Giuseppe Garibaldi, un repubblicano alla corte del re

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Marco Martini Giuseppe Garibaldi, un repubblicano alla corte del re EDIZIONI ISSUU.COM

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Relazione di Marco Martini, Giuseppe Garibaldi: un repubblicano alla corte del re, giovedì 14/04/2011, Liceo Scientifico Statale “Barsanti e Matteucci” di Viareggio, piano II°, Aula delle Colonne. Ciclo di Lezioni: “ A 150 anni dall’Unità d’Italia: i protagonisti del Risorgimento”. Seminario di Studi rivolto agli studenti delle cl. IV/V del Liceo. Testo integrale della Conferenza. 1. Giuseppe Garibaldi: biografia e mito. 2. Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi: il mito e la storia. 3. Giuseppe Garibaldi: la conquista del Sud e il brigantaggio. 4. Garibaldi, Mazzini e Cavour: confronti ed interpretazioni storiografiche. 5. Giuseppe Garibaldi: la massoneria e l’associazionismo operaio e democratico in Italia.

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Relazione di Marco Martini, Giuseppe Garibaldi: un repubblicano alla corte del re, giovedì 14/04/2011, Liceo Scientifico Statale “Barsanti e Matteucci” di Viareggio, piano II°, Aula delle Colonne.

Ciclo di Lezioni: “ A 150 anni dall’Unità d’Italia: i protagonisti del Risorgimento”. Seminario di Studi rivolto agli studenti delle cl. IV/V del Liceo. Testo integrale della Conferenza.

1. Giuseppe Garibaldi: biografia e mito. 2. Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi: il mito e la storia. 3. Giuseppe Garibaldi: la conquista del Sud e il brigantaggio. 4. Garibaldi, Mazzini e Cavour: confronti ed interpretazioni storiografiche. 5. Giuseppe Garibaldi: la massoneria e l’associazionismo operaio e democratico in Italia.

