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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 213 (48.537) Città del Vaticano venerdì 18 settembre 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +z!z!;!#!:! È morto Enrique Irazoqui che ha interpretato Gesù nel «Vangelo secondo Matteo» di Pier Paolo Pasolini Volto d’uomo. Volto di Cristo Intervista al cardinale Zenari, nunzio apostolico a Damasco In Siria la speranza sta morendo Il Papa nella Giornata dei preti anziani e malati della Lombardia Guarire dal virus dell’autosufficienza Lascerà l’incarico a ottobre per facilitare la formazione di un nuovo esecutivo Libia: al-Serraj annuncia le dimissioni Marcia di preghiera a due anni dal rapimento di padre Macalli Intervento del segretario generale dell’Onu dopo le intese di Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein Gli accordi di Washington opportunità da non perdere NEW YORK, 17. «Credo sia impor- tante vedere l’opportunità che c'è, l’accordo ha ottenuto un risultato importante, la sospensione dell’an- nessione dei territori occupati, che abbiamo sempre detto avrebbe avuto drammatiche conseguenze per la pa- ce e la sicurezza nella regione e la soluzione dei due Stati». Lo ha detto il segretario generale dell’Onu, António Guterres, all'in- domani degli accordi firmati alla Casa Bianca — alla presenza di Do- nald Trump — per la normalizzazio- ne delle relazioni diplomatiche tra Israele e Emirati Arabi Uniti e la dichiarazione di pace tra Israele e Bahrein. «Questa opportunità ora esiste — ha proseguito Guterres — pensiamo che sia il momento in cui Israele e Palestina riprendano il dia- logo per trovare una soluzione in li- nea con le risoluzioni delle Nazioni Unite». «È molto importante — ha quindi aggiunto il segretario gene- rale delle Nazioni Unite — che si impegnino in diretti negoziati per la pace in Medio Oriente». L’obiet- tivo è il raggiungimento del cessate il fuoco. Di ritorno da Washington, il pri- mo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, ha detto che «porteremo altri accordi di pace, non c'è dubbio che abbiamo dato il via ad una grande rivoluzione». In dichiarazio- ni rilanciate dal quotidiano «Times of Israel», Netanyahu ha precisato che si tratta di «un bene per Israele, bene per la regione, bene per l’uma- nità. Non è una piccola cosa». Gli accordi di Washington sono stati criticati dall'Iran. In una riunio- ne del governo a Teheran, trasmessa ieri in diretta televisiva, il presidente, Hassan Rohani, ha dichiarato che l’Iran considererà gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein come «responsabi- li di tutte le gravi conseguenze che deriveranno» dagli accordi di nor- malizzazione siglati alla Casa Bianca con Israele. «Come avete potuto tendere la mano a Israele? E volete anche dar- gli delle basi nella regione?», ha ac- cusato nel suo discorso Rohani, par- lando di «alcuni Stati regionali» i cui «dirigenti non capiscono nulla di religione e ignorano il proprio debi- to verso la nazione palestinese e i lo- ro fratelli che parlano la loro stessa lingua». «Dove sono finite le vostre preoccupazioni per i crimini in Pale- stina e — ha incalzato il presidente dell'Iran — dov’è finita la vostra compassione per i vostri fratelli pale- stinesi?». Nei giorni scorsi, la Guida supre- ma di Teheran, Ali Khamenei, aveva già accusato gli Emirati Arabi Uniti di avere «tradito il mondo islamico, le nazioni arabe, i Paesi della regio- ne e la Palestina». L’Arabia Saudita si è mantenuta prudente e ha ribadito di essere dal- la parte del popolo palestinese e di sostenere tutti gli sforzi volti a rag- giungere una soluzione giusta e glo- bale alla questione palestinese. In una rara intervista televisiva, il capo del Mossad, Yossi Cohen, non ha però escluso, a breve, la possibili- tà di intese tra Riad e Israele. Il pre- sidente Trump, nella conferenza stampa alla Casa Bianca prima della firma degli accordi con Abu Dhabi e Manama, aveva dichiarato che «altri cinque Paesi arabi si uniranno alla pace con Israele». In risposta ad una domanda diretta se l’Arabia Saudita sia tra questi Paesi, Cohen ha detto: «Stimo che ci possa essere questa possibilità. Certamente lo spero». Da Ramallah, il presidente palesti- nese, Abu Abbas, ha denunciato che le intese di Washington «non per- metteranno di raggiungere la pace finché gli Stati Uniti e l’occupazione israeliana non riconosceranno il di- ritto del popolo palestinese a uno Stato indipendente». di MASSIMILIANO MENICHETTI O ltre mezzo milioni di morti e circa 12 milioni di sfollati, interni ed esterni. È questo il bilancio, che non finisce di ag- giornarsi, del conflitto in Siria scoppiato ormai da dieci anni e che oggi vede anche l’incubo del covid- 19 e il flagello della povertà estre- ma, della fame. Il 15 marzo del 2011, nel pieno delle rivolte che hanno interessato il mondo arabo, iniziano le manifestazioni contro il governo centrale, un anno dopo la guerra civile divampa in tutto il Paese. I cosiddetti “ribelli della pri- ma ora”, si oppongono in una real- tà a maggioranza sunnita, al presi- dente alawita tutt’ora in carica, Ba- shar Hafiz al-Asad. La rivolta de- grada in brevissimo tempo e diven- ta un conflitto senza quartiere che vede formarsi, fronteggiarsi, appog- giarsi e combattersi: milizie locali, frange di al Qaeda, daesh, merce- nari, gruppi terroristici autocefali. Nel conflitto si registrano anche interventi militari o di sostegno di molte altre nazioni trasformandolo in una guerra per procura. Papa Francesco scosso dai conflitti nel mondo ed in particolare dalle vio- lenze in Siria, parla più volte di “terza guerra mondiale a pezzi”. Anno dopo anno la Siria, tra armi chimiche, bombe a grappolo, mine, rapimenti e fosse comuni, diventa un buco nero che divora, senza so- luzione di continuità, tentativi di accordi di pace e stabilità. Il norve- gese Geir Pedersen, attuale inviato speciale delle Nazioni Unite per la crisi siriana, instancabilmente pro- segue, sulle orme dei predecessori (Kofi Annan, Lakhdar Brahimi e Staffan de Mistura) nella costruzio- ne di ponti e negoziati tra fazioni e governo. In Siria si lavora a una nuova Costituzione, che secondo molti, potrebbe accrescere la fidu- cia tra le parti, ma quasi ogni notte i missili continuano a ferire il cielo e le bombe a squarciare la terra ri- dotta a un “cumulo di macerie”, come ribadisce il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Dama- sco. Il porporato, che ha negli oc- chi volti e immagini di “una lunga serie di atrocità”, non perde la spe- ranza e il coraggio della testimo- nianza. Eminenza cosa significa parlare di speranza in una terra come la Siria? Quello che, purtroppo, sta mo- rendo in Siria, nel cuore di diversa «Spero tanto che questo periodo» di pandemia «ci aiuti a gustare la bellezza dell’incontro con l’altro, a guarire dal virus dell’autosufficien- za»: è l’auspicio del Papa in un messaggio per la Giornata dei sa- cerdoti anziani e malati della Lom- bardia, riuniti giovedì 17 settembre nel santuario mariano di Caravag- gio. Giunto alla sesta edizione, l’in- contro di fraternità promosso dal- l’Unitalsi regionale e dai vescovi lombardi, si è svolto nonostante le limitazioni necessarie volte a con- trastare la diffusione del contagio. E proprio con un invito a non di- menticare la «lezione» impartita dal covid-19, a causa del quale «tutti abbiamo sperimentato restri- zioni», il Pontefice ha spiegato co- me «in fondo, abbiamo conosciuto quello che alcuni» preti avanti con gli anni o infermi, e «anche molti altri anziani» vivono quotidiana- mente trascorrendo «in uno spazio limitato», giornate che sembrano «interminabili e sempre uguali». PAGINA 8 TRIPOLI, 18. Il premier libico Fayez al-Serraj ha annunciato l’intenzione di lasciare il suo incarico di presiden- te del Consiglio presidenziale «entro la fine di ottobre», dopo i negoziati di Ginevra per il nuovo governo del paese. L’annuncio — dopo le indis- crezioni dei giorni scorsi — è arrivato in un discorso alla nazione trasmes- so, ieri sera, dalla tv pubblica. Il leader del Governo di accordo nazionale (Gna) ha auspicato che un un nuovo esecutivo possa portare a termine la difficile transizione politi- ca del paese, martoriato da anni da una guerra civile contro le milizie del generale Khalifa Haftar che control- lano Libia orientale. Una data scelta, secondo gli osservatori, non a caso, visto che il mese prossimo a Ginevra sono previsti i negoziati per la for- mazione di un nuovo governo che rimpiazzi quello attuale riconosciuto dall’Onu. L’obiettivo sarebbe quello di rappresentarvi le diverse strutture del paese (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan), raggiungendo un’intesa che preveda una nuova composizione del Consiglio presidenziale per poi indi- re le elezioni. «Spero — ha detto al- Serraj — che la commissione per il dialogo finisca il suo lavoro e scelga consiglio presidenziale e primo mi- nistro». Le consultazioni delle scorse settimane, a suo avviso, «hanno por- tato a una nuova fase preparatoria che ha unificato le istituzioni». Si è detto però convinto che «le elezioni dirette siano il modo migliore per raggiungere una soluzione globale». Il passo indietro di al-Serraj segue le dimissioni del 13 settembre, ma non ancora accettate, del collega del governo non riconosciuto della Cire- naica, Abdullah al Thinni, dopo le proteste nell’est. Del resto anche Haftar sta lasciando la scena al presi- dente del parlamento insediato a To- bruk, Aqila Saleh, che si è distinto con una proposta politica di unifica- zione delle istituzioni del paese. di ENRICO CASALE I l 17 settembre 2018 in Niger veniva rapito padre Pierluigi Maccalli. A due anni dal suo sequestro il missionario non è pe- rò stato dimenticato. Il suo ricor- do e la sua presenza sono vivissi- mi sia nella missione di Bomoan- ga, dove operava, sia nella diocesi di Crema, da dove proviene. A Bomoanga, padre Gigi, come tutti lo chiamano, era arrivato al- cuni anni fa dopo una lunga espe- rienza in Costa d’Avorio. Nella sua attività ha sempre cercato di tenere insieme evangelizzazione e promozione umana: scuole, di- spensari e formazione per i giova- ni contadini. Attento alle proble- matiche legate alle culture locali, aveva organizzato incontri per af- frontare temi e contrastare prati- che legate alle culture tradizionali, tra le quali anche la circoncisione e l’escissione delle ragazze. «Una persona serena, di dialogo con tutti, musulmani e rappresentanti di religioni tradizionali — ricorda- no i suoi confratelli della Società delle missioni africane (Sma), la famiglia religiosa alla quale appar- tiene — ha sempre annunciato il Vangelo concretamente, aiutando i più poveri, specialmente i bambini malnutriti e malati. Un uomo di- namico e di preghiera». Riflessioni sul nuovo anno ebraico 5781 di ABRAHAM SKORKA N ell’ebraismo le preghiere rituali, fatte alcune rare eccezioni, sono compo- ste al plurale. L’individuo ap- porta i propri sentimenti alla preghiera, ma compie l’atto di offrirli a Dio come membro del- la comunità. Per questo la tradi- zione ebraica attribuisce così tanta importanza alla preghiera comune (Berachot 8, a); solo quando le persone si riuniscono le preghiere sono offerte nella loro pienezza. Quest’anno, di- versamente dagli altri, il riunirsi degli ebrei nelle sinagoghe per celebrare l’inizio di un nuovo anno subirà restrizioni a causa del distanziamento sociale impo- sto dalla pandemia del covid-19. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali: — Reinhard Marx, Arcive- scovo di München und Frei- sing (Repubblica Federale di Germania), Coordinatore del Consiglio per l’Economia; — Carlos Osoro Sierra, Ar- civescovo di Madrid (Spa- gna), con l’Eminentissimo Cardinale Juan José Omella Omella, Arcivescovo di Bar- celona (Spagna). Rapporto delle Nazioni Unite Il conflitto non si ferma GIOVANNI BENEDETTI A PAGINA 3 CONTINUA A PAGINA 3 CONTINUA A PAGINA 3 di DANIELE MENCARELLI C risto ha milioni di volti. Dal primo concilio di Nicea, nel 325, all’ultima opera contemporanea, magari ancora da ultimare. Il suo volto ha viaggiato di pari passo alla storia dell’uomo, ne è stato in un certo senso l’emblema stesso, modificandosi di epoca in epoca, sino ai giorni nostri. Nella vita di molti, nella mia senz’altro, il volto più volto di Cristo, amplificato da quel meraviglioso impasto di lingue che è il cinema, è senz’altro quello di Enrique Irazoqui. Il Gesù di Pier Paolo Pasolini, del suo capolavoro assoluto: Il Vangelo secondo Matteo, del 1964. Irazoqui — morto ieri, a 76 anni — era nato a Barcellona, nel 1944. Arrivò in Italia, dove conobbe Pasolini, per diffondere i crimini della dittatura franchista, lui giovane studente comunista. Fu proprio l’intensità della lotta politica che viveva nel suo sguardo a far innamorare Pasolini. E lo scelse per questo. Perché quella vitalità forsennata, indomabile, era quella che il regista cercava per il suo Cristo. E perché la sua convinzione ideologica andava a creare, messa a contrasto con il Vangelo di Matteo, quell’ossimoro necessario a fare arte vera, e necessaria. Un giovane militante comunista a impersonare Cristo. Pasolini, da veggente, colse dentro questa contraddizione una delle chiavi interpretative di tutto il Novecento. Semplicemente, immensamente, geniale. Irazoqui, al rientro in Spagna dopo le riprese del film, fu punito dal regime franchista che vedeva Pasolini come un nemico dichiarato. Quella punizione è parte dell’opera. Perché per il suo Cristo, Pasolini questo voleva: l’assenza di confine. Vita reale e finzione inestricabilmente unite per sempre. Basta vedere chi compare nel cast del film per rendersi conto di questo dato di fatto. Dalla madre di Pier Paolo agli amici romani, da Siciliano a Gatto, oltre ai ragazzi di vita, quelli di sempre. Irazoqui al rientro in Spagna offrì il compenso del film alla causa antifranchista, il mestiere d’attore non gli piaceva veramente, infatti il suo primo film fu anche l’ultimo. E forse non poteva che essere così. La sua vita è stata segnata dall’impegno politico, una vita intensa, piena di interessi diversi, non ultimo il gioco degli scacchi. Ma questo, Irazoqui ci perdonerà, è importante il giusto. La sua vita è appartenuta a lui e ai suoi cari. Noi gli siamo grati per quel volto angelico e terrestre insieme, imperfetto per quanto intenso. Una linea di sangue attraversa i secoli. Da Giotto a Piero Della Francesca, passando per Raffaello e Michelangelo, Caravaggio e Mantegna. Sino al volto di Enrique Irazoqui, tanti volti, dipinti, scolpiti e ripresi, per rinnovare lo stupore dell’uomo davanti a Cristo. Figlio di Dio e dell’uomo. PAGINA 7 racconto LA PAROLA DELLANNO Ogni parabola è una sfida AMY-JILL LEVINE A PAGINA 5

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 213 (48.537) Città del Vaticano venerdì 18 settembre 2020

.

y(7HA

3J1*QS

SKKM(

+z!z!;!#

!:!

È morto Enrique Irazoqui che ha interpretato Gesù nel «Vangelo secondo Matteo» di Pier Paolo Pasolini

Volto d’uomo. Volto di Cristo

Intervista al cardinale Zenari, nunzio apostolico a Damasco

In Siria la speranzasta morendo

Il Papa nella Giornata dei preti anziani e malati della Lombardia

Guarire dal virusdell’autosufficienza

Lascerà l’incarico a ottobre per facilitare la formazione di un nuovo esecutivo

Libia: al-Serraj annuncia le dimissioni

Marcia di preghieraa due anni

dal rapimentodi padre Macalli

Intervento del segretario generale dell’Onu dopo le intese di Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein

Gli accordi di Washingtonopportunità da non perdere

NEW YORK, 17. «Credo sia impor-tante vedere l’opportunità che c'è,l’accordo ha ottenuto un risultatoimportante, la sospensione dell’an-nessione dei territori occupati, cheabbiamo sempre detto avrebbe avutodrammatiche conseguenze per la pa-ce e la sicurezza nella regione e lasoluzione dei due Stati».

Lo ha detto il segretario generaledell’Onu, António Guterres, all'in-domani degli accordi firmati allaCasa Bianca — alla presenza di Do-nald Trump — per la normalizzazio-ne delle relazioni diplomatiche traIsraele e Emirati Arabi Uniti e la

dichiarazione di pace tra Israele eBahrein. «Questa opportunità oraesiste — ha proseguito Guterres —pensiamo che sia il momento in cuiIsraele e Palestina riprendano il dia-logo per trovare una soluzione in li-nea con le risoluzioni delle NazioniUnite». «È molto importante — haquindi aggiunto il segretario gene-rale delle Nazioni Unite — che siimpegnino in diretti negoziati perla pace in Medio Oriente». L’o b i e t-tivo è il raggiungimento del cessateil fuoco.

Di ritorno da Washington, il pri-mo ministro israeliano, Benyamin

Netanyahu, ha detto che «porteremoaltri accordi di pace, non c'è dubbioche abbiamo dato il via ad unagrande rivoluzione». In dichiarazio-ni rilanciate dal quotidiano «Timesof Israel», Netanyahu ha precisatoche si tratta di «un bene per Israele,bene per la regione, bene per l’uma-nità. Non è una piccola cosa».

Gli accordi di Washington sonostati criticati dall'Iran. In una riunio-ne del governo a Teheran, trasmessaieri in diretta televisiva, il presidente,Hassan Rohani, ha dichiarato chel’Iran considererà gli Emirati ArabiUniti e il Bahrein come «responsabi-li di tutte le gravi conseguenze chederiveranno» dagli accordi di nor-malizzazione siglati alla Casa Biancacon Israele.

«Come avete potuto tendere lamano a Israele? E volete anche dar-gli delle basi nella regione?», ha ac-cusato nel suo discorso Rohani, par-lando di «alcuni Stati regionali» icui «dirigenti non capiscono nulla direligione e ignorano il proprio debi-to verso la nazione palestinese e i lo-ro fratelli che parlano la loro stessalingua». «Dove sono finite le vostrepreoccupazioni per i crimini in Pale-stina e — ha incalzato il presidentedell'Iran — dov’è finita la vostracompassione per i vostri fratelli pale-stinesi?».

Nei giorni scorsi, la Guida supre-ma di Teheran, Ali Khamenei, avevagià accusato gli Emirati Arabi Unitidi avere «tradito il mondo islamico,le nazioni arabe, i Paesi della regio-ne e la Palestina».

L’Arabia Saudita si è mantenutaprudente e ha ribadito di essere dal-la parte del popolo palestinese e disostenere tutti gli sforzi volti a rag-giungere una soluzione giusta e glo-bale alla questione palestinese.

