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Gli alimenti nelle raffigurazioni del mondo antico Luana Poma Pagina 1 di 8 Corso di formazione “L’alimentazione nel mondo antico” Museo Archeologico Regionale “Lilibeo” di Marsala Gli alimenti nelle raffigurazioni del mondo antico Luana Poma Le raffigurazioni di alimenti nel mondo antico - e ci riferiamo in particolare alle culture fenicio-punica, greca e romana - costituiscono preziose fonti di conoscenza sulla natura dei cibi che tali popolazioni consumavano e che consideravano importanti, oltre che dal punto di vista nutrizionale, anche dal punto di vista religioso ed economico. La loro prevalente attestazione in ambiti votivi e funerari induce infatti a considerare tali raffigurazioni come frutto di scelte dettate dalla intrinseca valenza simbolica, mentre l’utilizzo di queste immagini su serie monetali o su bolli anforici costituisce un richiamo al loro valore economico. Ogni alimento determinante per la vita umana è contraddistinto da un significato simbolico e rituale in virtù della consapevolezza della totale dipendenza dell’uomo dalla natura, alla base di un gran numero di riti sacri e cerimonie propiziatorie. Il consumo o l’astensione da un cibo possono così diventare prassi religiosa o filosofica, essere parte fondante di riti e culti connessi ai momenti di passaggio nella vita: la nascita, il matrimonio e soprattutto la morte. I cicli vitali delle piante e dei raccolti erano considerati riflesso e metafora della vita umana, con il loro annuale rigenerarsi simboleggiavano in qualche modo il mistero e la speranza di rinascita dopo la morte. In contesti funerari, dunque, le offerte alimentari assumono prevalentemente il valore di garantire al defunto la sopravvivenza e il benessere nell’aldilà, possibilmente ingraziandosi delle specifiche divinità cui erano consacrati determinati alimenti. In questa sede si presenta una selezione delle testimonianze a nostro avviso più significative per la comprensione dell’importanza che alcuni cibi ebbero per le civiltà qui in esame. Alla base dell’alimentazione antica, troviamo certamente i cereali, la cui importanza è ribadita dalle numerose riproduzioni riguardanti la loro elaborazione (farina, pane e dolci) e dalla frequente attestazione delle loro raffigurazioni sulle monete. Pane, focacce e dolci nel mondo fenicio-punico e a Cipro (D2-9) In alcune terrecotte, provenienti rispettivamente da una necropoli di Cartagine e da Cipro, e databili tra il VII e il V sec. a.C. (D2), sono raffigurati dei personaggi intenti alla cottura del pane in un forno noto anche nell’attualità nel Medio-Oriente e nel Nord Africa, il cd. tannur o tabun (vedi immagine successiva). Si vedono, specie nella seconda figura, le forme di pane schiacciato che venivano cotte facendole aderire alle pareti del forno. Questa sorta di focaccia non lievitata, schiacciata e rotonda, doveva essere la forma più diffusa in ambiente fenicio-punico. Nel modellino (D3) proveniente da Kourion, a Cipro, sono raffigurati due personaggi intenti alla macinazione e setacciatura del grano (VII-V sec. a.C.); un’altra terracotta, proveniente invece dalla necropoli di Achziv, in Libano (VII sec. a.C.), rappresenta una figura che lavora la massa per il pane su un basso tavolino a tre piedi.

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Gli alimenti nelle raffigurazioni del mondo antico Luana Poma

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Corso di formazione “L’alimentazione nel mondo antico” Museo Archeologico Regionale “Lilibeo” di Marsala

Gli alimenti nelle raffigurazioni del mondo antico Luana Poma

Le raffigurazioni di alimenti nel mondo antico - e ci riferiamo in particolare alle culture fenicio-punica, greca e romana - costituiscono preziose fonti di conoscenza sulla natura dei cibi che tali popolazioni consumavano e che consideravano importanti, oltre che dal punto di vista nutrizionale, anche dal punto di vista religioso ed economico. La loro prevalente attestazione in ambiti votivi e funerari induce infatti a considerare tali raffigurazioni come frutto di scelte dettate dalla intrinseca valenza simbolica, mentre l’utilizzo di queste immagini su serie monetali o su bolli anforici costituisce un richiamo al loro valore economico.

