Giuseppe Mazzini - Cenni e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia del 1848

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    Giuseppe Mazzini

    Cenni e documenti intornoallinsurrezione lombarda e alla

    guerra regia del 1848

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    TITOLO: Cenni e documenti intorno allinsurrezionelombarda e alla guerra regia del 1848AUTORE: Mazzini, GiuseppeTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo presente in formato immagine sulsito The Internet Archive (http://www.archive.org/).

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    TRATTO DA: Cenni e documenti intorno allinsurrezio-ne lombarda e alla guerra regia del 1848 / per Giu-seppe Mazzini Bruxelles 1850 128 pagg. 14 cm.

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    1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 2 aprile 2012

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    CENNI E DOCUMENTI

    INTORNOALLINSURREZIONE

    LOMBARDA

    E ALLA GUERRA REGIADEL 1848.

    PER

    GIUS. MAZZINI

    Estratto dallItalia del PopoloRivista politica che si pubblica ogni 15 giorni a Losanna,

    BRUXELLES1850

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    CENNI E DOCUMENTIINTORNO ALLINSURREZIONE LOMBARDA E

    ALLA GUERRA REGIA DEL I848.I.

    Tendenze nazionali. Motivi della guerra regia.Documenti governativi.

    Il moto italiano assumeva pi sempre di giornoin giorno il carattere nazionale che ne costituiscelintima vita. Il gridoVIVA LITALIAsuonava nellestre-ma Sicilia; fremeva in ogni manifestazione di scon-tento locale: conchiudeva, come ilDELENDACARTHAGO di Catone, ogni discorso politico. Altrove, le molti-tudini sagitavano, insofferenti di miseria o dine-guaglianza, in cerca dun nuovo assetto di cose, so-ciale o politico: in Italia, vanto unico e speranza po-tente di grandi cose future, sorgevano o anelavanosorgere per una Idea: cercavan la Patria, guardava-no allAlpi. La libert,FINE agli altri popoli, eraMEZZOper noi. Non che glItaliani, comaltri sillusea crederlo o finse, fossero noncuranti dei loro dirit-ti o imbevuti di credenze monarchiche tranne inqualche angolo di Napoli e di Torino, non credosia popolo che per tradizioni, coscienza degua-glianza civile, colpe di principi e istinti di missionefutura, sia democratico, quindi repubblicano pi

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    del popolo nostro ma sentivano troppo altamen-te di s per non sapere che lItalia fatta Nazione sa-rebbe libera, e avrebbero sagrificato per un tempola libert a qualunque, papa, principe o peggio,avesse voluto guidarli e farli Nazione. Ostacolo,non il pi potente ma il pi dichiarato e visibile, al-laffratellamento di quanti popolano questa sacraterra dItalia, era lAustria. E guerra allAustria in-vocavano innanzi tutto, e quel tanto di libertchessi andavano strappando ai loro padroni gio-vava quasi esclusivamente a far pi forte e unani-me e solenne quel grido. Fin dallaprile 1846, lin-dirizzo ai Legati pontificii raccolti in Forl, dopoaver compendiato le giuste lagnanze delle provin-cie, conchiudeva che le questioni col malgovernolocale erano per gli uomini delle Romagne secon-darie, che principale era la questione italiana, e cheil pi grave peccato della corte papale era quellodessere ligia dellAustria. In Ancona, nellagosto1846, lannunzio dellamnistia pontificia raccoglie-va le moltitudini sotto le finestre dellAgente au-striaco e la gioia si traduceva naturalmente nel gri-do: VIA GLI STRANIERI! In Genova, quando nel novem-bre 1847 il re si recava a visitare quella citt e qua-ranta mila persone gli passavano, plaudenti ad unasperanza, davanti, la bandiera strappata nel 1746

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    da Genova insorta agli Austriaci sinnalzava traquelle migliaia programma eloquente dei loro voti.Cos per ogni dove e da tutti. Metternich intendevale tendenza nazionali del moto:SOTTO LA BANDIERA DELLE RIFORME AMMINISTRATIVE ei diceva al conteDietrichstein in un dispaccio del 2 agosto 1847 ifaziosi CERCANO CONSUMARE UNOPERA CHE NON POTREBBE RIMANERSI CIRCOSCRITTA NEI LIMITI DELLO STATO DELLA CHIESA,N IN QUELLI DALCUNO DEGLI STATI CHE NEL LORO INSIEME COMPONGONO LA PENISOLA ITALIANA. LE SETTE TENDONO A CONFONDERE QUESTI STATI IN UN SOLO CORPO POLITICO O PER LO MENO IN UNA CONFEDERAZIONE DI STATI POSTA SOTTO LA CONDOTTA DUN POTERE CENTRALE SUPREMO. Ed era vero; senon che tutta Italia era setta.

    Era un momento sublime; il fremito che annun-ziava il levarsi duna Nazione, il tocco dellora chedovea porre nel mondo di Dio una nuova vita col-lettiva, un apostolato di ventisei milioni duomini,oggi muti, che avrebbero parlato alle nazioni sorel-le la parola di pace, di fratellanza e di verit. Senellanima di quei che reggevano fosse stata unasola favilla di vita italiana, avrebbero, commossi,dimenticato dinastia, corona, potere, per farsi pri-mi soldati della santa crociata, e detto a s stessi:PI VALE UNORA DI COMUNIONE IN UN GRANDE PENSIERO CON UN POPOLO CHE RISORGE, CHE NON LA SOLITUDINE DUN TRONO

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    MINACCIATO DAGLI UNI E SPREZZATO DAGLI ALTRI PER TUTTA UNA ESISTENZA. Ma per decreto di Provvidenza che vuolsostituire lera dei popoli a quella dei re, i principinon sono oggimai n possono esser da tanto; e sigiovarono di quella generosa ma incauta tendenzaallobblio e al sagrificio della libert, al desideriodindipendenza che pocanzi accennammo, per tra-dire luna e laltra e ricacciarci, deludendo il pibel voto di popolo che mai si fosse, dovoggi sia-mo.

    Era sorta tra la fucilazione dei fratelli Bandiera ela morte di Gregorio XVI, una gente, educata, co-munque ciarlasse di cristianesimo e di religione,met dal materialismo scettico del secolo XVIII, emet dallecclettismo francese, che sotto nome diMODERATI come se tra lessere e il non essere, trala nazione futura e i governi che contendono lo svi-luppo, potesse mai esistere via di mezzo - seraproposta a problema da sciogliere la conciliazionedegli inconciliabili, libert e principato, nazionalite smembramento, forza e direzione mal certa. Nes-suna setta duomini potrebbesser da tanto: essimen chaltri. Erano scrittori, dotati dingegno masenza scintilla di genio, forniti quanto basta deru-dizione italiana raccolta, senza scorta vivificatricedi sintesi, nel gabinetto e fra i morti, ma senza intel-

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    letto del lavoro unificatore sotterraneamente com-pito nei tre ultimi secoli, senza coscienza di missio-ne italiana, senza facolt di comunione col popolochessi credevano corrotto ed era migliore di loro, edal quale li tenevano disgiunti abitudini di vita,diffidenze tradizionali e istinti non cancellati dari-stocrazia letterata o patrizia. E per questa loro se-gregazione morale e intellettuale dal popolo, unicoelemento progressivo ed arbitro della vita dellaNazione, erano diseredati dogni scienza e dognifede dellavvenire. Il loro concetto storico errava,con lievi rimutamenti, tra il guelfismo e il ghibelli-nismo; il concetto politico, checch facessero perammantarlo di veste italiana, non oltrepassava i ter-mini della scuola che discesa in Francia da Monte-squieu ai Mounier, ai Malouet, ai Lally Tollendal esiffatti dellAssemblea nazionale, sordin a sistematra gli uomini che diressero lopinione in Francianei quindici anni che seguirono il ritorno di LuigiXVIII: erano monarchici con una infusione di liber-t, tanta e non pi che facesse tollerabile la monar-chia e senza stendersi sino alla moltitudine a susci-tar lidea di diritti che abborrivano, e di doveri chenon sospettavano, attribuisse loro facolt di stam-pare le loro opinioni e un seggio in qualche Con-sulta. In sostanza, non avevano credenza alcuna: la

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    loro non era fede nel principio regio come quandoil dogma del diritto divino immedesimato in certefamiglie o laffetto cavalleresco posto in certe per-sone collocava il monarca tra Dio e la donna delcore MON DIEU, MON ROI ET MA DAME era accetta-zione passiva, inerte, senza riverenza e senza amo-re, dun FATTO chessi si trovavano innanzi e chenon sattentavano desaminare: era codardia mora-le, paura del popolo al cui moto ascendente dise-gnavano argine la monarchia, paura del contrasto,inevitabile fra i due elementi, chessi non si senti-vano capaci di reggere, paura che lItalia fosse im-potente a rivendicarsi con forze popolari anchequella meschina parte dindipendenza dallo stra-niero chessi pure, teneri, per unica dote, dellono-re italiano, volevano. Scrivevano con affettazionedi gravit, con piglio dacuti e profondi discernito-ri, consigli ricopiati da tempi di sviluppo normale,da uomini ravvolti in guerre parlamentarie e citta-dini di nazioni fatte, a un popolo che da un latoavea nulla, dallaltro avea vita, unit, indipenden-za, libert, tutto da conquistare: il popolo risponde-va alle loro voci eunuche col ruggito e col balzo delleone, cacciando i gesuiti, esigendo guardie civichee pubblicit di consulte, strappando costituzioni aiprincipi, quandessi raccomandavano silenzio, vie

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    legali e assenza di dimostrazioni perch il core pa-terno dei padroni non saddolorasse. SintitolavanoPRATICI, POSITIVI, e meritavano il nome darcadi dellapolitica. Questi erano i duci della fazione, n ho bi-sogno di nominarli; ed oggi taluni fra loro, per de-siderio di potere o vanit ferita dalla solitudine ches creata dintorno ad essi, stanno a capo della ria-zione monarchica contro ai popoli. Ma intorno adessi, salito appena al papato Pio IX, saggrupparo-no, tra per influenza della loro parola e del presti-gio esercitato dai primi atti di quel pontefice, traper precipitoso sconforto dei molti tentativi falliti esperanza dagevolare allItalia le vie del meglio,molti giovani migliori dassai di que capi e che se-rano pressoch tutti educati al culto dellIdea Na-zionale nelle nostre fratellanze, anime candidissimee santamente devote alla patria, ma troppo arren-devoli e non abbastanza temprate dalla natura odai patimenti alla severa energica fede nel Veroimmutabile, stanche anzi tempo duna lotta inevi-tabile, ma dolorosissima o frantendenti il bisognoche domina tutti noi duna Autorit in riverenzaallautorit chesisteva e sembrava allora rifarsi. Epi gi saccalcava, lieta di presentire menomati isagrifici e gli ostacoli, la moltitudine degli adorato-ri del calcolo, dei mediocri dintelletto e di core, dei

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    tiepidi respinti dal Vangelo ai quali il nostro gridodi guerra turbava i sonni e il programma deiMODERATI prometteva gli onori del patriottismo apatto che scrivessero qualche articolo pacifico digazzetta o armeggiassero innocentemente col LLOYD sulle vie ferrate o supplicassero al principe che sidegnasse mostrarsi meno tiranno. E pi gi anco-ra, peste dogni parte, brulicava, saffaccendava lagenia dei raggiratori politici, uomini di tutti me-stieri, arpie che insozzano ci che toccano, edesperti in ogni paese a giurare, sgiurare, innalzare acielo, calunniare, ardire o strisciare a seconda delvento che spira e per qualunque dia loro speranzadagitazione senza gravi pericoli, duna microsco-pica1 importanza o dun impieguccio patente o se-greto: razza pi rara, per favore di Dio, in Italia chenon altrove; pur troppo pi numerosa, per forzadeducazione gesuitica, tirannesca, materialista,che non si vorrebbe in un popolo grande nel passa-to e chiamato a esser grande nellavvenire.