In una rara intervista televisiva, ilcapo del Mossad, Yossi Cohen, nonha però escluso, a breve, la possibili-tà di intese tra Riad e Israele. Il pre-sidente Trump, nella conferenzastampa alla Casa Bianca prima dellafirma degli accordi con Abu Dhabi eManama, aveva dichiarato che «altricinque Paesi arabi si uniranno allapace con Israele». In risposta aduna domanda diretta se l’ArabiaSaudita sia tra questi Paesi, Cohenha detto: «Stimo che ci possa esserequesta possibilità. Certamente losp ero».

Da Ramallah, il presidente palesti-nese, Abu Abbas, ha denunciato chele intese di Washington «non per-metteranno di raggiungere la pacefinché gli Stati Uniti e l’o ccupazioneisraeliana non riconosceranno il di-ritto del popolo palestinese a unoStato indipendente».

di MASSIMILIANO MENICHETTI

Oltre mezzo milioni di mortie circa 12 milioni di sfollati,interni ed esterni. È questo

il bilancio, che non finisce di ag-giornarsi, del conflitto in Siriascoppiato ormai da dieci anni e cheoggi vede anche l’incubo del covid-19 e il flagello della povertà estre-ma, della fame. Il 15 marzo del2011, nel pieno delle rivolte chehanno interessato il mondo arabo,iniziano le manifestazioni contro ilgoverno centrale, un anno dopo laguerra civile divampa in tutto ilPaese. I cosiddetti “ribelli della pri-ma ora”, si oppongono in una real-tà a maggioranza sunnita, al presi-dente alawita tutt’ora in carica, Ba-shar Hafiz al-Asad. La rivolta de-grada in brevissimo tempo e diven-ta un conflitto senza quartiere chevede formarsi, fronteggiarsi, appog-giarsi e combattersi: milizie locali,frange di al Qaeda, daesh, merce-nari, gruppi terroristici autocefali.

Nel conflitto si registrano ancheinterventi militari o di sostegno di

molte altre nazioni trasformandoloin una guerra per procura. PapaFrancesco scosso dai conflitti nelmondo ed in particolare dalle vio-lenze in Siria, parla più volte di“terza guerra mondiale a pezzi”.Anno dopo anno la Siria, tra armichimiche, bombe a grappolo, mine,rapimenti e fosse comuni, diventaun buco nero che divora, senza so-luzione di continuità, tentativi diaccordi di pace e stabilità. Il norve-gese Geir Pedersen, attuale inviatospeciale delle Nazioni Unite per lacrisi siriana, instancabilmente pro-segue, sulle orme dei predecessori(Kofi Annan, Lakhdar Brahimi eStaffan de Mistura) nella costruzio-ne di ponti e negoziati tra fazioni egoverno. In Siria si lavora a unanuova Costituzione, che secondomolti, potrebbe accrescere la fidu-cia tra le parti, ma quasi ogni nottei missili continuano a ferire il cieloe le bombe a squarciare la terra ri-dotta a un “cumulo di macerie”,come ribadisce il cardinale MarioZenari, nunzio apostolico a Dama-sco. Il porporato, che ha negli oc-chi volti e immagini di “una lungaserie di atrocità”, non perde la spe-ranza e il coraggio della testimo-nianza.

Eminenza cosa significa parlare disperanza in una terra come la Siria?

Quello che, purtroppo, sta mo-rendo in Siria, nel cuore di diversa

«Spero tanto che questo periodo»di pandemia «ci aiuti a gustare labellezza dell’incontro con l’altro, aguarire dal virus dell’autosufficien-za»: è l’auspicio del Papa in unmessaggio per la Giornata dei sa-cerdoti anziani e malati della Lom-bardia, riuniti giovedì 17 settembrenel santuario mariano di Caravag-gio. Giunto alla sesta edizione, l’in-contro di fraternità promosso dal-l’Unitalsi regionale e dai vescovilombardi, si è svolto nonostante lelimitazioni necessarie volte a con-trastare la diffusione del contagio.

E proprio con un invito a non di-menticare la «lezione» impartitadal covid-19, a causa del quale«tutti abbiamo sperimentato restri-zioni», il Pontefice ha spiegato co-me «in fondo, abbiamo conosciutoquello che alcuni» preti avanti congli anni o infermi, e «anche moltialtri anziani» vivono quotidiana-mente trascorrendo «in uno spaziolimitato», giornate che sembrano«interminabili e sempre uguali».

PAGINA 8

TRIPOLI, 18. Il premier libico Fayezal-Serraj ha annunciato l’intenzionedi lasciare il suo incarico di presiden-te del Consiglio presidenziale «entrola fine di ottobre», dopo i negoziatidi Ginevra per il nuovo governo delpaese. L’annuncio — dopo le indis-crezioni dei giorni scorsi — è arrivatoin un discorso alla nazione trasmes-so, ieri sera, dalla tv pubblica.

Il leader del Governo di accordonazionale (Gna) ha auspicato che unun nuovo esecutivo possa portare atermine la difficile transizione politi-ca del paese, martoriato da anni dauna guerra civile contro le milizie delgenerale Khalifa Haftar che control-lano Libia orientale. Una data scelta,secondo gli osservatori, non a caso,visto che il mese prossimo a Ginevrasono previsti i negoziati per la for-mazione di un nuovo governo che

rimpiazzi quello attuale riconosciutodall’Onu. L’obiettivo sarebbe quellodi rappresentarvi le diverse strutturedel paese (Tripolitania, Cirenaica eFezzan), raggiungendo un’intesa chepreveda una nuova composizione delConsiglio presidenziale per poi indi-re le elezioni. «Spero — ha detto al-Serraj — che la commissione per ildialogo finisca il suo lavoro e scelgaconsiglio presidenziale e primo mi-nistro». Le consultazioni delle scorsesettimane, a suo avviso, «hanno por-tato a una nuova fase preparatoriache ha unificato le istituzioni». Si èdetto però convinto che «le elezionidirette siano il modo migliore perraggiungere una soluzione globale».

Il passo indietro di al-Serraj seguele dimissioni del 13 settembre, manon ancora accettate, del collega delgoverno non riconosciuto della Cire-

naica, Abdullah al Thinni, dopo leproteste nell’est. Del resto ancheHaftar sta lasciando la scena al presi-dente del parlamento insediato a To-bruk, Aqila Saleh, che si è distintocon una proposta politica di unifica-zione delle istituzioni del paese.

di ENRICO CASALE

I l 17 settembre 2018 in Nigerveniva rapito padre PierluigiMaccalli. A due anni dal suo

sequestro il missionario non è pe-rò stato dimenticato. Il suo ricor-do e la sua presenza sono vivissi-mi sia nella missione di Bomoan-ga, dove operava, sia nella diocesidi Crema, da dove proviene.

A Bomoanga, padre Gigi, cometutti lo chiamano, era arrivato al-cuni anni fa dopo una lunga espe-rienza in Costa d’Avorio. Nellasua attività ha sempre cercato ditenere insieme evangelizzazione epromozione umana: scuole, di-spensari e formazione per i giova-ni contadini. Attento alle proble-matiche legate alle culture locali,aveva organizzato incontri per af-frontare temi e contrastare prati-che legate alle culture tradizionali,tra le quali anche la circoncisionee l’escissione delle ragazze. «Unapersona serena, di dialogo contutti, musulmani e rappresentantidi religioni tradizionali — r i c o rd a -no i suoi confratelli della Societàdelle missioni africane (Sma), lafamiglia religiosa alla quale appar-tiene — ha sempre annunciato ilVangelo concretamente, aiutando ipiù poveri, specialmente i bambinimalnutriti e malati. Un uomo di-namico e di preghiera».

Riflessionisul nuovo anno

ebraico 5781

di ABRAHAM SKO R KA

Nell’ebraismo le preghiererituali, fatte alcune rareeccezioni, sono compo-

ste al plurale. L’individuo ap-porta i propri sentimenti allapreghiera, ma compie l’atto dioffrirli a Dio come membro del-la comunità. Per questo la tradi-zione ebraica attribuisce cosìtanta importanza alla preghieracomune (Berachot 8, a); soloquando le persone si riunisconole preghiere sono offerte nellaloro pienezza. Quest’anno, di-versamente dagli altri, il riunirsidegli ebrei nelle sinagoghe percelebrare l’inizio di un nuovoanno subirà restrizioni a causadel distanziamento sociale impo-sto dalla pandemia del covid-19.

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza gliEminentissimi Cardinali:

— Reinhard Marx, Arcive-scovo di München und Frei-sing (Repubblica Federale diGermania), Coordinatore delConsiglio per l’Economia;

— Carlos Osoro Sierra, Ar-civescovo di Madrid (Spa-gna), con l’EminentissimoCardinale Juan José OmellaOmella, Arcivescovo di Bar-celona (Spagna).

Rapporto delle Nazioni Unite

Il conflittonon si ferma

GI O VA N N I BENEDETTI A PA G I N A 3 CO N T I N UA A PA G I N A 3

CO N T I N UA A PA G I N A 3

di DANIELE MENCARELLI

Cristo ha milioni di volti. Dal primoconcilio di Nicea, nel 325, all’ultimaopera contemporanea, magari ancorada ultimare. Il suo volto ha viaggiatodi pari passo alla storia dell’uomo, ne

è stato in un certo senso l’emblema stesso,modificandosi di epoca in epoca, sino ai giorninostri. Nella vita di molti, nella mia senz’altro, ilvolto più volto di Cristo, amplificato da quelmeraviglioso impasto di lingue che è il cinema, èsenz’altro quello di Enrique Irazoqui. Il Gesù diPier Paolo Pasolini, del suo capolavoro assoluto:Il Vangelo secondo Matteo, del 1964. Irazoqui —morto ieri, a 76 anni — era nato a Barcellona, nel1944. Arrivò in Italia, dove conobbe Pasolini, perdiffondere i crimini della dittatura franchista, luigiovane studente comunista. Fu proprio l’intensitàdella lotta politica che viveva nel suo sguardo afar innamorare Pasolini. E lo scelse per questo.Perché quella vitalità forsennata, indomabile, eraquella che il regista cercava per il suo Cristo. Eperché la sua convinzione ideologica andava acreare, messa a contrasto con il Vangelo diMatteo, quell’ossimoro necessario a fare arte vera,e necessaria. Un giovane militante comunista aimpersonare Cristo. Pasolini, da veggente, colse

dentro questa contraddizione una delle chiaviinterpretative di tutto il Novecento.Semplicemente, immensamente, geniale. Irazoqui,

al rientro in Spagna dopo le riprese del film, fupunito dal regime franchista che vedeva Pasolinicome un nemico dichiarato. Quella punizione èparte dell’opera. Perché per il suo Cristo, Pasoliniquesto voleva: l’assenza di confine. Vita reale efinzione inestricabilmente unite per sempre. Bastavedere chi compare nel cast del film per rendersiconto di questo dato di fatto. Dalla madre di PierPaolo agli amici romani, da Siciliano a Gatto,oltre ai ragazzi di vita, quelli di sempre. Irazoquial rientro in Spagna offrì il compenso del film allacausa antifranchista, il mestiere d’attore non glipiaceva veramente, infatti il suo primo film fuanche l’ultimo. E forse non poteva che essere così.La sua vita è stata segnata dall’impegno politico,una vita intensa, piena di interessi diversi, nonultimo il gioco degli scacchi. Ma questo, Irazoquici perdonerà, è importante il giusto. La sua vita èappartenuta a lui e ai suoi cari. Noi gli siamograti per quel volto angelico e terrestre insieme,imperfetto per quanto intenso. Una linea disangue attraversa i secoli. Da Giotto a Piero DellaFrancesca, passando per Raffaello e Michelangelo,Caravaggio e Mantegna. Sino al volto di EnriqueIrazoqui, tanti volti, dipinti, scolpiti e ripresi, perrinnovare lo stupore dell’uomo davanti a Cristo.Figlio di Dio e dell’uomo.

PAGINA 7

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

Ogni parabolaè una sfida

AMY-JILL LEVINE A PA G I N A 5

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 venerdì 18 settembre 2020

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Pubblicate le linee guida dell’Unione europea sul Recovery fund

Riforme strutturalie transizione green-digital

Giornata internazionale della parità retributiva

Nessuno deve esserelasciato indietro

BRUXELLES, 17. La Commissione eu-ropea ha pubblicato, oggi, le lineeguida all’utilizzo del Recovery funde si aspetta che i piani di rilancio, oRecovery plan, cui stanno lavorandoi governi Ue, siano incentrati a rifor-me strutturali e a un impatto eviden-te sugli obiettivi di transizione verdee digitale.

Al massimo entro il 30 aprile 2021i governi dovranno presentare pianidi rilancio che contengano le riformeindicate nelle raccomandazioni Uedel 2019 e 2020. Pertanto, progettisu tecnologie pulite e fonti rinnova-bili, efficienza energetica degli edifi-ci, estensione dei trasporti pubblici,banda larga, fibra e 5G, digitalizza-zione della pubblica amministrazio-ne, rafforzamento delle competenzedigitali per tutte le età. I piani do-vranno «aumentare il potenzialeeconomico, creare occupazione e raf-forzare la resilienza». Nello specifi-co, secondo i target indicati, dovran-no contenere un minimo di spesa le-gata alla transizione verde del 37%, eun minimo legata a investimenti di-gitali del 20%. Occorrerà privilegiareanche lo spostamento della tassazio-ne dal lavoro ai consumi. A ottobre,la Commissione presenterà una valu-tazioni individuali dei piani naziona-li per il clima e l’energia, che daran-no una guida importante agli Statiper preparare i piani di Recovery.

Nel suo primo discorso sullo statodell’Unione, pronunciato ieri, il pre-sidente della Commissione europea,Ursula von der Leyen, ha toccatovari temi chiave per la ripresa delblocco a 27, fino alla svolta sui mi-granti con la volontà di superare ilcontestato regolamento di Dublino edi costruire un’Unione antirazzista.«Nel nuovo piano sulle migrazioni»— che sarà presentato il 23 settembre— «verrà abolito il regolamento diDublino e sarà sostituito da un nuo-vo sistema di governance europea,che avrà una struttura comune perl’asilo ed i rimpatri, con un meccani-smo di solidarietà forte ed incisivo».Von der Leyen ha respinto gli attac-chi dei sovranisti di Identità e de-mocrazia e dei conservatori dell’E c r,che l’hanno criticata aspramente peraver ricordato che «salvare vite in

mare non è un optional» e per averesortato un approccio «solidale».

«Gli europei — ha poi aggiunto —vogliono uscire da questo mondodel coronavirus, da questa fragilità,da questa incertezza. Sono prontiper un cambiamento». L’Italia, inparticolare, sembra avere un ruoloda protagonista nella visione strate-gica dell’Europa immaginata da vonder Leyen. Il presidente del Consi-glio dei ministri italiano, GiuseppeConte, è stato difatti l’unico a esserenominato per annunciare la collabo-razione con la presidenza italianadel G20, nel 2021, per il rilanciodell’Unione della salute, in un verti-ce globale in Italia. «Felice di ospi-tare il Global Health Summit. Unitiproteggiamo la nostra salute e co-struiamo un futuro migliore per leprossime generazioni», ha replicato.Ma da von der Leyen è arrivato ilsostegno al governo Conte anchesullo spinoso dossier della migrazio-ne, senza riferimenti diretti.

Intanto, una parte delle dosi delvaccino anti covid-19 potrebbe arri-vare tra non molto. Tra fine ottobree inizio di novembre dovrebbero in-fatti essere ultimate le sperimenta-zioni del progetto di Oxford. Unavolta che sarà arrivato l’ok delle au-torità sanitarie, e se la sperimenta-zione in corso sarà positiva, la distri-buzione nel mondo potrà partire.Il Parlamento europeo, Bruxelles (Afp)

di ANNA LISA ANTONUCCI

Sembrerebbe essere scontatoche a parità di lavoro debbacorrispondere un salario di

ugual valore, ma così non è. Ledonne, ad esempio, in tutto ilmondo sono pagate meno degliuomini con un divario retributivodi genere stimato intorno al 20 percento.

A livello globale, i salari delledonne raggiungono solo il 77 percento di quelli degli uomini e ladifferenza dura tutta la vita tantoche un numero crescente di donneva in pensione in povertà. Questosquilibrio tra i salari medi degli uo-mini e delle donne continua a per-sistere in tutti i Paesi e in tutti isettori, il lavoro delle donne rima-ne sottovalutato e la maggior partedi loro si trova in posizioni diverseda quelle degli uomini pur a paritàdi mansioni. Dunque a competen-ze equivalenti non corrispondequasi mai l’uguaglianza di qualifi-che. Inoltre, le donne sono sotto-rappresentate nei ruoli decisionali ein settori come la scienza e la tec-nologia. In particolare, nei Paesi adalto reddito, le donne lavoranoprincipalmente nei settori della sa-nità, dell’istruzione, dell’ingrosso edel commercio al dettaglio, mentrenei Paesi a basso e medio redditosono occupate principalmente nelsettore agricolo. Per le donne dicolore, migranti o semplicementemadri, questo divario è ancoramaggiore. La maternità nei luoghidi lavoro è considerata un handi-cap tanto da spingere le donnenell’economia informale, nel lavorouna tantum o a tempo parziale. Eanche se quasi ovunque nel mondoesiste una legislazione che prevedei congedi parentali, si stima che so-lo il 28 per cento delle donne chelavora riesca a beneficiare realmen-te del congedo di maternità remu-nerato.

Finora i progressi compiuti percolmare questa disuguaglianza digenere sono stati lenti e a questo

ritmo si stima che ci vorranno forse257 anni per cancellare il divariotra uomini e donne nel mondo dellavoro. Dunque per sensibilizzare ilmondo economico sul tema, anchein vista della ripresa post-covid,l’Onu ha istituito la Giornata inter-nazionale della parità retributivache si celebra per la prima volta il18 settembre e pone l’accentosull’importanza di raggiungere laparità salariale come affermazionedi un diritto umano, contro tutte leforme di discriminazione, soprat-tutto nei confronti delle donne edelle ragazze. Il fatto che questecontinuino a svolgere e ad avere la-vori meno retribuiti e meno qualifi-cati degli uomini, con una maggio-re insicurezza del lavoro, e sianosottorappresentate nei ruoli decisio-nali è contrario al principio ispira-tore degli Obiettivi di sviluppo so-stenibile secondo cui nessuno deveessere lasciato indietro.

Da qui l’importanza di raggiun-gere entro il 2030 l’uguaglianza digenere e di empowerment per tuttele donne e le ragazze. Pur promuo-vendo la crescita economica, gliObiettivi di sviluppo sostenibilemirano infatti a garantire che tuttele donne e gli uomini, i giovani ele persone con disabilità, lavorinoin modo dignitoso con parità di re-tribuzione per un lavoro di pari va-lore. Dunque in vista della Giorna-ta internazionale le Nazioni Unitee l’Organizzazione internazionaledel lavoro (Oil), chiedono agli Sta-ti membri e alla società civile, com-prese le organizzazioni femminili,nonché le imprese e le organizza-zioni dei lavoratori e dei datori dilavoro, di promuovere la parità diretribuzione per il lavoro di parivalore e l’autonomia economicadelle donne. Secondo l’Onu è im-portante in questo momento di cri-si da pandemia incoraggiare tuttigli attori del mercato del lavoro aprendere le misure necessarie pergarantire che la parità retributivasia al centro degli sforzi della ripre-sa economica.