1. Giuseppe Garibaldi: biografia e mito. Giuseppe Garibaldi è nato a Nizza, allora in Liguria, nel 1807, è il personaggio più popolare nella storia del Risorgimento italiano ed anche europeo, la sua fama è superiore a quella di Mazzini, Cattaneo, Vittorio Emanuele II, Cavour. A Garibaldi s’ispirarono forze politiche molto eterogenee tra loro, socialisti, repubblicani, comunisti, le brigate partigiane, D’Annunzio nella sue enfasi interventista durante la Grande Guerra, i fascisti nella marcia su Roma, riprendendo il motto garibaldino “O Roma, o morte!” Nelle elezioni del 1948 il simbolo del F.D.P. (“Fronte Democratico Popolare”, una lista comune tra comunisti e socialisti) presentava, in una stella, l’effigie di Garibaldi. Garibaldi morì nel 1882. Due personaggi politici italiani oggi scomparsi, Giovanni Spadolini e Bettino Craxi, rispettivamente repubblicano e socialista, negli anni ’80 si contesero la “discendenza politica” da Garibaldi. Fu ripreso persino dal partito comunista italiano di Gian Carlo Pajetta, che paragonò impropriamente Garibaldi a Che Guevara, senza considerare che i due miti sono diversissimi, in quanto il primo è uomo essenzialmente pragmatico e semplice, mentre il secondo fu uomo d’azione, ma anche ideologo istruito, medico esattamente. In Garibaldi storia e mito s’intrecciano: è un eroe romantico che è costruttore del suo stesso mito, vive di mito, è una figura ancora popolarissima, la cui biografia è fondamentale per la conoscenza del personaggio. La prima attività lavorativa del giovane Garibaldi è quella del marinaio, prima del 1848, un mozzo prima, un capitano poi; rifiuta lo studio disciplinato, al quale il padre voleva educarlo. Studia l’italiano, elemento non indifferente per un uomo del primo ‘800, poi apprenderà anche lo spagnolo e il portoghese, ma resta assente in Garibaldi la formazione intellettuale.Simpatizza per le idee mazziniane, anche se non ha studiato. Fu attratto anche dalle idee socialiste utopiche francesi di Saint-Simon; compì un viaggio ad Istanbul con un gruppo di saintsimoniani. Nel 1834 partecipa, a Genova, ad un complotto mazziniano, che fallisce, e, condannato a morte, fugge prima a Marsiglia, poi in Sud America. Garibaldi navigava da Marsiglia a Odessa per trasportare grano; infatti Odessa, in Ucraina, era uno dei granai d’Europa. Lesse il libro di Saint-Simon Il nuovo cristianesimo1, in cui si parlava di una nuova religione, quella del progresso sociale. L’associazionismo è quindi alla base del progresso, per Saint-Simon: Mazzini associa a tale idea di Saint-Simon, che accetta, il principio di autodeterminazione dei popoli, consistente nell’autonomia e nella libertà, e quindi nella liberazione dall’oppressione di altre nazioni. Il popolo è sovrano: questo concetto democratico, alla base della Rivoluzione francese, ma anche della Rivoluzione americana e della “Glorious Revolution” inglese, è presente in Mazzini. L’indipendenza di un popolo non entra in conflitto con l’indipendenza degli altri popoli: è questo un elemento comune tra Mazzini e Garibaldi. Garibaldi non è un teorico, anche se scrive molti romanzi, moltissime lettere ed un’autobiografia; è uomo di movimento e di attività. Sentì fortemente il concetto di amore, amore per le esperienze umane, la natura, persino gli animali, ma soprattutto amore di patria, con forti connotazioni romantiche. Costretto a lasciare l’Europa, perché fuggito dopo la condanna a morte: Garibaldi emigra prima a Marsiglia, poi in Sud America, e qui trova molti italiani, molti patrioti. Qui inizia la sua attività di guerrigliero sempre a favore dei popoli oppressi, per la libertà. Garibaldi si trova coinvolto nella rivoluzione brasiliana per l’indipendenza dal Portogallo e vede in tale guerra, che è una guerra corsara, gli stessi motivi dei moti indipendentistici europei. Oltre alla carriera del marinaio, Garibaldi intraprende quindi anche quella di “corsaro”. Garibaldi è uomo d’azione e di coraggio infinito, senza retorica. In una della azioni di guerra in Brasile conosce Anita, la sposa ed ha 4 figli; Anita ha poco più di 18 anni, è già sposata dall’età di 14 anni per procura, per volontà materna, date le precarie condizioni familiari. Anita è sposata ad un sarto. Tra Garibaldi e Anita è amore a prima vista: Anita seguirà Garibaldi in ogni azione di guerra. Menotti e Teresa sono i primi due figli di Garibaldi. Dall’Europa arrivano in Brasile notizie di ciò che sta avvenendo negli anni ’20 e ’30: quando Garibaldi arriva in Italia, nel 1848, è già un mito, una leggenda, è già iscritto alla Massoneria. Viene però accolto freddamente da Carlo Alberto e trova posto come generale, provvisoriamente, nell’esercito milanese contro Radetzkij. Garibaldi ripara poi in