Ogni alimento determinante per la vita umana è contraddistinto da un significato simbolico e rituale in virtù della consapevolezza della totale dipendenza dell’uomo dalla natura, alla base di un gran numero di riti sacri e cerimonie propiziatorie. Il consumo o l’astensione da un cibo possono così diventare prassi religiosa o filosofica, essere parte fondante di riti e culti connessi ai momenti di passaggio nella vita: la nascita, il matrimonio e soprattutto la morte.

I cicli vitali delle piante e dei raccolti erano considerati riflesso e metafora della vita umana, con il loro annuale rigenerarsi simboleggiavano in qualche modo il mistero e la speranza di rinascita dopo la morte. In contesti funerari, dunque, le offerte alimentari assumono prevalentemente il valore di garantire al defunto la sopravvivenza e il benessere nell’aldilà, possibilmente ingraziandosi delle specifiche divinità cui erano consacrati determinati alimenti.

In questa sede si presenta una selezione delle testimonianze a nostro avviso più significative per la comprensione dell’importanza che alcuni cibi ebbero per le civiltà qui in esame.

Alla base dell’alimentazione antica, troviamo certamente i cereali, la cui importanza è ribadita dalle numerose riproduzioni riguardanti la loro elaborazione (farina, pane e dolci) e dalla frequente attestazione delle loro raffigurazioni sulle monete.

Pane, focacce e dolci nel mondo fenicio-punico e a Cipro (D2-9)

In alcune terrecotte, provenienti rispettivamente da una necropoli di Cartagine e da Cipro, e databili tra il VII e il V sec. a.C. (D2), sono raffigurati dei personaggi intenti alla cottura del pane in un forno noto anche nell’attualità nel Medio-Oriente e nel Nord Africa, il cd. tannur o tabun (vedi immagine successiva). Si vedono, specie nella seconda figura, le forme di pane schiacciato che venivano cotte facendole aderire alle pareti del forno. Questa sorta di focaccia non lievitata, schiacciata e rotonda, doveva essere la forma più diffusa in ambiente fenicio-punico. Nel modellino (D3) proveniente da Kourion, a Cipro, sono raffigurati due personaggi intenti alla macinazione e setacciatura del grano (VII-V sec. a.C.); un’altra terracotta, proveniente invece dalla necropoli di Achziv, in Libano (VII sec. a.C.), rappresenta una figura che lavora la massa per il pane su un basso tavolino a tre piedi.

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Nella terracotta (D4), proveniente dalla necropoli di Tiro (VIII-VII sec. a.C.), è riprodotto un tavolino con dei pani o dolci; in quella a fianco, da Cipro (VII-V sec. a.C.) un’immagine di offerente che reca un piatto con dei pani o dolci, nell’atto probabilmente di consumare il cibo. Le due terrecotte (D5), provenienti da Cipro (VII-V sec. a.C.) raffigurano delle offerenti di pani e dolci. I cd. “stampi per focaccia” (D6), sono degli oggetti probabilmente utilizzati per la decorazione di dolci o focacce. Il primo proviene da Cartagine e viene datato tra il VI e il V sec. a.C., mentre il secondo, di analoga cronologia, fa parte della Collezione Whitaker e dovrebbe provenire da Mozia. La pratica di decorare tali alimenti mediante l’uso di stampi in terracotta, talvolta conferendo loro una forma specifica, sembra piuttosto diffusa nel mondo antico, anche in quello greco, perpetrandosi sino ai giorni nostri. Tra gli “stampi per focaccia” (D7) sono noti due tipi principali, con o senza foro centrale. A queste differenze formali potrebbero corrispondere differenze funzionali: i tipi con foro centrale potrebbero esser stati utilizzati per la realizzazione di dolci con una sorta di ombelico a rilievo o di larghe ciambelle forate, dolci noti da passi letterari e da riproduzioni o raffigurazioni nella coroplastica sebbene in ambito culturale greco (a sinistra stampo di questo tipo proveniente da Cartagine con il positivo moderno); gli altri potevano essere utilizzati per la decorazione di pani schiacciati o focacce dolci (a destra stampo pertinente alla collezione Whitaker, probabilmente proveniente da Mozia). Già agli inizi del II millennio si datano alcuni stampi rinvenuti in un ambiente di servizio del Palazzo di Mari (D8); ancora in età protostorica, sebbene più recente, si può forse attribuire un’analoga funzione alle cd. pintaderas nuragiche, di controversa interpretazione. Per l’età arcaica l’uso potrebbe essere documentato anche a Cipro, da stampi di forma antropomorfa (D9).

