità di

lavoro irregolari comprendono le seguenti tipologie di attività lavorative: continuative svolte senza il rispetto della normativa vigente; occasionali svolte da persone che si dichiarano non attive in quanto studenti, casalinghe o pensionati; degli stranieri residenti e non regolari; plurime non dichiarate alle istituzioni fiscali.

(14) Frequenza con cui ci si informa o si parla di politica: l'indagine campionaria "Aspetti della vita quotidiana" fa parte di un sistema integrato di indagini sociali - le Indagini Multiscopo sulle famiglie - e rileva le informazioni fondamentali relative alla vita quotidiana degli individui e delle famiglie. Dal 1993 al 2003 l'indagine è stata condotta ogni anno nel mese di novembre. Nel 2004 l'indagine non è stata effettuata e dal 2005 viene condotta ogni anno nel mese di febbraio. Le informazioni raccolte consentono di conoscere le abitudini dei cittadini e i problemi che essi affrontano ogni giorno. Aree tematiche su aspetti sociali diversi si susseguono nei questionari, permettendo di capire come vivono gli individui e quanto sono soddisfatti delle loro condizioni, della situazione economica, della zona in cui vivono, del funzionamento dei servizi di pubblica utilità che dovrebbero contribuire al miglioramento della qualità della vita. Scuola, lavoro, vita familiare e di relazione, tempo libero, partecipazione politica e sociale, salute, stili di vita, accesso ai servizi sono indagati in un'ottica in cui oggettività dei comportamenti e soggettività delle aspettative, delle motivazioni, dei giudizi contribuiscono a definire l'informazione sociale. L'indagine rientra tra quelle comprese nel Programma statistico nazionale, che raccoglie l'insieme delle rilevazioni statistiche necessarie al Paese.

(15) Numero di reati ambientali.

22

 

 

Figura 2.5. Il capitale sociale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003)

Figura 2.6. Il capitale sociale nelle regioni italiane (anno 2009)

0.89

0.73

0.81

0.63

0.710.64

0.45

0.21

0.720.55

0.57

0.430.41

0.38

0.30

0.340.06

0.08

0.64

0.50

0.06 - 0.330.33 - 0.450.45 - 0.600.60 - 0.720.72 - 0.89

0.79

0.88

0.66

0.700.58 0.72

0.72

0.610.60

0.71

0.64

0.45 0.46

0.36

0.22

0.350.17

0.50

0.21

0.13

0.06 - 0.330.33 - 0.450.45 - 0.600.60 - 0.720.72 - 0.89

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente

 

23

   

2.4. Il capitale infrastrutturale

Il capitale infrastrutturale si definisce, solitamente, come un sistema di supporto creato dall'uomo per svolgere le attività economiche nelle migliori condizioni sia in termine temporali che di risparmio. Dunque il capitale infrastrutturale è l’insieme di tutti quegli strumenti di comunicazione (strade, aeroporti, ferrovie) che diminuiscono i tempi degli spostamenti agevolando lo scambio di persone, merci e servizi. Basandosi su questa definizione e sulla disponibilità di dati per gli anni prescelti per l’analisi, si è deciso di utilizzare le seguenti variabili: persone che utilizzano autobus, filobus e tram soddisfatte della frequenza delle corse, persone che utilizzano il pullman soddisfatte della frequenza delle corse, grado di soddisfazione del servizio di trasporto ferroviario, indice di utilizzazione del trasporto ferroviario, utilizzo di mezzi pubblici di trasporto, rete autostradale, rete ferroviaria in esercizio, passeggeri su voli di linea e charter (Tabelle 2.7 e 2.8).

Nel 2003 la regione italiana che deteneva il più elevato indice sintetico del capitale infrastrutturale era la Lombardia (0,69) grazie ai valori delle variabili rete autostradale e passeggeri sui voli di linea a charter. Molto positivo anche il dato del Lazio (0,61), che vantava il maggior utilizzo dei mezzi pubblici di trasporto e ottimi risultati sia nel grado di soddisfazione del trasporto ferroviario che sul numero di passeggeri di aerei. Se il risultato di queste due regioni era piuttosto prevedibile, data l’importanza strategica dei capoluoghi Milano e Roma con conseguente necessità di importanti dotazioni infrastrutturali nelle stesse, meno prevedibile il terzo posto del Friuli-Venezia Giulia (0,66) che oltre a vantare il maggior indice di utilizzo di trasporto ferroviario, ottiene ottimi risultati nel grado di soddisfazione delle persone sia per il trasporto locale che extra urbano. Importante sottolineare anche il dato della regione Liguria (0,61) che vantava il migliore sistema di trasporto ferroviario sia in termini di rete ferroviaria in esercizio sia nel grado di soddisfazione da parte dei cittadini dello stesso.

Ancora una volta è nel Mezzogiorno che si evidenziano le principali criticità (Figure 2.7 e 2.8). La regione Sardegna è storicamente colpita da una penuria infrastrutturale che emerge con chiarezza sia nell’indice sintetico (ultimo posto con 0,19) che disaggregando l’analisi nelle variabili, infatti la stessa detiene il primato negativo in ben 4 variabili su 8, nello specifico: rete autostradale, rete ferroviaria in esercizio, indice di utilizzazione del trasporto ferroviario e persone che utilizzano il pullman soddisfatte della frequenza delle corse. Anche la Sicilia aveva, nel 2003, il valore peggiore nella variabile persone che utilizzano autobus, filobus e tram soddisfatte della frequenza delle corse, con negatività profonde emerse anche nell’indice di utilizzo del trasporto ferroviario (0,03) e nel grado di soddisfazione allo stesso (0,15). A completare il terzetto delle ultime posizioni c’è la Calabria con il peggior grado di soddisfazione del servizio di trasporto ferroviario. Sempre nel 2003 l’Emilia-Romagna evidenziava il peggior dato sull’utilizzo di mezzi pubblici di trasporto.

Nel 2009 si assiste ad un generale e prevedibile miglioramento dei risultati dell’indice sintetico del capitale infrastrutturale. Si conferma il Nord del Paese il detentore dei migliori risultati con la Lombardia che mantiene il valore più elevato, 0,71, e in crescita, oltre alla maggior rete autostradale. La Liguria evidenzia un miglioramento, +0,6 rispetto al 2003 (0,67), confermando il primato nella rete ferroviaria in esercizio e nel grado di soddisfazione del servizio di trasporto ferroviario, ed inoltre migliora sensibilmente in quasi tutte le altre variabili considerate. Si conferma positivo anche il dato del Friuli-Venezia Giulia (0,66) che possiede il miglior indice di utilizzazione del trasporto ferroviario e il maggior utilizzo di mezzi pubblici di

24

 

trasporto. Il Trentino-Alto Adige peggiora la sua situazione infrastrutturale rispetto al 2003 (0,47), conferma però il suo primato nelle due variabili che misurano rispettivamente il grado di soddisfazione del trasporto urbano ed extraurbano (Tabella 2.8).

Le isole rimangono in fondo alla graduatoria anche nel 2009. Calabria e Campania si dividono un primato negativo a testa, con la prima che si conferma, anche nel 2009, quella in cui emerge il minor livello di soddisfazione del servizio di trasporto ferroviario, complici i tagli su corse e materiale rotante eseguiti da Trenitalia e le importanti difficoltà finanziarie riscontrate dall’azienda di trasporto regionale, mentre la seconda è quella in cui c’è il minor livello di soddisfazione sulla frequenza delle corse dei pullman.

L’Umbria con il valore di 0,30 subisce una contrazione rispetto al 2003 (-0,4). Le cause di tali ritardi infrastrutturali, possono essere riconducibili alla lontananza di questa terra da direttrici ferroviarie e autostradali significative e dalla mancanza di strutture aeroportuali importanti.

Quello della mancanza di strutture aeroportuali adeguate è un problema che si riscontra in diverse altre realtà del nostro Paese e rappresenta, certamente, una criticità da evidenziare e, laddove possibile, superare. Sono infatti ben 5 le regioni che, nel 2009, alla voce passeggeri su voli di linea o charter registravano dati nulli, oltre all’Umbria, la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, il Molise e la Basilicata (Tabella 2.8).

25

   

Tabella 2.7. Il capitale infrastrutturale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003)

Persone che utilizzano autobus,

filobus e tram soddisfatte della

frequenza delle corse (16)

Persone che utilizzano il

pullman soddisfatte della frequenza

delle corse (17)

Grado di soddisfazione del servizio di

trasporto ferroviario

(18)

Indice di utilizzazione del trasporto ferroviario

(19)

Utilizzo di mezzi pubblici

di trasporto

(20)

Rete autostradale*

(21)

Rete ferroviaria in

esercizio*

(22)

Passeggeri su voli di linea e

charter*

(23)

Capitale infrastrutturale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,61 0,57 0,59 0,63 0,44 0,46 0,73 0,10 0,52 VALLE D'AOSTA 0,97 1,00 0,77 0,33 0,13 0,49 0,10 0,00 0,47

LOMBARDIA 0,61 0,50 0,59 0,60 0,57 1,00 0,65 1,00 0,69 LIGURIA 0,63 0,82 1,00 0,60 0,44 0,35 1,00 0,03 0,61

TRENTINO-A. A. 1,00 1,00 0,79 0,74 0,15 0,20 0,12 0,00 0,50 VENETO 0,73 0,71 0,82 0,61 0,26 0,37 0,61 0,29 0,55

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,87 0,84 0,68 1,00 0,95 0,39 0,57 0,02 0,66 EMILIA-ROMAGNA 0,87 0,89 0,73 0,63 0,00 0,37 0,40 0,14 0,50

TOSCANA 0,57 0,57 0,56 0,74 0,24 0,27 0,61 0,11 0,46 UMBRIA 0,78 0,42 0,67 0,30 0,07 0,10 0,35 0,00 0,34 MARCHE 0,85 0,79 0,81 0,38 0,13 0,25 0,30 0,02 0,44

LAZIO 0,30 0,24 0,95 0,44 1,00 0,39 0,62 0,95 0,61 ABRUZZO 0,80 0,76 0,68 0,16 0,39 0,47 0,44 0,01 0,46 MOLISE 0,57 0,93 0,41 0,30 0,42 0,12 0,63 0,00 0,42

CAMPANIA 0,29 0,12 0,76 0,38 0,79 0,47 0,75 0,15 0,46 PUGLIA 0,22 0,69 0,53 0,45 0,49 0,23 0,35 0,08 0,38

BASILICATA 0,59 0,63 0,34 0,26 0,62 0,04 0,23 0,00 0,34 CALABRIA 0,29 0,13 0,00 0,57 0,44 0,28 0,53 0,05 0,29

SICILIA 0,00 0,41 0,16 0,04 0,25 0,34 0,49 0,30 0,25 SARDEGNA 0,26 0,00 0,79 0,00 0,29 0,00 0,00 0,15 0,19

* Valore medio 2002-2003-2004 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

26

 

Tabella 2.8. Il capitale infrastrutturale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Persone che utilizzano autobus,

filobus e tram soddisfatte della

frequenza delle corse(16)

Persone che utilizzano il

pullman soddisfatte della frequenza

delle corse (17)

Grado di soddisfazione del servizio di

trasporto ferroviario

(18)

Indice di utilizzazione del trasporto ferroviario

(19)

Utilizzo di mezzi pubblici

di trasporto

(20)

Rete autostradale

(21)

Rete ferroviaria in

esercizio

(22)

Passeggeri su voli di linea e

charter*

(23)

Capitale infrastrutturale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,60 0,30 0,43 0,85 0,75 0,46 0,76 0,09 0,53 VALLE D'AOSTA 0,85 0,74 0,62 0,48 0,00 0,51 0,09 0,00 0,41