1 Cfr. C. H. De Saint-Simon, Il nuovo cristianesimo, 1825.

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Svizzera, perché sempre ricercato in quanto condannato a morte, ma nel 1849 è a Roma, ove resiste strenuamente fino all’ultimo, anche se inutilmente, per difendere la Repubblica Romana. Fallita la resistenza a Roma, si rifugerà prima a Venezia, poi riprende la via del Sud America. E’ un uomo semplice, ma chiaro e netto nelle sue scelte. Mazzini contribuì fortemente a creare il mito di Garibaldi: ne comprese l’animo romantico e l’impeto del guerrigliero. Il Romanticismo, in politica, ha un atteggiamento quasi religioso: la patria viene divinizzata, come pure il popolo e la libertà. Si può affermare che Garibaldi è pertanto l’incarnazione pratica delle idee mazziniane, ma non solo. Molti preti seguono Garibaldi, ed è questa un’altra caratteristica della religiosità garibaldina; Don Giovanni Verità, ad esempio, aiuta Garibaldi e sostiene che le idee garibaldine di guerriglia non contrastano affatto con i principi del cristianesimo. Tra i volontari che seguono Garibaldi nella difesa di Roma vi sono preti, studenti, pittori, letterati; tra i pittori vi sono i Macchiaioli, quasi tutti garibaldini. I Macchiaioli rappresentano Garibaldi nei loro quadri, insistendo non sulla retorica dell’eroe “imbalsamato”, ma sull’eroe “umano”, in camicia rossa, talvolta anche senza spada. Garibaldi entra anche in contrasto con Mazzini, perché convinto, insieme a Cavour, della necessità del contributo alla guerra di Crimea e, sempre in contrasto con Mazzini, critica l’impresa di Pisacane. Dal Sud America torna ancora in Italia, prima a Caprera, in Sardegna, poi, nel 1859 con i “Cacciatori delle Alpi” provoca l’Austria, al confine, su incarico di Vittorio Emanuele II e di Cavour, affinché la II guerra d’indipendenza sia una guerra “difensiva”, condizione necessaria per ottenere l’aiuto di Napoleone III. Ne segue la “spedizione dei Mille”:i 1089 garibaldini saranno 50000 Napoli, tra loro vi sono molti settentrionali e molti intellettuali (medici, avvocati, studenti), anche un ucraino. Al Sud Garibaldi si comportò bene con la popolazione: pagava la colazione dei suoi uomini e passava per le armi i suoi soldati che tentavano di violentare le donne del Sud. Garibaldi ottiene l’appoggio della popolazione ovunque, tranne che a Messina. Nel 1861 consegna, nel freddo incontro di Teano, le terre liberate al re. Dal 1870 fino alla morte, avvenuta nel 1882, Garibaldi è a Caprera: gli sono morti la moglie Anita, il fratello e la madre, 2 figlie, e con l’eredità acquista una casa ed un pezzo di terra a Caprera, nella Maddalena, in Sardegna. Amerà moltissimo gli animali, sia selvatici, come le capre, che domestici, ai quali darà un nome. Moltissimi inglesi benestanti si recheranno a Caprera per conoscere Garibaldi, che è un personaggio amatissimo. E’ in tutte queste caratteristiche umane, semplici, naturali, “religiose” ed anche militari, ma non solo militari, che consiste il mito di Garibaldi. Ebbe altri amori, mai decollati a nozze, con la baronessa Swartz e con la giovane principessa Raimondi, di appena 18 anni (abbandonerà, deluso, la principessa Raimondi, che stava per sposare, messo al correte dalla baronessa Swartz che questa attendeva un figlio, ma non da lui). A Caprera l’eroe combatterà le sue battaglie per la bonifica dei territori incolti, a partire dall’agro pontino; Menotti, figlio di Garibaldi, morirà proprio nella bonifica dell’agro pontino. Garibaldi muore nel 1882, ma il suo mito è fortissimo anche dopo la morte: quando Garibaldi muore, sono già state scritte 10 biografie su di lui. Attualmente sono crollate le ideologie, come il nazifascismo ed il marxismo, sono crollati tanti miti e ne sono sorti di nuovi, ma non è crollato il mito della nazione e della patria: ben 137 nuovi Stati si sono formati dal 1882 ad oggi. La spedizione dei Mille porta un’enorme popolarità a Garibaldi, che mira, i primo luogo, a differenza di Mazzini, all’indipendenza ed all’unificazione italiana, indipendentemente se sotto i Savoia o una repubblica. Nel 1870 Garibaldi combatterà, tuttavia, anche a fianco della Francia contro l’invasione prussiana, a testimonianza della sua fede eterna nella libertà. Garibaldi simpatizza per le idee socialiste, ma non è un politico: i garibaldini combattono a fianco dei popoli per la libertà, in Italia, come in Ungheria, come in Polonia. 2. Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi: il mito e la storia. Secondo il prof. Banti, docente di storia del Risorgimento all’università di Pisa ed esperto di storia politica e sociale dell’Ottocento2, Garibaldi appartiene invece ad una generazione molto diversa, come risulterà dagli eventi di seguito narrati. Garibaldi arriva in Gran Bretagna in treno, alla stazione di Londra, alle h. 14,30 dell’11 aprile 1864, su invito di Giuseppe Mazzini, che lo aveva invitato allo scopo di far conoscere “l’eroe dei due mondi” alla potenza più importante d’Europa. Quando Garibaldi scende alla stazione di Londra è già un mito: alcune migliaia di persone si affollano attorno alla carrozza che avrebbe dovuto portare Garibaldi nel palazzo del duca di Saferland, dove è atteso, per le h.16,00; Garibaldi, costantemente fermato ed acclamato dalla folla, arriva alle h. 20, con 4 ore di ritardo. Garibaldi, come si è già detto, è già una leggenda: iniziano addirittura a circolare “reliquie” di Garibaldi, come bottoni e pezzi di stoffa della sua camicia rossa, e nasce un vero e proprio mercato sulle reliquie dell’eroe.