Pane, focacce e dolci nel mondo greco (D10-16)

Uno straordinario documento visivo è rappresentato dai pinakes locresi (D10), tavolette in terracotta offerte alla divinità, in cui compaiono - in alcuni casi - delle spighe di cereali, probabilmente orzo (primo quarto del V sec. a.C.). In questo caso è evidente il legame con i Misteri Eleusini: la discesa negli Inferi della dea Persefone, con una spiga in mano, non è altro che un’allusione alla semina. Così come nel mondo fenicio-punico, anche nel mondo greco sono numerose le riproduzioni in terracotta di figure, generalmente femminili, dedite alla preparazione del pane come questi esemplari (D11), provenienti rispettivamente da Tanagra e da Tebe, e databili tra la fine del VI e il V sec. a.C. In una terracotta proveniente da Atene (D12, a sx) è riprodotta una scena di panificazione, probabilmente di carattere rituale per via della presenza di due figure che si distinguono dalle altre per dimensioni e abbigliamento, identificabili con divinità o sacerdotesse. In un’altra (D12 a dx) è riprodotto un personaggio davanti un forno con volta a botte, il più raffigurato - e verosimilmente il più diffuso - in ambiente greco, già mostrato nella figura precedente. Anche in ambiente ellenico è tuttavia attestata la cottura del pane in un forno simile al tannur orientale, da identificare con il cd. klibanos, come evidente in una scena di un vaso attico a figure rosse (D13). In tutta la Grecia e la Magna Grecia si consumavano grandi quantità di dolci che venivano preparati ed offerti durante le festività religiose e le cerimonie sacre; di alcuni di essi sono tramandati i nomi e le ricette, come ad esempio la pyramìs - dalla particolare forma a piramide - costituita da frumento arrostito e sesamo impastati con miele; o il plakùs, di forma bassa e tonda fatto di farina, noci, pistacchi e datteri. Nell’immagine (D14) vi è un tavolino miniaturistico a tre gambe e ripiano rettangolare recante offerte alimentari costituite da vari tipi di dolci/focacce. L’oggetto propone in forma miniaturistica un elemento dell’arredo greco tradizionalmente pertinente alla sfera del banchetto/simposio. Sul ripiano del tavolo sono infatti rappresentati diversi tipi di dolci/focacce, quasi tutti identificabili con tipi ben noti descritti dalle fonti

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letterarie greche: omphalotà pópana - dolci di forma circolare schiacciata con rigonfiamento centrale - pópana poluómphala, ugualmente a sagoma circolare con numerose protuberanze. Dal santuario di Demetra e Kore sull’acropoli di Corinto (VII-IV sec. a.C.) provengono una serie di offerte votive in terracotta riproducenti dolci e cibi vari posti sul liknon, un attrezzo normalmente utilizzato per eliminare le impurità dal grano dopo il raccolto (D15). A sinistra, all’interno del liknon, troviamo raffigurate due focacce con sette e otto protuberanze (pópanon poluómphalon), due piccole coppe mesonfaliche, verosimili riproduzioni di semi o grano, sfusi o contenuti in due coppe e un oggetto allungato che potrebbe rappresentare un dolce a base di frutta (palathion o gastris); a destra sono riprodotte due focacce con un rigonfiamento centrale (pópanon monòmphalon), due impasti dalla superficie scabra (forse rappresentanti la maza, una sorta di polenta) e un pane o focaccia suddivisa in quattro parti. Anche il mondo greco ha restituito degli oggetti interpretabili come stampi per la decorazione di pani votivi (D16), come questi esemplari, provenienti rispettivamente da Metaponto e da Corinto.

