Giuseppe Invernizzi Il pessimismo tedesco dell\' Ottocento Schopenhauer, Hartmann, Bahnsen e...

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Invernizzi Sul Pessimismo Tedesco

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  • GIUSEPPE INVERNIZZI

    IL PESSIMISMO TEDESCO DELL'OTTOCENTO

    SCHOPENHAUER, HARTMANN, BAHNSEN E MAINLANDER E I LORO AWERSARI

    LA NUOVA ITALIA EDITRICE

    FIRENZE

  • Invernizzi, GiuseppeII pessimismo tedesco dell'Ottocento. -(Pubblicazioni della Facolt di letteree filosofia dell'Universit degli Studi di Milano ; 157.Sezione di filosofia ; 23). -ISBN 88-221-1458-21. Pessimismo - Filosofia tedescaI. Tit.193

    Propriet letteraria riservataPrinted in Italy

    Copyright 1994 by La Nuova Italia Editrice, Firenze 1" edizione: giugno 1994

  • Alla memoriadi mio fratello Dino

  • INDICE

    P. i

    17

    Gap. I IL PESSIMISMO DI SCHOPENHAUER 191. La metafisica di Schopenhauer 192. La dinamica del volere e il prevalere del dolore 243. Il tempo e la teleologia 294. La fondazione del pessimismo 325. La negazione del volere 37

    Gap. II LA PRIMA DIFFUSIONE DEL PESSIMISMO DI SCHO PENHAUER 441. Il pessimismo di Schopenhauer nelle prime recensioni del

    Mondo come volont e rappresentazione 442. La presenza del pensiero di Schopenhauer nella cultura tedesca

    fino alla pubblicazione dei Parerga e paralipomena 493. Il successo dei Parerga e paralipomena e la polemica sulla

    vita di Schopenhauer 53

    Gap. Ili IL PESSIMISMO NEI DISCEPOLI DI SCHOPENHAUER 601. I primi due discepoli di Schopenhauer: Dorguth e la conversio ne a Schopenhauer di Frauenstdt 60

    2. Frauenstdt e il pessimismo 663. Frauenstdt critico della psicologia e dell'etica di Scho

    penhauer 714. Gli altri discepoli di Schopenhauer: Lindner, Gwinner, Asher 74

    Gap. IV LA LETTERATURA CRITICA SUL PESSIMISMO DI SCHO PENHAUER FINO AGLI ANNI SETTANTA 791. I caratteri generali del dibattito intorno a Schopenhauer 792. Gli hegeliani e il pessimismo di Schopenhauer 843. Il teismo speculativo ed il pessimismo di Schopenhauer 93

  • Vili INDICE

    4. Un discepolo di Baader ed uno di Herbart avversati di Scho-penhauer: Hoffmann e Thilo 98

    5. Alcune critiche storiche alla filosofia di Schopenhauer 1026. I critici da sinistra : Feuerbach e Bchner 1097. Francesco De Sanctis 115

    PARTE SECONDA TRE FILOSOFI PESSIMISTI: HARTMANN,BAHNSEN E MAINLNDER 119

    Gap. V IL PROBLEMA DELL'INCONSCIO IN HARTMANN 1211. I caratteri generali della filosofia di Hartmann 1212. Le prove induttive dell'esistenza dell'inconscio: l'inconscio nei

    fenomeni corporei 1263. Le prove induttive dell'esistenza dell'inconscio: l'inconscio nel

    lo spirito umano 136

    Gap. VI LA METAFISICA DI HARTMANN 1441. Il problema della materia 1442. Natura e genesi della coscienza 1483. La metafisica dell'inconscio: i rapporti con il teismo e la tradi

    zione filosofica 1534. Il nesso fra volont e idea nell'inconscio e il monismo concre

    to 160

    Gap. VII IL PESSIMISMO IN HARTMANN 1691. Il problema del pessimismo 1692. Il bilancio eudemonologico e la critica delle illusioni 1733. La negazione del mondo e l'escatologia 182

    Gap. Vili L'ETICA DI HARTMANN 1871. Il problema della morale e la libert 1872. Gli istinti morali, la critica all'egoismo e all'eteronomia 1933. La morale della ragione e il finalismo cosmico 199

    Gap. IX LA METAFISICA DI BAHNSEN 2061. Sviluppo e caratteri della filosofia di Bahnsen 2062. L'ontologia e il concetto di volont/forza 2143. La causalit, lo spazio e il tempo come condizioni del plurali

    smo degli individui 223

    Gap. X LA CONTRADDIZIONE E IL NICHILISMO 2321. La natura della contraddizione e la logica 2322. Contraddizione ed esperienza 2363. Il nichilismo 242

    Gap. XI ANTROPOLOGIA ED ETICA 2441. Il destino dell'uomo 2442. Il determinismo e la morale 2483. La filosofia della storia e la politica 257

  • INDICE IX

    Gap. XII LA FILOSOFIA DELLA REDENZIONE DI MAINLNDER 2631. La personalit di Mainlnder 2632. La teoria della conoscenza 2663. La metafisica e il suo rapporto con la tradizione religiosa 2754. Il mondo come la via di Dio verso il nulla 282

    Gap. XIII ETICA E FILOSOFIA DELLA STORIA 2901. Il determinismo, l'antropologia, la psicologia 2902. La dottrina della felicit 2953. La negazione della volont dal punto di vista cosmico-storico 3034. Il socialismo di Mainlnder 307

    PARTE TERZA LA DISCUSSIONE SUL PESSIMISMO NEGLI ANNISETTANTA-OTTANTA 313

    Gap. XIV LA PRESENZA DELLA FILOSOFIA DI SCHOPENHAUER 3151. La filosofa di Schopenhauer negli anni della discussione sul

    pessimismo 3152. Schopenhauer philosophus christianissimus : Deussen ed

    Herrig 3233. Noir e Bilharz 330

    Gap. XV DISCUSSIONI INTORNO ALLA FILOSOFIA DELL'IN CONSCIO 3361. Il metodo della Filosofia dell'inconscio nel giudizio dei con temporanei 336

    2. L'inconscio nella corporeit e nella psicologia 3483. La metafisica, la filosofia della natura e il problema della nasci

    ta della coscienza 3564. Venetianer e Peters 371

    Gap. XVI L'IMPOSSIBILIT DEL PESSIMISMO METAFISICO E LETEODICEE ALTERNATIVE 3761. Il concetto di pessimismo e i suoi possibili significati 3762. Il problema della valutazione del mondo 3793. Le critiche al pessimismo metafisico di Schopenhauer ed Hart-

    mann 3874. Le alternative al pessimismo metafsico: tentativi di teodicee 3955. La critica di Fechner al pessimismo e la sua teodicea 399

    Gap. XVII IL PROBLEMA DEL PESSIMISMO EMPIRICO 4071. La concezione del piacere e la possibilit del bilancio eudemo-

    nologico 4072. La teoria delle illusioni e leggi psicologiche g letali del bilan

    cio eudemonologico 4143. Il valore eudemonologico dei singoli beni 4174. La religione di Hartmann e il suo bilancio eudemonologico 4265. Il valore eudemonologico della morale 433

  • X INDICE

    Gap. XVIII L'ETICA DEL PESSIMISMO 4391. Il nesso fra etica e felicit 4392. La fondazione metafisica dell'etica, l'autonomia e la libert 452

    Gap. XIX DUHRING E DUBOC 4601. Il problema del pessimismo in Dhring 4602. Il bilancio eudemonologico di Dhring 4643. L'ottimismo di Duboc 477

    Gap. XX NIETZSCHE, HEINRICH VON STEIN E FERDINAND LA-BAN 4821. Il pessimismo nelle prime due fasi del pensiero di Nietzsche 4822. Nichilismo e pessimismo nell'ultimo Nietzsche 4943. Due discepoli di Nietzsche: Stein e Laban 507

    Gap. XXI PESSIMISMO E SOCIET 5131. Il significato politico-culturale del pessimismo nel giudizio dei

    suoi critici 5132. La revisione del giudizio sul significato politico-sociale della

    filosofia pessimistica 524

    BIBLIOGRAFIA 5311. Testi 5312. Letteratura critica 572

    INDICI DEI NOMI 595

  • INTRODUZIONE

    Quando nella seconda met del secolo scorso rifior lo studio di Kant, specialmente nel decennio fra il 1870 e il 1880 due erano le questioni che, oltre al problema-Kant, richiamavano su di s in modo esclusivo l'in teresse filosofico: la questione del materialismo e quella del pessimismo (Vaihinger 1923, p. 162). In effetti nel decennio indicato da Vaihinger - ma anche per buona parte del decennio successivo - due autori pessimi sti - Schopenhauer ed Hartmann - hanno goduto di una popolarit ec cezionale, testimoniata dal numero enorme di libri, saggi, articoli, recensio ni che li riguardano direttamente o che discutono del pessimismo in gene rale. Tuttavia mentre il neokantismo e il materialismo sono stati e sono ancora frequentemente studiati dalla storiografia filosofica e mentre i temi filosofici da essi discussi sono ancor oggi presenti nel dibattito filosofico, non altrettanto pu dirsi del pessimismo: questo episodio della storia della filosofia tedesca, pur in presenza di un rinnovato interesse per il secondo Ottocento, non stato pi preso in considerazione nel suo complesso nep pure da un punto di vista storico 1 .

    1 Gottfried 1957 una ricostruzione d'insieme dell'atmosfera pessimistica dell'Europa del XIX secolo che tocca solo marginalmente i contenuti propriamente filosofici del problema (cfr. anche Gottfried 1973, che sostiene la classica tesi secondo cui la diffusione del pessimismo sarebbe stata una conseguenza del fallimento della rivoluzione del 1848). Schmel 1985, pur offrendo parecchi spunti interessanti, selezio na solo alcuni degli autori coinvolti nel dibattito e, soprattutto, non si occupa delle reazioni e delle critiche al pessimismo. Altre indicazioni si possono trovare in alcuni studi dedicati prevalentemente alla fortuna di Schopenhauer nella letteratura del XIX secolo: Krauss 1931, Arnold 1933, Hof 1970, Sorg 1975. Il libro di Ludwig Marcuse (Marcuse 1953) pi una interpretazione della situazione culturale del secondo dopo guerra che un libro sul pessimismo storico . I lavori pi completi rimangono quelli ottocenteschi: Plmacher 1888, Jouvin 1892 e Sully 1891.

  • INTRODUZIONE

    Non possibile affrontare fenomeni culturali di questa ampiezza sen za abbozzarne preventivamente, almeno a grandi linee, i contorni. Appa rentemente, la cosiddetta Pessimismus-frage sembrerebbe ridursi alla Wirkungsgeschichte delle filosofie di Schopenhauer e di Hartmann giacch, come si accennato, gran parte del dibattito sul pessimismo ruota intorno a questi autori. In realt la Pessimismus-frage al tempo stesso qualcosa di meno e qualcosa di pi della storia della fortuna di queste due filosofie.