LOMBARDIA 0,58 0,51 0,48 0,76 0,80 1,00 0,71 0,86 0,71 LIGURIA 0,66 0,65 1,00 0,86 0,79 0,36 1,00 0,03 0,67

TRENTINO-A. A. 1,00 1,00 0,57 0,77 0,08 0,22 0,12 0,00 0,47 VENETO 0,79 0,62 0,69 0,72 0,18 0,41 0,63 0,30 0,54

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,93 0,77 0,35 1,00 1,00 0,39 0,56 0,02 0,63 EMILIA-ROMAGNA 0,89 0,89 0,63 0,82 0,08 0,37 0,54 0,15 0,55

TOSCANA 0,61 0,74 0,60 0,89 0,12 0,27 0,61 0,15 0,50 UMBRIA 0,56 0,26 0,55 0,52 0,07 0,10 0,34 0,00 0,30 MARCHE 0,81 0,86 0,55 0,59 0,14 0,26 0,30 0,01 0,44

LAZIO 0,22 0,17 0,66 0,75 0,83 0,39 0,74 1,00 0,59 ABRUZZO 0,66 0,72 0,54 0,27 0,23 0,47 0,40 0,01 0,41 MOLISE 0,68 0,88 0,39 0,41 0,82 0,12 0,58 0,00 0,48

CAMPANIA 0,27 0,00 0,65 0,61 0,99 0,47 0,86 0,14 0,50 PUGLIA 0,29 0,67 0,54 0,42 0,36 0,23 0,33 0,10 0,37

BASILICATA 0,77 0,78 0,43 0,25 0,68 0,04 0,25 0,00 0,40 CALABRIA 0,42 0,23 0,00 0,62 0,59 0,28 0,52 0,06 0,34

SICILIA 0,00 0,38 0,15 0,03 0,31 0,37 0,48 0,30 0,25 SARDEGNA 0,49 0,18 0,67 0,00 0,10 0,00 0,00 0,17 0,20

*Per la Valle d’Aosta il dato è aggiornato al 2008 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

27

 

Legenda variabili: (16) Persone che utilizzano autobus, filobus e tram soddisfatte della frequenza delle corse per 100 utenti di 14 anni

e più. (17) Persone che utilizzano il pullman soddisfatte della frequenza delle corse per 100 utenti di 14 anni e più. (18) Grado di soddisfazione del servizio di trasporto ferroviario. Media delle persone che si dichiarano soddisfatte

delle sette diverse caratteristiche del servizio rilevate sul totale. (19) Indice di utilizzazione del trasporto ferroviario. Persone che hanno utilizzato il mezzo di trasporto almeno una

volta nell'anno sul totale della popolazione di 14 anni e più. (20) Utilizzo di mezzi pubblici di trasporto: occupati, studenti e scolari, utenti di mezzi pubblici sul totale delle

persone che si sono spostate per motivi di lavoro e di studio e hanno usato mezzi di trasporto (%). La popolazione di riferimento sono gli occupati di 15 anni e più, gli studenti fino a 34 anni e gli scolari di scuola materna che sono usciti di casa per recarsi al lavoro, università e scuola. Sono considerati mezzi pubblici: treno, tram, bus, metropolitane, pullman e corriere. Sono stati esclusi i pullman e le navette aziendali. Sulla base dei dati definitivi del Censimento Popolazione 2001 sono stati ricalcolati i pesi di riporto all'universo e pertanto, a partire dal 2001, i dati assoluti hanno subito una revisione. Per gli altri anni è stata fatta una revisione generale dei dati di base che può aver dato luogo a delle variazioni. Nell'anno 2004 l'Indagine Multiscopo ha subito lo spostamento del periodo di rilevazione da novembre a gennaio-febbraio 2005 (Regolamento Europeo N° 808/2004). Pertanto, i dati dell'anno 2004 non saranno disponibili.

(21) Rete autostradale per regione (km per 1.000 km2 di superficie territoriale). I dati relativi a Emilia-Romagna e Marche risentono della variazione del territorio nel corso del 2009, ai sensi della legge n.117 del 3 agosto 2009.

(22) Rete ferroviaria in esercizio per regione km per 100 km2, dal 2000 l’estensione della rete ferroviaria non comprende più le linee esercitate in regime di raccordo; tali linee, nel 1999, ammontavano a 173 chilometri. Dal 2009 i dati si riferiscono al 30 giugno. Il dato delle province autonome di Bolzano e Trento relativo al 2011 è stimato

(23) Passeggeri su voli interni e internazionali di linea e charter per regione: i dati per la Valle d'Aosta del 2009 non sono disponibili; Basilicata, Molise e la provincia autonoma di Trento non presentano aeroporti compresi nella rilevazione.

28

 

 

Figura 2.7. Il capitale infrastrutturale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003)

Figura 2.8. Il capitale infrastrutturale nelle regioni italiane (anno 2009)

0.69

0.52

0.55

0.66

0.61

0.52

0.50

0.47

0.50

0.46 0.440.34

0.19

0.25

0.34

0.46

0.42

0.38

0.29

0.46

0.19- 0.340.34 - 0.440.44 - 0.500.50 - 0.550.55 - 0.71

0.71

0.53

0.53 0.55

0.54

0.63

0.59

0.50

0.47

0.41

0.440.30

0.41

0.48

0.370.500.40

0.34

0.25

0.20

0.19- 0.340.34 - 0.440.44 - 0.500.50 - 0.550.55 - 0.71

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

29

   

2.5. Il capitale produttivo

Il capitale produttivo fornisce una misura della struttura produttiva di un territorio, ed è stato individuato attraverso un insieme di variabili appartenenti a due sottocategorie: densità imprenditoriale e attività industriali.

La regione caratterizzata dalla maggiore dotazione di capitale produttivo nel 2003 è l’Emilia-Romagna (0,8), che presenta valori elevati per tutti gli indicatori analizzati, seguita a poca distanza dalle altre regioni manifatturiere: Veneto (0,77), Piemonte e Lombardia (0,75 per entrambe) e Marche (0,72). Le regioni con una minore dotazione del capitale produttivo sono quelle del Mezzogiorno (Figura 2.9).

Nel 2009 si assiste ad una riduzione dell’indice sintetico del capitale produttivo in tutte le regioni italiane, con l’eccezione delle Marche, dell’Abruzzo e del Lazio in cui si registra un lieve aumento, a conferma del fatto che la crisi ha colpito principalmente il settore manifatturiero. Tuttavia anche per il 2009 le regioni che presentano i più alti livelli sono quelle industriali: Emilia-Romagna (0,74), Marche (0,73), Veneto (0,70), Piemonte (0,68), seguite dalla Lombardia, dall’Abruzzo, dal Trentino Alto-Adige e dalla Toscana a pari merito (0,64). Come nel 2003 le regioni con una minore dotazione di capitale produttivo sono quelle del Mezzogiorno, ad esclusione di Abruzzo e Molise che presentano valori elevati (Figura 2.10).

Nel 2003 la regione italiana che registra il valore più alto dell’indice di imprenditorialità, misurato come numero di imprese attive rispetto alla popolazione residente, è la Valle d’Aosta (10,5 imprese ogni 100 abitanti), seguita a breve distanza dalle Marche, dal Trentino Alto-Adige, dal Molise, dall’Emilia-Romagna e dall’Abruzzo, regioni con più di 10 imprese ogni 100 abitanti. Il Lazio e la Calabria si collocano nelle ultime posizioni con rispettivamente 6,8 e 7,5 imprese ogni 100 abitanti. Nel 2009 presentano i valori più elevati dell’indice di imprenditorialità le Marche (con 10,2 imprese ogni 100 abitanti), il Molise e il Trentino Alto-Adige, mentre in Sicilia e in Calabria la variabile assume i livelli più bassi (rispettivamente 7,7 e 7,8 imprese ogni 100 abitanti) (Tabelle 2.9 e 2.10).

La produttività del lavoro nell’industria in senso stretto, calcolato come valore aggiunto su unità di lavoro, assume i valori più elevati per entrambi gli anni dell’analisi nel Lazio. Nel 2003 seguono nell’ordine la Lombardia (0,79) e la Valle d’Aosta (0,66) e nel 2009 le posizioni sono ribaltate. Le regioni con le peggiori performance sono le Marche, la Puglia e in generale quelle del Sud.

Dall’analisi dei dati non standardizzati della produttività dell’industria in senso stretto emerge che la variabile diminuisce in tutte le regioni italiane - con la sola eccezione del Lazio e della Campania, dove si registra un lieve aumento - nel 2009 rispetto al 2003 ed in alcune regioni tale riduzione è consistente. Tale andamento è determinato dal fatto che in Italia i diversi comparti dell’industria manifatturiera non hanno innescato, in termini generalizzati, un comune processo di innovazione e ristrutturazione, pertanto il tasso di crescita dell’occupazione negli anni è stato superiore a quello della produzione portando così ad una riduzione della produttività.

Nel 2003 la quota di occupati nell’industria rispetto al totale risulta più elevato in Veneto, nelle Marche, nel Piemonte e nella Lombardia, in questo caso sono la Sicilia, il Lazio e la Calabria che registrano i valori inferiori. La situazione cambia leggermente nel 2009 con le Marche che hanno il valore più elevato, seguite dal Veneto (0,91) e dalla Lombardia (0,79), mentre in ultima posizione si trova ancora la Sicilia che precede la Calabria e il Lazio.

30

 

L’intensità energetica, misura dell’efficienza energetica di un sistema economico, viene calcolata come quantità di energia consumata per la produzione di un’unità di prodotto. Un valore non elevato di tale variabile è sintomo della capacità di un’economia di disaccoppiare il proprio sviluppo dal consumo di risorse, motivo per il quale nel calcolo dell’indice sintetico del capitale produttivo per questa variabile si è considerato il complemento a 1. Dall’analisi dell’intensità energetica per il settore industriale, emerge che sia nel 2003 che nel 2009 la Sardegna presenta un valore particolarmente elevato rispetto a quello delle altre regioni italiane, questo è dovuto sostanzialmente alla forte concentrazione nel territorio di industrie chimiche e metallurgiche, che come noto sono industrie energivore. In Calabria, nel Lazio e in Liguria si registrano i valori più bassi di intensità energetica dell’industria in entrambi gli anni dell’analisi, ma anche in Emilia-Romagna i livelli non sono elevati (0,13 nel 2003 e 0,10 nel 2009) evidenziando un utilizzo efficiente dell’energia.