Vigili del fuocoancora al lavoro

nel portodi Ancona

ANCONA, 17. Incessante da oltre 24ore il lavoro dei Vigili del Fuoco nelporto di Ancona per completare leoperazioni di spegnimento dei foco-lai residui ancora attivi dell’incendiosviluppatosi in un’area di circa 20mila metri quadrati della zona por-tuale. L’attività al momento si con-centra all’interno dei capannoni bru-ciati che risultano pericolanti e diffi-cilmente accessibili.

Secondo le ricostruzioni delle fasipiù delicate dell’incendio, solo gra-zie al pronto intervento dei pompierisi è evitata una catastrofe simile aquella avvenuta poco più di un mesefa a Beirut, in Libano. Intorno allamezzanotte di martedì sera alcuneesplosioni nell’area denominata exTubimar, nel porto dorico, avevanogenerato il rogo, propagatosi conuna aggressività impressionante.Nello spegnimento e contenimentodell’incendio i Vigili del fuoco han-no impedito alle fiamme di raggiun-gere 3 punti considerati ad alto ri-schio: un distributore di Metano, lacentrale termoelettrica presente pro-prio davanti al primo maxi magazzi-no, e, soprattutto, un deposito dibombole di ossigeno liquido.

Il sindaco di Ancona ValeriaMancinelli, che per oggi ha predi-sposto una pulizia straordinaria dellestrade della città su cui si é deposi-tato ed é sedimentato il materiale ci-nereo, ha dichiarato comunque che«non ci sono evidenze analitiche checonfermino la presenza di sostanzeinsalubri o tossiche».

Preoccupazione per l’aumento dei venti in California e per la qualità dell’aria sulla costa ovest

Arriva in Europa il fumo degli incendi Usa

Per prevenire ulteriori incidenti nel Mediterraneo orientale

Ripresi i colloqui alla Nato tra militari greci e turchiGestione responsabile e sostenibile

per il diritto all’acquaGINEVRA, 17. Il diritto all’acquapotabile e ai servizi igienici nonpotrà essere realizzato delegandotale compito ai singoli Stati. «Èinvece responsabilità di tutti — hadichiarato l’arcivescovo IvanJurkovič, Osservatore permanentedella Santa Sede presso le NazioniUnite e le altre organizzazioni in-ternazionali a Ginevra alla 45a ses-sione del Consiglio per i dirittiumani — sviluppare le nostre so-cietà in modo più integrale e so-stenibile». Nel decimo anniversa-rio della Risoluzione con cui

l’Onu ha inserito l’accesso all’ac-qua nella Dichiarazione universaledei diritti dell’uomo, resta ancoramolto da fare per raggiungere taleobiettivo.

«Il diritto all’acqua, come tutti idiritti umani, trova il suo fonda-mento della dignità umana e nonin qualsiasi tipo di valutazionemeramente quantitativa che consi-deri l’acqua come un bene mera-mente economico», ha puntualiz-zato monsignor Jurkovič, citandoil Compendio della Dottrina Socialedella Chiesa.

WASHINGTON, 17. Come previstodagli scienziati, il fumo degli incen-di che stanno colpendo la costaovest degli Stati Uniti, dopo averraggiunto New York e Washington,si è spinto fino all’Europa. Lo harilevato il Copernicus AtmosphereMonitoring Service (Cams), il servi-zio europeo di monitoraggiodell’atmosfera, secondo il quale nonsono mai stati registrati dati di que-sta portata.

Copernicus, insieme con il Cen-tro europeo per le previsioni meteo-rologiche a medio raggio dellaCommissione Europea, sta monito-rando la situazione nelle regioni oc-cidentali degli Stati Uniti. Sonododici gli stati occidentali Usa col-piti dalle fiamme. In California,inoltre, è previsto per i prossimigiorni un preoccupante aumentodei venti che potrebbe esacerbareuna situazione già al limite. Da al-cune settimane l’emergenza è parti-colarmente grave, oltre che in Cali-fornia dove sono morte almeno 25persone, anche in Oregon e nellostato di Washington. Più di 2 mi-lioni di ettari in totale sono giàbruciati, decine di migliaia di per-sone sono state costrette a lasciarele proprie abitazioni, molte dellequali sono finite in cenere.

La qualità dell’aria nelle grandicittà californiane di Los Angeles eSan Francisco, o in quelle più anord come Portland (Oregon) eSeattle (Washington), è attualmentetra le peggiori al mondo. Iniziano a

sollevarsi le preoccupazioni sulleconseguenze per la salute di taleesposizione alle particelle di mo-nossido di carbonio già rilasciatenell’atmosfera.

L’attività di questi incendi "senzaprecedenti" è, secondo Copernicus,«da decine a centinaia di volte piùintensa» della normale media. E ilfumo, particolarmente denso, ha at-

traversato tutto il Paese e l’o ceanoAtlantico. «Il fatto che questi in-cendi emettano così tanto inquina-mento nell’atmosfera da poter vede-re un denso fumo a 8.000 km di di-stanza riflette quanto siano deva-stanti, in termini di dimensioni edurata», ha dichiarato in un comu-nicato stampa Mark Parrington,scienziato del Cams.

BRUXELLES, 17. Sono ripresi stamanial quartier generale della Nato, aBruxelles, i colloqui tecnici tra ledelegazioni militari di Turchia eGrecia, iniziati la scorsa settimanaper cercare di prevenire nuovi inci-denti nel Mediterraneo orientale. Loriferisce il ministero della Difesa diAnkara. Si tratta del quarto incon-tro in questo formato. I colloquinon riguardano la risoluzione delledispute sulla sovranità nell’area, ma— fa sapere Ankara — la definizionedi «meccanismi di de-conflitto» perevitare incidenti indesiderati.

La disputa tra Turchia e Greciasulle esplorazioni di risorse energeti-che nel Mediterraneo è stata al cen-tro di un colloquio in videoconfe-renza tra il cancelliere tedesco, An-gela Merkel, e il presidente turco,Recep Tayyip Erdoğan.

La Germania detiene attualmentela presidenza di turno dell’Ue, conMerkel da settimane impegnata inun difficile ruolo di mediazione.L’argomento sarà al centro del verti-ce straordinario europeo del 24 e 25settembre a Bruxelles.

«I disaccordi nel Mediterraneoorientale possono essere risolti attra-verso il negoziato — ha affermatoErdoğan — a condizione che sianocondotti con un approccio costrutti-vo basato sull’equità».

Le tensioni nel Mediterraneoorientale sono iniziate a luglio scor-so, dopo l’invio da parte della Tur-chia di una nave da ricerca sismicanella piattaforma continentale greca,che il governo di Ankara non rico-nosce. Nave, la Oruç Reis, che èstata ritirata nei giorni scorsi.

Page 3: Gli accordi di Washington opportunità da non perdere dell ...€¦ · del distanziamento sociale impo-sto dalla pandemia del covid-19. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto

L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 18 settembre 2020 pagina 3

Missionario dinamico e di dialogo amato da tutti i leader religiosi del Niger

Marcia di preghiera a due annidal rapimento di padre Macalli

Intervista al cardinale Zenari, nunzio apostolico a Damasco

In Siria la speranzasta morendo

Rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione attuale

Il conflitto sirianonon si ferma

Elisabetta II non sarà piùla regina di Barbados

di GI O VA N N I BENEDETTI

In seguito al cessate il fuoco del-lo scorso 5 marzo, la guerra ci-vile siriana è entrata in una fase

di minore intensità. Questo atte-nuarsi delle ostilità è dovuto in par-te all’attuale situazione sul campo,dove le forze governative hannoriottenuto il controllo sulla maggiorparte del territorio, e in parte ancheall’emergenza legata alla pandemiain corso. Tuttavia, anche se con unaminore portata, il conflitto continuaa imperversare, e con esso anche leviolenze che porta con sé. In parti-colare è il governatorato di Idlib, si-tuato nella parte nord-occidentaledel Paese e fuori dal controllo delleforze governative, a essere teatro diostilità.

Una dettagliata descrizione dellasituazione attuale sul suolo siriano èstata esposta nel rapporto dellaCommissione d’inchiesta delle Na-zioni Unite sulla Siria, presentato loscorso 15 settembre a Ginevra. Que-sta commissione, formata nel 2011agli albori del conflitto siriano epresieduta dal giurista brasilianoPaulo Sérgio Pinheiro, lavora astretto contatto con il Consiglio peri diritti umani delle Nazioni Unite,aggiornandolo sugli sviluppi dellaguerra in incontri quadrimestrali.D all’inizio del conflitto ad oggi, laCommissione ha presentato oltre 20rapporti e diversi comunicati brevi.

L’ultimo rapporto, lungo 25 pagi-ne e risultato di costanti e meticolo-se indagini condotte sul campo fragennaio e luglio 2020, riporta laperpetrazione di diverse violazionidei diritti umani da parte di tutte lefazioni coinvolte nel conflitto.All’interno del testo, la Commissio-ne ha dichiarato che il suo obiettivo

era quello di ottenere un quadroquanto più completo possibile delterritorio siriano, concentrandosi an-che sulle aree più distanti dall’epi-centro delle ostilità. La popolazionesiriana continua pertanto a esserevittima di questo devastante conflit-to, giunto ormai al decimo anno didurata.

Speciale risalto, dovuto al mo-mento attuale, è dato al problemadella detenzione dei prigionieri daparte di tutte le fazioni. Questo te-ma assume infatti particolare rile-vanza alla luce dell’emergenza co-vid-19, in quanto molte strutture didetenzione risultano essere sovraf-follate e presentano quindi un altorischio di diventare focolai di conta-gio. Nelle conclusioni è pertanto

espressa la necessità di applicare mi-sure atte a contenere la diffusionedel virus. Un altro punto è invecededicato alla necessità di preservarei numerosi siti di interesse storico ereligioso presenti sul territorio siria-no, i quali hanno subito ingentidanni dall’inizio del conflitto a cau-sa degli scontri armati.

Il report si conclude infine conun rimando alla risoluzione 2254 delConsiglio di sicurezza delle NazioniUnite del 2015, la quale esorta tuttele parti coinvolte a una cessazionedelle ostilità. Per il prossimo 22 set-tembre è prevista una sessione delConsiglio per i diritti umani delleNazioni Unite all’interno della qua-le il rapporto della Commissione sa-rà discusso in dettaglio.

gente, è la speranza: molta gente,dopo 10 anni di guerra, non veden-do più la ripresa economica, la rico-struzione, sta perdendo la speranza,e questo fa molto male: perdere lasperanza è veramente perdere qual-cosa di fondamentale e di essenzialeper la vita. E allora bisogna cercaredi ridare fiducia, di ridare speranzaa questa povera gente.

Il Papa quest’anno, nel discorso alCorpo Diplomatico, ha parlato di unacoltre di silenzio che si spande sullaSiria … [«Mi riferisco anzitutto allacoltre di silenzio che rischia di coprirela guerra che ha devastato la Siria nelcorso di questo decennio»]

Purtroppo, questo si sta avveran-do. Un po’ era prevedibile: cometutti i conflitti che si protraggononel tempo, a un certo punto vengo-no dimenticati, la gente non ha piùinteresse a sentire queste notizie. Equindi siamo a un punto molto,molto critico. Per di più, la situazio-ne nel Medio Oriente si è complica-ta e quindi si parla sempre menodella Siria in un momento in cui ve-ramente la Siria sta soffrendo molto.E qui vorrei anche aggiungere: c’èuna scrittrice, una giornalista siria-na, che qualche mese fa ha scritto:«Molti siriani sono morti a causa divari tipi di armi, dalle bombe agrappolo, alle bombe-barili, a missi-li lanciati ovunque fino a morire acausa di armi chimiche. Però — leidice — la cosa più dura da accettareè quella di morire senza che nessu-no ne parli».

È una guerra in questo momento menoviolenta, ma ci sono tanti altri dram-mi…

Per fortuna, da circa un anno emezzo, in gran parte della Siriaqueste bombe sono cessate, eccettoancora nella parte nord-ovest doveregge una tregua dai primi delloscorso marzo che a volte è una tre-gua ancora fragile. Però, se primac’erano queste bombe adesso c’èquella che io chiamo la bomba dellapovertà: stando ai dati delle Nazio-ni Unite, questa bomba sta colpen-do più dell’80 per cento delle perso-ne, e questo è gravissimo. Si vedonogli effetti della fame, della malnutri-zione dei bambini, soprattutto, e al-tre malattie…

Che cosa bisognerebbe fare, a livello in-ternazionale?

C’è bisogno di far ripartire la Si-ria e per far ripartire la Siria con laricostruzione e con la ripresa econo-mica si parla di diversi miliardi didollari: si parla addirittura di circa400 miliardi di dollari, per far ripar-tire la Siria. E chi può offrire questiaiuti, pone delle condizioni: vuolevedere anche una certa qual direzio-ne di riforme, di riforme democrati-che e questo non è ancora constata-bile. Quindi, la situazione che si staverificando è di stallo, anche se cisono varie iniziative lodevoli: devomenzionare anche l’opera infaticabi-le dell’inviato speciale delle NazioniUnite, Geir Pedersen, che sta cer-cando in tutte le maniere di far riav-viare il dialogo; ma purtroppo, sia-mo ancora molto, molto lontani dalvedere una ripresa di dialogo, unaripresa della ricostruzione della Siriae una ripresa economica.

Dieci anni di conflitto — lo ha ricor-dato lei — il covid-19, la povertà e lafame: un Paese — lei ha detto più vol-te — ridotto in macerie. A suo avviso,ciò che impedisce la costruzione dellastabilità sono anche tanti interessi par-ticolari?

Purtroppo. Io non so più comeparagonare questa situazione dellaSiria. Mi è venuta in mente la famo-sa poesia che tutti ricordiamo, diGiovanni Pascoli, che parla dellaquercia caduta — naturalmente, bi-sogna fare le dovute distinzioni —quando dice: tutti vanno a tagliarela legna da questa quercia e a seraciascuno va a casa con il propriofardello di legna tagliato a questaquercia. Qui, non è mistero, ma c’èchi si porta via il petrolio, chi siporta via il gas, chi approfitta dellaguerra per arricchirsi, chi aspira aprendersi dei lembi di terra… vera-mente fa pena come tanti vogliano“tagliare la legna da questa quercia”e portarsela via…

Come si sblocca questa situazione?

Direi che occorre buona volontàda parte di tutte le fazioni, dimo-

strare un po’ di buona volontà, conla mediazione della comunità inter-nazionale e sbloccare questa situa-zione, incominciando soprattuttodall’aspetto umanitario, come peresempio la grave situazione dei de-tenuti, degli scomparsi. Purtroppo,su questa grave urgenza, quello chesi sta constatando è che c’è qualchescambio di detenuti, di persone se-questrate, ma questo avviene con ilcontagocce. C’è bisogno di buonavolontà. Si calcola — secondo leNazioni Unite — che sono circa 100mila le persone scomparse di cuinon si sa nulla e, tra queste, devoricordare anche due vescovi, i me-tropoliti ortodossi di Aleppo, e tresacerdoti, tra i quali anche un ita-liano, padre Paolo [Dall’Oglio], deiquali da sette anni non si sa nulla.C’è bisogno di ricominciare da que-ste persone scomparse, arrestate,detenute…

Sono sufficienti le donazioni che stannoarrivando?

Io ringrazio di cuore tutte le per-sone che ci aiutano, che aiutano an-che i progetti umanitari, i progetticondotti dalle Chiese. Io vedo inquesti 10.000, 100.000 euro soprat-tutto il cuore e la bontà di questagente: veramente, mi commuove.Ma l’ampiezza del bisogno è tal-mente grande e grave che purtroppoquesti nostri aiuti sono paragonabilia un rubinetto d’acqua, quando cisarebbe bisogno di canali, di grossicanali che portano acqua perché ladistruzione è enorme e la ripresa ela ricostruzione sono ingenti; e quic’è bisogno della comunità interna-zionale che offra questi “canali”. Bi-sogna anche riconoscere il lavoro ditante ong, oltre alle Chiese, e anchedelle Nazioni Unite che devonomantenere circa 11 milioni di perso-ne che hanno bisogno di assistenzaumanitaria. In tutto questo aiuto iovedo sempre il Buon Samaritanoche cerca di soccorrere. Fossero tan-ti, questi rubinetti, e fossero tanti,questi canali… ripeto, c’è bisognodi grossi canali d’acqua, di aiuti, chevengano dalla comunità internazio-nale, soprattutto da certi Paesi. Nonmi stanco di far presente questo: dismuovere la buona volontà. Incon-tro rappresentanti, ambasciatori divari governi, e faccio presente chebisogna sbloccare questa situazione.Per esempio, la guerra ha portatoalla distruzione di circa la metà de-gli ospedali, ed è una cosa gravissi-ma, adesso che si presenta il covid,avere queste strutture sanitarie deva-state! La guerra ha causato la di-struzione di una scuola su tre e duemilioni e mezzo circa di bambini inetà scolare non vanno a scuola. Fab-briche, quartieri distrutti dalla guer-ra… E non mi stanco di far presen-te questo agli Stati che possono eche devono aiutare. Devo anchemenzionare le sanzioni internazio-nali imposte alla Siria: hanno effettiabbastanza negativi...

In tutto questo, la Siria ha subìto an-che la crisi in Libano…

La crisi libanese ha colpito dura-mente la Siria, la crisi delle banchelibanesi da dove passavano gli aiutiumanitari: progetti umanitari, anchequelli delle Chiese, passavano in ge-nere dal Libano. Poi, a questo si èaggiunta in questi ultimi mesi lachiusura delle frontiere tra questiPaesi, tra Libano e Siria, tra Giorda-nia e Siria, e tutto questo ha grava-to. E anche tutto quello che è suc-cesso in queste ultime settimane: ilMedio Oriente è una terra di fuo-chi, fuochi che vengono dal mare —abbiamo visto cosa è successo, leesplosioni al porto di Beirut — fuo-chi che vengono dal cielo, i raid ae-rei, bombe, missili… è veramenteuna terra dei fuochi, il MedioOriente, e occorre spegnere questifuochi il prima possibile.

In questo contesto, la Chiesa è in pri-ma linea, insieme anche a tante perso-ne di buona volontà, nell’aiutare i po-veri, costruire ospedali, nel cercare didare da mangiare senza alcuna distin-zione di religione o provenienza…

Direi che questo è il compito del-la Chiesa: adesso tutte le Chiese —cattoliche e ortodosse — sono impe-gnate al massimo sotto l’asp ettoumanitario per lenire queste soffe-renze, questi bisogni della gente.Come Chiesa, come Santa Sede,non abbiamo interessi militari, nonabbiamo interessi economici, nonabbiamo strategie geopolitiche: noi— la Chiesa, la Santa Sede, il Papa— siamo dalla parte della gente, del-la gente che soffre. Vogliamo esserela voce di chi non ha voce. Unadelle tante — delle tante! — iniziati-ve è anche quella degli “osp edaliap erti”: tre ospedali cattolici presen-ti in Siria da circa 120 anni, un’ini-ziativa aperta ai malati poveri. Quinon guardiamo il nome e il cogno-me. E da quello che ci risulta staandando molto bene: attraversoquesta iniziativa degli ospedali aper-ti — e da tante altre che adesso nonho il tempo di menzionare — cer-chiamo di guarire i corpi ma anchedi ricucire il tessuto sociale, perchésono iniziative aperte anche ad ap-partenenti ad altre religioni. E i mu-sulmani, che sono la maggioranza,magari hanno avuto il bambino oun familiare curato dai nostri ospe-dali cattolici, sono i più riconoscentie così le relazioni tra cristiani e mu-sulmani sono rinsaldate. Così racco-gliamo due frutti: curare i corpi emigliorare le relazioni sociali. Que-sto è il nostro scopo.