Il pane nel mondo romano (D17-18)

Uno dei tipi di pane più frequentemente riprodotto, e documentato anche dai rinvenimenti di resti dall’area vesuviana, è il cd. panis quadratus, suddiviso in otto spicchi prima della cottura (D17): a sinistra pittura parietale con raffigurazione di pane e fichi da Ercolano (I sec. d.C.); a destra pane carbonizzato da Pompei. La nota espressione “panem et circenses” (D18) sembra trovare un riferimento iconografico in un dettaglio di un mosaico pavimentale dalla Villa del Casale di Piazza Armerina, dalla sala biabsidata delle terme. Il mosaico, databile tra il 327 e il 357 d.C., raffigura una corsa di quadrighe nel circo Massimo a Roma. Per la probabile raffigurazione del tempio di Cereris Liberi Liberaque, la corsa immortalata potrebbe essere quella che si effettuava l’ultimo giorno delle feste di Cerere, in cui venivano fatte distribuzioni di pane e regalati al pubblico noci e altri cibi.

La frutta e gli ortaggi a Cartagine (D19)

I documenti iconografici che qui si presentano sono consistenti in riproduzioni fittili di frutti e vegetali vari da una tomba della necropoli di Sainte Monique di Cartagine (IV sec. a.C.). Si possono riconoscere mele, grappoli d’uva, mandorle, fichi, capsule di papavero, melagrane e teste d’aglio. Questi alimenti venivano spesso riprodotti in terracotta anche nel mondo greco e deposti prevalentemente nelle tombe come offerta.

La melagrana nel mondo punico (D20)

La melagrana, “punica granatum” occupa un posto di rilievo tra i frutti raffigurati nel mondo punico, lo stesso nome scientifico gli è stato attribuito per la grande diffusione del frutto nella regione nordafricana. La presenza dei molteplici granelli e il colore rosso, sono caratteristiche che conferiscono al frutto un valore simbolico di fertilità e rigenerazione, considerato già nel Vicino Oriente, almeno a partire dalla prima età del ferro, un attributo divino e cibo per i morti, uso attestato anche in Egitto. Su una stele del tofet di Cartagine (III-II sec. a.C.) la melagrana ha una posizione preminente, forse in sostituzione del simbolo di Tanit e comunque legata a rituali funerari; anche le note raffigurazioni delle edicole di Lilibeo, che mostrano frequentemente melagrane, in associazione con mele cotogne, sono da ricondurre al simbolismo funerario di questo frutto.

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La frutta e gli ortaggi nel mondo greco (D21-24)

Nel mondo greco sono molteplici le raffigurazioni di melagrane in terracotta o i vasi così configurati (D21) come mostrano alcuni esempi da Rodi, dalla necropoli di Fikellura, in cui il frutto è raffigurato insieme ad altri all’interno di una coppa (V sec. a.C.); uno dei kernos più elaborati, dall’Heraion di Samo, dove al simbolismo della melagrana si uniscono quelli delle figure rappresentate intorno (rana, guerriero, astragali, etc.); un vaso configurato a doppia melagrana da una ricca tomba di San Mauro di Caltagirone, importazione greco-orientale della prima metà del VI sec. La diffusione di piccole riproduzioni fittili di cibo in Magna Grecia (D22) è particolarmente attestata in contesti sacri di tipo ctonio e legati a divinità femminili, come ad esempio nelle aree sacre di Scrimbia a Hipponion, Calderazzo a Medma e, soprattutto, di Mannella a Locri. Da sinistra verso destra sono mostrate delle riproduzioni fittili di mele “limoncelle” e piccole mele “di S. Giovanni” dal santuario di Locri in contrada Mannella; in basso una riproduzione di melagrana aperta dal santuario di Medma in contrada Calderazzo. Altre attestazioni (D23) provengono da Taranto (capsule di papavero, mele “di S. Giovanni” e probabile tortarello); da Serra di Vaglio, in Basilicata (tortarello, pere, uva, fico e melagrana). Tra i numerosi ex-voto provenienti dal santuario di Locri in c.da Mannella spicca un discreto numero di oggetti anguiformi (D24), già precedentemente incontrati, caratterizzati alle due estremità da una protuberanza e da un piccolo peduncolo e la cui superficie è scandita da profonde scanalature parallele. Questo tipo di ex-voto, prodotto almeno dal V-IV sec. a.C., è stato rinvenuto in numerosi santuari della Magna Grecia e attestato anche in Sicilia, a Lipari, in alcuni contesti funerari dell’Italia meridionale nonché in vari siti del bacino Mediterraneo. Si pensa che questo oggetto, sempre raffigurato insieme ad altri cibi, possa identificarsi con una qualità di melone detta correntemente “tortarello verde” o “abruzzese”, varietà vegetale oggi poco diffusa ma tuttora presente soprattutto in Italia meridionale e in Grecia (Creta). Riguardo alle possibili valenze cultuali di queste offerte, mai citate dalle fonti letterarie, si può notare che la forma ricorda in qualche modo il serpente, cosa che poteva forse creare un analogia con un animale detentore di un valore sotterraneo e funerario, ma anche positivo e salutare. Tuttavia, è soprattutto l’abbondanza di semi all’interno dell’ortaggio, come per la melagrana, la pigna e la capsula di papavero, a costituire un nesso stringente con la fertilità e la fecondità, aspetti cruciali della sfera cultuale evocata nel santuario locrese

