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Giuseppe Verdi
NELLE COLLEZIONI DEL MUSEO E NELLA MEMORIA DELLA CITTÀ
MUSEO DEL PAESAGGIO VERBANIA
Giuseppe Verdi
NELLE COLLEZIONI DEL MUSEO E NELLA MEMORIA DELLA CITTÀ
a cura di
LORELLA GIUDICI MASSIMILIANO CREMONA
MUSEO DEL PAESAGGIO VERBANIA
In copertina: Alessandro Laforêt (1863-1937) Giuseppe Verdi, 1903 - 1905 Particolare Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta del Museo del Paesaggio e degli autori del volume
© Museo del Paesaggio, Verbania
Giuseppe Verdi
NELLE COLLEZIONI DEL MUSEO E NELLA MEMORIA DELLA CITTÀ Verbania, Museo del Paesaggio 14 settembre – 29 settembre 2013 Un ringraziamento particolare a: Comune di Verbania Valeria Mora, Archivio di Stato, Verbania Ignazio Galella, Archivio di Stato, Verbania Maria Masau Dan, Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”, Trieste Gabriella Iorio, Biblioteca Civica “Pietro Ceretti”, Verbania Andrea Cassina, Biblioteca Civica “Pietro Ceretti”, Verbania Marke Zervudachi Maria Cerutti Associazione La Degagna, Vignone Stefano Martinella Mentore Laforêt Laura Polli Maura Milani Susanna Dezani A tutti coloro che, in vario modo, hanno reso possibile la realizzazione della mostra Fotografie Archivio Museo del Paesaggio Gianbattista Bertolazzi, Verbania Servizi tecnici Pierre Gélil & C. s.r.l. BP Web SAS di Paracchini Fabio & C.
Le ragioni di una mostra possono essere diverse e tutte valide se sono animate dalla volontà di studiare e arricchire con dati e riflessioni l’argomento prescelto. Il compito (e la responsabilità) che da sempre il Museo del Paesaggio si è assunto è stato quello di portare un apporto attivo e altamente culturale a difesa dell’arte e della memoria dei luoghi che lo circondano, ma anche quello di far sì che questa sua storia non si chiuda nei confini di una provincia, ma, al contrario, si intrecci saldamente alle vicende del resto d’Italia (a volte del mondo), alle quali ha spesso dato un grande contributo. Anche per questa mostra si è partiti dalla convinzione che, seppure con mezzi limitati e con poche risorse disponibili, si potesse tentare di ricostruire un piccolo tassello della storia e dell’arte di questo territorio, come parte di un discorso più ampio e internazionale. Quindi, di fronte alla sfida di un tema verdiano, non volendo cavalcare semplicemente l’onda delle celebrazioni, ma volendo trovare un taglio più costruttivo e interessante per il Museo e per la città che lo ospita, si è cercato un sentiero nuovo, decisamente più rischioso, ma affascinante perché ancora inesplorato: Giuseppe Verdi nelle collezioni del Museo e nella memoria della città. L’idea nel tempo ha preso sempre più forma, in particolare si è ben delineata quando, durante le ricerche su una delle opere presenti al Museo, in un fondo dell’Archivio di Stato di Verbania ci siamo imbattuti in una busta contenente documenti e tracce di quel fatidico 27 gennaio del 1901, quando Verdi moriva nel suo appartamento al Grand Hotel et De Milan, a pochi passi dalla Scala, nel cuore di quella Milano che lo aveva consacrato all’olimpo della musica. In tutta Italia, geograficamente non del tutto unita ma totalmente solidale davanti alla scomparsa del suo Maestro, la notizia portò cordoglio e le città fecero a gara per tributargli omaggi. Prima su tutti arrivò Trieste dove, nonostante fosse una domenica, il podestà convocò immediatamente il consiglio cittadino per deliberare di dedicare alla memoria del Maestro il Teatro Comunale e per decidere di bandire un concorso per la realizzazione di un monumento. Anche Intra e Pallanza non furono da meno e per più di due mesi si sfidarono a colpi di concerti, rappresentazioni teatrali, sottoscrizioni pubbliche e celebrazioni. Ricostruire quel momento e corredarlo con quelle opere delle collezioni del Museo che con Verdi hanno dei legami è stato un modo per restituire alle due città, oggi unite, l’orgoglio che le aveva mosse, ma anche un pretesto per studiare (e per talune è stata la prima volta) alcune delle più belle sculture che compongono le raccolte del Museo e vederle sotto una nuova luce. Voglio qui ringraziare tutti coloro che, grazie al loro contributo e al loro instancabile lavoro, hanno reso possibile questo studio e questa mostra. A loro si aggiungono i ringraziamenti a tutte le istituzioni, dal Comune di Verbania, al Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Trieste, dall’Archivio di Stato alla Biblioteca Civica “Pietro Ceretti” di Verbania, che hanno messo a disposizione documenti e professionalità.
Lorella Giudici Direttrice
VERDI NELLE COLLEZIONI DEL MUSEO Lorella Giudici L'unica notizia di una presenza certa di Giuseppe Verdi sulle sponde del
Verbano risale al settembre del 1890 e la dobbiamo a "La Vedetta", il
settimanale intrese che, sempre pronto a raccontare i dettagli e le indiscrezioni
della vita della cittadina lacustre, anche in quell’occasione non mancò di
segnalare il passaggio del “Viaggiatore illustre”:
Ieri mattina sul battello a vapore che giunge ad Intra alle 9,45 abbiamo avuto la fortuna di trovarci col principe degli odierni compositori, Giuseppe Verdi, che trovavasi casualmente di passaggio sul nostro bel lago per un viaggio di diporto. L'aspetto dell'illustre maestro è floridissimo, e mentre ce ne compiacciamo di cuore, non possiamo a meno di fare l'augurio che l'insigne compositore sia ancora lungo tempo conservato all'amore ed alla venerazione che universalmente lo circondano. 1
Amore e venerazione che i verbanesi dimostrarono tempestivamente già
all’indomani della sua morte quando, tra i primi, si sfidavano a colpi di concerti
e titolazioni. Anche se fu solo il caso a condurre il “principe dei compositori”
sulle rive piemontesi del lago, di sicuro tra le città lacustri e il ”principe degli
1 "La Vedetta", a. V, n. 39, Intra, 27 settembre 1890.
odierni compositori” doveva esserci qualche solido legame se un cittadino
intrese fu tra i pochi eletti ad avere un posto d’onore al famedio di Milano
durante i funerali.
Archivio di Stato di Verbania, Comune di Intra, busta 347
Eppure, oggi, è un rapporto difficile da ricostruire. Se tralasciamo quella breve
notizia di cronaca, non ci sono tracce di Verdi in città prima di quel fatidico 27
gennaio 1901, quando il compositore moriva dopo una lunga agonia nel suo
appartamento al Grand Hotel et De Milan, a pochi passi dalla Scala, il teatro
che lo aveva consacrato all’olimpo della musica. Di quel momento resta una
manciata di fogli raccolti in una busta e conservati nei fondi dell’Archivio di
Stato di Verbania: una locandina del Teatro Sociale, un telegramma di lutto
cittadino, un dispaccio per la raccolta di fondi per un monumento, manoscritti
con annotazioni di nomi, cifre e idee e lo schizzo di quella che doveva essere la
decorazione del palco dell’oratore.
Qualche traccia più consistente la troviamo nelle collezioni del Museo,
soprattutto se guardiamo nelle raccolte plastiche, dove campeggia il gigantesco
ritratto che Alessandro Laforêt fece come studio per il monumento di Trieste e
dove è presente una famiglia di ritratti, tutti ad opera di Paul Troubetzkoy, di
personaggi che a Verdi sono in vario modo collegabili: dagli interpreti del bel
canto (come Caruso e Fëdor Ivanovič Šaljapin), agli amici poeti (come
D’Annunzio e Pascarella), ai colleghi musicisti (come Puccini).
Su tutti spicca, per grandezza e per soggetto, il ritratto di Verdi fatto da
Laforêt, ma per intensità di spirito e per vivacità di materia i gessi di
Troubetzkoy, pur nella loro ridotta dimensione, non sono da meno.
La selezione delle opere, inoltre, presenta un duplice aspetto che occorre
considerare come parte importante per una corretta lettura della mostra, ma
anche delle collezioni del Museo: da un lato la ritrattistica monumentale e
compatta, ma non priva di naturalezza di Laforêt e dall’altro il realismo di una
materia guizzante e sofisticata, adatto a ritrarre la colta e mondana società
della Belle Epoque, come attestano le figure di Troubetzkoy, che forse, per
quest’aspetto, potremmo anche definire il Boldini della scultura.
IN RICORDO DI VERDI LE CELEBRAZIONI A INTRA E A PALLANZA Massimiliano Cremona
Il 27 gennaio 1901, dopo sei giorni di agonia, Giuseppe Verdi moriva a Milano,
nell’appartamento al Grand Hotel et De Milan dove amava soggiornare durante
l’inverno.
La gravità delle sue condizioni di salute avevano fatto il giro del mondo e
puntualmente vennero riportate in prima pagina anche dal bisettimanale
intrese “La Voce”:
Il grave stato del maestro Verdi Il sommo maestro Verdi trovasi a Milano in cattivissime condizioni di salute. Egli venne colpito da insulto cerebrale. Pur troppo la gravità della malattia e l’avanzata sua età di 87 anni fanno presagire nulla di buono. Da tutto il mondo civile giungono all’Hotel Milan, dove alloggia l’illustre infermo, telegrammi chiedenti notizie o recanti voti di guarigione. Il nostro fervido augurio è: che ci sia conservato un così grande e vero italiano.2
Attraverso la lettura de "La Voce" e dell’altro bisettimanale del luogo, "La
Vedetta", è possibile ricostruire lo scenario intrese e pallanzese (ricordiamo che
Verbania sarà fondata molto più tardi, nel 1939) che, tra il febbraio e il marzo
2 "La Voce", a. XXXVI, n. 8, Intra, 25 gennaio 1901.
di quel 1901, vide prendere forma le celebrazioni cittadine in memoria del
grande maestro appena scomparso.
Senza perdere tempo, all’indomani della notizia della morte di Verdi, a Intra
"alcuni ammiratori si riunirono in comitato"3 e fissarono per domenica 3
febbraio una conferenza commemorativa da tenersi nell'asilo cittadino, che
però, fu presto annullata e rimandata. Da subito, invece, la banda municipale
decise di prendere il lutto per quattro mesi e fissò, per lo stesso 3 febbraio, un
grandioso concerto verdiano da tenersi sotto la tettoia dell’imbarcadero. Per
raccogliere fondi da dedicare alle onoranze, "La Vedetta" aprì una
sottoscrizione popolare con quote da 50 centesimi, che in un solo giorno
raggiunse la sorprendente cifra di 55 lire.
L'iniziativa, avviata con la massima celerità e in grande autonomia, suscitò il
risentimento della rivale "La Voce", che non gradì l'esclusione e non mancò di
sottolineare tra le sue pagine l'esistenza a Intra non solo di uno, ma bensì di
quattro corpi musicali costituiti, i quali avrebbero avuto il desiderio di
partecipare unitamente alla commemorazione in programma.4
Nel frattempo, il Circolo Ricreativo di Pallanza (istituito nel 1896 con lo scopo di
“avere una sede decorosa per familiari convegni, all’intento di procurare ai soci
e lor famiglie geniali ed onesti divertimenti”)5 aveva sospeso, a causa del lutto,
la festa da ballo indetta per domenica 27 gennaio, mentre a Luino, sempre
celere in tema di onoranze e riconoscimenti (ricordiamo che nel 1867, prima in
Italia, eresse un monumento a Giuseppe Garibaldi, peraltro ben vivo e vegeto),
nella seduta del 28 gennaio il consiglio comunale deliberò di intitolare una via a
Verdi, di esporre la bandiera abbrunata per otto giorni, di spedire le
condoglianze alla famiglia e di inviare una rappresentanza ufficiale ai funerali.6
Il 31 gennaio il dott. Alfonso Zenoni, presidente del corpo filarmonico intrese,
stese una circolare nella quale veniva indicato il programma del concerto di
3 "La Vedetta", a. XVI, n. 9, Intra, 29 gennaio 1901. 4 "La Voce", a. XXXVI, n. 9, Intra, 29 gennaio 1901. Il trafiletto esprimeva anche il desiderio di veder organizzata una stagione d’opera verdiana, “scegliendo possibilmente la «Luisa Miller» che fu l’opera con cui venne solennemente inaugurato il nostro solenne teatro, che, non ci saprebbe male, venisse dedicato a Verdi, fulgida gloria musicale italiana”. 5 Cfr. Mario Bertolo, Verbania. Città nuova dalla storia antica, vol. II, Verbania, a cura dell'autore, 1988, p. 162. 6 "La Vedetta", a. XVI, n. 9, Intra, 29 gennaio 1901.
musica verdiana previsto per domenica 3 febbraio sotto la tettoia
dell'imbarcadero: n. 1 - Sinfonia nell'opera Nabucco; n. 2 - Finale dell'atto III
de La Traviata; n. 3 - Sinfonia nell'opera Giovanna d'Arco; n. 4 - Preludio,
quartetto, tempesta e finale nell'opera Rigoletto. Oltre a ciò, Zenoni non
mancava di sottolineare l'indipendenza dell'iniziativa dal comitato sorto a
Intra.7
Intanto "La Voce", nel numero del 1° febbraio, si augurava che la progettata
esecuzione di un busto verdiano, da collocarsi a Intra, venisse affidata a Luigi
Secchi (Cremona 1853 - Miazzina 1921), scultore che nella Manchester del
Lago Maggiore aveva già realizzato il monumento al filosofo Pietro Ceretti
(1895), l’artista che a Milano aveva effettuato la maschera mortuaria di Verdi e
che a Busseto ne avrebbe in seguito eseguito il monumento in bronzo.
