Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

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Estratto Antonio Rostagno

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i. introduzione

Si potrebbe parlare di contenuti politici per quasi tutte le opere di Verdi. Quiconcentrerò l’attenzione su due titoli: Attila (1846) e Un ballo in maschera(1859); due momenti che delimitano grosso modo il cosiddetto «decennio dipreparazione», ossia quel periodo che precede la Seconda guerra d’indipenden-za italiana e l’Unità. Le due opere rappresentano momenti molti diversi dellosviluppo intellettuale dell’autore e testimoniano un importante aspetto dell’e-voluzione politica italiana prima dell’Unità. La prima, Attila, è comunemen-te considerata come una delle opere del cosiddetto «canone risorgimentale ver-diano»; la seconda è invece letta da molta storiografia verdiana come testimo-nianza del periodo del disimpegno, successivo alle delusioni del biennio rivo-luzionario 1848-’49. Si tratta di luoghi comuni storiografici, che contengonoverità e approssimazione, superficialità e correttezza.

Vorrei riflettere anzitutto sul luogo comune storiografico secondo cuiVerdi dopo il 1849, a partire da Luisa Miller, avrebbe abbandonato l’impe-gno politico per volgersi ad argomenti intimi, di etica personale e non dimorale collettiva; reazione, si sostiene, al tramonto degli entusiasmi collet-tivi per il democratismo mazziniano, all’indomani della caduta delle Repub-bliche Romana e Veneta. Credo piuttosto che l’impegno eminentementepolitico, la fondamentale idea che il melodramma debba avere significato ci-vile, sociale e morale insieme, non abbia mai abbandonato le intenzioni diVerdi, fino a Otello compreso. E persino la sua estrema produzione, i Quat-tro pezzi sacri, credo sia una trasposizione del medesimo impegno morale sulpiano della spiritualità, un commento personale, laico, pessimistico e pienodi terrore sul mistero della vita dopo la morte (Stabat mater, con la ragge-lante, lontana, vuota immagine finale della «Paradisi Gloria»; Te Deum, conla conclusiva invocazione «in te Domine speravi», che cade nel silenzio co-smico senza luce divina).

antonio rostagno

Verdi fra Gioberti e Manin.Dal liberalismo moderato alla Società nazionale italiana

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1. Dato lo scopo di questo saggio mi limito a fornire qui in nota le date essenziali del proces-so compositivo dell’opera: la prima idea risale al 12 aprile 1845 (non 1844 come si credeva finoagli studi di m. conati, La bottega della musica. Verdi e la Fenice, il Saggiatore, Milano 1983,pp. 143-144) e a fine agosto Solera ha completato la prima stesura del libretto (versione prov-visoria). Il 12 settembre Verdi inizia il lavoro compositivo (a Maffei, ivi, p. 158; ciò significa chesta riflettendo in astratto e inizia a porre su carta alcuni abbozzi più o meno prolungati); l’8 ot-tobre il libretto è presentato alla Censura veneziana. Da una lettera di Piave sappiamo che innovembre si è concentrato molto lavoro su Attila (a Jacopo Ferretti, 5 novembre 1845, ivi, p.162); ma ancora il 25 dicembre, da Venezia, Verdi chiede a Solera chiarimenti proprio sulla fra-se «patriottica» di Ezio di cui parlerò fra poco, «Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me» (ivi, pp.168-169). Una malattia indebolisce Verdi in gennaio e la composizione va a rilento per due me-si, finché nella data indicata nel testo l’opera va in scena con «esito lietissimo» (Verdi alla con-tessa della Somaglia, ivi, p. 173).

ii - attila, opera risorgimentale? si, ma perché?

Allora guardiamo anzitutto ad Attila, opera scritta per Venezia, dove va in sce-na il 17 marzo 18461: è realmente un’opera che rappresenta un’approfonditariflessione politica, ma non tanto nel senso dell’ingenuo patriottismo fatto dibelle frasi, grandi sì, ma povere di contenuti concreti. L’opera rispecchia unimportante momento del confronto fra il rivoluzionarismo democratico maz-ziniano e il liberalismo moderato e riformista italiano; più precisamente quivorrei attirare l’attenzione sulla forte analogia della geometria drammatica,delle relazioni che stringono i personaggi, della pianificazione della trama nel-l’Attila verdiano, con quanto scrive negli stessi anni Vincenzo Gioberti, nelPrimato morale e civile degli italiani (Bruxelles, 1843; 1845 seconda edizione).Non nascondo che i temi della congiura e del tirannicidio, certamente fonda-mentali nella rappresentazione simbolica proposta da quest’opera, ci portinopiuttosto vicino agli ambienti mazziniani, soprattutto del Mazzini precedentela «tempesta del dubbio»; tengo subito a precisare tuttavia che anche i libera-li moderati come Gioberti, dato il clima acceso di quegli anni, non escludeva-no affatto lo spargimento di sangue dove necessario.

Attila era sceso in Italia per conquistarla nel 452, e si era fermato alle por-te di Roma per l’intervento di papa Leone Magno (la scena è ritratta dagli af-freschi di Raffaello nella Stanza di Eliodoro, una della Stanze Vaticane); inrealtà Attila fu trattenuto dalla paura del contagio malarico e dal fatto che eraprofondamente superstizioso; morirà l’anno dopo, nel 453, esattamente perquella malattia. Anche l’altro protagonista dell’opera verdiana, il generale ro-mano Ezio (Ezio Flavio per la precisione), è figura storica reale; ma anche inquesto caso il personaggio di Verdi si discosta molto dalla verità storica. Gli al-tri personaggi verdiani sono invece di fantasia, in parte tratti dal dramma omo-nimo di Zacharias Werner, a cui dichiaratamente Verdi s’ispira, in parte crea-ti ex novo dal compositore e dal suo librettista Temistocle Solera. D’altronde è

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2. t. solera, g. verdi, Attila (1846), Prologo, scena v.

ancora viva nell’Italia del 1845 la polemica sul romanzo e sul dramma storico,se l’arte abbia diritto di reinventare e modificare la storia a scopi morali o po-litici attualizzanti, o se la storia vada rispettata nella sua integrità; è la polemi-ca avviata decenni prima dal Conciliatore, da Manzoni, da Berchet, da pittoridi argomenti storici come Francesco Hayez (v. Fig. 3); una discussione cheproprio negli anni Quaranta, con il riscaldarsi della temperatura politica nel-la Penisola, tornava attuale.

Il significato risorgimentale di Attila di solito viene individuato dalla sto-riografia verdiana in un momento solo dell’opera, nel duetto fra due voci gra-vi maschili (come sarà nel Don Carlo) della scena v del Prologo, quando il ca-po degli Unni Attila incontra il magister militum (o magister belli) romano Ezio(attenzione: nella realtà storica il generale romano Ezio non era un italiano, madi origine illirica, nato a Durosturum nella odierna Bulgaria presso l’odiernaSilistra; non è un particolare irrilevante, come vedremo). In questa scena Eziopropone ad Attila di divedersi l’impero, ossia il cadente Impero romano sottoil giovane Valentiniano iii (nella realtà storica quest’ultimo farà uccidere Ezionel 454, accusatolo di tradimento, e a sua volta sarà ucciso da due ex-ufficia-li di Ezio; eventi che avviarono il processo di dissoluzione dell’Impero): Atti-la, propone Ezio, potrà regnare sui vastissimi confini, ma il territorio italianorimarrà «libero» sotto la reggenza di Ezio stesso. Nel libretto di Solera, Ezio re-cita così:

ezio

Tardo per gli anni, e tremuloÈ il regnator d’Oriente [Marciano, 450-457]Siede un imbelle giovineSul trono d’Occidente [Valentiniano iii, non poi così giovane, era del 419];tutto sarà dispersoquand’io mi unisca a te …Avrai tu l’universo,Resti l’Italia a me2.

Si racconta che nelle rappresentazioni dell’opera vicine al biennio rivoluziona-rio-repubblicano questa frase scatenasse l’entusiasmo degli astanti, pronti ascattare ogni volta che sentivano la parola «Italia», «Patria» ecc. Bella favola,ma è appunto una favola! Uno dei tanti aneddoti che hanno creato un’imma-gine del Risorgimento come un’età quasi di adolescenti coraggiosi e turbolen-ti, pronti a infiammarsi al sentire alcune parole-segnale (patria, fratelli, stra-

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3. S.n., Bulletino degli spettacoli di Quaresima - Gran teatro la Fenice. Ultime rappresentazionidell’Attila: termine degli spettacoli, in «Gazzetta privilegiata di Venezia», 68 (26 marzo 1846).

niero, sia tutti una famiglia e chi vuole continui) senza mai fermarsi a pensa-re (e fra parentesi questa immagine degli Italiani pronti all’emozione ma pococapaci di riflessione arriva fino ai giorni nostri, chissà perché).

Se Attila ha un significato politico (e lo ha, eccome!) non è questo. Anzi-tutto quella frase tradotta nella melodia verdiana, per quanto sia bellissimamusica, è un puntino in un’opera che ha molte altre situazioni estremamenteeffettistiche; e alla fine quel duetto non rimane neppure nella mente dell’ascol-tatore, davanti a scene come il sogno-delirio di Attila, la grande uscita di Oda-bella, la festa notturna, l’apparizione del corteggio pontificale davanti a cui At-tila rimane come pietrificato, o l’uccisione finale dell’unno. E infatti il signi-ficato patriottico di Attila era sì sottolineato sin dalle prime recensioni dopo laprima veneziana, ma non per quella frase, come appare chiarissimo dalla se-guente memoria della Gazzetta privilegiata di Venezia, che segnala precisamen-te il duetto dei bassi, ma non per il suo contenuto:

Il duetto fra i due bassi tanto più piacque quanto più udissi, come la ca-baletta del Guasco [il tenore che impersonava Foresto, l’italico-pelasgico], ches’è già fatta popolare, e si cantava più o men dolcemente all’uscir del teatroogni sera. La facile e soave melodia ha qualche cosa che ti tocca, massimequand’entra il coro a ripetere la nota di que’ bei versi rivolti alla patria: «Rivi-vrai più superba, più bella/ della terra e dell’onde stupor»; dove la larga e pie-na armonia, che seconda la parola, par che t’allarghi e innondi l’anima, comela speranza da’ versi cantata3.

Non dovrebbe stupire, nel contesto che sto ripercorrendo, che le parolepatriottiche che avevano «toccato» l’uditorio non erano quelle del traditoreEzio, ma quelle cantate dall’italico Foresto; né dovrebbe stupire che queste pa-role declamate nell’eroico registro tenorile facciano riferimento al mare, all’e-lemento caratterizzante i pelasgi di Gioberti, appunto.

Ma, oltre al fatto che quella frase di Ezio viene sommersa da molti altripunti di scena più efficaci, essa significa esattamente l’opposto di quanto po-trebbe entrare in un vocabolario eroico-patriottico, nulla a che fare con i gran-di cospiratori alla Ernani o Procida, Arrigo, o ancora il Faliero di Donizetti,pronti al sacrificio per le proprie idee di libertà e giustizia. Ezio sta proponen-do una transazione eminentemente politica: «io capo delle milizie imperialinon ti faccio guerra, come mi è stato ordinato, e tu potrai prendere Roma sen-za sangue, sedendoti sul trono dell’impero; ma per questo lascerai a me il go-verno dell’Italia», ed è un illirico immigrato che ha fatto carriera fino ai verti-ci. Dov’è la rivendicazione di indipendenza? Dove il fondamento di emanci-

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4. Ibidem.

pazione e libertà da poteri stranieri che dovrebbe essere la base dello spirito ri-sorgimentale? Sembra possibile che questa sia la figura del patriota in cui Ver-di crede in questi anni fiammeggianti? Sono persone così che due anni doposaliranno sulle barricate a Milano,Venezia, Roma, Napoli? Ha qualcosa dellafigura di Mazzini e del mazziniano, che in questi anni sono all’apice della lo-ro influenza sulle giovani generazioni (Mameli, Attilio ed Emilio Bandiera e iloro sette compagni della Esperia, Manin, ecc.)? La risposta è semplicementeno: Ezio non può essere figura della mitopoiesi patriottica italiana; quel signi-ficato dell’Attila come opera di riscatto nazionale non sta in piedi, è una fan-tasia senza alcun senso. E infatti subito Attila, con una risposta melodica diquelle davvero imponenti, che atterrano l’interlocutore come una tonnellatadi granito scaricatagli sulle spalle, risponde:

attila

Dove l’eroe più validoÈ traditor spergiuroIvi è perduto il popoloÈ l’aere stesso impuro4.