Tabella 2.9. Il capitale produttivo nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003-2004)

Indice

imprenditorialità

(24)

Produttività del lavoro nell'industria

in senso stretto (25)

Occupati industria sul totale degli

occupati (26)

Intensità energetica

dell'industria (27)

Capitale produttivo

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,73 0,56 0,96 0,24 0,75 VALLE D'AOSTA 1,00 0,66 0,30 0,33 0,66

LOMBARDIA 0,45 0,79 0,93 0,17 0,75 LIGURIA 0,51 0,59 0,05 0,09 0,51

TRENTINO-A. A. 0,98 0,57 0,37 0,17 0,69 VENETO 0,81 0,43 1,00 0,18 0,77

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,48 0,33 0,76 0,49 0,52 EMILIA-ROMAGNA 0,94 0,56 0,84 0,13 0,80

TOSCANA 0,81 0,34 0,60 0,20 0,64 UMBRIA 0,75 0,26 0,68 0,45 0,56 MARCHE 0,98 0,00 0,99 0,11 0,72

LAZIO 0,00 1,00 0,03 0,03 0,50 ABRUZZO 0,86 0,29 0,54 0,27 0,61 MOLISE 0,95 0,09 0,55 0,37 0,55

CAMPANIA 0,24 0,06 0,30 0,11 0,38 PUGLIA 0,43 0,02 0,34 0,38 0,35

BASILICATA 0,70 0,10 0,57 0,36 0,50 CALABRIA 0,19 0,27 0,04 0,00 0,37

SICILIA 0,25 0,47 0,00 0,36 0,34 SARDEGNA 0,52 0,46 0,23 1,00 0,30

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Movimprese, Terna

31

   

Tabella 2.10. Il capitale produttivo nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Indice

imprenditorialità

(24)

Produttività del lavoro nell'industria

in senso stretto (25)

Occupati industria sul totale degli

occupati (26)

Intensità energetica

dell'industria (27)

Capitale produttivo

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,71 0,56 0,66 0,22 0,68 VALLE D'AOSTA 0,84 0,67 0,25 0,23 0,63

LOMBARDIA 0,30 0,63 0,79 0,16 0,64 LIGURIA 0,45 0,53 0,08 0,02 0,51

TRENTINO-A. A. 0,92 0,44 0,34 0,13 0,64 VENETO 0,67 0,37 0,91 0,15 0,70

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,13 0,28 0,72 0,46 0,42 EMILIA-ROMAGNA 0,86 0,49 0,72 0,10 0,74

TOSCANA 0,86 0,35 0,50 0,16 0,64 UMBRIA 0,64 0,29 0,56 0,38 0,53 MARCHE 1,00 0,00 1,00 0,08 0,73

LAZIO 0,18 1,00 0,04 0,00 0,56 ABRUZZO 0,89 0,34 0,55 0,20 0,64 MOLISE 0,97 0,11 0,46 0,32 0,55

CAMPANIA 0,19 0,17 0,25 0,11 0,37 PUGLIA 0,24 0,09 0,29 0,36 0,31

BASILICATA 0,66 0,16 0,38 0,40 0,45 CALABRIA 0,04 0,11 0,03 0,00 0,30

SICILIA 0,00 0,38 0,00 0,38 0,25 SARDEGNA 0,49 0,40 0,12 1,00 0,25

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Movimprese, Terna

Nota: Per il calcolo dell’indice sintetico, sono stati considerati i complementi ad 1 dei valori standardizzati per le variabili indicate dal riquadro tratteggiato, il cui contributo al capitale territoriale è negativo per valori alti della variabile. Per maggiori dettagli si veda l’Appendice metodologica.

Legenda variabili: (24) Indice di Imprenditorialità: numero di imprese attive/popolazione residente. (25) Produttività del lavoro nell’industria in senso stretto: valore aggiunto dell’industria in senso stretto su unità di

lavoro dello stesso settore (migliaia di euro concatenati, anno di riferimento 2000).L'industria in senso stretto comprende l'industria estrattiva, manifatturiera e della produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas.

(26) Occupati nell’industria sul totale degli occupati. (27) Intensità energetica dell’industria: consumi energia elettrica nell’industria (in milioni di Kwh)/valore aggiunto

dell’industria (prezzi correnti).

32

 

Figura 2.9. Il capitale produttivo nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 2.10. Il capitale produttivo nelle regioni italiane (anno 2009)

0.75

0.75

0.69

0.77

0.80

0.720.64

0.660.52

0.51

0.56

0.610.50

0.30

0.34

0.37

0.35

0.50

0.38

0.55

0.25 - 0.370.37 - 0.510.51 - 0.610.61 - 0.670.67 - 0.80

0.68

0.64

0.64

0.70

0.74

0.730.64

0.64

0.63

0.68

0.42

0.45

0.37

0.550.56

0.53

0.25

0.25

0.30

0.31

0.25 - 0.370.37 - 0.510.51 - 0.610.61 - 0.670.67 - 0.80

 

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Movimprese, Terna

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Movimprese, Terna

33

   

2.6. Il capitale relazionale

Il capitale relazionale può essere definito come l’insieme dei rapporti sviluppati dagli attori locali sia all’interno che all’esterno di un territorio. È una delle componenti meno tradizionali del capitale territoriale ed è alla base dei processi di crescita, di apertura e di cooperazione3.

Per ottenere una misura sintetica del capitale relazione per le regioni italiane, e tenendo conto della difficoltà di disporre di variabili aggiornate e capaci di cogliere il fenomeno studiato, sono state individuate le seguenti variabili: capacità di esportare, grado di apertura dei mercati, capacità di esportare in settori a domanda mondiale dinamica, indice di diffusione degli sportelli bancari e Spin-off attivi.

La regione che presenta nel 2003 la maggior dotazione di capitale relazionale è la Lombardia (0,69), seguita dall’Emilia-Romagna (0,66) e dal Piemonte (0,57). I livelli più bassi sono registrati dalla Calabria (0,08), dalla Puglia e dal Molise (0,16 per entrambe) e più in generale da tutte le regioni del Mezzogiorno con l’eccezione della Basilicata (Figura 2.11).

Nel 2009 si osserva in quasi tutte le regioni italiane un incremento, anche se contenuto, del capitale relazionale rispetto al 2003. Le Marche, la Puglia, la Sardegna e il Friuli-Venezia Giulia registrano l’aumento più rilevante. Anche nel 2009 per dotazione di capitale relazione permangono nelle prime posizioni la Lombardia (0,73), l’Emilia-Romagna (0,68) e il Piemonte (0,60), mentre le regioni che nello stesso anno presentano i livelli minori dell’indice sono la Calabria (0,13), il Molise (0,19) e la Sicilia (0,21). La dotazione di capitale relazionale è molto differenziato tra le regioni e cresce gradualmente dal Sud al Nord del Paese (ad eccezione della Valle d’Aosta che ha un valore contenuto) (Figura 2.12).

Analizzando le variabili che concorrono alla costruzione dell’indice sintetico del capitale relazionale si osservano delle profonde differenze tra le diverse regioni (Tabelle 2.11 e 2.12).

Nel 2003 il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia (0,94) e l’Emilia-Romagna a pari merito con il Piemonte (0,88) presentano i valori più elevati per la capacità di esportare (valore delle esportazioni di merci in % del Pil). Nel 2009 la situazione cambia leggermente, al primo posto si trova il Friuli-Venezia Giulia, seguito dal Veneto (0,94) e dall’Emilia-Romagna (0,89). Per entrambi gli anni è la Calabria che registra la minor capacità di esportare (occorre però sottolineare come il peso del commercio estero sia poco rilevante sull’economia regionale), seguita dalla Sicilia (0,19) nel 2003 e dal Molise (0,18) nel 2009, al terz’ultimo posto si colloca il Lazio (0,22 nel 2003 e 0,20 nel 2009).

Per quanto riguarda il grado di apertura dei mercati (valore delle importazioni di merci in % del Pil) le regioni con le migliori performance per entrambi gli anni dell’analisi sono la Lombardia, il Veneto e il Piemonte (a pari merito con la Liguria nel 2009). All’ultimo posto troviamo nuovamente la Calabria.

Analizzando la capacità di esportare in settori a domanda mondiale dinamica, si osserva una situazione completamente diversa, da quelle riscontrate per le altre serie collegate al commercio estero, proprio per la particolarità dei settori considerati (si veda la legenda delle variabili). Nel 2003 i valori più elevati si registrano per il Lazio, la Basilicata (0,94) e l’Abruzzo (0,63), mentre in questo caso sono le Marche, seguite dall’Umbria (0,04) e dalla Sardegna (0,07), le regioni con la peggiore performance. Nel 2009 si colloca al primo posto la Basilicata,

                                                            3 R. Camagni (ed.) (1991), Innovation Networks: Spatial Perspectives, Belhaven-Pinter.

34

 

superando il Lazio (0,74), e all’ultimo posto la Sardegna che precede la Valle d’Aosta (0,06) e la Sicilia (0,09), con le Marche che salgono al nono posto (0,34).

Per indice di diffusione degli sportelli bancari si colloca al primo posto in entrambi gli anni considerati il Trentino-Alto Adige, con la presenza di 96 sportelli ogni 100.000 abitanti nel 2003, che si riducono a 95 nel 2009. L’Emilia-Romagna al terzo posto nel 2003, dopo la Valle d’Aosta, si posiziona al secondo nel 2009, con 83 sportelli ogni 100.000 abitanti. In coda troviamo in entrambi gli anni la Calabria (26 sportelli ogni 100.000 abitanti nel 2009), seguita dalle altre regioni del Mezzogiorno.

Gli Spin-off universitari sono una realtà in crescita nel nostro Paese, solo nel 2009 ne sono stati costituiti 75 (pari all’8,6% del numero complessivo). In entrambi gli anni dell’analisi è l’Emilia-Romagna la regione con il maggior numero di Spin-off, seguita nel 2009 dalla Lombardia (0,84), Toscana (0,75) e dal Piemonte (0,71). Il fenomeno è concentrato soprattutto nel Nord (oltre il 50% delle imprese) e nel Centro (26,9%), ma negli ultimi anni è in espansione anche nel Mezzogiorno (22,5%).

Tabella 2.11. Il capitale relazionale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003-2004)

Capacità di esportare

(28)

Grado di apertura dei

mercati

(29)

Capacità di esportare in

settori a domanda mondiale dinamica

(30)

Indice di diffusione

degli sportelli bancari

(31)

Spin-off attivi*

(32)

Capitale relazionale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,88 0,54 0,47 0,48 0,50 0,57 VALLE D'AOSTA 0,33 0,24 0,15 0,78 0,00 0,30

LOMBARDIA 0,86 1,00 0,42 0,55 0,61 0,69 LIGURIA 0,28 0,51 0,39 0,46 0,54 0,44

TRENTINO-A. A. 0,52 0,44 0,20 1,00 0,08 0,45 VENETO 1,00 0,66 0,17 0,64 0,27 0,55

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,94 0,40 0,20 0,73 0,19 0,49 EMILIA-ROMAGNA 0,88 0,44 0,22 0,75 1,00 0,66

TOSCANA 0,74 0,45 0,13 0,53 0,80 0,53 UMBRIA 0,41 0,26 0,04 0,53 0,11 0,27 MARCHE 0,79 0,28 0,00 0,63 0,11 0,36

LAZIO 0,22 0,40 1,00 0,30 0,08 0,40 ABRUZZO 0,71 0,40 0,63 0,32 0,00 0,41 MOLISE 0,29 0,15 0,12 0,26 0,00 0,16

CAMPANIA 0,25 0,22 0,51 0,02 0,15 0,23 PUGLIA 0,28 0,20 0,11 0,11 0,08 0,16

BASILICATA 0,45 0,09 0,94 0,22 0,00 0,34 CALABRIA 0,00 0,00 0,28 0,00 0,11 0,08

SICILIA 0,19 0,44 0,34 0,12 0,11 0,24 SARDEGNA 0,24 0,37 0,07 0,22 0,00 0,18

* Dati relativi al periodo 2002-2005 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Netval, Tidona Comunicazione

35

   

Tabella 2.12. Il capitale relazionale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Capacità di esportare

(28)

Grado di apertura dei

mercati

(29)

Capacità di esportare in

settori a domanda mondiale dinamica

(30)

Indice di diffusione

degli sportelli bancari*

(31)

Spin-off attivi

(32)

Capitale relazionale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,79 0,57 0,41 0,51 0,71 0,60 VALLE D'AOSTA 0,33 0,14 0,06 0,73 0,00 0,25

LOMBARDIA 0,85 1,00 0,33 0,62 0,84 0,73 LIGURIA 0,41 0,57 0,42 0,51 0,24 0,43

TRENTINO-A. A. 0,48 0,46 0,17 1,00 0,13 0,45 VENETO 0,90 0,68 0,13 0,70 0,35 0,55

FRIULI-VENEZIA GIULIA 1,00 0,45 0,25 0,75 0,45 0,58 EMILIA-ROMAGNA 0,89 0,50 0,20 0,82 1,00 0,68

TOSCANA 0,71 0,47 0,14 0,62 0,75 0,54 UMBRIA 0,39 0,23 0,10 0,55 0,30 0,31 MARCHE 0,63 0,39 0,34 0,76 0,34 0,49

LAZIO 0,20 0,46 0,74 0,34 0,50 0,45 ABRUZZO 0,60 0,29 0,52 0,39 0,09 0,38 MOLISE 0,18 0,15 0,28 0,28 0,03 0,19

CAMPANIA 0,25 0,25 0,42 0,03 0,27 0,24 PUGLIA 0,25 0,30 0,35 0,13 0,41 0,29

BASILICATA 0,43 0,21 1,00 0,23 0,03 0,38 CALABRIA 0,00 0,00 0,40 0,00 0,24 0,13

SICILIA 0,21 0,39 0,09 0,14 0,24 0,21 SARDEGNA 0,30 0,51 0,00 0,20 0,42 0,29

* Dati fino a settembre 2009 Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Netval, Tidona Comunicazione Legenda variabili: (28) Capacità di esportare: valore delle esportazioni di merci in % del PIL. (29) Grado di apertura dei mercati: valore delle importazioni di merci in % del PIL. (30) Capacità di esportare in settori a domanda mondiale dinamica: quota percentuale del valore delle esportazioni

in settori a domanda mondiale dinamica sul totale delle esportazioni. Fino all'anno 2008, i settori dinamici considerati, secondo la classificazione Ateco 2002, sono: DG- Prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali; DL-Macchine elettriche ed apparecchiature elettriche, ottiche e di precisione; DM-Mezzi di trasporto; KK- Prodotti delle attività informatiche, professionali ed imprenditoriali; OO - Prodotti di altri servizi pubblici, sociali e personali. Dal 2009, con l'adozione della nuova classificazione Ateco 2007, i settori dinamici sono: CE-Sostanze e prodotti chimici; CF - Articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici; CI-Computer, apparecchi elettronici e ottici; CJ - Apparecchi elettrici; CL-Mezzi di trasporto; M - Attività professionali, scientifiche e tecniche; R - Attività artistiche, di intrattenimento e divertimento; S - Altre attività di servizi.