La melagrana degli dei: Persefone (D25)

Nel mondo greco il frutto era un attributo di numerose divinità femminili, tra queste un posto di rilievo occupa Persefone, alla quale si lega per le vicende del mito. La mitologia greca narra infatti che Persefone/Kore, mentre era intenta a raccogliere fiori in un prato, fu rapita da Ade, il dio dell'oltretomba, forse con la tacita complicità di Zeus. La madre Demetra, dea del grano e dell'agricoltura iniziò così la drammatica ricerca della figlia fino a quando non fu informata dell'accaduto dalla dea Ecate, la quale avrebbe sentito le urla disperate di Kore invocare aiuto. Demetra minacciò di non risalire sull'Olimpo, vagando sulla terra e impedendo ai frutti e alle piante di crescere, finché non le fosse stata restituita la figlia. Zeus, resosi conto della gravità della situazione, inviò prima Iride con un messaggio, poi una delegazione di dei, ma Demetra era inamovibile: la terra sarebbe rimasta sterile fino a quando ella non avrebbe riavuto Kore viva. A questo punto Zeus affidò a Ermes un messaggio per Ade, esortandolo a restituire Kore altrimenti sarebbe stata la rovina per tutti, dei e mortali, e uno per Demetra, nel quale annunciava alla dea che avrebbe riabbracciato la figlia purché ella non avesse mangiato il «cibo dei morti». Kore, che aveva rifiutato di mangiare dal momento del ratto, fu ricondotta da Ade sul carro per essere

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riportata sulla terra, ma un giardiniere di Ade, Ascalafo, cominciò a gridare di aver visto la sua signora Kore cogliere una melagrana nell'orto e di averla vista mentre ne mangiava sette chicchi. Giunta ad Eleusi, Demetra abbracciò la figlia, ma udita la storia della melagrana si rifiutò di risalire sull'Olimpo e giurò che non avrebbe mai spezzato la sua maledizione cosicché la terra sarebbe diventata completamente sterile. Zeus chiese l'intercessione di Rea, sua madre, nonché madre di Ade e di Demetra, affinché trovasse un compromesso che alla fine Demetra accettò: Kore avrebbe dovuto trascorrere ogni tre mesi dell'anno con Ade, come Persefone, regina degli Inferi, e i restanti mesi con la madre; la dea Ecate avrebbe dovuto sorvegliare Kore e far rispettare i patti. Finalmente Demetra spezzò la maledizione e, prima di risalire sull'Olimpo, iniziò ai misteri Trittolemo, Eumolpo e Cereo, che l'avevano ospitata durante il suo soggiorno ad Eleusi aiutandola nella ricerca dell'amata figlia. In un pinax, proveniente dal santuario di Locri in c.da Mannella (primo quarto V sec. a.C.), è raffigurata una melagrana insieme ad altri oggetti simbolici legati al culto di Persefone.

La melagrana degli dei: Hera (D26)

In quanto simbolo di fertilità il frutto è associato anche ad Hera, come testimoniato dalle numerose raffigurazioni della divinità contrassegnate dalla presenza di questo attributo, come ad es. in una scultura proveniente dall’Heraion alla Foce del Sele (inizi IV sec. a.C.)

La frutta nel banchetto e nel corteo funebre (D27-28)

La frutta, soprattutto l’uva e la melagrana, occupa un posto di riguardo nelle raffigurazioni delle scene di banchetti funebri o altri temi funerari, come possiamo osservare ad esempio su un rilievo in calcare dal cd. “Pozzo di Artemide” a Siracusa, tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. (prima immagine) e su una lastra di una tomba di Paestum, del IV sec. a.C. (immagini successive), nella quale le melagrane compaiono in associazione con delle uova, simbolo di rinascita.

