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GLI AFFRESCHI DEL BUON GOVERNO DI AMBROGIO LORENZETTI [Appunti liberamente presi da Mariella Carlotti, Il bene di tutti, Società editrice fiorentina] Ad uso riservato degli studenti Gli anni del Governo dei Nove (1287-1355) sono considerati l’età dell’oro di Siena. Il Governo dei Nove progetta e realizza quello che resterà nei secoli il cuore politico della città: Piazza del campo e il Palazzo Pubblico. Il campo viene pavimentato assumendo la tipica forma a conchiglia, e i nove spicchi ricordano il governo che ne realizzò il suggestivo assetto. Il giuramento d’ufficio dei Nove governatori e difensori del popolo e della città di Siena esprime in modo solenne lo scopo e lo spirito di chi deve governare. Nel Costituto del 1309 si legge che chi governa deve avere a cuore “massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini. E’ in questo clima che avviene l’affrescatura del Palazzo, un clima in cui non c’è soluzione di continuità tra politica e bellezza, perché lo splendore della città ha bisogno della concordia dei cittadini come dell’armonia delle cose. La denominazione di Buono e Cattivo Governo è relativamente recente: infatti fino al 1700 l’argomento degli affreschi è identificato con La pace e la guerra. Il ciclo raccoglie un’ampia e profonda meditazione medioevale sul tema della politica, che presuppone una ideazione non attribuibile totalmente ad Ambrogio Lorenzetti, di cui pur le fonti, in primis Ghiberti, sottolinea la vasta cultura. La santa virtù con cui si apre l’iscrizione (didascalia che accompagna l’affresco) è la Giustizia. Questa santa virtù, là dove regge, induce ad unità li animi molti, e questi, a cciò ricolti, un ben comune per lor signor si fanno, lo qual, per governare suo stato, elegge di non tener giamma’ gli ochi rivolti da lo splendor de’ volti de le virtù che ‘ntorno a llui si stanno. L’allegoria della Giustizia domina la parte sinistra dell’affresco: è una donna vestita di rosso, che guarda in alto l’allegoria della sapienza di Dio, da cui riceve ispirazione. Tra Iustitia e Sapientia c’è il versetto iniziale del biblico Libro della Sapienza: “Diligite iustitiam qui iudicatis terram”. La Giustizia non può operare –non è lei che sostiene la bilancia- senza la sapienza, senza cioè la tensione al vero e al bene, non sforzo titanico dell’uomo, ma dono di 1

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GLI AFFRESCHI DEL BUON GOVERNO DI AMBROGIO LORENZETTI

[Appunti liberamente presi da Mariella Carlotti, Il bene di tutti, Società editrice fiorentina]

Ad uso riservato degli studenti

Gli anni del Governo dei Nove (1287-1355) sono considerati l’età dell’oro di Siena. Il Governo dei Nove progetta e realizza quello che resterà nei secoli il cuore politico della città: Piazza del campo e il Palazzo Pubblico. Il campo viene pavimentato assumendo la tipica forma a conchiglia, e i nove spicchi ricordano il governo che ne realizzò il suggestivo assetto.

Il giuramento d’ufficio dei Nove governatori e difensori del popolo e della città di Siena esprime in modo solenne lo scopo e lo spirito di chi deve governare. Nel Costituto del 1309 si legge che chi governa deve avere a cuore “massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini.E’ in questo clima che avviene l’affrescatura del Palazzo, un clima in cui non c’è soluzione di continuità tra politica e bellezza, perché lo splendore della città ha bisogno della concordia dei cittadini come dell’armonia delle cose.

La denominazione di Buono e Cattivo Governo è relativamente recente: infatti fino al 1700 l’argomento degli affreschi è identificato con La pace e la guerra.

Il ciclo raccoglie un’ampia e profonda meditazione medioevale sul tema della politica, che presuppone una ideazione non attribuibile totalmente ad Ambrogio Lorenzetti, di cui pur le fonti, in primis Ghiberti, sottolinea la vasta cultura.

La santa virtù con cui si apre l’iscrizione (didascalia che accompagna l’affresco) è la Giustizia.

Questa santa virtù, là dove regge,induce ad unità li animi molti,e questi, a cciò ricolti,un ben comune per lor signor si fanno,lo qual, per governare suo stato, eleggedi non tener giamma’ gli ochi rivoltida lo splendor de’ voltide le virtù che ‘ntorno a llui si stanno.