(31) Indice di diffusione degli sportelli bancari: numero di sportelli bancari ogni 100.000 abitanti. (32) Numero di Spin-off attivi.

36

 

 

Figura 2.11. Il capitale relazionale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 2.12. Il capitale relazionale nelle regioni italiane (anno 2009)

0.57

0.69 0.55

0.66

0.450.49

0.30

0.44

0.53

0.40

0.270.36

0.41

0.16

0.34

0.08

0.24

0.18

0.16

0.23

0.08 - 0.240.24 - 0.320.32 - 0.440.44 - 0.540.54 - 0.73

0.60

0.73

0.68

0.55

0.58

0.29

0.54

0.43

0.25

0.45

0.490.31

0.450.38

0.24

0.19

0.29

0.38

0.13

0.21

0.08 - 0.240.24 - 0.320.32 - 0.440.44 - 0.540.54 - 0.73

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Netval, Tidona Comunicazione

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Netval, Tidona Comunicazione

37

   

2.7. Il capitale ambientale

Uno sviluppo territoriale che abbia come finalità quella di assicurare sostenibilità intra-generazionale, cioè un basso livello d’impatto sull’ambiente e sulla salute della popolazione, ed equità inter-generazionale, ossia capace di lasciare alle generazioni successive la medesima possibilità di vita sullo stesso territorio, deve guardare con estrema attenzione alla preservazione delle risorse naturali a disposizione.

Per questo, il capitale ambientale è costruito tenendo conto di tutte quelle variabili che possono condizionare, anche in modo permanente, la vivibilità di un territorio: la qualità dell’aria, osservata sulla base del numero di famiglie che denunciano problemi di salubrità; la spesa per la tutela ambientale e la disponibilità di verde pubblico, che indicano l’attenzione delle istituzioni alla protezione delle risorse; l’utilizzo dei fitosanitari in agricoltura, cui è strettamente collegata la qualità delle acque e lo stress biologico a cui è sottoposto il terreno agricolo; la quantità di raccolta differenziata dei rifiuti, la distribuzione dell’acqua e la tenuta del sistema elettrico, che danno una misura dell’utilizzo ottimale delle risorse locali.

Nel 2003 il capitale ambientale presenta un sostanziale squilibrio tra Centro-Nord e Sud: i valori più alti si registrano nelle regioni centro-settentrionali, con la presenza eccezionale della Basilicata tra le regioni più dotate, quelli più bassi si registrano al Sud, in Liguria e nel Lazio.

La Valle d’Aosta nel 2003 si presenta come la regione leader della qualità dell’ambiente, facendo registrare il più alto indice di capitale ambientale (0,76), favorita soprattutto da un’elevatissima spesa per l’ambiente, dalla quasi assenza di fitosanitari, da un’aria salubre e da un solido sistema elettrico e idrico. Alle spalle si collocano il Trentino-Alto Adige (0,58) e l’Abruzzo (0,55), dove l’aria pulita e il record di spazio verde a disposizione bilanciano i risultati più scarsi nelle altre variabili. In fondo alla classifica 5 regioni del Sud: Sardegna (0,34), Puglia (0,31), Calabria (0,24), Campania (0,17) e Sicilia (0,14), il cui ultimo posto risente del massiccio utilizzo di fitosanitari e del fatiscente sistema di distribuzione dell’acqua.

Nel 2009, in tutte le regioni si assiste ad un aumento della dotazione di capitale ambientale, rispetto al periodo precedentemente preso in esame. In generale si nota una netta crescita della spesa per la tutela ambientale e della raccolta differenziata e una riduzione dell’uso di fitosanitari e delle irregolarità idriche ed elettriche, a testimonianza di una nuova consapevolezza nei confronti delle risorse naturali, orientata soprattutto da politiche di matrice europea.

Il dualismo Centro-Nord-Sud viene in parte smussato: agli ultimi posti, insieme alle regioni del Mezzogiorno, troviamo Veneto, Liguria e Lazio, seppure con valori decisamente più alti, mentre due regioni del Sud, Basilicata e Sardegna, conquistano una dotazione di capitale ambientale da prima classe (rispettivamente terzo e quinto posto).

A livello regionale, nel 2009, si conferma con il capitale ambientale più consistente la Valle d’Aosta (0,78). Il Trentino-Alto Adige, migliora nettamente la sua prestazione nel settore della raccolta differenziata (da 0,58 a 0,69 nel 2009), consolidando la sua seconda posizione. Miglioramento evidente anche per la Basilicata da 0,52 a 0,63, che rafforza soprattutto il suo sistema idrico e va al terzo posto, superando l’Abruzzo e proponendosi come “isola felice” del Sud. Il Mezzogiorno, infatti, con la Sicilia sempre in ultima posizione (0,15), continua ad avere risultati pessimi. La Sardegna evidenzia un miglioramento consistente e rivoluziona la sua gestione di rifiuti, acqua ed energia elettrica e da quintultima nel 2003 diventa quinta nel 2009 (da 0,34 a 0,56), staccandosi dal gruppo di coda. A fare compagnia alle regioni del Sud, sebbene

38

 

con una tendenza alla crescita del capitale ambientale, ritroviamo il Lazio, la Liguria e il Veneto, con problemi comuni (risibile spesa per la tutela ambientale e scarso verde urbano) e problemi specifici (gestione dei rifiuti per il Lazio ed elevato uso di fitosanitari per Liguria e Veneto).

Scendendo nel dettaglio delle singole variabili, non si può fare a meno di sottolineare l’estrema eterogeneità delle situazioni regionali rispetto alla classifica generale del capitale ambientale. Nel 2003, come già osservato, la più alta salubrità dell’aria, misurata attraverso la percentuale di famiglie che denuncia problemi nella qualità dell’aria, viene registrata in Valle d’Aosta (10 famiglie su 100), Basilicata e Marche. La maglia nera va invece alla Campania, con 32 famiglie su 100 che dichiarano problemi nella qualità dell’aria, seguita da Lazio (27%), Lombardia e Veneto (26%). Nel 2009 si ha una generale riduzione dei problemi dell’aria, con la risalita al secondo posto del Trentino-Alto Adige. La qualità peggiora soltanto nelle Marche, in Puglia, Abruzzo, Molise e in Basilicata.

L’ammontare di spesa per la tutela dell’ambiente, ponderata per il numero di abitanti, offre un importante spaccato circa l’attenzione mostrata dalle istituzioni regionali rispetto al settore “verde”. Anche qui il primato spetta alla Valle d’Aosta, che nel 2003 spende quasi 750 euro per ciascun abitante. A seguire la Sardegna, con 329 euro per abitante, e il Trentino, 308 euro. Ultima è l’Emilia-Romagna che, con 22 euro per abitante, viene superata da Marche, Abruzzo e dalle regioni del Sud (si notino i 200 euro pro capite della regione Calabria, che però a fronte di un’alta spesa non eccelle nei risultati). Nel 2009 gli estremi della classifica rimangono sostanzialmente invariati. L’Emilia-Romagna riduce a 18 euro la spesa pro capite rimanendo all’ultimo posto. Molise (da 51 a 125 euro pro capite) e Puglia (da 38 a 83 euro pro capite) raddoppiano il proprio intervento economico.

La presenza di verde urbano, riferita ai soli capoluoghi di provincia delle regioni e misurata in metri quadrati di verde disponibile per abitante, nel 2003 trova la sua massima estensione in Abruzzo (quasi 700 mq di verde a disposizione di ogni abitante) e in Basilicata (578 mq), seguite dal Centro-Italia: Toscana (213 mq), Umbria (198 mq), Marche (170 mq) ed Emilia-Romagna (160 mq). Poco verde urbano si riscontra in Molise, ultima con 18 mq di verde per abitante, in Calabria (20 mq) e Valle D’Aosta (27 mq). Nel 2009 prevale un sostanziale equilibrio, sebbene in alcuni capoluoghi sorgano nuovi spazi verdi (Veneto e Sicilia) e in altri questi si riducano, soprattutto nel Lazio e nelle regioni più dotate (Abruzzo, Basilicata, Umbria).

L’utilizzo dei prodotti fitosanitari nell’agricoltura è indicativo della pressione che la chimica industriale impone al terreno agricolo e alle acque circostanti. Nel periodo che va dal 2003 al 2009 tutte le regioni ne hanno ridotto l’uso, seppur lievemente. Unica eccezione è il Veneto, che passa da 11,5 kg di principi attivi per ettaro di SAU, a 12 kg e diventa prima in graduatoria nel 2009 e supera la Sicilia (con 12,2 kg di fitosanitari per ettaro di SAU), la Liguria (11,6 kg per ettaro) e l’Emilia-Romagna (10,4 kg per ettaro) nelle prime tre posizioni nel 2003. Nel 2009 le regioni con il più basso utilizzo di fitosanitari si confermano le stesse: Valle d’Aosta (0,10 kg per ettaro), Molise (1,1 kg per ettaro), Sardegna (1,4 kg per ettaro) e Basilicata (1,5 kg per ettaro).

Analizzando la percentuale di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti urbani, emerge una chiarissima tendenza di spinta verso la differenziata: in media si passa dal 21% al 33,6% dei rifiuti urbani totali. Se nel 2003 le prime posizioni erano rispettivamente di Veneto (41,7%), Lombardia (39%) e Trentino-Alto Adige (33%), nel 2009 il Trentino-Alto Adige diventa leader della differenziata, con il (57,8%) seguito da Veneto (57,5%), Friuli-Venezia Giulia (49,9%) e Piemonte (49,8%). Cresce in modo modesto la Sicilia, dal 5,2% al

39

   

7,3% e si trova nel 2009 in ultima posizione, superata dai progressivi miglioramenti della Sardegna e del Molise. Il Molise, però, aumenta di poco la propria percentuale di differenziata, mentre la Sardegna evidenzia un cambiamento radicale: in 5 anni passa dal 4% al 42,5%.