Come e quanto influisce la diplomaziavaticana in questo difficile processo, inquesta difficile situazione?

Noi abbiamo la nostra strada,non apparteniamo a nessun gruppo.Anche quando vengo qui a Roma,quando incontro il Santo Padre,quando incontro i superiori, cerchia-mo di elaborare delle strategie chesono semplicemente dalla parte del-la gente. Come ho detto, non abbia-mo da condividere interessi econo-mici o militari o strategie geopoliti-che: la nostra strategia è quella diessere voce di questa gente sofferen-te e di far presente questa voce.

Che cosa la ferisce di più, di tuttoquesto contesto?

È difficile raccontare questa espe-rienza umana e spirituale molto pro-fonda. Mi ha colpito molto, peresempio, la sofferenza dei bambini edelle donne: sono le prime vittimedi questa guerra, sono bambini edonne. Un mese fa circa, anche leNazioni Unite hanno levato la vocein merito a quello che è successo inun campo profughi dove circa 8-10bambini, ancora una volta, sonomorti per malnutrizione, disidrata-zione e altre malattie… Lo scorsoinverno ne abbiamo visto diversimorire nella fuga dal nord-ovestdella Siria verso il nord: bambinimorti di freddo in braccio ai lorogenitori, bambini morti per malnu-trizione. È una cosa che ferisce ilcuore vedere la sofferenza di tantibambini e di tante donne, di cuimolte sono vedove e devono tiraresu a volte una famiglia numerosa,otto, dieci bambini… Veramente, èuna sofferenza che si prova moltoforte…

Una sofferenza e un dolore che il Papasegue molto da vicino: lei, tornando inVaticano, ha incontrato il Papa, cheaveva già espresso il desiderio di venirein Siria. Ora i viaggi sono fermi…che cosa le ha detto il Papa?

Questa volta mi ha impressiona-to. Mentre io parlavo di questa si-tuazione, lui ha preso un foglio e haincominciato a scrivere degli appun-ti per averli ancora più presenti eper fare andare avanti questi pro-grammi umanitari.

Lei, cosa riporterà in Siria?

Io riporterò la solidarietà di PapaFrancesco, la solidarietà della Chie-sa, la solidarietà di tanti cristiani percercare di rianimare questa speranzache, purtroppo, in Siria sta moren-do. Per questo, noi dobbiamo cerca-re di accendere, in fondo al tunnel,qualche piccola speranza: almeno lasolidarietà, per dire “non siete soli”,“cerchiamo di aiutarvi” anche congli aiuti materiali, e cercare di farebrillare un po’ di luce in fondo altunnel…

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

Un dinamismo che l’ha fatto benvolere dalla gente del posto che, adue anni dal sequestro continua aricordarlo. «In un mese — continua-no i confratelli — visitava anche 15comunità sparse nei villaggi. Nellamissione, ogni sera organizzava unapreghiera in lingua locale per ani-mare la comunità cristiana, ma an-che per mostrare che la Chiesa e ilVangelo sono per tutti. Le etnie so-no due: i gurmancé, tra i quali cisono i nostri battezzati, e i peul, chesono pastori musulmani».

Anche la diocesi di Crema nonl’ha dimenticato. Per due anni, il ve-scovo, monsignor Daniele Gianotti,ha voluto che il 17 di ogni mese sitenesse una veglia di preghiera perla liberazione del missionario. Adue anni dal rapimento di padreLuigi Maccalli, oggi, 17 settembre,

la diocesi ha organizzato una marciache coinvolgerà alcuni luoghi dellacittà di Crema. «Ogni tappa — spie-gano i responsabili della diocesi — èstata affidata a un ufficio pastoralediverso e vuole essere un’o ccasionedi meditazione sulla missione negliambiti di vita quotidiana a partireda quei valori evangelici che hannomosso anche padre Gigi nella suascelta vocazionale di sacerdote e, so-prattutto, di prete missionario con ipiù poveri. In cattedrale è prevista(alle 20.30) l’Adorazione, che siconclude con l’arrivo dei vari gruppi(questo momento si può seguire suRadio Antenna 5 - Canale YouTubede “Il Nuovo Torrazzo”, raggiungi-bile dal sito della diocesi)». All’ini-ziativa partecipa anche AntonioPorcellato, superiore generale dellaSocietà delle missioni africane.

Ma che cosa si sa del rapimento?Da fonti Sma trapela un cauto otti-

mismo. Padre Gigi starebbe bene,sarebbe imprigionato nel nord delMali e sarebbe custodito da milizia-ni jihadisti. «L’unica immagine cheabbiamo di lui — spiegano — è ilframmento di un video pubblicatodal quotidiano “A v v e n i re ” in aprile.In quel fotogramma, appare provatoe deperito, ma in salute. Questo cidà speranza perché, dopo la libera-zione di Luca Tacchetto, il turistarilasciato in marzo insieme alla fi-danzata canadese, si starebbe trat-tando con i miliziani».

A rapirlo, probabilmente, non so-no stati i jihadisti che lo custodisco-no ora, ma una delle numerosissimebande che operano al confine traNiger, Burkina Faso e Benin. «Qui— spiegano i missionari della Sma —c’è una vasta area naturale. I con-trolli sono pochi e questi banditipraticano traffici di droga, armi e ilbracconaggio. Secondo le prime ri-costruzioni, è una di queste bandead averlo sequestrato. Non si sa seil rapimento sia stato commissionatodai jihadisti oppure se questi crimi-nali lo abbiano “venduto” successi-vamente ai miliziani».

Adesso il missionario sarebbe cu-stodito in un rifugio nel Nord delMali. Si tratta di una zona deserticae montagnosa. Un’area imperviadifficilmente controllabile. E infattiné le forze armate locali né quellefrancesi (che operano nell’area dal2014) sono riuscite a stabilizzare lazona. «Un colpo di mano militareper liberarlo — osservano i confra-telli — è praticamente impossibile.Troppo complessa l’orografia delterritorio e troppo esperti i milizia-ni. Allora bisogna affidarsi alle trat-tative. Non è semplice, ma pensia-mo si possa arrivare a un compro-messo e alla liberazione. A noi ri-mane la speranza che presto padreGigi possa tornare con noi».

Il missionario non è l’unico inmano ai rapitori. I jihadisti custodi-rebbero anche l’italiano NicolaChiacchio, Gloria Cecilia Narváez,una suora colombiana sequestratatre anni fa, e l’abbé Joël Yougbaré,parroco di Djibo, rapito lo scorsoanno. «Dobbiamo pregare per tuttiloro — concludono i padri dellaSma — e dobbiamo sperare che letrattative possano andare a buon fi-ne e che presto possano tornare alleloro vite».

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

BRID GETOWN, 17. Barbados, isoladei Caraibi orientali, entro il no-vembre del 2021 — in coincidenzacon il 55° anniversario della pro-pria indipendenza — diventerà unarepubblica e rimuoverà la reginad'Inghilterra Elisabetta II comeCapo dello stato.

L’isola caraibica fa parte dei se-dici Stati del Commonwealth bri-tannico e con questo provvedimen-to farà un importante passo versola piena sovranità. «È arrivato iltempo di lasciarci pienamente alle

spalle il nostro passato coloniale.Gli abitanti di Barbados voglionoun Capo di stato di Barbados» hadichiarato il governatore generale(nominato dalla regina), DameSandra Mason, in un intervento alParlamento, leggendo un testoscritto dal primo ministro dell’iso-la, Mia Mottley, capo del potereesecutivo.

Diventando una repubblica,Barbados seguirebbe l’esempio dialtri paesi caraibici come Trinidade Tobago, Dominica e Guyana.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 venerdì 18 settembre 2020

Viaggio nel passato su Tv2000

Le pietretornano a parlare

Torna su Tv2000 (canale 28 e 157 Sky)«Le pietre parlano», un viaggio allascoperta della Chiesa delle origini nellacittà di Roma, attraverso i luoghiarcheologici che legano le vicende dellacomunità cristiana a quelle del potereimperiale. In onda in quattro puntate (ilsabato in prima serata a partire dal 19settembre) il programma è ideato daAlessandro Sortino, ed è stato scrittocon Claudia Benassi. Le prime duepuntate sono dedicate all’affermarsidell’identità cristiana all’interno dellecomunità ebraiche, alla nascita delleprime chiese domestiche, all’arrivo degliapostoli Paolo e Pietro e al loro martiriosotto Nerone, mentre la terza e laquarta, inedite, svelano le vicende dellaChiesa di Roma negli anni che vannoda Vespasiano a Traiano. Le nuovetappe di questo viaggio si snodano,dunque, tra il 67 e il 107 dopo Cristo eripercorrono la separazione tracristianesimo ed ebraismo dopo ladistruzione del tempio, la persecuzionedi Domiziano, la conversione dellefamiglie di rango senatorio, il passaggiomisterioso dell’apostolo evangelistaGiovanni a Roma, il martirio nelColosseo di Ignazio, vescovo diAntiochia. Il tutto intersecato con levicende e l’evolversi del potere imperialeche proprio in quegli anni diventaassoluto: dal principato al dominato. Lasfida del programma è quella diattenersi con rigore alle fonti scritte e dicercare nel groviglio archeologico dellacittà di Roma un filo narrativo perattraversare luoghi coerenti con i fattinarrati. E ogni parte del racconto sicollega e insieme illustra un luogo o unmonumento: dal Colosseo all’arco diTito, dai fori alle Domus imperiali,dalle catacombe alle basiliche.

Seminario alla Cattolica

Te o l o g i ae pandemia

Si avvia alla conclusione il seminariodi studio che riunisce i docenti diteologia e gli assistenti pastoralidell’Università Cattolica di Milano.La discussione si è sviluppata sullaridefinizione del ruolo della teologianella particolare situazione determinatadalla pandemia e sulla risposta da darealla sollecitazione di Papa Francescoche invita a realizzare un «pattoeducativo globale». «Una storia che sadi futuro. L’Ateneo dei cattolici italianida un secolo al servizio del Paese,di ieri, di oggi e di domani»,questo il titolo dell’iniziativa che si èaperta lunedì 14 settembre, in presenza enel rispetto delle norme didistanziamento, nell’aula magna dellaCattolica. Quella della ripartenzaè una «vita un po’ diluita.Bisogna programmare e pianificare,ma c’è la voglia di farloper ricominciare e vedere gli studentinei chiostri», ha detto il rettore FrancoAnelli,alla platea presente sia in aula sia instreaming. Da parte sua l’arcivescovo diMilano Mario Delpini, si è augurato che«la teologia e la dimensione religiosa,anzi cristiana, spirituale, anzi ecclesialedella vita mostri la sua pertinenzaall’elaborazione delle disciplineaccademiche, non sia solouna disciplina tra le altre». I docenti diteologia — ha aggiunto — hanno «forsela possibilità di essere animatoridi una comunità accademica che rendapossibile all’Università Cattolicadi assumere, praticare,esibire in modo convincente la suaidentità, la sua proposta culturale».

di SI LV I A GUSMANO

«S ubito mi ha colpito labellezza dei luoghi, vici-ni ai centri abitati eppu-re lontani, immersi nelverde e nel silenzio di

campi lavorati. Ed è proprio qui, in un po-sto dove la natura splende, che ho visto etoccato con mano il lavoro di don Ettore,un sacerdote che accompagna i ragazzi suoiospiti verso la comprensione delle regole».

Così scrive Gherardo Colombo aprendoChi sbaglia paga (Milano, Chiare Lettere2020, pagine 220, euro 16,90) in cui SergioAbis racconta con attenzione e partecipa-zione l’attività della comunità La Collina.Fondata in Sardegna, nella campagna attor-no a Cagliari da don Ettore Cannavera nel1994, ospita detenuti a cui il magistrato disorveglianza ha concesso una misura alter-nativa al carcere. In questa prigione privadi sbarre ma ricca di ulivi, la vita è soprat-tutto esempio, rigore e ascolto, educazionee legalità, rispetto, bellezza e cultura. «Nel-la comunità di Serdiana — scrive ancoraColombo — c’è la vita insieme, c’è il lavoroma, soprattutto, si vedono e sono tangibili irisultati di quel lavoro. Ed è tutto il contra-rio di ciò che succede in carcere».

Le premesse da fare sono molte. La pri-ma è che il carcere alternativo non significalibertà: che si viva in una comunità, ai do-miciliari, in affidamento ai servizi sociali inun luogo protetto, si deve comunque scon-tare la pena, dovendo seguire le prescrizio-ni del magistrato di sorveglianza che impo-ne tempi e modi per l’espiazione. Se dun-que il carcere alternativo è un carcere a tut-ti gli effetti, si tratta però di un modellocompletamente diverso dalla prigione clas-sica non solo nei modi ma, soprattutto eprima ancora, nelle finalità, che sostanzial-mente si riducono a voler rieducare davve-ro. Nei fatti, non a (vuote) parole.

Il punto di partenza per la rivoluzioneideata da don Cannavera è un dato: 7 dete-nuti su 10 usciti dal carcere delinquono dinuovo. «Ci volevano duecentomila anni el’appellativo di sapiens — scrive il sacerdote— per inventare una cosa così stupida? Perimmaginare un’istituzione che anziché cer-care di rieducare i colpevoli di reati e ricon-ciliarli con la società, li immette in un siste-ma che, nella migliore delle ipotesi, li lasciacome sono, ma in realtà li peggiora, ribut-tandoli a spasso pronti a delinquere?».

Al contrario di altre sofferenze (perché«in prigione si soffre, anche se non tutti al-lo stesso modo»), quella inflitta dal carcerepuò apparire meritata come una dura lezio-

ne. I numeri, però, sconfessano questa let-tura: «Se fosse una lezione — scrive SergioAbis, che la prigione l’ha vissuta in primapersona — ci dovrebbe essere il relativo im-parare, mentre l’ossessivo balletto del conti-nuo ritorno in carcere, il dramma della reci-diva dimostra il fallimento della scuola,della lezione e degli insegnanti».

Alla prova dei fatti il carcere risulta insostanza una forma di assistenzialismo fo-raggiato (seppur malamente) dallo Stato.«Il recluso non ha impegni lavorativi, nonha orari, può alzarsi quando gli pare e dor-mire quanto vuole. Non ha obblighi richie-sti da un disciplinare rieducativo, salvo lapartecipazione ad attività spesso inutili,percepite come mero passatempo. Si dedicaall’ascolto di pessime trasmissioni televisive,gioca a calcio le poche volte che sia con-sentito, si impegna nel body building, ininterminabili partite a carte. Di frequente sigioca d’azzardo, si litiga e si dà inizio a ris-se, ferimenti e faide infinite (…). In galerasi fa la fame, se non si hanno i soldi per laspesa; ci si cambia poco, e non si hanno isoldi per i vestiti e il detergente per lavarli;si prendono le botte, ci si ammala e si vie-ne curati con approssimazione; si vive incelle affollate litigando con il vicino dibranda se non ama particolarmente la doc-cia e puzza di selvatico».

Ovviamente tutto questo vale per coloroche non hanno mezzi propri, privi di unafamiglia o di una rete che possa fornire tut-to ciò di cui in carcere si ha bisogno. Èun’altra delle facce dolorose del sistema pe-nitenziario, quella dell’enorme disparità dicondizioni tra i detenuti. «Non tutti soffro-

cuo vivere comune, deresponsabilizzando ilsingolo al massimo grado. Nella comunitàdi don Cannavera è l’esatto contrario.

A La Collina si va a letto presto perchéla sveglia è alle 6.30. La prima lezione im-

copre i consumi e le spese del vitto). Laparola d’ordine, insomma, è responsabiliz-zazione, ottenuta attraverso l’educazione al-la gestione del lavoro, del tempo e del de-n a ro .

Quel che si cerca di fare è qualcosa diestremamente radicale. Si tratta, infatti, diricostruire personalità abituate all’assenzadelle regole comunemente accettate dallacollettività. «I ragazzi incarcerati per i reaticommessi, anche gravissimi, non sono catti-vi. Non esistono i cattivi — scrive Abis —esistono le circostanze che rendono possibi-le diventarlo: la mancanza di educazione opeggio un’educazione alla devianza (…). Ingalera c’è finito il disagio delle periferie,delle famiglie problematiche, dei genitoriche trasmettono ai figli i propri problemi.Ci sono i figli di madri prostitute e droga-te; di padri violenti e alcolisti; di spacciato-ri; di carcerati condannati a pene talmentelunghe che non avranno mai la possibilitàdi incidere sull’educazione dei figli, se nonin negativo con la propria assenza. Ragazziabituati alle regole della strada: come po-trebbero essere diversi da ciò che sono?».

Davanti a questa situazione, la risposta —secondo don Cannavera e la sua comunità— non può essere la costrizione: «Bisognapersuaderli, invece, dimostrando nei fatti econ l’esempio — prosegue Abis — che unavita come quella di tutti può essere sì, diffi-cile e faticosa, ma mai come la disgrazia diun’esistenza passata in galera, la morte vi-vente».

Proprio perché l’esempio è tutto, donCannavera si è “inventato” la figuradell’operatore di condivisione, l’e d u c a t o reposto a cardine dell’attività di risocializza-zione prevista nei percorsi di recupero dellasua comunità. Perché non si tratta tanto esolo di impartire istruzioni, suggerire, im-porre ed eventualmente sanzionare, quantopiuttosto di comportarsi per primi secondoil disciplinare previsto: mostrare come si fa.È questo il compito dell’operatore di condi-visione: condividere con l’ospite il percorsodi recupero. Insegnando, dunque, conl’esempio concreto.

Così, seguendo un modello di vita maiconosciuto prima, il detenuto impara manmano a sentirsi persona circondata da altrepersone che insieme a lui cooperano per ilsuo recupero, in modo da permettergli dirientrare davvero nella società civile. «È —nota ancora Gherardo Colombo — l’unicacosa che conta: la relazione con l’altro e ilrispetto delle regole. Si osservano le regolequando si capisce che esiste anche l’a l t ro ,in un circolo virtuoso».

Nel libro il progetto di don Cannaveraviene presentato attraverso le numerosissi-me lettere che il sacerdote ha ricevuto neglianni dai detenuti. Parole a volte sganghera-te in una prosa in cui tanto dicono le omis-sioni, le grafie, le palesi falsità, la materiali-tà stessa del supporto utilizzato — buste,francobolli, fogli strappati da quaderni oagende, o locandine utilizzate sul retro.«Tutto è racconto — scrive Abis — tutto ènarrazione del proprio stato, del rapportocon la costrizione e della costrizione stessa,della galera, se solo si è capaci di leggerlo.Di ascoltare».