Allora: qual è il significato politico di Attila, torno a chiedere? Ho già accen-nato al Primato di Gioberti: ebbene, in questo ampio saggio il sacerdote filo-mazziniano poi cattolico-liberale torinese scrive una sua immagine del popo-lo italiano, della sua storia e dei suoi caratteri naturali e culturali. Potrebberogli autori del libretto Temistocle Solera e della musica Giuseppe Verdi aver trat-to elementi politici dal Primato giobertiano? Credo di si, e su questo punto oc-corre qualche riflessione:1) Anzitutto immediatamente e per anni il Primato rimane il best-seller del pen-

siero politico italiano, e se è possibile che Verdi non lo conoscesse (e comun-que è poco probabile), dobbiamo ritenere ragionevole e quasi certo che loavesse letto invece il suo librettista Solera, un cattolico liberale esattamentecome Gioberti (lo testimoniano moltissimi particolari dei libretti per Verdi,soprattutto Nabucco e Lombardi, ma ancor più la raccolta di sue liriche daltitolo che è tutto un programma: L’arpa cattolica). Inoltre in questi anni Ver-di è vicinissimo ad Andrea Maffei, il quale è uomo di vasta e aggiornata cul-tura, non vicino a Mazzini anzi piuttosto anti-rivoluzionario, ed è da esclu-dere che Maffei ignorasse i contenuti del Primato giobertiano;

2) in secondo luogo, Gioberti ricostruisce una genealogia, una origine stori-ca del ceppo etnico italiano, risalendo a origini italiche dirette e al tempo

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5. Per quest’argomento si rimanda a a.m. banti, Risorgimento, in a. m. banti, a. chia-

vistelli, l. mannori, m. meriggi (a cura di), Atlante culturale del Risorgimento. Lessico dellinguaggio politico dal Settecento all’Unità, Laterza, Roma-Bari 2011, pp, 33-39.

6. s. patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Laterza, Roma-Bari 2010,pp. 33-34.

stesso proponendo una panoramica delle componenti nazionali che nellastoria si sono intrecciate per formare l’attuale società italiana; secondoGioberti la debolezza dell’Italia deriva dal separatismo, dalla autonomiadei piccoli Stati non confederati, dalla divisione in gruppi non «naturali»ma «culturali», senza che nessuno abbia una prevalenza, secondo una de-generazione che ha origini dal tardo Impero romano, quando gli impera-tori barbarici favorirono l’ingresso di gruppi egemoni non indigeni, av-viando una commistione di popoli sul territorio italiano, che avrebbe in-debolito il ceppo italico originario;

3) in terzo luogo Gioberti propone la via che da questa degenerazione, daquesto indebolimento determinato dalla fusione di caratteri razziali diver-si senza alcun ordine, possa avviare il processo di rigenerazione dell’Italianoe dell’Italia. Non per caso la sua successiva opera politica si intitola Del rin-novamento civile d’Italia (a questa altezza cronologica i termini «rigenera-zione» e «rinnovamento» sono più frequenti del termine «Risorgimento»che si afferma più tardi5);

4) in quarto luogo Gioberti, come poco dopo Cesare Balbo, non credono cheil popolo da solo abbia la capacità di questa rigenerazione, né che possa ave-re alcuna volontà propria; e qui la spaccatura più profonda con Mazzini6.Nell’Attila di Verdi, infatti, i popoli sono assenti, tutto si riduce a una vi-cenda privatissima, di pochi capi militari e pochi congiurati segreti. Siamoben lontani da opere corali dai Lombardi a La battaglia di Legnano.

Gioberti propone allora una sua storia sociale, una sua ricostruzione della for-mazione storica dell’attuale società italiana, nella quale due sono gli elementiin base ai quali «rigenerare» il primato degli Italiani; il primo è di ordine sto-rico e guarda all’indietro, il secondo è di ordine politico e guarda avanti: il pri-mo è l’affermazione che in Italia esiste un ceppo etnico autoctono, quello Ita-lico o Pelasgico, il popolo del mare, appunto gli «Italici». Questa radice etnica,dice Gioberti, è stata marginalizzata da una progressiva mescolanza cosmopo-lita nell’età romano-barbarica, che ha ovviamente annullato il senso di nazio-ne, di popolo e di autonomia. Il secondo elemento è la proposta di Giobertiper ricuperare quel naturale primato perduto; e questo potrà avvenire graziealla presenza del Papa sul suolo italiano, un’autorità investita da Dio, che perquesto ha legittima funzione di equilibrare e sovrastare i regnanti locali. Gio-

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7. I Copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di G. Cesari e A. Luzio, Commissione esecutiva perle Onoranze a Giuseppe Verdi, nel primo centenario della nascita, Milano 1913, pp. 437-438[con data errata «12 aprile 1844»], poi m. conati, La bottega della musica. Verdi e la Fenice,cit., pp. 143-144 [che rettifica l’anno].

8. La prima a portare l’attenzione su questo importante libretto, e in generale sull’argomen-to, è f. russo, Lorenzino de’ Medici e la sua Apologia nell’Ottocento, fra fortuna editoriale, rico-struzione storica e creazione di un personaggio per il teatro e per il melodramma, in f. bissoli, n.

ruggiero (a cura di), “Viva Italia forte ed una”. Il melodramma come rappresentazione epica delRisorgimento, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli 2013, pp. 201-223. Sonorecentemente tornato sull’argomento, sia pur di sfuggita, in Temi del dibattito politico-costitu-zionale nell’opera risorgimentale. Il processo e la separazione dei poteri, in e. imbriani (a cura di),Sud e nazione. Folklore e tradizione musicale nel Mezzogiorno d’Italia, Atti del convegno Cori-gliano d’Otranto, 14-15 ottobre 2011, Università del Salento, Lecce 2013, pp. 265-311.

9. Già nel 1831 il mazziniano Antonio Gallenga aveva progettato un attentato a Carlo Alber-to, appena insediatosi, non difficilmente riconducibile a questi ideali; poi il 28 luglio 1835 Giu-seppe Fieschi attentò alla vita di Luigi Filippo d’Orleans. Infine il 14 gennaio 1858 Felice Orsi-ni, da poco staccatosi dai mazziniani, tentò di uccidere Napoleone III e famiglia. Nessuno diessi riuscì nell’intento, ma il segnale politico fu sempre molto forte.

berti parla infatti di re che rimangono legittimi sul territorio (anche gli Au-striaci nel nord), ma sotto la suprema guida del Papa. Ebbene tutto questo siritrova esattamente nella geometria drammatica dell’Attila verdiano, sebbenela soluzione del dramma così come la sua temperatura conflittuale siano deltutto estranee allo spirito di Gioberti. La realtà ritratta dall’opera, se letta at-traverso il sistema simbolico della scena, si direbbe un Gioberti ideale, ma conla temperatura emotiva di Verdi e la violenza del rivoluzionarismo mazzinia-no-cospirativo di quei decenni.

Come Verdi è arrivato a questo soggetto? Sappiamo che la scelta in largaparte fu sua, e ne scrisse a Solera il 12 aprile 1845, perché rileggesse De l’Alle-magne della M.me De Staël, nella quale è contenuto un riassunto del drammadi Zacharias Werner7. L’idea venne a Verdi dopo che, insieme al librettista diErnani, Francesco Maria Piave, aveva meditato fin dal 1844 su un Lorenzinode’ Medici8. Questo libretto, che Piave portò a termine in fretta realizzando unadelle sue prove migliori di questo periodo, ha almeno due temi che ritroviamoin Attila: in primo luogo il tirannicidio, legato al più grande tema dell’anti-cesarismo, che proprio alla vigilia del 1848 tornavano in primo piano9; in se-condo luogo la congiura come strumento di coalizione positiva. Verdi fu sin-ceramente interessato; non potendo subito dedicarsi a questo progetto, cheevidentemente lo attirava, chiese però a Piave di non darlo ad altri composi-tori e di riservarlo a una prossima occasione. Poi lascerà perdere e il librettoverrà musicato da Giovanni Pacini nella stagione fenicea 1844-’45.

Si tratta quindi di un precedente importante per capire cosa Verdi stessecercando, quali argomenti lo occupassero in questo biennio 1844-’46. Sul-

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10. f.m. piave, Lorenzino de’ Medici (1844), Atto ii, Parte prima, scena prima.

l’anti-cesarismo occorre qualche riflessione; anzitutto abbiamo la confermache questo fosse nell’intenzione di Solera e Verdi. Attila muore, trucidato daOdabella con i congiurati, recitando la frase: «E tu pure, Odabella» (parolascenica, declamata con estrema nitidezza e perfettamente comprensibile, qua-si recitata), che richiama senza minimi dubbi la celebre frase di Cesare moren-te riportata da Svetonio. Sono gli anni in cui anche il Giulio Cesare di Shake-speare torna sui palcoscenici italiani grazie ad attori politicamente attivi comeGustavo Modena, dichiarato mazziniano, e Adelaide Ristori. Nel Lorenzinoprogettato e mai realizzato, poi, questo è il tema centrale, forse addiritturatroppo chiaramente esposto e a rischio di censura. Il personaggio storico assaiambiguo di Lorenzino è nel libretto di Piave una figura eroica, un «infiltrato»nella cerchia perversa del cugino Alessandro, del quale conquista la fiducia perpoi ucciderlo. Il suo grande monologo «politico» è il cuore della vicenda:

Gabinetto in casa di Lorenzo, con due porte laterali. Sonvi busti, statue, strumenti di fi-sica, manoscritti posati su varie tavole. Un grande candelabro rischiara la stanza

lorenzino

L’ora bramata appressa;Godine pur Lorenzo!... L’abbominioDe’ tuoi più non sarai!...Vedran se un vile, un traditor io sono …Vile mi finsi onde accostarmi al vileDi Fiorenza tiranno …E come un ferro io tratti ben vedranno …Filippo Strozzi è spento!...[…]10.

Altrettanto importante è la figura di Filippo Strozzi, che dall’esilio venezianocongiura con Lorenzino: le intenzioni di Piave e Verdi si chiariscono, quandosi sappia che appunto «Filippo Strozzi» era lo pseudonimo che in quegli anniMazzini usava dal suo esilio nella corrispondenza della Giovine Italia. Che ilpersonaggio di Strozzi del melodramma sia la più esplicita rappresentazionedel grande cospiratore italiano, mi sembra quindi indiscutibile e di grandissi-mo significato. Queste considerazioni permettono di comprendere il travaglioideale di Verdi, che come molti intellettuali italiani, in questi turbolenti anniche precedono il 1848, passa al vaglio le diverse opzioni politiche in campo: ilpessimismo foscoliano-hugoliano (nell’Ernani), il ribellismo byroniano indi-

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11. Quando Verdi inizia a riflettere su questo soggetto il librettista in pectore è ancora Piave,che cambierà per via; quindi è a lui che Verdi scrive questa lettera del 12 aprile 1845 già citataqui sopra alla nota 4.

vidualista (nel Corsaro), il mazzinianesimo (nell’ipotesi poi naufragata del Lo-renzino), infine la proposta neoguelfa nazionalista di Gioberti (nell’Attila).

La congiura, l’altro tema fondamentale in Attila, era già uno dei temi cen-trali dell’Ernani, come lo sarà dieci anni dopo dei Vespri siciliani; proprio sul-la figura del congiurato, del cospiratore, come vedremo, Verdi condurrà unaradicale evoluzione, che indurrà nella sua opinione al riguardo un netto capo-volgimento con Un ballo in maschera.

