Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla...

5

Click here to load reader

Transcript of Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla...

Page 1: Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla propria persona; rompere ogni paratìa disciplinare, a partire dall’intuizione ... significato

(7 DEF) Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA

1. Il nostro tempo appreso col pensiero, ci presenta una società planetaria con alcune

caratteristiche di fondo: complessa, veloce, liquida, scientificizzata. La complessità dice l’in-finito e imprevedibile articolarsi delle componenti, sempre più

spezzettate e sempre più intrecciate; la velocità dice il progressivo accelerarsi dei processi, sempre

più proiettati verso un “futuro” che, appena si annuncia è già “passato”; la liquidità dice la

progressiva instabilità dei processi, sempre più esposti all’arbitrio e all’imprevedibilità; il carattere

scientificizzato dice la progressiva importanza della scienza e della tecnica, anzi della tecno-

scienza, diventata vero e proprio fattore produttivo. Queste caratteristiche ponendo la tecno-scienza al centro del discorso, sembrano aver emarginato

per sempre la filosofia. Non va dimenticato però in questo contesto, che la scienza, in quanto

scienza moderna, è progredita grazie a due caratteristiche combinate, che ne hanno assicurato la

crescita esponenziale e il trionfo: la specializzazione in settori separati e la concentrazione sul

mondo dei fatti separati dai valori. Le quattro caratteristiche sopraindicate (complessità, velocità, liquidità, scientificizzazione)

hanno generato un mondo contrassegnato da paradossi essenziali, di cui indichiamo solo alcuni: più

cresce la potenza tecno-scientifica, più cresce l’imprevedibilità; un numero sempre inferiore di

uomini può determinare la catastrofe dell’intero; più cresce la complessità più cresce la fragilità. In tale contesto, le specializzazioni, generando sempre ulteriori specializzazioni e

microspecializzazioni, hanno fatto progressivamente perdere il senso dell’intero; e, d’altra parte, la

separazione dei fatti dai valori, generando un’attenzione sempre più concentrata sui fenomeni, ha

fatto perdere il rapporto con il valore complessivo della vita. Tutto ciò, a rischio di catastrofe. Le

specializzazioni separate e la separazione dal mondo dei valori hanno cominciato a significare il

crescere di una invisibile malattia. È, pertanto, diventata urgente una duplice reazione: una

riscoperta dello sguardo sull’intero e una riscoperta del valore della vita, a partire dalle singole vite. Il mantenere un rapporto strutturale con l’intero e il mantenere un rapporto strutturale col mondo

della vita umana è, da sempre, il compito della filosofia intesa come scienza del pensare, che non

accetta di ridursi né a scienza del calcolare specializzato, né a scienza dei fenomeni separati dai

valori della vita. In tale contesto, la filosofia, emarginata dal discorso contemporaneo, è stata – paradossalmente –

dallo stesso processo contemporaneo ricondotta al centro del discorso. Ma si tratta di una filosofia che deve riuscire, in questo contesto, a ripensare se stessa. La filosofia

torna al centro del discorso: ma quale filosofia? Si tratta di una filosofia che non è semplicemente la

riscrittura della sua tradizione, tanto meno una pura nomenclatura di filosofi e di teorie. Si tratta di

una filosofia intesa come la pratica del pensare che, pur consapevole della sua tradizione, movendo

Page 2: Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla propria persona; rompere ogni paratìa disciplinare, a partire dall’intuizione ... significato

dal valore della vita e della stessa vita di chi la pensa, mantiene il rapporto col possibile e con

l’intero e liberamente li esplora, cercando di prestare attenzione all’ordine del discorso e dandone

ragione. Il pensare, però, non è semplicemente un calcolo esteso all’intero. Esso è un immaginare

intelligente, innestato in un sentire immaginante, radicato nel mondo della vita e capace di

estendersi all’intero possibile. In sintesi, si tratta di una pratica del pensare che non separa sé dagli

altri, né l’esperienza dal ragionamento, né la riflessione dall’immaginare e dal sentire, né le parti

dall’intero, né i singoli saperi dall’unità della vita, né i fatti dai valori, né la riflessione sul mondo

dall’interrogazione sul senso. Un tale pensare, perciò, recupera l’esperienza e l’identità della

persona che pensa, andando a coincidere con l’esperienza della sua libertà. Senza il recupero di