    Qualcosa di meno, perch certamente il pensiero di Schopenhauer non si esaurisce nel pessimismo: temi quali l'interpretazione fisiologica del kantismo, il primato della volont nella coscienza, la critica della possibilit di una scienza della storia, rientrano solo marginalmente o non rientrano affatto nella questione del pessimismo, come provato dal fatto che la filosofia di Schopenhauer riuscita in qualche modo a sopravvivere al l'esaurirsi dell'interesse per il pessimismo 2 . Lo stesso discorso, seppure in misura minore, vale per Hartmann; certamente infatti questo autore rag giunge l'apice della fama con la sua opera pi nota, la Filosofia dell'incon scio, in cui il pessimismo svolge un ruolo importantissimo. Ma si farebbe torto ad Hartmann se si ignorassero gli importanti stimoli che egli ha offer to anche in altre direzioni, a partire dal concetto di inconscio, per giungere alle monumentali opere storiche ed alla poderosa Kategorienlehre, uno degli ultimi monumenti dello Sptidealismus^.

    Qualcosa di pi, perch filosofi pessimisti non sono stati solo Schopenhauer ed Hartmann: bench non si possa parlare in senso proprio di una scuola schopenhaueriana n tanto meno di una scuola hartmanniana, vi sono parecchi altri autori che riprendono e sviluppano il pensiero di questi filosofi. Fra di essi particolare rilievo posseggono due figure che, pur influenzate in modo decisivo dal pensiero del saggio di Francoforte , hanno sviluppato dei sistemi filosofici originali in cui il pessimismo occupa una posizione assolutamente centrale: Bahnsen e Mainlnder.

    2 Non esiste a tutt'oggi un'opera che studi in tutti i suoi aspetti la presenza di Schopenhauer nella cultura filosofica a lui seguente - lavoro la cui necessit Vaihinger sottolineava fin dal 1876 (Vaihinger 1876, p. 207 s.). A parte Salzsieder 1928, - che si limita alle esplicite riprese della filosofia di Schopenhauer (ma basta scorrere il libro, di per s incompleto, per rendersi conto della complessit del problema) -, indicazioni interessanti si trovano in Hiibscher 1973 e in Spierling 1984.

    3 Manca naturalmente anche un'indagine sistematica sulla fortuna della filosofia di Hartmann. Quasi tutte le opere che trattano del sorgere della psicanalisi contengono tuttavia delle pagine dedicate ad Hartmann. Sull'influenza di Hartmann su Scheler cfr. W. Hartmann 1956.

  • INTRODUZIONE )

    Inoltre il discorso intorno alla Pessimismus-Frage risulterebbe larga mente incompleto se non si prendessero in considerazione gli awersari e i critici dei pessimisti, coloro che in moltissimi saggi, recensioni o volumi hanno variamente ripreso i problemi posti dal pessimismo, mettendone in discussione l'impostazione e le soluzioni offerte o, in qualche caso, svilup pando nuove forme di ottimismo.

    Finora si sono delineati per cos dire i contorni esterni della Pes- simismus-Frage. Si tratta ora di compiere un ulteriore passo e caratterizzare il contenuto concettuale della questione e in particolare di circoscrivere il significato del concetto di pessimismo. Come avviene per molti concetti filosofici, anche di esso difficile dare una definizione che possa abbraccia re le molteplici valenze con le quali esso stato impiegato, pur nell'arco di tempo relativamente limitato che qui interessa. Per offrire comunque un orientamento generale e al tempo stesso per sottrarsi all'onere di sempre problematiche definizioni, si pu seguire la via di indicare in qualche mi sura rapsodicamente le tesi pi caratteristiche sostenute dagli autori che si consideravano pessimisti 4 .

    Si pu indicare come uno dei caratteri pi generali dell'atteggiamento pessimistico una valutazione negativa della realt nel suo complesso o - quanto meno - di alcuni dei suoi aspetti pi rilevanti per la vita dell'uomo. Questo atteggiamento si esprime in molte forme: uno dei motivi pi ricor renti la tesi che l'uomo infelice, che il vivere da luogo inevitabilmente ad un sovrappi di dolore, non compensato o giustificato da un aldil consolatorc; se la felicit il fine della vita umana, se ne ricava che la vita senza scopo e senza senso. D'altra parte tale infelicit non dipende dalle particolari condizioni storiche o sociali in cui l'uomo si trova a vivere: bench alcuni dei pessimisti ammettano la possibilit di un progresso scientifico, tecnico, politico e sociale, e bench Hartmann e Mainlnder ritengano dovere per l'uomo dedicarsi ad esso con tutte le sue forze, i pessimisti sono concordi nel ritenere che tale progresso non possa mutare sostanzialmente la condizione umana e, anzi, quando realizzato, non possa che far risaltare con maggiore chiarezza la strutturale impossibilit per l'uomo di raggiungere la felicit.

    4 Definizioni formali si possono naturalmente trovare nei vari lessici, dizionari, enciclopedie. Particolarmente pregevole V. Gerhardt 1989. Si veda per anche il bril lante saggio che costituisce la voce Pessimismus in Mauthner 1923, voi. II, pp. 460- 502. Stglich 1951, offre invece tutte le indicazioni necessarie per ricostruire la storia del termine pessimismo. Non mancano tentativi di utilizzare il concetto di pessimismo an che in riferimento ad epoche storiche diverse da quelle in cui esso si affermato, cfr. ad es. Diels 1921.

  • 4 INTRODUZIONE

    In alcuni casi a questi tesi si accompagna un giudizio profondamente negativo sulla natura umana, cui si attribuiscono come caratteri dominanti l'egoismo, la rozzezza, l'insensibilit, l'inesauribile brama di denaro, piace re, potere. A questa antropologia si associa frequentemente la convinzione dell'impossibilit di un significativo innalzamento morale dell'uomo, con vinzione che si collega da una parte al determinismo sostenuto dalla mag gior parte dei pessimisti, dall'altra alla tesi secondo cui l'agire dell'uomo dipende dal suo carattere, considerato per lo pi immutabile o modifi cabile in misura relativamente modesta. Spesso inoltre l'agire etico non viene considerato un valore in s, ma solo nella misura in cui, muovendo l'uomo all'ascesi o all'impegno per il progresso, rende possibile il raggiun gimento della liberazione dall'esistenza, indipendentemente dal fatto che essa si compia a livello individuale (Schopenhauer) o a livello cosmico (Hartmamr).

    In vario modo queste tesi mettono capo a metafisiche ateistiche o per lo meno antiteistiche che vedono la realt nel suo complesso come qualco sa di irrazionale, di ateleologico, frutto di un principio - la volont - esso stesso irrazionale; la creazione del mondo considerata come un erro re, una colpa commessa da tale principio, che pu essere espiata dall'uomo solo attraverso l'annichilimento del mondo stesso, annichilimento che co stituisce il fine cui l'umanit deve aspirare. Tutto ci si riassume nel principio secondo cui il non-essere migliore dell'essere, un principio che la radicale negazione del principio omne ens, in quantum ens, est bonum, condiviso da gran parte della filosofia occidentale.

    Il valore negativo che il pessimismo attribuisce ai vari aspetti della realt dipende sempre, pi o meno esplicitamente, dalla constatazione della inadeguatezza del mondo rispetto a ci che si vorrebbe fosse, ad un dover essere che si constata non realizzato e non realizzabile: implicitamen te si presuppone sempre che il mondo dovrebbe consentire la felicit del l'uomo, il suo innalzamento morale, il raggiungimento della perfezione in dividuale e sociale, che dovrebbe rendere possibile l'eliminazione della sofferenza, che dovrebbe essere razionale, finalisticamente organizzato, privo di enigmaticit e di mistero.

    Questa esigenza di una corrispondenza fra quanto la ragione umana chiede e l'uomo concreto desidera e ci che esiste o pu realizzarsi, appare costituire l'elemento che lega specificamente il pessimismo ad una parte importante della tradizione filosofica, di cui per molti aspetti costituisce una contestazione. Il presupposto qui operante infatti sta alla base anche di quelle dottrine filosofiche che costituiscono i principali bersagli della pole-

  • INTRODUZIONE 5

    mica pessimista: l'idealismo e il teismo. Anche tali filosofie pensano che la realt debba essere qualcosa di comprensibile in termini razionali, che la vita dell'uomo debba avere un senso, che la storia debba realizzare un fine; solo che - a differenza dei pessimisti - ritengono che queste esigenze pos sano trovare soddisfazione. In quest'ottica, se le varie teodicee devono es sere viste come tentativi pi sofisticati di riaffermare contro la realt del male la validit del presupposto indicato in precedenza, si pu anche dire che il pessimismo si configura come una globale contestazione di ogni ten tativo di teodicea, come il rifiuto di accettare qualsiasi giustificazione del l'esistenza del male 5 .

    La discussione di tali problemi speculativi occupa per solo una parte del dibattito intorno al pessimismo; infatti, bench tutti i pessimisti in un modo o nell'altro giungano a qualche forma di metafisica, il loro punto di partenza sempre costituito dalla constatazione - o dalla dimostrazione - della verit empirica del pessimismo. A questo scopo essi hanno sviluppato una specifica psicologia volontaristica e si sono impegnati in estese e spesso spregiudicate fenomenologie della condizione umana , intese a mostrare la mancanza di valore della vita umana e la sua strutturale infelicit 6 . L'im mediata presa di questi temi, la forma accessibile in cui essi sono stati trattati sono certamente all'origine del successo del pessimismo presso il pubblico, successo che in qualche misura condiziona la forma assunta da tutto il dibattito. Si ha infatti spesso l'impressione che i vari filosofi di professione appartenenti alla diverse scuole - teisti, hegeliani, herbar- tiani, neokantiani, teologici cattolici e protestanti - si sentano trascinati nella discussione di temi che essi erano soliti affrontare in modo meno diretto e comunque all'interno di pi complesse costruzioni teoriche. Non pu essere messo in dubbio che, da questo punto di vista, il presentarsi sulla scena filosofica del pessimismo abbia esercitato una rilevante funzio ne di stimolo in un ambiente filosofico in profonda crisi, diviso fra il culto del proprio passato e lo scientistico rifiuto della filosofia.

    Questa osservazione rimanda immediatamente ad un altro elemento che caratterizza la storia del pessimismo ottocentesco: con l'eccezione di Schopenhauer, che per un certo periodo fu almeno nominalmente libero

    5 In proposito utilissimo l'ampio Billicsich 1936, che non casualmente, nel terzo volume, dedica molto spazio a Schopenhauer, Hartmann e Nietzsche e a molti degli autori coinvolti nella Pessimismus-Frage.

    6 Una tarda ripresa di questo pessimismo empirico offerta da Kowalewski 1904, che sviluppa un'analisi piuttosto sofisticata, attraverso interviste di studenti e ragazzi, del modo in cui sono percepiti e ricordati i piaceri e i dolori.

  • 6 INTRODUZIONE

    docente a Berlino, tutti i pessimisti operano fuori dall'universit. Il loro successo in misura determinante non decretato dall'accademia, dalla corporazione filosofica, ma dal pubblico. La vicenda del pessimismo appare riproporre all'interno della cultura filosofica tedesca del secondo Ottocento qualcosa di simile a quel dualismo fra filosofia accademica e filosofia popolare caratteristico del periodo illuministico.

    Peraltro bisogna subito dire che l'aggettivo popolare viene riferito a vari tipi di produzioni filosofiche, non sempre nettamente distinte dalla filosofia accademica.

    In primo luogo vengono denominate popolari tutte quelle pubbli cazioni - non rare in quegli anni - mediante le quali gli accademici si propongono di diffondere fra il grande pubblico le loro idee oppure di orientarlo circa le questioni fondamentali. Si tratta di scritti in cui in modo programmatico un'esaustiva ed approfondita discussione dei vari problemi sacrificata alla semplicit ed alla facilit di lettura: spesso in modo esplicito si rimanda il lettore per ulteriri approfondimenti alle cor rispondenti opere scientifiche .