Abbiamo già fatto menzione dell’idea di Gioberti secondo la quale i pela-sgi sono i veri depositari del carattere italiano, non i romani che nascono dauna contaminazione di popoli diversi. Nell’originale dramma di Werner nonc’era alcun personaggio che avrebbe potuto identificare questa ideale «razzaitalica», non compariva alcun possibile «pelasgico» con autonoma funzioneteatrale-narrativa: Odabella era Hildegonde di Borgogna, non una «donna ita-lica» come la protagonista di Verdi definisce se stessa; e Foresto è addiritturaun personaggio inventato dal librettista per volontà di Verdi: «ci sarebbe d’in-ventare un quarto carattere d’effetto, e mi pare che quel Gualtiero [diverrà Fo-resto] che crede morta Ildegonda [Odabella] fosse scampato e potresti farlo fi-gurare o tra gli Unni, o tra i Romani […] ma sopratutto nel quarto atto d’in-telligenza con Ildegonda per far morir Attila»11. Quindi i due «pelasgi» dell’At-tila verdiano non esistono nella fonte germanica e sono completa invenzionedi Verdi e Solera, evidentemente per il nuovo significato della modificata geo-metria drammatica. Certo si può pensare che Verdi abbia ritenuto necessariaquesta quadrangolazione (Attila-Ezio-Odabella-Foresto) per motivi materia-listicamente artigianali, perché la Fenice disponeva di quattro grandi cantan-ti. Ma sappiamo che tutti i grandi artisti fanno della necessità materiale unatrasfigurazione artistica, e questo è il caso: i due ruoli tradizionalmente prota-gonistici, soprano e tenore ovviamente legati da un rapporto amoroso, sebbe-ne contrastato, sono i rappresentanti della «razza italica» originaria, i pelasgidi Gioberti, appunto.

Inoltre l’aspirazione alla rigenerazione dell’italiano da un lungo periododi degenerazione morale e civile era materia di un altro trattato di quegli stes-si anni, che conteneva anche una giustificazione di quella decadenza moltovicina al tema dell’Attila verdiano. Parlo della Storia degli stati italiani dallacaduta dell’Impero Romano fino all’anno 1840, di Heinrich Leo (Società edi-trice fiorentina, Firenze 1842): Leo rileva la grande diversità regionale e laframmentazione etnica degli italiani e registra anche nei suoi contemporanei

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12. Come nella sua opera Civiltà del Rinascimento in Italia, 1860, celebre tesi del rinascimen-to italiano quale reazione al Medioevo in senso individualista.

un «carattere d’indipendenza individuale». Questo carattere individualistico(la «scioltezza» come si diceva allora) contraddistingue l’etnotipo italianonella percezione di molti osservatori stranieri attraverso tutto il primo Ot-tocento, fino appunto a questi anni quaranta: l’individualismo, contraria-mente alla vecchia tesi di Jakob Burkhardt12, è visto come ostacolo alla co-struzione di un’unità nazionale; l’italiano è accusato di essere incapace di te-nere i patti e di sottomettersi a contratti sociali e a leggi. Questo carattereetnotipico era dovuto, secondo Leo, solo in parte alla mitezza del clima chenon poneva esigenze di unione fra uomini, ma soprattutto alla storia, in par-ticolare alla onda lunga avviata nel tardo Impero romano e soprattutto nelperiodo di anarchia succeduto alla caduta dell’Impero romano. Ed è proprioin questo momento che si colloca la vicenda narrata da Werner; quando Ver-di decide di portarla in forma di melodramma capovolge proprio quel carat-tere etenotipico e fa dei due giovani Italici-Pelasgi due opposti etnotipi: co-raggiosi e pronti a qualsiasi sacrificio, donne e uomini indistintamente. Iltema della «scioltezza», nelle due varianti dell’individualismo e del regiona-lismo/separatismo è molto diffuso e molti storici tornano a tematizzarlo, daSismondi nel primo Ottocento fino a Michele Lessona, Guizot, PasqualeVillari, Pasquale Turiello, Giuseppe Sergi. L’individuo al centro del mondosociale, com’è intuitivo, sarà poi il tema su cui rifletteranno le varie corren-ti e varianti del liberalismo italiano, quindi stiamo parlando del tema asso-lutamente principale e fondativo, ben al di là di immagini di risorgimentoda cartolina. L’Attila verdiano si inserisce al centro di questo panorama; perquesto l’ho sopra definita l’opera politica più che ogni altra precedente, fraquelle di Verdi.

Riflettiamo ancora su questi due nuovi personaggi verdiani: Odabella èuna delle donne verdiane più coraggiose e capaci di realizzare scelte autonomee azioni anche violente. La donna attiva, non eroina vittima che subisce glieventi e le decisioni prese dai maschi, ma contribuisce alla giusta causa con l’a-zione anche violenta, è figura non frequente nel melodramma italiano (e uni-ca in Verdi): o incontriamo vittime come Maria Stuarda, o carnefici come Eli-sabetta d’Inghilterra, Leonora o Abigaille, Elvira e Gilda o Eboli. Odabella èla donna italica, la donna pelasgica, donna guerriera e pronta a tutto per l’au-tonomia-libertà del proprio popolo:

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13. t. solera, g. verdi, Attila, Prologo, scena terza.

odabella

Ma noi, noi donne italicheCinte di ferro il senoSul fumido terrenoSempre vedrai pugnar13.

Questa figura è del tutto assente in Werner, dove la sola figura femminileguerriera è Hildegonde (che è borgognona e non italica, come già detto), al-la quale l’autore conferisce elementi di disorientamento psichico, di odiorabbioso e maniacale, a tratti vicino allo squilibrio mentale; in tal modo laHildegonde di Werner si colloca in una tradizione di personaggi femminilicompletamente diversa dalla Odabella del melodramma italiano. Quest’ul-tima è quindi tutta e solo invenzione di Verdi e Solera: elemento che ancorpiù fa pensare a lei come alla vera protagonista dell’opera, il nuovo perso-naggio simbolico dello spirito italico liberale. Certo, Gioberti non pensavaa una rivolta-congiura per l’indipendenza guidata da una donna; e certa-mente non pensava nulla del genere Cesare Balbo, che nelle Speranze d’Ita-lia (1844) assegnava alla donna (aristocratica) un ruolo «di retroguardia»,ossia quello di tessere relazioni sociali e dedicarsi alla famiglia. Ma anchequesta aggiunta della donna italica Odabella rispetto all’originale di Wernerè un dato che rafforza l’ipotesi per cui il nazionalismo giobertiano sia statauna deliberata volontà di Verdi e Solera, una presa di posizione in questomomento storico. E poi, la «donna attiva» potrebbe essere una proiezionescenica di un passo della Corinne ou l’Italie di M.dme de Staël (che Verdi cer-tamente conosceva, dato che suggerì a Piave di rileggere il suo De l’Allema-gne per il soggetto di Zacharias Werner), dove si legge: «In Italia gli uominivalgono molto meno delle donne, perché hanno sia i difetti delle donne chei propri». Se non che nell’Attila di Verdi anche gli uomini pelasgici-italicisono valorosi, e in più gelosi, smaniosi, coraggiosi, instancabili; insommanon affatto effeminati come voleva il luogo comune anti-italiano del primoOttocento.

Altrettanto importante, proprio per quest’ultima motivazione, è l’aggiun-ta del personaggio di Foresto, figura tutta positiva e guida del suo popolo sban-dato da Aquileia; nell’originale di Werner, Hildegonde aveva solo un fratello,non un promesso sposo. Il pelasgico Foresto quindi è tutta invenzione, anco-ra, di Verdi e Solera; e questo rafforza l’ipotesi che questa geometria dramma-tica sia del tutto voluta, per rispecchiamento della nuova tendenza politica ita-liana-giobertiana.

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14. L’incontro fra Leone Magno e Attila è raffigurato da Raffaello nella cosiddetta Stanza diEliodoro, nei Musei Vaticani (1513-1514).

15. t. solera, g. verdi, Attila (1846), Primo Atto, scena vi.

Altra figura rilevante, che però Verdi capirà subito di aver mal realizzato,è quella di Leone, che avrebbe dovuto essere il papa Leone Magno, ma per mo-tivi di censura divenne «Leone, vecchio romano». È il tema del Papa, del po-tere politico del Papa, indipendente da belligeranze alla Giulio ii, ma garantesuper partes della concordia sotto la comune fede, alla quale anche il monarcanordico Attila (per simbolo: l’Austria?) si piega con timore reverenziale: è que-sto il senso della grande scena vi del i atto, quando secondo la storia e i dipin-ti di Raffaello14 papa Leone Magno andò incontro ad Attila e lo fermò con ilsolo potere della autorità spirituale:

leone (circondato di vergini e fanciulli)Di flagellar l’incarcoContro i mortali hai solT’arretra … or chiuso è il varcoQuesto de’ Numi è il suol15.

Per quest’ultimo fattore, che Gioberti auspica nel 1843-1845, l’Attila di Verdie Solera rappresenta una testimonianza di quel clima che andava via via riscal-dandosi. Più o meno negli stessi mesi cade anche l’elezione al soglio pontifi-cio di Pio ix (16 giugno 1846) che, non possiamo dimenticarlo, fino all’allo-cuzione del 29 aprile del 1848 (Non semel) è da tutti considerato (Mazzinicompreso) il nuovo Papa liberale tanto a lungo atteso, quasi una materializza-zione degli auspici di Gioberti. E in effetti leggere un legame fra il ruolo paci-ficatore del Papa nell’opera di Verdi e le aspettative dei giovani italiani nel nuo-vo papa liberale Pio ix è per lo meno attraente e interessante; e non credo sipossa trascurare l’ipotesi senza riflessione.

In sintesi, se si accetta la lettura che ho proposto, Attila è sì opera politi-ca, e più precisamente opera risorgimentale, ma non certo per un presunto (einesistente) appello alla libertà d’Italia da parte del bulgaro Ezio. Precisamen-te all’opposto, invece, cattolicesimo e coraggio pelasgico, alla fine, saranno iveri motori della tragedia, e fondamenti del messaggio di Verdi in questo mo-mento della sua evoluzione politico-intellettuale.

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16. Verdi aveva conosciuto e frequentato Mazzini durante la sua permanenza a Londra nel 1847,mentre lavorava alla messinscena dei Masnadieri, quando aveva avuto anche la funzione di inter-mediario fra alcuni corrispondenti italiani a Parigi e Mazzini stesso (se ne trovano numerose trac-ce in Protocollo della Giovane Italia, vol. v (1847), Galeati, Imola 1921, pp. 38, 40, 42, 44, 46,149, 151, 153, 157 et passim. Non è questa la sede per approfondire questo argomento, che non haancora ricevuto l’interesse degli storici se non l’utile ma episodico e a volte un po’ parziale g. rau-

sa, Latomistica. Giuseppe Verdi, Alessandro Luzio, il Risorgimento italiano e la Massoneria, inaa.vv., O Verdi addio. Bilanci di un primo millennio, La Finestra, Trento 2001)

17. Per notizie sulla commissione, la composizione, la destinazione si può oggi consultare l’u-tile Introduzione all’edizione critica, r. montemorra marvin (a cura di), The Works of Giu-seppe Verdi/Le opere di Giuseppe Verdi, Serie IV: Inni, vol. i, The University of Chicago Press –Ricordi, Chicago and London - Milano 2007. Per le vicende successive, per le quali Verdi eMazzini si allontanarono l’un l’altro per mai più tornare a rapporti più stretti, e per una più am-pia riflessione sul contesto storico-sociale si veda il mio breve scritto Popolo, popolarismo, popu-lismo e i “cori risorgimentali” di Verdi, in Canto “popolare” e canto corale. Atti della terza giorna-ta di studi in ricordo di Domenico Cieri, a cura di G. Monari, Feniarco, San Vito al Taglia-mento, 2008, pp. 35-54 (scritto quando non era ancora disponibile l’utile edizione critica).L’Inno fu immediatamente stampato nelle sole parti vocali probabilmente in poche copie, poi-ché oggi quest’edizione risulta rarissima: Inno popolare di Goffredo Mameli musicato da G. Ver-di, Gian Gualberto Guidi, Firenze, n. 1, 1183; sul frontespizio si legge: «La Associazione Na-zionale proprietaria inibisce qualunque ristampa; e risguarderà contraffazione tutte le Copie che

iii - intermezzo di inni

Dopo il 1848 la parabola evolutiva del pensiero politico di Verdi, come di mol-ti suoi coetanei, subisce una brusca cesura; il mazzinianesimo, toccato l’apicenei mesi delle repubbliche, va via via sfumando e, dopo il 1853, può dirsi de-finitivamente declinante; e così anche il repubblicanesimo democratico16. Maemerge un liberalismo moderato, sempre più incline ad appoggiarsi a monar-chi esistenti, come garanzia di solidità. E molti intellettuali e uomini politiciprima attivi nella Giovine Italia si spostano su posizioni diverse, per lo più mo-narchiche, neo-guelfe o ancor federaliste, sebbene tutti concordi sul costitu-zionalismo ormai irrinunciabile.