    Dai primi esciva una voce che ci diceva: La no-stra prima questione lIndipendenza, la prima no-stra contesa collAustria, potenza gigantesca perelementi propri e leghe coi governi dEuropa; orvoi non avete eserciti o li avete, se minacciate i vo-

    1 Nelloriginale " microspia". [Nota per ledizione elettronica Manuzio]12

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    stri principi, nemici a voi. Il popolo nostro corrot-to, ignorante, disavvezzo dallarmi, indifferente,svogliato; e con un popolo siffatto non si fa guerradi nazione n repubblica fondata sulla virt. Biso-gna prima educarlo a forti fatti e a morale di citta-dini. Il progresso lento e va a gradi. Prima lindi-pendenza, poi la libert educatrice, costituzionalemonarchica, poi la repubblica. Le faccende dei po-poli si governano a opportunit; e chi vuol tutto hanulla. Non vostinate a ricopiare il passato e unpassato di Francia. LItalia deve aver moto proprioe proprie norme a quel moto. I principi vostri nonvi sono avversi se non perch li avete assaliti. Af-fratellatevi con essi: spronateli a collegarsi in leghecommerciali, doganali, industriali: poi verranno lemilitari, e avrete eserciti pronti e fedeli. E i governiesteri comincieranno a conoscervi e lAustria impa-rer a temervi. Forse conquisteremo pacificamente,e con sacrifici pecuniari, lindipendenza; dove no, inostri principi, riconciliati con noi, ce la darannocollarmi. Allora penseremo alla libert.

    I secondi glillusi buoni inneggiavano a PioIX, anima donesto curato e di pessimo principe,chiamandolo rigeneratore dItalia, dEuropa e delMondo: predicavano concordia, obblio del passato,fratellanza universale tra principi e popoli, tra il

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    lupo e lagnello: innalzavano commossi un canticodamore sopra una terra venduta, tradita da princi-pi e papi per cinque secoli e che beveva ancora san-gue di martiri trucidati pochi d prima.

    Gli ultimi i faccendieri correvano, sagita-vano, si frammettevano, commentavano il testo,ronzavano strane nuove dintenzioni regie, di pro-messe, daccordi collestero, ripetevano parole nondette, spacciavan medaglie: al popolo spargevanocose pazze dei principi: a noi, tendevano, con mi-stero, la mano, sussurrando:LASCIATE FARE; OGNI COSA A SUO TEMPO, OR BISOGNA GIOVARCI DEGLI UOMINI CHE TENGONO CANNONI ED ESERCITI, POI, LI ROVESCEREMO. Io nonne ricordo un solo che non mabbia detto o scritto:IO SONO, IN TEORIA, REPUBBLICANO COME VOI SIETE; e che intan-to non calunniasse come meglio poteva la parte no-stra e le nostre intenzioni.

    Noi eravamo repubblicani per antica fede fondatasu ci che abbiam detto pi volte e che ridiremo;ma innanzi tutto, per ci che tocca lItalia, percheravamo unitari, perch volevamo che la patria no-stra fosse Nazione. La fede ci feceva pazienti: iltrionfo del principio nel quale eravamo e siamo cre-denti si certo che laffrettarsi non monta. Per de-creto di Provvidenza, splendidissimo nella progres-sione storica dellumanit, lEuropa corre a demo-

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    sagrificio e virt dentusiasmo che non appartengo-no se non a liberi cittadini; e nelle rare contese din-dipendenza sostenuto senza intervento apparentedi questione politica, i popoli desumevano la loroforza dalla unit nazionale gi conquistata. Non vero che le virt pi severe repubblicane si richie-dano a fondare repubblica; idea siffatta non senon vecchio errore che ha falsato in quasi tutte lementi la teorica governativa: le istituzioni politichedevono rappresentare lelementoEDUCATOREdellostato, e perci appunto si fondano le repubblicheonde germoglino e seduchino nel petto dei cittadi-ni le virt repubblicane che leducazione monarchi-ca non pu dare. Non vero che a ricuperare lindi-pendenza basti una forza cieca di cannoni e deser-citi: alle battaglie della libert nazionale si richie-dono forze materiali e una idea che presieda allor-dinamento loro e ne diriga le mosse; la bandierache sinnalza di mezzo ad esse devessere il simbo-lo di quellidea; e quella bandiera i fatti lo hannoinnegabilmente provato vale met del successo.E del resto, il collegamento franco, ardito, durevo-le, nella guerra dindipendenza tra sei principi, al-cuni di razza austriaca, quasi tutti di razza straniera,tutti gelosi e diffidenti luno dellaltro e tremanti,per misfatti commessi e coscienza del crescente

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    moto europeo, del popolo e senzaltro rifugio con-tresso che lAustria, ben altra utopia che la no-stra. Voi dunque non potete sperare di fondar na-zione se non con unUOMO o con unPRINCIPIO: aveteluomo? avete fra i vostri principi il Napoleone del-la libert, leroe che sappia pensare e operare, ama-re sovra ogni altro e combattere, lerede del pensie-ro di Dante, il precursore del pensiero del Popolo?Fate chei sorga e si sveli; e dove no, lasciateci evo-care il Principio e non trascinate lItalia dietro a illu-sioni pregne di lagrime e sangue.

    Noi dicevamo queste cose non pubblicamen-te, ma nei colloqui privati e nelle corrispondenze a uomini fidatissimi di quei primi. Ai secondi,agli amici che ci abbandonavano, guardavamo me-stamente pensando:VOI CI TORNERETE, CONSUMATA LA PROVA; MA DIO NON VOGLIA CHE RIESCA TALE DA SFRONDARVI LANIMA E LA FEDE NEI DESTINI ITALIANI! Dagli ultimi, daifaccendieri ci ritraevamo per non insozzarci.Amici o nemici, eravamo e volevamo serbarci no-bilmente leali. Le Nazioni noi lo dicemmo pivolte non si rigenerano colla Menzogna.

    A quellultima nostra interrogazione, iMODERATIri-spondevano additandoci Carlo Alberto.

    Io non parlo delRE: checch tentino gli adulatorie i politici ipocriti i quali fanno oggi dellentusia-

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    smo postumo per Carlo Alberto unarme dopposi-zione al successore regnante checch or senta ilpopolo santamente illuso che simboleggia in quelnome il pensiero della guerra per lindipendenza il giudizio dei posteri peser severo sulla memo-ria delluomo del 1821, del 1833 e della capitolazio-ne di Milano. Ma la natura, la tempra dellindivi-duo era tale da escludere ogni speranza dimpresaunificatrice Italiana. Mancavano a Carlo Alberto ilgenio, lamore, la fede. Del primo, ch una interavita logicamente, risolutamente, fecondamente de-vota a una grande idea, la carriera di Carlo Albertonon offre vestigio: il secondo gli era conteso dallacontinua diffidenza, educata anche dai ricordi duntristo passato, degli uomini e delle cose; gli vietavalultima lindole sua incerta, tentennante, oscillanteperennemente tra il bene e il male, tra il fare e ilnon fare, tra losare e il ritrarsi. Un pensiero, non divirt ma dambizione italiana, pur di quellambizio-ne che pu fruttare ai popoli, gli aveva, balenando,solcato lanima nella sua giovinezza; ed ei sera ri-tratto atterrito, e la memoria di quel lampo deglianni primi gli si riaffacciava a ora a ora, lo tormen-tava insistente, pi come richiamo dantica feritache come elemento e incitamento di vita. Tra il ri-schio di perdere, non riuscendo, la corona della

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    piccola monarchia e la paura della libert che il po-polo, dopo aver combattuto per lui, avrebbe volutorivendicarci, ei procedeva con quel fantasma2 sugliocchi quasi barcollando, senza energia per affron-tar quei pericoli, senza potere o voler intendere chead essere re dItalia era mestieri dimenticare primadessere il re di Piemonte. Despota per istinti radi-catissimi, liberale per amor proprio e per presenti-mento dellavvenire, egli alternava fra le influenzegesuitiche o quelle degli uomini del progresso.Uno squilibrio fatale tra il pensiero e lazione, tra ilconcetto e le facolt deseguirlo, trapelava in tutti isuoi atti. I pi tra quei che lavoravano a prefigger-lo duce allimpresa, lo confessavano tale. Taluni frai suoi famigliari sussurravano chegli era minaccia-to dinsania. Era lAmleto della monarchia.

    Con uomo siffatto, non poteva di certo compirsilimpresa Italiana.

    Metternich, ingegno non potente ma logico, aveagiudicato da lungo lui e gli altri: per, nel dispac-cio citato, ei diceva:LA MONARCHIA ITALIANA NON ENTRA NEI DISEGNI DEI FAZIOSI: UNA RAGIONE PRATICA DEVE STORNARLI DALLIDEA DUNA ITALIA MONARCHICA; IL RE POSSIBILE DI QUESTA MONARCHIA NON ESISTE AL DI L N AL DI QUA DELLALPI. ESSI CAMMINANO VERSO LA REPUBBLICA.

    2 Nelloriginale " fantasma". [Nota per ledizione elettronica Manuzio]19

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    I MODERATI, ingegni n potenti n logici, intende-vano essi pure che sanche avesse voluto, Carlo Al-berto non avrebbe potuto e non era da tanto, matransigevano collintento e allITALIA invocata so-stituivano il concettino duna ITALIA DEL NORD. Erafra tutti i concetti il pessimo che mente umana po-tesse ideare.