questa capacità di pensare, il mondo contemporaneo rischia di perdere ogni connotato dell’umano,

procedendo in modo specializzato e veloce verso la sua catastrofe. La ricerca scientifica, salvo svolte rivoluzionarie, segue percorsi programmati, il pensare

filosofico no; la ricerca scientifica può prescindere – e spesso deve prescindere – dal mondo della

propria vita e dei propri valori, il pensare filosofico no. Nella ricerca scientifica lavora

l’intellettuale, che può prescindere dalla propria vita; nel pensare filosofico il pensante non può mai

prescindere dalla propria vita, egli deve saper ripensare ogni cosa a partire da sé. Un pensare autenticamente filosofico innesca, così, almeno tre rivoluzioni: ripensare tutto

daccapo, a partire dalla propria persona; rompere ogni paratìa disciplinare, a partire dall’intuizione

dell’intero, che consente sempre nuovi punti di vista; riuscire a ricominciare sempre daccapo,

istituendo un dia-logo vero con le altre persone. La filosofia, in questo senso, è la risposta dell’uomo concreto all’uomo che si è dimenticato di sé,

e al mondo sociale che da quest’uomo si è fatto inquinare. In tale contesto, il pensare è diventato un diritto e un dovere della civiltà contemporanea: presidio

di quella recuperata libertà che può salvaguardare la società dalla perdita del senso e dall’estinzione

dell’umano.

2. Il pensare, perciò, è un compito imprescindibile della civiltà umana e degli esseri umani

che la costituiscono. Diremo, in questa luce, che esiste un compito del pensare non solo come

libertà di fare filosofia, ma come diritto alla filosofia. In che senso diritto alla filosofia? Il

presupposto di una tale questione è una domanda sulla filosofia. Intorno a questa domanda (che cosa è la filosofia?) bisogna, però, in una prima fase, stare attenti

perché, se si definisce una risposta all’interno di uno schema rigido, si rischia di dissolvere il

significato della filosofia stessa, il cui libero spazio non sopporta di essere rigidamente circoscritto,

a meno che non si neghi in seconda battuta ciò che si è affermato nella prima. Occorre perciò

attenersi a un’approssimazione dolce, consapevolmente elastica. La tenteremmo così: un libero

Page 3: Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla propria persona; rompere ogni paratìa disciplinare, a partire dall’intuizione ... significato

pensare sulla vita a partire dalla vita, che cerchi di dare ragione di ciò che dice. A un livello più

maturo diremmo che è un libero pensare che non accetta di chiudersi in compartimenti stagni e che

tiene sempre liberamente d’occhio l’intero, cercando di dare ragione del proprio metodo di

ragionare e delle proprie difficoltà. Ciò che più conta è, in ogni caso, la libertà del fluire del

pensiero, mai separato dal fluire delle esperienze della vita, delle sue domande, delle parole che le

esprimono e dei sentimenti che vi scorrono. Jacques Derrida ha parlato in un suo libro di un «diritto alla filosofia»1, sul quale è necessario

qualche commento. Derrida è filosofo molto intelligente. Se guardiamo all’introduzione di questo testo, però, troppe

parole girano intorno al problema, senza riuscire a metterlo in luce. La struttura derridiana del

discorso appare, a un’analisi complessiva, auto-contraddittoria. Nella prima parte, il filosofo

francese intende precisare in dettaglio quali siano i percorsi e le fonti di legittimazione della

filosofia, istituendo intrecci raffinati di concettualizzazioni, mentre nella seconda parte afferma che

la filosofia è libertà. L’auto-contraddizione è proprio qui: voler dare definizioni precise intorno a

una attività che contemporaneamente viene proclamata libera. Accade così che, mentre si afferma la

libertà, si dà a qualcuno – attraverso una rigida definizione – il pericoloso potere di negarla: il

potere di negarla, cioè, attraverso una precettiva applicazione della sua definizione. Il discorso di