La frutta e la verdura nel mondo romano (D29-31)

Questi alimenti sono tra i soggetti più raffigurati nelle cd. “nature morte”, rese celebri dai rinvenimenti dall’area vesuviana e con precedenti in ambito ellenistico (soprattutto del III-II sec. a.C.). In un affresco dalla Casa di Giulia Felice a Pompei (D29) sono raffigurate mele e uva in un grande vaso di vetro, una melagrana aperta e una mela poggiate sul tavolo e della frutta secca contenuta in un vaso di terracotta; in un altro affresco da Pompei, dal Complesso dei Riti Magici, sono raffigurati grappoli d’uva, bianca e nera; in un affresco da Ercolano, dalla Casa dei Cervi, compaiono, all’interno di un basso piatto, fichi secchi e datteri, in alcuni dei quali è infilata una moneta; in un affresco dalla Villa di Poppea ad Oplontis, è raffigurata una coppa di vetro contenente prugne, mele cotogne e pomi marroni. Nell’arte romana, inoltre, la frutta e la verdura sono spesso raffigurate come riempitivi o motivi decorativi a sé stanti su numerosi supporti, come mostra ad es. un pavimento a mosaico dalla Villa del Casale di Piazza Armerina (IV sec. d.C.) (D30), dalla probabile sala da pranzo di uno degli appartamenti padronali. Il mosaico rappresenta dodici medaglioni di alloro comprendenti diverse varietà di frutta autunnale (fichi, mele, uva, pere, melagrane, castagne, etc.). In un affresco, proveniente dalla Casa dei Cervi ad Ercolano (D31, sx), compaiono dei frutti tondeggianti – forse delle pesche – e dei vegetali dalla forma allungata, secondo alcuni identificabili con dei tortarelli o dei cetrioli, secondo altri con delle fave; in un altro, proveniente dal Tempio di Iside a Pompei (D31, dx), sono raffigurati degli asparagi insieme a contenitori di ricotta, secondo una combinazione (verdura/formaggio) piuttosto frequente anche nell’alimentazione del tempo, specie di quella contadina.

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L’olio (D32)

In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. Il mito consacra l’ulivo alla dea Atena che, in gara con Poseidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio raffinato: si tratta di anfore di una forma molto particolare, con corpo assai panciuto, collo breve, fondo stretto e piccole anse “a maniglia”, dette per questo loro particolare uso, panatenaiche (nell’immagine scena di raccolta delle olive riprodotta su un’anfora panatenaica a figure nere). L’olio attico era considerato tra i migliori; ma si apprezzavano molto anche gli olii di Sicione, dell’Eubea, di Samo, di Cirene, di Cipro e di alcune regioni della Focide. Le olive costituivano inoltre la ricchezza della pianura di Delfi sacra ad Apollo.

Il miele (D33-34)

Il miele nell’antichità aveva un ruolo importante per l’alimentazione ma anche nella cosmetica, nella medicina e nei rituali religiosi in virtù della sua carica simbolica. Secondo la mitologia il miele costituiva il cibo degli dei nell’Età dell’Oro, mentre nella sfera religiosa era usato nelle libagioni al defunto e alle divinità ctonie per la capacità conferita alle api di collegare la sfera umana a quella divina. Così come la raccolta dei cereali, anche quella del miele viene associata alla dea Demetra alla quale viene spesso offerto in dono, sappiamo ad es. che nei kernoi di Eleusis era contenuto miele. Le raffigurazioni fittili di favi sono piuttosto rare nell’Italia meridionale, compaiono sia in scene di offerta o come modellini a sé stanti, esse sono invece relativamente abbondanti nella documentazione proveniente da Taranto, per la quale le fonti antiche parlano della bontà del suo miele. Nella diapositiva compaiono, in ordine, la riproduzione fittile di un favo (proveniente dal santuario di Locri in c.da Mannella e databile intorno al V sec. a.C.), un busto protome con kanoun - in cui sono raffigurati anche delle capsule di papavero, una mela e un pezzo di favo - e una matrice per un busto protome provenienti da Taranto e databili tra il IV e il III sec. a.C.