    Il regno dellItalia settentrionale sotto il re di Pie-monte avrebbe potuto essere un sempliceFATTO creato dalla vittoria, accettato dalla riconoscenza,subito dagli altri principi per impossibilit di di-struggerlo; ma gittato in via di programma anterio-re ai primordi del fatto, era il pomo della discordial dove la pi alta concordia era necessaria. Era unguanto di sfida cacciato, colla negazione dellunit,agli unitari un sopruso, sostituendo alla volontnazionale la volont della parte monarchica, ai re-pubblicani una ferita alla Lombardia che voleaconfondersi nellItalia, non sagrificare la propriaindividualit a unaltra provincia italiana unaminaccia allaristocrazia torinese che paventava ilcontatto assorbente della democrazia milanese uningrandimento sospetto alla Francia perch datoa una potenza monarchica avversa da lunghi annialle tendenze e ai moti francesi un pretesto som-ministrato ai principi dItalia per distaccarsi dalla

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    crociata verso la quale i popoli li spingevano unasemenza di gelosia messa nel core del papa unaggelamento dentusiasmo in tutti coloro chevolevano bens porre lopera e occorrendo, la vita inuna impresa nazionale, ma non in una speculazio-ne degoismo dinastico. Creava una serie di nuoviostacoli, non ne rimoveva alcuno. Creava inoltreuna serie di necessit logiche che avrebbero signo-reggiato la guerra. E la signoreggiarono e la spen-sero nel danno e nella vergogna.

    Pur nondimeno era tanta la sete di guerra allAu-stria che il malaugurato programma, predicato intutte guise lecite e illecite, fu accolto senza esamedai pi. Tutti speravano nella iniziativa regia. Tuttispronavano Carlo Alberto e gli gridavano:FATE A OGNI PATTO.

    Carlo Alberto non avrebbe mai fatto se linsurre-zione del popolo milanese non veniva a porlo nelbivio di perdere la corona, di vedersi una repubbli-ca allato, o combattere.

    Il libro di Carlo Cattaneo3 uomo che onora laparte nostra, mi libera dallobbligo dadditare leimmediate ragioni della gloriosissima insurrezionelombarda, estranea in tutto alle mene e alle fallitepromesse deiMODERATIche sagitavano fra Torino e3 Dellinsurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra. Memorie di Carlo

    Cattaneo . Lugano, 1849.21

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    Milano. libro, che per estrema importanza di fattie considerazioni vuole esser letto da tutti, che nes-suno ha confutato e che nessuno confuter. Ma inquel libro, lopinione or ora espressa accennataper mancanza di documenti, soltanto di volo. Parecerto che in un manifesto a tutte le corti dEuropa ilre attestasse che invadendo il Lombardo-Veneto,egli intendeva solo dimpedire che vi sorgesse unarepubblica (p. 96). Ed ora i documenti governati-vi4 esibiti dal ministero al parlamento inglese intor-no agli affari dItalia pongono il fatto oltre ognidubbio e rivelano come ad onta di tutta la garrulitMODERATA, il governo piemontese mirasse primadellimpresa e poi alla questione politica ben piche alla italiana. La guerra contro lAustria era insostanza e sempre sar, se diretta da capi monar-chici, guerra contro litaliana democrazia.

    Linsurrezione di Milano e Venezia sorse, invo-cata da tutti i buoni dItalia, dal fremito dun popo-lo irritato duna servit imposta per trentaquattroanni al Lombardo-Veneto da un governo stranieroabborrito e sprezzato. Fu, quanto al tempo, deter-minata dalle provocazioni feroci degli Austriaci,che desideravano spegnere una sommossa nel san-gue e non credevano in una rivoluzione. Fu agevo-4 Correspondence respecting the affairs of Italy Part II. from Ianuary to Iune 1848,

    presentata per comando di S. M. ad ambe le Camere il 31 luglio, 1849.22

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    lata dallapostolato e dallinfluenza, meritamenteconquistata fra il popolo, dun nucleo di giovaniappartenenti quasi tutti alla classe media e tutti re-pubblicani da uno infuori che allora nondimeno sidicea tale. Fu decisa e questo vanto solenne,non abbastanza avvertito, della giovent lombarda quando era gi pubblicata in Milano labolizionedella censura con altre concessioni: il Lombardo-Veneto voleva, non miglioramenti, ma indipenden-za. Cominci non preveduta, non voluta dagli uo-mini del municipio o altri che maneggiavano conCarlo Alberto: la giovent si batteva da tre giorniquandessi disperavano della vittoria, deploravanosi fossero abbandonate le vie legali, parlavano astampa dellIMPROVVISA ASSENZA DELLAUTORIT POLITICA,proponevano armistizi di quindici giorni. Segu, so-stenuta dal valore duomini, popolani i pi, checombattevano al grido diVIVA LA REPUBBLICA!5 e diret-ta da quattro uomini raccolti a consiglio di guerra edi parte repubblicana. Trionf sola, costando al ne-mico quattro mila morti, fra i quali 395 cannonieri.

    5 Squadre di cittadini scorrono la citt armati di fucili da caccia, carabine, pi-stole e alabarde, portando bandiere-tricolori, con coccarde tricolori al cappel-lo, gridando: Viva Pio Nono! Vva lItalia! Viva la repubblica! Dispaccio del 18-22 marzo da Milano a lord Palmerston del vice console Roberto Campbell. Quanto alla condizione dei combattenti, vedi il registro mortuario delle bar-ricate, e Cattaneo, p. 309.

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    Son fatti questi incontrovertibili e conquistati oggi-mai alla storia.

    La battaglia del popolo cominci il 18 marzo.Il governo Piemontese era inquietissimo per le

    nuove venute di Francia e per linusitato fermentoche si manifestava crescente ogni giorno nel popo-lo dello stato. Del terrore nato per le cose francesiparlano due dispacci, il primo spedito il 2 marzo alord Palmerston da Abercromby in Torino (p. 122),il secondo firmato de Saint-Marsan, parimenti il 2marzo, e comunicato a lord Palmerston dal conteRevel l11 ( p. 142). Il fermento interno imponeva alre il 4 marzo la pubblicazione delle basi dello Sta-tuto e si sfogava in Genova il 7 con una sommossa,nella quale il popolo minacciava voler seguire le-sempio di Francia.

    La nuova dellinsurrezione lombarda si diffuse il10 in Torino. Lentusiasmo fu indescrivibile. Il con-siglio dei ministri raccolto ordin si formasse uncorpo dosservazione sulla frontiera, centri Nova-ra, Mortara, Voghera. Le voci corse erano di motoapertamente repubblicano, e un dispaccio del 20spedito da Abercromby a lord Palmerston da Tori-no (p. 171-75), accenna a siffatte voci siccome aduna delle cagioni che determinavano le decisioniministeriali. Intanto, si spediva ordine che si vie-

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    tasse il passo ai volontari che da Genova e dal Pie-monte saffrettavano a Milano; e fu vietato. Ottantaarmati LOMBARDIfurono disarmati sul lago Maggio-re6.

    Il 20, le nuove in Torino correvano incerte e lie-vemente sfavorevoli allinsurrezione. Le porte, di-cevasi, erano tenute tuttavia dagli Austriaci, e ilpopolo andava perdendo terreno per difetto dar-mi e di munizioni. Durava il fermento in Torino. Unassembramento di popolo chiedeva armi al mini-stero dellinterno ed era respinto. Il conte Aresegiunto da Milano a chieder soccorsi allinsurrezio-ne, non riesciva a vedere il re; era freddamente ac-colto dai ministri, e ripartiva lo stesso giorno, sco-rato, deluso. Vedi un dispaccio di Torino spedito il21 dallAbercromby a Palmerston. (p. 182-83).

    Il 21, le nuove correvano migliori. E dal conteEnrico Martini viaggiator faccendiere dei moderatifu affacciata agli uomini del municipio milanese edel consiglio di guerra la prima proposta daiutoregio a patti diDEDIZIONE ASSOLUTA, e della formazionedun governo provvisorio che ne stendesse proffer-ta: vergogna eterna di cortigiani che nati dItaliatrafficavano per una corona sul sangue dei genero-si ai quali era bello il morir per la patria mentre il

    6 Vedi un documento nel libro di Cattaneo a p. 99.25

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    Martini diceva al Cattaneo;SA ELLA CHE NON ACCADE TUTTI I GIORNI DI POTER PRESTARE SERVIGI DI QUESTA FATTA AD UN RE7? Ad un Re? Lultimo degli operai che lie-tamente combattevano tra le barricate per la ban-diera dItalia e senza chiedersi a quali uomini gio-verebbe poi la vittoria, valea pi assai innanzi aDio e varr innanzi allItalia avvenire che non diecire.

    Il 22, la vittoria coronava leroica lotta. Espugna-ta Porta Tosa da Luciano Manara. caduto pi tardimartire della causa repubblicana in Roma, occupatadagli insorti Porta Ticinese, liberata dagli accorrentidella campagna Porta Comasina, separate e minac-ciate di distruzione immediata le soldatesche nemi-che, Radetzkv, la sera, non si ritraeva, fuggiva.

    E allora la sera del 23 certa la vittoria equando lisolamento avrebbe inevitabilmente rapitoMilano alla Monarchia Sarda per darla allItalia mentre i volontari di Genova e di Piemonte irrom-pevano sulle terre lombarde e le popolazioni sde-gnate dellinerzia regia minacciavano peggio allin-terno il re, che aveva, il 22, accertato, per mezzodel suo ministro, il conte di Buol, ambasciatoredAustria in Torino, cheiDESIDERAVA SECONDARLO IN TUTTO CI CHE POTESSE CONFERMARE LE RELAZIONI DAMICIZIA E DI

    7 Cattaneo, p. 60.26

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    BUON VICINATO ESISTENTI FRA I DUE STATI8, firm il manife-sto di guerra.

    Le prime truppe piemontesi entrarono in Milanoil 26 marzo.