I mittenti non chiedono pietà, quel chechiedono è il riconoscimento della loro di-gnità, il minimo sindacale per venir consi-derati esseri umani e cioè: cibo, abiti, il ne-cessario per l’igiene personale, sigarette e,soprattutto, la possibilità di essere ascoltati,di poter comunicare.

«Prima ancora che disumano, perché loè, oggi il carcere è fondamentalmente stupi-do. Non serve a niente — scrive don Can-navera — e costa un enorme ammontare didenaro: davvero non si può far di me-glio?». Forse si può.

Il carcere alternativo della comunità La Collina

Vite raccontatesul retro di una busta

In «Chi sbaglia paga» di Sergio Abis

Il talento di Mr. HendrixCinquanta anni fa la morte dello straordinario chitarrista

no la fame, vengono mal curati e prendonole botte. Ci sono detenuti e detenuti, ci so-no i forti e i deboli, e questi, i poveri cristi,stanno ovviamente peggio. E sono la mag-gioranza».

Confermando la marginalizzazione deidetenuti, l’ambiente carcerario si traduceinsomma nella spinta a osservare regole chesono l’esatto opposto di un sereno e profi-

«Prima ancora che disumano — scrive il fondatore don Cannavera —oggi il carcere è fondamentalmente stupidoNon serve a niente e costa un enorme ammontare di denaro:davvero non si può fare di meglio?»Forse sì, come dimostra il suo progettoche vuole accompagnare il detenuto con l’esempio concreto

partita agli ospiti è che per mangiare biso-gna lavorare, non vivacchiare sulla brandadinnanzi alla televisione (in comunità cen’è una sola per tutti, ed è concessa per po-chi minuti al giorno nella sala comune). Iragazzi che seguono il percorso rieducativodevono praticare un mestiere, percepire unostipendio e imparare a gestire il loro denaro(una quota mensile dello stipendio, infatti,

Una scena tratta dallo spettacolo«Settanta volte sette»di Controcanto Collettivo

di GIUSEPPE FIORENTINO

Che grande decade gli anniSessanta del secolo scorsoper la chitarra. C’era EricClapton con il suo fraseggio“riflessivo” che gli valse l’ap-

pellativo di Slowhand (mano lenta); c’eraJimmy Page che con i suoi riff esplosivicatapultava i Led Zeppelin in territorirock allora sconosciuti; c’era Alvin Lee,talmente veloce da rendere incandescen-te il manico della sua sei corde. E so-prattutto c’era lui, James Marshall “Ji-mi” Hendrix, morto il 18 settembre di 50anni fa a soli 27 anni. Morto troppo pre-sto (come altre icone rock dell’ep o caquali Janis Joplin e Jim Morrison) vitti-ma di se stesso, vittima degli implacabiliingranaggi dello show business, vittimadi una pseudocultura lisergica della qua-le in quegli anni non si comprendeva apieno la pericolosità.

Nella sua breve esistenza Hendrix hadavvero scritto una pagina indelebilenella storia della musica rock. E soprat-tutto nella storia della chitarra. Chi si ci-menta, anche solo a livello amatoriale,con lo strumento principe di ogni grup-po rock, sa bene che c’è un prima e undopo Jimi Hendrix. E ogni rivista spe-cializzata continua a piazzarlo al primis-simo posto nelle classifiche (a dire il ve-ro abbastanza inutili) dei migliori chitar-risti di tutti i tempi, spesso proprio da-vanti a Eric Clapton e a Jimmy Page.Hendrix, esattamente come i suoi “colle-ghi”, aveva una solidissima formazioneblues, arricchita tuttavia — a differenzadei bluesmen britannici — da una inevi-tabile venatura soul.

Il background afroamericano è percet-tibile in tutta la sua produzione, anchein quella votata al rock più duro o piùpsichedelico. La sua musica, quindi, non

trova paralleli in nessun altro artistadell’epoca, se non forse in Sly & the Fa-mily Stone. Ma Hendrix, come ognipersona di genio, era dotato di unaenorme curiosità che lo faceva avvicinarea generi molto lontani dal suo. È notaad esempio la sua passione per BobDylan e proprio un pezzo di Dylan, Al lAlong the Watchtower, venne stravolto erivitalizzato dalla chitarra di Hendrix di-venendo uno dei suoi maggiori successicommerciali. Lo stesso Dylan fu colpitodal riadattamento a tal punto da ripro-porre il suo brano nella versione hendri-xiana.

Il desiderio di esplorare tipico diHendrix — molto diffuso, nel bene e nelmale, in quegli anni — trova tuttavia lasua migliore espressione proprio nell’usodella chitarra. La sua Fender Stratoca-ster bianca, rovesciata perché suonatacon il manico a destra (come è notoHendrix era mancino) era capace diemettere suoni mai ascoltati prima. Il fa-moso wah-wah, poi abbondantementeutilizzato dalle generazioni successive,venne introdotto proprio da Hendrix. Econ esso, soprattutto nei concerti dal vi-vo, tutta una serie di equilibrismi distor-sivi e di feedbacks ricavati dall’uso dellostrumento a ridosso dell’amplificazione.Durante gli show Hendrix usava la suaFender quasi come un’appendice del suocorpo, arrivando a suonarla con i denti odietro la schiena.

Ma oltre il gigionismo da palco, ilmusicista era davvero dotato di una tec-nica inarrivabile, frutto, oltre che del ta-lento, di uno studio e di un anelito diperfezione al limite del maniacale. Sononoti i tour de force a cui Hendrix, in sa-la di registrazione, costringeva i musici-sti del suo trio (un tipo di formazionemolto in voga in quegli anni) alla ricercadell’incisione impeccabile. Talento, tecni-

ca e continua ricerca espressiva costitui-scono quindi la cifra della musica diHendrix, entrato nella leggenda del rockanche per la sua partecipazione, pocopiù di un anno prima della sua morte, alfestival di Woodstock.

Suonando all’alba in uno scenario sur-reale, Hendrix eseguì tra l’altro una suapersonalissima versione di The StarSpangled Banner, l’inno degli Stati Unitid’America. In quell’occasione il suonodella sua chitarra, distorto e piegato finoa simulare bombardamenti e scariche dimitragliatrice, divenne un vero atto diaccusa contro la guerra in Vietnam. Maoltre a questo, l’esibizione di Hendrix aWoodstock rappresenta una sorta di “ce-lebrazione” conclusiva di una stagione,politica e musicale, che non sembra de-stinata a ripetersi.

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 18 settembre 2020 pagina 5

Se ci fermiamo alle lezioni facili ci sfugge la genialità dell’insegnamento

Ogni parabola è una sfidadi AMY-JILL LEVINE

Papa Francesco giustamentescrive: «I racconti ci segnano,plasmano le nostre convinzio-ni e i nostri comportamenti,possono aiutarci a capire e a

dire chi siamo».Le parabole di Gesù hanno ispirato

teologi ed eticisti, artisti e scrittori, inogni secolo e in tutto il mondo. Servonoanche da ponte tra ebrei e cristiani, poi-ché le parabole sono narrazioni ebraiche

raccontate dall’ebreo Gesù ad altri ebrei.Quando io, ebrea, leggo queste parabole,sento sia gli echi delle Scritture d’Israele(l’Antico Testamento della Chiesa, ilTanakh della Sinagoga), sia l’anticipo distorie narrate nella letteratura ebraicasuccessiva.

Le parabole ci spingono a vedere ilmondo in modo diverso; ci aiutano amettere in discussione i nostri presuppo-sti; mettono in moto non solo l’immagi-nazione ma anche la risposta. Più esami-no le parabole, più posso porre le do-mande giuste e riconoscere le ambiguitàdella vita. La lettura delle parabole midice ciò che so essere vero e giusto, mache cerco di ignorare o dimenticare. Leparabole di Gesù m’ispirano e, a volte,mi accusano.

Le parabole, inoltre, come tutte le sto-rie sono aperte all’interpretazione. Ma rc o(4, 33-34) afferma: «Con molte paraboledi questo genere annunziava loro la paro-la secondo quello che potevano intende-re. Senza parabole non parlava loro; main privato, ai suoi discepoli, spiegavaogni cosa». I Vangeli conservano alcunedi quelle spiegazioni. Data l’o ccasionaleottusità dei discepoli — quando Gesù liavverte: «guardatevi dal lievito dei fari-sei» (Ma rc o 8, 15), pensano che sia preoc-cupato per la mancanza di pane; Gesù ècapace di dare da mangiare a 5.000 per-sone, ma i discepoli non riescono a com-prendere la metafora — è una buona cosache l’interpretazione sia lasciata ai lettori.

Poiché le parabole sono pensate peraffrontare le nostre mancanze e i nostrifallimenti, tendiamo a resistere al loromessaggio. È molto più facile recepire unmessaggio di conforto che non uno disfida. Troppo spesso ci accontentiamo diinterpretazioni semplici, o di interpreta-

zioni che magari ci sono state insegnateda bambini: dobbiamo essere buoni co-me il Samaritano; verremo perdonati co-me il figliol prodigo. Queste interpreta-zioni non sono sbagliate, ma sono co-munque incomplete.

Se ci fermiamo alle lezioni facili, cisfugge il modo in cui i primi seguaci diGesù devono aver ascoltato le parabole,e ci sfugge anche la genialità dell’inse-gnamento di Gesù. Perché quei seguacierano ebrei, e gli ebrei sapevano che leparabole sono più che meri racconti per

bambini. Sapevano che le parabole eranofatte per sfidare, o per accusare.

Suppongo che i primi interpreti delleparabole di Gesù siano gli evangelisti.Magari è Luca a spiegare che la paraboladel giudice e della vedova riguarda il

pregare sempre (18, 1), che quella del fi-gliol prodigo riguarda il pentimento e ilperdono, che quella del servo infedele si-gnifica «Non potete servire a Dio e amammona» (16, 13). Magari è Matteo adirci che la parabola degli operai dellavigna è su come «gli ultimi saranno pri-mi, e i primi ultimi» (20, 16).

Queste interpretazioni corrispondonoalle preoccupazioni di Gesù. Ma se ria-scoltiamo le parabole, oltre a queste in-terpretazioni note troviamo anche altrebuone notizie.

Per esempio, oggi ci identifichiamocon il Samaritano e quindi con l’a i u t a rele persone bisognose. Gli ebrei che ascol-tavano Gesù si sarebbero identificati conla vittima e si sarebbero domandati «chimi salverà?». Inoltre, anche se è abba-stanza comune sentir dire che il sacerdo-te e il levita hanno ignorato il tizio nelfosso perché preoccupati da questioni dipurezza rituale, si tratta di una lettura er-rata sia della parabola sia dell’ebraismo.

Il sacerdote e il levita non hanno scu-se; non hanno seguito la Torah. Perchédunque un sacerdote e un levita? La ri-sposta ha a che fare con la genealogiadegli ebrei. Secondo la tradizione ebrai-ca, ad oggi, si è sacerdote (discendentedi Aronne, il fratello di Mosè, poichénell’ebraismo il sacerdozio non è una vo-cazione, bensì un’eredità), levita (discen-dente dell’antenato di Aronne Levi, terzofiglio di Giacobbe e Lia), o israelita (di-scendente degli altri figli di Giacobbe).

A fermarsi non è un israelita, ma unsamaritano, che è rivale e spesso nemicodegli ebrei. I samaritani si consideravano

discendenti delle dieci tribù del nordd’Israele. I samaritani e gli ebrei adora-vano lo stesso Dio, praticavano le stessetradizioni, leggevano le stesse Scritture.Avevano però un centro di culto rivalesul monte Garizim in Samaria invece chea Gerusalemme, un sacerdozio diverso,un’attesa messianica differente (vedi Gio-vanni 4). Non erano gli oppressi e nonerano la minoranza: erano, per gli ebrei,il nemico.

La parabola ci colloca nel fosso, e poici costringe a comprendere che la perso-na della quale ci aspettiamo che ci ucci-da e la sola a salvarci. Ci ricorda che sia-mo tutti fatti a immagine e somiglianzadi Dio. Ci scuote facendoci uscire dalnostro compiacimento; proclama che ilnemico può essere un salvatore, poichéogni persona ha in sé il potenziale delb ene.

La parabola del figliol prodigo (Luca15, 11-32) tradizionalmente è intesa comeriferita al pentimento e al perdono, poi-ché è in questi termini che Luca interpre-ta le parabole della pecorella smarrita edella moneta perduta. Gli ebrei hannosempre inteso Dio come Padre amorevolee disposto al perdono, quindi deve esser-ci un messaggio più profondo.

La parabola comincia con «Un uomoaveva due figli», e questo versetto ci ri-manda a Caino e Abele, Ismaele e Isac-co, Esau e Giacobbe. In ognuna di que-ste storie il fratello minore viene favoritoe il fratello maggiore trattato ingiusta-mente.

Nella parabola di Gesù, il padre acco-glie il figliol prodigo con una festa, com-pleta di cibo, musica e balli. Ma diversa-mente dall’uomo che ha lasciato le no-vantanove pecore per andare in cerca diquella smarrita, o dalla donna che, resasiconto di avere perso una delle dieci mo-nete, la cerca diligentemente, il padre —che ha due figli — non ha contato. Il fra-tello maggiore deve chiedere a uno schia-vo per sapere dei festeggiamenti; suo pa-dre si è dimenticato di invitarlo alla festa.Non stupisce che lui si arrabbi. Trovareuna pecorella smarrita o una moneta per-duta è facile se paragonato a riconquista-re un figlio che non si sente amato.

La parabola ci ricorda l’importanza difar sì che tutti si sentano tenuti in con-to, che tutti si sentano notati: il bambi-no obbediente trascurato perché la so-rella è più intelligente o più dotata, operché il fratello è tossicodipendente oha esigenze particolari. La terza parabo-la di Luca 15 insiste perché noi, comel’uomo nella prima parabola e la donnanella seconda, contiamo.

La parabola del giudice e della vedo-va ci invita a immaginare una vedovavera che entra in un tribunale vero eavanza con forza le sue richieste. Nellaversione greca essa non chiede «giusti-zia» bensì «vendetta» (un punto che hacreato difficoltà ai Padri della Chiesa), equindi ci domandiamo qual è la diffe-renza tra giustizia e vendetta, per esem-pio, quando si condannano le persone alcarcere. La parabola non illustra mai ilpunto di vista dell’avversario: come pos-

siamo valutare la richiesta se non cono-sciamo i dettagli del caso? Il giudiceagisce sulla base della propria conve-nienza — la versione greca suggerisceche teme che la donna lo colpisca! —piuttosto che della disamina dei fatti, equindi ciò ci spinge a interrogare il no-stro sistema legale. Gesù insegna: «Met-titi presto d’accordo con il tuo avversa-rio mentre sei per via con lui, perchél’avversario non ti consegni al giudice eil giudice alla guardia e tu venga gettatoin prigione» (Ma t t e o 5, 25; cfr. Luca 12,58). Perché allora siamo tanto veloci acitare in giudizio e tanto lenti a concilia-re ?

Nella parabola del fattore infedelenessuno si comporta in modo morale. Ilricco (le parabole sugli uomini ricchi ingenere finiscono male per gli uomini ric-chi) crede alle voci; non si fa nemmenoconsegnare i registri contabili dell’a m m i-nistratore. L’amministratore, che è trop-po orgoglioso per mendicare e si sentesuperiore agli altri, froda il suo padrone.Chiede ai debitori a quanto ammonta illoro debito, pur avendo i registri. I de-bitori non solo possono dire una sommapiù bassa, ma egli suggerisce loro anchedi scrivere subito un importo inferiore.

Alla fine il padrone loda l’amministra-tore, l’amministratore conserva il propriolavoro e il padrone acquista la reputazio-ne di essere generoso; i debitori devonorestituire meno. Gesù ci costringe a riflet-tere sulla moralità: è permesso truffareuna persona ricca? Il fine giustifica imezzi?

Infine, la parabola degli operai nellavigna racconta di un uomo che ingaggiagli operai al mattino presto, accordan-dosi per il normale salario giornaliero.Poi prende altri operai alle nove, a mez-zogiorno, alle tre e alle cinque. O nonha nessuna idea di come gestire gli affa-ri, oppure c’è dell’altro. La sera dà a tut-ti la stessa paga. I primi mormorano,poiché pensavano che avrebbero ricevu-to di più. Il padrone della vigna dice lo-ro: «Prendi il tuo e vattene; ma io vo-glio dare anche a quest'ultimo quanto ate» (Ma t t e o 20, 14).

Tradizionalmente la Chiesa ha lettoquesta parabola come riferita all’u g u a-glianza nella salvezza, ovvero che tuttiricevono la stessa grazia, a prescindereda quando accettano il Vangelo. Non c’ènulla di sbagliato in questa lettura, mapossiamo trovarvi anche altri significati.Forse la parabola chiede attenzione peril prossimo. Le persone chiamate a lavo-rare nella vigna sapevano che altre eranostate lasciate indietro, ma non sono in-tervenute in loro favore. Forse la para-bola riguarda il garantire che tutti ab-biano abbastanza denaro per comprarecibo. Questo sarebbe coerente con l’i n-segnamento ebraico. Re Davide dichia-

rava: «Perché quale la parte di chi scen-de a battaglia, tale è la parte di chi fa laguardia ai bagagli: insieme faranno leparti» (1 Samuele 30, 24), e quindi «Daquel giorno in poi stabilì questo comeregola e statuto in Israele fino ad oggi»(30, 25).

Le altre parabole pongono interrogati-vi altrettanto importanti se le ascoltiamocon cuore aperto e tenendo a bada ilnostro ego. Le parabole di Gesù non cifanno pensare solo al perdono e al penti-mento, al giudizio universale e alla ri-compensa in cielo. Ci fanno ancheriflettere sull’etica e l’economia, il biso-gno e il desiderio, la giustizia e la ven-detta, sui nostri testi ancestrali e le nostrerelazioni presenti. Fanno esattamente ciòche Papa Francesco dice che fanno ibuoni racconti.