La carne (D35-37)

Più che per il pasto quotidiano, la carne era utilizzata soprattutto durante le cerimonie religiose ed era riservata agli eroi. E’ noto che il culto degli dei, nella religiosità greca si basava sull’offerta di animali domestici che venivano sacrificati sugli altari nelle aree sacre, e poi consumati dopo la cottura. I sacrifici agli Dei si svolgevano secondo una ritualità complessa che si articolava in più fasi che si succedevano sempre nello stesso ordine: l’uccisione della vittima si svolgeva tra canti e offerte di profumi; l’animale veniva sgozzato, liberato del sangue e quindi fatto a pezzi mediante l’uso di coltelli; agli Dei erano riservati il fumo delle ossa calcinate e l’odore degli aromi che venivano bruciati per l’occasione, mentre agli uomini toccavano le parti carnose dell’animale. Nella diapositiva (D35) figurano l’interno di una coppa attica a figure rosse con scena di sacrificio di un cinghialetto (Etruria, 510-500 a.C.) e terrecotte con maialino, una pertinente alla coll. Whitaker - probabilmente da Mozia o Birgi - l’altra dal thesmophorion di Bitalemi (Gela), entrambe databili al V sec. a.C. I Romani (D 36) privilegiavano le carni suine, ma consumavano anche carni ovine, volatili di cortile, selvaggina e raramente carne di bovini (prevalentemente utilizzati come forza-lavoro). Numerose raffigurazioni riguardano la cacciagione, come mostrano ad esempio delle pitture parietali da Pompei, una con un cinghialetto morto (dalla Casa dei Cervi), un’altra con selvaggina, uova, frutta e vasellame (dalla Casa di Giulia Felice) e dei mosaici pavimentali con scene di banchetto all’aperto con cottura di grandi volatili dalla Villa del Tellaro (Noto) e dalla Villa del Casale di Piazza Armerina (IV sec. d.C.) (D37).

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Il pesce nel mondo fenicio-punico (D38-41)

le risorse ittiche fornivano un fondamentale apporto alla dieta fenicia e punica e siamo in possesso di numerose fonti documentarie e iconografiche relative al consumo. L’importanza, anche simbolica, di queste risorse sembra sottolineata dalle attestazioni di raffigurazioni di pesci in contesti votivi o funerari, come ad es. gli stampi così configurati rinvenuti in una tomba della necropoli punica di Dermech a Cartagine (VI-V sec. a.C.) (D38). Uno “stampo per focaccia” proveniente da Tharros (IV sec. a.C.) (D39) documenta la conoscenza di diverse specie ittiche (pesci, molluschi e crostacei) così come i cd. “piatti da pesce” a figure rosse, di cui si presenta un esemplare di fabbrica siceliota dalla necropoli punica di Palermo (inizi-prima metà IV sec. a.C.). Il cd. piatto da pesce è un manufatto che si distingue per la sua forma peculiare: solitamente di dimensioni medio-piccole, con una base rialzata, pareti leggermente oblique e dotato di una cavità nella parte interna, per trattenere il condimento liquido o contenere delle salse. Questa forma, inizialmente realizzata ad Atene nel corso del V sec. a.C. in vernice nera e successivamente decorata a figure rosse, fu prodotta in Sicilia e in Magna Grecia tra IV e III sec. a.C. e molto apprezzata in ambiente punico. Non è certo che questo piatto venisse usato esclusivamente per il consumo del pesce, cui sembrerebbero alludere le raffigurazioni, soprattutto alla luce della destinazione prevalentemente funeraria degli esemplari decorati. Ad ogni modo va ricordato che su alcuni esemplari provenienti dalla necropoli punica di Palermo sono stati rinvenuti resti di pesci, deposti nelle tombe come offerta funebre. Il valore simbolico legato al pesce è ribadito ancora dalle raffigurazioni su alcune stele tarde del tofet di Cartagine (III-II sec. a.C.) dove il motivo appare accanto a simboli chiaramente religiosi come ad es. il cosiddetto segno di Tanit (D40). La rilevanza economica che il pesce assunse presso le comunità fenicio-puniche delle zone costiere, ed in special modo dell’area dello Stretto di Gibilterra – luogo di passaggio dei tonni – è resa evidente da alcune serie monetali della colonia fenicia di Cadice (IV-III sec. a.C.) e da alcuni bolli anforici dalla medesima provenienza (III-II sec. a.C.) (D41). Le conserve di pesce di quest’area erano infatti celebri in tutto il Mediterraneo e particolarmente ricercate in tutto il mondo greco. Anche nella Sicilia fenicio-punica, nello specifico a Solunto, le raffigurazioni di tonno compaiono nella monetazione databile tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C.