    Popolari sono anche definiti gli articoli e i saggi che vengono pub blicati sui sempre pi numerosi periodici non specialistici, sulle pagine culturali dei quotidiani, i cui autori sono spesso gli stessi professori di filosofia ma anche e soprattutto giornalisti o personaggi esterni all'accade mia, in genere inclini ad un atteggiamento critico nei confronti della Zunft filosofica. Questo genere di pubblicistica, sebbene non strutturalmente contrapposta alla produzione accademica, in genere guardata con un misto di sospetto e timore da parte degli accademici, combattuti fra la tendenza a servirsi di essa per diffondere il proprio pensiero e il timore di vedere condizionato dall'esterno, da parte del potere della stampa, lo svol gersi del dibattito filosofico intraccademico.

    poi in genere considerata appartenente al genere popolare la galassia dei pamphlet, dei Programmi delle varie scuole superiori, dei libri di filosofia - talvolta anche ponderosi - i cui autori sono dilettanti, intellettuali o filosofi comunque estranei alla vita universitaria. Bench queste pubblicazioni siano dirette pi o meno esplicitamente al grande pubblico (visto non di rado come il tribunale d'appello cui ricorrere dopo la condanna in primo grado da parte del tribunale dell'universit), esse non sempre hanno o quanto meno intendono avere il carattere di popolarit nel senso sopra chiarito. La denominazione di popolare in questi casi viene attribuita a tali scritti dai filosofi di professione con una connotazione esplicitamente negativa per indicare il loro modesto valore

  • INTRODUZIONE 7

    scientifico. Solo nei confronti di questo genere di filosofia popolare la filo sofia accademica si pone dichiaratamente in un rapporto polemico, specie quando esso ottiene il favore del pubblico, come nel caso del materialismo e del pessimismo.

    Il problema si pone in modo particolarmente acuto perch in questi anni sembra aver luogo un graduale processo di scollamento fra pubblico e filosofia accademica: le questioni che essa tratta interessano poco, mentre altri autori non accademici passano di ristampa in ristampa, sono annun ciati, recensiti, discussi su riviste e giornali, diffondendo tra il pubblico idee considerate in generale perniciose e pericolose.

    Se non si tien conto di questa situazione, non si comprende perch - nel caso che qui interessa - il pessimismo sia stato combattuto con tanta tenacia e in molti casi con tanto livore. Parimenti risulterebbe inspiegabile il costante interessamento per il pessimismo da parte di teologi, ma anche da parte di semplici pastori e sacerdoti. Anch'essi non si sarebbero sentiti in dovere di attaccare in modo cos insistente il pessimismo, se avessero visto in esso solo uno dei tanti sistemi filosofici destinati ad esercitare la loro influenza solo all'interno di una ristretta cerchia accademica e non qualcosa in grado di mettere in crisi la fede cristiana di gruppi considere voli di persone.

    In prima istanza dunque la discussione intorno al pessimismo pu es sere vista come un confronto-scontro fra filosofia accademica e filosofia popolare (il che non esclude naturalmente che anche nell'ambito della filosofia popolare vi siano stati molti autori avversi al pessimismo). In quest'ottica il pessimismo deve essere considerato come un fenomeno co munque relativamente ristretto, giacch va da s che anche la filosofia po polare deve essere pensata come un tipo di produzione letteraria che coin volge una parte tutto sommato limitata della societ tedesca, essenzialmente quelle classi medio-alte cui era possibile partecipare alla vita culturale del l'epoca, o attivamente, scrivendo e pubblicando libri, articoli, recensioni (gli intellettuali ), o passivamente, acquistando e leggendo libri e riviste. Ovviamente inoltre fra costoro quelli che si interessavano della filosofia - anche di quella popolare - costituivano di nuovo una minoranza.

    Da un punto di vista dell'indagine storica la determinazione dei carat teri e dell'estensione di quella che si potrebbe chiamare la partecipazione attiva al dibattito intorno alla filosofia pessimistica non presenta partico lari difficolt: sufficiente considerare gli scritti che implicitamente o espli citamente fanno riferimento ai filosofi pessimisti. A tal fine tuttavia indi spensabile almeno in prima istanza evitare di selezionare i vari autori,

  • 8 INTRODUZIONE

    decidendo aprioristicamente quali di essi siano i pi significati, anche se questo rende necessario lunghe e spesso poco produttive letture: in molti casi infatti proprio gli autori meno originali offrono indicazioni decisive su importanti aspetti della questione.

    Circa la diffusione della filosofia pessimistica bisogna comunque evi tare di cadere nell'errore di sopravvalutare le dimensioni relative del feno meno, come se, nei vent'anni in cui pi vivace fu il dibattito attorno al pessimismo, tutti gli intellettuali tedeschi non abbiano fatto altro che pen sare e scrivere intorno al pessimismo. Sarebbe assolutamente fuorviante, dal punto di vista complessivo della storia della filosofia, parlare di un'et del pessimismo nello stesso senso in cui si parla di un'et dell'idealismo o del positivismo, cos come non si pu dire che Schopenhauer o Hartmann abbiano dominato per un certo periodo la cultura filosofica nel modo in cui ci era avvenuto a suo tempo con Kant o Hegel. Il pessimismo un fenomeno culturale importante che richiama su di s l'interesse di molti filosofi, ma non egemonizza e riorienta l'intera riflessione filosofica di que gli anni. Anche a prescindere dal relativamente autonomo procedere della filosofia accademica (sono gli anni in cui si va consolidando il neokanti smo), a fianco e talora in interconnessione con il pessimismo vengono di battuti ampiamente anche temi diversi, quali il darwinismo e il mate rialismo (in proposito sufficiente ricordare il quasi contemporaneo tra volgente successo delle opere di Haeckel e di Strauss): la Pessimismus- Frage la storia di una rilevante parte della filosofia extraccademica e del modo di rapportarsi ad essa da parte della filosofia accademica nella secon da met dell'Ottocento, ma non certamente la storia di tutta la filosofia tedesca del secondo Ottocento.

    Lo studio delle posizioni filosofiche dei pessimisti e soprattutto delle critiche dei loro awersari offre comunque uno spaccato molto interessante del livello medio di una parte considerevole del dibattito filosofico te desco di questo periodo. Che le opere dei pessimisti - per quanto nel complesso non sfigurino affatto di fronte a molta della produzione filoso fica scientifica dell'epoca - non siano in generale di un livello filosofico particolarmente elevato ai nostri occhi del tutto evidente e del resto la storia ha da tempo fatto di esse giustizia. Quello che in qualche modo sorprende l'impegno e la seriet con cui i loro awersari in molti casi discutono i problemi da essi sollevati e spesso risolti in modo avventuroso. Vien spontaneo domandarsi come mai la filosofia ufficiale tedesca, consi derata in grado pochi decenni prima di innalzarsi al livello eccelso della filosofia idealista, sia cos improvvisamente decaduta e imbarbarita. Quasi

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    inevitabilmente sorge il sospetto che molte ricostruzioni della filosofia del primo Ottocento siano in qualche modo idealizzate , che la costante attenzione dedicata alle figure pi significative di quel periodo abbia per certi aspetti finito per presentare un'immagine distorta e troppo positiva della realt filosofica di quegli anni - ma questa evidentemente nulla pi che un'ipotesi.

    Bisogna poi considerare che il dibattito teorico intorno al pessimismo pesantemente condizionato da evidenti e costanti preoccupazioni ideo- logiche , che si manifestano nell' imperativo categorico di combattere comunque quelle posizioni che apparivano mettere in discussione in un modo o nell'altro il sistema dei valori tradizionali, la moralit, gli ideali , la dedizione allo stato, l'adesione alla Chiesa, motivi che si presentano con un conformismo impressionante fra gli avversar! del pessimismo e - in modo sorprendente - fra gli stessi pessimisti. Da questo punto di vista la Pessimismus-Frage anche un illuminante documento del modo di conce pire la filosofia e la sua funzione da parte di una classe di intellettuali che avevano assunto ormai una consolidata posizione e un ruolo ben pre ciso all'interno della societ dell'epoca.

    Questo discorso conduce ad affrontare il problema degli almeno po tenziali fruitori di questo intenso dibattito: il pubblico, cio i soggetti di quella che si potrebbe denominare partecipazione passiva alla Pes- simismus-Frage.

    Come indicatore della diffusione della filosofia pessimistica si dispone di fatto di un solo dato oggettivo: il successo editoriale delle varie opere pessimistiche o antipessimistiche. Ma tale dato ha un valore solo indicativo, giacch evidentemente impossibile stabilire se un libro acquistato sia sta to poi effettivamente letto, come altrettanto impossibile sapere di quale tipo sia stata la lettura eventualmente compiuta.

    Per avere indicazioni sulla qualit di tale diffusione bisogna invece rifarsi sempre a fonti indirette, vale a dire alle testimonianze dei pessimisti e dei loro awersari. Ora, al di l di un certo accordo su alcuni motivi caratteristici, queste testimonianze sono spesso generiche, contraddittorie, fortemente condizionate dalla specifica posizione assunta dal loro autore nei confronti del pessimismo. Ci si trova cos nella spiacevole situazione di mancare di dati precisi proprio riguardo alla questione per molti aspetti decisiva, quella cio della reale incidenza della filosofia pessimistica nella societ della Germania del secondo Ottocento. In questo ambito il discor so deve farsi di necessit estremamente prudente, per quanto intellettual mente insoddisfacente sia il rinunciare a conclusioni definitive.

  • 10 INTRODUZIONE

    La situazione ulteriormente complicata dal fatto che accanto alla letteratura specificamente filosofica relativa al pessimismo esiste una copiosa produzione letteraria - specialmente poetica -, che in varie forme possiede dei caratteri che possono essere qualificati come pessimistici 7 . Oltre a raccolte di poesie ed aforismi dichiaratamente pessimisti 8 , si posso no ricordare fra gli esponenti pi significativi di questa letteratura Eduard Grisebach (1845-1906), Robert Hamerling (1830-1889), Friedrich Hebbel (1813-1863), Paul Heyse (1830-1914), Heinrich Leuthold (1827-1879), Hieronymus Lorm (1821-1901), Alfred Meissner (1822-1885), Wilhelm Raabe (1831-1910), Friedrich Spielhagen (1829-1911), Adolf Willbrandt (1823-1876). Per alcuni di questi autori documentabile un preciso rap porto con la filosofia pessimistica, e quindi-le loro opere possono essere considerate documenti della fortuna del pessimismo 9 .

    Un problema diverso posto poi da quegli autori per i quali non possibile fissare alcun nesso certo fra il loro pessimismo e quello filosofico. Accanto ad essi vanno poste anche altre figure per le quali invece senz'altro da escludersi un influsso anche indiretto della filosofia pessimi stica, ad esempio Georg Bchner (1813-1837), Christhian Dietrich Grabbe (1801-1836), Franz Grillparzer (1791-1872), Heinrich Heine (1797-1856), Nikolaus Lenau (1802-1850). Le opere di questi autori provano in modo indiscutibile l'esistenza di una Stimmung pessimistica indipendente dalla

    7 Significativamente Mittner intitola una delle parti della sua storia della letteratu ra tedesca relativa al secondo Ottocento Pessimismo e "Realpolitik" (1850-1890) (Mittner 1978, voi. Ili, 1, 2, p. 579).