Derrida può avere, forse, qualche piccola giustificazione. Egli intende polemicamente confrontarsi

con una struttura politico-giuridica, come quella francese, dirigistica per definizione, con la quale

bisogna poter dialogare collocandosi all’altezza della sua pretesa potenza. Può darsi anche un’altra

scusante. Il ragionamento di Derrida affronta un paradosso: parlare di una libertà, cercando di

definirla in dettaglio. In questo senso, se l’auto-contraddizione è viziosa, la possibile coscienza del

paradosso può essere virtuosa. L’importante è, però, non cancellare con la mano sinistra ciò che si è

scritto con la destra. In altri termini: non può riconoscersi una libertà nello stesso momento in cui si

dà a qualcuno il potere di stabilire mille paletti intorno alla libertà riconosciuta. La locuzione «diritto alla filosofia» ha, nel nostro tempo, innanzitutto un significato di battaglia. Il

suo significato è dato da tutto ciò che, intanto, il nostro tempo nega: la prospettiva dell’intero, la

prospettiva del valore e la prospettiva della ragione che riflette sul proprio metodo di pensiero. Noi

preferiremo dire perciò «diritto alla filosofia» nel senso del diritto a una libera attività di pensiero

scaturente dalla vita, che rifiuta preventivamente partizioni specializzate e intende parlare senza

restrizioni, per quanto con metodo. Un tale «diritto alla filosofia» deve poter essere assicurato in

ogni ambito istituzionale: in ogni scuola, in ogni comparto organizzato, in ogni attività della vita. Diremmo che un tale diritto deve riguardare non solo gli adulti, ma anche i piccoli discenti, e in

particolare i bambini. Perché occuparsi dei bambini? Perché, come in altra sede abbiamo osservato,

1 Jacques Derrida, Il diritto alla filosofia dal punto di vista cosmopolitico, Il Nuovo Melangolo, Genova 2003.

Page 4: Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla propria persona; rompere ogni paratìa disciplinare, a partire dall’intuizione ... significato

il dialogo coi bambini consente alla filosofia di tornare alle sue domande originarie2. Non si tratta di

una filosofia per i bambini, ma di una pratica filosofica coi bambini e, meglio ancora, a partire dalle

domande dei bambini. Sono i bambini, infatti, più degli altri, capaci di inventare infinite nuove

comparazioni, spesso spaesanti. Ma proprio questa capacità di invenzione è la perenne matrice di

nuove domande e di nuove prospettazioni. Va, a questo punto, fatta una precisazione essenziale. La locuzione «diritto alla filosofia»,

impiegata come reagente contrastivo, non ha lo stesso significato se si parla del diritto alla filosofia

per quanto riguarda i piccoli discenti e per quanto riguarda, invece, tutti, in senso universale. Nel

primo caso, si intende sottolineare che i piccoli discenti hanno diritto a uno spazio di libertà di

pratica filosofica, nonostante che nella vulgata comune siano considerati non ancora adatti a

esercitarlo. Nel secondo caso, il diritto alla filosofia ha il significato di sottolineare l’importanza di

uno spazio del libero pensare in tutte le persone, nonostante che il tempo attuale coltivi il facile

pregiudizio secondo cui la filosofia è inutile, essendo stata sostituita dai saperi particolari. In ogni

caso, un tale diritto alla filosofia va sostenuto in entrambi i significati. Ciò significa dare, da un lato, la libertà di parrhesìa ai piccoli discenti e, dall’altro lato, la

responsabilità della parrhesìa a ogni adulto, nessuno escluso, a partire da una libera riflessione sulla

propria esperienza e a partire da una doverosa considerazione dell’intero, del suo valore e del

metodo critico, responsabilità alla quale – nei tempi delle super-specializzazioni – ci siamo

incivilmente disabituati.Per quanto concerne i piccoli discenti, la filosofia è una possibilità da offrire e da tutelare,

nello stesso interesse della filosofia. Per quanto riguarda gli adulti, la filosofia è una responsabilità

da suscitare, nell’interesse non solo della filosofia, ma delle stesse scienze e della civiltà umana

tout-court. La pratica filosofica è innanzitutto libertà di espressione del pensiero, dei sentimenti, della

propria sorgiva vita, che si confronta con l’intera esperienza della vita. Naturalmente essa man

mano si raffina, ma un tale affinamento non deve negare lo spirito di partenza, che è la libertà.Quando tutti, compreso Derrida, parlano di diritto alla filosofia, dovrebbero precisare in che

senso dicono questo diritto. Esiste un diritto a qualcosa nel senso che un altro non me lo deve

impedire ed esiste un diritto a qualcosa nel senso che un altro deve mettermi nelle condizioni di

esercitarlo. Nel primo caso, si tratta di un diritto connesso alla libertà da, cioè alla libertà come non

impedimento; nel secondo caso, si tratta del diritto connesso alla libertà di, cioè alla libertà intesa

come potere di esercitare in concreto ciò che si è liberi di fare. Questi due diritti possono essere