Verdi non fa eccezione, sebbene la sua linea di sviluppo ideologico nondebba essere considerata dalle parole quanto dai fatti; e per un compositore ifatti sono le composizioni, la musica, sia nella sua conformazione tecnica sianella sua destinazione d’uso.

Verdi compone poca musica d’occasione, di solito non prendendo parte aigrandi movimenti d’opinione, se non attraverso la mediazione del palcosceni-co. Ma se osserviamo la sua produzione di inni, o numeri d’opera in forma ecarattere di inno, possiamo trarrae qualche utile conclusione proprio sul co-siddetto «decennio di preparazione».

Nel 1848 scrive una breve composizione, su richiesta di Mazzini: è l’«Innopopolare» (così il frontespizio) Suoni la tromba, su testo di Goffredo Mameli17.

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non portino il marchio qui impresso» (Fig. 9) (per notizie su questa preziosa editio princeps siveda a. palazzolo, Verdi ritrovato. L’unico esemplare sopravvissuto della versione originale del-l’Inno popolare di Giuseppe Verdi, Accademia nazionale d’arte antica e moderna, Roma 2013; suquesta edizione fu condotta l’esecuzione del 31 dicembre 2000, con un’orchestrazione scrittaper l’occasione, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, da partedell’orchestra e del coro del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Gianluigi Gelmetti). Nel 1865l’editore De Giorgi ristampò l’Inno aggiungendo un accompagnamento pianistico; nella Fig. 1si riporta il frontespizio di questa seconda edizione, sulla quale è stata condotta la prima ricor-data edizione critica.

18. Di Verdi a Mazzini, Parigi, 18 ottobre 1848 (I copialettere cit., pp. 469-470).

Verdi è sinceramente convinto che la musica possa essere strumento di ag-gregazione, che abbia una utilità extra-artistica necessaria. È ciò che intendequando afferma di aver voluto intenzionalmente essere «popolare e facile», af-finché l’inno «possa, fra la musica del cannone, essere presto cantato nelle pia-nure lombarde», essere nel cuore di sprone a chiunque affronti il rischio dellaguerra patriottica18.

Ma non passa molto e questa convinzione lascia spazio all’incertezza, al di-sincanto, se non alla delusione: sia nel Simon Boccanegra (prima versione,1857), sia nel Ballo in maschera (1859) Verdi scrive un grande finale con innopopolare, rispettivamente al doge e al re (poi per motivi di censura divenutoun conte). Sono due inni apparentemente encomiastico-celebrativi, dove tut-tavia non è difficile percepire il significato sottilmente ironico-antifrastico.L’inno al Doge «Viva Simon» è rigido e senza vita, pomposo ed esteriore, separagonato non dico al fiammeggiante «Si ridesti il leon di Castiglia» dell’Er-nani, ma anche ai cori patriottici della Battaglia di Legnano o all’appena ricor-dato Inno per Mazzini. Né d’altronde dovrebbe stupirci il fatto che Verdi stes-so, nel rivedere l’opera, partisse proprio dalla eliminazione di questo coro.L’inno del Ballo, con cui la popolazione saluta Riccardo «O figlio d’Inghilter-ra», è certo più elegante e risente della generale atmosfera raffinata che circo-la attraverso la partitura, il «gusto parigino» a cui allude Verdi stesso; e tutta-via non manca neppure qui la nota falsa, ironica, distaccata; come una formavuota che viene guardata senza reale partecipazione. È quindi piuttosto logicoe condivisibile quanto si è visto in una recente messinscena del Ballo alla Sca-la (giugno 2013), nella quale il regista Damiano Michieletto ha enfatizzato inquesta scena precisamente i tratti della falsità, dell’insincerità e dell’ingannoreciproco. La scena infatti rappresentava non la corte di Boston, come nel li-bretto di Antonio Somma, ma un moderno ufficio in cui si riunisce il gruppoorganizzatore della campagna per le elezioni presidenziali, i sostenitori di Ric-cardo, certo non limpidi e fidati come le apparenze darebbero a intendere. Inquesta attualizzazione, quel coro inneggiante assume un aspetto ambiguo e fal-so, una radicale negazione della reciproca fiducia che animava quel momento

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19. h. jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisa-tion, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1979 (tr. it., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltàtecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Einaudi, Torino 1979-1990). Jonas trovava radici in alcu-ne idee di Max Weber, e la sua riflessione sulla responsabilità verrà proseguita da Jürgen Haber-mas.

«facile e popolare» del democratismo repubblicano intorno al 1848. E conquesto siamo entrati nel clima di Un ballo in maschera, forse l’opera più poli-tica di Verdi, almeno quanto Les Vêpres siciliennes e Don Carlos, a dispetto diuna tradizione interpretativa che la identifica come opera del disimpegno, co-me un ritrarsi di Verdi dalla politica al dramma di individui, dopo le delusio-ni del biennio rivoluzionario-repubblicano. Occorre quindi approfondire lalettura in chiave strettamente storico-politica del Ballo in maschera.

iv - perché “w v.e.r.d.i.”?

Tutti sanno che l’acronimo nacque nel 1859 per il Ballo in maschera a Roma;ma chi saprebbe dirne il perché? Più precisamente perché non prima e perchéa Roma? Vittorio Emanuele II era re del regno sabaudo sin dal 1849, dopo No-vara; perché allora solo nel 1859 e a Roma? La risposta merita una ricostruzio-ne più approfondita, anche perché non sembra che finora la storiografia, ver-diana e non, si sia posta il problema.

Prima di tutto conviene rendersi conto della novità del carattere del pro-tagonista del Ballo in maschera, Riccardo conte di Warwich. Il Ballo è prece-duto da La traviata (1853-54), Les Vêpres siciliennes (1855) e Simon Boccanegra(1857, prima versione), e per certi aspetti ne rappresenta una sintesi. Violettanella dimensione privata sceglie il «principio responsabilità» di Hans Jonas19,sacrificando ciò che per lei è più prezioso a favore di una persona (la sorella diAlfredo) che lei neppure ha mai visto; similmente Simone Boccanegra porta ilmedesimo «principio responsabilità» di Jonas nella sfera pubblica, a favore del-l’intera comunità genovese, a favore dello Stato di cui è a capo (e qui riprendeun vecchio tema di Donizetti nell’Assedio di Calais seppur trapiantato nellanuova situazione dell’Italia del 1857). Riccardo nel Ballo in maschera riassumei due casi precedenti, e rappresenta il più alto esempio di quel «principio» diJonas: responsabilità personale verso il suo popolo, verso la donna altrui, ver-so i sudditi fedeli, verso il proprio ruolo politico.

E desidero sottolineare con la massima chiarezza che questo «principio re-sponsabilità» è il più alto insegnamento che Verdi dovrebbe trasmettere alloracome oggi, perché è la conseguenza della storia della «rigenerazione morale»dell’Italia, ben al di là dei grandi e vuoti proclami del «discorso risorgimenta-

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20. m. meriggi, Liberali/Liberalismo, in a.m. banti, a. chiavistelli, l. mannori, m.

meriggi (a cura di), Atlante culturale del Risorgimento. Lessico del linguaggio politico dal sette-cento all’Unità,, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 101-114, in part. p. 113.

le» ufficiale, quello dei monumenti di piazza e delle grandi frasi a effetto. Larigenerazione, ricordiamo Gioberti e Mazzini, era precisamente nella reazionealla «scioltezza» individualistica di cui si è parlato a proposito dell’Attila; ap-punto «responsabilità», ossia quella qualità dell’uomo che consiste nel preoc-cuparsi degli effetti che ogni proprio atto, scelta, decisione può avere sugli al-tri, direttamente o no, secondo le idee di Jonas.

Verdi rappresenta, attraverso il suo teatro come attraverso la sua vita, unsimbolo del liberalismo moderato ma fattivo e pronto all’azione contro ogniforma di condizionamento, compreso ovviamente quello religioso, in modosimile a quanto è stato visto dagli storici politici nella figura di Cavour. Mi ri-ferisco alle parole di Marco Meriggi secondo cui il liberalismo italiano post ’48avrebbe avuto difetti costitutivi, soprattutto «poca fiducia nell’individuo e nelsuo senso di responsabilità personale, che rappresenta l’autentico fulcro delgrande liberalismo europeo»20. Ebbene, la tragicità della visione del mondo diVerdi deriva proprio dalla distanza fra la sua idea di responsabilità individualeverso la collettività, e la realtà della «scioltezza» atavica, che l’unificazione po-litica non sarà sufficiente a ricomporre, e alla quale le parole di Meriggi allu-devano.

Che il Ballo sia opera di svolta nella drammaturgia di Verdi è l’unico datosu cui tutti concordano, dal vecchio Basevi (Studio sulle opere di Giuseppe Ver-di, Tofani, Firenze 1859) a Massimo Mila e Gabriele Baldini. Già dal punto divista puramente statistico emerge un dato eloquente: fino al 1859 Verdi com-pone 21 opere in 20 anni; dopo il Ballo seguiranno solo 5 opere in 42 anni (6comprendendo la riscrittura del Boccanegra). Dal punto di vista strettamenteartistico, escludendo i contenuti sociali e politici, il Ballo è caratterizzato piùche ogni altra opera precedente dal pluristilismo, dall’alternanza di stili e di re-gisti comico, grottesco, tragico, leggero. Ma ciò che più di tutto è cambiato èil contesto storico e culturale; e come sempre Verdi ha una chiara intenzionedi legarsi a esso, di offrire una interpretazione-trasfgurazione di questo conte-sto nazionale in rapida evoluzione, di rispondere a questo cambiamento con-testuale alla vigilia dell’Unità. Esattamente in questo momento, all’inizio del1859, inizia ad emergere vistosamente un nuovo «discorso» politico del Risor-gimento, in cui vengono risemantizzate le precedenti parole chiave, come pa-tria, unità, risorgimento stesso. Inizia l’opzione monarchica sabauda, che so-stituisce i precedenti indirizzi, tanto la pratica cospirativa quanto il dichiaratorepubblicanesimo; iniziano i nuovi luoghi comuni poi entrati nella mitologia

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21. Sia la rivolta di Milano sia la vicenda di Pisacane videro una spaccatura fra mazziniani eproto-socialisti; cfr. r. sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Laterza, Ro-ma-Bari 1997, pp. 215-216.

patriottica unitaria su Vittorio Emanuele ii: il «re galantuomo», il «padre delpopolo italiano». E allo stesso tempo inizia l’uso popolare, dal basso, dell’a-cronimo «w v.e.r.d.i.». Il motivo di questa contemporaneità di sviluppi sitrova nelle vicende che circondano l’origine dell’opera di verdiana.

Quando Verdi inizia il progetto del Gustavo III (il dramma originario diEugène Scribe, che più volte modificato dalla censura diverrà Una vendetta indomino e finalmente Un ballo in maschera) la situazione politica dell’Italia èenormemente complessa, e senza una sua conoscenza mi sembra difficile com-prendere perché le censure di Napoli e di Roma si accanirono così sul librettodi Antonio Somma; un accanimento poco comprensibile, dato che il sogget-to era già ampiamente conosciuto grazie al dramma omonimo di AntonioGherardi del Testa, che sin dai primi anni Cinquanta era rappresentato anchesulle scene romane, e le cui vicende sono molti simili all’opera di Verdi senzache nessuna censura alzasse scudi contro il modesto drammaturgo.