    8 Cfr. Fereus 1877, Kemmer 1884, Lanzky 1887 (in quest'autore [1852-1940] per predominante l'influsso di Nietzsche che frequent nel 1884-1887). Un curioso esempio di reazione a questa letteratura offerto da Maercker 1874, una sorta di ode, scritta per celebrare la fondazione della Societ filosofica di Berlino, uno dei centri culturali pi ostili al pessimismo.

    9 II rapporto di questi autori con la filosofa pessimistica e in particolare con Schopenhauer gi stato sufficientemente indagato e quindi non sar ripreso in questo lavoro se non nel caso di autori come Hamerling e Lorm che hanno affiancato alle loro opere poetiche una produzione filosofica in senso proprio. Cfr. i gi citati Krauss 1931, Arnold 1933, Hof 1970, Sorg 1975. Un caso particolare costituito dall'influente forma di pessimismo sviluppata da Wagner. Nonostante la copiosa attivit letteraria esplicata da Wagner, impossibile i fissare termini del suo pessimismo facendo riferimento ai suoi scritti filosofici , giacch in essi la presenza della filosofia di Schopenhauer assai limitata. Si tratterebbe quindi di prendere in esame il pessimismo che si manifesta nelle sue opere musicali, con tutti i problemi che questo comporta. Si quindi deciso di non dedicare a Wagner una trattazione analitica, limitandosi ad accennare alla sua po-^ sizione nell'ambito del capitolo su Nietzsche. Anche in questo caso del resto si dispone in Sans 1969 di uno studio completo ed aggiornato sulla questione.

  • INTRODUZIONE 11

    diffusione della filosofia pessimistica. Anche numerose altre testimonianze dell'epoca - molte delle quali contenute negli autori che partecipano alla Pessimismus-Frage - confermano questo fenomeno, parlando tra l'altro di un pessimismo delle classi inferiori, certamente escluse dalla fruizione delle opere filosofiche e in buona parte anche di quelle letterarie. Si deve quindi assumere che il pessimismo - qui evidentemente il termine va assunto con un significato quanto mai generale - sia stato almeno per una sua parte considerevole un fenomeno indipendente dalle forme pi elevate della cultura 10 .

    Non compito di un'indagine che ha il suo centro il pessimismo filo- sofico studiare le ragioni storico-sociali del sorgere di una tale Stimmung u . Quello che qui interessa e che riconduce il discorso al tema dell'ampiezza del successo del pessimismo invece il problema del nesso esistente fra questo pessimismo di massa e quello filosofico. La filosofia pessimistica stata, per dirla con Hegel, lo spirito del proprio tempo appreso in con cetti, oppure stata un'effimera filosofia alla moda, in generica conso nanza con l' atmosfera spirituale dell'epoca? Essa ha espresso davvero quella Stimmung pessimistica, o stato un fenomeno di superficie, nato dal desiderio di un nuovo pubblico di avere a disposizione una filosofia facile, leggibile e, specie nel caso di Schopenhauer, non priva di valore lette rario? Si tratta insomma di decidere se in questo caso si pu applicare la classica ipotesi marxiana dell'esistenza di un legame organico fra struttura e sovrastruttura, considerando la filosofia pessimistica come espressione di tale sovrastruttura, o se invece i caratteri della filosofia pessimistica rendo no impossibile o quanto meno bisognoso di limitazioni e correzioni l'im piego di questo schema.

    Per concludere, qualche indicazione circa il modo in cui organizzato il libro.

    10 Qualche autore, ad esempio Gottfried 1957, considera la Stimmung pessimistica addirittura come un fenomeno europeo e non solo specificamente tedesco. Una consi derazione analitica dei particolari caratteri assunti dal fenomeno dei vari paesi e del ruolo svolto in esso dalla filosofia pessimistica - in particolare dal pensiero di Scho penhauer - amplierebbe tuttavia eccessivamente il campo di indagine. In quanto segue - salvo pochissime eccezioni - ci si conscguentemente limitati a considerare il pessimi smo tedesco, il che tra l'altro reso possibile dal fatto che i corrispondenti sviluppi all'estero non sembrano mai aver influenzato in modo significativo le vicende interne alla Germania.

    11 Ci non esclude che in pi occasioni si riferir delle interpretazioni che i filosofi pessimisti e i loro awersari hanno dato delle possibili cause generali della Stimmung pessimistica.

  • 12 INTRODUZIONE

    La prima parte studia gli sviluppi della filosofia pessimistica all'incirca fino al 1870 ed ha al suo centro le figura di Schopenhauer. Il primo capi tolo ovviamente dedicato alla sua filosofia; in esso non si proceduto ad un'esposizione dettagliata di tutte le parti del sistema - largamente noto -, ma ci si limitati ad indicarne le linee fondamenti per concentrarsi subito sul suo pessimismo. Si anche rinunciato ad una discussione della lettera tura critica pi recente, per non anticipare molti dei temi che sono affron tati nei capitoli seguenti, dove spesso le critiche relative al pessimismo schopenhaueriano si inquadrano in interpretazioni complessive del suo pensiero. Questi scritti - troppo spesso considerati aprioristicamente in vecchiati - sviluppano quasi tutte le possibilit interpretative offerte dalla filosofa schopenhaueriana, fra cui non poche di quelle sviluppate negli ultimi anni.

    I capitoli secondo, terzo e quarto trattano degli sviluppi del pessimi smo dalla pubblicazione del Mondo (1819) fino all'apparire della Filosofia dell'inconscio di Hartmann (1869). Il periodo preso in esame copre quindi l'arco di tempo che va all'incirca dagli anni immediatamente seguenti al congresso di Vienna fino alla unificazione della Germania. Il capitolo se condo studia la presenza della filosofia di Schopenhauer nella cultura tede sca approssimativamente fino al momento della sua affermazione, agli inizi degli anni cinquanta, il capitolo terzo considera l'atteggiamento assunto nei confronti del pessimismo da parte dei pi immediati discepoli di Schopenhauer e in particolare da Frauenstdt, mentre il lungo capitolo quarto si riferisce al periodo 1850-1870 e affronta la prima fase della di scussione intorno al pessimismo, ancora specificamente legata alla figura di Schopenhauer e al complesso della sua filosofia.

    La seconda parte costituita in sostanza da tre piccole monografie che hanno per oggetto le figure di Hartmann (capp. V-VIII), di Bahnsen (capp. IX-XI) e di Mainlnder (capp. XII-XIII). In questo caso si rite nuto utile dare un quadro pi dettagliato dei sistemi filosofici di questi autori, non solo perch le loro filosofie, a differenza di quella di Schopenhauer, sono pochissimo note, ma anche perch - soprattutto nel caso di Bahnsen e di Mainlnder - il pessimismo una componente cos essenziale del loro pensiero, che risulta praticamente impossibile isolarlo dal resto.

    La terza ed ultima parte ha per oggetto la Pessimismus-Frage vera e propria, vale a dire il dibattito intorno al pessimismo svoltosi negli anni 70-80.

    Bench questa discussione abbia indiscutibilmente al suo centro la

  • INTRODUZIONE 13

    filosofia di Hartmann, sussiste ancora un vivo interesse per Schopenhauer, la cui filosofia costantemente ripresa in monografie, saggi ed articoli belletristici ed spesso contrapposta - in senso talvolta positivo, talvolta negativo - a quella di Hartmann. Poich ormai il problema del pessimismo considerato in modo indipendente dalla specifica angolazione nella quale si presenta in Schopenhauer ed quindi sganciato dal complesso della sua filosofia, per concludere il discorso iniziato nella prima parte, parso utile dare un cenno in uno specifico capitolo (cap. XIV) dei contributi pi signi ficativi relativi alla filosofia di Schopenhauer nel suo complesso, capitolo nel quale sono fra l'altro considerate le figure di tre discepoli di Schopenhauer della seconda generazione, vale a dire Deussen, Bilharz e Noir.

    Il capitolo quindicesimo costituisce in qualche misura il pendant di quello dedicato alla filosofia di Schopenhauer, giacch offre una rassegna degli atteggiamenti assunti nei confronti del sistema filosofico di Hartmann. Esso reso necessario dal fatto che la discussione intorno al pessimismo passa attraverso tre fasi distinte, in una successione approssi mativamente cronologica; dapprima, sotto l'impressione del successo della filosofia dell'inconscio e seguendo ancora quella che si ritiene essere l'impostazione data da Schopenhauer al problema, il pessimismo di Hartmann considerato prevalentemente nella sua dimensione metafisica, come una dottrina che trova la sua fondazione e il suo coronamento nella dottrina dei principi di Hartmann.

    Il riconoscimento dei limiti del sistema di Hartmann apre un'altra fase in cui prevale l'interesse per il pessimismo empirico, vale a dire per la dimostrazione della prevalenza del dolore sul piacere nella vita dell'uo mo - il famoso bilancio eudemonologico di Hartmann. Ad essa fa se guito un ultimo sviluppo - cronologicamente abbastanza ben delimitato - che inizia con la pubblicazione da parte di Hartmann della fenome nologia della coscienza morale (1879); il problema dominante, anche se non mancano riprese dei temi del pessimismo metafisico ed empirico, di viene quello della possibilit di sviluppare un'etica fondandosi sui presup posti del pessimismo, e, in particolare, sul rifiuto di qualsiasi forma di eudemonismo.

    I capitoli iniziali della terza parte sviluppano questo schema: al capi tolo quindicesimo che, come accennato, prende in esame le critiche rivolte alla filosofia di Hartmann nel suo complesso, segue un capitolo dedicato al pessimismo metafisico, in cui fra l'altro si parla anche dei rinnovati tenta tivi di teodicee apparse in quegli anni e dell'originale ottimismo di Fechner

  • 14 INTRODUZIONE

    (cap. XVI). Nel lungo capitolo diciassettesimo si affrontano le complicate discussioni relative al pessimismo empirico e, infine, nel capitolo diciotte simo si tratta del dibattito apertosi intorno all'etica del pessimismo.

    In questi tre capitoli il materiale organizzato in funzione dei proble mi via via affrontati, cosicch i singoli autori sono chiamati spesso in causa a pi riprese con un procedimento che, se per un verso consente di orien- tarsi in una discussione svoltasi naturalmente in modo disordinato ed anar chico, per l'altro rende arduo in qualche caso seguire la specifica prospet tiva in cui ogni autore si accosta al problema del pessimismo. Tale proce dimento consente per di evitare troppe ripetizioni e di non far crescere oltre ogni ragionevole misura la mole del volume.

    I capitoli diciannovesimo e ventesimo si occupano monograficamente di un gruppo di autori che con un grado di indipendenza maggiore hanno ripensato il problema del pessimismo. Al centro del primo di essi si trova la figura di Dhring. Egli, nel quadro di un'insistita sottolineatura del si gnificato politico-sociale del pessimismo, delinea una visione eroica della vita la quale dovrebbe costituire un superamento del pessimismo in senso ottimistico.

    II capitolo ventesimo invece dedicato in misura predominante a Nietzsche, la cui filosofia, al pari di quella di Dhring, offre un altro superamento del pessimismo, reinterpretato insieme al nichilismo come categoria storica caratteristica della decadenza della civilt occidentale. Accanto a Nietzsche sono discusse le posizioni di Stein e Laban, che si ricollegano, specie il secondo, alla filosofia di Nietzsche.

    Il capitolo conclusivo infine affronta specificamente il tema del rap porto fra pessimismo e societ su cui si insistito in questa introduzione: esso riassume e approfondisce le posizioni via via assunte dai vari autori e propone un'interpretazione complessiva del problema.