L’allegoria della Giustizia domina la parte sinistra dell’affresco: è una donna vestita di rosso, che guarda in alto l’allegoria della sapienza di Dio, da cui riceve ispirazione.Tra Iustitia e Sapientia c’è il versetto iniziale del biblico Libro della Sapienza: “Diligite iustitiam qui iudicatis terram”. La Giustizia non può operare –non è lei che sostiene la bilancia- senza la sapienza, senza cioè la tensione al vero e al bene, non sforzo titanico dell’uomo, ma dono di Dio: “initium sapientiae timor Domini” (l’inizio della sapienza è il timore, cioè la coscienza del Signore).

Sulla bilancia, le due dimensioni della Giustizia: a sinistra quella distributiva, che dà ad ogni uomo ciò che merita (taglia la testa all’assasino, facendogli cadere di mano il pugnale e corona il guerriero del quale la spada e la palma indicano la vittoria); a destra la giustizia commutativa, che assicura l’onestà dei commerci, con un angelo che consegna a due mercanti le unità di misura.

Dai due angeli scendono due fili, che diventano una corda nelle mani di Concordia, rappresentata come una donna che tiene una pialla, per rimuovere le asperità nei rapporti sociali. La corda passa poi per le mani dei ventiquattro cittadini, vestiti con diverse fogge: vengono in mente i “ventiquattro seniori a due due/ coronati” del Purgatorio (XIX, 83-84) di Dante e non si può non pensare al Governo dei Ventiquattro, durante il cui potere Siena ottenne a Montaperti la grande vittoria contro i fiorentini. La corda lega liberamente i cittadini –alludendo a una falsa etimologia di concordia (cum chorda, invece che l’unità dei cuori) – per finire in mano alla figura di vecchio che domina la zona destra: il Comune di Siena.

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Il Comune è identificato dai colori araldici di Siena, il bianco e il nero, dalla sigla CSCV (Comune Senarum Civitas Virginis, Comune di Siena, città della Vergine).L’immagine del vecchio è certamente anche quella del Bene Comune. Il Comune non è –come in epoca moderna- un apparato politico-burocratico: è la communitas, che si ordina per raggiungere lo scopo del bene comune.Ai piedi del Comune/Bene Comune, la lupa con Aschio e Senio, figli di Remo, mitici fondatori della città, che nobilitò così le sue origini, legandole a Roma.

Il Bene Comune è dominato dalle virtù teologali con i tradizionali attributi: la Fede, con la Croce, la Speranza che guarda fiduciosa Cristo, e in posizione preminente la Carità, con il cuore ardente in mano: essa antepone gli interessi comuni a quelli privati ed è la radice dell’amor di patria.

Accanto al Comune/Bene Comune siedono invece sei virtù: sono anzitutto le quattro virtù cardinali, cioè cardine della vita morale dell’uomo, virtù politiche per eccellenza. La prima è la Fortezza con lo scudo e la spada; segue la Prudenza che tiene un arco su cui si legge “Preteritum, Presene, Futurum” a indicare la sua accorta valutazione dell’esperienza passata, la coscienza della realtà presente e dei possibili scenari futuri. Ci sono poi a destra del Comune, la Temperanza, con la clessidra indicante il senso del tempo e della misura e la Giustizia. E ancora la Magnanimità, che con una mano regge una corona e con l’altra un contenitore di pietre preziose. Rappresenta l’animo grande, capace di un orizzonte vasto, che sa ridimensionare l’interesse meschino e pensare il bene di tutti. La Pace viene a trovarsi al centro della grande composizione e più che una virtù è il fine di tutta l’allegoria del Buon Governo.

Gli effetti del buon governo.

L’iscrizione dell’Allegoria terminava con queste parole, descrivendo gli effetti di una saggia amministrazione della cosa pubblica:Per questo con trionfo a llui si dannoCensi, tributi e signorie di terre,per questo senza guerreseguita poi ogni civile effetto,utile, necessario e di diletto

La vasta scena è articolata in due zone: la città e il suo contado, divise dalle mura. Dominano la composizione le allegorie delle belle stagioni, la Primavera e l’Estate, mentre nella fascia inferiore troviamo le arti del Quadrivio: Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia. Rappresenta una città in crescita. Si vedono i muratori intenti alla loro opera. Il lavoro ferve in ogni angolo: si distingue un sarto intento a cucire, la bottega di un orefice e forse un banco di cambio; al centro il negozio di un calzolaio e uno di alimentari; sulla destra tutte le attività legate all’arte tessile, con un telaio in primo piano. Il lavoro è sereno, quasi senza fatica; ma c’è posto anche per il puro divertimento: il corteo nuziale, simbolo di concordia, la caccia, la danza, il canto. C’è in questo affresco una esaltazione dell’operosità umana, frutto di quella concezione del lavoro, nata dalla tradizione cristiana, che aveva fatto grandi città come Siena.