L’esempio massimo di questo acceso clima spirituale è la spedizione su Na-poli di Carlo Pisacane nel 1857; fermatosi a Sapri, la spedizione fu un falli-mento e una carneficina, che conseguiva a fallimenti di consimili tentativimazziniani, sebbene meno sanguinosi, nel 1853 a Genova e Milano (il famo-so «6 febbraio»)21. In quello stesso momento Daniele Manin sferra un attaccofrontale contro la «teoria del pugnale» di Mazzini con il celebre articolo del 25maggio 1856, uscito sul Times di Londra, dove entrambi vivevano esuli. Que-sti fatti, uniti al fallito attentato a Napoleone iii da parte di Felice Orsini, de-terminano un capovolgimento degli atteggiamenti di molti italiani verso Maz-zini e verso la lotta cospirativa mazziniana. La figura stessa del cospiratore, le-gato a una lunga tradizione di tenebroso romantico che risale a figure monu-mentali come Carl Moor e Hernani, perde fascino tanto nella realtà storicaquanto nella trasfigurazione artistica. Ed è sul terreno preparato da questieventi, che si verifica un radicale mutamento negli animi di molti degli Italia-ni più influenti, fra cui Verdi: un crescente sfavore nei confronti di Mazzini edel suo nuovo Partito d’Azione, che realmente in questi anni colleziona diver-si fallimenti.

Lo spazio lasciato vuoto dal mazzinianesimo tramontante, viene abilmenteriempito da alcuni ex-mazziniani, ora ripiegati su posizioni liberali-moderate.Daniele Manin (presidente), Cavour, Giorgio Pallavicino-Trivulzio e GiuseppeLa Farina, con l’appoggio di Garibaldi, Costantino Nigra, Camillo Casarini(sarà il primo sindaco delle sinistre a Bologna, primo in Italia) e molti altri, fon-

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22. Il Programma del 1856 presentava in testa al frontespizio le parole «Unificazione» e «Indi-pendenza»; la prima di queste parole provocò l’opposizione del Partito d’Azione di Mazzini, chepretendeva di affermare l’idea dell’«Unità» come collegialità di tutto il popolo; mentre secondoMazzini il concetto stesso di «unificazione» era opposto all’egualitarismo, avendo in sé, com’e-ra realmente, un velato pregiudizio centralista.

dano nel 1856 a Torino, dopo il trattato di Parigi, la Società nazionale italiana(Fig. 2), che sosteneva l’idea annessionista sabauda, non rivoluzionaria, non re-pubblicana, non federalista, non neoguelfa, ma sotto la corona del giovane reVittorio Emanuele ii22. Non stupisce che Antonio Somma, il librettista del Bal-lo in maschera, fosse vicino a questa idea, lui che era stato stretto collaboratoredi Daniele Manin durante la Repubblica di S. Marco del 1849, il quale Maninera ora il presidente della neo-fondata Società; come vicino a quell’idea era il sa-lotto Maffei, Clarina e Carlo Tenca, amici storici dello stesso Verdi.

Cosa c’entra la Società nazionale con il Ballo in maschera? C’entra al puntoche, quando se ne sarà approfondito un poco il programma, l’opera di Verdi ri-sulterà quasi una proiezione programmatica della Società, e la tragedia finalesuonerà come dimostrazione dell’errore in cui altri indirizzi politici, più preci-samente la anacronistica congiura («teoria del pugnale»), possono indurre.

È in questo clima che Verdi e Somma iniziano il progetto sul Gustavo IIIper Napoli. Per essere più precisi: nell’estate 1856 Manin fonda a Torino la So-cietà nazionale, la spedizione di Pisacane salpa a fine giugno 1857 e segnerà lostadio più basso del favore mazziniano; nell’ottobre dello stesso 1857 Sommae Verdi decidono il soggetto del Gustavo III, che diverrà appunto Un ballo inmaschera. Mi sembra che questa cronologia minima lasci poco spazio a dub-bi. Come già detto, la censura napoletana vietò radicalmente l’opera, anchedopo le modifiche imposte agli autori. E a questo punto cade un’ulteriore con-ferma del disegno politico di Verdi e Somma: Tito Ricordi propone di mette-re in scena l’opera a Milano, dove la censura più larga l’avrebbe probabilmen-te concessa. Verdi si oppone e propone di tentare a Roma perché, dice, inten-de far vedere ai Napoletani che neppure la pur severa censura pontificia rag-giunge la chiusura retrograda di quella borbonica. Insomma: un dispetto?Chissà perché la storiografia verdiana, che da molto tempo è consapevole chenon bisogna mai fidarsi quando Verdi parla di se stesso, in questo caso ha sem-pre dato cieca fiducia a questa motivazione. Ma è possibile che Verdi, ormaigià il grande Verdi, avesse bisogno di queste infantili ripicche? Non ci sarà unaltro motivo un po’ più serio di questa testardaggine? Non ho prove certe, macredo che la risposta sia precisamente nella Società nazionale italiana: Manin,Cavour, Pallavicino e La Farina avevano grandi contatti nel settentrione, so-prattutto a Torino e Milano; ma la Società nazionale contava ancora assai po-chi affiliati e sostenitori nel Centro-Sud, soprattutto perché mancava di con-

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tatti nelle due capitali Roma e Napoli. Al Nord della penisola gli animi eranogià pronti alla guerra (del 1859) e propensi alla unificazione sotto la corona diVittorio Emanuele ii. Assai più recalcitranti il Regno delle Due Sicilie e lo Sta-to Pontificio, restaurato e reazionario dopo la Repubblica del 1849. Il Balloporta in scena diverse situazioni (re galantuomo, congiurati da operetta grot-teschi e inconcludenti) che rispecchiano il nuovo discorso che la Società na-zionale italiana portava avanti nell’Italia del Nord, ma che stentava a penetra-re nel Centro-Sud (e infatti l’avversario Mazzini soprattutto qui cercava gio-vani pronti al suo reclutamento e alla sua azione).

Se si accetta la lettura politica del Ballo, ecco che la cocciuta insistenza diVerdi dapprima per Napoli (dove già aveva accettato imposizioni censorie chealtrove non avrebbe digerito), poi per Roma prende tutt’altro significato, etutt’altro valore: non certo un capriccio di amor proprio offeso, ma ancoraquel principio di responsabilità per cui Verdi pur sapendo che la sua creazionesarebbe stata eseguita peggio che a Milano volle che la prima avvenisse conmezzi artisticamente inferiori ma a Roma, dove occorreva fare proselitismopolitico per le nuove idee di Manin e Somma. È un sacrificio dell’amor pro-prio ossia della individualità del creatore, quello stesso che Verdi porta in sce-na, a favore di una causa collettiva; ed è conseguenza della convinzione di es-sere dalla parte giusta, dalla parte che farà la storia. E anche in questo Verdi havisto giusto.

Verdi e Somma, apportando sostanziali cambiamenti rispetto alle prece-denti narrazioni del medesimo fatto (quella di Scribe e quella di Gherardi delTesta), raffigurano nel Ballo in maschera un re (il primo re democratico di Sve-zia, che diviene nei passaggi delle censure figura di più modesto lignaggio, go-vernatore britannico nella lontana Boston) amato dal suo popolo, da una par-te; dall’altra, gli antagonisti sono una cricca di congiurati incapaci e grotteschi,che se non ricevessero l’aiuto a tradimento di Renato, il «più fido amico» delgovernatore, mai riuscirebbero nei loro disegni, nelle loro vane «teorie del pu-gnale». Non ci vuole troppa fantasia per vedere l’opposizione valoriale fra ilgiovane re Vittorio Emanuele (il re-conte Riccardo) e i congiurati mazzinianie cospiratori ormai fuori tempo (Tom e Samuel, con seguito), figure un tem-po romantiche e oscuramente attraenti come Ernani, che la storia stava met-tendo ai margini.

Eppure nel 1855, solo due anni prima della decisione di portare in scena ilBallo con il nuovo librettista Somma, Verdi aveva tratteggiato ancora un figu-ra affascinante e positiva di cospiratore ribelle, in lotta sanguinosa ed estremacontro il potente governatore locale, nelle Vêpres siciliennes, dove Procida can-tava una cabaletta davvero trascinante ed emozionante, traendo dall’incertez-za e dall’oscurità del dubbio i suoi congiurati:

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23. e. scribe, ch. duveyrier, g. verdi (trad. it. di Arnaldo Fusinato), Les Vêpres sicilien-nes - I Vespri siciliani, atto ii, scena prima.

24. a. somma, g. verdi, Un ballo in maschera, Atto iii, scena settima.

coro

Nell’ombra e nel silenzioMaturiam la vendetta;Non teme e non l’aspettaIl crudel oppressor.

procida

Santo amor, che in me favelli,Parla al cor de’ miei fratelli;Giunto è il fin di tanto duolo,La grand’ora al fin suonò23!

È quindi nello strettissimo lasso di due anni, dal 1855 al 1857, che Verdi cam-bia idea; alla «teoria del pugnale» di Procida subentra il «re galantuomo» Ric-cardo. E la Società nazionale viene fondata esattamente in mezzo a queste dueopere, fra cui Verdi compie la sua svolta politica. Con una situazione così chia-ra, l’ipotesi che Verdi condividesse queste scelte mi sembra plausibile, anchese al momento non è noto alcun documento che attesti la sua adesione uffi-ciale alla Società nazionale.

D’altronde le figure del nuovo discorso risorgimentale monarchico-annes-sionista si diffondono in fretta: soprattutto al padre della patria Vittorio Ema-nuele viene riservato un rispetto composto e accorato, che subito ci porta nel-la medesima atmosfera della conclusione del Ballo in maschera. Ecco comeSomma chiude il libretto, deprecando implicitamente l’errore politico deicongiurati (leggi «mazziniani»):

Cor sì grande e generosoTu ci serba o Dio pietoso:Raggio in terra a noi miserrimiÈ del tuo celeste amor24.

Quando Vittorio Emanuele ii morirà, nel 1878, il necrologio fatto da Edmon-do De Amicis riprende quella figura del re legato al suo popolo da un affetto re-ciproco, circondato dall’armonia fra popolo e re, che era un sogno di altri tem-pi sotto la spinta delle classi inferiori: «Addio, buon re, prode re, leale re! Tu vi-vrai nel cuore del suo popolo finché splenderà il sole sopra l’Italia». Non è an-

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data proprio così, poi; ma De Amicis (il socialista De Amicis) allora stava in-terpretando i sentimenti comuni di tutte le classi dell’Italia borghese, sentimen-ti che altro non erano se non il frutto delle idee della Società nazionale italiana.

E che questa sia creazione intenzionale di Somma e Verdi, che il misto dipassione e nobiltà diventi la caratteristica del loro personaggio, come trasfigu-razione di Vittorio Emanuele, si chiarisce dalla differenza fra Riccardo e la bat-tuta finale del Gustavo III di Gherardi del Testa pronunciata dal suo fido Adel-berth: «O Gustavo, il tuo genio ti schiuse la via della gloria, le tue passioni tiaprirono la tomba (tutti s’inginocchiano attorno al re. Quadro, e cala la tela)»:dove Somma fa un nuovo eroe della «responsabilità» individuale, Gherardiporta in scena poco più che un libertino.

Siamo in un momento, alla metà dei Cinquanta, in cui cresce il favore peril giovane re galantuomo, ricco di vitalità, appassionato, ma al tempo stessoresponsabile e vicino al suo popolo, sensibile ai «gridi di dolore» degli italiani;nello stesso momento, all’opposto, dopo il 1853 e il fallimento dei moti a Mi-lano, il mazzinianesimo, fatto di cospirazioni segrete, di ideali democratici re-pubblicani messianici, ma poco concreti sul piano dell’azione politica, perdequota e favore (solo nelle classi operaie sembra conservare qualche diffusione).Il congiurato che trama nell’ombra, nel silenzio, nel segreto notturno, per poiuscire improvvisamente alla luce e scoprirsi vittorioso diventa una figura fuo-ri tempo e fuori del reale; quasi un rudere di tempi passati, davanti appuntoal «re galantuomo» che è accolto con favore nelle grandi corti e negli ambien-ti della diplomazia internazionale. E d’ora in poi lo slogan patriottico non saràpiù «Dio e Popolo», ma «Vittorio Emanuele e Italia» (questo era infatti unodei motti della Società nazionale): appunto «w v.e.r.d.i.». Il «re galantuo-mo» contro la «teoria del pugnale»: non sembra di vedere il re-conte Riccardoe i congiurati da commedia del Ballo in maschera?