    Un cenno infine alla bibliografia. Essa divisa in due parti: la prima registra i titoli degli autori coinvolti direttamente nel dibattito sul pessimi smo. Questa bibliografia, per quanto vasta, non pretende in alcun modo di essere completa. In questo senso essa non aspira a sostituire i lavori bibliografici di Laban, Plmacher, Stglich e Hbscher. In essa sono stati inclusi anche dei titoli che non riguardano direttamente il pessimismo, ma che sono stati utilizzati per definire la posizione filosofica complessiva dei vari autori. La seconda parte della bibliografia costituita dalla cosiddetta letteratura critica : in essa sono registrati, oltre ai titoli concernenti il pessimismo apparsi dopo il 1900 (tuttavia i titoli degli autori che hanno partecipato direttamente al dibattito sul pessimismo, anche se apparsi

  • INTRODUZIONE 15

    dopo il 1900, sono indicati nella prima sezione), anche gli altri lavori di carattere pi generale che sono utili per approfondire i caratteri di questo periodo della storia della filosofia o i temi teorici affrontati nell'ambito della discussione intorno al pessimismo.

    Nel licenziare per la stampa questo volume, sento particolarmente il dovere di esprimere la mia gratitudine al prof. Arrigo Pacchi e al prof. Mario Dal Fra, che hanno seguito pazientemente la lunga elaborazione di questo lavoro, senza purtroppo poterne vedere la conclusione. Un partico lare ringraziamento dovuto inoltre al prof. Enrico Rambaldi, che lo ha voluto presentare alla collana della Facolt, e al prof. Giovanni Orlandi che, in quanto responsabile della collana stessa, si assunto l'onere di seguire le varie fasi della stampa. Ovviamente la pubblicazione non sareb be stata possibile se i membri della commissione scientifica della Facolt non avessero benevolmente giudicato meritevole di stampa questo lavoro. Ad essi e in particolare al rappresentante del Dipartimento di Filosofia, prof. Giovanni Piana, va la mia profonda gratitudine.

    Devo ringraziare inoltre il Dipartimento di Filosofia dell'Universit di Milano che ha finanziato una serie di missioni di studio in varie biblioteche tedesche e austriache (Amburgo, Bochum, Francoforte, Heidelberg, Erlangen, Norimberga, Vienna), e la Facolt di Lettere e Filosofia che mi ha consentito di trascorrere un anno di congedo a Monaco di Baviera e, da ultimo, si fatta carico delle spese di pubblicazione.

    Mi impossibile ricordare tutte le persone che in vario modo hanno aiutato o agevolato la mia ricerca; non posso per non ringraziare i dott. Mare Fcking (Berlino) e Florian Neumann (Francoforte) che mi hanno messo a disposizione la loro competenza e il loro tempo e per alcune ricer che bibliografiche particolarmente complesse.

  • PARTE PRIMA

    IL PESSIMISMO FINO AL 1870

  • 1.IL PESSIMISMO DI SCHOPENHAUER

    1. LA METAFISICA DI SCHOPENHAUER.

    Il tema del pessimismo fa il suo ingresso nel dibattito filosofico con l'opera di Arthur Schopenhauer. Nessun pessimista e nessun avversario del pessimismo mancher di rifarsi in positivo o in negativo alla filosofia del saggio di Francoforte *. Bench Schopenhauer sia ben cosciente dello specifico carattere pessimistico della sua filosofia e di come esso ponga il suo pensiero in opposizione alla maggior parte delle altre filosofie (N, p. 143 = p. 213 e PP I, p. 141 = p. 191), bisogna rilevare che egli non indi vidua ancora nel pessimismo uno specifico campo d'indagine o una speci fica tesi da dimostrare sistematicamente: il suo pessimismo - o, meglio, quello che in seguito sar considerato il suo pessimismo - risulta da alcune tesi centrali della sua filosofia, ma anche da una serie di analisi e punti di

    1 Le vicende biografiche di Schopenhauer sono abbastanza note; quindi suffi ciente richiamarne i dati fondamentali. Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da un commerciante pi che benestante, aperto alla cultura illuministica e di sentimenti repub blicani, che intende avviare il figlio alla stessa professione. In questa prospettiva durante l'infanzia e la giovinezza Schopenhauer viene fatto soggiornare a lungo all'estero (Fran cia ed Inghilterra) ed accompagna i genitori in numerosi viaggi, il che gli consente di acquisire un'ottima conoscenza sia dell'inglese che del francese. Trasferitosi con la fami glia ad Amburgo, solo dopo la morte del padre - forse suicida - avvenuta nel 1805, pu dedicarsi agli studi. I beni lasciati in eredit consentono alla famiglia di vivere abbastan za agiatamente di rendita. La madre fissa la, sua residenza a Weimar dove apre un salotto frequentato fra gli altri da Goethe con il quale Schopenhauer entrer pi tardi in stretti rapporti. Sorge tuttavia presto un grave conflitto fra madre e figlio che porter ad un'in sanabile rottura. Schopenhauer, dopo un'intensa preparazione privata, si iscrive nel 1809 all'universit di Gottinga; dapprima si dedica agli studi di medicina poi, sotto l'influsso di Schulze-Enesidemo, alla filosofia. Nel 1811 si trasferisce a Berlino, dove pu

  • 20 CAPITOLO PRIMO

    vista particolari, che spesso si rifanno a prospettive autonome o addirittura contrastanti. cos difficile ricondurre interamente la sua posizione ad uno degli specifici tipi di pessimismo che solo in seguito verranno definiti con precisione (metafisico, eudemonologico etc.). Egli in sostanza raccoglie un ricco materiale che toccher agli autori seguenti reinterpretare ed elaborare sistematicamente. Del resto spesso l'esistenza di varie e talora discordanti possibilit interpretative a garantire la vitalit del pensiero di ogni filosofo importante.

    Ad una lettura superficiale il pessimismo schopenhaueriano sembra essere la diretta conseguenza della sua metafisica che si presenta come una radicale antitesi della filosofia hegeliana: al posto di un principio razionale che si esplica teleologicamente nella natura e nella storia, Schopenhauer pone il principio irrazionale ed ateleologico della volont che si manifesta senza regole e senza scopo nella realt, nella quale, per di pi, la fenome nicit del tempo rende impensabile qualsiasi sviluppo.

    Questo sembrerebbe suggerire un'esposizione di tipo deduttivo che mostrasse quale valore - negativo - assumono in quest'ottica la natura, la storia e, soprattutto, l'uomo. Un tal modo di procedere tuttavia reso problematico da una pi attenta considerazione della natura della metafi sica schopenhaueriana, cui necessario dare un cenno.

    seguire fra gli altri Schleiermacher e Fichte, dai quali - specie dal secondo - rimane profondamente deluso. Ottenuta nel 1813 la laurea in absentia dall'universit di Jena con la dissertazione La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, continua privatamente i suoi studi, dapprima collaborando con Goethe alla teoria dei colori (frut to di questi studi il saggio La vista e i colori od 1816), poi dedicandosi interamente alla stesura del suo capolavoro // mondo come volont e rappresentazione, portato a compi mento a Dresda nel 1818 e pubblicato nel dicembre dello stesso anno con la data del 1819. Dopo un primo viaggio in Italia, Schopenhauer nel 1820 inizia a Berlino la carrie ra accademica come Privat-Dozent. Le sue lezioni, per le quali Schopenhauer sceglie lo stesso orario delle lezioni tenute da Hegel, vanno praticamente deserte e Schopenhauer, dopo un secondo viaggio in Italia, decide nel 1831 di lasciare Berlino per trasferirsi a Francoforte dove rimarr fino alla morte. Nel 1836 pubblica La volont della natura e nel 1838-40 partecipa a due concorsi banditi rispettivamente dalla Reale societ delle Scienze di Norvegia e dalla Reale societ delle Scienze di Danimarca: ottiene il primo premio nel primo concorso, ma non nel secondo. Pubblica insieme i due saggi con il titolo / due problemi fondamentali dell'etica (1841). Nonostante l'insuccesso della sua opera, riesce a convincere l'editore Brockhaus a pubblicare una seconda edizione del Mondo, cui sono aggiunti dei Supplementi di estensione quasi pari al primo volume. Nel 1851 esce la sua ultima opera, i Parerga e paralipomena, che schiudono a Schopenhauer la via del successo. Circondato da un numero crescente di discepoli ed estimatori Scho penhauer muore nel 1860. Sulla biografia di Schopenhauer cfr. in particolare Hbscher 1952 e 1973 e Safranski 1987. Per una visione d'insieme della ormai sterminata biblio grafia cfr. Hiibscher 1981 e gli aggiornamenti annuali sullo SJ.

  • IL PESSIMISMO DI SCHOPENHAUER 21

    Nel primo libro del Mondo Schopenhauer muove da un'impostazione rigorosamente idealistica, espressa nella proposizione che apre l'opera: il mondo mia rappresentazione . Il mondo empirico non costituito dalla realt in s delle cose, ma dalle rappresentazioni che l'uomo ha in s in quanto soggetto conoscente: esistere ed essere rappresentato sono da que sto punto di vista espressioni equivalenti (W I, pp. 3-5 = pp. 29-31). Ri chiamandosi a Kant, Schopenhauer afferma inoltre che le cose, nel divenire oggetti per un soggetto, assumono le forme a priori che si trovano in que st'ultimo, vale a dire lo spazio, il tempo e la causalit (l'unica categoria kantiana che viene salvata, reinterpretata come una facolt dell'intelletto operante gi a livello dell'intuizione) 2 . Conseguenza di queste tesi il ca rattere inevitabilmente condizionato del sapere rappresentativo, che quindi non consente di giungere a ci che sta dietro ai fenomeni. Quello che per Schopenhauer il problema fondamentale lasciato insoluto dalla filosofia kantiana - la determinazione della natura della cosa in s - non potr mai essere risolto facendo ricorso al sapere rappresentativo ed alle sue forme.

    Esiste tuttavia per Schopenhauer un fenomeno con caratteri peculiari che consente, per cos dire, di aprire una breccia nella barriera della rap presentazione e di giungere alla cosa in s: il nostro corpo. Noi conosciamo ogni suo atto dall'esterno, come un oggetto fra gli oggetti, ma conosciamo tali atti anche dall'interno, nell'autocoscienza, e qui li cogliamo come atti della nostra volont. Ogni atto del corpo il rendersi visibile, l' ogget- tit della nostra volont. D'altra parte non solo gli atti del corpo, ma anche ci che ne condizione, cio le sue varie parti e il corpo stesso in generale, deve essere una manifestazione della volont. Si deve allora dire che la volont l'essenza del corpo, ovvero, in termini kantiani, che la volont ci che appare nel corpo, la cosa in s. Il nesso corpo-volont diviene cos la chiave per comprendere l'intima natura della realt: infatti anche per gli altri esseri che noi conosciamo soltanto come rappresentazio ni si deve supporre per analogia una costituzione analoga a quella dell'uo mo (W I, pp. 118-126 = pp. 152-161).

    L'aposteriori presente nelle rappresentazioni - in ultima analisi le varie forze che agiscono su di noi - deve essere reinterpretato in base all'identit fra cosa in s e volont raggiunta mediante l'analisi della corporeit. Cos la conoscenza della cosa in s, bench sia data nel modo pi immediato e pi

    2 W I, pp. 9-15 = pp. 36-42. Sul rapporto fra la filosofia trascendentale scho- penhaueriana e quella kantiana cfr. soprattutto la nota Critica della filosofia kantiana in W I, pp. 491-609 = pp. 539-660.