    Il 23 marzo, alle undici della sera, il sig. Aber-cromby in Torino, riceveva un dispaccio segnato L.N. Pareto; e vi si leggeva:.... Il sig. Abercromby informato come il sottosegnato dei gravi eventi orora occorsi in Lombardia: Milano in piena rivolu-zione e bentosto in potere degli abitanti che, colloro coraggio e colla loro fermezza, hanno saputoresistere alle truppe disciplinate di S. M. Imperiale,linsurrezione nelle campagne e citt vicine, final-menteTUTTO IL PAESE CHE COSTEGGIA LE FRONTIERE DI S. M.SARDA IN INCENDIO. Questa situazione, come il sig.Abercromby pu bene intendere, riagisce sullacondizione degli spiriti nelle provincie appartenen-ti a S. M. il re di Sardegna. La simpatia eccitata,dalla difesa di Milano, lo spirito di nazionalit chemalgrado le artificiali limitazioni dei diversi stati,si manifesta potentissima, ogni cosa concorre amantenere nelle provincie e nella capitale una taleagitazione da far temere che daUNISTANTE ALLALTRO POSSA ESCIRNE UNA RIVOLUZIONE CHE PORREBBE IL TRONO IN GRAVE PERICOLO, PER CHE NON PU DISSIMULARSI CHE DOPO GLI

    8 Fiequelmont a Dietrichstein, disp. del 5 aprile, pag. 325.27

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    EVENTI DI FRANCIA, IL PERICOLO DELLA PROCLAMAZIONE DUNA REPUBBLICA IN LOMBARDIA NON POSSA ESSERE VICINO: difatti,sembra, da ragguagli positivi, che un certo nume-ro di Svizzeri ha molto contribuito col suo inter-vento alla riescita del sollevamento di Milano sesaggiungano a questo i moti di Parma e di Mode-na come pure quei del ducato di Piacenza sul qualenon pu ricusarsi a S. M. il re di Sardegna il dirittodi vegliare come sopra un territorio che deve ungiorno, per diritto di reversibilit, spettargli; sesaggiunga una grave e seria irritazione eccitata inPiemonte e nella Liguria dalla conclusione duntrattato fra S. M. Imperiale ed i duchi di Parma ePiacenza e di Modena, trattato che sotto apparenzadaiuti da prestarsi a quei piccoli stati li ha vera-mente assorbiti nella Monarchia Austriaca spin-gendo le sue frontiere militari dal P dove dovreb-bero finire sino al Mediterraneo e rompendo cosilequilibrio che esisteva tra le diverse Potenze dI-talia, naturale il pensare che laSITUAZIONE DEL PIEMONTE TALE CHE DA UN MOMENTO ALLALTRO,ALLANNUNZIO CHE LA REPUBBLICA STATA PROCLAMATA IN LOMBARDIA, UN SIMILE MOTO SCOPPIEREBBE PURE NEGLI STATI DI S. M.SARDAo che almeno un qualche grave commovi-mento porrebbe a pericolo il trono di S. M Inquesto stato di cose, il re.... si crede costretto a

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    prendere misure CHE IMPEDISCANO AL MOTO ATTUALE DI LOMBARDIA DI DIVENTARE MOTO REPUBBLICANO, ed evitinoal Piemonte e al rimanente dItalia le catastrofi chepotrebbero aver luogo se una tale forma di gover-no venisse ad essere proclamata9.

    LAbercromby si recava, a mezzanotte, a visitareil conte Balbo e ne otteneva pi minuti particolariegli ed i suoi colleghi, giudicando dalle varie rela-zioni officiali ad essi trasmesse dal direttore di po-lizia SUL PERICOLO IMMINENTE DUNA RIVOLUZIONE REPUBBLICANA IN PAESE, DOVE IL GOVERNO DIFFERISSE ANCORA DI PORGERE AIUTO AL LOMBARDI, e vedendo limpossibili-t di raffrenare pi oltre il grande e generale conci-tamento esistente negli stati di S. M. Sarda, aveanodeciso etc.10

    Il marchese di Normanby scriveva, il 28, da Pari-gi a lord Palmerston ragguaglio dun colloquio dalui tenuto col marchese di Brignole ambasciatoreSardo in Francia. Il Brignole gli ripeteva, fondando-si sopra un dispaccio di Torino, le ragioni pur oraesposte; e insisteva sul fatto - che Carlo Albertoaveva respinto con un rifiuto la prima deputazionevenutagli da Milano, quando la citt era tuttavia inmano agli Austriaci; aggiungendo che la seconda9 Corrispondenza etc. pag. 185. Dispaccio del marchese Pareto allonorev. R.

    Abercromby.10 Id. pag. 184. Abercromby a lord Palmerston.

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    deputazione aveva dichiarato al re che sei nonsaffrettava a porgere aiuto, il gridoREPUBBLICAsa-rebbe sorto e che il re non aveva cominciato le ostili-t se non perMANTENER LORDINEin un territorio lascia-to per forza deventi senza padrone11.

    In altro dispaccio del 20 marzo lAbercrombvesponeva pi diffusamente a lord Palmerston lacondizione delle cose in Piemonte al tempo delladecisione le intenzioni pacifiche del gabinettoBalbo-Pareto linsurrezione lombarda lim-mensa azione esercitata dal popolo che minacciavarivolta in Piemonte e assalto agli Austriaci a dispet-to dellautorit governativa e limminente peri-colo alla monarchia di Savoia che aveva forzato iministri alle ostilit12.

    E non basta. Nelle istruzioni che il ministro degliEsteri mandava da Torino al marchese Ricci, invia-to Sardo in Vienna, era detto: ERA DA TEMERSI CHE LE NUMEROSE ASSOCIAZIONI POLITICHE ESISTENTI IN LOMBARDIA E LA PROSSIMIT DELLA SVIZZERA FACESSERO PROCLAMARE IN GOVERNO REPUBBLICANO. QUESTA FORMA SAREBBE STATA FATALE alla nazione italiana, al nostrogoverno, ALLAUGUSTA DINASTIA DI SAVOIA; era duopoadottare un pronto e decisivo partito: il governo eil re non hanno esitato, e sono profondamente con-11 Id. pag 206-7. Normanby a Palmerston.12 Id. p.207-9. Dispaccio del 23.

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    vinti di avere operato, a prezzo dei pericoli ai qualisi espongono, per la salvezza degliALTRI STATI MONARCHICI13

    E lidea era cos radicata in quegli animi, che il30 Aprile, quando la guerra era inoltrata, n verapi bisogno di dissimulare, ma solamente di vince-re, il Pareto tornava a dichiarare allAbercrombycheSE LESERCITO PIEMONTESE AVESSE INDUGIATO A VALICARE IL TICINO, SAREBBE STATO IMPOSSIBILE DIMPEDIRE CHE GENOVA SI RIBELLASSE E SI SEPARASSE DAI DOMINI DIS. M.SARDA14.

    Con siffatti auspici, con intenzioni siffatte, lamonarchia di Piemonte e i moderati movevano allaconquista dellindipendenza. La nazione ingannataplaudiva ad essi, a Carlo Alberto, al duca di Tosca-na, al re di Napoli, al papa. Tanta piena damore,inondava in quei rapidi beati momenti lanime de-gli Italiani che avrebbero abbracciato, purch aves-sero una coccarda tricolore sul petto, i pessimi tra iloro nemici.

    13 Id. p. 292, Pareto a Ricci.14 Id. p. 408, Abercromby a Palmerston

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    II.Esigenze e conseguenze funeste della guerra regia. I re-

    pubblicani.

    Nella genesi dei fatti, la logica inesorabile; npossono falsarla utopie dimoderati o calcoli di poli-tici obliqui. Nella politica come in ogni altra cosa,un principio trascina seco inevitabile un metodo,una serie di conseguenze, una progressione dap-plicazioni prevedibili da qualunque ha senno. Adogni teorica corrisponde una pratica. E reciproca-mente se il principio generatore dun fatto falsato,tradito nelle applicazioni, quel fatto irrevocabil-mente condannato a sparire, a perire senza svilup-po, programma inadempito, pagina isolata nellatradizione dun popolo, profetica davvenire masterile di conseguenze immediate. Per aver postoin obblio questo vero, il moto italiano del 1848 do-vea perire e per.

    Il moto italiano era motonazionale, anzi tutto,moto di popolo che tende a definire, a rappresenta-re, a costituire la propria vitacollettiva, dovea soste-nersi e vincere con guerra di popolo, con guerrapotente di tutte le forze nazionali da un punto al-laltro dItalia. Quanto tendeva a far convergere al-lintento la pi alta cifra possibile di quelle forze,

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    favoriva il moto: quanto tendeva a scemarla, dove-va riescirgli fatale.

    Il gretto pensiero dinastico contraddiceva al pen-siero generatore del moto. La guerra regia aveva di-verso fine, quindi norme diverse non corrisponden-ti al fine che linsurrezione sera proposto. Doveaspegnere la guerra nazionale, la guerra di popolo econ essa, il trionfo dellinsurrezione.

    I poveri ingegni che avversi alla parte nostra,pur sentendosi impotenti a confutarci sul nostroterreno, hanno sistematicamente adottato un travi-samento perenne delle nostre idee e confondonorepubblica ed anarchia, pensiero sociale e comuni-smo, bisogno duna fede concorde attiva e negazio-ne dogni credenza, hanno sovente mostrato din-tendere la guerra di popolo come guerra disordi-nata, scomposta, delementi e di fazioni irregolari,senza concetto regolatore, senza uniformit dordi-ni e di materiali, finch son giunti ad affermare chenoi vogliamo guerra senza cannoni e fucili: cose ri-dicole ma non nostre; e i pochi fatti esciti, a guisadi prologo del dramma futuro, dal principio re-pubblicano lhanno mostrato. I pochi uomini rac-colti in due citt dItalia intorno alla bandiera re-pubblicana hanno fatto guerra pi ostinata e pisavia che non i molti legati a una bandiera di mo-

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    narchia.Per guerra di popolo noi intendiamo una guerra

    santificata da un intento nazionale, nella quale siponga in moto la massima cifra possibile delle forzespettanti al paese, adoprandole a seconda della loronatura e delle loro attitudini nella quale gli ele-menti regolari e glirregolari, distribuiti in terrenoadatto alle fazioni degli uni e degli altri, avvicendi-no la loro azione nella quale si dica al popolo:lacausa che qui si combatte la tua; tuo sar il premio del-la vittoria: tuoi devono essere gli sforzi per ottenerla; eun principio, una grande idea altamente bandita, elealmente applicata da uomini puri, potenti di ge-nio ed amati, desti, solleciti, susciti a insolita vita, afurore, tutte le facolt di lotta e di sagrificio che sfacilmente si rivelano e saddormentano nel coredelle moltitudini: nella quale n privilegio di na-scita o di favore, n anzianit senza merito presiedaalla formazione dellesercito, ma il diritto delezionepossibilmente applicato, linsegnamento morale al-ternato col militare e i premi proposti dai compagni,approvati dai capi e dati dalla nazione, faccianosentire al soldato chei non macchina, ma parte dipopolo e apostolo armato duna causa santa nel-la quale non savvezzino gli animi a riporre esclusi-vamente salute in un esercito, in un uomo, in una

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    capitale, ma seduchino a creare centro di resistenzaper ogni dove, a vedere tutta intera la causa dellapatria dovunque un nucleo di prodi innalza unabandiera di vittoria o di morte nella quale, matu-rato e tenuto in serbo un prudente disegno pel casodi gravi rovesci, le fazioni procedano audaci, rapideimprevedute, calcolate pi che non susa sugli ele-menti e sugli effetti morali, non inceppate da ri-guardi a diplomazie o da vecchie tradizioni regola-trici di circostanze normali nella quale si guardipi ai popoli che ai governi, pi ad allargare il cer-chio dellinsurrezione che a paventare i moti del ne-mico, e pi a ferire il nemico nel core che non a ri-sparmiare un sagrificio al paese.