Ed ecco il motivo per cui così tante censure hanno accolto con ostile du-rezza quest’opera, una durezza altrimenti poco comprensibile. È vero che le si-tuazioni del libretto sono scabrose, ma in fondo non più di altre trame similicon intrecci marito moglie amante assai prossimi a questo: Beatrice di Tenda,il Pirata, Marin Faliero, Roberto Devereux solo per indicarne alcuni. Eranomolto più rischiosi semmai Rigoletto e Traviata, se guardiamo alla esclusivamorale pubblica; né le situazioni (patibolo, magia, superstizione, assassinio inscena) erano poi così inedite da suscitare problemi insormontabili. La questio-ne, credo, è ancora da ricercarsi sul piano politico e strettamente legato alla si-tuazione dell’Italia del momento.

Il cammino del pensiero politico di Verdi, quindi, si misura con l’evolu-zione della figura del re-governatore: se nelle opere giovanili tale figura è sem-pre negativa, autoritaria, spesso usurpatrice (pur con eccezioni come Carlo v

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46 giuseppe verdi e il risorgimento

25. g.e. bidera, g. donizetti, Marin Faliero, Atto iii, scena sesta (nel libretto originale diBidera quest’aria del Baritono Israele Bertucci, con l’oscuro coro dei condannati che la precede («Siimaledetta, o terra»), non compariva; si tratta di un’aggiunta probabilmente dovuta ad AgostinoRuffini, che collaborò con Donizetti a Parigi per gli ultimi aggiustamenti poetici durante le provedella prima esecuzione al Théâtre Italien; Ruffini era vicinissimo a Mazzini; il fratello Giovanni erain quello stesso momento esule in Svizzera con lo stesso Mazzini e l’altro fratello Jacopo era mor-to suicida dopo essere stato catturato e accusato di cospirazione dalla polizia a Genova).

26. t. solera, g. verdi, Ernani, Parte iii (La clemenza), scena quarta.

nell’Ernani, che sceglie la magnanimità del perdono), con Simon Boccanegra eUn ballo in maschera emerge una nuova figura positiva del governatore, nonpiù tiranno, come Nabucco o Monforte, né libertino, come il duca di Man-tova, ma nobile cuore appassionato e sprezzante di pericoli e superstizioni.

Speculare all’elevazione di questa figura a nuovo eroe positivo, è la degra-dazione della figura del congiurato: il cospiratore perde fascino, non è più co-me nelle opere precedenti il depositario, tragico perché spesso sconfitto, dellagiusta causa. Ecco allora a confronto il suono del cospiratore, un tempo posi-tivo e coinvolgente, e la nuova figura di congiurato da commedia, leggero eironico, pronto a volgere tutto in ironia, beffardo e totalmente privo di ispi-razione politica o di ideali sociali, che subentra dopo il 1856 nel melodrammaverdiano. Il primo esempio coglie «il suon di chi sprezza i perigli» dal Falierodi Donizetti (1835)

israele bertucci

Odo il suon di chi sprezza i perigli,viva i prodi, miei liberi figli,grazie al nume che premia il valor25.

Ecco poi i celeberrimi versi dei congiurati, nobili e commoventi, del verdianoErnani (1844), dove Solera e Verdi, come già Ruffini e Donizetti nell’estrattoprecedente, hanno ritenuto necessario ricorrere agli ormai tradizionali decasil-labi anapestici manzoniani:

coro

Si ridesti il Leon di Castiglia,E d’Iberia ogni monte, ogni litoEco formi al tremendo ruggito,Come un dì contro i Mori oppressor26.

Ai congiurati di Acquisgrana Verdi assegna un’impronta ritmico-melodica nonlontana dalla cabaletta di Procida dei Vespri sopra ricordata. Ed ecco invece la

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verdi fra gioberti e manin 47

27. a. somma, g. verdi, Un ballo in maschera, Atto ii, scena quinta [l’ultimo verso in par-titura viene modificato così: «e che commenti per la città!»].

28. Ivi, Atto iii, scena quinta.

corrosiva ironia, grottesca a disincantata, dei congiurati da commedia del Bal-lo in maschera:

samuel, tom

Ve’ se di notte qui colla sposaL’innamorato campion si posa,E come raggio lunar del mieleSulle rugiade corcar si sa!

coro

Ve’ la tragedia mutò in commediaPiacevolissima – ah! ah! ah! ah!E che baccano sul caso stranoAndrà dimane per la città27!.

Se questi sono i malridotti esponenti di una teoria del pugnale ormai da com-media, al contrario il giovane re-conte Riccardo, che come Sigfrido non co-nosce la paura, come Sigfrido capitola davanti a una donna; ma diversamen-te dall’eroe wagneriano sente il senso della responsabilità e rinuncia a lei. Equesta rinuncia provoca una delle melodie più nobili del teatro di Verdi; ilnuovo re, pieno di vitalità e di coraggio, non è però né libertino, né un inco-sciente senza criterio, né incapace di nobili sensi. Forse un’immagine addirit-tura eccessivamente immacolata, irrealisticamente dotata di ogni qualità e me-rito; ma occorreva questo capovolgimento del regnante in figura assolutamen-te positiva, dopo i ritratti musicali di uomini potenti profondamente negativicome Monforte, Nabucco (fino al fulmine che gli toglie la ragione), il contedi Walter nella Miller o il libertino duca di Mantova:

riccardo

Ma se m’è forza perdertiPer sempre, o luce mia,A te verrà il mio palpitoSotto qual ciel tu sia,Chiusa la tua memoriaNell’intimo del cor28.

Page 30: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

48 giuseppe verdi e il risorgimento

Ancora il «principio responsabilità» dunque, che diventa in questo modo trat-to caratteriale distintivo della nuova figura di «re galantuomo», testimone delnuovo «discorso» della Società nazionale italiana. Non stupisce più, a questopunto, che il re-conte Riccardo presenti in questo cantabile forti analogie conla più memorabile aria di Manrico, il cantabile del finale terzo «Ah si, ben mio,coll’essere» nell’Atto terzo del Trovatore.

Considerare oggi il teatro di Verdi solo come cornice per bella musica, ocome sequenza di situazioni a disposizione della fantasia immaginifica dei gio-vani registi «creativi», o all’opposto considerare i suoi messaggi solo luoghi co-muni, frasi fatte o anacronistici proclami di patriottismo, credo sia un gravefraintendimento del ruolo di Verdi nella storia intellettuale dell’Italia ottocen-tesca, tale da impedirne la comprensione dei contenuti, dei substrati signifi-cativi ancor oggi attivi. La sua attualità infatti non risiede nel solo paradigmaartistico, ma è dovuta a profondi radicamenti morali e a contenuti eminente-mente politici, che hanno ancora una vitalità comunicativa e che mostrano lasua attiva partecipazione alla storia del pensiero nell’Italia risorgimentale. Èappunto grazie alla sua musica, non alle situazioni del libretto o alle parole delpoeta, che lo spettatore può avvertire in tutta la sua profondità il capovolgi-mento di valori relazionali fra re-governanti e congiurati loro avversari; graziealla musica del Ballo in maschera, come ho spiegato sopra, Verdi partecipa daprotagonista a un nuovo discorso risorgimentale monarchico-annessionista, ildiscorso anti-mazziniano portato avanti dalla Società nazionale di Manin, nelquale la figura del giovane re diventa il nuovo verbo da diffondere a discapitodella figura, ormai screditata, del cospiratore segreto. E a questo Verdi arrivadopo aver attraversato diverse fasi del pensiero politico, sempre in sintonia conquanto il contesto nazionale andava esprimendo, come abbiamo visto a pro-posito della convergenza fra il mazzinianesimo e la fase verdiana dal progettodel Lorenzino all’Inno popolare, poi fra i contenuti di Attila in parallelo con ilPrimato morale e civile degli Italiani di Gioberti, infine fra le istanze della So-cietà nazionale italiana e Un ballo in maschera.

E se la musica di Verdi vive oggi come un’inossidabile esperienza estetica,anche questi fondamenti morali e politici hanno ancora molto da insegnare.Quanta strada, quanto impegno dai tempi dell’Attila, dell’impegno giobertia-no a favore della soluzione neoguelfa! Certo, a ripercorrere a volo cinquant’an-ni di storia risorgimentale, se proseguissimo oltre il Ballo in maschera alle gran-di opere della tarda fase (Don Carlos, Aida e Otello) Verdi apparirebbe come iltragico eroe di una disillusione, non certo come il vigoroso retore con tantabuona volontà ma poco pensiero, il contadino semplice e un po’ grossolano,l’umile che parla agli umili, che certa propaganda della prima metà del Nove-cento aveva strumentalmente creato. Se procedessimo, vedremmo Verdi

Page 31: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

verdi fra gioberti e manin 49

sprofondare dopo il Ballo in maschera in una lunga fase di pessimismo semprepiù nero, diventando l’eroe tragico del Risorgimento, il testimone più di unfallimento che della gloriosa rigenerazione sperata, che attraversa continue di-sillusioni sull’Italia e sugli italiani.

Ora non vorrei finire con un tratto retorico, non vorrei suscitare l’impres-sione di ricorrere a luoghi comuni, ma questo del «principio responsabilità»è forse l’insegnamento maggiore che i personaggi di Verdi ci consegnano an-cor oggi; dai più semplici e impulsivi, come Arrigo della Battaglia di Legna-no o Manrico, ai più maturi, sofferenti, consapevoli, veri eroi tragici sconfit-ti eppure ancora altissimi modelli di responsabilità civile: Simone Boccane-gra anzitutto, ma anche Don Carlo e l’amico marchese di Posa, il Don Alva-ro della Forza, fino ad Aida, senza dimenticare Violetta, non certo una sem-plice figura scandalistica, da guardare con la curiosità morbosa per il diverso,ma una forza della natura nell’esercizio della rinuncia e nell’anteporre il do-vere e la responsabilità verso gli altri al protervo e unilaterale egoismo. Unprincipio, la responsabilità individuale davanti alla collettività, che dal Maz-zini dei Doveri dell’uomo passa al re immaginato e auspicato dalla Società na-zionale, poi fino al De Sanctis dei saggi politici come La scienza e la vita; qua-si una costante di quella generazione che ha passato i periodi più oscuri delprocesso risorgimentale.

A chi, come Verdi, ha creato un mondo interiore così profondo e nobile(non ho altro termine), quanto deve essere sembrata profonda la decadenzadell’Italia davanti a un’Europa che l’ha continuamente umiliata, allora comeoggi!