Le parabole di Gesù non ci fanno pensaresolo al perdono e al pentimentoal giudizio universalee alla ricompensa in cieloCi fanno anche rifletteresull’etica e l’economiail bisogno e il desideriola giustizia e la vendettaSui nostri testi ancestralie le nostre relazioni presenti

Vincent van Gogh, «Seminatore al tramonto»(1888, particolare)

Poiché le parabole sono pensateper affrontare le nostre mancanze e i nostri fallimentitendiamo a resistere al loro messaggioÈ più facile recepire un messaggio di conforto che non uno di sfidaTroppo spesso ci accontentiamo di interpretazioni semplicio di interpretazioni che magari ci sono state insegnate da bambiniDobbiamo essere buoni come il Samaritanoverremo perdonati come il figliol prodigoQueste interpretazioni non sono sbagliatema sono incomplete

Rembrandt, «Il Ritorno del figliol prodigo» (1668, particolare)

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

«Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazioneperché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone:storie che edifichino, non che distruggano;storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme»

(Papa Francesco per la giornata delle comunicazioni sociali 2020)

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 venerdì 18 settembre 2020

di PIERO CODA

La sinodalità esercizio di Chiesa: si puòriassumere in questa formula il contri-buto offerto dal documento della

Commissione teologica internazionale (Cti)su «La sinodalità nella vita e nella missionedella Chiesa» (2018). In esso, infatti, il cam-mino della sinodalità è presentato comel’esercizio in cui la Chiesa attua se stessanella missione che la definisce. Questo delresto è uno dei fili conduttori decidenti delmagistero di Papa Francesco, su di esso im-perniandosi il manifesto programmatico delsuo ministero, l’Evangelii gaudium (24 no-vembre 2013). Tanto che egli è giunto ad af-fermare, con pacata e profetica determina-zione: «Il cammino della sinodalità è il cam-mino che Dio si aspetta dalla Chiesa del ter-zo millennio» (Discorso in occasione dellacommemorazione del 50° anniversariodell’istituzione del Sinodo dei vescovi, 17 ot-tobre 2015). Un’affermazione che riveste unaprecisa rilevanza ecumenica. Sia perché,quando di Chiesa si parla alla luce del Vati-cano II, la coscienza cattolica non può nonpensare alla Chiesa una di Gesù Cristo chetale è nella pluriformità delle sue espressionistoriche, in virtù della comune fede e del co-mune battesimo, nonostante le divisioni in-tervenute nel corso dei secoli e delle diversi-tà non riconciliate che persistono. Sia perchéla sinodalità costituisce il luogo ermeneutico

pertinente per quel discernimento comunita-rio che impegna la Chiesa nel cammino irre-versibile a riconciliare nella sinfonia dellacattolicità le diversità legittime e arricchenti.

La Cti sottolinea che la sinodalità focaliz-za uno specifico k a i ró s nell’autocoscienza enell’autoconfigurazione della Chiesa (cfr. In-troduzione). Molto cammino si è fatto, è ve-ro, dal Vaticano II ad oggi, ma è sintomaticoche questo sia il primo documento ufficialedella Chiesa cattolica che programmatica-mente e organicamente ne tratta. La precisa-zione concettuale dei termini comunione,collegialità e sinodalità nella loro distinzionee nella loro correlazione (cfr. Introduzione),la messa in evidenza dello svilupparsi delladimensione sinodale come intrinseca allamissione della Chiesa lungo la storia a parti-re dall’attestazione della Rivelazione (cfr. ca-pitolo I), la messa a tema dei fondamentiteologici e dei contenuti teologali della sino-dalità (cfr. capitolo II), convergono nel sot-tolineare che la sinodalità, esprimendo il mo-dus vivendi et operandi (cfr. n. 6 e 70) dellaChiesa comunione in quanto Popolo di Dio,costituisce l’humus necessario e vitaledell’esercizio della collegialità dei vescovi. Inciò è dato senz’altro di rinvenire uno svilup-po coerente della prospettiva ecclesiologicadel Vaticano II: per riprendere le parole diPapa Francesco, la sinodalità «ci offre lacornice interpretativa più adeguata per com-prendere lo stesso ministero gerarchico», va-lorizzando in modo adeguato, in particolare,la dottrina del sensus fidei fidelium (ibid.).

Degno di nota il fatto che due sono leprospettive in ordine alle quali la Cti giudicadi rilevanza strategica la messa in atto dellasinodalità: la realizzazione di «un nuovoslancio missionario che coinvolga l’i n t e roPopolo di Dio» e l’andare «al cuore dell’im-pegno ecumenico: perché [la sinodalità] rap-presenta un invito a camminare insieme sullavia verso la piena comunione e perché offre— correttamente intesa — una comprensionee un’esperienza di Chiesa in cui possonotrovare posto le legittime diversità nella logi-ca di un reciproco scambio di doni alla lucedella verità» (n. 9). Questa duplice e corre-lata intenzionalità attraversa il documento ene plasma l’architettura, essendo trasversalea tutti e quattro i capitoli in cui è articolatala trattazione.

La specifica intenzionalità ecumenica deldocumento risalta innanzi tutto nel primocapitolo. Significativa già la titolatura: «Lasinodalità nella Scrittura, nella Tradizione,nella Storia». Dalla struttura così proposta sievince l’intenzione di una rilettura dell’atte-stazione scritturistica riconosciuta nella suanormatività da tutte le confessioni cristiane,

per poi venire alla tradizione dei Padri dellaChiesa e dei concili ecumenici del primomillennio che costituiscono il patrimoniodottrinale comune di tutte le Chiese, e perpassare infine agli sviluppi conosciuti nelcorso del secondo millennio quando si deter-minano la rottura della comunione prima traChiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente e poiquella a seguito della Riforma protestante.In tal modo s’intende sottolineare che l’ap-profondimento e il rilancio della sinodalitàriveste un importante significato ecumenico:sia perché rimanda a una comune intelligen-za delle fonti da tutti considerate normative,sia perché riconosce che gli sviluppi cono-sciuti nel corso del secondo millennio sonosegnati dalle ferite della divisione e come taliinvocano un pertinente discernimento in vi-sta della riconciliazione.

In proposito, risulta di grande importanzail criterio ermeneutico descritto al n. 24: «Laperseveranza sulla via dell’unità attraverso ladiversità dei luoghi e delle culture, delle si-tuazioni e dei tempi, è la sfida cui il Popolodi Dio è chiamato a rispondere per cammi-nare nella fedeltà al Vangelo gettandone ilseme nell’esperienza dei diversi popoli. Lasinodalità si dispiega sin dall’inizio quale ga-ranzia e incarnazione della fedeltà creativadella Chiesa alla sua origine apostolica e allasua vocazione cattolica. Essa si esprime inuna forma che è unitaria nella sostanza, mache via via si esplicita, alla luce dell’attesta-zione scritturistica, nello sviluppo viventedella Tradizione. Tale unitaria forma cono-sce pertanto differenti declinazioni». Questocriterio riveste un significato strategiconell’ermeneutica che, a proposito dei docu-menti che attestano la prassi sinodale, è ne-cessario seguire per continuare a camminarelungo la via della sinodalità nella logica del-la fedeltà creativa.

Significativa inoltre è l’opzione di darconto nella sezione storica, in un quadrod’insieme, degli sviluppi conosciuti dallaprassi sinodale lungo i secoli da tutte le tra-dizioni cristiane. Viene così profilato il com-pito arduo ma senz’altro ineludibile — comeha notato Riccardo Battocchio, presidentedell’Associazione teologica italiana (Ati) —di «custodire e testimoniare l’unità già pre-sente, aprendosi nello stesso tempo a un ine-dito non ancora disponibile, del quale pro-prio grazie al cammino ecumenico si intrave-dono alcuni possibili tratti».

Il cammino del dialogo ecumenico ha difatto richiamato l’attenzione sul concetto esulla pratica della sinodalità come questionechiave in vista del raggiungimento della pie-na e visibile unità. Il documento della Cti lorichiama e s’impegna ad argomentare la pro-posta che produce in questa logica (cfr. n. 9e 115-117). Già nel primo capitolo, la sezioneriguardante la storia della Chiesa nel primomillennio tiene conto dei risultati del dialo-go teologico tra la Chiesa cattolica e laChiesa ortodossa nel suo insieme, confluitinel Documento di Ravenna (2007): «Leconseguenze ecclesiologiche e canoniche del-la natura sacramentale della Chiesa. Comu-nione ecclesiale, sinodalità e autorità», ripre-si in rapporto al primo millennio nel Docu-mento di Chieti (2016); «Sinodalità e prima-to nel primo millennio. Verso una comunecomprensione nel servizio all’unità dellaChiesa». La stretta connessione tra la naturasacramentale della Chiesa e la sua figura si-nodale in interdipendenza con l’esercizio di-versificato, ai suoi vari livelli, del primato, èinfatti esplicitata nel Documento di Ravennacome risposta alla domanda circa il modo incui «le strutture istituzionali riflettono visi-bilmente il mistero della koinônia».

Circa lo sviluppo della coscienza del pri-mato del Vescovo di Roma nel secondo mil-lennio da parte della Chiesa cattolica, se nesottolinea l’imperdibile guadagno non omet-tendo di sottolinearne anche le ombre, deri-vanti dalla rottura della comunione con laChiesa d’Oriente. Così, ad esempio, in rife-rimento alla riforma gregoriana e alla lottaper la libertas Ecclesiae (nn. 32-34) e al Con-cilio di Trento (n. 35). Si sottolinea infineche il primato del Papa «viene presentatodal Vaticano I come il ministero posto a ga-ranzia dell’unità e indivisibilità dell’episco-pato a servizio della fede del Popolo diDio» e che «la formula secondo cui le defi-nizioni ex cathedra del Papa sono irreforma-bili “per se stesse e non in virtù del consen-so della Chiesa”, “non rende il consensus Ec-clesiae superfluo ma afferma l’e s e rc i z i odell’autorità che è propria del Papa in virtùdel suo specifico ministero”» (n. 37). Tale er-meneutica, intrinsecamente segnata dal-l’istanza ecumenica in conformità al magiste-ro del Vaticano II, spiana la strada ai numerifinali (38-42) della sezione storica che in ra-pida successione riepilogano gli elementi delrinnovamento ecclesiologico che portano alVaticano II.

Sulla scorta del magistero dell’ultimoConcilio ecumenico letto alla luce della Tra-dizione, nel secondo capitolo è esposta unaprospettiva ecclesiologica senz’altro ecumeni-camente rilevante in quanto muove da que-sto assunto: «Le dimensioni trinitaria e an-tropologica, cristologica, pneumatologica edeucaristica del disegno divino di salvezzache si attua nel mistero della Chiesa descri-vono l’orizzonte teologico entro il quale la

sinodalità si è stagliata e attuata attraverso isecoli» (n. 48). Di qui, innanzi tutto, il rilie-vo ecclesiologico riconosciuto alle Chiese lo-cali (n. 61). In secondo luogo, l’invito a«promuovere il dispiegarsi della comunionesinodale tra “tutti”, “alcuni” e “uno”», co-niugando in una coerente dinamica sinodale«l’aspetto comunitario che include tutto ilPopolo di Dio, la dimensione collegiale rela-tiva all’esercizio del ministero episcopale e ilministero primaziale del Vescovo di Roma»(n. 64).

Nel terzo capitolo, ricco di significato è ilfatto che l’ordine scelto per descrivere la vitasinodale della Chiesa non sia quello seguitonel Codice di diritto canonico, libro II, parteII, sotto il titolo «La costituzione gerarchicadella Chiesa», che procede dalla Chiesa uni-versale verso la Chiesa particolare riservandopoi un titolo ai raggruppamenti di Chieseparticolari; ma s’ispiri a quello seguito daPapa Francesco nel Discorso per il 50°dell’istituzione del Sinodo dei vescovi: dallasinodalità nella Chiesa particolare alla sino-dalità nelle Chiese particolari a livello regio-nale sino alla sinodalità nella Chiesa univer-sale.

In questo contesto, vanno rilevate alcunesottolineature passibili di essere sviluppatenella riflessione ecumenica a propositodell’assetto che si può immaginare nel futuroanche in vista di una riconciliazione tra lediverse confessioni: il richiamo alla sinodali-tà a livello di provincia e di regione comepraticata in Oriente e in Occidente (n. 85-86); il riconoscimento del significato eccle-siologico delle Conferenze episcopali (n. 89-91), dei raggruppamenti delle stesse anche alivello continentale (n. 86) e, in modo speci-fico, dei Patriarcati nelle Chiese orientali cat-toliche (n. 92-93); e infine, a livello dellaChiesa universale, il richiamo al principio,sancito dal Codice di diritto canonico (337 §3), secondo cui «il Sinodo dei Vescovi non èl’unica forma possibile di partecipazione delCollegio dei Vescovi alla sollecitudine pasto-rale per la Chiesa universale» (n. 100). Sen-za dire che sin dall’inizio del capitolo, ri-chiamandosi a Papa Francesco, si rimarcache «l’attuazione della dimensione sinodaledella Chiesa deve integrare e aggiornare ilpatrimonio dell’antico ordinamento ecclesia-stico con le strutture sinodali sorte per im-pulso del Vaticano II e dev’essere aperta allacreazione di nuove strutture» (n. 76).

Nel quarto capitolo l’istanza della sinoda-lità viene teologicamente inscritta — in con-formità all’insegnamento del Vaticano II ( c f r.Unitatis redintegratio, 7) — entro la cornicedella conversione che «si esprime innanzitutto nella risposta alla gratuita chiamata diDio a vivere come suo Popolo che camminanella storia verso il compimento del Regno»(n. 103). Conversione che implica una di-mensione esteriore e sociale, traducendosi inimpegno alla conversione della vita ecclesia-le anche a livello strutturale. Se dunque, co-me si legge al n. 106, tra le linee di orienta-mento nell’azione pastorale va annoverata«l’apertura della Chiesa cattolica verso le al-tre Chiese e Comunità ecclesiali nell’imp e-gno irreversibile a camminare insieme versola piena unità nella diversità riconciliata del-le rispettive tradizioni» (n. 106d), ciò impli-ca, in prima battuta, una seria conversionealla spiritualità della comunione che in con-creto chiede di predisporre per tutto il Po-polo di Dio percorsi di formazione alla vitasinodale e all’arte esigente dell’ascolto e deldialogo in vista dell’attivazione del metododel discernimento comunitario (cfr. le sezio-ni seconda e terza del quarto capitolo). Spi-ritualità della comunione e spiritualità ecu-menica in effetti camminano insieme: perchépropiziano «il transito pasquale dall’“io” in-dividualisticamente inteso al “noi” ecclesiale,dove ogni “io”, essendo rivestito di Cristo

(cfr. Galati, 2, 20), vive e cammina con i fra-telli e le sorelle come soggetto responsabile eattivo nell’unica missione del Popolo diDio» (n. 107).

La quarta sezione del quarto capitolo,«Sinodalità e cammino ecumenico» (n. 115-117), esplicita a tutto tondo la chiave di let-tura ecumenica dell’istanza sinodale: «Oc-corre registrare con gioia il fatto che il dialo-go ecumenico è giunto in questi anni a rico-noscere nella sinodalità una dimensione rive-lativa della natura della Chiesa e costitutivadella sua unità nella molteplicità delle sueespressioni. Si tratta della convergenza sullanozione della Chiesa come koinônia, che sirealizza in ogni Chiesa locale e nella sua re-lazione con le altre Chiese, attraverso speci-fiche strutture e processi sinodali» (n. 116).

A conferma di ciò si segnalano il Docu-mento di Chieti per quanto concerne il dia-logo cattolico-ortodosso, e il Documento diFede e Costituzione del Consiglio ecumeni-co delle Chiese «The Church. Towards aCommon Vision». Dal primo documento siricava un principio di orientamento per ilprosieguo del dialogo: «La comunione eccle-siale, affondando le radici nella SS.ma Trini-tà, ha sviluppato nel primo millennio, inOriente e in Occidente, delle “strutture disinodalità inseparabilmente legate con il pri-mato”, la cui eredità teologica e canonica“costituisce il necessario riferimento […] perguarire la ferita della loro divisione all’iniziodel terzo millennio” » (n. 116).

Si può osservare che la sinodalità se, perun verso, dice l’identificazione della naturaprofonda e al tempo stesso storica dellaChiesa in cui s’incontrano le diverse espres-sioni che essa ha assunto lungo i secoli an-che in modo divisivo e conflittuale, propi-ziando oggi il cammino della riconciliazione;per un altro verso, dichiara il metodo del di-scernimento comunitario che è necessario as-sumere per proseguire il cammino versoquella forma di unità nella pluriformità cherisponde al dono di grazia della SantissimaTrinità alla Chiesa di Gesù Cristo a serviziodella famiglia umana.

In conclusione, afferma il documento del-la Cti, è «il consenso su questa visione diChiesa» che «permette di focalizzare l’atten-zione, con serenità e oggettività, sugli im-portanti nodi teologici che restano da scio-gliere» (n. 117). In altri termini: l’i n t e r p re t a -zione della vocazione sinodale della Chiesanon può non segnalare i punti di distanza

Gli impulsi del documento della Commissione teologica internazionale

Sino dalitàe cammino ecumenico

che chiedono ulteriore discer-nimento per sceverare ciò che,essendo genuina espressionedell’ispirazione evangelica edella doctrina fidei, va con gra-titudine integrato nell’unitàcattolica e ciò che invece —per usare il linguaggio evan-gelico — «va potato» affinché,quando il tralcio è buono,possa «portare più frutto»(cfr. Giovanni, 15, 2).

Occorre pertanto determi-nare insieme, in un rigoroso efiducioso esercizio di dialogo,che si faccia spazio apertoall’ascolto della voce delloSpirito, quanto pertiene allalegittima pluralità delle formeespressive della fede nelle di-verse culture, situazioni stori-che, interpretazioni ecclesiolo-giche e di quanto invece ineri-sce alla sua identità perenne ealla sua unità cattolica. La Ctiindividua due nodi principali:«Si tratta, in primo luogo,della questione concernente ilrapporto tra la partecipazionealla vita sinodale di tutti i bat-tezzati, in cui lo Spirito diCristo suscita e alimenta ilsensus fidei e la conseguentecompetenza e responsabilitànel discernimento della mis-

sione, e l’autorità propria dei Pastori, deri-vante da uno specifico carisma conferito sa-cramentalmente; e, in secondo luogo, dell’in-terpretazione della comunione tra le Chieselocali e la Chiesa universale espressa attra-verso la comunione tra i loro Pastori con ilVescovo di Roma» (n. 117).

La prima questione tocca principalmenteil dialogo con le Chiese e le comunità eccle-siali nate dalla riforma protestante, in quan-to esse «promuovono una forma specifica diprassi sinodale, nel contesto di un’ecclesiolo-gia e di una dottrina e pratica sacramentalee ministeriale che si discostano dalla Tradi-zione cattolica» (n. 36). Quest’affermazioneintende segnalare che le forme assunte dallasinodalità nelle espressioni di prassi ecclesia-le suscitate dalla riforma protestante articola-no la vita della comunità a partire da unaconcezione e pratica dei sacramenti e del mi-nistero ordinato che — allo stato attuale deldialogo teologico — appaiono in distoniacon la linea di fondo seguita dalla tradizio-ne. Di qui la necessità di un ulteriore appro-fondimento.

La seconda questione concerne, in parti-colare, il dialogo cattolico-ortodosso circa lacorrelazione tra sinodalità e primato sul li-vello della Chiesa universale. Su questo te-ma, in verità, il documento fa tesoro deiguadagni sinora raggiunti, ne conferma lavalidità sulla base dell’ermeneutica che pro-pone della tradizione e dell’ecclesiologia delVaticano II, e propizia, in questa luce, il pro-sieguo del cammino. Il quale si trova difronte a due delicati temi da affrontare: il si-gnificato dell’affermazione del primato pa-pale nel concilio Vaticano I (il che potrà es-sere fatto, con frutto, solo tenendo contodell’ermeneutica che in proposito si evincedal Vaticano II), da un lato, e, dall’a l t ro ,l’invito di san Giovanni Paolo II nella Utunum sint (1995) a «trovare una forma diesercizio del primato che, pur non rinun-ciando in nessun modo all’essenziale dellasua missione, si apra a una situazione nuo-va» (cfr. n. 95).