    E a questa guerra sola capace di salvare lindi-pendenza e fondar nazione la guerra regia dove-va, per necessit ineluttabile di tradizioni e dinten-to, contrapporre le abitudini freddamente gerarchi-che dei soldati del privilegio il mero calcolo deglielementi materiali e la noncuranza dogni elementomorale, dogni entusiasmo, dogni fede che trasmu-ta il milite in eroe di vittoria e martirio il disprez-zo o il sospetto dei volontari limportanza esclu-siva data alla capitale lesercito qualera ordinatodal despotismo, co suoi molti uffiziali tristissimi,co suoi capi inetti pressoch tutti e taluni avversi

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    alla guerra e peggio la diffidenza dogni azione,dogni concitamento di popolo, che avrebbe svilup-pato pi sempre tendenze democratiche e coscienzadi diritti fatali al regnante lavversione a ogniconsigliere che potesse, per influenza popolare, im-por patti o doveri la riverenza alla diplomaziastraniera, ai patti, ai trattati, alle pretese governativerisalenti allepoca infausta del 1815, e quandancheinceppassero operazioni che avrebbero potuto rie-scir decisive la ripugnanza a soccorrere Veneziarepubblicana il rifiuto dogni sussidio dal di fuo-ri che potesse accrescere simpatie alla parte avversaalla monarchia la vecchia tattica e la paura do-gni fazione insolita, ardita lidea insistente, do-minatrice, di salvarci, in caso di rovescio, il Piemon-te ed il trono e segnatamente un germe, mortaleallentusiasmo, di divisione tra i combattenti per lastessa causa, un meschino progetto degoismo poli-tico sostituito alla grande idea nazionale15. N io15

    I tristi effetti del concetto dinastico erano, col solite acume dosservazioneinglese, indicati, fin dal 31 marzo, in un dispaccio inviato a lord Palmerstonda Roberto Campbell, vice-console in Milano: Fino ad oggi, milord, lamassima unione ha prevalso fra tutte le classi; ma dacch il re di Sardegna entrato in Lombardia, due partiti sono visibili; luno, quello dellalta ari-stocrazia, voglioso che la Lombardia e il Piemonte si congiungano in unosotto il re Carlo Alberto; laltro, la classe media, nella quale videro contras-segnare gli uomini di commercio ed i letterati, insieme a tutta la giovent

    promettente, parteggiante per una repubblica. Vedi documenti governa-tivi, pel 1848 , pag. 294-95.

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    parlo, come ognun vede, di tradimento; e sancheio vi credessi, non pensionerebbe allindole miagittarne laccusa sopra una tomba. Accenno cagio-ni pi che sufficienti di rovina a una insurrezionedi popolo: e ricordo agli Italiani che opraron duevolte in brevissimo giro di tempo e oprerebbero fa-talmente una terza e sempre ogniqualvolta sorges-se una gente s cieca e ostinata da volere ritentarela prova.

    Oprarono potenti fin dai primi giorni della guerras che bisognava esser ciechi a non discoprirle e in-sensati a non piangerne. E ciechi e insensati eranfatti dallegoismo, dallo spirito di parte, dalla ser-vilit cortigianesca, dalle tradizioni aristocratiche edalla paura della repubblica, gli uomini del Gover-no provvisorio di Milano e imoderati di Piemonte edi Lombardia. Ben le videro i repubblicani; e laver-lo detto, quantunque, come or or vedremo, som-messamente, era colpa da non perdonarsi. Quindile accuse villane e le stolte minaccie e le calunniechessi allora sprezzarono e choggi, compita laprova e giacente, merc gli accusatori, lItalia, cor-re debito di confutare.

    Io scrivo cenni e non storia; per non massumoin queste pagine di seguire attraverso gli errori go-vernativi e le fazioni della guerra regia linfluenza

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    dissolvente, rovinosa di quelle cagioni. Ma il librodi Cattaneo, i documenti contenuti in un opuscolopubblicato nel 1848 in Venezia da Mattia Montec-chi, segretario del generale Ferrari e in uno scrittorecente del generale Allemandi, la relazione degliultimi casi di Milano stesa da due membri del Co-mitato di difesa, gli atti officiali contenuti nel gior-nale il 22 marzo, e le relazioni stesse dettate a dife-sa dagli avversari raffrontate colla ineluttabile ra-gione deiFATTI, racchiudono tutta intera la doloro-sissima storia e a rischiararla pi sempre giove-r il rapido esame della Campagna, scritta da unodei nostri uomini di guerra, che i lettori troverannoalla fine di questo opuscolo. A me importava dichiarire le intenzioni e le necessit16 che spinseroCarlo Alberto sulla terra lombarda; e importa or di16 Ai passi estratti dai documenti, giova aggiungerne fra i molti altri due:II governo aveva oramai esaurito i suoi mezzi per contrastare al frenetico en-

    tusiasmo del popolo, e bisognava prestamente ottenere una soluzione allalotta Lombarda....

    I ragguagli avuti stamane da Genova sono, che una dimostrazione popolareper costringere il governatore della citt a mandar soccorsi alla Lombardiaera stata sedata colla promessa di staccare parte della guarnigione a quel-lintento. Abercromby a PalmersLon, Torino, 24 marzo, pag. 205.

    La prolungazione della lotta in Milano aumentava la determinazione del po-polo e indeboliva i mezzi di resistenza del governo, finch il pericolo dellamonarchia Sarda si fece tanto evidente ai ministri chessi furono costrettiad accedere...

    Lattuale Gabinetto Sardo ha cosi dovuto adottare una linea politica... lontanadai suoi desideri. Abercromby a Palmerston, 23 marzo, pag. 208.

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    chiarire qual via tenessero i repubblicani fra quellevicende: punti finora non trattati o sfiorati appena.Linsurrezione lombarda era vittoriosa su tutti ipunti quando le truppe regie innoltrarono sul terri-torio; e si stendeva sino al Tirolo. I volontari visavviarono, dando la caccia al nemico. I passi chedi l conducono alle valli dellAdda e dellOllioerano occupati dai nostri. Linsurrezione del Vene-to sera compita con miracolosa rapidit e ponevain mano dei montanari della Carnia e del Cadore ipassi che guidano dallAustria in Italia. Nostre era-no Palma ed Osopo. Il mare e le Alpi, come scriveCattaneo, erano chiusi al nemico. E lo erano persempre, se allAlpi ed al mare, al Tirolo e a Vene-zia, non alle fortezze e al Piemonte, avesse saputoo voluto, come a punti strategici doperazione,guardare la guerra regia.

    Lentusiasmo nelle popolazioni era grande: quan-to lo sconforto nel nemico. Una sottoscrizione apertain Milano il primo daprile per sovvenire alle spesecorrenti governative aveva prodotto, il tre, la som-ma di lire austriache 749,686; un imprestito di 94milioni di lire proposto dal governo provvisoriotrovava, allora, presti ad offrirsi, e senzutili. i capi-talisti17. Gli uomini correvano a dare il nome ai

    17 Documenti, Campbell a Palmerston : da Milano, 3 apr. pag. 295.39

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    CORPI FRANCHIo alle guardie nazionali; le donne ga-reggiavano, superavano quasi in entusiasmo i gio-vani dellaltro sesso: preparavano cartucce, solleci-tavano di casa in casa sovvenzioni al Governo, soc-correvano negli ospedali ai feriti18. Gli Austriaci siritraevano per ogni dove impauriti, disordinati, tor-mentati dai volontari, mancanti di viveri. I soldatiitaliani disertavano le loro file: in Cremona, il reggi-mento Alberto, il terzo battaglione Ceccopieri, e tresquadroni di lancieri, in Brescia parte dellHaugwi-tz19, altri altrove. Una fregata austriaca stanziata inNapoli20, due brig da guerra che incrociavano nel-lAdriatico21 innalzavano bandiera italiana e si da-vano alla repubblica veneta. AllAustria non rima-nevano in Italia ed cifra desunta da relazioniofficiali che 50,000 uomini22 rotti, sconfortati,spossati.

    E fuori di Lombardia, per tutto dove suona linguadel si, ora fermento, fremito di crociata. Linsurre-zione di Milano avea suonato la campana a stormodellinsurrezione italiana. Alle prime nuove delmoto in Modena, saffrettavano 2000 guardie civi-18 Id. pag. 296.19 Id. pag. 337; dispacci di Radezsky al Governo Imperiale .20 Id. lord Napier a lord Palmerston, 27 marzo, da Napoli, pag. 283.21 Id. Console generale Dawking a Palmerston , da Venezia il 28 marzo, pag.

    286.22 Id. Ponsomby a Palmerston , 10 aprile, da Vienna, pag. 388.

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    che da Bologna, 1200 e 300 uomini della linea daLivorno, e guardie civiche e studenti armati daPisa, e civici e volontari da Firenze23; e pochi didopo, a evitare lestrema rovina24 il Gran Duca eracostretto egli pure a intimar guerra allAustriaco.In Roma, date alle fiamme dal popolo, dai civici edai carabinieri commisti le insegne dellAustria, esostituita sulla residenza dellambasciata la leggen-da: PALAZZO DELLA DIETA ITALIANA25, sadunavano, bene-detti da sacerdoti, volontari, saprivano sottoscri-zioni ad armarli e avviarli: il 24 marzo, molti ave-vano gi lasciato la citt26, e al finir del mese, 10,000Romani e 7000 Toscani erano al Po, presti a varcar-lo dalla parte di Lago Scuro27. A Napoli, arse pari-mente le insegne abborrite, erano gi aperte il 26marzo le liste dei volontari, era dalluniversaleconcitamento, forzato a cedere il re28. Di Genova edel Piemonte non parlo: i volontari di Genova elo ricordo con orgoglio, non di municipio, ma daf-23

    Id. Hamilton a Palmerston , 21 marzo, da Firenze, pag. 259.24 Tutte queste cagioni mantengono nella capitale e nelle Provincie del GranDucato agitazione siffatta che pu temersi da un momento allaltro il pigrave commovimento, se il governo non saffretti a seguire il voto general-mente espresso di vedere le nostre truppe e milizie partecipar nella lotta. Neri Corsini al barone Schilzer Meeran. Firenze , 29 marzo, pag. 314.

    25 Id. W. Petre a sir G. Hamilton, 22 marzo, da Roma, pag. 261-2.26 Id. Petre a Hamilton, 21 marzo. pag. 227.27 Id. Campbell a Palmerston, 31 marzo, da Milano. pag. 294-5.28 Id. Napier a Palmerston, 27 e 28 marzo, da Napoli. pag. 281-5.

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    fetto per la terra ove dorme mio padre e nacquemia madre segnarono primi in faccia al nemicocomune il patto di fratellanza italiana cogli uominidi Lombardia.