I giornali intresi, sempre molto coloriti e ironici, talora uscivano con singolari
pezzi di costume, come il seguente:
Verdi e i monelli. Davanti alla vetrina dell'orologiaio De Biagi - dove sono esposte le ultime fotografie del M.° Verdi, il grande che tutta Italia piange, - due monelli osservavano curiosi, stamattina. Un d'essi all'altro che stava ammirato, disse: vedi, questo qui con tutti i suoi milioni è morto anche lui: e qui altre parole irriverenti. Un astante non seppe trattenersi dal soggiunger loro: quello li, era un poveraccio come voi: e dal nulla seppe elevarsi così alto: ma alla vostra età lavorava e sgobbava, non vagabondava ozioso per la piazza, sboccato e irriverente, avvelenato nell'intimo dalle male massime di certi agitatori, che osano chiamarsi amici del popolo!8
Ma come andò il concerto verdiano del 3 febbraio?
Concerto Verdiano. L'iniziativa del nostro Corpo Musicale Cittadino di riunire intorno a sé i concittadini, per ricordare, commemorare, nelle sue armonie, Verdi: è riuscita evidentemente accetta agli Intresi. Un pubblico numeroso, quello caratteristico delle grandi occasioni, convenne domenica p. p, a gustare il concerto Verdiano, ad applaudire vivissimamente gli esecutori. Tutti i «pezzi» promessi vennero eseguiti coscienziosamente, con affiatamento e colorito ben encomiabile.
7 "La Voce", a. XXXVI, n. 10, Intra, 1 febbraio 1901. 8 "La Vedetta", a. XVI, n. 10, Intra, 2 febbraio 1901.
Specialmente buona fu l'esecuzione del finale del Rigoletto. - Con insistenti applausi il pubblico ne chiese ed ottenne il bis. Se, come scrivemmo, tutti gli esecutori si fecero onore; è però prezzo dell'opera il segnalare specialmente il sig. Gianella G. vice maestro, il sig. Garoni, e finalmente il sig. Ruffatti, i quali col clarinetto, trombone e cornetta rispettivamente, seppero: in a soli, duetti, terzetti, rendere assai bene le concezioni Verdiane. Al corpo Musicale Cittadino pertanto, e specialmente al suo maestro ed alla solerte direzione, le nostre congratulazioni, per il buon esito della «Commemorazione Verdiana».9
Con molta frequenza, nella lettura degli articoli, si assiste a schermaglie
giornalistiche fra le diverse testate locali, con attacchi diretti ai cronisti rivali,
fino ad arrivare ad epiteti poco rispettosi.
"La Voce", ad esempio, non mancò di bacchettare il giornale pallanzese "Il
Toce", che, avendo dato erroneamente la notizia di una commemorazione
verdiana presso l'asilo infantile di Intra, dovette comprensibilmente generare
qualche malumore: "anzi le buone suore ebbero un bel da fare a persuadere
tutta quella gente che quanto a commemorazioni... colà non c'era niente di
niente."10
Lo stesso giornale, nel numero successivo (8 febbraio), informò che il sindaco
di Pallanza, l'avvocato Cesare Peretti, aveva indetto un'adunanza a cui
parteciparono i presidenti delle diverse associazioni cittadine "per discutere
intorno al modo di degnamente commemorare Giuseppe Verdi". Naufragata
l'idea di intitolare una via al compositore (in particolare fu il sacerdote
benefattore Pietro Guglielmazzi a rischiare di venir sostituito nella
odonomastica pallanzese...), fu istituito un comitato e si discusse della
concessione del teatro locale per la cerimonia, la cui data fu fissata per il 24
febbraio.11
Nel frattempo a Intra, mercoledì 6 febbraio, il prof. Riccardo Brambilla,
maestro di musica e canto nell'orfanotrofio evangelico G. E. Pestalozzi, con
parole e canti verdiani rivolti agli alunni dell'istituto rese onore al maestro con
una "semplice, mesta, ma pur solenne cerimonia".12
9 "La Voce", a. XXXVI, n. 11, Intra, 5 febbraio 1901. 10 Ibidem. 11 "La Voce", a. XXXVI, n. 12, Intra, 8 febbraio 1901. "La Vedetta", a. XVI, n. 13, Intra, 12 febbraio 1901. 12 "La Vedetta", a. XVI, n. 12, Intra, 9 febbraio 1901.
Mentre le dispute giornalistiche tra "La Voce" e "La Vedetta" tenevano desta
l'attenzione dei lettori, Intra e Pallanza, la cui campanilistica rivalità era ben
più antica e radicata, proseguivano in totale indipendenza la preparazione delle
rispettive commemorazioni verdiane.
Dopo l'istituzione del comitato pallanzese, il 22 febbraio il sindaco di Intra
Paolo Nava inviò a varie personalità locali l'invito all'adunanza fissata per la
sera di martedì 26 febbraio presso la sala comunale, il cui scopo era la
costituzione di un comitato intrese per le celebrazioni verdiane.
La battaglia sul tempo fu però vinta da Pallanza, il cui teatro ospitò la
celebrazione già domenica 24 febbraio:
...Il teatro presentava un aspetto imponente, gremita la platea; nei palchi, nelle poltrone al completo tutte le notabilità; molte signore, alcune in nero, vari ufficiali, qualche forestiero. Il loggione era stipato di popolo. Da Intra fu largo il concorso. Notiamo però qualche lacuna inconcepibile del mondo così detto elegante, di quel mondo che non manca mai ai ritrovi, ai Veglioni... ...Sul palcoscenico, a manca di chi guarda, spicca su di uno sfondo di palme, egregiamente disposte, un busto bianco di Verdi, su apposito piedestallo, baciato da un fascio di luce. Più in là sono disposti i vessilli delle Società e corpi che aderirono alla commemorazione: Scuole elementari, tecniche, società filarmonica, società Leoncavallo, Artigiana, Esercito, Operaia, Orticola ed altre, in tutto ben 12. Presero pure posto sul palcoscenico i componenti il Comitato, gli alunni della scuola tecnica. Nell'angolo sinistro un magnifico pianoforte da concerto dell'egregio sig. cav. Agostino Viani... ...Sono le 14:30. L'orchestra attacca la sinfonia dell'opera Nabucco... ...Colla fedeltà di cronisti e non colla competenza di critici, ci è grato constatare che l'orchestra della Società Euterpe d'Intra, diretta dal maestro Riccardo Brambilla, ha superato sè stessa... ...Grande era l'aspettativa d'udire la signorina Elvira Brambilla sorella al Maestro venuta espressamente da Milano. Essa, allieva della celebre sua ava, è notissima in arte. Reduci dai trionfi del San Carlo (...) fu già cinque o sei volte in America, calcò le scene della Scala, del Pagliano di Firenze, del Reale di Madrid (...) La fama della signorina Brambilla non fu smentita e la massa intiera dello scelto pubblico premiò con un fragoroso applauso l'impareggiabile esecuzione... ...Eseguita alla perfezione la fantasia del Maestro Cerimele sull'opera Rigoletto per pianoforte a quattro mani, per merito della signorina Luigia Rovelli del suo
Maestro R. Brambilla. La gentile signorina Rovelli, figlia all'esimio cav. Carlo Rovelli, vinto l'irresistibile panico, suonando per la prima volta in pubblico, si dimostrò pianista valente, ricca d'espressione, di tecnica e riportò un successo che rimarrà fra le sue memorie più dolci e più care...13
Archivio di Stato di Verbania, Comune di Intra, busta 347
13 "La Vedetta", a. XVI, n. 17, Intra, 26 febbraio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 17, Intra, 26 febbraio 1901.
Il programma, oltre alle esecuzioni dalle opere Nabucco, Traviata, Rigoletto e
Giovanna d'Arco, previde anche il discorso del sindaco, che fu elogiato quale
ottimo oratore. La serata fruttò un incasso di lire 327,20.14
Due giorni dopo, a Intra, nella sala municipale si costituì un nuovo comitato a
cui aderirono 13 persone: Paolo Nava (sindaco e industriale del cappello),
l'avvocato Lorenzo De Lorenzi (industriale del cotone, futuro presidente della
Banca Popolare di Intra, futuro sindaco di Intra), il dott. Alfonso Zenoni,
Antonio Nicolini, il chimico Giuseppe Aluvisetti (per "La Voce"), Ernesto
Maderna (industriale del nastro), il maestro Stefano Boletti, Enrico Biglieni (che
fu nominato segretario del comitato), Guido Gabardi (direttore de "La
Vedetta"), Riccardo Boccardi (avvocato, musicista, poeta, artista), il maestro
Riccardo Brambilla, l'industriale Dino Pariani, Maurizio Müller. L'ingegnere e
matematico Giuseppe Franzosini, già sindaco di Intra e presidente della
Congregazione di Carità, inviò una lettera scusandosi di non poter
partecipare.15
Il sindaco Nava prese il ruolo di presidente del comitato, che fissò la data della
commemorazione per il 17 marzo, da tenersi al teatro sociale.
Contestualmente, si deliberò un'istanza al sindaco perché sottoponesse al
consiglio comunale la proposta di intitolare "Piazza Verdi" la piazza del Teatro.
Il 27 febbraio Fedele Borella, in rappresentanza del Comune di Intra, ebbe un
posto d’onore ai solenni funerali di Verdi che si tennero al famedio di Milano,
mentre altri cittadini intresi erano presenti nella folla radunatasi per
l’occasione.16
A Pallanza, invece, la sera del 3 marzo, si tenne una commemorazione presso
il Circolo Ricreativo, riservata ovviamente ai soli soci. Il programma prevedeva
una sinfonia dall'opera Oberto conte di S. Bonifacio per orchestra, un duetto
dall'opera Attila, un quartetto del Rigoletto, l'atto finale de Il Trovatore e un
non precisato brano verdiano cantato dalla signorina Claudina Fiaccone. Il
concerto fu intervallato da un osannato discorso del dottor Francesco Sale, 14 I prezzi applicati furono i seguenti: platea e palchi 70 centesimi; loggione 30 centesimi; poltrone 2 lire; sedie 1.50 lire. 15 Archivio di Stato di Verbania, Comune di Intra, busta 347. 16 A tal proposito, si segnala che nella prima pagina de "La Voce" del 1° marzo (datata per errore di stampa al 1° febbraio) viene riportato un ricco ed interessante resoconto, firmato "i.", della cerimonia milanese.
professore di lettere al Ginnasio pallanzese.17 Il salone del Circolo era stato
debitamente addobbato: fra le palme disposte dal florovivaista Hillebrand
spiccava un grande ritratto del Maestro eseguito dal giovane pittore Mafazzoli,
che "ci apparve pieno di colorito, sebbene la somiglianza lasci un po' a
desiderare".18
Nel frattempo, a Intra, procedevano i preparativi per la tanto attesa
celebrazione del 17 marzo al teatro sociale.
Archivio di Stato di Verbania, Comune di Intra, busta 347
17 Il discorso del professor Sale fu integralmente pubblicato in "La Voce", a. XXXVI, n. 20, Intra, 8 marzo 1901. 18 "La Vedetta", a. XVI, n. 19, Intra, 5 marzo 1901. Del pittore Mafazzoli, altrove indicato con il cognome Maffezzoli, non sono state finora trovate notizie.
Archivio di Stato di Verbania, Comune di Intra, busta 347
Fu fissato inizialmente il seguente programma musicale, che andò però
incontro ad alcune modifiche successive:
1. Sinfonia nell'opera Oberto Conte di S. Bonifacio - orchestra.
2. Romanza nell'opera Luisa Miller - per tenore.
3. Duetto nell'opera Luisa Miller - per soprano e baritono.
4. Romanza di Eboli nell'opera Don Carlos - per soprano sig.na Coglia.
5. Romanza Pace o mio Dio nell'opera Forza del Destino.
6. Preludio Atto 3° Traviata - per orchestra.
7. Bolero nell'opera I Vespri Siciliani - soprano sig.na Brambilla.
8. Quartetto nell'opera Rigoletto.
9. Coro Va pensiero... nell'opera Nabucco, a cento voci.
Sotto la direzione musicale del maestro Riccardo Brambilla, furono previsti 35
professori d'orchestra e 100 coristi.
Furono fissati i prezzi d'ingresso con quote più alte di quelle del teatro di
Pallanza: platea e palchi lire 1,20; loggione centesimi 40; posti numerati lire 2;
poltrone lire 3.
"Ad ogni persona che compererà il biglietto per la platea, palchi, ecc. sarà
regalato un bellissimo biglietto-ricordo, recante il ritratto parlante di Verdi",19
recitava il giornale, mentre: "Sul palcoscenico addobbato riccamente, figurerà
un ritratto recentissimo del Grande Maestro, frutto della sottoscrizione
popolare della Vedetta. Il ritratto, non avendo la somma raccolta consentito
l'acquisto d'un busto decoroso, a norma della circolare, verrà offerto al Teatro.
E con ciò crediamo d'incontrare l'approvazione di tutti i sottoscrittori."