La qualità della distribuzione dell’acqua è misurata attraverso la percentuale di famiglie che denunciano irregolarità e rappresenta un significativo indicatore dell’utilizzo corretto della risorsa idrica di un territorio. Dal 2003 al 2009 tutte le regioni hanno migliorato le proprie prestazioni. Soltanto l’Abruzzo vede un peggioramento, con un aumento delle famiglie disagiate da 18 a 22 su 100. Nel 2003 le migliori prestazioni erano del Friuli-Venezia Giulia (3%), Trentino-Alto Adige (4%) ed Emilia-Romagna (6%), mentre il sistema idrico più scadente apparteneva alle regioni del Mezzogiorno, con Calabria e Sicilia in ultima posizione (circa 40 famiglie su 100 denunciavano irregolarità nella distribuzione dell’acqua). Nel 2009 il miglioramento generale tiene fermi gli estremi della classifica, segnalando la discesa dell’Abruzzo in terzultima posizione. Da sottolineare come le iniziative per il miglioramento dei servizi idrici e nella gestione dei rifiuti sono cofinanziati dai Fondi strutturali negli obiettivi di servizio e prevedono con il raggiungimento dei target una cospicua premialità per il periodo 2007-2013.

L’analisi termina con l’interruzione del servizio elettrico, che abbiamo voluto inserire tra le variabili ambientali perché indicativa della tenuta della rete energetica regionale e dell’efficienza di un territorio nella gestione e distribuzione di una risorsa di strategica importanza. I dati, espressi dalla frequenza di interruzioni accidentali lunghe per utente, mostrano che non tutte le regioni hanno migliorato la propria performance. Nel 2003 la Valle d’Aosta, la Lombardia e il Friuli-Venezia Giulia avevano la migliore tenuta della rete elettrica (rispettivamente 1,3 1,5 e 1,7 interruzioni medie per utente). Il sistema più carente era delle regioni del Sud (ultima la Calabria con quasi 5 interruzioni medie per utente) e del Trentino-Alto Adige (3 interruzioni). Nel 2009 la Valle d’Aosta viene superata da Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Emilia-Romagna, Molise e Umbria. In fondo la Sicilia, che ha aumentato da 4 a 5 le interruzioni, scavalcata da Campania Calabria e Puglia.

40

 

Tabella 2.13. Il capitale ambientale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003-2004)

Famiglie che

segnalano problemi dell’aria

(33)

Spesa per la tutela

ambientale (34)

Verde urbano nei Capoluoghi di

Provincia (35)

Utilizzo di fitosanitari in

agricoltura (36)

Raccolta differenziata dei

rifiuti urbani (37)

Irregolarità nella distribuzioni dell’acqua

(38)

Interruzioni del servizio elettrico

(39)

Capitale ambientale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,46 0,05 0,04 0,72 0,65 0,13 0,33 0,44 VALLE D'AOSTA 0,00 1,00 0,01 0,00 0,51 0,18 0,00 0,76

LOMBARDIA 0,72 0,02 0,03 0,40 0,93 0,10 0,07 0,53 LIGURIA 0,45 0,03 0,03 0,94 0,32 0,09 0,27 0,38

TRENTINO-A. A. 0,19 0,39 0,16 0,52 0,77 0,01 0,54 0,58 VENETO 0,72 0,02 0,06 0,94 1,00 0,15 0,21 0,44

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,36 0,07 0,02 0,69 0,58 0,00 0,12 0,50 EMILIA-ROMAGNA 0,48 0,00 0,21 0,85 0,64 0,07 0,13 0,48

TOSCANA 0,42 0,03 0,29 0,34 0,65 0,30 0,34 0,51 UMBRIA 0,39 0,04 0,27 0,25 0,38 0,32 0,25 0,50 MARCHE 0,15 0,00 0,22 0,33 0,31 0,17 0,21 0,53

LAZIO 0,76 0,03 0,16 0,38 0,10 0,25 0,50 0,34 ABRUZZO 0,17 0,02 1,00 0,38 0,22 0,39 0,42 0,55 MOLISE 0,16 0,04 0,00 0,10 0,00 0,31 0,43 0,43

CAMPANIA 1,00 0,10 0,01 0,72 0,13 0,47 0,83 0,17 PUGLIA 0,48 0,02 0,12 0,58 0,12 0,61 0,46 0,31

BASILICATA 0,05 0,18 0,82 0,19 0,05 0,73 0,44 0,52 CALABRIA 0,31 0,25 0,00 0,39 0,12 1,00 1,00 0,24

SICILIA 0,43 0,10 0,10 1,00 0,04 1,00 0,81 0,14 SARDEGNA 0,47 0,42 0,13 0,12 0,01 0,76 0,82 0,34

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente

41

   

Tabella 2.14. Il capitale ambientale nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Famiglie che

segnalano problemi dell’aria

(33)

Spesa per la tutela

ambientale (34)

Verde urbano nei Capoluoghi di

Provincia (35)

Utilizzo di fitosanitari in

agricoltura (36)

Raccolta differenziata dei

rifiuti urbani (37)

Irregolarità nella distribuzioni dell’acqua

(38)

Interruzioni del servizio elettrico

(39)

Capitale ambientale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,42 0,03 0,05 0,57 0,84 0,09 0,18 0,52 VALLE D'AOSTA 0,00 1,00 0,02 0,00 0,63 0,09 0,12 0,78

LOMBARDIA 0,73 0,01 0,03 0,34 0,80 0,09 0,02 0,52 LIGURIA 0,42 0,03 0,03 0,74 0,34 0,01 0,22 0,43

TRENTINO-A. A. 0,07 0,39 0,15 0,44 1,00 0,01 0,21 0,69 VENETO 0,61 0,05 0,08 1,00 0,99 0,19 0,13 0,46

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,32 0,08 0,02 0,66 0,84 0,00 0,00 0,57 EMILIA-ROMAGNA 0,43 0,00 0,21 0,67 0,76 0,10 0,04 0,53

TOSCANA 0,40 0,05 0,29 0,33 0,55 0,30 0,15 0,53 UMBRIA 0,44 0,06 0,25 0,16 0,46 0,19 0,10 0,55 MARCHE 0,27 0,03 0,23 0,25 0,44 0,12 0,13 0,56

LAZIO 0,63 0,04 0,16 0,35 0,16 0,26 0,33 0,40 ABRUZZO 0,27 0,02 1,00 0,36 0,33 0,59 0,36 0,54 MOLISE 0,30 0,14 0,00 0,08 0,06 0,38 0,08 0,48

CAMPANIA 1,00 0,15 0,02 0,69 0,44 0,25 0,88 0,25 PUGLIA 0,60 0,08 0,13 0,40 0,13 0,53 0,50 0,33

BASILICATA 0,39 0,33 0,84 0,12 0,08 0,16 0,18 0,63 CALABRIA 0,38 0,28 0,00 0,28 0,10 1,00 0,85 0,27

SICILIA 0,51 0,19 0,11 1,00 0,00 0,75 1,00 0,15 SARDEGNA 0,32 0,36 0,13 0,11 0,70 0,35 0,46 0,56

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente

Nota: Per il calcolo dell’indice sintetico, sono stati considerati i complementi ad 1 dei valori standardizzati per le variabili indicate dal riquadro tratteggiato, il cui contributo al capitale territoriale è negativo per valori alti della variabile. Per maggiori dettagli si veda l’Appendice metodologica.

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Legenda variabili: (33) Qualità dell’aria: percentuale di famiglie che dichiarano la presenza di problemi relativi alla qualità dell'aria

(per 100 famiglie della stessa zona). (34) Spesa regionale per la tutela ambientale: (euro a prezzi correnti per abitante): l’aggregato della spesa

ambientale riferito in particolare alle amministrazioni regionali quantifica le risorse economiche da esse utilizzate per salvaguardare l’ambiente, sia da fenomeni d’inquinamento (emissioni atmosferiche, scarichi idrici, rifiuti, inquinamento del suolo, ecc.) e di degrado (perdita di biodiversità, erosione del suolo, salinizzazione, ecc.), sia da fenomeni di esaurimento delle risorse naturali (risorse idriche, risorse energetiche, risorse forestali, ecc.).

(35) Disponibilità di verde urbano: mq per abitante nei comuni capoluogo di provincia aggregati per regione; a L'Aquila sia le aree gestite dal comune sia quelle gestite dall'Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga non sono state ridotte dall'evento sismico dell'aprile 2009.

(36) Principi attivi distribuiti in agricoltura per regione: kg per ettaro di Sau. Riguardo alla superficie agricola utilizzata, l'universo è formato da tutte le aziende che possiedono almeno un ettaro di Sau o la cui produzione abbia un valore superiore ai 2.500 euro. I dati relativi alla Sau per gli anni 2001, 2002, 2004 e 2006 sono stimati. L’indicatore per gli anni 2008, 2009 e 2010 è stato calcolato sui dati relativi alla Sau del 2007.

(37) Raccolta differenziata rifiuti urbani: rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti urbani. Per rifiuti urbani si intende: rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui al punto precedente, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità; rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli precedentemente descritti.

(38) Irregolarità nelle distribuzioni dell’acqua: famiglie che denunciano irregolarità nell'erogazione dell'acqua (%). (39) Interruzioni del servizio elettrico: frequenza delle interruzioni accidentali lunghe del servizio elettrico (numero

medio per utente); per interruzioni accidentali lunghe si intendono quelle senza preavviso superiori ai tre minuti.

43

   

 

Figura 2.13. Il capitale ambientale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 2.14. Il capitale ambientale nelle regioni italiane (anno 2009)

0.58

0.76 0.53

0.53

0.55

0.44

0.380.48

0.44

0.50

0.510.50

0.34

0.34

0.14

0.17 0.31

0.24

0.52

0.43

0.14- 0.340.34 - 0.460.46 - 0.520.52 - 0.550.55 - 0.78

0.27

0.33

0.40

0.25

0.15

0.460.52

0.52

0.43

0.48

0.56 0.63

0.56

0.54

0.55

0.53

0.53

0.570.69

0.78

0.14- 0.340.34 - 0.460.46 - 0.520.52 - 0.550.55 - 0.78

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Legambiente

44

 

45

   

2.8. Il capitale insediativo

Il capitale insediativo fornisce una rappresentazione delle caratteristiche abitative e dell’evoluzione della presenza umana in un determinato territorio, completando la piena cognizione delle potenzialità e delle criticità del capitale territoriale.

Le quattro variabili scelte per costruire l’indicatore di capitale insediativo riflettono questa impostazione e cercano, allo stesso tempo, seppur con i propri limiti, di offrire una misura del consumo di suolo, ossia una delle risorse più vulnerabili e preziose per una regione4.

In primo luogo, la variabile della densità della popolazione si configura come l’informazione di base per valutare la struttura insediativa regionale. Ad una densità elevata si associa una forte pressione antropica. Essa è generalmente caratterizzata da una più scarsa vivibilità degli spazi e da una concentrazione dell’inquinamento, dovuti alla congestione abitativa, ad un’elevata produzione di rifiuti ed emissioni e consumo di risorse. Al contrario, ad una densità di popolazione estremamente bassa è spesso legato il fenomeno dello “sprawl urbano” (Camagni, 2006 e Bonora e altri, 2011), ossia una crescita disordinata degli agglomerati urbani. Il risultato è un consumo disordinato del suolo, un allargamento urbano sproporzionato rispetto alla crescita effettiva della popolazione e la dissoluzione del sottile confine tra città e campagna. Per questi motivi, in questa sede, si considererà come ottimale l’equilibrio tra una densità troppo alta ed una troppo bassa.

La seconda e la terza variabile, il numero di nuove abitazioni e di nuovi metri quadrati utili abitabili autorizzati ogni mille famiglie, esprimono l’intensità dell’attività edilizia di tipo residenziale di una regione. L’ultima variabile, il numero di nuovi fabbricati residenziali costruiti ogni anno sul totale della superficie regionale, indica invece il grado di proliferazione delle nuove costruzioni abitative ogni 100 kmq e dunque la pressione abitativa sul suolo5.