    E fuori dItalia, la buona novella, diffusa colla ra-pidit del pensiero ringiovaniva glincanutiti nelle-silio, benediceva di nuova vita lanime morenti neldubbio, cancellava i lunghi dolori e i ricordi delleripetute delusioni e le antiveggenze che dovevanopur troppo verificarsi. Un solo pensiero balenavadal guardo, dallaccento commosso, a noi tutti:ABBIAMO UNA PATRIA! ABBIAMO UNA PATRIA! POTREMO OPERARE PER ESSA! e traversavamo, accorrendo, colla frontealta, insuperbendo nellanima dorgoglio italiano,le terre che avevam corse raminghi e sprezzati esulle quali suonava allora un grido di sorpresa e diplauso alla nostra Italia. Ah! Dio perdoni i calunnia-tori dellanime nostre in quei momenti di religionenazionale e damore. Essi, i moderati, ricevevano inGenova colle baionette appuntati; e facevano scor-tare disarmati al campo, a guisa di malfattori, glioperai italiani che da Parigi e da Londra, capitanatidal generale Antonini, accorrevano a combattere labattaglia dellindipendenza. Ci accusavano di con-giure. Noi non congiuravamo che per dimenticare.Io, rammento la parola:INFELICI! NON POSSONO AMARE!

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    che Santa Teresa proferiva pensando ai dannati.Ma tutto quel fremito, tutto quellentusiasmo

    che sommoveva a grandi cose lItalia, parlava dipopolo e non di principe, di nazione e non di mise-re speculazioni dinastiche. Urtarlo di fronte eracosa impossibile. E comunque il Martini prima, ilPassalacqua poi, avessero proferto gli aiuti regiisoltanto a patti di dedizione comunque i pi tragli uomini componenti il Governo provvisorio diMilano fossero proclivi e alcuni vincolati a queipatti nessuno os per allora stipulare patente-mente il prezzo dellincerta vittoria. Il leone ruggi-va ancora: bisognava prima ammansarlo.

    In un indirizzo a Carlo Alberto, il Governo prov-visorio di Milano, aveva fin dal 23 marzo, invocan-do gli aiuti, lasciato intravvedere al re e alla diplo-mazia quali fossero le sue intenzioni29. Ma le suedichiarazioni pubbliche posero un programma chedifferiva sino al giorno della vittoria la decisionedella questione politica e la fidava per quel giornoal senno del popolo. Liberi tutti, parleranno tutti. A CAUSA VINTA, LA NAZIONE DECIDER cos nei29 La Maest vostra... ricever certamente il plauso e la riconoscenza di

    questo popolo. Noi vorremmo aggiungere di pi, ma la nostra condizionedi Governo provvisorio non ci permette di precorrere i voti della nazioneche certo sono tutti per un maggiore riavvicinamento alla causa dellunititaliana. Indirizzo del 23 marzo comunicato il 3 aprile a lord Palmerstondal conte Revel Documenti, pag. 264.

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    proclami del 29 marzo, dell8 aprile, ecc. e questedichiarazioni fatte ai Lombardi, ai Veneti, a Geno-va, al papa, erano pur fatte il 27 marzo alla Francia.IN S FATTA CONDIZIONE DI COSE, NOI CI ASTENEMMO DI OGNI QUESTIONE POLITICA, NOI ABBIAMO SOLENNEMENTE E RIPETUTAMENTE DICHIARATO CHE, DOPO LA LOTTA, ALLA NAZIONE SPETTEREBBE DECIDERE INTORNO AI PROPRI DESTINI (Vedi Documenti, pag. 354).

    E Carlo Alberto annunziava nel Proclama del 23marzo, che le armi piemontesivenivano a porgerenelle ulteriori prove ai popoli della Lombardia e dellaVenezia quellaiuto che il fratello aspetta dal fratello,dallamico lamico:annunziava poco dopo in Lodi,che le sue armi abbreviando la lotta ricondurreb-bero fra i Lombardi quella sicurezza che permette-rebbe ad essi dattendere con animo sereno e tran-quillo a riordinare il loro interno reggimento.

    Era partito onesto; e i repubblicani lo accettaro-no, e vi sattennero lealmente: traditi; poi, al solito,calunniati.

    Se di mezzo alle barricate del marzo fosse sorta,piantata dalla mano del popolo, la bandiera repub-blicana se gli uomini che diressero linsurrezio-ne, assumendosi una grande iniziativa rivoluzio-naria, si fossero collocati a interpreti del pensieroche fremeva nel core delle moltitudini lindipen-

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    denza dItalia era salva. Tutti sanno e noi me-glio chaltri sappiamo come gli aiuti Svizzeri ne-gati dal Governo federale al re fossero profferti daicantoni allinsurrezionerepubblicana. N il governofrancese, diffidentissimo allora delle intenzioni diCarlo Alberto e incerto della sua via, avrebbe potu-to sottrarsi allentusiasmo popolare e alla necessitdella politica repubblicana. E in Italia, non guar-dando pure a soccorsi stranieri, le forze e lira una-nime contro lAustria eran tali da assicurare ai no-stri, sotto la guida duomini che sapessero e voles-sero, vittoria non difficile e decisiva. Forse, il terro-re di quel nome fatale e limpossibilit davversareallimpeto della crociata italiana avrebbero cacciatoalcuni fra i nostri principi sulla via del dissenso eprovocato allora le fughe che vennero dopo. Nuo-va arra di salute per noi, dacch non avremmoavuto traditori nel campo. Ma forsanche i tempierano tuttavia immaturi per lunit repubblicana,tanto importante quanto lindipendenza, dacch in-dipendenza senza unit non pu, stare e larti o leinfluenze straniere farebbero in pochi anni lItaliadivisa campo di mortali guerre civili. Perch lItaliadel Popoloavesse probabilit consentita desistenza,Roma dovea mostrarsi degna desserne la Metropo-li.

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    Comunque, la bandiera non era sorta: popolo emonarchia stavano uniti a fronte dello stranierosulle terre lombarde: il popolo aveva accettato ilprogramma di neutralit del Governo provvisoriofra tutte parti politiche, e i repubblicani decisero dirinunziare ad ogni iniziativa politica, di aspettarepazienti che la volont del popolo, vinta la guerra,si palesasse, e di consacrare ogni loro sforzo allaconquista dell indipendenza.

    Ed anche questo ci fu turpemente conteso dagliuomini del Provvisorio e dai moderati faccendieridel pensiero dinastico.

    La vita errante, anzi che no tempestosa, che i cre-denti nella fede repubblicana durano da parecchianni, ci contende di poter documentare con lettere,date, giornali, i fatti ai quali accenniamo. Ma io af-fermo la verit dogni sillaba mia sullonore. Gli ac-cusatori vivono: neghino se possono ed osano.Duolmi chio debba frammettere in questi cenni ilmio nome; ma dacch fui scelto meritamente ono poco monta da amici e nemici a rappresenta-re in parte il pensiero repubblicano, debbo allono-re della bandiera ci che per me non farei. Trattaicon silenzio sdegnoso, che volea diredisprezzo, lefalse accuse di aver nociuto per ostinazione di finipolitici allesito della guerra, che ci savventarono

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    addosso da tutte parti, quandio aveva stanza inMilano. Avrebbero detto allora chio scendeva a di-scolpe per paura o desiderio di rimovere il turbineche saddensava. Ma importa oggi che glItalianisappiano il vero intorno agli uomini che li chiama-no allopra.

    I fatti son questi.Noi non avevamo fiducia che il Governo provvi-

    sorio, giudicato collettivamente, potesse mai riesci-re eguale allimpresa. Ma dacch avevamo, peramor di concordia, accettato il programma di neu-tralit fra i due principii politici, non potevamospingere uomini dichiaratamente repubblicani alpotere e cacciare il guanto ai sospetti e alle irrita-zioni della parte avversa alla nostra. Per, glin-fluenti fra noi si strinsero intorno ai membri diquel Governo, sperando da un lato che i consigligiovassero, dallaltro che il paese, vedendoci unitinon rimetterebbe del suo entusiasmo e final-mente, che il nostro frequente contatto suggerireb-be, per pudore non fossaltro, a quegli uomini dimantenersi sulla via solennemente adottata. Le pri-me mie parole in Milano furono di conforto al Go-verno; le seconde, chiestemi da persona fautrice dimonarchia, furono una preghiera a Brescia perchin certe sue vertenze con Milano sagrificasse ogni

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    diritto locale allunione e al concentramento fattoallora indispensabile dalla guerra.

    Noi non avevamo fiducia in Carlo Alberto o nesuoi consiglieri. Ma Carlo Albertoera in Lombardiae capitanava limpresa che pi di tutte ci stava acuore: noi non potevamo fare che il fatto non fosse;bisognava dunque giovar quel fatto tanto che ne-scisse lintento. Dietro al re stava un esercito italia-no e prode; e dietro allesercito un popolo, il pie-montese, di natura lenta forse ma virile e tenace,popolo cancellato nella capitale da una guasta ari-stocrazia, ma vivo e vergine nelle provincie e de-positario di molta parte dei fati italiani. Esercito epopolo ci eran fratelli; e il vociferare, come moltifecero, di propaganda anti-piemontese da partenostra era calunnia pazza e ridicola. Bens, perchle varie famiglie italiane imparassero a stimarsi,amarsi e confondersi fraternamente davvero sulcampo perch al popolo rimanesse colla co-scienza di sagrifici compiuti coscienza de propridiritti e da ultimo perch diffidavamo dei capi eantivedevamo, quandaltri urlava vittoria primadella battaglia, possibile, probabile forse, una rotta volevamo che il paese sarmasse per potersi inogni caso difendere: volevamo che a fianco delleforze regolari alleate si mantenesse, si rinvigorisse,

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    rappresentante armato di questo popolo, lelemen-to dei volontari: volevamo che lesercito lombardosi formasse rapidamente, su buone norme e conbuoni uffiziali.

    Il Governo provvisorio voleva appunto il contra-rio.

    Ignari di guerra e daltro; fermissimi in credereche lesercito regio bastasse ogni cosa; vincolati, ipi almeno, al patto della fusione monarchica epensando stoltamente chunica via per condurre ildisegno a buon porto fosse, che il re vincesse solo eil popolo fosse ridotto a scegliere tra gli Austriaci elui; poco leali e quindi poco credenti nellaltruilealt, proclivi al raggiro politico perch poveri diconcetto, damore e dingegno glinfluenti tra iMembri posero ogni studio nel preparare lopinio-ne alla monarchia piemontese e nel suscitare nemi-ci alla parte nostra: nessuno nelle cose della guerra,nessuno nellarmare, nellordinare, nel mantenereinfiammato e militante il paese; i pochi buoni traloro non partecipavano al disegno, partecipavanoal fare e al non fare per debolezza di tempra o pervincoli damist individuale.