  • 22 CAPITOLO PRIMO

    esauriente nell'autocoscienza, si completa e si arricchisce anche mediante lo studio della natura, quindi per via oggettiva 3 . Bisogna infatti tener presente - e questo punto della massima importanza per la filosofia di Scho- penhauer - che i fenomeni non sono qualcosa di separato dalla volont, quasi fossero creature dotate di un'esistenza autonoma, ma sono la volont stessa nel suo manifestarsi, nel suo divenire oggetto della rappresentazione.

    D'altra parte Schopenhauer assume assiomaticamente che spazio, tempo e causalit, in quanto forme soggettive del conoscere, necessaria mente non toccano all'in s della realt, alla volont. Essa quindi fuori dal tempo, dallo spazio e dalla causalit, una ed immobile. Si tratta per di un'unit non numerica, ma metafisica e ci consente a Schopenhauer di sostenere che essa interamente presente in ogni fenomeno (W I, p. 151 s. = p. 187 s.). Questo vale tanto per i fenomeni empirici quanto per quelle forme immediate dell'oggettivarsi della volont che sono le idee, che Scho penhauer, riferendosi a Fiatone, considera le forme, i modelli atemporali delle cose, le quali, entrando nello spazio e nel tempo, danno origine alla molteplicit degli individui (W I, pp. 199-217 = pp. 237-256).

    Tale modo d'intendere il nesso fra la cosa in s e il fenomeno chiarisce anche il senso in cui per Schopenhauer si pu parlare della volont come cosa in s. Egli infatti, restando fedele alle sue premesse fenomenistiche, sa bene che anche l'identit corpo-volont, da un punto di vista strettamente gnoseologico, non ci porta al di l del sapere rappresentativo, e che quindi la volont non pu essere conosciuta nel suo in s: in quanto conosciuta, per definizione essa conosciuta come fenomeno, giacch non si sottrae alla relazione soggetto-oggetto e rimane soggetta quanto meno alla forma della temporalit: essa ... una cosa in s soltanto relativa, cio nel suo rapporto con il fenomeno 4 . La volont-cosa in s di Schopenhauer non dunque l'Assoluto, il che solleva Schopenhauer dall'onere di dover dare una risposta a molti problemi caratteristici delle filosofie idealistiche - come e perch l'Assoluto si fenomenizzi, che cosa sia l'Assoluto prima o

    3 Alla questione dedicato tematicamente lo scritto La volont nella natura. Que sta prospettiva si esprime nella tesi secondo cui microcosmo e macrocosmo si spiegano a vicenda e, una volta spiegati, risultano sostanzialmente la stessa cosa (PP II, p. 20 = p. 31). Essa corregge almeno in parte il sostanziale antropocentrismo (o antropomorfi smo) della filosofia schopenhaueriana, secondo cui la vera comprensione della realt si raggiunge non trattando l'uomo come un microcosmo, bens l'universo come un macan- tropo (cfr. W II, p. 739 = p. 784).

    4 GBr, p. 290 s. Qui Schopenhauer polemizza con Frauenstadt. Sulla vexata qua- estio della conoscibilit della cosa in s e sui problemi ad essa collegati, sulla quale torner tante volte in seguito la critica, ci permettiamo di rinviare a Invernizzi 1984.

  • IL PESSIMISMO DI SCHOPENHAUER 23

    dopo il suo fenomenizzarsi, come possa rimanere uno nel molteplice, per ch non si arresti, nel suo fenomenizzarsi, al mondo ideale. Questi proble mi sono francamente dichiarati da Schopenhauer come irrisoluti e irreso lubili nell'ambito della sua filosofia 5 . Tutto ci che si pu dire riguardo alla volont nel suo essere in s si limita ad una sorta di teologia negativa, che consiste, come si visto, nel negare ad essa le forme che sono caratteristi che del mondo fenomenico.

    In che senso allora si pu continuare a chiamare metafisica ( metafi sica immanente ) la filosofia di Schopenhauer, se essa programmatica mente non vuole andare al di l dell'esperienza? Che cosa essa aggiunge alla conoscenza scientifica del mondo che rimane nell'ambito del fenome nico? Bench Schopenhauer non si soffermi molto sul particolare statuto della sua filosofia, abbastanza chiaro che essa deve essere vista come una metafisica nel senso che essa sviluppa un'interpretazione complessiva della realt, procede ad una sua decifrazione , si configura insomma come una sorta di ermeneutica generale del mondo 6 . Ci che essa vuoi mo strare che, se si vuoi comprendere il senso della realt, se ci si vuole rapportare in modo corretto ad essa, tale realt va vista come espressione di qualcosa di analogo a ci che sperimentiamo in noi come volont. Po nendosi in questa prospettiva si penetra nell' enigma (Rtsel) del mon do, si coglie il suo significato (Deutung) e, di conseguenza, ci si pone nelle condizioni di comprendere il senso dell'esistenza umana (W I, pp. 507,113 = pp. 555, 113). Di qui la denominazione apparentemente paradossale di scienza empirica che Schopenhauer attribuisce alla sua metafisica: essa empirica perch non va al di l del dato, del fenomeno, ma rimane me tafisica perch tratta del senso complessivo della realt (W II, p. 204 = p. 223). Con questo evidente che la sua filosofia lascia aperto lo spazio per un'ipotetica trascendenza in senso tradizionale, la cui possibilit non pu essere in alcun modo negata, ma che per definizione si sottrae del tutto alla conoscenza 7 .

    5 Cfr. il noto capitolo conclusivo del Mondo ( Epifilosofia ), W II, pp. 736-742 = pp. 781-788 e le numerose professioni di scetticismo nelle lettere, GBr, pp. 217 s., 286, 288 s., 290 s.

    6 Per l'espressione decifrazione (Entzifferung) cfr. W II, p. 202 = p. 222. Della filosofia di Schopenhauer come ermeneutica generale parla anche Spierling 1984, p. 59.

    7 Non si pu tuttavia sostenere che Schopenhauer rimanga sempre fedele a questa prospettiva: in qualche caso egli sembra indubbiamente piegare verso una forma siste matica vicina a quella dei sistemi idealistici - si pensi in particolare alla filosofia della natura -, il che spiega e in qualche misura giustifica i fraintendimenti dei critici ed anche dei discepoli.

  • 24 CAPITOLO PRIMO

    2. LA DINAMICA DEL VOLERE E IL PREVALERE DEL DOLORE.

    Se questa la natura della metafisica schopenhaueriana, nell'affronta re il tema del pessimismo risulta pi conveniente o - comunque - pi utile per comprendere adeguatamente la posizione di Schopenhauer procedere per cos dire induttivamente, considerare cio gli elementi pessimistici sui quali Schopenhauer si basa per sviluppare la sua visione complessiva della realt.

    Il primo e probabilmente pi rilevante dato su cui si fonda il pessimi smo schopenhaueriano costituito dall'interpretazione che egli offre della dinamica del volere.

    Anche in questo caso, in conformit con il doppio percorso che Scho penhauer segue per giungere a determinare l'essenza della realt, il modo di esplicarsi della volont pu essere considerato o dal punto di vista ogget- tivo (della natura) o dal punto di vista soggettivo (psicologico).

    Dal primo punto di vista, secondo Schopenhauer la natura si presenta come un infinito tendere (Streben), ovvero come una gradazione di forze - gravita, elasticit, chimismo ecc. - che culminano nella forza vitale, la quale sta alla base degli organismi viventi 8 . Si pu quindi dire che la volont vuole soprattutto ed essenzialmente la vita, al punto che Schopenhauer considera pleonastico determinare ulteriormente la volont come volont di vita (W I, p. 324 = p. 366).

    La vita vista come un continuo scambio di materia - immediato o mediato - fra gli organismi e il mondo inorganico (PP II, p. 173 = p. 211). Il mantenimento della vita quindi reso possibile da un continuo ed inces sante soddisfacimento di bisogni, cosicch la volont di vita si rivela come una generale tendenza alla soddisfazione di bisogni (W I, p. 385 = p. 430, e PP II, p. 306 = p. 376).

    Dal punto di vista soggettivo il bisogno e la sua (eventuale) soddisfa zione si traducono nei sentimenti di piacere e dolore, che sono propri degli animali e dell'uomo - gli unici a possedere la sensibilit. Considerato che nell'uomo, grazie allo sviluppo pi completo dell'apparato conoscitivo, la percezione del piacere e del dolore avviene in modo di gran lunga pi chiaro, e considerato infine che solo nell'uomo questi sentimenti ci sono direttamente accessibili, l'analisi della dinamica dolore-piacere viene con dotta facendo esclusivo riferimento ad esso, tanto pi che ciascuno ritro-

    8 Sul finalismo apparentemente implicito in questa posizione cfr. sotto.

  • IL PESSIMISMO DI SCHOPENHAUER 25

    vera facilmente nella vita dell'animale le stesse condizioni, soltanto pi de boli, espresse in gradi diversi (WI,p. 366 = p. 410, e W I, p. 339 = p. 382).

    Ogni bisogno, ogni mancanza percepito come dolore e sofferenza. La volizione pensabile solo in presenza di un bisogno: la base di ogni volere bisogno, ossia dolore, a cui l'uomo vincolato dall'origine, per natura (W I, p. 367 = p. 412). In questo contesto Schopenhauer avanza la tesi del carattere negativo del piacere: qualsiasi soddisfacimento, o ci che in genere suoi chiamarsi felicit, propriamente e sostanzialmente sempre negativo, e mai positivo (W I, p. 376 = p. 421). Con ci Scho penhauer non vuoi dire - cosa di cui molti critici poi lo accuseranno - che l'uomo non provi piacere nella soddisfazione di un bisogno. Il piacere una realt negativa in primo luogo perch pu aver luogo solo dopo che si sia avvertito un bisogno, una sofferenza, come provato dal fatto che molti beni - ad esempio la salute, la giovinezza, la libert - non sono ricono sciuti come tali, non danno luogo a piacere, finch non li si ha perduti e quindi se ne avverte la mancanza (W I, p. 377 = p. 421, W II, p. 660 = p. 701). Inoltre il piacere non rappresenta un punto d'arrivo, in quanto la volont, per sua natura, si rivolge immediatamente ad altro, giacch nes sun appagamento possibile potrebbe bastare a calmare la sua sete, a porre uno scopo finito alla sua brama ed a riempire l'abisso senza fondo del suo cuore (W II, p. 657 = p. 698). Con la soddisfazione di un bisogno nien- t'altro ci si pu guadagnare se non d'essersi liberati da una sofferenza o da un desiderio: quindi ci si trova come prima del loro inizio e non meglio (W I, p. 367 = p. 412).

    L'inconsistenza della soddisfazione e quindi del piacere confermata dal fenomeno della noia - una condizione di radicale infelicit -, che su bentra quando l'uomo non avverte bisogni: contro di essa, nota Scho penhauer, come contro altre universali calamit vengono prese pubbliche precauzioni, e gi per ragion di stato; perch questo male, non meno del suo estremo opposto, la fame, pu spingere gli uomini alle maggiori sfre natezze: panem et circenses vuole il popolo (W I, p. 369 = p. 414).