Leggiamo come andò la tanto attesa commemorazione verdiana:
Pubblico numerosissimo ... è la parola. La platea ed il loggione erano infatti gremitissimi, i palchi pure. Su più di un labbro sorprendemmo l'esclamazione di gradevole sorpresa, per l'accorrere numerosissimo di concittadini di tutte le classi. Perfino ... numerosissimi furono i venuti dalla vicina sorella Pallanza, e d'oltre lago... ...Si alza il telone, notammo sull'immancabile carnet, ed il palcoscenico si presenta esso pure gremito. Tutti i membri delle Società di Canto Corale Intrese e Leoncavallo di Pallanza; i minuscoli, ma valorosi cantori scelti fra i convittori del Collegio Salesiano S. Luigi, dell'Orfanotrofio Franzi, dell'istituto Pestalozza e molti dilettanti, vi hanno preso posto... ...Campeggia sullo sfondo un grande quadro rappresentante Verdi. Noi non vogliamo posare a competenti, ma se ne dobbiamo giudicare del gratissimo effetto prodottoci dalla vista di quel quadro, in cui con naturalezza la figura di Verdi venne rievocata, da mano sapiente, non esitiamo a scrivere: il pittore Dini,20 ha fatto opera pregievolissima. Pregievolissima anche in quanto riflette quella tecnica divisionista che ci sembra seguita dall'egregio pittore, che fece grande il povero Segantini...21
19 "La Voce", a. XXXVI, n. 21, Intra, 12 marzo 1901. 20 Edoardo Pasquale Perolo, detto Dini, pittore di Novi Ligure, visse a Intra per 24 anni e morì a Verona nel 1922. Solitamente restio a vendere le proprie opere, nel 1913 acconsentì ad aprire il suo studio, posto in cima d'Intra nella località "Madonna di Re", per un'esposizione-vendita di suoi ritratti di intresi. Nel 1924 fu allestita una mostra postuma nel ridotto del Teatro Sociale di Intra. 21 "La Voce", a. XXXVI, n. 23, Intra, 19 marzo 1901.
Terminata la sinfonia introduttiva, si presentarono sul palcoscenico per un
duetto il baritono P. Rebonato e la soprano E. Brambilla, cui seguì un a solo
(l'aria di Azucena del Trovatore) della signora (dilettante) T. Coglia. Chiuse la
serata una breve commemorazione pronunciata dall'avvocato Boccardi.
Quindi La Traviata, Vespri Siciliani, Rigoletto, Nabucco.
E di tutto questo, di chi il merito più diretto? Del prof. Brambilla. L'elogio incondizionato, meritato, al Direttore d'Orchestra lo abbiamo riservato per ultimo perché fosse specialissimamente notato.22
L'incasso, di 874 lire, fu giudicato "ingentissimo".
Pertanto, con la grandiosa celebrazione del 17 marzo al Teatro Sociale di Intra,
terminarono le onoranze a Giuseppe Verdi avviate il 3 febbraio con il concerto
sotto la tettoia dell'imbarcadero intrese e proseguite all'orfanotrofio evangelico
G. E. Pestalozzi (6 febbraio) e poi, a Pallanza, nel teatro (24 febbraio) e al
Circolo Ricreativo (3 marzo).
22 Ibidem.
CATALOGO DELLE OEPRE
Lorella Giudici
Massimiliano Cremona
1. Alessandro Laforêt (1863-1937) Giuseppe Verdi, 1903 - 1905 gesso, cm 70 x 63 x 63 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. OA 438
Il 27 gennaio del 1901 Verdi muore nel suo appartamento al Grand Hotel et De
Milan, a pochi passi dalla Scala, nel cuore di quella Milano che lo aveva
consacrato all’olimpo della musica. Per sei giorni le vie attorno all’albergo
erano rimaste cosparse di paglia affinché gli zoccoli dei cavalli non
disturbassero gli ultimi momenti del Maestro. Nonostante fosse una domenica,
il podestà di Trieste, Scipione Sandrinelli, convocò immediatamente il consiglio
della città per deliberare di dedicare alla memoria del Maestro il Teatro
Comunale e per decidere di bandire un concorso per la realizzazione di un
monumento da posizionare “al limitare dell’arco centrale del porticato del
teatro”.23 Fu subito avviata una raccolta pubblica di fondi che raggiunse la
ragguardevole cifra di quasi trentamila corone, di queste ventimila furono
destinate solo alla scultura.
A. Laforêt, Monumento a Giuseppe Verdi, 1906, prima versione in marmo
23 “L’Illustrazione Italiana”, XXXIII, n. 5, Milano, 4 febbraio 1906, p. 110.
Tra i 76 studi presentati, la giuria (composta da Eugenio Gairinger, Giuseppe
Caprin, Antonio Lonza, Enrico Nordio, Eugenio Scomparini, lo scultore
veneziano Antonio Dal Zotto e da Leonardo Bistolfi, subentrato al posto di
Bazzaro) ne scelse tre e di questi furono richiesti i bozzetti definitivi grandi un
quinto del vero. Le opere prescelte erano state presentate da due scultori
milanesi: Alessandro Laforêt (1863–1937), autore di due bozzetti plastici
intitolati entrambi Semplicitas, e Emilio Quadrelli, con un disegno intitolato
Gloria a Giuseppe Verdi. Alla seconda selezione risultò vincitore (con il solo
voto contrario del Bistolfi) uno dei bozzetti di Laforêt, scultore uscito dalla
scuola del Borghi e da poco legittimato a Parigi con una medaglia di bronzo
all'Exposition Internationale Universelle del 1900 per il marmo Canto della
camicia, ispirato all’omonimo poema di Thomas Hood e, come quello,
improntato sulle dure condizioni del lavoro femminile.24 Il giudizio della giuria
parlava di “palpito di passione e di forza non comune”.25
Il monumento, che inizialmente doveva trovare posto all’ingresso del teatro, a
causa delle sue ingombranti dimensioni, che in altezza superavano i cinque
metri, fu poi valutato di collocarlo in Piazza Verdi, proprio davanti al teatro, ma
il timore che le sue generose forme potessero celare troppo la facciata del
palazzo spinse la stessa commissione del concorso ad individuare in Piazza San
Giovanni una valida e definitiva alternativa. Il contratto venne firmato l’11
luglio 1903 e con esso lo scultore s’impegnava a fornire l’opera compiuta e
collocata entro venti mesi. Meno di un anno dopo, il modello in gesso a
grandezza dal vero era pronto da tradurre in marmo, compito che venne
affidato di lì a poco al marmista milanese Giovanni Pagani26.
La cerimonia di inaugurazione ebbe luogo il 27 gennaio del 1906, in occasione
del quinto anniversario della morte del compositore, alla presenza di una folla
immensa, di tutte le alte cariche cittadine e dello stesso Laforêt. Per tutti fu
24 Per ulteriori approfondimenti sul concorso per il Monumento a Verdi cfr. S. Benco, Il Monumento a Giuseppe Verdi in Trieste, Trieste 1906, pp. 3-29. Si ringrazia la dott.ssa Maria Masau Dan, direttrice del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” di Trieste per la generosa collaborazione, le preziose informazioni e i documenti inviati. Una copia in bronzo del modellino presentato al concorso risulta essere stata esposta alla V Esposizione Artistica Regionale, Museo del Paesaggio, Pallanza agosto-ottobre 1920; e citata nel catalogo della stessa a p. 7, n. 192, Tipografia Vercellese, Pallanza 1920. 25 Ivi, p. 15. 26 Ibidem.
chiaro che quel ritratto avrebbe rappresentato l’apice della sua carriera. “Il
maestro è seduto in atteggiamento calmo e sereno. La testa è
somigliantissima”27 raccontava un cronista del tempo.
Inaugurazione del Monumento a Giuseppe Verdi, Trieste 27 gennaio 1906
Ma la storia del monumento sarebbe stata ancora lunga e travagliata, come
ricorda ancora oggi l’iscrizione posta alla base: “Eretto nel marmo/ dalla fede
dei cittadini/ il XXVII gennaio MCMVI/ distrutto da odio nemico/ il XXIII maggio
MCMXV/ volle il comune/ che qui risorgesse nel bronzo/ il XXIV maggio
MCMXXVI”. Infatti, non trascorsero neppure dieci anni dal suo svelamento che,
nel maggio 1915, un gruppo di manifestanti filo austriaci per rappresaglia
contro la decisione dell’Italia di entrare in guerra, ne prese a martellate la testa
e la scultura, irrimediabilmente danneggiata, venne pertanto rimossa. Per il
suo riposizionamento si dovrà attendere il 1926 quando, al posto dell’originale
in marmo di Carrara, viene collocata una copia in bronzo, realizzata con la
fusione di cannoni austriaci e inaugurata il 24 maggio del 1926.
La testa, conservata nelle raccolte del Museo del Paesaggio e realizzata in
gesso tra il 1903 e il 1905, è uno dei bozzetti (di grandezza identica a quella
definitiva) che sono serviti a Laforêt per lo studio del volto del compositore:
“Ammirevole è l’arte onde lo scultore Alessandro Laforêt tradusse dalla natura,
27 “L’Illustrazione Italiana”, XXXIII, n. 5, Milano, 4 febbraio 1906, p. 110.
Lo studio di Bureglio con i modelli di alcune sue opere. Fotografia databile 1920. Collezione privata.
senza alcuno sforzo di posa o alterazione di tranquillità psichica,
l’atteggiamento umano del nobile vegliardo. Nelle sembianze del quale, rese
con imperturbabile rassomiglianza, il genio apparisce quale fu: intelligenza
acuta, vita austera e simpatia con gli umani; non declamazione, o estasi
astratta, o disdegno altezzoso degli esseri e degli eventi. Sciolta e flessuosa è
la composizione di tutte le membra; recisi e nitidi nell’asserenante
intellettualità del volo sono i tratti del carattere”.28 Lievi sono i cambiamenti dal
bozzetto all’opera definitiva: il primo è un poco più greve nello sguardo e
nell’espressione, il bavero del cappotto ha una linea più geometrica e la testa è
leggermente meno inclinata. Per il resto, anche il gesso è pervaso da quel
realismo attento e fresco che lo scultore aveva appreso nelle aule di Brera e
28 S. Benco, Il monumento…, op. cit., p. 19.
avrebbe perfezionato poi guardando gli esiti di Bistolfi, dell’amico Medardo
Rosso (compagno di accademia29) e del Vela.
Laforêt era solito villeggiare per lunghi periodi a Bureglio di Vignone, un piccolo
paese sulle montagne a ridosso di Intra, qui si era insediato “in una elegante
costruzione dalle solide forme, dominata da una piccola torretta, con elementi
decorativi e dipinti murali sulla facciata, mentre in un locale a piano terreno
allestisce lo studio, in seguito diventato una vera e propria gipsoteca in cui
erano raccolti svariati bozzetti, piccole sculture in gesso e modelli utilizzati per
la traduzione in marmo”.30 È in quello studio di montagna che Laforêt modella
la testa di Verdi, lo dimostra una fotografia, scattata intorno al 1920, che ritrae
un angolo della gipsoteca dello scultore e nella parte destra, vicino a una
candida madonna orante, campeggia il grande bozzetto in plastilina.
La testa è registrata negli inventari del Museo con la data del 30 gennaio 1981
e probabilmente faceva parte di un piccolo nucleo di opere in deposito presso il
Comune di Verbania e arrivato al Museo alla fine degli anni settanta.
Lorella Giudici
29 Dai registri dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Medardo Rosso risulta iscritto alla Scuola di Nudo dal maggio del 1882 al marzo del 1883, quando viene espulso per aver organizzato una protesta contro gli orari dei corsi e per la mancanza di modelli in carne e ossa, in particolare donne e bambini, su cui studiare l’anatomia. Cfr. M. Rosso, Scritti sulla scultura, a cura di L. Giudici, Abscondita, Milano 2003. 30 Cfr. M.A, Previtera, Alessandro Laforêt. Uno scultore tra verismo e simbolismo, in M.A. Previtera, S. Rebora, 1863-1937 Alessandro Laforêt. Uno scultore tra verismo e simbolismo, catalogo mostra, Vignone (Vb) 2009, p. 29. Si rimanda a questo testo per un approfondimento sulla vita e sull’opera dell’artista.
2. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Gabriele D'Annunzio, 1892 circa gesso patinato verde-rame, cm 49,5 x 31 x 22,5 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 250
3. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Gabriele D'Annunzio, databile intorno al 1910-1911 gesso non patinato, cm 43 x 31 x 31 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 1
Paul Troubetzkoy e Gabriele D'Annunzio si conobbero a Napoli nel 1892. Lo
scrittore, braccato dai creditori, aveva trovato ospitalità presso il pittore
Francesco Paolo Michetti, mentre lo scultore era arrivato nella città partenopea
per partecipare al concorso per il monumento a Garibaldi, dove aveva
ripresentato, con alcune varianti, il bozzetto già proposto a Milano nel 1888 e
oggi conservato al Museo del Paesaggio.31
Sentiamone il racconto dalle parole del fratello Luigi:
“per il monumento di Garibaldi a Napoli, ebbe notizie che l'esecuzione sarebbe
stata affidata a lui. Paolo decise allora di andare a Napoli, per vedere di
presenza come andavano le cose. Disgraziatamente la somma raccolta per
l'opera erasi dileguata quasi interamente e non rimanevano fondi sufficienti per
realizzarla. Egli si rivolse a Francesco Crispi che era Presidente del Comitato
del monumento, Crispi lo accolse molto benevolmente ma gli confermò che
non c'erano mezzi finanziari, anzi aggiunse che si era dimesso dalla presidenza
del Comitato non volendo assumersi delle responsabilità. In quell'occasione
Paolo, modellò il busto di Francesco Crispi il cui modello trovasi ora al Museo
del Paesaggio di Pallanza.
Durante la sua permanenza a Napoli fece pure la conoscenza di Gabriele
D'Annunzio che scrisse un articolo di grande ammirazione per lui sul «Mattino
di Napoli». Modellò anche il busto di D'Annunzio il cui modello trovasi ora, al
Museo del Paesaggio di Pallanza. L'amicizia per D'Annunzio, si protrasse fino
alla morte del poeta.
Mio fratello dovette lasciare Napoli un po’ deluso accontentandosi di un
modesto premio in danaro che gli aveva assegnato il Comitato del monumento.