    La condotta dei repubblicani fu semplice e chiara.Unassociazione democratica, pubblica e con basidi statuti comunicati al Governo, fu impiantata dai

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    giovani delle barricate nei giorni che seguirono lavittoria del popolo, e prima chio giungessi in Mi-lano: avendo il Governo annunziato30 chei convo-cherebbe nel pi breve termine possibile unarap- presentanza nazionale , affinch un voto libero, che fossela vera espressione del poter popolare,potesse deciderei futuri destini della patria, era naturale e giovevo-le che lelemento repubblicano manifestasse con unatto legale la propria esistenza. Ma compito unavolta questo dovere e adottata la linea di condottaaccennata pi sopra, lassociazione, messa da ban-da ogni questione politica, non soccup, nelle raree pubbliche adunanze tenute, che di proposte diguerra. Io non vintervenni, prima del 12 maggio,che una volta sola per atto dadesione a miei fra-telli di fede e vi proposi che si spronasse e sappog-giasse il Governo.

    La Voce del Popolo, giornale diretto dai pi in-fluenti tra i repubblicani, suniformava. Scrivevaconsigli eccellenti di guerra e finanze. Cercava in-fonder vita di popolo nel Governo. La questionepolitica vera toccata rare volte e di volo: la parolarepubblica studiosamente evitata31.30 Proclama dell8 aprile.31 IlLombardo, diretto da un Romani, estraneo, anzi, non so se a torto o a ra-

    gione sospetto ai repubblicani, mosse in un articolo guerra violenta al go-verno, e fu brutalmente soppresso.

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    Se non che il Governo era pur troppo, nato appe-na, incadaverito; n galvanismo di consigli repub-blicani poteva infondergli vita.

    Il Governo, stretto fin prima del nascere ad unpatto di servit, diffidava di noi, diffidava del po-polo, dei volontari, di s stesso e dogni cosa, fuor-ch delmagnanimo principe. E ilmagnanimo principecampeggiava nei proclami, nei discorsi, nei bollet-tini grandiloqui, s che ogni uomo savvezzasse anon vedere che in lui e nellesercito che lo seguivalancora di salute. Magnificava, in quel primo pe-riodo, ogni scaramuccia che si combattesse intornoal Mincio fatale in battaglia quasi-napoleonica; estando a suoi computi, gli Austriaci avrebbero do-vuto essere, sul mezzo della campagna e quandoappunto cominciavano a farsi minacciosi davvero,spenti pressoch tutti.

    Il moto di tutta Italia verso i piani lombardi e lelagune della Venezia riusciva pei politici della fu-sione tardo ed inutile. La vittoria era certa, infallibi-le. I nostri consigli sascoltavano cortesemente, siprovocavan talora: non seseguivano mai. Il popolosaddormentava nella fiducia.

    E vera peggio. Mentre da noi si diceva:soccorre-te ai volontari; animateli: cacciateli allAlpi, la perditadei volontari, repubblicani i pi, era giurata: giura-

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    ta fin dagli ultimi giorni di marzo quando TeodoroLecchi fu assunto al comando del futuro esercito.Erano lasciati senzarmi, senza vestiario, senza da-naro; fortemente accusati ogni qualvolta la necessi-t li traeva a provvedersi da s: sospinti al Tirolo,ai passi dellAlpi, poi impediti dal combattere, for-zati ad abbandonare quei luoghi e le insurrezioninascenti: finalmente richiamati, feriti, essi i vincito-ri delle cinque giornate, nel pi vivo del core, e di-sciolti32. Mentre da noi sinsisteva sulla rapida for-mazione dunesercito lombardo e sindicavan lenorme; sindugiava, sinceppava larmamento, sisbadavano le migliaia di soldati italiani che abban-donavano il vessillo dAustria, si commetteva li-struzione degli accorrenti a ufficiali piemontesifuor di servigio, taluni cacciati per colpe dai ran-ghi. Ricordo che alle mie richieste insistenti percha render pi sempre nazionale la guerra e a prefig-gere al giovane esercito uomini gi esperti delleguerre dinsurrezione, si chiamassero i nostri esuliufficiali in Grecia, in Ispagna, ed altrove, mebbi ri-sposta che non si sapeva ove fossero.Non mi stancai,e ottenni, dacchio lo sapeva, facolt di chiamarli efirma, a convalidare il mio invito, del segretario32 Vedi il libro di Cattaneo, segnatamente ai cap. VII e VIII. Relazione della

    spedizione militare in Tirolo. Italia. Maggio 1848 I volontari in Lombar-dia e nel Tirolo del gen. Allemandi. Berna 1849 - e i documenti.

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    Correnti. Ma quando giunsero, il ministro Colle-gno, allegando mutate le circostanze, da pochi infuori, li ricus33. E mentre da noi soffrivano, ad af-fratellare colla nostra guerra il libero pensiero euro-peo e a creare un senso demulazione nei nostrigiovani, legioni di volontari francesi e svizzeri,giungevano divieti dal campo, e il Governo, obbe-dendo, rompeva le pratiche imprese in Berna e nelcantone di Vaud. Ma e non era Garibaldi, redu-ce da Montevideo, accolto freddamente e con pi-glio quasi di scherno al campo monarchico e ri-mandato a Torino a vedere se e come il ministerodi guerra potesse giovarsi dellopera sua?

    Intanto, mentre queste cose accadevano in Mila-no, la guerra regia, rifiutate lAlpi, si confinavaoziosamente tra le fortezze. Intanto lesercito au-striaco, raggranellato, riconfortato, vettovagliato,aspettava, riceveva rinforzi. Il Tirolo era vietato aCarlo Alberto dalla diplomazia del 1815: la difesadel Veneto vietata in parte da segrete mene di go-verni stranieri e da speranze di lontani accordi col-lAustria, in parte e pi assai dallabborrimento, ri-velato senza pudore, al vessillo repubblicano34. I33 Il maggiore Enrico Cialdini disse al Collegno chei non voleva aver viaggia-

    to per nulla, e che prima di ripartir per la Spagna, sarebbe andato sul Ve-neto a cercarsi, come milite, una ferita italiana, And e fu ferito.

    34 Non entro nei particolari, e rimando al libro di Cattaneo, ai documenti rac-53

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    principi italiani coglievano, a ritrarsi o raffreddaregli spiriti, pretesto dalle mire ambiziose che i fau-tori dellItalia del Nord manifestavano imprudente-mente, sconciamente, per ogni dove. Pio IX vietavaai romani passassero il Po. Il cardinal Soglia corri-spondeva in cifra con Innspruck. Corboli Bussi sirecava al campo del re esortatore di defezione35 ecospiratore. I fati dItalia erano segnati.

    Sorgevano momenti ne quali sembrava che ilgoverno si destasse al senso della condizione dellecose e de propri doveri; e allora come chi peristinto sente dov lenergia ricorreva ai repub-blicani; ma tradiva le sue promesse, e ricadeva nel

    colti dal Montecchi e alla storia della campagna; ma parmi dover citare un do -cumento ignoto fin qui: II sottoscritto.... saffretta a informare il sig. Abercromby che lordine dato aicomandanti le navi dello stato di lasciare liberamente navigare i bastimentimercantili naviganti sotto bandiera Austriaca che verrebbe loro fatto dincon-trare.I comandanti le navi della marina Regia hanno pure ricevuto lordine di noncommettere atto alcuno dostilit contro le navi da guerra Austriache, salvo il

    caso di provocazione Torino, 29 marzo 1848. Firmato: L.-N. ParetoDo-cumenti , pag. 265. Il dispaccio confermato da un altro del 9 aprile, e dalleistruzioni date dallammiragliato Sardo. Documenti, pag. 381.35 Io sono informato da una sorgente nella quale io posso porre ogni fede

    che il papa ha mandato ordini positivi alle sue truppe di non attraversare ilPo.

    Monsignor Corboli-Bussi passato per Firenze venendo da Roma, e sono in-formato chegli ha dal papa la missione di raccomandare al re di Sardegnadi ritirarsi colle sue truppe dentro le proprie frontiere.

    Documenti. Sir. G. Hamilton a Palmerston da Firenze il 14 aprile.54

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    siano se non amati, non disprezzati dal popolo.Commettete ad essi, sotto pretesto delle soverchievostre faccende o daltro, ogni cura, ogni autoritper le cose di guerra. Da essi emanino domani gliatti chio vi propongo. Intorno ad essi noi tutti cistringeremo e staremo mallevadori pel popolo.Tra le cose che si proponevano era la leva della to-talit delle cinque classi quando al governo parevasoverchia la leva delle prime tre e ne indugiava laconvocazione al finire dagosto, perch i contadini potessero attendere pacificamente al ricolto.E risponde-vano la bestemmia che icontadini erano austriacidanimo e di tendenze: i poveri contadini delle pri-me due classi tumultuavano intanto contro i chi-rurghi che ne respingevano alcuni siccome inetti alservizio. Io insisteva perch almeno si rifacesseuna chiamata ai volontari e mi poneva mallevado-re, certo che lesempio sarebbe seguito in ogni cittper la formazione duna legione di mille volontariin Milano, purch mi fosse concesso daffiggere uninvito e sottoscrivere primo il mio nome. E partivaapplaudito e con promessa dassenso.

    Due giorni dopo, lassenso allarruolamento deivolontari era rivocato. E quanto al Comitato diguerra, fu trasformato in Comitato di difesa pel Ve-neto e subito dopo in Commissione di soccorsi al

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    Veneto composta di membri del Governo, e final-mente in nulla. Il segretario faccendiere di CarloAlberto, Castagneto, avea detto: che al re non pia-ceva di trovarsi un esercito di nemici alle spalle.

    Desempi siffatti, io potrei citarne, se lo spazioconcedesse, parecchi.

    Cos si consum il primo periodo della guerra.Nel secondo, il Governo mut di tattica. Imoderaticominciavano, credo, ad antiveder la rovina, e astabilire non fossaltro pel futuro incertissimo unPRECEDENTE, diventavano frenetici diFUSIONEmonarchi-ca. Farneticavano per le piazze promettendo a Mi-lano che sarebbe capitale del nuovo regno; infana-tichivano, con ogni sorta di menzogne, le moltitu-dini ignare contro ai repubblicani collegati collAu-stria e provocatori di leve36: tormentavano il Go-verno provvisorio, perch non saffrettasse abba-stanza. E i membri del Governo, creduli o incredulialle stolte loro promesse, ridicevano, per mezzo dei36

    Enrico Cernuschi fu minacciato, imprigionato; e cos lAgnelli, il Terzaghi,Perego e non so quanti altri. Un Fava esercitava arti di spionaggio degnedellAustria intorno a Cattaneo e agli uomini che avean diretto le giornatedi marzo. A me iscrizioni sui muri e lettere anonime intimavano morte. UnCerioli, non ricordo se prima o dopo il 12 maggio, appicc per le cantonateuna tiritera, la cui conchiusione affermava chio avea ricusato veder miamadre per diversit dopinioni politiche La povera mia madre viaggiavaappunto allora verso Milano per abbracciarmi e benedire alle mie creden-ze. Non so dun repubblicano che sia sceso s basso da calunniare la vitaprivata de suoi avversari politici.