2 Intorno all’esperienza filosofica coi bambini ci siamo intrattenuti in Giuseppe Limone, Piccole righe per una grandeidea in Giuseppe Limone (a cura di), L’era di Antigone, Il certo alla prova del vero, il vero alla prova del certo.Certezza e diritto in discussione, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche della Seconda Università degli Studidi Napoli, Vol. 5 FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 521-524; ID., Tra la filosofia con i bambini e la filosofia, in “AmicaSofia”, 1(2013), pp. 28-30; ID., Quale Socrate? Quale filosofia? Una risposta nell’esperienza filosofica coi bambini , inAmicaSofia, 2 (2013), pp. 14-15.

Page 5: Giuseppe Limone SUL DIRITTO ALLA FILOSOFIA - unive.it · PDF filedaccapo, a partire dalla propria persona; rompere ogni paratìa disciplinare, a partire dall’intuizione ... significato

intesi sia congiuntamente che indipendentemente l’uno dall’altro. Uno spazio per il diritto alla

filosofia nel senso del non impedimento, significa che bisogna riconoscere un libero spazio in cui si

discuta come si vuole e quanto si vuole su tutto ciò che si vuole, sotto l’unico presupposto di alcune

regole, molto ridotte, di ragionamento. Uno spazio del diritto alla filosofia – come diritto a essere

messi nelle condizioni di fare filosofia – è poter esercitare un percorso, fatto di molti strumenti,

perché si pratichi una libertà di pensare, di immaginare e di sentire, vero ossigeno di ogni vita

umana, senza formalizzarsi nelle bardature di quelle forme supponenti che si chiamano “Filosofie

accademiche” e “Scienze specializzate”. Accanto a queste due forme di diritto, in realtà, si fa strada

un terzo diritto alla filosofia, più pieno, consistente in quella libertà intesa come espressione di ciò

che ci ispira. Si tratta della libertà per, che dev’essere adeguatamente nutrita da un’educazione

capace di farla venire alla luce. Dare libero campo a questo diritto alla filosofia (nelle sue tre forme) significa innescare in tutte

le sedi istituzionali e sociali un processo creativo: si rompono le paratìe disciplinari, si disingessano

strutture anchirosate, si realizzano meticciati fra i saperi, si conquistano nuovi punti di vista, ci si

domanda sul senso delle varie discipline e sui loro accostamenti, si cercano nei vari saperi quei

problemi comuni che sono tradizionalmente chiamati con parole diverse e che, messi a confronto,

producono nuove prospettive. In generale, si realizza un approccio trans-disciplinare (e non

semplicemente inter-disciplinare) che è intuizione e riflessione su nuovi possibili percorsi di senso. Ma il diritto alla filosofia può essere inteso anche in senso diverso da quello giuridico: in senso

culturale e morale. In questo diverso significato, esso non può essere circoscritto nella semplice

corazza degli ordinamenti giuridici costituiti. È diritto alla libertà di pensare, di immaginare e di

sentire, sia nel senso del non impedire che nel senso del mettere nelle condizioni di esercitare. E,

soprattutto, nel senso di poter liberamente esprimere la propria meditazione sulla vita, sull’intero e

sul senso. Un tale diritto è valore culturale e morale, da far crescere nel mondo sociale come pratica

civile, fondata sul dialogo critico e sulla consapevolezza dell’intero. Ci si domanda: occorre

formalizzare anche questo diritto, inteso in senso puramente culturale e morale? Forse sì, ma cum

grano salis, se questo serve a far capire quanto sia urgente il pensare nel tempo d’oggi. Ma se oggi

siamo nelle condizioni di dover discutere come formalizzare questo diritto, e se debba essere

formalizzato, è – anche questo – un segno della malattia del nostro tempo. Non ci si disperi. Anche

prendere coscienza dello stato di malattia è un segno di salute.

Napoli, 30 maggio 2015