Ritornato a Milano si occupò del concorso al monumento di Garibaldi. Siccome i
suoi oppositori dicevano che egli era bensì capace di fare piccole statue, ma
non avrebbe potuto modellare monumenti, egli modellò la statua di Garibaldi
grandezza al naturale a cavallo e la espose a Brera.
Mio fratello che aveva molto ardore di rinnovazione nella scultura aveva pure
molti oppositori, i quali malgrado la corrente favorevole a lui, affidarono l'ese -
31 Il bozzetto porta il numero d’inventario T 327 ed è entrato nelle collezioni del Museo il 3 giugno 1937 quale dono dell'autore.
cuzione del monumento allo scultore Ettore Ximenes.”32
Gabriele D’Annunzio
In effetti, il bozzetto troubetzkoyano fu pubblicamente elogiato da D'Annunzio,
che, come racconta Luigi, ne "Il Mattino" lo giudicò il migliore fra quelli
presentati. Venuto a conoscenza dell'articolo, lo scultore volle incontrare il
sommo Vate e in quell’occasione - tra l'estate e l'autunno del 1892 - ne eseguì
il busto, caratterizzato da una grande naturalezza espressiva.
A quest'opera si riferiscono con ogni probabilità le seguenti parole, pubblicate
da un anonimo giornalista su "L'Illustrazione Italiana": "il vigoroso busto
modellato da Paolo Troubetzkoy in Napoli, all'aria aperta, sopra una terrazza di
Mergellina, tra l'anno dell'Innocente e l'anno del Trionfo della morte".33
Una sua fusione in bronzo (con delle leggere modifiche nei dettagli del viso, più
realistico e curato) è conservata presso il Vittoriale degli Italiani a Gardone
Riviera.
32 L. Troubetzkoy, in R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], pp. 17-18. 33 Un ritratto di Gabriele D'Annunzio e la pittrice Romaine Brooks, in "L'Illustrazione Italiana", a. XL, n. 16, Milano, 20 aprile 1913, p. 386.
Il secondo ritratto,34 a figura intera e di piccolo formato, raffigura D'Annunzio
seduto in atto di ascoltare o pensare e fu eseguito a Parigi. Il Vate giunse nella
capitale francese nel 1910, ancora una volta per sfuggire ai numerosi creditori,
mentre Paolo Troubetzkoy vi si era stabilito da qualche anno, dopo che nel
1905 aveva lasciato la Russia a causa della guerra e dei primi moti
rivoluzionari. I due si incontrarono in occasione della prima rappresentazione a
Parigi del dramma Le Martyre de Saint Sébastien, scritto da D'Annunzio e
musicato da Claude Debussy.
A questo proposito, nel Fondo Troubetzkoy del Museo del Paesaggio, si
conserva fotocopia di una cartolina che Troubetzkoy, da Bonn, inviò a
D'Annunzio presso il parigino Théatre du Chatelet, di cui si riporta il testo:
"Carissimo D'Annunzio. Siamo ora a Bonn dove mi hanno domandato per fare
una scultura di Beethoven. Non sono capace d'esprimermi per lettera quanto
sono intusiasta [sic] del tuo Saint Sebastien. Sarò di ritorno domenica a Parigi,
dove spero poterti vedere presto ed esprimermi a voce. Spero che non avrai
dimenticato la tua promessa per la collazione [sic]. M'immagino quanto sei
domandato dapertutto. Tuo amico Paul Troubetzkoy".
Fondo Troubetzkoy, Museo del Paesaggio Verbania
34 Troubetzkoy ritrasse D'Annunzio anche in altre occasioni. Cfr, ad esempio, L. Troubetzkoy, in R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], p. 32 ("incontrò nuovamente D'Annunzio e gli fece un altro ritratto"). Difficile dire quali, tra questi ritratti, furono esposti al Casinò Municipale di Pallanza nel 1933 e alla Galleria Casari di Bergamo nel 1935. Si segnala che tra il 1946 e il 1948 è documentato il deposito, presso il Museo del Paesaggio, di un bronzo raffigurante D'Annunzio, di proprietà Luigi Troubetzkoy (deposito n. 77 dell'8 gennaio 1946 e deposito n. 79 del 5 novembre 1948). Archivio Museo del Paesaggio, faldone "Esposizioni, Opere in deposito, e pratiche inerenti".
Il ritratto è databile tra il 1910 e l'anno successivo, in quanto nel 1911 fu
esposto negli Stati Uniti, a Buffalo. Troubetzkoy, ancora una volta, coglie nella
sua scultura l'umanità dell'effigiato al di là del mito di cui è ammantato: non,
quindi, una celebrazione superomistica di D'Annunzio, ma la semplice
rappresentazione di un uomo colto e raffinato, elegantemente seduto, con un
braccio adagiato sulle gambe incrociate e l'altro, poggiato sul bracciolo, a
sostenere il volto assorto.
Il gesso è visibile, anche se parzialmente nascosto, in una delle fotografie che
ritraggono lo studio parigino di Troubetzkoy, sulla seconda mensola a destra
vicino all’angolo della stanza.
Lo studio parigino di Paul Troubetzkoy con il dettaglio del ritratto di D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio
Così come aveva fatto Pascoli, anche D’Annunzio, alla notizia della morte di
Verdi dedicò al Maestro un’ode: In morte di Giuseppe Verdi, il cui manoscritto
originale è conservato al Museo Verdiano Casa Barezzi di Busseto e fu poi
ripubblicata nel 1903 in "Elettra” (Per la morte di Giuseppe Verdi):
[…] Dinanzi alla veggente tutte aperte rimasero le porte del Mistero, e la sorte umana fu sospesa su l’alte soglie ove la Forza trema. Sul rombo, nell’attesa, allor sonò la melodìa suprema. […] Ci nutrimmo di lui come dell’aria libera ed infinita, cui dà la terra tutti i suoi sapori. La bellezza e la forza di sua vita, che parve solitaria, furon come su noi cieli canori. Egli trasse i suoi cori dall’imo gorgo dell’ansante folla. Diede una voce alle speranze e ai lutti. Pianse ed amò per tutti. Fu come l’aura, fu come la polla. Ma, nato dalla zolla, dalle madre dei buoi forti e dell’ampie querci e del frumento, nel bronzo degli eroi foggiò sé stesso il creatore spento. […]
La frequentazione fra Troubetzkoy e D'Annunzio proseguì anche sul lago
Maggiore, dove il poeta si recava soprattutto in virtù della presenza, tra i
numerosi facoltosi villeggianti che ne animavano le sponde, dei noti editori
Treves: Emilio, infatti, possedeva una villa a Belgirate che chiamò Maria in
onore della figlia, mentre il fratello Giuseppe soggiornava a Pallanza, a Villa
Cordelia, lo pseudonimo usato della moglie in ambito letterario.
In particolare, D'Annunzio era l'ospite prediletto di Giuseppe Treves a Pallanza.
Addirittura il padrone di casa, per compiacerlo, fece sopraelevare un'ala
dell'edificio al fine di ricavarne una stanza che fece decorare, in verde e oro, da
Giulio Aristide Sartorio; le persiane recavano incisi alcuni versi di D'Annunzio
stesso.35
Ci sono tracce di questa loro frequentazione sul lago nel Fondo Troubetzkoy del
Museo del Paesaggio, dove si conserva la fotocopia di una lettera scritta da
Troubetzkoy a D'Annunzio su carta intestata "Villa Ada / Ghiffa / Lago
Maggiore":
"Settembre 27
1914-1
Carissimo Gabriele
Rispondo subito alla tua lettera. Mia moglie l'aveva messa via e non poteva
ritrovarla, oggi l'ho riavuta e così posso rispondere. Siamo da un mese e
mezzo qua al lago, sono contentissimo del mio posto, staremo ancora fino alla
fine d'ottobre. Chissà che potremo avere la fortuna d'averti qua per un po’ di
giorni.
Il levriere non l'ho ancora ritoccato in cera; appena arriverò a Parigi lo farò
subito fondere.
Saremo a Parigi in novembre, saremo felicissimi di assistere al tuo nuovo
dramma, mi farai sapere la data esatta.
Cerca di venire qua, si sta benissimo. Mia moglie ti saluta e speriamo molto
vederti qua. Il mio indirizzo è Suna per Cabianca.
Se m'avverti per telegramma l'ora del tuo arrivo verremo coll'automobile
prenderti alla stazione ferroviaria di Fondotoce Pallanza, oppure a Stresa.
Ciao intanto
tuo affezionato
Paul Troubetzkoy".
35 Sui soggiorni di D'Annunzio a Pallanza cfr. M. Cremona, Artisti in Castagnola. Tra ville e villeggiatura, in S. Rebora, a cura di, Arnaldo Ferraguti 1862-1925. Tra pittura e letteratura alla fine di un secolo, catalogo della mostra, Milano, Silvana Editoriale, 2006.
Inoltre, il Vate, dopo un vano tentativo di farsi affittare l'intera isola Madre
dalla famiglia Borromeo, cercò di acquistare la cosiddetta torraccia del Monte
Rosso, posta lungo il sentiero che da Suna sale a Cavandone.
A questo riguardo si conoscono diverse versioni dei fatti; una, in particolare, è
molto interessante in quanto coinvolge proprio Troubetzkoy e le motivazioni
della sua scelta di costruire la ca' bianca - sua abitazione sul lago a partire dal
1912 - tra Suna e Fondotoce:
“La villa non sorgeva nel sito più felice del bacino borromeo, poco lontano dai
luoghi dove la Toce, entrando nel lago, in parte s’impaluda fra le stoppie e gli
acquitrini. Dal Troubetzkoy stesso ho appreso perché aveva scelto proprio quel
sito. Un tempo era venuto a Pallanza il D’Annunzio, alla villa ospitale in
Castagnola; reduce da una gita a Cavandone, egli veniva magnificando una
diruta torre longobarda di segnalazione, solitaria e pittoresca sul pendio con la
distesa aperta delle Borromee al basso.
Il Viani, ch’era presente, possedeva appunto quella torre e disse al D’Annunzio
che, se si fosse impegnato a ricordare in qualche suo romanzo l’antica famiglia
pallanzese dei Viani, gliel’avrebbe donata. Il D’Annunzio facilmente annuì e
naturalmente poi dei Viani di Pallanza nei suoi romanzi non si ricordò più; ma il
Viani scrisse una precisa lettera di offerta.
Poco tempo dopo il D’Annunzio si recò dal Troubetzkoy e lo scultore modellò il
ritratto del poeta, elegante, sottile e armonioso, seduto e intento a fumare. Ne
trasse due bronzi e il poeta pregò il Troubetzkoy che gliene cedesse uno.
Questi, chi sa perché, s’impuntò a volere cinquemila lire che il poeta pare non
avesse. Il D’Annunzio gli fece una proposta: invece delle cinquemila lire gli
avrebbe dato la torre a lui ceduta dal Viani, e mostrò la lettera. Si recarono a
vedere la torre, che piacque al Troubetzkoy il quale l’accettò e diede il bronzo.
Poi, più tardi, «possedendo già la torre», comperò il terreno sottostante,
sebbene ve ne fossero dei migliori, e fece costruire il padiglione di lavoro e la
villa, vicino alla sua torre più in alto. Ma toccò poi al Troubetzkoy una sgradita
sorpresa: recatosi a visitare un ricco cultore d’arte straniero a Pallanza, si sentì
fare la consueta domanda:
- Paolo, perché ti sei costruito la villa proprio lì?
A cui rispose nel modo consueto:
- Avevo già la «torre». Me l’ha data D’Annunzio.
- La torre? La torre è del mio maggiordomo. L’ha comperata all’asta Viani...
Il Viani, più gran signore e artista che banchiere, era fallito e tutto il suo era
andato all’incanto, compresa la torre di Cavandone che appunto era stata dal
maggiordomo acquistata per 500 lire!”.36
La Torraccia del Monte Rosso, inizio XX sec.
Massimiliano Cremona
36 L. Rossari, Artisti sul Verbano nei primi anni del secolo (a cura di A. Cavalli dell’Ara), in “Verbanus” n. 7, 1986, pp. 131-132.
4. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Enrico Caruso nella "Fanciulla del West", 1912 gesso patinato rosa chiaro, cm 57 x 29 x 35 Sulla base: "Paul Troubetzkoy 1912". Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 131
Nato a Napoli nel 1873 (dove morirà il 2 agosto 1921) da un operaio
metalmeccanico e da una donna delle pulizie, Enrico era il loro diciottesimo
figlio, l’unico ad essere sopravvissuto. La sua formazione musicale fu modesta,
con lezioni dilettantesche e le prime esibizioni legate alla frequentazione
dell'oratorio parrocchiale di don Giuseppe Bronzetti.
Per un esordio in un teatro regolare dovette aspettare il novembre del 1894, al
Nuovo di Napoli, quando gli venne assegnata una parte ne L'amico Francesco
del compositore Morelli. Per il cantante, appena ventunenne, l’esperienza non
fu gratificante.
A partire dall’anno successivo, però, il suo successo fu sempre più crescente,
negli anni si sarebbe cimentato con la musica dei più grandi autori (Mascagni,
Puccini, Leoncavallo, Ponchielli, Bizet, Gounod, Donizetti), ma fu con le opere
di Verdi che Caruso seppe riscuotere grandi successi in tutto il mondo, a
partire da quell’inverno del 1899 quando il cartellone della sua seconda
tournée in Russia prevedeva in larga parte opere verdiane, tra cui Un ballo in
maschera e Aida, per la quale felice fu la sua interpretazione di Radames.37
Inoltre, Caruso partecipò, e fu grandemente apprezzato, al concerto
celebrativo della morte di Verdi che si tenne alla Scala il 1° febbraio del 1901
sotto la direzione di Arturo Toscanini e che ebbe come oratore il librettista
Giuseppe Giacosa.38 Nel 1913, poi, in occasione del centenario della nascita di
Giuseppe Verdi, il tenore fu al centro di trattative fra Ricordi, Toscanini e Boito
per la rappresentazione di Nerone alla Scala, ma non se ne fece più nulla, così
come il suo progetto di interpretare Otello per l'omonima opera di Giuseppe
Verdi sarà interrotto dalla scomparsa del cantante.