    In linea generale Schopenhauer identifica la felicit con il piacere: una vita in cui i bisogni e le loro soddisfazioni si succedessero con regolarit, vale a dire senza che sussistesse un eccessivo intervallo di tempo fra la percezione del bisogno e la sua soddisfazione e fra la sua soddisfazione e il sorgere di un nuovo bisogno, sarebbe una vita relativamente felice 9 .

    9 W I, p. 370 = p. 414. Dato il carattere negativo del piacere, una vita assoluta mente felice viceversa impensabile nel quadro della psicologia schopenhaueriana.

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    La possibilit di una vita di questo tipo in primo luogo messa in discussione sul piano biologico dall'esistenza della morte. L'uomo infatti non solo un continuo volere, ma esso stesso essenzialmente volont di vita, cosicch i singoli bisogni non sono che casi particolari del voler con tinuare ad esistere: la morte dunque, da questo punto di vista, deve essere considerata come un'estrema e radicale insoddisfazione della volont: La vita stessa un mare pieno di scogli e di vortici, cui l'uomo cerca di sfug gire con la massima prudenza e cura; pur sapendo che quand'anche gli riesca con ogni sforzo ed arte, di scampare, perci appunto si accosta con ogni suo passo, ed anzi vi drizza in linea retta il timone, al totale e irrepa rabile naufragio: alla morte 10 .

    Tuttavia per dimostrare l'impossibilit della felicit Schopenhauer pone l'accento, oltre che sulla morte, sulle difficolt che gli uomini incon trano nel soddisfare i propri bisogni e sulle sofferenze che da esse derivano. Gi la soddisfazione dei semplici bisogni primari deve essere pagata a caro prezzo dalla maggioranza degli uomini. In questo contesto il conservatore Schopenhauer accenna alle misere condizioni che caratterizzano la vita delle classi sociali pi povere, specialmente dei lavoratori delle fabbriche (W II, p. 663 = p. 705). Citando un celebre passo del Mercante di Venezia di Shakespeare, Schopenhauer nota che questi uomini, per sopravvivere, sono costretti ad alienare i mezzi attraverso cui possono sopravvivere e quindi ad alienare la propria persona 11 .

    Ulteriori sofferenze sono prodotte negli uomini dalla lotta che si svol ge fra gli individui allo scopo di soddisfare i propri bisogni e desideri; l'homo homini lupus hobbesiano caratterizza anche per Schopenhauer l'at teggiamento naturale reciproco degli uomini (W I, pp. 175 e 393 = pp. 212 e 439). L'uomo, nel soddisfare il proprio volere, nega il volere degli altri individui, e da origine ad una quantit di dolore specularmente eguale 12 . Quando poi l'ostilit reciproca degli uomini imbrigliata all'interno dal l'organizzazione statale, esso trova modo di manifestarsi nelle guerre fra gli stati, cui Schopenhauer, alieno da ogni nazionalismo, non attribuisce altro significato che quello di furti in grande stile (PP I, p. 484 = p. 615).

    Questa situazione comune a tutti gli esseri viventi cosicch si deve parlare di una irreconciliabile lotta senza fine che fra di loro si combat-

    10 W I, p. 368 = p. 413. Sul diverso significato che la morte assume in una prospet tiva metafisica cfr. sotto.

    11 PP II, p. 260 = p. 321. In condizioni ancora peggiori si trovano gli schiavi, privati istituzionalmente del possesso della propria persona, cfr. PP II, p. 106 = p. 132.

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    te (W I, p. 182 = p. 218). Il mondo un arena di esseri angustiati e tormentati i quali esistono solo divorandosi l'un l'altro, dove quindi ogni animale carnivoro il sepolcro vivente di mille altri, e la sua propria con servazione una catena di morti crudeli (W II, p. 666 = p. 708).

    Prospettive migliori circa il raggiungimento della felicit si aprono a quei pochi che, in condizioni di soddisfare senza difficolt i bisogni prima- ri, possono dedicarsi all'attivit intellettuale, preclusa per le ragioni che si son viste alla maggior parte degli uomini (W I, p. 370 s. - p. 414).

    Nei Parerga e paralipomena, specialmente nella sezione intitolata Aforismi sulla saggezza della vita , Schopenhauer mostra una certa fidu cia nella possibilit di raggiungere un accettabile grado di felicit attraverso l'attivit intellettuale. Ci si fonda su un insistito richiamo al valore dell'in teriorit dell'uomo, che al sicuro dai colpi della fortuna e offre beni (relativamente) pi durevoli e sicuri (PP I, p. 351 s. = p. 447 s.). Tale interiorit si esplica essenzialmente, come si accennato, nella conoscenza; questa, come ogni componente dell'uomo, ha la sua base nella volont, e precisamente l'espressione della sensibilit che, insieme alla forza ripro duttiva ed all'irritabilit, costituisce una delle forze fisiologiche fondamen tali. Posto che la sensibilit la forza pi specifica dell'uomo, si pu affer mare che i piaceri che da essa derivano sono i pi alti. Ma v' di pi: nelle forme pi alte della conoscenza, l'intelletto opera senza mescolanza della volont, il che significa senza dolore; di qui il grande valore eudemonolo- gico dei piaceri spirituali 13 .

    12 Schopenhauer ritiene che in linea teorica sia possibile per l'uomo soddisfare la propria volont senza danneggiare gli altri; un tale comportamento caratteristico del primo livello della moralit, la giustizia (cfr. W I, pp. 393 ss. = pp. 439 ss.). D'altra parte, dato il carattere monistico della sua filosofia, secondo cui la volont non ha niente fuori di s mediante cui soddisfare i propri bisogni, ogni soddisfacimento di un aspetto par ticolare della volont (della volont di un singolo individuo) sembra dover comportare necessariamente la negazione di un altro aspetto della volont (almeno di un livello pi basso della sua affermazione, per es. della volont degli animali). Infatti la volont ine vitabilmente divora se stessa: da questo punto di vista sembra impossibile sostenere l'esistenza di un comportamento "giusto" nel senso sopra indicato (cfr. PP II, p. 342 = p. 422 nota), bench per l'assenza di sensibilit nei gradi inferiori di obiettivazione della volont, tali negazioni non diano luogo al dolore. Come si vedr, lo stesso Schopenhauer del resto considera ogni volere come qualcosa di intrinsecamente riprovevole (cfr. PP II, p. 334 = p. 412).

    13 Sul tema dell'indipendenza del puro conoscere dalla volont Schopenhauer insiste particolarmente nell'ambito dell'estetica, dove, come si vedr, a questa forma di conoscenza attribuito un significato etico-metafisico: essa un primo e provvisorio passo sulla via della negazione della volont. Da un punto di vista sistematico, come la critica rilever pi volte in seguito, questa tesi schopenhaueriana presenta notevoli dif-

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    La portata di questa considerazione tutto sommato ottimistica dell'at tivit intellettuale peraltro ridotta da una serie di elementi. La conoscenza pura infatti, oltre ad essere accessibile solo a quel ristretto numero di indi vidui in cui le forze spirituali sono particolarmente sviluppate, in s qual cosa d'innaturale e conscguentemente eccezionale. La facolt conoscitiva infatti per sua natura subordinata alla volont. Schopenhauer considera suo merito essenziale quello di aver rovesciato la tradizionale concezione che poneva nella razionalit l'essenza dell'uomo e quindi subordinava la volont all'intelletto 14 . L'intelletto in toto un attrezzo che la volont si foggia per soddisfare meglio i propri bisogni e quindi non , in condizioni normali, in grado n di operare liberamente n tanto meno di guidare l'uomo secondo le sue proprie leggi: chi decide la volont (W II, p. 236 - p. 255).

    La volont inoltre domina sull'intelletto non solo dall'esterno, ma ne condiziona anche il funzionamento interno, mediante l'azione perturbatri- ce delle passioni. L'intelletto deve far violenza alla sua propria natura, diretta verso la verit, costringendola a ritenere per vere, contro le sue proprie leggi, cose che non sono vere n verosimili, e spesso sono appena possibili, per calmare, tranquillizzare ed addormentare anche per un mo mento l'inquieta ed indomita volont (W II, p. 243 = p. 262). Solo cos spiegabile il permanere fra gli uomini di idee assurde, fra le quali Scho penhauer annovera in primo luogo le varie concezioni ottimistiche della realt, la cui origine non pu essere che l' autolode ingiustificata del vero creatore del mondo, cio della volont alla vita, la quale compiacentemente si specchia nella sua opera (W II, p. 671 = p. 731). Di fondamentale importanza per la morale l'offuscamento che impedisce alla maggior parte degli uomini di cogliere il carattere fenomenico dell'individualit, da cui derivano tutte le sofferenze che gli uomini si infliggono reciprocamente (W II, p. 690 = p. 734).

    fcolt: non facile comprendere infatti come Schopenhauer, dopo aver sottolineato pi volte la derivazione dalla volont della conoscenza e dopo aver parlato di piaceri del conoscere - il piacere una soddisfazione della volont -, possa negare la presenza della volont nelle forme pi alte del conoscere. Va rilevato tra l'altro come con la sua teoria del bisogno metafisico Schopenhauer presenti l'intera metafisica come una risposta ad un bisogno, il che, di nuovo, sembra rimandare inequivocabilmente alla volont.

    14 Cfr. in particolare il cap. XIX del secondo volume del Mondo, dove questa tesi dimostrata con ricchezza di argomentazioni. Cfr. anche GBr, pp. 393 ss.

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    3. IL TEMPO E LA TELEOLOGIA.

    Schopenhauer affianca a queste considerazioni di tipo eudemonologi- co altre notazioni che invece sembrano basarsi su una sorta di implicito platonismo, secondo cui solo l'eterno e il durevole ha valore. Egli infatti si riferisce insistentemente allo scorrere del tempo per sottolineare la man canza di significato dell'esistenza umana; esso la forma mediante la quale quella nullit delle cose appare come loro caducit; poich per esso tutti i nostri godimenti e le nostre gioie sotto le nostre mani si perdono nel nulla, e noi dopo stupiti ci chiediamo, che cosa ne sia avvenuto (W II, p. 658 = p. 699).

    Per altri aspetti proprio la fenomenicit del tempo - il suo non inerire all'essenza della realt - a condurre Schopenhauer a considerazioni pessimistiche: si deve in particolare escludere che la situazione dell'uomo possa radicalmente mutare, in altre parole che nel mondo possa darsi au tentico progresso. Per Schopenhauer la verit fondamentale della filosofia che in ogni tempo sempre la stessa cosa (W II, p. 506 = p. 542). La storia quindi non da luogo a reali mutamenti; i fenomeni, i singoli avveni menti sono diversi, ma la loro sostanza sempre la stessa; la sua divisa quindi eadem sed aliter (W II, p. 508 = p. 544). La felicit terrena sempre una cosa vuota, illusoria, caduca e triste, che n- costituzioni e legislazioni, n macchine a vapore e telegrafi possono mai essenzialmente migliorare 15 .