Page 32: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Indice dei nomi

Abba, Giuseppe Cesare 81

Abbate, Carolyn 98 n90

Abbiati, Franco 54 n13, 68 n41

Adorno, Theodor Wiesengrund 88

Alberti, Annibale 151 e n1, 152 e n3, 153,

154, 155, 156 e n12, 157 e n15, 158, 159

e n22, 160, 161, 162, 163, 167

Aleardi, Aleardo 56

Alessandro i, zar di Russia 129

Alessio, Giulio 151, 153

Algardi, Zara Olivia 113 n45

Andrea ii, re d'Ungheria 148

Antolini, Bianca Maria 58 n24, 67 n38

Antonietti Porzi, Colomba 112

Antonovič, Cezar 99 n92

Appiani, Giuseppina 107, 113, 114 n47

Árpád re d’Ungheria 147 n17

Arrivabene, Opprandino 109, 151, 160, 161,

162, 163, 164 n36 n38, 165 n41 n42,

166 e n44 n45 n46 n47 n48 n49, 167

n50 n51 n52

Ashurst, famiglia 64 n30

Attila 26, 27, 36 e n14, 115 n53, 141

Auerbach, Erich 95 n80

Austen, Jane 78

Bagnoli, Paolo 59 n25

Baioni, Massimo 158 n18, 160 n24, 162 n30

Balbo, Cesare 30, 35, 160

Baldini, Gabriele 40

Bandiera, Attilio 29

Bandiera, Emilio 29

Banti, Alberto Mario 30 n5, 40 n20, 66 n36,

107 n4, 111 n30, 112 n34, 167 n54

Barbarossa, Federico (Friedrich der Rotbart,

Federico i Hoenstaufen, imperatore del

Sacro Romano Impero) 86, 87

Barezzi, Antonio 52 n3

Barezzi, Margherita 108

Bargnani, Rosa 107 e n2

Barrili, Anton Giulio 57 n21, 59 n25

Basevi, Abramo 40

Basso, Maria Luisa 88 n53, 100 n95

Batisti, Alberto 85 n40

Battistotti, Luigia 112

Beatles (The) 18

Beauharnais, Hortense de 66 n35

Beethoven, Ludwig van 89

Belinskij, Vissariòn Grigòr’evič 95

Bellini, Vincenzo 13, 17, 20, 92, 105, 132,

137, 138, 139

Beonio Brocchieri, Vittorio 17 e n5, 18, 22,

24

Berchet, Giovanni 27, 79

Berdjaev, Nikolaj 88

Berlioz, Hector Louis 74, 89, 142 n10

Bertocchi, Diego 88 n49

Bertolo, Bruna 111 n25

Betri, Maria Luisa 110 n20, 111 n24 n26

n28 n29 n30, 113 n46

Page 33: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Bihari, János 142 n10

Bissoli, Francesco 31 n8

Bixio, Nino 51, 52 n2, 53 e n9

Bloch, Ernst 88 n52

Blume, Friedrich 85 e n39

Bonacina, G. 77 n14, 97 n86

Bonaparte, Napoleone 74, 141

Bon-Compagni, Carlo 122 n15

Bonetti, Paolo 59 n25

Bonfigli, Vittore 153 e n5

Borkowska-Rychlewska, Alina 133 n9, 134,

136 n11

Boulez, Pierre 88 e n51

Bourgeois, Eugene 103

Bovio-Silvestri Paulucci, Giulia 112

Brambilla, Elena 110 n20, 111 n24 n26 n28

n29 n30

Brevan, Bruno 74 n6

Budden, Julian 13 e n2

Burkhardt, Jakob 34

Caddeo, Rinaldo 66 n35

Caglioti, Daniela Luigia 111 n26

Calame Modena, Giulia 112

Calvi, Pietro Fortunato 68

Cammarano, Salvadore 102

Camus, Albert 22

Canale, Michel Giuseppe 57 n21

Cannizzaro, Stanislao 124

Capuzzo, Ester 160 n24

Carcano, Giulio 109, 110, 153 n5

Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna 21,

31 n9, 54, 112

Carlo v d'Asburgo, re di Spagna e imperato-

re del Sacro Romano Impero, 45

Carnesecchi, Riccardo 110 n16

Caruso, Barbara 153 n7

Casanova, Eugenio 160

Casati Confalonieri, Teresa 111

Casertano, Antonio 154

Casini Nicosanti, N. 113 n44

Casu, Antonio 164

Cattaneo, Carlo 7, 66 n35

Cavour, Camillo Benso conte di 7, 15, 21,

23, 24, 40, 41, 67, 105, 114, 118, 121,

158, 163, 164, 165, 166

Cernuschi, Enrico 66 e n35

Černyševskij, Nikolaj 98 n92

Cervani, Giulio 113 n44

Cesari, Gaetano 31, 56 n17

Cessi, Roberto 151 n1, 156, 159

Chęciński, Jan 133, 136

Chestakova, Lioudmila 89 n56

Chiappini, Simonetta 108 n5

Chiarpa, Giuseppe 118, 119

Chiavistelli, Antonio 30 n5, 40 n20

Chop, Max 88 n51

Ciampi, Carlo Azeglio 11, 38 n17

Cillei, Ulrich 145, 146 n14

Cima, Vittoria 115

Claudel, Paul 102

Codignola, Arturo 55 n15, 57 n21, 64 n30,

65 n34

Colombati, Claudia 74 n4 n6 n9, 80 n21,

81 n27 n28

Cometa, Michele 84 n38

Conati, Marcello 26 n1, 31 n7, 82 n31

Congestrì, Marika 108 n8

Cornelius, Peter 96

Cornu, Sebastian 66 n35

Costa, Michele 52

Cui, Cezar Antonovič 99 n102

D’Amelia, Marina 107 n1

Dahlhaus, Carl 78 e n17, 95 e n80, 96,

97 e n85 n87 n80, 98 n92, 99, 100

n94

Dargomyžskij, Aleksandr Sergeevič 98 e n92

De Amicis, Edmondo 44, 45

De Giorgi, Paolo 38 n17, 51, 58, 59, 63

n27, 65, 67 e n38 n39, 68 e n40, 69 e

n43, 70 e n47, 71

De Longis, Rosanna 112 n35

De Lorenzo, Enrichetta 111

De Sanctis, Cesare 70 e n46

De Sanctis, Francesco 49, 70 e n46

170 giuseppe verdi e il risorgimento

Page 34: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

De Staël, Anne-Louise Germaine Necker,

baronessa di Staël-Holstein 31, 35

de’ Vecchi, Cesare Maria 158

Del Bianco, Nino 66 n35

Del Corno, Nicola 110 n21

Delacroix, Eugène 100

Della Peruta, Franco 54 n11, 164 n37, 166

n44, 166 n49, 167 e n53

Della Seta, Fabrizio 67 n37

Dembowski Viscontini, Matilde 111

Depretis, Agostino 120, 166 e n47

Diodati, Giovanni 101 e n2

Doni, Elena 110 n22, 115 n56

Donizetti, Gaetano 13, 17, 20, 28, 39, 46 e

n25, 92, 131, 132, 137, 138, 139

Dosi 117

Dostoevskij, Fëdor 83

Dranhet Bey, Paul 113 e n43

du Locle, Camille 82

Dumas, Alexandre (padre) 83

Duveyrier, Charles 44 n23, 82

Egressy, Béni 138, 147 n16

Eősze, László 140 n7

Erkel, Ferenc 138 e n2, 139, 140, 142, 144,

146, 147 e n16, 148, 149

Erkel, Sándor 140

Eschilo 83

Everist, Mark 76 n12, 97 n88

Falcone, Ugo 160 n26

Farini, Luigi Carlo 117, 123

Federzoni, Luigi 155

Ferdinando i d'Asburgo-Lorena (Ferdinando

v re d'Ungheria) 145

Ferdinando ii di Borbone, re delle Due Sici-

lie 11

Ferrari Zumbini, Romano 155 n9

Ferretti, Jacopo 26 n1

Fichte, Johann Gottlieb 74

Fieschi, Giuseppe 31 n9

Filippini, Nadia Maria 112 n36

Filippo ii 23, 82

Filippo Strozzi, pseudonimo di Giuseppe

Mazzini 32

Finelli, Michele 51 n1, 66 n36

Fioruzzi, Carlo 117

Fletcher, Aspasia Lega 53 e n6

Flora, Francesco 79 n20, 80 n23 n25, 81

n28, 92 e n66

Florimo, Francesco 20

Fogazzaro, Antonio 124

Fomin, Evstignej Ipatovi 98 n91

Fulcher, Jane 97 n88

Galeotti, Giulia 112 n33

Galimberti, Claudia 110 n22, 115 n56

Gallenga, Antonio 31 n9

Garibaldi, Giuseppe 7, 15, 21, 41, 81, 83

n32, 107 n1, 120

Garibaldi, Luigi Agostino 52 n3

Gastel Chiarelli, Cristina 113 n39

Gelli, Piero 107 n1

Gelmetti, Gianluigi 38 n17

Gentile, Egildo 159

Gentile, Giovanni 158, 159

Gertrude di Merania (Gertrud von Andechs-

Meranien) 147, 148

Gervasoni, Marco 164 n37

Gherardi del Testa, Antonio 41, 43, 45

Ghisalberti, Alberto Maria 158, 160 n28

Ghislanzoni, Antonio 105

Giannone, Pietro 59 n25

Gigli Marchetti, Ada 65 n33

Gili, Antonio 108 n8

Gioberti, Vincenzo 7, 25, 26, 28, 29, 30,

31, 33, 35, 36, 40, 48, 51, 79, 160

Giulio ii, pontefice 36

Giuriati, Giovanni 155 e n11

Giusti, Giuseppe 14, 81 e n17

Glinka, Michail Ivanovič 89, 98

Goethe, Johann Wolfgang von 74, 84, 104

n6

Gogol, Nikolaj Vasilievič 90

171indice dei nomi

Page 35: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Golénichtchev-Koutouzov, Arséni 91 n64

Gossett, Philip 63 n27, 104 n7

Goya, Francisco 100

Graffigna, Angelo 69

Graziani, Carlo 165 n43

Grisi, Giulia 52

Grossi, Tommaso 110

Grosso, Maria 110 n22, 115 n56

Guiccioli, Alessandro 159 n22

Guidi, Giovanni Gualberto 58 e n24, 61, 63

e n27, 64, 65, 68 n43

Guidi, Laura 112 n32

Guizot, François Pierre Guillaume 34

Gurgul, Monika 132 n7, 136 n12

Habermas, Jürgen 39 n19

Halévy, Jacques François Fromental 96 e

n84, 104

Hayez, Francesco 27, 100

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich 77 n14, 89

n54, 97 n86

Heine, Heinrich 96

Herder, Johann Gottfried 84

Honegger, Arthur 102

Hopkinson, Cecil 70 n 45 n47

Huebner, Joseph Alexander (von) 22

Hugo, Victor 83, 100

Hunyadi 89 n55, 91 n63

Hunyadi, János 145, 146 n14

Hunyadi, Mattia Corvino, re d’Ungheria

146 n14

Iannuzzi, Lina 110 n19

Imbriani, Paolo Emilio 31 n8

Infelise, Mario 65 n33

Interlandi, Telesio 153

Ipatovi Fomin, Evstignej 98 n91

Isastia, Anna Maria 114 n49

Isotta, Paolo 93, 94 n71

Jabłoński, Maciej 131

Jamme, Christoph 84 n38

Jasiński, Jan 132, 133, 136

Jonas, Hans 39 e n19, 40

Jurek, Lidia 129 n1

Katona, József 147

Klein, Alessandro 73 n1

Kölcsey, Ferenc 145

Lacroix, Hortense 66 n35

Lamarra, Anna Maria 112 n 32

Lamberti, Giuseppe 51, 52 n2, 53

Lanza, Giovanni 121

László v d’Asburgo, re d’Ungheria e di Boe-

mia (Ladislaus Postumus) 145 e n14

Lazzaroni, Giuseppina 112

Leibowitz, René 92 e n67

Lennon, John 18

Leo, Heinrich 33, 34

Leonardi, Andrea 113 n44

Leone Magno, papa 26, 36 e n14

Lessona, Michele 34

Levi, Lia 110 n22, 115 n56

Lincoln, Abraham 160

Liszt, Ferenc (Franz) 73 e n1 n2, 75, 142 e

n10, 144

Livi, Angelo 154 n8

Lo Gatto, Ettore 95 n78

Long, Gianni 101 n1

Luigi Filippo d’Orleans, re di Francia 31 n9,

54

Luigi ii Jagellone, re d’Ungheria e Boemia

148 n18

Lumley, Benjamin 52, 53, 54

Lupo, Salvatore 155 n10

Luzio, Alessandro 31 n7, 56 n17, 70 n46,

160 e n25, 161, 162 e n31, 163, 167

Luzzatti, Luigi 157

Mack, Dietrich 88 n52

Macry, Paolo 107 n4

Maestri, Pietro 59 n25, 122 n15

Maffei, Andrea 29, 109 e n14, 110

172 giuseppe verdi e il risorgimento

Page 36: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Maffei, Clara 12, 21, 26 n1, 42, 66 n35,