E fu proprio con due delle più belle opere verdiane, il Rigoletto e l’Aida, che al
Costanzi di Roma Caruso tenne la sua ultima stagione italiana tra il 1902 e il
1903.
37 Nel Mefistofele di Arrigo Boito (1901) cantò anche con Fedor Šaljapin; ma il confronto con il russo portò altre riserve sulla presenza scenica di Caruso, per il quale, però, Saljapin nutriva grande ammirazione. 38 Anche di Giacosa Troubetzkoy eseguì, nel 1893 c., un ritratto a figura intera conservato presso il Museo del Paesaggio di Verbania (inv. T 238).
Non si sa quando e dove Troubetzkoy e Caruso si siano conosciuti, ma di certo
la frequentazione si protrasse nel tempo e ne resta traccia anche nel Fondo
Troubetzkoy del Museo del Paesaggio, dove è conservata la fotocopia di una
lettera, datata 20 luglio 1912 e vergata su carta intestata "Villa di Bellosguardo
/ Signa (Firenze)", che Caruso scrisse a Paul per richiedergli la copia di un
bronzo da regalare a Puccini.39
Enrico Caruso, foto di scena ne La fanciulla del west, 1910
39 Se ne riporta di seguito il testo: "20 luglio 1912 Egregio Sig Troubetzkoy Ho promesso al Mo Puccini una copia del vostro Johnson e terrei farcela avere al più presto possibile. Volete voi farmi il piacere di inviarcene una copia in bronzo a Torre del Lago? Dico ciò perché so che presso di voi, se non l'avete regalata, esiste l'altra copia che Bertelli fuse. Se non potete, piacciavi dare ordini a Bertelli a New York per fonderne una e mandare a me il conto come rimanemmo d'accordo. Ringraziandovi sentitamente e con i miei rispettosi ossequii per la signora e saluti per voi mi dico Enrico Caruso". La fotocopia è presente nel Fondo Troubetzkoy da molti anni, ma non riporta nessun dato che faccia capire dove potrebbe trovarsi l’originale e le ricerche svolte dal Museo per scoprirlo non hanno ancora dato alcun frutto. E’ sembrato comunque interessante riportarne il testo e fornire qualche notizia in più su questo importante rapporto umano e lavorativo.
Quando Troubetzkoy arrivò in America, Caruso aveva appena concluso o stava
per concludere la sua tournée al Metropolitan di New York, dove aveva vestito i
panni di Ramerrez ne La Fanciulla del West. È forse lì che lo scultore maturò
l’idea di modellare il gesso come omaggio a Puccini, del quale era amico fin
dagli anni milanesi, ma anche come segno di ammirazione verso Caruso.
L’opera lirica, musicata da Puccini su libretto di Guelfo Civinini e Carlo
Zangarini, fu ripresa dal dramma The Girl of the Golden West di David Belasco
e venne eseguita sotto la direzione di Toscanini. Il racconto affronta il tema
tipicamente americano della febbre dell'oro e ambienta le vicende nella lontana
e inospitale Sierra californiana, infestata di banditi e di serpenti. Caruso
interpretò il protagonista, Dick Johnson, il giovane straniero che, arrivato alla
"Polka", si innamora di Minnie, la locandiera che la gestiva. In realtà, quel
giovane altri non era che Ramerrez, terribile bandito, venuto a studiare di
persona la possibilità di rapinare la cassa del saloon, dove i minatori erano
soliti depositare i loro risparmi.
Troubetzkoy scelse di raffigurare il momento in cui Ramerrez era stato legato e
catturato per essere giustiziato. Attorno alle braccia ha infatti due lunghi
bastoni che gli serrano gli arti. La posa del corpo conserva tutta l’enfasi della
recitazione e l’impeto del momento cruciale. L'opera riflette lo stile maturo
dello scultore, caratterizzato dall'uso di larghe spatolate che vanno a costruire
rapidamente volumetrie e superfici.
Il gesso è entrato nelle collezioni del Museo del Paesaggio nel 1938 come
deposito di Luigi Troubetzkoy, che poi lo donerà formalmente all’ente
nell’ottobre dell'anno successivo.40
Una versione in bronzo dell’opera è conservata nel Museo Puccini di Torre del
Lago.
Massimiliano Cremona
40 Deposito n. 63 del 4 marzo 1938. Archivio Museo del Paesaggio, faldone "Esposizioni, Opere in deposito, e pratiche inerenti".
5. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Cesare Pascarella, 1895 gesso non patinato, cm 27 x 10,5 x 11,5 firmato e datato sulla base: “Paolo Troubetzkoy 1895” Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 156
Apprezzato poeta dialettale, Cesare Pascarella (Roma 1858-1940) avviò però la
propria attività artistica sotto il segno della pittura e del disegno: frequentò, se
pur irregolarmente, l'Istituto di Belle Arti di Roma e fece parte del "Gruppo dei
XXV Pittori della Campagna Romana", gruppo formatosi nel 1904 con l’idea di
rinnovare la pittura raccontando il paesaggio della campagna laziale
prendendolo dal vero, sulla scia delle fortunate esperienze toscane e francesi di
fine ottocento. Del gruppo fecero parte artisti come Giulio Aristide Sartorio,
Duilio Cambellotti e Alessandro Battaglia. Fedele a quei propositi veristi,
Pascarella ebbe una particolare predilezione per la raffigurazione di animali,
soprattutto asini.
Pubblicò i suoi primi sonetti in romanesco nelle pagine di "Capitan Fracassa",
"Cronaca Bizantina" e "Fanfulla della Domenica". Nel 1886 diede alle stampe
Villa Gloria, poema in 25 sonetti dedicato all'impresa dei fratelli Cairoli, per il
quale ricevette gli inaspettati elogi di Giosuè Carducci. Grande successo spettò
anche a La scoperta de l'America (1893), un componimento nato dagli appunti
dei numerosi viaggi che fece oltreoceano e dalla curiosità delle stranezze degli
uomini di quelle terre. Quindi, si dedicò alla composizione di un grande carme
sulla storia d'Italia che, però, rimase incompiuto e fu in ogni caso pubblicato
postumo.
Cesare Pascarella, disegno pubblicato sulla copertina de “La Tribuna Illustrata”, V, n. 6, Roma, giugno 1894
La sua poesia, a causa delle inflessioni dialettali, necessitava del complemento
della recitazione e, per tale motivo, egli stesso teneva letture pubbliche dei
suoi sonetti, come fece, ad esempio, tra il 1894 e il 1895 in un tour tutto
italiano.
Vista la datazione apposta sul gesso di Troubetzkoy, i due dovettero incontrarsi
proprio in occasione di tali peregrinazioni.
Amico della famiglia Cairoli (la quale possedeva una villa anche a Belgirate), il
poeta fu spesso loro ospite a Groppello. In una di queste occasioni, Pascarella
lasciò il borgo lomellino per recarsi a Milano, dove i compositori Marco Sala,
Francesco Paolo Tosti e l'editore Giulio Ricordi lo condussero all'albergo de
Milan perché recitasse Villa Glori a Giuseppe Verdi.41
Divenuto amico del compositore di Busseto, trascorse il capodanno 1901 nella
sua villa a Sant'Agata. A Verdi dedicò il sonetto La musica nostra:
Ma tu parla co' Nina la mammana, Che de sta roba se n'intenne a fonno, Be', che dice? Che l'opera italiana È la più mejo musica der monno. E tu che soni appena la campana, Me venghi a di' che er frocio sia profonno? Pe' me tu poi cantà' 'na settimana Tanto nun me rimovo, e te risponno, Che senza che ce fai tanto rumore, Er pius urtra più su, caro Marvezzi, La musica più mejo è er «Trovatore».
Antro che sti motivi verd'e mézzi! Quela pira... Divampa er mio furore... Sconto cór sangue mio... Quelli so' pezzi!
Il gesso di Paolo Troubetzkoy è entrato nelle collezioni del Museo del Paesaggio
con donazione dell'artista il 3 giugno 1937. Come già evidenziato da Sergio
Rebora nel catalogo della mostra al Museo del Paesaggio nel 1990,42 il naturale
41 Per un approfondimento su Cesare Pascarella cfr. E. Bizzarri, Vita di Cesare Pascarella, Cappelli, Bologna 1941. 42 S. Rebora, in G. Piantoni, P. Venturoli, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, Il Quadrante, Torino 1990, p. 103.
movimento dell'uomo è catturato dallo scultore, il quale ne raffigura i
"macchiettistici" accessori dell'abbigliamento con cui era noto negli ambienti
culturali, approdando a un risultato lievemente caricaturale.
Un altro gesso di Troubetzkoy ritraente Pascarella era di proprietà del pittore
Luigi Conconi, mentre una fusione d'epoca apparteneva a Giuditta Brivio,
moglie di Giulio Ricordi.
Massimiliano Cremona
6. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Francesco Pandolfini, 1889 circa gesso non patinato, cm 40 x 43 x 32 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 170
Francesco Pandolfini (Termini Imerese 1836 - Milano 1916) fu un celebre
baritono italiano della seconda metà dell'Ottocento. La sua carriera durò dal
1859 - anno del debutto a Pisa nell'opera Gemma di Vergy di Gaetano
Donizetti - al 1890.
È ricordato soprattutto come interprete verdiano: nel 1871 cantò le arie di Don
Carlo di Vargas alla Scala in La forza del destino, mentre l'8 febbraio dell'anno
seguente, ancora nel teatro milanese, interpretò il re etiope Amonasro nella
prima italiana di Aida. Ebbe due figli d'arte: il tenore Franco e il soprano
Angelica; il primo esordì al Teatro Carcano di Milano in La Traviata.
Francesco Pandolfini fu assiduo frequentatore degli ambienti scapigliati, in
particolare del noto salotto culturale rappresentato dall'abitazione milanese (un
appartamento di Palazzo Borromeo d'Adda, in via Manzoni) del facoltoso
musicista Benedetto Junck e della moglie Teresa Garbagnati. A tale vicinanza
vanno ricollegate le sue interpretazioni nelle prime di Caligola (1873, opera di
Gaetano Braga) e de I Lituani (1874, opera di Amilcare Ponchielli).
Francesco Pandolfini, Teatro Verdi, Trieste, 4 ottobre 1873
Furono probabilmente tali frequentazioni scapigliate a offrire l'occasione di un
ritratto eseguito dal giovane Paolo Troubetzkoy, opera che nel dicembre 1889
risultava esposta in una delle sale occupate dall'Esposizione della milanese
Famiglia Artistica: “In fondo alle sale richiama l’attenzione il busto
somigliantissimo del baritono Pandolfini, opera di Paolo Troubetzkoy”.43
All'epoca del ritratto, il baritono era ormai ultracinquantenne.
La modellazione del gesso, la cui ricercata indeterminatezza e motilità investe
anche il volto dell'effigiato, lo avvicina ad altre opere coeve dell'artista, quali i
ritratti dei coniugi Junck e di Alfredo Catalani, motivo per cui già Rebora ha
proposto la datazione del gesso al 1889 circa.44
Il busto mostra una materia mossa e vibrante, più attenta alle suggestioni
della luce e all’emozione di un viso ispirato e sognante che ai tratti somatici,
comunque riconoscibili. L’impasto, generoso e di rapida stesura, s’increspa in
flutti improvvisi e disordinati, per seguire l’istinto di un’improvvisazione nata
sul soggetto, secondo i dettami inaugurati da Rosso e ben interpretati dalla
pittura scapigliata.
Non si conoscono né i dettagli né le modalità che hanno portato l'opera nelle
raccolte del Museo, i vecchi inventari non riportano dati oggettivi, solo numero
di inventario, soggetto e autore.
Presso il Museo Teatrale alla Scala se ne conserva una fusione in bronzo,
donata dal figlio Carlo Francesco.
Massimiliano Cremona
43 Alla Famiglia Artistica. L’esposizione, “Il Pungolo”, Milano, 15-16 dicembre 1889, p.2. 44 Cfr. S. Rebora, in in G. Piantoni, P. Venturoli, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, Il Quadrante, Torino 1990, p. 85.
7. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Nudo maschile (Fëdor Šaljapin), databile intorno al 1907-1909 gesso patinato giallo ocra chiaro, cm 65 x 30 x 33 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 208
Interprete verdiano, dotato di voce potente, ottima presenza scenica e grandi
capacità recitative, Fëdor Ivanovič Šaljapin è ritenuto il più celebre basso della
prima metà dell'Ottocento e una delle sue interpretazioni più acclamate fu
Filippo II nel Don Carlos di Giuseppe Verdi.
Originario di Kazan, una città a nord-est della Repubblica del Tatarsan, dove
era nato nel 1873, Šaljapin (il cui cognome viene traslitterato dal cirillico anche
come Chaliapin o Shalyapin) è entrato a pieno diritto nella storia della musica e
del teatro russo e internazionale.
Provenendo da una famiglia di modeste condizioni, Šaljapin, che non aveva
inizialmente potuto avvalersi di una regolare formazione vocale e musicale,
debuttò a soli 15 anni e all'inizio degli anni '90 si esibì in diverse città russe
quale corista di una compagnia teatrale.