Uno dei tratti caratterizzanti della distribuzione di capitale insediativo è l’impossibilità di associare la dotazione regionale all’appartenenza ad una delle tre aree Nord, Centro e Sud. Ognuna di esse, al proprio interno, presenta estrema eterogeneità. Si riescono, però, ad individuare, alcune particolari “macchie di leopardo”, ricorrenti sia nel 2003 che nel 2009. L’area trentino-padana (Trentino-Alto Adige, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), con i valori più bassi di capitale insediativo (con un miglioramento del valore per l’Emilia-Romagna nel 2009). L’area nord-occidentale, fino alla Toscana, e la punta d’Italia (Basilicata, Calabria e Sicilia), che sembrerebbero detenere il capitale insediativo più solido. Nel 2003 è la Liguria ad avere l’indice di capitale insediativo più elevato (0,82), posizione assunta soprattutto per il numero di nuove abitazioni e nuovi mq utili in nuovi fabbricati residenziali decisamente sotto la media nazionale. A seguire Piemonte (0,79), Sicilia (0,79), Toscana (0,77) e Basilicata (0,75). Il capitale insediativo più basso, invece, si registra in Emilia-Romagna (0,47), Trentino-Alto Adige (0,45), Lombardia (0,25) e Veneto (0,18). In particolare in Lombardia pesano l’alta densità della

                                                            4 Secondo l’ultimo Rapporto sul consumo del suolo “Terra rubata”, realizzato da WWF e FAI nel 2012, il consumo del suolo avrebbe ricadute sulle seguenti sfere: economico-energetica (diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole), idro-geo-pedologica (destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione idraulici ipo ed epigei), fisico-climatica (accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti climatici, riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, propagazione spaziale dei disturbi chimico-fisici), eco-biologica (erosione fisica e distruzione degli habitat, frammentazione ecosistemica e distrofia dei processi eco-biologici, penalizzazione dei servizi ecosistemici, riduzione della resilienza ecologica complessiva). 5 Essa conta il numero di fabbricati e tralascia invece l’ammontare delle abitazioni, poiché ad un fabbricato possono corrispondere più abitazioni.

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popolazione e la vivace proliferazione di nuovi fabbricati residenziali ogni 100 kmq. In Veneto, è la nuova cementificazione (mq utili abitabili, abitazioni e fabbricati) a impoverire il capitale insediativo regionale.

Nel 2009, rispetto al periodo precedentemente considerato, l’indice di capitale insediativo si riduce lievemente (da una media nazionale di 0,59 a 0,57): nelle regioni italiane aumenta la densità di popolazione e nel contempo si riduce nettamente l’intensità e la proliferazione edilizia residenziale. Nello specifico, in tutte le regioni si assiste ad un aumento della densità della popolazione (con l’esclusione di Molise e Basilicata, in cui diminuisce lievemente), che passa in media da 191 a 200 abitanti per kmq. Inoltre, si concedono meno abitazioni: mediamente, si dimezza il numero di nuove abitazioni e di nuovi metri quadrati utili abitabili residenziali. Da 10,8 nuove abitazioni autorizzate per ogni 1000 famiglie si passa a 5,7 nuove abitazioni concesse, mentre i nuovi mq utili abitabili concessi diventano da 811 a 430 ogni 1000 famiglie. Si riduce in modo importante anche la proliferazione di nuovi fabbricati residenziali: se nel 2003 erano più di 16 ogni 100 chilometri quadrati, nel 2009 diventano poco più di 10.

Nel 2009, la prima posizione nella graduatoria della Liguria viene ricoperta dalla Toscana (0,82), seguita dalla Basilicata (0,81). La Liguria si mantiene nella parte alta della classifica, scivolando al quarto posto, mentre conquistano terreno le Marche (0,70), arrivando al quinto posto, spinte dal dimezzamento dei permessi per costruire. La Lombardia, con il suo record nazionale di proliferazione di nuovi fabbricati residenziali, diventa ultima (0,21), preceduta da Trentino-Alto Adige (0,33), Veneto (0,35) e Lazio (0,39).

Un’analisi particolare della densità della popolazione mostra come nel 2003 sia l’Emilia-Romagna ad avere il maggiore equilibrio insediativo rispetto alla media italiana (183 abitanti ogni kmq), seguita dal Piemonte (168 abitanti/kmq), dalla Sicilia (194 abitanti/kmq), dalle Marche e dalla Toscana (154 abitanti/kmq). Le regioni meno equilibrate sono Campania (con quasi 423 abitanti per kmq) e la Lombardia (con 385 abitanti/kmq). Al terzultimo posto spicca la Valle d’Aosta, che mostra una caratteristica strutturale diametralmente opposta, con una densità di 37 abitanti ogni chilometro quadrato. Nel 2009, nulla di sostanziale cambia nella classifica, se non la prima posizione conquistata dal Piemonte, confermando la stabilità strutturale della variabile.

I dati relativi alle autorizzazioni a costruire, evidenziano come le statistiche raccontino solo una parte della reale situazione insediativa. Nel 2003 Liguria, Campania e Sicilia figurano come le regioni che hanno concesso il minor numero di autorizzazioni per nuove abitazioni e mq utili abitabili (rispettivamente 3,3 abitazioni e 244 mq, 5 e 457 mq, 6,3 e 576 mq). Nel 2009 la Liguria mantiene la leadership per entrambi gli indicatori, la Campania rimane nel gruppo di testa mentre la Sicilia perde 4 posizioni.

Il dato, però, soprattutto per le regioni ritenute più “virtuose”, in qualche modo ignora la tradizionale tendenza all’abusivismo edilizio delle regioni del Sud (si consulti, a titolo d’esempio, il Rapporto Ecomafia 2011 di Legambiente) e la recente vocazione della Liguria, la quale, secondo l’ultimo Rapporto di Legambiente “Cemento Spa” 2012, sarebbe la regione del Nord-Italia con il più alto numero di infrazioni nel campo della cementificazione, subendo la pressione dell’ondata di infiltrazioni criminali e di pericolosi sodalizi nel campo dell’abusivismo.

Nel 2003 all’ultimo posto, sia per le nuove abitazioni che per i mq abitabili, troviamo il Veneto (con 19 abitazioni e 1.388 mq autorizzati), e a seguire Trentino-Alto Adige (16 abitazioni e 1.203 mq) ed Emilia-Romagna (17 abitazioni e 1.141 mq). Nel 2009, però il Trentino scivola all’ultimo posto, tallonato dalle ondate edilizie di Umbria ed Abruzzo.

47

   

La diffusione di nuovi fabbricati residenziali, ponderata per l’estensione del territorio, vede una particolare attenzione alla preservazione del suolo in Basilicata, prima in classifica con soli 4,4 nuovi fabbricati ogni 100 kmq, in Valle d’Aosta, Molise, Umbria e Trentino-Alto-Adige. In quest’ultima regione, in particolare, tenendo conto dei dati appena analizzati circa le nuove abitazioni concesse, è riscontrabile una politica del controllo del suolo: a fronte di un ampio numero di abitazioni concesse, i nuovi fabbricati crescono in misura più ridotta rispetto alle altre regioni (9,7 fabbricati in più ogni 100 kmq). Ciò significa che, nel confronto con le altre regioni, in Trentino-Alto Adige si preferisce intervenire sulla riqualificazione di fabbricati già esistenti. Nel 2009 Basilicata, Valle d’Aosta e Molise mantengono il valore più elevato delle variabile complemento a 1 circa le nuove abitazioni concesse (infatti sono rispettivamente e soltanto 2,7; 3,5 e 5,2 nuovi fabbricati per 100 kmq). Le regioni con il più alto numero di nuovi fabbricati sono Veneto e Lombardia. Nel 2003 l’ultimo posto è del Veneto, con 35 nuovi fabbricati su 100 kmq, seguito dalla Lombardia (33 fabbricati). Nel 2009, tutte le regioni danno un taglio netto alle nuove concessioni. La Lombardia, però, sebbene conceda 18,4 nuovi fabbricati, scivola all’ultimo posto. Oltre a Lombardia e Veneto (18 fabbricati su 100 kmq) si noti il peggioramento nella posizione della Campania, che da quintultima passa a terzultima, e il miglioramento della posizione relativa dell’Emilia-Romagna (costruisce infatti 10 nuovi fabbricati in meno ogni 100 kmq) e superando Lazio, Puglia, Sicilia, Liguria e Friuli-Venezia Giulia.

È il caso di aggiungere, infine, che questa fotografia della proliferazione edilizia è confermata dall’ultimo Rapporto 2012 WWF-FAI sul consumo del suolo. Lombardia e Veneto si confermano le regioni più urbanizzate6, con tassi ormai superiori al 10%, seguite da Friuli-Venezia Giulia (regione con la più alta urbanizzazione pro capite: 400 mq/ab), Campania, Lazio ed Emilia-Romagna.

Ulteriori indicazioni circa la dinamica insediativa si ricavano dal Rapporto annuale 2008 dell’Istat, che però considera soltanto un gruppo limitato di regioni italiane7. Dal 2001 al 2008, l’incremento maggiore della superficie edificata si riscontra in Molise (17,8% in più), Basilicata, Puglia e Marche (compreso fra il 12% e il 15%). Considerando i valori assoluti, è il Veneto ad avere edificato di più (oltre 100 kmq di superfici edificate), insieme a Puglia e Lazio (Tabella 2.17). La superficie edificabile del Veneto appare ormai satura, come sembra indicare la forbice tra crescita della popolazione e variazione della superficie edificata (Figura 2.17). Stessa dinamica nel Lazio, mentre in Molise, Puglia, Sardegna e Basilicata si assiste al fenomeno esattamente opposto: una variazione della superficie edificata sproporzionata rispetto alla crescita della popolazione (Rapporto annuale 2008, Istat).

                                                            6 Per area urbanizzata si intende la superficie di suolo coperta dalle pertinenze pubbliche, private e dalla viabilità (Dossier Terra rubata 2012, a cura di WWF e Fondo Ambiente Italia). 7 Le regioni sono: Valle d’Aosta, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Sardegna.

48

 

Tabella 2.15. Il capitale insediativo nelle regioni italiane (variabili standardizzate, valore medio 2002-2003-2004)

Densità della popolazione

(40)

Permessi di costruire per abitazioni in nuovi fabbricati residenziali

(41)

Permessi di costruire in nuovi fabbricati

residenziali (42)

Numero di nuovi fabbricati

residenziali (43)

Capitale insediativo

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,00 0,27 0,30 0,26 0,79 VALLE D'AOSTA 0,55 0,37 0,35 0,01 0,68

LOMBARDIA 0,84 0,62 0,59 0,94 0,25 LIGURIA 0,45 0,00 0,00 0,28 0,82

TRENTINO-A. A. 0,41 0,79 0,84 0,18 0,45 VENETO 0,28 1,00 1,00 1,00 0,18

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,07 0,67 0,71 0,52 0,51 EMILIA-ROMAGNA 0,00 0,84 0,78 0,50 0,47

TOSCANA 0,06 0,33 0,33 0,18 0,77 UMBRIA 0,29 0,39 0,48 0,12 0,68 MARCHE 0,06 0,67 0,69 0,33 0,56

LAZIO 0,49 0,36 0,32 0,44 0,60 ABRUZZO 0,21 0,63 0,72 0,33 0,53 MOLISE 0,40 0,42 0,57 0,10 0,63

CAMPANIA 1,00 0,11 0,19 0,49 0,55 PUGLIA 0,10 0,38 0,50 0,40 0,65

BASILICATA 0,46 0,21 0,32 0,00 0,75 CALABRIA 0,15 0,35 0,47 0,27 0,69

SICILIA 0,04 0,19 0,29 0,33 0,79 SARDEGNA 0,42 0,68 0,71 0,21 0,49

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

Tabella 2.16. Il capitale insediativo nelle regioni italiane (variabili standardizzate, anno 2009)