Si può dare ormai per acquisito il riferi-mento all’esperienza ecclesiale del primomillennio quale patrimonio comune dellaChiesa cattolica e della Chiesa ortodossa edefficace fonte d’ispirazione nella ricerca dellariconciliazione all’inizio del terzo millennio.E ciò sulla base del fatto che nel primo mil-lennio le Chiese dell’Oriente e dell’O cciden-te erano unite nel preservare e trasmettere lafede apostolica, sulla base della successioneapostolica dei vescovi e sviluppando struttu-re di sinodalità legate inseparabilmente, aivari livelli della sua espressione, all’e s e rc i z i odel primato. Il primo millennio, pertanto,non rappresenta tanto un modello definitivo,ma offre alcuni punti fermi condivisi chehanno la loro misura normativa nel Vangelodi Gesù e nell’esperienza vitale e dottrinaledella Chiesa una espressa al più alto livellonei Concili ecumenici. Occorre ripartire diqui, aperti alla novità dello Spirito nella lo-gica del cammino «verso la Verità tutta inte-ra» (Giovanni, 16, 13).

In questa prospettiva, il documento dellaCti chiude la sezione del quarto capitolo de-dicata a «Sinodalità e dialogo ecumenico»,con una costatazione che è al contempo unauspicio e un’indicazione di metodo percamminare avanti: «L’attuazione della vitasinodale e l’approfondimento del suo signifi-cato teologico costituiscono una sfida eun’opportunità di grande rilievo nel prosie-guo del cammino ecumenico. È nell’orizzon-te della sinodalità infatti che, con fedeltàcreativa al depositum fidei e in coerenza con ilcriterio della hierarchia veritatum (Unitatis re-d i n t e g ra t i o , 11c), si fa promettente quelloscambio di doni di cui ci si può mutuamentearricchire camminando verso l’unità comearmonia riconciliata delle inesauribili ric-chezze del mistero di Cristo che si riflettononella bellezza del volto della Chiesa» (n.117).

Aldo Borgonzoni, «Personaggi giovannei» (1967)

Andrej Rublëv, «Trinità» (1420-1430)

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 18 settembre 2020 pagina 7

Riflessioni sul nuovo anno ebraico 5781

I “Giorni Terribili”e il covid-19

di ABRAHAM SKO R KA *

Nell’ebraismo le preghiere ri-tuali, fatte alcune rare ecce-zioni, sono composte al plu-

rale. L’individuo apporta i proprisentimenti alla preghiera, ma com-pie l’atto di offrirli a Dio comemembro della comunità. Per questola tradizione ebraica attribuisce cosìtanta importanza alla preghiera co-mune (Berachot 8, a); solo quandole persone si riuniscono le preghieresono offerte nella loro pienezza.

Quest’anno, diversamente daglialtri, il riunirsi degli ebrei nelle si-nagoghe per celebrare l’inizio di unnuovo anno subirà restrizioni a cau-sa del distanziamento sociale impo-sto dalla pandemia del covid-19. Cisaranno limitazioni agli incontricon gli altri, al cantare uniti, al farriecheggiare le stesse preghiere econdividere i sentimenti comuni inquesto momento dell’anno. Lacompagnia che troviamo gli uni ne-gli altri dovrà essere trovata piùnella mente e nel cuore visto chemancherà la vicinanza fisica.

Secondo l’antica tradizione ebrai-ca, i “Giorni Terribili” (Yamim No-ra i m ), che includono Rosh Hasha-nah (il Nuovo Anno) e Yom Kippur(il Giorno dell’Espiazione), sono iltempo in cui Dio giudica l’interaumanità, sia individualmente sia co-me popoli. È il tempo per fare unesame critico della nostra vita e del-la nostra esistenza. Questo autoesa-me è detto Cheshbon HaNefesh, ed èun’analisi della propria vita simile aquella che i cattolici chiamano “esa-me di coscienza”. Naturalmentel’autoesame riguarda molto il no-stro rapporto con gli altri. Il distan-ziamento imposto dal virus esigeràdi sondare il nostro intimo più inprofondità mentre analizziamo ilnostro comportamento verso gli al-tri. L’impossibilità di offrire le pre-ghiere in comunità potrebbe spin-gere singoli ebrei a dedicare piùtempo alla riflessione introspettiva.In realtà questo è forse un effettocollaterale positivo della pandemia,poiché consente a ciascuno di noidi avvicinarsi di più a come Dio civede in questi giorni di giudizio di-vino.

Nelle nostre preghiere eleviamosuppliche al Creatore affinché ciaiuti a essere uniti nel sapere comeagire con cuore pieno secondo lavolontà di Dio. Una delle preghierepiù eloquenti inizia con l’implora-zione: «Ascolta la nostra voce, Si-

gnore Dio nostro, abbi pietà, e usa-ci grazia e misericordia!». Seguonoquindi le parole dei Salmi 51, 13 e71, 9, che nella Bibbia vengono pre-sentati come suppliche personalidel re David, ma che nel libro dellepreghiere sono riformulati al plura-le: «Non respingerci dalla tua pre-senza e non privarci del tuo santospirito […] Non ci respingere neltempo della vecchiaia, non abban-donarci quando declinano le nostreforze!».

Nel libro dei Salmi, tali paroleesprimono i desideri più particolarie intimi di una persona. Nella sina-goga, invece, la preghiera indivi-duale acquisisce un significato su-perlativo quando, partendo dall’in-dividuo, si allarga per abbracciaregli altri nell’intera comunità e, inultimo, l’intera umanità.

L’attuale pandemia ha gettatotutta l’umanità nella paura, nel do-lore e nella preoccupazione. Haunito individui e nazioni in preoc-cupazioni comuni. Ci saranno per-sone perspicaci che vedranno que-sto sviluppo come segno della ne-cessità di un’umanità unita, capacedi apprezzare le differenze senzatrasformarle in barriere insormonta-bili? Questa percezione contribuiràa quell’unità universale voluta daDio affinché l’intera umanità prati-chi la giustizia, ami la pietà, e cam-mini umilmente con il suo Dio (cfr.Michea, 6, 8)? Sarà possibile giun-gere a un dialogo ampio e sinceroin cui ognuno mantiene la propriaidentità ma viene nobilitato speri-mentando l’altro in tutta la sua uni-cità?

All’inizio del Nuovo Anno noiebrei chiediamo a Dio di giudicarel’umanità con misericordia e bene-volenza, avvertendo la presenza ditutti anche in un tempo di distan-ziamento sociale. Quest’anno, il co-vid-19 è ovviamente solo una dellenumerose e sempre più complesseminacce che sfidano un’umanitàche cresce velocemente sia in nume-ri sia in bisogni. Come le preghierenei “Giorni Terribili”, ci costringe acomprendere che in questa realtàterrena condividiamo tutti le stessefatiche e che il destino di ognunodi noi è ineluttabilmente legato aquello di tutti gli altri.

*Institute for Jewish-CatholicRelations of Saint Joseph’s University,Philadelphia

L’appello congiunto di Comunità di Sant’Egidio, Jesuit Refugee Service e scalabriniane

Nuove reti di solidarietàper aiutare i migranti

Il 15 ottobre l’atto accademico di inaugurazione

Al via gli studi dell’Università Salesiana

ROMA, 17. È fissata per giovedì 15ottobre l’inaugurazione del nuovoanno accademico 2020-2021dell’Università Pontificia Salesiana,nell’81° della sua fondazione, con lacontemporanea chiusura delle cele-brazioni previste per l’ottantesimoanniversario. Dopo la celebrazioneeucaristica presieduta da Ángel Fer-nández Artime, gran Cancelliere erettore maggiore della Società sale-siana di San Giovanni Bosco, l’attoaccademico inaugurale si terrà alleore 11 nell’aula Paolo VI dell’univer-sità, con la relazione introduttivadel rettore magnifico dell’ateneo,

don Mauro Mantovani, seguita dal-la prolusione, dal titolo «Ricercacondivisa e convergente», tenutadalla docente Marica Branchesi,astrofisica del Gran Sasso ScienceInstitute. La giornata, che potrà es-sere seguita in diretta streaming sulsito dell’università, continuerà conuna cerimonia di premiazione deidocenti emeriti e degli studenti me-ritevoli per l’eccellenza dei risultati,nonché con la diffusione di messag-gi dei protagonisti del pontificioateneo. In conclusione, don Artimeproclamerà l’apertura ufficiale del-l’anno accademico.

Nell’intervista di Giuseppe De Rita a «La Civiltà Cattolica»

Il coraggiodi osare ancora

«Quando la Chiesa italiana ebbe ilcoraggio di osare» è il titolodell’ampia intervista del direttore de«La Civiltà Cattolica», padre Anto-nio Spadaro, al presidente e fonda-tore del Censis, Giuseppe De Rita,che ricorda la mobilitazione eccezio-nale attivata dal Convegno ecclesialenazionale del 1976 e, prima ancora,dal Convegno diocesano su «I malidi Roma» del 1974. Ne anticipiamoun brano tratto dalla rivista in uscitasabato 19 settembre.

Torniamo per un momento proprio aquegli anni Settanta. Nel periodo dipreparazione del Convegno ecclesiale del1976, Lei ebbe modo ovviamente diconfrontarsi in particolare con mons.Bartoletti. Sappiamo che in una vostracorrispondenza Lei gli appuntò, oggidiremmo con «parresia», nove «indul-genze» che rimproverava alla Chiesadi quel periodo. Ce le può ricordare?

Sì, erano cose che, come gli scris-si, mi facevano rabbia. Le accennosenza entrare nei dettagli. Vedevo laChiesa indulgere al pessimismo da«fine ciclo»; alla testimonianza dipura «difesa»; a pensare prevalente-mente a chi sta nel recinto — «ai no-stri», scrissi —; a privilegiare alcunitipi di laici che apparivano «più pre-ti» dei preti; a non resistere alla coa-zione a parlare o a prendere posizio-ne su qualsiasi cosa; a fidarsi di sele-zionati e limitati canali di informa-zione (per esempio, facendosi fare

previsioni elettorali da uomini politi-ci direttamente interessati alla que-stione); a far cultura di affermazioneinvece che di ricerca; a dimenticarel’importanza della mediazione cultu-rale; e, infine, a un’eccessiva atten-zione alla dimensione ideologicadella politica.

Sembrano quasi tutti punti di estremacriticità anche oggi. Possiamo dire così?C’è qualcuna di queste nove questioni

ad «affermare» (verità, valori, inten-ti, indicazioni programmatiche), sen-za mai avere il coraggio di entrarenella dialettica sociale quotidiana,mediandone aspettative e conflitti.

In quei ribollenti anni Settanta, si im-maginava in qualche modo il nostroattuale presente?

Beh, ci si provava, certo. Ricordoche nella mia corrispondenza di

E non parlo come cattolico, ma co-me ricercatore, come uno che pro-fessionalmente analizza la società ecerca di interpretarla nelle sue lineedi evoluzione e di attesa». Convin-zioni del 1976, che replicherei oggisenza cambiare una virgola.

Dopo 50 anni, cosa trova oggi in Ita-lia? Radiosi progressisti, inerti gregario topi impazziti?

Se mi astraggo dall’attuale dram-ma collettivo generato dal coronavi-rus, dove sembriamo topi più im-pauriti che impazziti, rispondo che— anche per la fedeltà e tenacia chemi viene dagli anni di studio nel li-ceo dell’Istituto Massimo — re s t oconvinto che la Chiesa italiana haun futuro solo se scarica sul terrenola sua potenza di mobilitazione epartecipazione collettiva. Non ci sal-veranno ambizioni progressiste, marituali; e non ci preserverà dal mali-gno il rinserramento nella derespon-sabilizzata delega ai nostri vertici.Solo il vigore delle diverse realtà so-cioculturali, da troppo tempo in le-targo, può chiamare le Chiese chevivono in Italia a farsi loro caricodel faticoso cammino che dobbiamointraprendere. E mi permetto di direche quel vigore può essere chiamatoa esprimersi nel richiamo a osare, afare storia di «promozione umana»e di risposta alle attese di giustiziadelle nostre singole comunità eccle-siali.

che secondo Lei sia stata fino a oggi lapiù problematica?

Se mi è permesso, credo ferma-mente che la maggiore criticità fraquelle indicate sia venuta dalla ten-denza a chiudersi nel recinto delmondo cattolico — i preti e la loro«gente» — senza avere il senso dellacomplessità esterna, concentrandosi

avremo bisogno — i miei figli avran-no bisogno — di crocicchi su cui mi-surarsi, di senso del futuro, di co-raggio di ricercare nuovi atteggia-menti, di identità individuali e col-lettive profonde, di comunione realecon gli altri, di capacità di “o rd i n a -re ” tutto in prospettive di generalesenso della storia, di gioia nel cari-sma di un futuro che ci appartiene.

di FRANCESCO RICUPERO

«N on possiamo continuaread assistere inermi alledifficili condizioni nelle

quali sono costrette a vivere migliaiadi migranti e di richiedenti asilo.Quello che è avvenuto nei giorniscorsi nel campo profughi di Moria,a Lesbo, è inaccettabile. Dobbiamointervenire subito ed impedire tuttoquesto»: è quanto ha dichiarato a«L’Osservatore Romano» suor Neu-sa de Fatima Mariano, superiora ge-nerale delle suore missionarie di SanCarlo Borromeo (scalabriniane), apochi giorni dall’incendio avvenutol’8 settembre scorso nell’isola di Le-sbo, dove vi erano accampati oltre12.000 richiedenti asilo (quattro voltela sua capienza) ed è il più granded’Europa. Dopo 24 ore, un nuovorogo ha devastato la parte del campoprofughi che era stata risparmiata,gettando ulteriormente nel panico lefamiglie, costrette a mettersi in salvomentre le loro tende bruciavano.

I due drammatici episodi, per iquali sono stati arrestati 5 migranti,hanno provocato l’immediata reazio-ne della Comunità di Sant’Egidio,del Jesuit Refugee Service (Jrs) edelle missionarie scalabriniane che, inun comunicato congiunto, chiedonoaccoglienza e integrazione «per sal-vare le persone più vulnerabili, a par-tire da malati, donne e bambini». Lereligiose sono impegnate con una

missione a Lesbo, dove in collabora-zione con la Comunità di Sant’Egi -dio, dalla fine di luglio, svolgono unservizio di assistenza ai profughi chearrivano nell’isola greca.

Ribadendo quanto detto dal Papadomenica scorsa all’Angelus che hainvitato ad accogliere umanamente edignitosamente chi cerca asilo, le trerealtà cattoliche lanciano un appelloaffinché, dopo i due incendi che han-no distrutto il campo profughi e crea-to «enormi difficoltà a chi viveva giàun inferno», «nulla sia come prima».

«L’Unione europea, in collabora-zione con il governo greco — sosten -gono Comunità di Sant’Egidio, Jrs emissionarie scalabriniane — interven -gano con immediatezza nel segnodell’accoglienza e dell’integrazione diun numero di persone che certamen-te è alla portata», si legge nel comu-nicato che invita, con estrema urgen-za, nelle prossime ore, a prendere im-portanti decisioni. «Solo privilegian-do la strada del dialogo e delle rela-zioni pacifiche, sarà possibile arrivaread una soluzione nell’interesse di tut-ti. Ma ritardare o, peggio, far finta diniente in attesa che si crei una nuovaprecarietà permanente a danno di fa-miglie che risiedono da mesi nell’iso -la, alcune da anni, sarà gravementecolpevole per un continente che èsimbolo di rispetto dei diritti umani,una vergogna di fronte alla storia».

Secondo la superiora generale dellescalabriniane, «occorre mettere a pun-to un nuovo modo di integrare e rea-lizzare una rete di collaborazione permigliorare e rendere ancora più effica-ce l’accoglienza. Il cammino comunetra congregazioni e associazioni reli-giose e laiche — prosegue suor Neusa— è indispensabile per raggiungerequesto importante traguardo, ma allostesso tempo dobbiamo sensibilizzare

ancora di più il territorio e creare unamentalità nuova e una solidarietànuova. Non possiamo tapparci leorecchie e non ascoltare il grido diaiuto di migliaia di persone».

Le tre realtà che promuovonol’appello, da tempo vicine con diver-si interventi ai profughi che risiedo-no a Lesbo e in tutta la Grecia,chiedono in particolare di: sistemare,il prima possibile, gli sfollati dell’in-cendio di Moria in strutture di pic-cole dimensioni, fornite di servizi;garantire il libero accesso alle asso-ciazioni umanitarie per soccorrere imigranti nelle loro necessità più im-mediate, in particolare nei confrontidi malati, donne, bambini, e anzia-ni; decidere contemporaneamente, alivello dell’Unione europea o deisingoli Paesi che si offrono, il neces-sario ricollocamento non solo deiminori non accompagnati ma anche

delle famiglie e degli individui vul-nerabili presenti nell’isola; cambiareil modello di accoglienza a Lesboper i nuovi arrivi dalla Turchia, pre-vedendo strutture di accoglienza subase transitoria, gestibili e rispettosedella dignità umana, salvaguardandoil diritto di ciascun profugo, di qual-siasi provenienza, a chiedere asilo.

Comunità di Sant’Egidio, JesuitRefugee Service e suore scalabrinia-ne ricordano poi l’esperienza deicorridoi umanitari nata nel febbraiodel 2016, avviata anche a Lesbo daPapa Francesco quando, i 16 apriledi quello stesso anno, portò con séin aereo le prime tre famiglie.

«Si tratta di una via che occorrecontinuare a percorrere per salvarealtri profughi, facendo rete con tan-te associazioni, parrocchie, cittadinicomuni che si sono offerti di acco-gliere con grande generosità» evi-denzia il comunicato. Soluzioni chedimostrano quanto le possibilità del-la buona accoglienza risultino poisuperiori a quanto si crede.

«Ci rendiamo conto che la situa-zione non è semplice — sottolinea lasuperiora generale delle scalabrinia-ne — anche perché l’emergenza sani-taria provocata dal coronavirus stacreando enormi difficoltà a chiun-que, ma questo non significa abban-donare tanta gente indifesa, anzidobbiamo continuare ad aumentaregli sforzi».

Infine, Comunità di Sant’Egidio,Jesuit Refugee Service e missionariescalabriniane auspicano «che le con-ferenze episcopali europee solleciti-no i loro rispettivi governi a elabo-rare nuovi progetti di accoglienza edi integrazione, due pratiche chefanno bene non solo ai migranti, mamolto, in termini di valori e di futu-ro, a tutti i cittadini europei».

quell’epoca con mons.Bartoletti, che ho quitra le mani mentreparliamo, scrissi unacosa che Le leggo: «Ionon so e non possoprevedere se la societàitaliana dei prossimi50 anni (degli anni incui vivranno i miei ot-to figli) sarà una so-cietà di radiosi pro-gressisti, di inerti gre-gari o di topi impazzi-ti; ma so che, qualeche sarà la società,

Page 8: Gli accordi di Washington opportunità da non perdere dell ...€¦ · del distanziamento sociale impo-sto dalla pandemia del covid-19. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 venerdì 18 settembre 2020

Messaggio pontificio ai partecipanti alla Giornata dei sacerdoti anziani e malati della Lombardia

Guarire dal virusdell’autosufficienza

La speranza «che questo periodo»di pandemia da covid-19 «ci aiutia guarire dal virusdell’autosufficienza» è stata espressada Papa Francesco in un messaggioinviato ai partecipanti alla Giornatadei sacerdoti anziani e malatidella Lombardia, riuniti nel santuariomariano di Caravaggio giovedì 17settembre. Eccone il testo.