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    loro agenti, al popolo a quel popolo chessi ave-vano fino a quel giorno intorpidito, addormentatonella fiducia che i pericoli diventavano gravi,che a difendere il paese mancavano gli uomini,mancava il danaro, mancava ogni cosa; ma che, alsolo patto duna prova di fiducia nel re, al solo pat-to dellaFUSIONE, verrebbero milioni da Genova, mi-gliaia darmati dal Piemonte, benedizioni dal cielo,e senza leve, senza gravi sagrificii, la Lombardiavedrebbe compiuta limpresa: coi repubblicanichessi avean fermo in animo di tradire mutavanolamicizia menzognera in freddezza, e affettavanosospetti di congiure che non avevano. Congiure ache? se rovesciando quel meschino fantasma chesintitolava Governo, le sorti della guerra avesseropotuto mutarsi, i repubblicani lavrebbero rove-sciato in due ore.

    Sul cominciare di quel secondo periodo, quandola violazione del programma governativo era gidecisa, e mentre io era gi assalito, pel mio tacermi,di calunnie e minaccie da tutte parti, mi giunge in-viato dal campo, e messaggiero di strane proposte,un antico amico, patriotta caldo e leale. Parlava anome del Castagneto gi nominato, segretario delre, e proponeva: chio mi facessi patrocinatoreDELLA FUSIONE MONARCHICA, MADOPRASSI A TRARRE ALLA PARTE REGIA

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    I REPUBBLICANI, E MAVESSI IN RICAMBIO INFLUENZA DEMOCRATICA QUANTA PI VOLESSI NEGLI ARTICOLI DELLA COSTITUZIONEche sidarebbe; colloquio col re e non so che altro.

    Primo nostro intento e sospiro antico dellani-me nostre era ed lIndipendenza dallo stra-niero: secondo lUNIT della Patria, senza la qualelINDIPENDENZA menzogna: terzo, la REPUBBLICA eintorno a questa, indifferenti a ci che riguarda noiindividui e certi, quanto al paese, dellavvenire, noinon avevamo bisogno dessere intolleranti. A chidunque mavesse assicurato lindipendenza, e age-volato lunit dellItalia, io avrei dunque sagrifica-to, non la fede, chera impossibile, ma il lavoro atti-vo pel trionfo rapido della fede: a me la solitudinee la facolt, che nessuno avrebbe potuto mai tormi,di versare in un libro da stamparsi quando che fos-se quel tanto didee chio credessi utili al mio pae-se, bastava, e per amore dellindipendenza, i re-pubblicani non avevano aspettato, a tacer di re-pubblica, gli inviti dun re. Ma la questione era al-lora tutta di guerra. E fatale allesito della guerranoi ritenevamo il concetto, troppo ambizioso peinostri principi e per la diplomazia, troppo pocoper le popolazioni dItalia, il concettoFEDERALISTICO dellItalia del Nord. Lentusiasmo popolare era,merc quel concetto, gi spento; e i governi erano

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    ostili e i mezzi che il paese somministrava condan-nati allinerzia e le probabilit della guerra cresciu-te pur troppo a danni nostri. A volgerlo in favornostro, a ricreare lo spirito che vince ogni ostacolo,era sola una via: far guerra, non diPRINCIPI, ma diNAZIONE. E per questo, bisognava un uomo che osas-se e si vincolasse a non retrocedere per egoismo ocodardia nellimpresa. Voleva Carlo Alberto esserlUomo? Ei doveva dimenticare la povera sua coro-na sabauda e farsi davvero SPADA DITALIA: doveva,poich i governi tutti gli eran nemici, rompere di-chiaratamente, irrevocabilmente, con essi e racco-gliersi intorno, congiunti, ravvivati in un grandepensiero, i buoni, quanti erano tra lAlpi e gli estre-mi confini della Sicilia, in Italia. Cos, avremmo sa-puto chei parlava e voleva operare da senno, e noiavremmo potuto tentare ogni nostro modo persommovere a pr del suo intento tutti gli elementirivoluzionari italiani. Dove no, meglio era lasciarciin pace. Noi potevamo e dovevamo sagrifcare perun tempo alla salute dItalia anche la nostra ban-diera; ma n potevamo n dovevamo sagrificarla econ essa quel tanto dinfluenza sulle sorti del paeseche la nostra costanza in una fede ci dava ad unre che non volendo avventurar cosa alcuna del suo,n affratellarsi col pensiero italiano, n cangiare in

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    meglio le condizioni della guerra, avrebbe potutoritrarsi dallarena a suo piacimento e dirci; voi,CREDENTI, ACCETTAVATE TRANSIGERE.

    Queste cose a un dipresso io risposi a quellin-viato. Richiesto del come il re potesse farsi malle-vadore delle sue intenzioni a pr dellunit delpaese, risposi: firmando alcune linee, che le riveli-no; e richiesto sio scriverei quelle linee, presi lapenna e le scrissi. Erano, con mutazioni di formachor non ricordo, le stesse chio, con intento, inse-rii pi dopo nel programma dellItalia del Popolopubblicato in Milano; e le trascrivo:

    IO SENTO MATURI I TEMPI PER LUNIT DELLA PATRIA:INTENDO, O ITALIANI, IL FREMITO CHE AFFATICA LANIME VOSTRE. SU, SORGETE! IO PRECEDO. ECCO: IO VI D, PEGNO DELLA MIA FEDE, SPETTACOLO IGNOTO AL MONDO DUN RE SACERDOTE DELLEPOCA NUOVA, APOSTOLO ARMATO DELLIDEA-POPOLO, EDIFICATORE DEL TEMPIO DELLA NAZIONE. IO LACERO NEL NOME DI DIO E DELLITALIA I VECCHI PATTI CHE VI TENGONO SMEMBRATI E GRONDANO DEL VOSTRO SANGUE: IO VI CHIAMO A ROVESCIARE LE BARRIERE CHE ANCHOGGI VI TENGON DIVISI E AD ACCENTRARVI IN LEGIONE DI FRATELLI LIBERI EMANCIPATI INTORNO A ME VOSTRO DUCE,PRONTO A CADERE O A VINCER CON VOI.

    Lamico part. Pochi d dopo mi fu fatto leggereun biglietto del Castagneto, che diceva:VEDO

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    PURTROPPO CHE DA QUESTO LATO NON V DA FAR NULLA.Quando mai pu una idea generosa, potente da-more e davvenire per una Nazione, allignare nelcuore dun re?

    Noi seguimmo a tacer di politica37 e a giovarecome meglio potevamo, dopera e di consiglio, laguerra. Ma la guerra non era pi italiana, non eralombarda; era piemontese e duna fazione. Mini-stero, organizzazione, amministrazione, tutto erain mano duomini devoti ad essa. Il Governo nonaveva missione da quella infuori di ricevere i bol-lettini dal campo e magnificarli e preparare il fune-sto decreto del 12 maggio.

    Ed esc. Il programma di neutralit fu violato,quando pei sinistri eventi che facevano presagire lacatastrofe non lontana, importava pi che mai atte-nervisi, per non gittar nuovi semi di discordia nelcampo, per non togliere apertamente il suo caratte-re nazionale alla guerra, e per lasciar non fossaltroeredit dun principio alla insurrezione futura. Noiperorammo, scongiurammo il governo; ma inutil-mente. Volean servire.

    E allora allora soltanto noi sentimmo ne-cessit di protestare in faccia allItalia. Quei cheerano a quei giorni in Milano sanno che il farlo non37 In tutta la serie dei Documenti citati non uno solo dei ragguagli spediti frequente-

    mente a lord Palmerston da Milano parla dagitazione repubblicana.62

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    era senza pericolo. E dovrebbessere nuovo indizioa tutti, avversi o propizi, che noi non avevamo lun-gamente taciuto se non per amor di patria e pernon rompere quella concordia che, anche apparen-te, poteva giovare alla guerra.Il d seguente al Decreto, pubblicammo il docu-mento seguente:

    AL GOVERNO PROVVISORIO CENTRALE DEL-LA LOMBARDIA.

    Signori!

    Quando compiti i prodigi delle cinque giornate,sublimi di vittoria e di fiducia nei risultati della vit-toria, il popolo, solo sovrano su questa terra reden-ta col suo sangue, vaccett capi, e vi commettevaun doppio mandato; provvedere allintera emanci-pazione del paese; e preparargli un terreno liberocol quale lespressione del suo voto intorno ai futu-ri destini potesse sorgere spontanea, illuminatadalla discussione fraterna, accettata da tutti i parti-ti, solennemente legale in faccia allEuropa, pura dibasse speranze e di bassi timori, degna dellItalia edi noi.

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    E i popoli dItalia, che tutti si sapevano fratelli anoi, tutti mandavano, come concedevano le distan-ze, e le circostanze particolari, uomini loro a com-battere la santa guerra, vi confermavano tacita-mente lo stesso mandato. Sentivano che qui, suquesta terra lombarda dove moto e trionfo eranocose di popolo, si agitavano le sorti di tutta Italia:che qui in una importantissima parte dItalia, daparecchi milioni duomini generosi, doveva com-piersi, con voto libero e meditato, un esperimentoforte decisivo sulle vere tendenze, sugli istinti, suidesiderii che fermentano in core alle moltitudini, ene decideranno la nuova vita.

    Voi intendeste allora, signori, quel mandato omostraste dintenderlo. E poich non trovavate invoi potenza o diritto liniziativa dichiaraste solen-nemente pi volte che liniziativa spettava tutta in-tera al popolo, e che il popolo solo emancipato ilterritorio, e finita la guerra, avrebbe discusso e de-ciso, raccolto in assemblea costituente, intorno alleforme che dovrebbero reggerne la vita politica.

    E dichiarandolo, voi di certo non intendevate,cosa impossibile, ingiusta, che un popolo intero sirimanesse muto, per un tempo indefinito, sullequistioni pi gravi, e pi vitali per lui: voi non po-tevate ragionevolmente pretendere chei combat-

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    tesse senza sapere il perch; chei conquistasse vit-toria senza interrogarsi quali sarebbero i frutti del-la vittoria, chei si facesse soldato della libert co-minciando dal rinnegarla e dal contendersi ognidiritto di pacifica e fraterna parola.

    Le opinioni a poco a poco si rivelarono. Era cosabuona, era leducazione preparatoria, che voi nondavate al popolo, offertagli dai migliori fra suoifratelli perch il giorno dellAssemblea avesse ilsuo voto illuminato e pensato; era prova data al-lattenta Europa che le popolazioni Lombarde nonserano mosse per solo e cieco spirito di riazione,ma perch sentono i tempi maturi per entrare concoscienza di diritti e doveri nel grande consorziodelle nazioni. Voi non dovevate atterrirvi, ma ralle-grarvene; e solamente avevate debito di usare ditutta la vostra influenza perch il campo fosseaperto a tutti egualmente, perch la discussione simantenesse scevra di raggiri e dintolleranze, neitermini duna pacifica e fraterna polemica.

    Voi sapete, o