107, 108, 110 e n19 n23, 111, 112, 113 e

n40 n42, 114 e n48 n51, 115 e n52 n53

n54 n55 n56

Magnani, Luigi 74 n8

Maldini Chiarito, Daniela 107 n4, 110 n20,

111 n24 n28

Mameli, Goffredo 19, 29, 37, 54 e n14, 55 e

n15 n16, 56, 57 n21, 59 e n25, 60, 63

n27, 64 e n31, 65 e n31 n34, 67, 68

n43, 69, 70, 103

Mamiani, Terenzio 122

Manara, Luciano 109

Manfredi, Giuseppe 117

Manin, Daniele 29, 41, 42, 43, 48

Mann, Thomas 88

Mannori, Luca 30 n5, 40 n20

Mantovani, Costantino 59 n25

Manzoni, Alessandro 27, 79, 80 e n23 n24,

83, 100, 115 n56, 122 n15, 124

Manzotti, Michele 164 n37

Maraini, Dacia 110 n22, 115 n56

Marcora, Giuseppe 152, 157

Marcucci, Luisa 159

Marica, Marco 67 n37

Maroncelli, Piero 19

Martini, Giovanni Battista (Padre) 98 n91,

100

Martini, Giuseppe 107 n1, 164 n35

Mascilli Migliorini, Luigi 65 n33

Matejko, Jan 100

Matinski, Mikhaïl 98 n91

Matteotti, Giacomo 153, 154

Maturi, Walter 160 e n25

Mazzini, Giuseppe 7, 15, 16, 19, 24, 26,

29, 30, 32, 36, 37 e n16 n17, 38 e n18,

40, 41, 42 n22, 43, 46 n25, 49, 51 e

n1, 52 e n4, 53 e n6 n7 n9, 54 e n14,

55 e n16, 57, 58 e n22, 61, 63, 64 e

n30 n31, 65, 66, 67 e n39, 68, 70, 79,

83, 103, 105, 160, 163

Mazzini, Maria 51, 52

Mazzola, Maria Rosa 16 e n4

Melloni, Macedonio 160

Meloni, Ilaria 109 n14

Merelli, Bartolomeo 141

Meriggi, Marco 30 n5, 40 e n10

Méry, Joseph 81

Metternich, Klemens Wenzel Nepomuk

Lothar von Metternich-Winneburg-

Beilstein 145

Meyerbeer, Jakob (pseudonimo di Liebmann

Meyer) 96 e n83, 97, 98, 104

Michiel Giustiniani, Elisabetta 112

Michieletto, Damiano 38

Migliore, Benedetto 153 e n5

Mila, Massimo 22 n8, 23 e n9, 40, 81 n29,

82, 85 n40, 87 e n48, 92 e n65, 99,

102 n4, 106 n10, 107 n1, 114 n50

Milesi Mojon, Bianca 111

Milza, Pierre 11 n 1, 13 n 3, 18 n 6, 20, 21,

109 n 13 n 15, 164 n 37

Minghelli Vaini 118 n4, 164 n37

Mioli, Piero 102 n3

Mischi, Giuseppe 117

Miszalska, Jadwiga 132 n7, 136 n12

Mittner, Ladislao 83 e n33

Modena, Gustavo 32, 59 n25

Moleschott, Jakob 123

Monari, Giorgio 37 n17

Mondini, Antonio 59 n25

Moniuszko, Stanisław 133, 134 e n10, 135

Monsagrati, Giuseppe 66 n35

Montalcini, Camillo 151, 152 e n2 n3, 153,

154, 157 e n13, 159

Montanelli, Giuseppe 59 e n25, 114

Montemorra Marvin, Roberta 37 n17, 64

n31, 65 n31, 67 n37

Monteverde, Giulio 124 e n24

Montorfani, Pietro 107 n1 n2, 108 n6 n8

n9, 109 n11

Mori, Maria Teresa 107 n3, 111 n29

Morosini Negroni Prati, Giuseppina 107 e

n1 n2, 108, 112

173indice dei nomi

Page 37: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Morosini, Annetta 107, 109

Morosini, Carolina 107, 109

Morosini, Cristina 107, 109

Morosini, Emilia 107 e n1, 108, 109

Morosini, Emilio 107 n1

Mosconi Papadopulis, Teresa 112

Municchi, Carlo 122 n15

Musiedlak, Didier 155 n9, 155 n11

Mussolini, Benito 153, 155

Mussorgskij, Modest 77, 85, 91 n63 n64,

100

Muti, Riccardo 105 n9

Muzio, Emanuele 52 n3

Napoleone iii, imperatore dei Francesi (Car-

lo Luigi Napoleone Bonaparte detto an-

che Luigi II d’Olanda) 31 n9, 41, 52,

66 n35, 83 n32, 114 e n52, 167 n50

Nattiez, Jean-Jacques 76 n12

Negrelli, Luigi 113

Negroni Prati, Gerolamo conte 108

Németh, Amadé 144 n13

Neri, Achille 56 n19

Nicola i Romanov, zar di Russia 129

Nievo, Ippolito 79

Novaro, Michele 19, 70

Oberdorfer, Aldo 82, 83 n32, 112 n38, 114

n47 n51, 115 n52 n55

Omero 89

Orsini Angelo 56 n19

Orsini, Felice 31 n9, 41, 68, 83 n32

Pacelli, Mario 152 n2, 153 n6

Pacini, Giovanni 31

Palazzolo, Antonello 38 n17, 58 n23

Palazzolo, Maria Iolanda 65 n33

Palieri, Maria Serena 110 n22, 115 n56

Pallavicini-Trivulzio, Anna donna 68

Paolucci, Raffaele 154

Parker, Roger 98 n90

Patriarca, Silvana 30 n6, 107 n1

Pecchioli, Alessandra 105 n8

Pellico, Silvio 20, 79, 83

Pertici, Roberto 160 n25

Pestalozza, Luigi 118 n3, 121 n13

Petőfi, Sandor 146 n15

Petruccelli della Gattina, Ferdinando 120 n6

Piave, Francesco Maria 13, 16, 17, 18, 19,

20, 22, 24, 26 n1, 31, 32 e n10, 33 n11,

35, 54 n13, 67, 68 e n41 n42, 70, 82

n31, 103, 118, 120, 144 n12, 164 n36

Pierantoni, Augusto 123

Pio ix, pontefice 36

Piroli, Giuseppe 164

Piscitelli, Enzo 151 n1

Pistrucci, Scipione 64 e n30

Pizzigalli, Daniela 110 n18

Poniatowska, Irena 131, 134

Porati, Alessandra 110 n21

Portinaro, Pier Paolo 39 n19

Pozzi, Carlo 58

Prati, Giovanni 79

Puškin, Aleksandr Sergeevič 90, 96, 98, 99

Radziszewski, Maksymilian 132, 136

Raffaello Sanzio 26, 36 e n14

Rákóczi ii, Ferenc 142 n10

Ramorino, Gerolamo (err. Remorino) 53, 54

n10

Rattazzi, Urbano 120

Rausa, Giuseppe 37 n16, 53 e n8

Rescigno, Eduardo 101 n2, 104 n6, 109

n14, 112 n37, 113 n40, 115 n53 n54

Revoltella, Pasquale 113

Ricasoli, Bettino 120

Ricordi, Casa 58, 67 e n38, 68

Rimskij-Korsakov 89

Ristori, Adelaide 32

Rizzi, Giovanni 109

Rizzi, Vincenzo 65 e n33

Robespierre, Maximilien-François-Marie-

Isidore de 74

Rolland, Romain 74 e n5

174 giuseppe verdi e il risorgimento

Page 38: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Romani, Gabriella 110 n17

Romano, Carlo 118 n4, 164 n37

Ronconi Madame, moglie di Giorgio Ron-

coni 52

Ronconi, Giorgio 52

Rosen, Charles 74 n7

Rosen, Egor 98

Rosmini, Antonio 79

Rossini, Gioacchino 20, 92, 96, 131, 132,

137, 138, 139

Rotondo, Loredana 110 n22, 115 n56

Rubistein, Ida 102

Ruffini, Agostino 46 e n25

Ruggiero, Nunzio 31 n8

Ruspanti, Roberto 146 n15, 147 n16

Russo, Francesca 31 n8

Saint-Saëns, Camille 96

Salvemini, Gaetano 16

Sanadzé, Dora 89 n55

Sancin, Francesca 110 n22, 115 n56

Sand, George 73 e n1, 76 e n13

Santoro, Maria Rosa 115 n57

Sanvitale, Luigi 118

Saracco, Giuseppe 124

Sarti, Roland 41 n21

Sarti, Telesforo 118 e n4, 120 n7, 123 e n20

Savoia, Casa 7, 21, 66, 67, 118

Sawall, Michael 67 n37

Scaraffia, Lucetta 112 n33

Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph 73 e n1,

76 e n13

Schiller, Friedrich 74, 83, 84, 89 e n54,

100, 102, 105, 109

Schlegel, Wilhelm 73, 83

Schopenhauer, Arthur 73 e n3, 85

Schumann, Robert 96 n83

Scialoja, Antonio 122 n15

Scioscioli, Massimo 53 n6

Scott, Walter 78

Scribe, Eugène 41, 43, 44 n23, 82, 97

Sella, Quintino 119, 165, 166

Senici, Emanuele 84 n37, 88 n52

Sergi, Giuseppe 34

Serra, Bartolomeo 122 n15

Serri, Mirella 110 n22, 115 n56

Shakespeare, William 19, 32, 83, 89

Shaw, George Bernard 88 e n50

Sichirollo, Livio 77 n14

Sismondi, Jean-Charles-Léonard Simonde

de 34

Sivert, Tadeusz 130 n2, 136 n11

Soldani, Simonetta 107 n3 n4

Solera, Temistocle 26 e n1, 27 e n2, 29, 31,

32, 33, 35 e n13, 36 e n15, 46 e n26,

101 n2, 107 n2, 140, 141 e n8

Solimano i il Magnifico 148 n18

Somaglia, Gina contessa della 26 n1, 107

Somma, Antonio 38, 41, 42, 43, 44 e n24,

45, 47 n27

Sorba, Carlotta 111 n27, 113 e n46, 144 n12

Sorbelli, Albano 117 n1

Souvestre, Emile 103

Spaepen, Bruno 109 n16

Spini, Daniele 105 n8

Spini, Giorgio 103 e n5

Stansfeld (famiglia) 64 n30

Stassov, Vladimir Vassiliévitch 90 e n57 n59

n60

Stefan, Paul 22 n7, 118 n3, 120 n8, 121 n14

Stendhal, pseudonimo di Beyle, Marie-Hen-

ri 111

Stęszewski, Jan 131

Strepponi, Giuseppina 109

Surma-Gawłowska, Monika 132 n7, 136 n12

Svetonio 32

Sviridov, Guéorgui 89 n55, 90 n58, 95 n79

Szabolcsi, Bence 143 e n11

Tagliaventi, Federica 110 n22, 115 n56

Tagliaventi, Simona 110 n22, 115 n56

Talamo, Giuseppe 160 n24

Tatarska, Janina 131

Tenca, Carlo 42, 110 e n19 n23

175indice dei nomi

Page 39: Giuseppe Verdi e il Risorgimento - A. Rostagno

Tittoni, Tommaso 155

Toccagni, Luigi 108, 109

Tolstòj, Lev Nikolàevič 90, 100

Tommaseo, Niccolò 79, 92

Tornaghi, Eugenio 68

Tóth, Lőrinc 145

Trivulzi, S. 56

Turi, Gabriele 65 n33

Turiello, Pasquale 34

Valentini, Chiara 110 n22, 115 n56

Vannucci, Atto 59 n25

Várnai, Péter 138 n3, 139 n4

Verdi, Icilio 108

Verdi, Virginia 108

Vico, Giambattista 87

Villari, Pasquale 34

Violante, Luciano 152 n4

Vittorio Emanuele ii 12, 15, 21, 22, 39, 41,

42, 43, 44, 45, 66, 67, 70, 114, 118,

166

Volpe, Gioacchino 158, 163

Voltaire, pseudonimo di Arouet, François-

Marie 102

Wagner, Richard 14, 77, 84, 85, 86 n42, 87

e n48, 88 e n52, 93 e n69, 94 e n71

n73, 96, 99, 100, 143

Weber, Max 39 n 19

Werfel, Franz 22 n7, 120 n8, 121 n14

Werner, Zacharias 26, 31, 33, 34, 35, 140

Williams, Gavin 163 n34

Woolf, Stuart J. 158 n17

Woźniak, Monika 132 n7, 136 n12

Zanetti, Ferdinando 59 n25

176 giuseppe verdi e il risorgimento

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stampato in italia

nel mese di dicembre 2014da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)www.rubbettinoprint.it

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