Fëdor Ivanovič Šaljapin, 1908
Nel 1892 giunse nella città georgiana di Tbilisi, dove prese lezioni dal cantante
lirico Ussatov, tenore del Bol'šoj. Là prese avvio la sua carriera operistica e nel
teatro lirico della città, il 28 settembre 1893, esordì nella parte di Ramfis
nell'Aida verdiana.
Il successo arrivò nel 1896 a Mosca, quando si esibì nel teatro lirico privato di
Màmontov, dove cantò per 3 anni. Venne poi chiamato al Bol'šoj, dove si esibì
regolarmente dal 1899 al 1914.
Nel 1901 cantò per la prima volta al di fuori della Russia: l'occasione fu offerta
dal memorabile allestimento del Mefistofele di Arrigo Boito alla Scala di Milano.
Šaljapin interpretò Mefistofele, Enrico Caruso vestì i panni di Faust, mentre la
direzione era affidata ad Arturo Toscanini (che a fine carriera dichiarò che il
russo era il più grande talento operistico con cui avesse lavorato): tutti e tre
sono personaggi raffigurati da Paul Troubetzkoy e i relativi ritratti in gesso
sono conservati presso il Museo del Paesaggio.
Šaljapin acquisì definitivamente una fama internazionale negli anni 1904-1914
grazie alle tournèe a Roma, Berlino, Parigi, Londra, New York e molte altre,
anche se la prima esibizione al Metropolitan, nel 1907, non riscosse critiche
molto favorevoli, ma quando vi ritornò molti anni più tardi (1921) il successo
fu tale che vi restò per altre otto stagioni.
Monumento a Fëdor Ivanovič Šaljapin, State Academy of Arts, Ufa, 2007
Nel 1918 fu direttore artistico del Teatro Mariinskij a Pietroburgo e dal 1922
visse all'estero, prima in Finlandia e poi in Francia. Ritiratosi dalle scene nel
1937, morì a Parigi l'anno seguente lasciando un volume di memorie, Uomo e
maschera: quarant'anni della vita di un cantante, uscito nel 1932. Non solo,
egli contribuì a rendere note in Occidente opere di compositori russi quali Boris
Godunov di Modest Musorgskij, Il Principe Igor di Aleksandr Porfir'evič Borodin,
La fidanzata dello Zar di Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov.
Troubetzkoy dovette incontrare Šaljapin verso il 1898-99, quando lo scultore
lasciò Milano per la Russia e il cantante si esibiva al teatro lirico privato di
Màmontov. A tal proposito il pittore russo Il'ja Efimovič Repin scrisse: "A quel
tempo S[avva] I[vanovič] strinse amicizia con uno scultore, il principe
Trubeckoj, che senza cerimonie fu presto di casa da Savva Ivanovič. E non
appena ascoltò il canto di questo fenomenale giovane, cominciò subito a
scolpirne il busto".45 Secondo la testimonianza del fratello Luigi, Troubetzkoy
dovette incontrare il cantante anche quando fu ospite di Tolstoj: "Conobbe
Leone Tolstoi e fu più volte ospite a Jasnaia Poliana dove fece varie statue e
macchiette del grande scrittore. Vi conobbe pure Gorcki e Schialiapine e molti
altri scrittori ed artisti."46 In tali occasioni lo scultore eseguì due busti, uno in
gesso patinato, l'altro in bronzo: entrambi entrarono in possesso di E. P.
Tarchanova-Antokol'skaja, nipote del noto scultore M. Antokol'skij, la quale nel
1906 donò il bronzo a Repin.
Il gesso a figura intera al Museo del Paesaggio, invece, dovrebbe risalire agli
anni parigini, la città in cui Troubetzkoy risiedeva dalla fine del 1905, mentre
Šaljapin vi giunse nel 1907, debuttando negli Isoriceskie Koncerty e
acquisendovi fama nel 1908 interpretando Boris Godunov nell'opera omonima
di Musorgskij.
L'opera fu mostrata durante la tournée troubetzkoyana negli Stati Uniti dei
primi anni Dieci e a Chicago fu esposto anche il busto in bronzo.
45 Lettera non datata, custodita presso l'Archivio Centrale per la Letteratura a Mosca. Cfr. G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, 1990, p. 184. 46 L. Troubetzkoy, in R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], p. 21.
Non sono numerosi i nudi maschili noti dell'artista con cui fare dei raffronti. Ve
ne sono due nella gipsoteca del Museo del Paesaggio: L'atleta (Inv. T 183,
databile intorno al 1896), che tradizionalmente si ritiene possa raffigurare il
fratello Pierre, ha una posa più naturale, di riposo o di attesa; più vicino,
soprattutto per l'impostazione a gamba avanzata e anche nelle misure, è il
Nudo maschile in piedi (Inv. T 258, databile intorno al 1910-1912). Il cantante
è ritratto come se fosse sulla scena, nell’atteggiamento fiero e impostato della
lirica, ma il fatto che sia nudo gli fa assumere un’ascendenza classica.
Massimiliano Cremona
8. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Giovanni Boldini, 1912-1913 gesso patinato giallo ocra chiaro, cm 47 x 37,5 x 28,5 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 301
Appassionato melomane, Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931) mostrò
un’incondizionata ammirazione per Verdi da quando nel lontano 1880 aveva
assistito alla prima dell’Aida al Teatro Italiano di Parigi. Stima e venerazione
che accrebbero quando con Emanuele Muzio (allievo e collaboratore di Verdi, al
quale nel 1883 Boldini aveva dedicato un bellissimo ritratto, oggi nella Casa di
Riposo per Musicisti, Fondazione Giuseppe Verdi di Milano) fu ospite di Verdi a
Genova e, ancora, quando nel 1886 coronò il suo sogno immortalando il
Maestro di Busseto in due ritratti: uno ad olio (conservato oggi accanto a
quello di Muzio nella Casa di Riposo per Musicisti), con la figura di tre quarti e
un segno realista e preciso, molto duro e rigoroso, che aveva impressionato
Verdi ma aveva lasciato insoddisfatto Boldini; uno a pastello (nelle collezioni
della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma), con un primo piano morbido
e sfumato, gli occhi pieni di luce, il volto velatamente malinconico e soffuso di
liricità, che resta una delle effigi più conosciute del compositore emiliano. Così
scriveva Boldini all’amico Cristiano Banti l’8 luglio 1886 a commento dell’opera
esposta alla quinta Esposizione Internazionale di Pittura e di Scultura presso la
Galleria Georges Petit di Parigi: “Ho esposto un ritratto di Verdi, pastello, una
testa con cappello e un foulard bianco al collo, ha avuto molto successo, me ne
hanno offerto fino a 10.000 franchi! Figurati, lo feci in tre ore. Ma io non voglio
venderlo perché mi piace più di quello che feci per lui a l’olio”.47
Giovanni Boldini Ritratto di Verdi, 1886 Pastello su carta, 65 x 54 cm Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
47 P. Dini - F. Dini, Giovanni Boldini 1842 – 1931. Catalogo ragionato, II vol., Allemandi, Torino 2002, p. 92.
Troubetzkoy, che con Boldini condivideva la passione per la musica di Verdi
(nel 1887 assistette alla Scala alla prima dell'Otello e ne ricevette in dono lo
spartito), ritrae l’artista ferrarese nei primi anni dieci del novecento e il pittore,
ormai settantenne, mostra i segni del tempo. Gli occhi hanno uno sguardo
riflessivo, perso in pensieri lontani e sfuggenti. Il volto è inconfondibile, anche
se un po’ appesantito dagli anni, quel volto che spesso è stato oggetto di
sarcasmo da parte di critici e giornali: “un’enorme testa grigia, una gran fronte
sporgente che pesava sul viso disadorno indefinibile, ma con degli occhietti
pallidi e acuti fino all’esagerazione”, scriveva l’autore di teatro Dario
Nicodemi48.
In un autoritratto, contemporaneo al busto, Boldini mostra un profilo molto
simile, seppure speculare al gesso, dove colpiscono la fermezza e la severa
austerità dello sguardo, incorniciato da una forte arcuatura del sopracciglio
destro. Nella scultura la linea dei baffi, che Boldini, come molti dei suoi
contemporanei, aveva sempre portato, sembra più simile a quella di una
fotografia datata 1910. Inoltre, la patinatura giallo ocra chiaro con cui
Troubetzkoy ha voluto finire l’opera, conferisce al volto una nota armoniosa e
sofisticata, che ben si addice ai pensieri che sembrano attraversarlo.
Giovanni Boldini, 1910
Forse Troubetzkoy aveva conosciuto Boldini a Parigi, quando nel 1905 vi si era
trasferito, in rue Weber 23, e dove aveva subito allestito uno studio; oppure si
erano incontrati in qualche elegante e aristocratico salotto italiano, ambienti
verso i quali Boldini era particolarmente attratto. La mancanza di dati oggettivi
48 D. Nicodemi, Incontro con Boldini, “Dedalo”, IV, Milano 1928, pp. 166-169.
consente solo delle ipotesi, ma quel che è certo è che il ritratto che
Troubetzkoy ci ha lasciato è particolarmente intenso e intimamente
introspettivo, segno di una conoscenza diretta e di una buona frequentazione.
In un’intervista rilasciata a Filippo De Pisis nel 1925, Boldini testimoniava la
sua ammirazione per Troubetzkoy “ha molto talento; egli infatti rappresenta
ciò che Boldini è in pittura, con i suoi pregi e le sue debolezze”49.
I vecchi inventari del Museo non riportano né la data d’ingresso dell’opera né la
sua provenienza.
Lorella Giudici
49 G. Boldini, in F. De Pisis, Una visita a Giovanni Boldini, “Corriere Padano”, Ferrara, 4 ottobre 1925, ora in D. Cecchi, Giovanni Boldini, Torino 1962, pp. 266-274.
9. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Giacomo Puccini gesso patinato, cm 48 x 21 x 22 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 202
10. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Giacomo Puccini gesso, cm 71 x 63 x 50 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 271
Il celebre compositore Giacomo Puccini (Lucca 1858 - Bruxelles 1924), oltre a
dimostrare un’apertura artistica di livello internazionale, mantenne un legame
con la tradizione italiana, in particolar modo con il teatro di Verdi.
Anzi, secondo la tradizione, egli decise di dedicarsi al teatro musicale proprio
quando, diciottenne indisciplinato, assistette a Pisa ad una delle più celebri
rappresentazioni verdiane: l’Aida.
Dopo la formazione al Conservatorio di Milano, dove divise una camera con
l'amico Pietro Mascagni e dove godette degli insegnamenti, tra gli altri, di
Amilcare Ponchielli e Antonio Bazzini, nel 1884 compose la sua prima opera,
Le Villi, rappresentata con grande successo al Teatro del Verme di Milano.
La grande notorietà giunse però con Manon Lescaut, che costituì anche l'inizio
di una proficua collaborazione con i librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, i
quali scrissero i libretti anche delle successive tre opere: La bohème, Tosca e
Madame Butterfly. Tra i tre vi era una efficace divisione dei ruoli, anche se
l'ultima parola spettava comunque sempre al compositore, che per questo
all'interno del gruppo fu soprannominato "Doge".
Puccini nel 1908
Nei primi anni del Novecento una serie di avvenimenti nefasti influirono sullo
spirito e sull’uomo: appassionato automobilista (a lui si deve la costruzione di
quello che è considerato il primo fuoristrada italiano), nel 1903 ebbe un grave
incidente; nel 1906 morì Giuseppe Giacosa; nel 1909 la domestica Doria
Manfredi, perseguitata dalla gelosia di Elvira, si suicidò per avvelenamento; nel
1912 morì anche Giulio Ricordi, amico e produttore.
Puccini al volante della De Dion Bouton 5 CV nel 1902
Nel 1910 Puccini concepì La fanciulla del West, testimoniata nella gipsoteca del
Museo del Paesaggio dal ritratto del tenore Enrico Caruso nei panni di Dick
Johnson.50 I diversi tentativi di collaborare con Gabriele d'Annunzio (ritratto a
sua volta più volte da Troubetzkoy) si rivelarono invece infruttuosi.
I due gessi al Museo del Paesaggio, però, ritraggono un Puccini più maturo e si
possono probabilmente collocare all’inizio degli anni '10 del Novecento, come
sembra si possa desumere da alcune partecipazioni a mostre. In particolare a
Roma, nel 1913, alla Mostra della Secessione Troubetzkoy presentò un Puccini
che in un articolo (Falbo, La Mostra della "Secessione", in "Il Messaggero", 24
marzo 1913) viene così descritto: "ecco Giacomo Puccini molto abbottonato nel
suo paletot dal bavero costantemente rialzato". La descrizione si accorda al
ritratto a figura intera (inv. T 202) in collezione al Museo del Paesaggio.
Pochi mesi dopo, alla mostra della Famiglia Artistica al Palazzo della
Permanente di Milano (10 ottobre - 10 dicembre 1913), lo scultore presentò
nuovamente un Puccini, indicato come "gesso 1912" e che forse corrisponde
ancora al ritratto a figura intera.51
50 Il 20 luglio 1912 Enrico Caruso scrisse una lettera a Paul Troubetzkoy riguardante un bronzo “del vostro Johnson” da inviare a Giacomo Puccini. Cfr. la scheda di Caruso in questo catalogo. 51 Un Puccini risulta poi essere stato esposto il 21 maggio 1933 nella Mostra d’Arte tenutasi al Casinò municipale di Pallanza.
Di quest'opera sono note fusioni in bronzo conservate a: Milano, Museo
Teatrale alla Scala; California, Kirov's Museum of Art, Kirov and San Diego
Opera Guild.52
Il bronzo al Museo Teatrale alla Scala. Dalla rivista “Emporium” n. 432 del 1930.