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Gli effetti del buon governo in campagna

Sopra la porta e l’inizio della strada si libra la figura di Securitas, rappresentata come una vittoria alata: è bellissima questa immagine di donna nuda, che sembra rimandare a qualche modello classico. Securitas tiene con la mano sinistra la figurina di un impiccato e con la destra un cartiglio su cui è ben leggibile la seguente iscrizione il cui senso è: fin quando il Comune vivrà nella giustizia (“manterrà questa donna in signorìa”) gli uomini potranno vivere, viaggiare e lavorare senza paura, perché i cattivi saranno resi inoffensivi: l’allusione è ai rei legati nell’Allegoria e richiamati dall’immagine dell’impiccato che Securitas tiene nella mano sinistra.

Presso la porta c’è un viavai di personaggi, segno del proficuo scambio tra la vita della campagna e quella della città. I cacciatori escono dalla città, a cavallo con il falcone e i cani, mentre in primo piano già si caccia con le balestre tra le viti e gli olivi o più in là tra le stoppie. Una coppia sta entrando nella porta e tanti contadini vanno a vendere nel borgo i loro prodotti: uova, farina, grano, persino un maiale. C’è anche un mendicante lungo la strada, all’altezza del cavallo con l’amazzone: non è un mondo utopico, ma ideale quello che da Lorenzetti viene rappresentato. L’utopia è la sostituzione al reale di un’immagine che trova il suo fascino nella sua irrealizzabilità: è la grande tentazione della modernità. Il Medioevo è tutto pervaso da un anelito ideale. Dove la strada si fa pianeggiante troviamo una famigliola…si vedono sullo sfondo le colline e i borghi con tutte le tipologie del paesaggio senese: quello verde e dolce del Chianti,quello aspro e secco delle Crete, fino al Monte Amiata e alla Maremma.

L’allegoria del MalgovernoDove la giustizia sta legata –invece di legare i cittadini nel vincolo delle concordia, come avviene nel Buon Governo- nessuno cerca il bene comune: nasce così la tirannide, istituzione opposta al Comune, circondata da tutti i vizi. Questo governo favorisce chi fa il male ed è così fonte di rovina per la città e la campagna.La Tirannide campeggia tenendo in mano un pugnale e una coppa d’oro, sporca di sangue: il suo metodo è la violenza, il suo scopo la ricchezza. E’ strabica –non vede bene-, con tutti gli attributi luciferini: corna, zampe, artigli, ali di pipistrello e appoggia i piedi su un caprone, tradizionale simbolo di lussuria. E’ un potere solitario, chiuso in una città da cui escono ed entrano solo soldati: non c’è popolo ai piedi della Tirannide, a differenza di quanto accade ai piedi del Comune. Sopra la figura infernale dominano Superbia, Avarizia e Vanagloria. Seduti intorno a Tirannide, i vizi hanno come denominatore comune l’egoismo, la ricerca ad ogni costo del proprio interesse e il disprezzo degli altri. Da sinistra, per chi guarda, troviamo la Crudeltà –che terrorizza un bambino con un serpente -, il Tradimento –che tiene in grembo un agnello con coda di scorpione – e la Frode, con ali di pipistrello e artigli.. Seguono Furore, un centauro con testa di animale, che tiene in mano un sasso e un pugnale; la Divisione –vestita con i colori di Siena, il bianco e il nero, su cui si legge “sì” e “no” – che tiene una sega, evidente contrappunto alla pialla della Concordia e la Guerra. La città è desolata, tutto cade in rovina, non c’è più traccia di bellezza e di armonia. L’unica cifra dei rapporti umani è la violenza. La porta della città non è più il punto di transito e di unità tra città e campagna: da essa escono soltanto uomini armati, pronti a devastare il contado. La campagna è incolta, si vedono incendi di case e rovine. L’affermazione del “bene proprio”, della propria angusta misura e del proprio tornaconto avvelena la vita sociale e personale. E’ paradossale come l’egoismo non sia l’affermazione dell’io, ma la sua intima negazione.

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