    La natura fenomenica del tempo serve anche a spiegare il costante sacrificarsi dell'individuo per la conservazione della specie. La specie il correlato empirico dell'idea, l'obiettivazione immediata della volont. L'in sieme degli individui che la costituiscono non altro che il moltiplicarsi all'infinito nel tempo e nello spazio dell'unica idea (W I, p. 325 = p. 367 e W II, p. 554 = p. 591). Come e quanti individui esistano nel mondo feno menico per l'obiettivarsi dell'idea irrilevante. Ci che importa che gli individui, data la loro durata limitata nel tempo, quando periscono, siano rimpiazzati da altri, perch l'esistenza di individui la condizione necessa ria del suo oggettivarsi. Il fine dell'individuo quindi la generazione di una discendenza; di qui la cura particolare che la natura dedica ad esso finch

    15 W II, p. 507 = p. 543. L'unico vantaggio che Schopenhauer attribuisce al pro gresso tecnico e in particolare alle ferrovie quello di alleviare la fatica degli animali da tiro! (cfr. PP II, p. 399 = p. 494). In questo ambito evidente la radicale opposizione di Schopenhauer alla filosofia hegeliana (cfr. W II, p. 505 = p. 451 s.).

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    giunga alla generazione, abbandonandolo poi senz'altro alla distruzione (W I, p. 325 s. = p. 367 s.). Anche per la specie umana vale la stessa logica. Tuttavia questa funzione elementare assume nell'uomo - data la sua mag giore complessit - il carattere specifico del rapporto amoroso fra i due sessi. Riconducendo la dinamica dei sentimenti alla sua finalit biologica, Schopenhauer, in pagine molto note, mostra l'illusoriet dei sentimenti e, conscguentemente, l'impossibilit per l'uomo di raggiungere anche in que sto ambito la sperata felicit 16 .

    Il tema platonico della mancanza di valore di tutto ci che diviene si congiunge in Schopenhauer con il rifiuto della natura teleologica della re alt - uno dei motivi tradizionalmente pi sfruttati per giustificare il dolore del mondo e quindi per difendere l'ottimismo. In proposito tuttavia la posizione di Schopenhauer assai articolata e complessa.

    In prima istanza la concezione schopenhaueriana della teleologia sem bra riproporre semplicemente le pi note tesi di Kant: la finalit, come la causalit, appartiene alla facolt conoscitiva dell'uomo e quindi ha valore solo soggettivo (W I, pp. 631 ss. = pp. 681 ss.). Cos Schopenhauer da una parte afferma con vigore l'esistenza del finalismo all'interno del mondo fenomenico, diffondendosi sulla teleologia che governa gli esseri viventi e difendendo l'esistenza delle cause finali, dall'altra nega che il finalismo possa essere riferito alla cosa in s (W II, pp. 371 ss. = pp. 401 ss.) - non per caso Schopenhauer considera impossibile la prova fisico-teleologica (N, p. 38 s. = p. 74, W I, p. 632 s. = p. 682 s.). Il carattere fenomenico della teleologia risulta evidente dal fatto che qualsiasi sviluppo percepito come tale solo grazie al tempo. Posto invece che la volont si obiettiva negli esseri viventi con un atto atemporale, ne consegue che l'organismo sorge compiu to in ogni sua parte e in esso non esiste quello sviluppo verso la perfezione, quel coordinamento fra mezzi e fini che l'uomo percepisce come il disten dersi dell'unit dell'organismo nel tempo (N, p. 55 s. = p. 94 s.).

    Qualche problema maggiore presenta invece un'interpretazione in tal senso anche di quella che Schopenhauer chiama teleologia esterna, cio l'appoggio e l'aiuto reciproco che gli organismi ricevono dalla natura inor ganica e dagli altri organismi. Qui dobbiamo ammettere, che fra tutti quei fenomeni dell'unica volont abbia luogo un generale e reciproco adat tarsi ed accomodarsi (W I, p. 190 = p. 226). Anche in questo caso, se si

    16 Cfr. il celebre capitolo XLIV del secondo volume del Mondo ( Metafisica del: l'amor sessuale, W II, pp. 643 ss. = pp. 674 ss.), in cui si sottolinea fra l'altro il contrasto fra gli interessi dell'individuo e quelli della specie (W II, p. 638 = p. 679).

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    considera l'obicttivarsi della volont come qualcosa che avviene al di fuori del tempo, questo apparente finalismo svanisce: la volont non si oggettiva prima in un fenomeno e poi, tenendo conto della compatibilita con il feno meno precedente, in un altro: essa si manifesta immediatamente in tut ta la realt. La compatibilita fra i vari fenomeni - che ha il suo modello nel mondo ideale sottratto alla lotta che divora il mondo fenomenico - non pu essere neppure interpretata come una prova a favore della saggezza e della razionalit della volont, giacch essa definisce solo le condizioni minime perch sia possibile l'affermazione della volont. Il mondo fenome nico, ben lungi dall'essere leibnizianamente il migliore possibile, il peg giore possibile, nel senso che un'organizzazione anche di poco peggiore non consentirebbe al mondo di sussistere 17 .

    Schopenhauer tuttavia non sembra accontentarsi di questa restrizione essenzialmente epistemologica del finalismo alla soggettivit del mondo fenomenico; egli sembra piuttosto intenzionato, muovendosi sulle linee di quella metafisica interpretativa che gli propria, ad affermare positivamen te l'assenza del finalismo nella volont. Cos egli riprende anzitutto la tesi seconda cui la volont, nel suo fenomenizzarsi, non mostra alcun fine ulti mo: di ogni volizione ed esplicazione delle forze possibile chiedersi il fine o la causa, ma non della volont, che sta alla base tanto delle volizioni quanto delle esplicazioni delle forze (W I, p. 194 = p. 231). Ci provato anche dal fatto che, considerando la dinamica del volere e in particolare il modo di operare delle forze naturali, si osserva che il raggiungimento di un fine particolare non fa cessare in alcun modo il volere: se anche tutta la materia fosse concentrata in un unico punto, la forza di gravita continue rebbe a cercare di esplicarsi, anche di fronte al raggiungimento di quello che potrebbe essere pensato come il suo fine ultimo (W I, p. 195 = p. 232). Schopenhauer ritiene cos di poter concludere che la mancanza d'ogni finalit e d'ogni confine s'appartiene all'essenza della volont in s, che una tendenza infinita (W I, p. 195 = p. 232).

    17 W II, p. 667 = p. 709. Anche in questo caso per non fraintendere la posizione di Schopenhauer, bisogna tener conto dei limiti che egli pone al sapere metafisico: certamente egli non crede che la tesi che questo mondo sia il peggiore dei mondi pos sibili sia scientificamente dimostrata; essa ai suoi occhi poco pi che un artificio reto rico - paradossale rovesciamento della posizione di Leibniz. Cos non pare legittimo obiettare che il sostenere che la volont capace di realizzare un mondo migliore di quello che non potrebbe sussistere, implichi nella volont stessa almeno un barlume di razionalit: come si visto Schopenhauer rifiuta programmaticamente di affrontare questi problemi speculativi.

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    Rimarrebbe l'alternativa di considerare il mondo nel suo complesso come un fine in se stesso (Selbstzweck), supponendo cio che lo scopo della volont sia semplicemente la sua affermazione. Questa tesi per resa improponibile dalla realt del dolore: se il mondo fosse un fine in se stesso, non solo i dolori dovrebbero essere compensati dai piaceri, ma addirittura non vi dovrebbe essere nessun dolore (W II, p. 661 = p. 703). Lo stesso discorso vale se si volesse considerare la vita dell'uomo come fine ultimo: dato la sofferenza che anche in essa domina sarebbe lo scopo pi sciocco che mai sia stato posto (PP II, p. 306 = p. 326). Presupposto implicito di queste argomentazioni sembra essere l'idea che l'affermazione del volere, per essere giustificata come un fine in s, dovrebbe rendere possibile la soddisfazione della volont, ovvero la felicit. In questo modo Scho- penhauer sembra reintrodurre il parametro eudemonologico anche per fis sare il valore della teleologia.

    Con ci tuttavia la trattazione schopenhaueriana del problema del finalismo non ancora conclusa. Schopenhauer in alcuni passi reintrerpre- ta il carattere antieudemonistico della realt, visto in generale come argo mento decisivo contro il finalismo, come indizio di un finalismo di livello superiore, pur avvertendo che con queste considerazioni egli si muove in un ambito decisamente trascendente , dove si pu parlare di teleologia solo figurativamente o con un'espressione parabolica (HN I, pp. 133 e 219). Sembra infatti che il mondo sia organizzato per produrre la sofferenza (PP II, p. 312 = p. 382), ma, dato che il dolore non pu essere il fine ultimo della realt, si deve concludere che il mondo non pu essere che un mezzo per un fine superiore: la negazione della volont.

    4. LA FONDAZIONE DEL PESSIMISMO.

    indispensabile a questo punto approfondire quello che si potrebbe chiamare il problema della fondazione del pessimismo. In altre parole si tratta di chiarire quali sono e come sono fondati quei valori che dovreb bero essere realizzati e la cui assenza giustifica la condanna del mondo stesso, condanna che Schopenhauer esprime nella tesi che il mondo - con siderato spassionatamente - non dovrebbe esistere, ovvero che il non essere del mondo sarebbe in s pi positivo - o comunque meno negativo - del suo esistere (W II, p. 531 = p. 568, PP II, p. 320 = p. 397).

    Questo riferimento al dover essere sembra implicare che il pessimi smo schopenhueriano abbia quanto meno uno stretto legame con la morale

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    e in effetti Schopenhauer insiste a pi riprese sulla necessit di considerare la realt nel suo complesso dal punto di vista del suo significato morale (PP I, p. 21 = p. 41, e N, p. 141 = p. 211). di conseguenza necessario tracciare un quadro della dottrina etica di Schopenhauer, considerando in partico lare in essa il problema della fondazione dei valori.

    Nella sua riflessione sull'agire umano Schopenhauer, come sempre, prende le mosse dai dati empirici per cercarne la spiegazione metafisica. In questa prospettiva il dato fondamentale costituito dal sentimento di re sponsabilit che ogni uomo avverte per le proprie azioni, pur essendo con vinto di non poter agire diversamente (E, pp. 93 ss. = pp. 142 ss.).

    Schopenhauer trova la spiegazione di questa apparente contraddizio ne in una ripresa della dottrina kantiana della libert intelligibile. Il senso di necessit che accompagna l'agire umano ha la sua ragione d'essere nel determinismo che regna nel mondo fenomenico: ogni atto infatti conse guenza necessaria di un determinato motivo e quindi, come ogni altro fe nomeno, sottoposto inevitabilmente alla legge di causalit nella forma specifica della legge di motivazione.

    Ma - e questo serve ad introdurre la spiegazione del senso di respon sabilit - il carattere fenomenico della legge di motivazione di per s sicuro indizio della sua non applicabilit alla cosa in s: la volont, in quan to cosa in s, libera: la scelta dei vari modi in cui manifestarsi e - questione ancor pi importante - la scelta di volere (fenomenizzarsi) o di non volere non dipendono da motivi. Si accennato al fatto che la volont si esprime in prima istanza nelle forme atemporali delle idee. Anche il manifestarsi della volont nell'uomo segue le stesse regole, tuttavia con la particolarit che, secondo Schopenhauer, ciascun uomo un atto indivi duale della volont, in altri termini un'idea (W I, p. 189 = p. 225). L'idealit dell'uomo - il suo essere in quanto sottratto al tempo - costituita dal suo carattere, vale a dire da un'originaria commistione di alcuni istinti o impulsi fondamentali (Grundtriebfedern) 18 . Posto allora che l'uomo, come si det to, propriamente non altro dalla volont, ma coincide con la volont

    18 Cfr. E, pp. 209 ss. = pp. 214 ss. Questi istinti, quando il carattere entra nel tempo, si esplicano reagendo con la stessa necessit che caratterizza l'operare delle forze naturali ai motivi che via