Densità della popolazione

(40)

Permessi di costruire per abitazioni in nuovi fabbricati residenziali

(41)

Permessi di costruire in nuovi fabbricati

residenziali (42)

Numero di nuovi fabbricati

residenziali (43)

Capitale insediativo

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,00 0,38 0,34 0,36 0,73 VALLE D'AOSTA 0,58 0,56 0,41 0,05 0,60

LOMBARDIA 0,92 0,67 0,56 1,00 0,21 LIGURIA 0,45 0,00 0,00 0,55 0,75

TRENTINO-A. A. 0,42 1,00 1,00 0,26 0,33 VENETO 0,31 0,63 0,70 0,97 0,35

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,08 0,38 0,43 0,54 0,64 EMILIA-ROMAGNA 0,01 0,48 0,44 0,44 0,66

TOSCANA 0,06 0,25 0,21 0,21 0,82 UMBRIA 0,29 0,83 0,81 0,31 0,44 MARCHE 0,04 0,45 0,42 0,30 0,70

LAZIO 0,58 0,69 0,44 0,74 0,39 ABRUZZO 0,21 0,79 0,70 0,40 0,48 MOLISE 0,43 0,26 0,41 0,16 0,68

CAMPANIA 1,00 0,20 0,23 0,77 0,45 PUGLIA 0,08 0,56 0,57 0,64 0,54

BASILICATA 0,49 0,10 0,19 0,00 0,81 CALABRIA 0,18 0,41 0,52 0,37 0,63

SICILIA 0,02 0,29 0,36 0,61 0,68 SARDEGNA 0,45 0,64 0,54 0,24 0,53

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

49

   

Nota: Per il calcolo dell’indice sintetico, sono stati considerati i complementi ad 1 dei valori standardizzati per le variabili indicate dal riquadro tratteggiato, il cui contributo al capitale territoriale è negativo per valori alti della variabile. Per la variabile “Densità della popolazione”, nel riquadro punteggiato, la standardizzazione è stata effettuata sugli scarti rispetto alla media (in valore assoluto) ed il suo contributo al capitale territoriale è considerato negativo. Per maggiori dettagli si veda l’Appendice metodologica.

Legenda variabili: (40) Densità totale della popolazione dei comuni: abitanti/kmq. (41) Nuove abitazioni autorizzate: permessi di costruire per abitazioni in nuovi fabbricati residenziali per regione,

per 1000 famiglie. (42) Nuovi mq abitabili concessi: permessi di costruire per mq utili abitabili in nuovi fabbricati residenziali, per

1000 famiglie. (43) Grado di proliferazione dei nuovi fabbricati: numero nuovi fabbricati per regione ogni 100 kmq.

Figura 2.15. Il capitale insediativo nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 2.16. Il capitale insediativo nelle regioni italiane (anno 2009)

0.79

0.77

0.75

0.79

0.69

0.68

0.68

0.79

0.25

0.45

0.18

0.51

0.47

0.56

0.600.53

0.63

0.55 0.65

0.49

0.18 - 0.450.45 - 0.540.54 - 0.650.65 - 0.720.72 - 0.82

0.66

0.82

0.73

0.73

0.81

0.68

0.70

0.640.60 0.21

0.33

0.35

0.44

0.39

0.53

0.48

0.68

0.540.45

0.63

0.18 - 0.450.45 - 0.540.54 - 0.650.65 - 0.720.72 - 0.82

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat

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Tabella 2.17. Località abitate, sezioni di censimento e superficie edificata delle basi territoriali di Census 2010. Anni 2001-2008 (valori assoluti, variazioni e composizioni percentuali)

 Fonte: Rapporto Annuale Istat 2008

Nota: I dati regionali sono al netto dei comuni di: Vicenza, Verona, Venezia, Trieste, Genova, San Remo, Imperia, Perugia, Roma, Cagliari.

Figura 2.17. Popolazione residente e superfici edificate per regione – Anni 2001-2008 (variazioni percentuali)

 Fonte: Rapporto Annuale Istat 2008

Nota: I dati regionali sono al netto dei comuni di: Vicenza, Verona, Venezia, Trieste, Genova, San Remo, Imperia, Perugia, Roma, Cagliari.

 

51

   

3. Un indice del capitale territoriale Gli indici relativi al capitale umano, cognitivo, sociale, infrastrutturale, relazionale,

produttivo, ambientale e insediativo delle regioni italiane sono stati utilizzati per la costruzione di un indice sintetico di capitale territoriale. Quest’ultimo, infatti, ha per definizione una natura multidimensionale e si compone di tutti gli elementi che costituiscono la ricchezza di un territorio, che sono stati descritti e sintetizzati nei paragrafi precedenti. Calcolando l’indice di capitale territoriale regionale come una media degli indici relativi alle otto dimensioni individuate, si è scelto di attribuire lo stesso peso a ciascuna componente.

Il livello medio di dotazione di capitale territoriale delle regioni italiane è rimasto pressoché invariato tra il 2003 ed il 2009, per effetto di andamenti molto differenziati: metà delle regioni ha visto un incremento del proprio capitale territoriale (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Liguria, Veneto, Basilicata, Molise, Sardegna e Campania), mentre l’altra metà non ha evidenziato variazioni rilevanti (Piemonte, Lazio, Puglia) o ha subito una diminuzione della propria dotazione (Lombardia, Umbria, Valle d’Aosta, Abruzzo e Sicilia).

Un’importante caratteristica strutturale da mettere in evidenza riguarda la presenza di gruppi di regioni con dotazione di capitale territoriale diversificato e una generalizzata gradualità di valori crescenti dal Sud al Nord del Paese (Figure 3.1 e 3.2). Le otto regioni del Sud e Isole sono le meno dotate di capitale territoriale sia nel 2003 che nel 2009 e mediamente la distanza rispetto alle regioni del Nord e del Centro è rimasta costante. Tra le regioni del Centro, è da sottolineare l’ottima performance della Toscana, che si colloca come terza regione italiana per capitale territoriale sia nel 2003 (0,63) che nel 2009 (0,64), e l’importante miglioramento delle Marche, che guadagnano tre posizioni nel 2009 passando da un valore dell’indice pari a 0,55 nel 2003 ad uno pari a 0,59 nel 2009.

La regione Emilia-Romagna si attesta come la regione più dotata di capitale territoriale sia nel 2003 sia nel 2009, con un indice in aumento (pari, rispettivamente, a 0,66 e 0,69). Il contributo maggiore al capitale territoriale emiliano-romagnolo viene in entrambi gli anni considerati dalle dimensioni del capitale umano (0,89 e 0,79), sociale (0,81 e 0,79), produttivo (0,81 e 0,74), cognitivo (0,71 e 0,79). Gli indici sintetici relativi a queste dimensioni appaiono tuttavia in calo, con la sola eccezione di quello del capitale cognitivo, confermando una buona vocazione del sistema produttivo della regione alla ricerca e all’innovazione e della società alle attività culturali. La migliore dotazione di capitale territoriale nel 2009, dunque, è soprattutto il risultato di un miglioramento nella dotazione della regione Emilia-Romagna rispetto a quegli asset di cui risulta meno relativamente dotata: infrastrutturale, relazionale, ambientale e insediativo, anche se per alcune di queste dimensioni, come per esempio quella relazionale, la regione detiene una tra le migliori posizioni in Italia.

La seconda regione per capitale territoriale nel 2003 è il Piemonte (0,63). Le dimensioni che maggiormente contribuiscono a questo risultato sono quella del capitale insediativo (0,79), produttivo (0,75), cognitivo (0,70) e umano (0,67). Nel 2009, tuttavia, il capitale territoriale di questa regione rimane stabile ed il Piemonte perde posizioni rispetto alle altre regioni di vertice. Anche il contributo delle diverse dimensioni alla formazione del capitale territoriale del Piemonte si modifica nel periodo considerato: il capitale cognitivo appare in aumento (0,78 nel 2009), grazie in particolare ad una migliore performance della regione nelle attività di ricerca e

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innovazione rispetto alle altre, mentre diminuisce il contributo del capitale insediativo (0,73), produttivo (0,68) e soprattutto umano (0,58), a causa di un drastico peggioramento del tasso di partecipazione nell’istruzione secondaria superiore di secondo grado rispetto alle altre regioni italiane.

Nel 2009 è il Friuli-Venezia Giulia la seconda regione per dotazione di capitale territoriale con un indice sintetico pari a 0,65. Questa regione guadagna tre posizioni rispetto al 2003 (0,60) grazie in particolare ad un importante incremento della propria dotazione di capitale cognitivo (il cui indice passa da 0,66 a 0,87 in virtù di un incremento degli indici relativi a tutte le variabili che lo compongono) e sociale (che passa da 0,64 a 0,72 in seguito all’aumento, relativo rispetto alle altre regioni, dell’informazione e del dibattito politico e del contributo economico alle associazioni).

La regione Toscana, che si trova in terza posizione sia nel 2003 che nel 2009, deve la sua dotazione di capitale territoriale alle componenti del capitale umano, insediativo, sociale e produttivo in entrambi i periodi considerati.

Nelle ultime posizioni, si evidenziano le performance di Calabria (0,29 nel 2003 e 0,30 nel 2009), Campania (0,31 nel 2003 e 0,34 nel 2009) e Sicilia (0,32 nel 2003 e 0,28 nel 2009). Rispetto alle regioni in cima alla graduatoria, queste regioni subiscono un livello piuttosto basso di capitale cognitivo e sociale, a testimonianza di una scarsa propensione alla ricerca e all’innovazione e di una scarsa partecipazione e coesione sociale.

In generale, la dimensione che contribuisce maggiormente ad abbassare i valori degli indici sintetici di capitale territoriale per le regioni del Mezzogiorno è quella del capitale cognitivo. Nelle regioni del Centro Nord, invece, sono il capitale ambientale, relazionale ed infrastrutturale a dare in media, il contributo peggiore. Viceversa, sempre in media e considerando entrambi gli anni, le regioni del Centro-Nord beneficiano particolarmente del contributo del proprio umano, cognitivo e sociale, mentre il capitale territoriale delle regioni del Sud subisce l’apporto positivo del proprio capitale insediativo ed umano.