A proposito del bronzo milanese, ricorda Luigi Troubetzkoy:
"Venne in seguito chiamato a Milano per la statua di Puccini da collocarsi nel
ridotto del Teatro della Scala. È stato Toscanini a insistere perchè fosse affidata
a mio fratello l'esecuzione di quel lavoro. Mi fece chiamare dandomi
appuntamento alla sera nel suo camerino del Teatro. Vi entrai mentre il
maestro stava dirigendo la rappresentazione di un'opera del maestro Giordano
e attesi.
Poco dopo appariva il maestro, tutto sudato, si asciugava il viso col fazzoletto,
sembrava spossato. Era visibile lo sforzo di tensione e l'energia spesa nella
direzione dell'opera. Mi disse subito che era assolutamente necessario di
52 Cfr. Oliver Wootton, Prince Paul Troubetzkoy. The Belle Epoque Captured in Bronze, catalogo della mostra, Sladmore, Londra, 2008, p. 72.
telegrafare a mio fratello a Parigi, perché venisse a Milano, intendersi con lui
per l'esecuzione della statua di Puccini che voleva affidare a lui e non ad altri.
L'opera aveva avuto un grande successo, poco dopo entrava nel camerino il
maestro Giordano che si congratulava con entusiasmo per il modo col quale la
sua musica era stata interpretata.
Paolo, avvisato da me, arrivò qualche giorno dopo a Milano, si accordò subito
con Toscanini e valendosi di una statuetta che aveva fatto pochi anni prima al
Puccini, dal vero, modellò la statua che ora trovasi nel ridotto della Scala."53
Una versione a grandezza naturale di questo ritratto si trova a Torre del Lago,
nel parco della Villa Museo Puccini.
Il gesso identificato con numero di inventario T 202 è entrato nelle collezioni
del Museo nell’ottobre del 1939 quale donazione di Luigi Troubetzkoy.54
Poco si conosce, invece, dell’altro ritratto dedicato a Puccini, un busto in gesso
con il volto che mantiene la stessa espressione concentrata.
Massimiliano Cremona
53 L. Troubetzkoy, in R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], p. 32. 54 Si segnala che un “gesso Puccini” era stato depositato presso l’ente, insieme ad altri gessi, da Luigi Troubetzkoy già il 4 marzo 1938 (deposito n. 63). Inoltre, lo stesso Luigi, qualche anno più tardi, lascerà in deposito anche un “bronzo Puccini” (deposito n. 77 dell’8 gennaio 1946). Cfr. Archivio Museo del Paesaggio, faldone "Esposizioni, Opere in deposito, e pratiche inerenti".
11. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Despina Draneht Zervudachi, fine anni Venti del ‘900 gesso, cm 42 x 18 x 21 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 210
12. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Laky Zervudachi, 1927 circa gesso, cm 43 x 23 x 22 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 151
Le due opere, risalenti ai tardi anni Venti del Novecento, testimoniano il
rapporto tra lo scultore e la famiglia Zervudachi, eredi di Villa Draneht a
Oggebbio, divenuta poi nota come Villa del Pascià.55
I contatti tra le due famiglie, sulle rive del lago Maggiore, iniziarono nella
seconda metà dell'Ottocento: tra il 1866 e il 1870 i genitori dello scultore
fecero edificare villa Ada a Ghiffa, mentre a pochi chilometri di distanza, a
Oggebbio, nel 1872 la villa dei fratelli Ferri fu acquistata da Paul Draneht.
Draneht era nato con il nome Pavlos Pavlidis il 9 marzo 1815 a Nicosia (Cipro),
in seno ad una famiglia greca, la quale, nel 1827 fu costretta ad abbandonare
l'isola a causa delle ostilità turche, trovando rifugio in Egitto. Il giovane Pavlos
fu introdotto alla corte del regnante Mohamed Alì, il quale lo mandò in Francia
a studiare chimica, medicina, farmacia e odontoiatria presso il barone Louis
Jacques Thénard. La stima dell'illustre professore per il suo allievo consentì a
quest'ultimo di fregiarsi del cognome del barone, ma scritto al contrario. Egli
pertanto fece ritorno in Egitto con il nome Paul Draneht. Divenne un membro
fidato della famiglia vicereale e tale fu conservato anche dai successori di Alì.
Fu nominato dapprima Bey e in seguito Pascià.
Durante il viceregno di Ismail Pascià, Draneht divenne sovrintendente teatrale
ed ebbe un ruolo fondamentale, soprattutto a livello organizzativo, nella genesi
dell'opera Aida di Giuseppe Verdi.
La presenza di Paul Draneht sul lago Maggiore ha generato nel tempo storie
non documentate di presunti soggiorni di Verdi nel Verbano, a Oggebbio e a
Cannobio. In realtà, allo stato attuale delle ricerche, come si è detto, l'unico
passaggio documentato di Verdi sul lago, peraltro casuale, risale al 1890, come
riportato dal giornale intrese "La Vedetta".56
In questa sede si desidera ringraziare Marke Zervudachi, pronipote di Draneht,
che ha fornito a chi scrive numerose informazioni utili ad una ricostruzione dei
rapporti tra la sua famiglia e i Troubetzkoy.
A testimonianza di tali rapporti, ad esempio, nel 1878 a Oggebbio i coniugi
Pietro Troubetzkoy e Ada Winans parteciparono, con i figli Pierre, Paul e Luigi, 55 Per ricostruire le vicende della villa e delle famiglie Draneht e Zervudachi cfr. M. Cremona, Villa del Pascià. Storia di una residenza leggendaria, Comune di Oggebbio, 2013. 56 "La Vedetta", a. V, n. 39, Intra, 27 settembre 1890.
al battesimo di Despina, unica figlia nata dall'unione tra Paul Draneht e Adele
Casati.
Diversi anni più tardi, invece, quando, nel 1892, Paul Troubetzkoy prese parte
al concorso per un monumento a Garibaldi da erigersi a Napoli (documentato
da un bozzetto conservato al Museo del Paesaggio), il giovane scultore fu
aiutato proprio da Paul Draneht, che conosceva bene la città partenopea e i
suoi dintorni in quanto fu vicino al Khedivè egiziano Ismail Pascià durante il
suo esilio a villa La Favorita a Resina, l’odierna Ercolano. Ne restava
testimonianza in un piccolo schizzo, purtroppo scomparso, eseguito da Paul
Troubetzkoy e raffigurante Despina a cavallo mentre si trovava a Napoli,
databile agli anni 1886-1890. Dello stesso periodo, o di pochi anni successivi,
sono i due ovali dipinti dallo stesso artista e ritraenti Paul Draneht e Adele
Casati (guazzo su cartone, cm 60 x 45, firmati), oggi in collezione Alexis
Zervudachi.
Paul Draneht morì nel 1894 e nello stesso anno la figlia Despina si unì in
matrimonio a Emmanuel Zervudachi; da questa unione nacquero Kathleen,
Paul, Laky, Domna e Peter. Paul Troubetzkoy fu amico sia di Emmanuel e
Despina che dei loro figli: la loro frequentazione è testimoniata da una serie di
ritratti in piccolo formato eseguiti dallo scultore.
Paul Troubetzkoy con la moglie Elin a Villa del Pascià, Oggebbio. Fotografia tratta da: The Peter Zervudachi Sale: Sotheby's, London, 10 and 11 June 1998, London, Sotheby's, [1998].
Bronzo di Paul Troubetzkoy raffigurante Despina Draneht Zervudachi e il figlio Peter. Fotografia tratta da: The Peter Zervudachi Sale: Sotheby's, London, 10 and 11 June 1998, London, Sotheby's, [1998].
Uno dei gessi al Museo del Paesaggio (inv. T 210), ad esempio, raffigura
Despina Draneht Zervudachi, la quale fu effigiata, in almeno un'altra
occasione, insieme al figlio Peter.57
La donna, che all'epoca del ritratto aveva poco più cinquant'anni, è raffigurata
in piedi, indossa un ampio abito drappeggiato con scialle e appoggia la mano
sinistra sul fianco, mentre porta la destra al petto con un gesto simile a quanto
fece Edith Rockfeller Mc Cormick quando, attorno al 1912, fu immortalata dallo
stesso Troubetzkoy (gesso al Museo del Paesaggio, inv. T 211).
Il secondo gesso conservato nel Museo pallanzese (inv. T 151)58 raffigura
invece Laky, un altro dei figli di Despina, di cui esiste un bronzo firmato e
datato 1927 nella collezione di Marke Zervudachi, figlio dell'effigiato. L'opera
può essere accostata ad una serie abbastanza lunga di ritratti di piccolo
formato (altezza variabile tra i 40 e i 60 cm) raffiguranti uomini in piedi, i cui
rischi di staticità della figura e ripetitività del soggetto sono di volta in volta
superati dall'artista rappresentando le pose naturalmente adottate dai modelli:
un braccio piegato al fianco (Ritratto di Pierre Troubetzkoy, databile intorno al
1896, inv. T 105), le mani dietro la schiena e lo spostamento del peso del 57 Cfr. The Peter Zervudachi Sale: Sotheby's, London, 10 and 11 June 1998, London, Sotheby's, [1998], p. 119. 58 I due ritratti sono entrati nelle raccolte del Museo del Paesaggio nell'ottobre del 1939 grazie alla donazione di Luigi Troubetzkoy.
corpo su una sola gamba (Rembrandt Bugatti, databile intorno al 1904-06, inv.
T 38), i soli pollici infilati nelle tasche dei pantaloni (Sir William Eden, databile
intorno al 1908, inv. T 289), le mani nelle tasche della giacca e una gamba
piegata (William Kissam Vanderbilt, databile intorno al 1910, inv. T 311), la
giacca chiusa da un solo bottone (Sig. Letellier, datato 1921, inv. T 147), ecc.
Il ritratto di Laky Zervudachi è testimone dello stile elegante e talvolta levigato
raggiunto da Troubetzkoy nella maturità.
La famiglia Zervudachi conserva altre opere dello scultore italo-russo. Due
bronzi, ad esempio, raffigurano Kathleen Zervudachi: uno, firmato e datato
1923, si trova nella collezione del nipote Marke; l'altro, eseguito prima del
matrimonio della donna con il politico greco Sophocles Venizelos, si trova oggi
nella collezione di Despina Gripari, loro figlia, la quale conserva anche un
ritratto di se stessa in età fanciullesca eseguito dal medesimo artista.
Riguardo a Domna, l'altra figlia di Emmanuel Zervudachi e Despina Draneht,
esiste un curioso aneddoto: quanto Troubetzkoy le chiese se volesse posare
per un ritratto, lei rispose che avrebbe preferito possederne uno raffigurante
uno dei cani dello scultore, noto amante di animali; così, quando la donna si
sposò nel 1936 con Kostia Rodocanachi, Troubetzkoy le regalò il bronzo
(datato 1933) che ritraeva il cane Teizi, opera poi passata a Marke Zervudachi
e oggi venduta.
Massimiliano Cremona
Schede tecniche a cura di Massimiliano Cremona 1. Alessandro Laforêt (1863-1937) Giuseppe Verdi, 1903 - 1905 gesso, cm 70 x 63 x 63 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. OA 438
Esposizioni: Bureglio di Vignone, Casa degli Archi "Martino Poletti", 2009.
Bibliografia: M.A. Previtera, S. Rebora, 1863-1937 Alessandro Laforêt. Uno scultore tra verismo e simbolismo, catalogo della mostra, Milano, Nexo, 2009. 2. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Gabriele D'Annunzio, 1892 circa gesso patinato verde-rame, cm 49,5 x 31 x 22,5 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 250
Esposizioni: Milano, Famiglia Artistica, 1892; Verbania, Museo del Paesaggio, 1990; Luino, Palazzo Verbania, 1998 (bronzo).
Bibliografia: L'Esposizione alla Famiglia Artistica, in "Il Corriere della Sera", Milano, 13-14 dicembre 1892, p. 2; Per un monumento a Pallanza, in "La Riforma", Firenze, 2 ottobre 1892 (ripubblicato in "La Voce", Intra, 7 ottobre 1892); R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di
Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], tav. 3; G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990, pp. 90-91; S. Rebora, a cura di, Paolo Troubetzkoy. I ritratti, catalogo della mostra, Milano, Mazzotta, 1998. 3. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Gabriele D'Annunzio, databile intorno al 1910-1911 gesso non patinato, cm 43 x 31 x 31 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 1
Esposizioni: Buffalo, 1911 (bronzo); Toledo (USA), Museum of Art, 1912; Parigi, Salon d'Automne, 1912; Milano, Palazzo della Permanente, 1913 (bronzo 1911); Roma, Secessione, 1913; Parigi, Societé Nationale des Beaux-Arts, 1921; Milano, Galleria Pesaro, 1921 (bronzo); Venezia, XII Esposizione Internazionale d'Arte, 1922 (bronzo); Milano, Galleria Dedalo, 1936; Verbania, Kursaal, 1952 (bronzo); Verbania, Museo del Paesaggio, 1990.