Il pesce nel mondo greco (D42)

Oltre ai già citati piatti da pesce, nel mondo greco una delle più emblematiche raffigurazioni di pesci è quella del cratere “del venditore di tonno”, vaso italiota a figure rosse opera di un artigiano del cd. “gruppo di Dirce”, attivo nella prima metà del IV sec. a.C. in un’area che si è inclini a localizzare in Sicilia (il cratere è conservato al Museo Mandralisca di Cefalù).

Il pesce nel mondo romano (D43-44)

Attraverso le manifestazioni dell’arte, che si aggiungono alle numerose fonti letterarie a riguardo, possiamo ammirare la grande varietà di specie ittiche note nel mondo romano, spesso esibite in pavimenti musivi e pitture parietali. A sinistra (D43) un riquadro di un pavimento a mosaico dal triclinio della Casa del Fauno a Pompei (I sec. d.C.), copia di un tappeto musivo ellenistico; in alto a destra pittura parietale con pesci e seppie, sempre dall’area vesuviana così come il mosaico con contenitore per garum, la più famosa salsa di pesce tanto apprezzata dai Romani. Tra i resti di pasto raffigurati nei cd. “pavimenti non spazzati” (asaratoi oikoi), i cui precedenti sono da ricercare in ambito ellenistico (Sosos di Pergamo ne è considerato l’inventore, nel II sec. a.C.), figurano

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spesso lische e teste di pesce, a testimoniare l’opulenza del proprietario e ostentarne il potere economico... oltre che a nascondere la scarsa pulizia. Nell’immagine conclusiva di questa carrellata è raffigurato proprio un dettaglio di uno dei più celebri pavimenti non spazzati, quello di Aquileia, del I sec. a.C. (D44).

Gli alimenti nelle raffigurazioni del mondo antico

Luana Poma

Corso di formazione “L’alimentazione nel mondo antico”

Progetto Scuola Museo 2014

Museo Archeologico Regionale “Lilibeo”

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Pane, focacce e dolci nel mondo fenicio-punico e a Cipro

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Pane, focacce e dolci nel mondo fenicio-punico e a Cipro

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Pane, focacce e dolci nel mondo fenicio-punico e a Cipro

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Pane, focacce e dolci nel mondo fenicio-punico e a Cipro

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Pane, focacce e dolci nel mondo punico

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Pane, focacce e dolci nel mondo punico

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Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 10

Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 11

Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 12

Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 13

Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 14

Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 15

Pane, focacce e dolci nel mondo greco

D 16

Il pane nel mondo romano

D 17

“Panem et circenses”

D 18

La frutta e gli ortaggi a Cartagine

D 19

La melagrana nel mondo punico

D 20

La frutta e gli ortaggi nel mondo greco

D 21

La frutta e gli ortaggi nel mondo greco

D 22

La frutta e gli ortaggi nel mondo greco

D 23

La frutta e gli ortaggi nel mondo greco

D 24

La melagrana degli dei: Persefone

D 25

La melagrana degli dei: Hera

D 26

La frutta nel banchetto e nel corteo funebre

D 27

La frutta nel banchetto e nel corteo funebre

D 28

La frutta e la verdura nel mondo romano

D 29

La frutta e la verdura nel mondo romano

D 30

La frutta e la verdura nel mondo romano

D 31

L’olio

D 32

Il miele

D 33

Il miele

D 34

La carne

D 35

La carne

D 36

La carne

D 37

Il pesce nel mondo fenicio-punico

D 38

Il pesce nel mondo fenicio-punico

D 39

Il pesce nel mondo fenicio-punico

D 40

Il pesce nel mondo fenicio-punico

D 41

Il pesce nel mondo greco

D 42

Il pesce nel mondo romano

D 43

Il pesce nel mondo romano

D 44