Cari fratelli sacerdoti,

mi rallegro che anche quest’anno,nonostante le limitazioni necessarieper contrastare la pandemia, vi siateritrovati assieme ai vostri Vescovi nelSantuario della Madonna di Cara-vaggio.

Ringrazio la Conferenza Episco-pale Lombarda, che da sei anni or-

ganizza questa giornata di preghierae fraternità con il clero anziano eammalato. È bella quest’attenzionedei pastori per la parte fisicamentepiù fragile del loro presbiterio. Inrealtà, siete sacerdoti che, nella pre-ghiera, nell’ascolto, nell’offerta dellesofferenze, compite un ministeronon secondario nelle vostre Chiese.

Ringrazio l’UN I TA L S I e quanti siadoperano per la buona riuscita diquesto incontro. Col loro impegnoconcreto e con lo spirito che li ani-ma, i volontari esprimono la gratitu-dine di tutto il popolo di Dio versoi suoi ministri.

Ed è soprattutto a voi, cari confra-telli che vivete il tempo della vec-chiaia o l’ora amara della malattia,che sento il bisogno di dire grazie.

Grazie per la testimonianza di amo-re fedele a Dio e alla Chiesa. Grazieper l’annuncio silenzioso del vangelodella vita. Grazie perché siete me-moria viva cui attingere per costruireil domani della Chiesa.

Negli ultimi mesi, tutti abbiamosperimentato delle restrizioni. Legiornate, trascorse in uno spazio li-mitato, sembravano interminabili esempre uguali. Abbiamo sentito lamancanza degli affetti più cari e de-gli amici; la paura del contagio ci haricordato la nostra precarietà. Infondo, abbiamo conosciuto quelloche alcuni di voi, come anche moltialtri anziani, vivete quotidianamente.Spero tanto che questo periodo ciaiuti a capire che, molto più dell’o c-cupare spazi, è necessario non sciu-pare il tempo che ci viene donato;che ci aiuti a gustare la bellezzadell’incontro con l’altro, a guariredal virus dell’autosufficienza. Nondimentichiamo questa lezione!

Nel periodo più duro, pieno «diun silenzio assordante e di un vuotodesolante» (Momento di preghiera, 27

marzo 2020), tanti, quasi spontanea-mente, hanno sollevato il loro sguar-do al Cielo. Con la grazia di Dio,può essere un’esperienza di purifica-zione. Anche per la nostra vita sa-cerdotale la fragilità può essere «co-me il fuoco del fonditore e come lalisciva dei lavandai» (Ma l 3, 2) che,innalzandoci verso Dio, ci raffina eci santifica. Non abbiamo paura del-la sofferenza: il Signore porta la cro-ce con noi!

Cari fratelli, alla Vergine Maria af-fido ciascuno di voi. A lei, Madredei sacerdoti, ricordo nella preghierai tanti preti deceduti a causa di que-sto virus e quanti stanno affrontandoil percorso di riabilitazione.

Vi mando di cuore la mia benedi-zione. E voi, per favore, non dimen-ticatevi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano,13 agosto 2020

In un libro le catechesi di Francesco sulle Beatitudini

Il cristianesimonon è facile, ma è felice

Il santo francescano amava definirsi “frate asino”

Giuseppe da Copertino e la teologia per bambini

Comunicazionedella Sala stampadella Santa Sede

Rispondendo alle domande deigiornalisti, nel pomeriggio dimercoledì 16 settembre il direttoredella Sala stampa della Santa Se-de, Matteo Bruni, ha confermatoche: «Il Santo Padre, con un suomessaggio, si rivolgerà all’Assem-blea Generale delle Nazioni Uni-te, nell’ambito della High LevelWe e k , dopo il 22 settembre».

Oggi, la natura che ci circonda non viene più ammirata,ma “d i v o ra t a ”. Bisogna tornare a contemplare; per non

distrarci in mille cose inutili, occorre ritrovare il silenzio;perché il cuore non diventi infermo, serve fermarsi.

# Te m p o D e l C re a t o

(@Pontifex_it)

li” richiamata dal Vange-lo. Ignorante per gli uo-mini, sapiente per Dio.San Paolo lo descrive be-ne: «La conoscenza riem-pie di orgoglio, mentrel'amore edifica. Se qual-cuno crede di conoscerequalcosa, non ha ancoraimparato come bisognaconoscere. Chi inveceama Dio, è da lui cono-sciuto» (1 Cor 8, 2-7.11-13).

Amante dei poveri, ilsanto frate confida solonella potenza del nomedi Gesù. Forte paladinodegli umili contro i po-tenti, amorevole con i sa-cerdoti perché fossero fe-deli al proprio ministero.Nelle “Massime di sanGiuseppe da Copertino”(cfr. G. Parisciani,O.F.M.Conv., San Giuseppeda Copertino alla luce deinuovi documenti, Osimo,1963) riusciamo perfino atrovare parole di una teo-logia così profonda chepotrebbe quasi disorien-tare il lettore verso l’im-magine del “frate asino”,come egli amava definir-si. Scrive infatti: «L’amo-re di Dio è tutto. Tre so-

di NUNZIO GALANTINO

Dopo giorni in cui — comeha affermato Papa France-sco — una tempesta ha

smascherato la nostra vulnerabili-tà e ha messo a nudo le false e su-perflue sicurezze con cui abbiamocostruito le nostre agende, i nostriprogetti, le nostre abitudini epriorità, e ha fatto cadere “il truc-co” degli stereotipi con cui ma-scheriamo i nostri “ego”, avvertia-mo il bisogno di “r i - p re n d e re ” inmano la vita con le sue speranze,i suoi sogni e, anche, con le suefatiche (...).

In questo tempo così “c o m p l i-cato”, il magistero di Papa Fran-cesco ci fa da guida chiedendocidi fermare la nostra riflessionesulle Beatitudini come «cartad’identità del cristiano»; esse, in-fatti, mentre rappresentano la«configurazione della vita» con i

diamo le immagini del Gesù diPasolini — che invita a rialzarsi, arimettersi in cammino. La parolachiave che ritornerà nove voltesulle labbra di Gesù è, infatti,‘a s h re , termine che in ebraico suo-na come un invito ad andareavanti. Promessa che è certa eprecede quanti vivono una deter-minata situazione. Parola che in-dica uno stile da assumere. Parolache cambia l’ottica con la quale siguardano la vita, la realtà, gli altri(...).

Noi traduciamo quest’e s p re s s i o-ne, tante volte presente nei Salmie nella sapienza di Israele, con“b eati” (dal greco makárioi, che ivangeli prendono dalla versionedei LXX). Purtroppo non abbiamoun termine italiano che ne sveliadeguatamente il contenuto.“Beati” non è un aggettivo, è uninvito alla felicità, alla pienezzadi vita, alla consapevolezza di

Giuseppe Cades, «Estasi di Giuseppe da Copertino» (primoschizzo per la pala d’altare della cappella dedicata al santo

nella chiesa romana dei Santi XII Apostoli, 1753 circa)

di ANTONIO TARALLO

La sua popolarità valica l’ambi-to puramente devozionale,tanto da aver ispirato il film

Cronache di un convento (The Reluc-tant Saint, 1962), diretto da EdwardDmytryk. Perfino il miscredenteCarmelo Bene allude alla sua figuranel film Nostra Signora dei Turchi(1968) fino ad arrivare a dedicargliaddirittura un’intera sceneggiaturacinematografica, A boccaperta (1976).«In questa attesa assolata, rotto astrappi dalle decisioni disperate ap-pena accennate, Giuseppe se ne stasdraiato nel sole. “Idiota”, la boccasempre aperta e gli occhi fissi nelcielo vuoto, sotto un altissimo murobianco...». Nel 1967 in C’era una vol-ta... di Francesco Rosi viene rappre-sentato come protettore della prota-gonista Isabella, interpretata da So-phia Loren. A lei, appare alcune vol-te grazie al prodigio dell’“estasi vo-lante”. Stiamo parlando di Giuseppeda Copertino, uno dei santi più co-nosciuti del calendario liturgico.

Ma molto spesso, capita ai santi,per via di una consolidata devozionepopolare, o per una sorta di sempli-cistica classificazione, di rimanerenell’immaginario collettivo come cri-stallizzati in tante “etichette”: Anto-nio di Padova e il bianco giglio,Francesco d’Assisi e le stigmate, Ritada Cascia e l’immancabile rosa. El’elenco potrebbe continuare ad libi-tum. A Giuseppe da Copertino, adesempio, sono state riservate due eti-chette: quella di “santo volante” equella del “santo degli studenti”.

La prima nasce da diverse testi-monianze d’epoca che ci raccontanoil suo prodigioso elevarsi da terra, in

estasi, durante l’adorazione o la cele-brazione della santa messa. Comeavvenne in quel famoso 4 ottobre1630, solennità di san Francescod’Assisi: al rientro in chiesa, dopo laprocessione per la festa del Seraficopadre, il sacerdote francescano Giu-seppe da Copertino si eleva — per laprima volta — verso il cielo. Avvienecosì, inaspettatamente. Da allora lasua vita non fu più la stessa. Leestasi segnarono gli anni che segui-rono, fino alla sua morte nel 1663.

L’arte ha offerto copiosa testimo-nianza di questa così eterea immagi-ne: san Giuseppe da Copertino, involo, in piena estasi. Durante il Sei-cento e il Settecento, la produzionedi questa tipologia di immagine di-laga in tutta Europa. Emblema ditutto rimane, senza dubbio, L’estasidi san Giuseppe da Copertino (1753circa), dipinta dall’artista romanoGiuseppe Cades, e conservata a Ro-ma nella basilica dei Santi XII Ap o-stoli.

Seconda “etichetta”: “il santo de-gli studenti”. Giuseppe Maria Dessa— questo il suo nome originario — aquasi diciassette anni lascia la madreFranceschina (rimasta vedova delmarito Felice) per entrare nel con-vento dei frati francescani conven-tuali (detto della “G ro t t e l l a ”), situa-to a due passi da Copertino. Ma,dopo un periodo di prova, vienemandato via, per il suo acume noncerto portentoso.

Passa, allora, ai francescani rifor-mati. Ma anche questa volta, Giu-seppe viene rifiutato. Avviene unterzo passaggio: tenta con i cappuc-cini di Martina Franca. Resta conloro otto mesi, ma viene poi riman-dato a casa. Grazie all’i n t e re s s a m e n -to dello zio materno, Giovanni Do-nato Caputo, riuscì solo dopo molteinsistenze a farsi accettare di nuovodai frati conventuali della “G ro t t e l -la”, dove divenne oblato, poi terzia-rio e finalmente fratello laico, all’etàdi ventidue anni.

Ma il desiderio di Giuseppe eraquello di diventare sacerdote e cosìintraprese il cammino per il diacona-to, pur sapendo appena leggere escrivere. Ma avviene qualcosa diinimmaginabile al momento dell’esa-me: egli non aveva, certo, un ap-proccio intellettuale con la Sacrascrittura. A mala pena riusciva aspiegare qualche brano, e se ci riu-sciva lo faceva con molta fatica. Ilvescovo esaminatore aprendo a casoil libro domandò il commento dellafrase: «Benedetto il grembo che tiha portato» (Lc 11, 27). Meraviglia:quello di Luca era proprio l’unico

brano che il giovane frate era riusci-to a studiare bene durante l’anno dipreparazione per essere ordinato dia-cono.

Poi, trascorsi i tre anni di forma-zione al sacerdozio, c’era da supera-re l’ultimo e più difficile esame. Al-tro prodigioso episodio: i postulanticonoscevano bene il programma.Mentre Giuseppe ne era ignaro deltutto. Il vescovo ascoltò solo i primi,che superano brillantemente l’esame.Non volle ascoltare più nessuno,convinto che anche gli altri fosseroaltrettanto preparati. E così, ammisetutti, compreso Giuseppe. Era il 4marzo 1628.

Il racconto, fin qui, potrebbe esse-re avvincente, anche simpatico; mal’essenza del santo da Copertino do-ve si trova in tutto ciò? È lecito do-mandarselo, se non necessario. Il ri-schio delle etichette è in agguato,sempre. In tutti questi episodi “daro m a n z o ” manca infatti la lezionepiù importante che egli ha voluto la-sciare: per innalzarsi bisogna svuo-tarsi di sé. Non si “vola” se si è cari-chi di sé stessi.

Il sacerdote francescano fa certa-mente parte della schiera dei “picco-

no le cose proprie di un religioso:amare Dio con tutto il cuore, lodarlocon la bocca, e dare sempre buonoesempio con le opere. (...) La graziadi Dio è come il sole, che splenden-do sugli alberi e le loro foglie, liadorna ma non li contamina, li la-scia nel loro essere, senza minima-mente alterarli. Così la grazia diDio, illuminando l’uomo, lo adornadi virtù, lo fa splendente di carità, lorende bello e vago agli occhi di Dio;non altera la sua natura, ma la per-feziona. Dio vuole, dell’uomo, la vo-lontà, poiché questi non possiede al-tro di proprio, pur avendola ricevutaquale prezioso dono dal suo Creato-re » .

San Giuseppe da Copertino conqueste poche parole riesce a sintetiz-zare gli elementi fondamentali su cuisi basa il cristianesimo, la fede inDio. E lo fa con una teologia sem-plice, “dei piccoli”: una teologia perbambini, potremmo definirla. Infondo, si sa bene che solo loro rie-scono a “v o l a re ” veramente megliodi nessun altro, con la fantasia, conil cuore libero e aperto alla scopertadi ogni giorno.

La messa presieduta giovedì 17 dall’arcivescovo metropolita di Milano al santuario di Caravaggioin occasione della Giornata dei sacerdoti anziani e malati della regione

suoi drammi e i suoi interrogatividisegnano «l’arte di essere qui eora» (J. Mendonça) del cristiano.

Tra le pagine più affascinantied esigenti del Vangelo, le Beati-tudini ci dicono che la vita cristia-na non è contraria o poco inclinealla felicità o diffidente nei suoiconfronti; ci mostrano il voltogioioso del credente che ha trova-to nella sua vita le ragioni profon-de per le quali vale la pena vive-re, lottare e sperare; ci aiutano arialzarci e rimetterci in camminoanche quando la speranza sembraessere diventata “straniera” nellanostra vita.

In un’omelia, nel giorno dellafesta nazionale argentina, PapaFrancesco, ancora arcivescovo diBuenos Aires, invitava a «medi-tarle con calma (...), una sorta di“cadenza sapienziale”, di modoche il loro significato arrivi dirittoal nostro cuore» (...).

Seduto sul monte, come veroMaestro, Gesù si rivolge non soloai discepoli e alla folla che lo se-gue, ma a tutti coloro che cercanola felicità, a tutto l’uomo, ad ogniuomo, annunciando la promessadi una vita “buona” e pienamenteumana e il cammino da percorrereper farne esperienza. Proprio perquesto le Beatitudini ci attraggo-no: Gesù parla a noi, al nostrocuore inquieto, alla nostra seted’amore, al nostro bisogno incan-cellabile di felicità, alla necessitàche è nel profondo di ognuno dinoi di essere riconosciuti nella no-stra identità più vera, amati conun affetto puro, totale, bello eche duri per sempre. Proprio daqui parte l’annuncio di Gesù. Di-cendo “b eati” egli richiama ilmondo delle nostre aspirazionipiù grandi, mentre ciò che ag-giunge di volta in volta ci scon-certa e ci interroga, perché sem-bra indicare proprio l’opposto diciò che avremmo immediatamentevoluto o cercato.

Non un discorso consolatorio oillusorio, quanto un grido — r i c o r-

egli ci rivela e imprime nel nostrocuore — le Beatitudini diventanorivelazione della vita possibile pernoi se troviamo radici nell’u m a n i-tà di Gesù. Allora comprendiamoche anche persecuzione e afflizio-ne, assenza di pace e mancanza digiustizia, sono situazioni che pos-sono aprire alla beatitudine inse-gnando a operare la pace, a osarela misericordia, a vivere nella mi-tezza, a creare bellezza. Sonol’annuncio che Dio si allea con lagioia degli uomini, se ne prendecura. Il Vangelo mi assicura che ilsenso della vita è, nel suo intimo,nel suo nucleo profondo, ricercadi felicità (...).

Le Beatitudini sono anche p ro-g ra m m a per chi si pone alla se-quela di Gesù. Programma inatte-so, controcorrente, che provoca erichiama a un reale cambiamentodi vita, che srotola nove sentieriche lasciano senza fiato: felici ipoveri, gli ostinati a proporre sen-tieri di giustizia, i costruttori dipace, quelli che hanno il cuoredolce e occhi bambini, i non vio-lenti, quelli che sono coraggiosiperché inermi. Sono loro la solaforza invincibile. La felicità pro-spettata dalle Beatitudini non èsolo quella futura, quella dell’aldi là: Gesù non dice che i poveri,i miti, gli afflitti “saranno” b eati;dice che “sono” beati, lo sono giàora (...). Permeati da questa gioiapasquale la povertà diventa ric-chezza; le lacrime possono diven-tare gioia; la purezza del cuorediventa trasparenza di Dio; la mi-tezza conquista più della violen-za; la misericordia penetra e con-vince più che la severità; la paceha la meglio sulla guerra; l’a m o rescavalca l’odio e lo distrugge. Vi-vendo la logica esigente delleBeatitudini, il cristiano tracciacontinuamente sentieri di speran-za: afferma che il mondo non è enon sarà, né oggi né domani, sot-to la legge del più ricco e del piùforte (...).

una gioia che nientee nessuno può rapi-re né spegnere (...).

Accogliere l’i n v i-to di Papa France-sco a meditare leBeatitudini significascoprirle come p ro-messa di felicità, co-me invito alla bel-lezza, a lavorare lapropria vita fino afarne un capolavo-ro. Ma ancor piùche di felicità, l’u o-mo ha bisogno disenso, e le Beatitu-dini, come promes-sa, attestano che sipuò trovare sensoanche nell’a s s u rd odel dolore, che ilmondo può esserevissuto anchenell’invivibile dellapersecuzione, dellaviolenza subita, disituazioni di guerra(...).

Autoritratto piùesatto e affascinantedi Gesù — l’i m m a g i-ne di sé stesso che

«Beati i poveri. Catechesi sulle Beatitudini» è il titolo del volume, pubblicatodalla Libreria editrice vaticana (Città del Vaticano 2020 - pagine 46, euro8) che raccoglie le parole di Papa Francesco alle udienze generali dal 29 giu-gno al 29 aprile di quest’anno. Di seguito diamo ampi stralci della prefazionescritta dal vescovo presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sedeapostolica.