Bibliografia: C. Brinton, The Société Nouvelle at Buffalo, in "Academy notes", vol. VI, n. 4, Buffalo, novembre-dicembre 1911; L. Rosenthal, Le Salon d'Automne, in "Gazette des Beaux Arts", Parigi, vol. VIII, 1912, p. 411; R. Giolli, Paul Troubetzkoy, Milano, Alfieri e Lacroix, s.d. [1913], p. 13 ripr., p. 24; I. Falbo, La mostra della Secessione, in "Il Messaggero", Roma, 24 marzo 1913; I. Falbo, La Secessione. La scultura in bianco e nero, in "Il Messaggero", Roma, 31 marzo 1913; E. Amicucci, I Secessionisti, in "Il Mattino", Napoli, 2 aprile 1913; Un ritratto di Gabriele D'Annunzio e la pittrice Romaine Brooks, in "L'Illustrazione Italiana", n. 16, Milano, 20 aprile 1913, p. 386; Vice Lago, La sala di Troubetzkoy, in "La Tribuna", Roma, 31 maggio 1913; L'Exposition Paul Troubetzkoy, in "L'Art et les artistes", n. 13, Parigi, gennaio 1921, p. 169; G. Marangoni, La mostra «Arte italiana contemporanea» alla Galleria Pesaro, in "Natura e Arte", Milano, vol. 55, 1921, p. 648; F. Sapori, L'arte mondiale alla XIII Esposizione di Venezia, Bergamo, 1922, p. 127; L. Troubetzkoy, in R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], p. 27, tav. 9; P. Jullian, D'Annunzio, Parigi, Fayard, 1971, p. 171; J. Grioni, in "Musei del Piemonte", Torino, , 1978, p. 108; P. Castagnoli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy scultore, Intra, Alberti, 1988, pp. 102-105; G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990, pp. 198-199. 4. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Enrico Caruso nella "Fanciulla del West", 1912 gesso patinato rosa chiaro, cm 57 x 29 x 35 firmato e datato sulla base: "Paul Troubetzkoy 1912" Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 131
Esposizioni: Chicago, The Art Institute, 1912; St. Louis, City Art Museum, 1912; Toledo (USA), Museum of Art, 1912; Milano, Palazzo della Permanente, 1913; Roma, Secessione, 1913; Philadelphia, The Art Club, 1915; Detroit, Museum of Art, 1916; San Francisco, Palace of Fine Arts, 1917; Milano, Galleria Pesaro, 1921; Verbania, Museo del Paesaggio, 1990; Londra, Sladmore Gallery, 2008 (bronzo).
Bibliografia: R. Giolli, Paul Troubetzkoy, Milano, Alfieri e Lacroix, s.d. [1913], p. 25, p. 12 ripr.; I. Falbo, La mostra della Secessione, in "Il Messaggero", 24 marzo 1913; La "Fanciulla del West" alla Scala, in "L'Illustrazione Italiana", Milano, 5 gennaio 1913, p. 14; R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], tav. 15; G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990, pp. 202-203; Oliver Wootton, Prince Paul Troubetzkoy. The Belle Epoque Captured in Bronze, catalogo della mostra, Londra, Sladmore, 2008. 5. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Cesare Pascarella, 1895 gesso non patinato, cm 27 x 10,5 x 11,5 firmato e datato sulla base: "Paolo Troubetzkoy 1895" Inv. T 156
Esposizioni: Verbania, Museo del Paesaggio, 1990.
Bibliografia: R. Giolli, Paul Troubetzkoy, Milano, Alfieri e Lacroix, s.d. [1913], p. 12; R. Bossaglia, P. Castagnoli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy scultore, Intra, Alberti, 1988, pp. 164-165; G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, Torino, Il Quadrante, 1990, p. 103. 6. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Francesco Pandolfini, 1889 circa gesso non patinato, cm 40 x 43 x 32 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 170
Esposizioni: Milano, Famiglia Artistica, 1889; Verbania, Museo del Paesaggio, 1990. Bibliografia: L'Esposizione della Famiglia Artistica, in "Il Pungolo", Milano, 14-15 dicembre 1889, p. 2; Famiglia Artistica, in "La Perseveranza", Milano, 15 dicembre 1889, p. 2; G. Macchi, Alla Famiglia Artistica, in "La Lombardia", Milno, 20 dicembre 1889, p. 2; F. Fontana, Le esposizioni artistiche per le feste natalizie, in "L'Italia", Roma, 20-21 dicembre 1889, p. 3; G. Piantoni, P.
Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990, pp. 84-85. 7. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Nudo maschile (Fedor Šaljapin), databile intorno al 1907-1909 gesso patinato giallo ocra chiaro, cm 65 x 30 x 33 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 208
Esposizioni: New York, Hispanic Society, 1911; Chicago, The Art Institute, 1912; St. Louis, City Art Museum, 1912; Toledo (USA), Museum of Art, 1912; Roma, Secessione, 1913; Bergamo, Galleria Casari, 1935; Milano, Galleria Dedalo, 1936; Verbania, Museo del Paesaggio, 1990.
Bibliografia: R. Giolli, Paul Troubetzkoy, Milano, Alfieri e Lacroix, s.d. [1913], p. 24; I. Falbo, La mostra della Secessione, in "Il Messaggero", Roma, 24 marzo 1913; G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990, pp. 182-184. 8. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Giovanni Boldini, 1912-1913 gesso patinato giallo ocra chiaro, cm 47 x 37,5 x 28,5 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 301
Esposizioni: Roma, Secessione, 1913; Verbania, Museo del Paesaggio, 1990; Luino, Palazzo Verbania, 1998.
Bibliografia: L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], tav. 13; R. Bossaglia, P. Castagnoli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy scultore, Intra, Alberti, 1988, pp. 122-125; Gianna Piantoni, Paolo Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990, p. 208; S. Rebora, Paolo Troubetzkoy. I ritratti, catalogo della mostra, Milano, Mazzotta, 1998. 9. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Giacomo Puccini, 1912 circa gesso patinato, cm 48 x 21 x 22 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 202
Esposizioni: Roma, Secessione, 1913; Milano, Palazzo della Permanente, 1913; Luino, Palazzo Verbania, 1998 (bronzo); Londra, Sladmore Gallery, 2008 (bronzo).
Bibliografia: I. Falbo, La mostra della Secessione, in "Il Messaggero", Roma, 24 marzo 1913; D. Angeli, La mostra di Paolo Troubetzkoy all'Esposizione di Roma, in "L'Illustrazione Italiana", a. XL, n. 15, Milano, 13 aprile 1913, ripr. p. 357; L. Troubetzkoy, in R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.], p. 32, tav. 20; Sergio Rebora, a cura di, Paolo Troubetzkoy. I ritratti, catalogo mostra, Milano, Mazzotta, 1998; Oliver Wootton, Prince Paul Troubetzkoy. The Belle Epoque Captured in Bronze, catalogo della mostra, Sladmore, Londra, 2008. 10. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Giacomo Puccini gesso, cm 71 x 63 x 50 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 271 11. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Despina Draneht Zervudachi, fine anni Venti del ‘900 gesso, cm 42 x 18 x 21 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 210
Bibliografia: M. Cremona, Villa del Pascià. Storia di una residenza leggendaria, Comune di Oggebbio, 2013, p. 27, n. 6. 12. Paolo Troubetzkoy (1866-1938) Laky Zervudachi, 1927 circa gesso, cm 43 x 23 x 22 Museo del Paesaggio, Verbania Inv. T 151
Bibliografia: M. Cremona, Villa del Pascià. Storia di una residenza leggendaria, Comune di Oggebbio, 2013, p. 27, n. 6.
Bibliografia
A cura di Massimiliano Cremona
1889 F. Fontana, Le esposizioni artistiche per le feste natalizie, in "L'Italia", Roma, 20-21 dicembre 1889, p. 3.
G. Macchi, Alla Famiglia Artistica, in "La Lombardia", Milno, 20 dicembre 1889, p. 2.
L'Esposizione della Famiglia Artistica, in "Il Pungolo", Milano, 14-15 dicembre 1889, p. 2.
Famiglia Artistica, in "La Perseveranza", Milano, 15 dicembre 1889, p. 2. 1890 "La Vedetta", a. V, n. 39, Intra, 27 settembre 1890. 1892 L'Esposizione alla Famiglia Artistica, in "Il Corriere della Sera", Milano, 13-14 dicembre 1892, p. 2.
L'esposizione dei bozzetti pel monumento Cadorna e lo scultore Paolo Troubetzkoy, in "La Voce", Intra, 7 ottobre 1892.
Per un monumento a Pallanza, in "La Riforma", Firenze, 2 ottobre 1892. 1901 "La Vedetta", a. XVI, n. 9, Intra, 29 gennaio 1901. "La Vedetta", a. XVI, n. 10, Intra, 2 febbraio 1901. "La Vedetta", a. XVI, n. 12, Intra, 9 febbraio 1901. "La Vedetta", a. XVI, n. 13, Intra, 12 febbraio 1901. "La Vedetta", a. XVI, n. 17, Intra, 26 febbraio 1901. "La Vedetta", a. XVI, n. 19, Intra, 5 marzo 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 8, Intra, 25 gennaio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 9, Intra, 29 gennaio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 10, Intra, 1 febbraio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 11, Intra, 5 febbraio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 12, Intra, 8 febbraio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 17, Intra, 26 febbraio 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 18, Intra, 1 febbraio [ma marzo] 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 20, Intra, 8 marzo 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 21, Intra, 12 marzo 1901. "La Voce", a. XXXVI, n. 23, Intra, 19 marzo 1901. 1906 "L'Illustrazione Italiana", a. XXXIII, n. 5, Milano, 4 febbraio 1906.
S. Benco, Il Monumento a Giuseppe Verdi in Trieste, Trieste, Stab. Art. Tip. G. Caprin, 1906. 1911 C. Brinton, The Société Nouvelle at Buffalo, in "Academy notes", vol. VI, n. 4, Buffalo, novembre-dicembre 1911. 1912 L. Rosenthal, Le Salon d'Automne, in "Gazette des Beaux Arts", Parigi, vol. VIII, 1912, p. 411. 1913 E. Amicucci, I Secessionisti, in "Il Mattino", Napoli, 2 aprile 1913.
D. Angeli, La mostra di Paolo Troubetzkoy all'Esposizione di Roma, in "L'Illustrazione Italiana", a. XL, n. 15, Milano, 13 aprile 1913, ripr. p. 357.
I. Falbo, La mostra della Secessione, in "Il Messaggero", Roma, 24 marzo 1913.
I. Falbo, La Secessione. La scultura in bianco e nero, in "Il Messaggero", Roma, 31 marzo 1913.
R. Giolli, Paul Troubetzkoy, Milano, Alfieri e Lacroix, s.d. [1913].
Vice Lago, La sala di Troubetzkoy, in "La Tribuna", Roma, 31 maggio 1913.
La "Fanciulla del West" alla Scala, in "L'Illustrazione Italiana", Milano, 5 gennaio 1913, p. 14.
Un ritratto di Gabriele D'Annunzio e la pittrice Romaine Brooks, in "L'Illustrazione Italiana", n. 16, Milano, 20 aprile 1913, p. 386. 1920 Museo del Paesaggio. V.° Esposizione Artistica Regionale, catalogo della mostra, Pallanza, Tipografia Pallanzese, 1920. 1921 G. Marangoni, La mostra «Arte italiana contemporanea» alla Galleria Pesaro, in "Natura e Arte", Milano, vol. 55, 1921, p. 648.
L'Exposition Paul Troubetzkoy, in "L'Art et les artistes", n. 13, Parigi, gennaio 1921, p. 169. 1922 F. Sapori, L'arte mondiale alla XIII Esposizione di Venezia, Bergamo, 1922, p. 127. 1925 F. De Pisis, Una visita a Giovanni Boldini, in "Corriere Padano", Ferrara, 4 ottobre 1925. 1928 D. Nicodemi, Incontro con Boldini, in "Dedalo", IV, Milano, 1928.
1941 E. Bizzarri, Vita di Cesare Pascarella, Bologna, Cappelli, 1941. 1952 R. Giolli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy, 1866-1937, nel Museo di Pallanza, Milano, Alfieri, s.d. [1952 ca.]. 1962 D. Cecchi, Giovanni Boldini, Torino, U.T.E.T., 1962. 1971 P. Jullian, D'Annunzio, Parigi, Fayard, 1971, p. 171. 1978 J. Grioni, in "Musei del Piemonte", Torino, 1978, p. 108. 1986 L. Rossari, Artisti sul Verbano nei primi anni del secolo (a cura di A. Cavalli dell'Ara), in "Verbanus", n. 7, Intra, 1986, pp. 131-132. 1988 P. Castagnoli, L. Troubetzkoy, Paolo Troubetzkoy scultore, Intra, Alberti, 1988.
Mario Bertolo, Verbania. Città nuova dalla storia antica, voll. II e III, Verbania, a cura dell'autore, 1988. 1990 G. Piantoni, P. Venturoli, a cura di, Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra, Torino, Il Quadrante, 1990.
1998 S. Rebora, a cura di, Paolo Troubetzkoy. I ritratti, catalogo della mostra, Milano, Mazzotta, 1998.
The Peter Zervudachi Sale: Sotheby's, London, 10 and 11 June 1998, London, Sotheby's, [1998]. 2002 P. Dini, F. Dini, Giovanni Boldini 1842-1931. Catalogo ragionato, vol. II, Torino, Allemandi, 2002.
Leonardo Parachini, Granitiche memorie. Inventario epigrafico, Verbania, Lions Club, 2002. 2003 M. Rosso, Scritti sulla scultura, a cura di L. Giudici, Milano, Abscondita, 2003. 2006 S. Rebora, a cura di, Arnaldo Ferraguti 1862-1925. Tra pittura e letteratura alla fine di un secolo, catalogo della mostra, Milano, Silvana Editoriale, 2006. 2008 Oliver Wootton, Prince Paul Troubetzkoy. The Belle Epoque Captured in Bronze, catalogo della mostra, Londra, Sladmore, 2008. 2009 M.A. Previtera, S. Rebora, 1863-1937 Alessandro Laforêt. Uno scultore tra verismo e simbolismo, catalogo della mostra, Milano, Nexo, 2009. 2013 M. Cremona, Villa del Pascià. Storia di una residenza leggendaria, Comune di Oggebbio, 2013.
Catalogo pubblicato on line dal Museo del Paesaggio in occasione della mostra
Giuseppe Verdi nelle collezioni del Museo e nella memoria della città ,
settembre 2013