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Tabella 3.1. Il capitale territoriale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Capitale umano

Capitale cognitivo

Capitale sociale

Capitale infrastrutturale

Capitale produttivo

Capitale relazionale

Capitale ambientale

Capitale insediativo

Capitale territoriale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,67 0,70 0,63 0,52 0,75 0,57 0,44 0,79 0,63 VALLE D'AOSTA 0,22 0,42 0,64 0,47 0,66 0,30 0,76 0,68 0,52

LOMBARDIA 0,63 0,67 0,71 0,69 0,75 0,69 0,53 0,25 0,62 LIGURIA 0,73 0,57 0,50 0,61 0,51 0,44 0,38 0,82 0,57

TRENTINO-A. A. 0,52 0,61 0,89 0,50 0,69 0,45 0,58 0,45 0,59 VENETO 0,68 0,57 0,73 0,55 0,77 0,55 0,44 0,18 0,56

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,86 0,66 0,64 0,66 0,52 0,49 0,50 0,51 0,60 EMILIA-ROMAGNA 0,89 0,71 0,81 0,50 0,80 0,66 0,48 0,47 0,66

TOSCANA 0,82 0,58 0,72 0,46 0,64 0,53 0,51 0,77 0,63 UMBRIA 0,87 0,40 0,55 0,34 0,56 0,27 0,50 0,68 0,52 MARCHE 0,81 0,38 0,57 0,44 0,72 0,36 0,53 0,56 0,55

LAZIO 0,82 0,72 0,41 0,61 0,50 0,40 0,34 0,60 0,55 ABRUZZO 0,73 0,34 0,43 0,46 0,61 0,41 0,55 0,53 0,51 MOLISE 0,58 0,07 0,38 0,42 0,55 0,16 0,43 0,63 0,40

CAMPANIA 0,48 0,18 0,06 0,46 0,38 0,23 0,17 0,55 0,31 PUGLIA 0,44 0,10 0,30 0,38 0,35 0,16 0,31 0,65 0,34

BASILICATA 0,52 0,12 0,34 0,34 0,50 0,34 0,52 0,75 0,43 CALABRIA 0,54 0,03 0,08 0,29 0,37 0,08 0,24 0,69 0,29

SICILIA 0,43 0,16 0,21 0,25 0,34 0,24 0,14 0,79 0,32 SARDEGNA 0,54 0,31 0,45 0,19 0,30 0,18 0,34 0,49 0,35

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat, Legambiente, Movimprese, Terna, Netval, Tidona Comunicazione

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Tabella 3.2. Il capitale territoriale nelle regioni italiane (anno 2009)

Capitale umano

Capitale cognitivo

Capitale sociale

Capitale infrastrutturale

Capitale produttivo

Capitale relazionale

Capitale ambientale

Capitale insediativo

Capitale territoriale

(indice sintetico)

PIEMONTE 0,58 0,78 0,66 0,53 0,68 0,60 0,52 0,73 0,63 VALLE D'AOSTA 0,17 0,48 0,58 0,41 0,63 0,25 0,78 0,60 0,49

LOMBARDIA 0,52 0,75 0,70 0,71 0,64 0,73 0,52 0,21 0,60 LIGURIA 0,61 0,62 0,64 0,67 0,51 0,43 0,43 0,75 0,58

TRENTINO-A. A. 0,55 0,80 0,88 0,47 0,64 0,45 0,69 0,33 0,60 VENETO 0,59 0,69 0,72 0,54 0,70 0,55 0,46 0,35 0,57

FRIULI-VENEZIA GIULIA 0,77 0,87 0,72 0,63 0,42 0,58 0,57 0,64 0,65 EMILIA-ROMAGNA 0,79 0,79 0,79 0,55 0,74 0,68 0,53 0,66 0,69

TOSCANA 0,75 0,60 0,71 0,50 0,64 0,54 0,53 0,82 0,64 UMBRIA 0,75 0,44 0,60 0,30 0,53 0,31 0,55 0,44 0,49 MARCHE 0,75 0,42 0,61 0,44 0,73 0,49 0,56 0,70 0,59

LAZIO 0,77 0,75 0,45 0,59 0,56 0,45 0,40 0,39 0,55 ABRUZZO 0,66 0,28 0,46 0,41 0,64 0,38 0,54 0,48 0,48 MOLISE 0,53 0,10 0,36 0,48 0,55 0,19 0,48 0,68 0,42

CAMPANIA 0,50 0,23 0,17 0,50 0,37 0,24 0,25 0,45 0,34 PUGLIA 0,51 0,13 0,22 0,37 0,31 0,29 0,33 0,54 0,34

BASILICATA 0,47 0,14 0,35 0,40 0,45 0,38 0,63 0,81 0,45 CALABRIA 0,53 0,04 0,13 0,34 0,30 0,13 0,27 0,63 0,30

SICILIA 0,36 0,16 0,21 0,25 0,25 0,21 0,15 0,68 0,28 SARDEGNA 0,48 0,32 0,50 0,20 0,25 0,29 0,56 0,53 0,39

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat, Legambiente, Movimprese, Terna, Netval, Tidona Comunicazione  

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Figura 3.1. Il capitale territoriale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 3.2. Il capitale territoriale nelle regioni italiane (anno 2009)

0.63

0.62

0.59

0.56

0.66

0.63

0.520.60

0.550.52

0.550.51

0.35

0.40

0.31 0.34

0.43

0.29

0.32

0.57

0.28 - 0.350.35 - 0.490.49 - 0.560.56 - 0.60.6 - 0.69  

0.63

0.600.49

0.60

0.57

0.65

0.690.58

0.64 0.590.49

0.550.48

0.42

0.34

0.45

0.34

0.30

0.28

0.39

0.28 - 0.350.35 - 0.490.49 - 0.560.56 - 0.60.6 - 0.69  

Figura 3.3. Il capitale territoriale nelle regioni italiane (valore medio 2002-2003-2004)

Figura 3.4. Il capitale territoriale nelle regioni italiane (anno 2009)

C. UmanoC. CognitivoC. SocialeC. InfrastrutturaleC. AmbientaleC. InsediativoC. RelazionaleC. Produttivo

C. UmanoC. CognitivoC. SocialeC. InfrastrutturaleC. AmbientaleC. InsediativoC. RelazionaleC. Produttivo

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat, Legambiente, Movimprese, Terna, Netval, Tidona Comunicazione

Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, Eurostat, Legambiente, Movimprese, Terna, Netval, Tidona Comunicazione

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4. Conclusioni  

“Ogni regione possiede uno specifico capitale territoriale distinto da quello delle altre aree, che genera un più elevato ritorno per specifiche tipologie di investimento, che sono meglio adatte per questa area e che più efficacemente utilizzano i suoi asset e le sue potenzialità. Le politiche di sviluppo territoriale devono innanzitutto e soprattutto aiutare le singole regioni a costruire il loro capitale territoriale.” (Commissione Europea, Territorial state and perspectives of the European Union, 2005)

La definizione di capitale territoriale della Commissione Europea è quella che abbiamo adottato in questo contributo e se, in Italia, la politica deve farsi promotrice di stimolare la dotazione di capitale territoriale delle diverse regioni, l’analisi delle dimensioni e dell’indice di capitale territoriale evidenzia in modo chiaro le direttrici su cui devono puntare i policy maker per innescare nuovi o potenziati percorsi di sviluppo locale.

Una prima chiara evidenza che emerge è che la recente crisi economica non ha avuto l’effetto di ridurre in modo rilevante la dotazione di capitale territoriale delle regioni italiane, e per alcune dimensioni tra il 2003 e il 2009, anzi, vi è un aumento generalizzato, in particolare per il capitale cognitivo, ambientale e infrastrutturale. Le dimensioni più colpite dalla crisi economica sono quella produttiva, per le regioni specializzate nel settore manifatturiero, che sono state particolarmente penalizzate, e quella del capitale umano. Nel 2009 si assiste ad una riduzione dell’indice sintetico del capitale produttivo in tutte le regioni italiane, con l’eccezione delle Marche, dell’Abruzzo e del Lazio in cui l’indice registra un lieve aumento; anche per il 2009 le regioni che presentano i più alti livelli sono quelle industriali: Emilia-Romagna, 0,74, Marche, 0,73, Veneto, 0,70, Piemonte, 0,68, seguite dalla Lombardia, dall’Abruzzo, dal Trentino-Alto Adige e dalla Toscana a pari merito, 0,64. L’Emilia-Romagna presenta il valore più elevato, seppure in calo, dell’indice sintetico di capitale umano, pari a 0,89 nel 2003 e 0,79 nel 2009.

Inoltre la dotazione di capitale territoriale non è puramente dualistica, ma evidenzia una distribuzione progressivamente crescente da Sud a Nord. Vi sono, però, delle dimensioni che presentano eccezioni: quella insediativa e ambientale, registrano valori elevati anche in alcune regioni del Mezzogiorno, il capitale umano è maggiormente presente nel Centro del Paese e in Emilia-Romagna, il Lazio ha valori particolarmente elevati del capitale infrastrutturale e cognitivo.

Una distribuzione non sempre graduale della diverse dimensioni del capitale territoriale evidenzia la necessità di politiche territoriali e di sviluppo differenziate: le criticità territoriali sono qualitativamente e quantitativamente diverse da Sud a Nord e quindi anche le potenzialità di sviluppo non sono uniformi.

 

58

 

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5. Appendice metodologica Costruzione degli indici sintetici delle otto dimensioni del capitale territoriale

La scelta delle variabili rappresentative delle diverse dimensioni del capitale territoriale è stata fortemente condizionata sia dalla disponibilità dei dati a livello regionale che dal loro aggiornamento. Il dataset finale contenente 43 variabili è costituito nel modo seguente:

(1) Tasso di partecipazione nell'istruzione secondaria superiore di secondo grado (2) Tasso di abbandono alla fine del primo biennio delle scuole secondarie

superiori (3) Indice di attrattività delle università (4) Laureati in scienza e tecnologia

Capitale umano

(5) Addetti alla Ricerca e Sviluppo per 1000 abitanti (6) Capacità innovativa (7) Intensità brevettuale (8) Grado di diffusione degli spettacoli teatrali e musicali (9) Persone che leggono libri (10) Persone che hanno visitato musei e mostre

Capitale cognitivo

(11) Attività di volontariato (12) Persone che hanno versato soldi ad associazioni (13) Capacità di offrire lavoro regolare (14) Frequenza con cui ci si informa o si parla di politica (15) Numero di reati ambientali

Capitale sociale

(16) Persone che utilizzano autobus, filobus e tram soddisfatte della frequenza delle corse

(17) Persone che utilizzano il pullman soddisfatte della frequenza delle corse (18) Grado di soddisfazione del servizio di trasporto ferroviario (19) Indice di utilizzazione del trasporto ferroviario (20) Utilizzo di mezzi pubblici di trasporto (21) Rete autostradale (22) Rete ferroviaria in esercizio (23) Passeggeri su voli di linea e charter

Capitale infrastrutturale

(24) Indice di Imprenditorialità (25) Produttività del lavoro nell’industria in senso stretto (26) Occupati nell’industria sul totale degli occupati (27) Intensità energetica dell’industria

Capitale produttivo

(28) Capacità di esportare (29) Grado di apertura dei mercati (30) Capacità di esportare in settori a domanda mondiale dinamica (31) Indice di diffusione degli sportelli bancari (32) Numero di Spin-off attivi

Capitale relazionale

(33) Qualità dell’aria (34) Spesa per la tutela ambientale (35) Disponibilità di verde urbano (36) Utilizzo di fitosanitari in agricoltura (37) Raccolta differenziata dei rifiuti urbani (38) Irregolarità nella distribuzioni dell’acqua (39) Interruzioni del servizio elettrico

Capitale ambientale

(40) Densità totale della popolazione dei comuni (41) Nuove abitazioni autorizzate (42) Nuovi mq abitabili concessi (43) Grado di proliferazione dei nuovi fabbricati

Capitale insediativo

60

 

Per ciascuna delle 20 regioni italiane sono stati calcolati gli indici sintetici relativi alle otto dimensioni del capitale territoriale. Gli anni per i quali è stata effettuata l’analisi sono il 2003, per ogni variabile è stata considerata la media dei valori per gli anni 2002-2003-2004, e il 2009.

Il metodo di standardizzazione utilizzato per ciascuna variabile X è:

minmax

min

XXXX

X regione

−=

dove 1 indica la massima dotazione di capitale e 0 la minor dotazione. Tale sistema di standardizzazione ha reso possibile il confronto interregionale e interdimensionale.

Gli indici sintetici di ogni dimensione sono stati calcolati come media aritmetica semplice

dei valori standardizzati delle variabili rappresentative di quella dimensione. Per le variabili il cui contributo al capitale territoriale è negativo per valori alti, sono stati considerati i complementi ad 1 dei valori standardizzati nel calcolo dell’indice sintetico.

Nel caso della variabile “densità di popolazione”, per ogni regione sono stati dapprima

calcolati gli scarti rispetto alla media (in valore assoluto) di tutte le regioni. Questa serie è stata successivamente standardizzata secondo il metodo indicato e, nel calcolo dell’indice sintetico di capitale insediativo, sono stati utilizzati i complementi ad 1 dei valori standardizzati, ad indicare l’apporto negativo di scostamenti elevati (in positivo o in negativo) rispetto alla media.

L’indice sintetico del capitale territoriale di ciascuna regione italiana è stato elaborato come

media aritmetica semplice degli indicatori sintetici di ciascuna dimensione.

61

   

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