2 Cfr. A. M. Banti, Il Risorgimento italiano, Laterza, Roma-Bari, 2004 e L’onore della nazione, Einaudi, Torino, 2005.

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Una giornalista americana del tempo, Margareth Fuller, descrive il mito di Garibaldi in un articolo per il “New York Tribune”: Garibaldi ha creato il suo mito negli anni ’20-’30 del secolo, combattendo a favore della libertà dei popoli dell’America latina. La cronista descrive l’eroe con una tale enfasi da sembrare ella stessa una “garibaldina”. Garibaldi è per la Fuller un eroe romantico, degno di un romanzo di Walter Scott come Ivanhoe. La Fuller parteggia dichiaratamente per Garibaldi e per i garibaldini, le “camicie rosse”; Garibaldi viene celebrato come un eroe, un cavaliere medievale. Da considerare che tra i seguaci di Garibaldi vi sono anche rampolli di famiglie benestanti che scelgono spontaneamente e disinteressatamente di andare a combattere per un ideale, per la libertà e per la patria, rischiando la propria vita. Nel 1880 un certo Giuseppe Cesare Abba, seguace di Garibaldi, scrive un testo sul suo generale, Da Quarto al Volturno3, in cui racconta la battaglia di Calatafimi. Nino Bixio, generale garibaldino, è pronto a dare la vita per Garibaldi ed a fare scudo con il suo corpo, ma l’eroe nizzardo glielo impedisce, dichiarandosi pronto a sacrificare la sua vita per la patria. Abba paragona il coraggio di Garibaldi a quello di Francesco Ferrucci, eroe fiorentino ucciso nel 1530 dal traditore Maramaldo durante le guerre d’Italia del primo Cinquecento (1494/1559). L’eroe di oggi è completamente diverso da quello del passato: non muore mai, vince sempre, ed è questo il segno tangibile della diversità culturale dei tempi, è l’eroe cinematografico della fine del Novecento. Durante la “spedizione dei Mille” Garibaldi arriva a Messina e rivolge un proclama alle donne: Garibaldi sa di essere anche amato dalle donne, nonostante la sua bassa statura (era alto poco più di 1m. e 60 cm.) ed è uomo attento alla comunicazione di massa, nonostante non abbia ricevuto una preparazione scolastica. Invita le donne a partecipare alle giornate del riscatto nazionale preparandosi a perdere il marito ed i figli della patria, perché questo è l’onore più alto. Garibaldi parla con il linguaggio della cultura ottocentesca, ovviamente, in base alla quale gli uomini vanno a lavorare ed a combattere e le donne sono dedite al lavoro domestico ed all’educazione dei figli. Scrive Garibaldi, quando arriva a Varese nel 1859 con i “Cacciatori delle Alpi”, di essere stato accolto con effervescenti acclamazioni di giubilo da parte delle donne. Garibaldi ricorda, nel suo scritto, anche il “Giuramento di Pontida” della Lega Lombarda, che nell’Ottocento si può portare come emblema di italianità; oggi, il “Giuramento di Pontida” è invece stato strumentalizzato dalla Lega Nord come bandiera della secessione. La vedova Cairoli, che ha perso tutti i figli, tranne Benedetto, nelle guerre del Risorgimento ed al seguito di Garibaldi, esalta comunque questo “mito divenuto realtà”. Le donne dell’Ottocento mostrano di avere un diverso rapporto con la morte rispetto a quello che si ha attualmente: oggi la morte fa paura, la allontaniamo, mentre Garibaldi ne parla come un’azione eroica. In uno dei suoi romanzi, intitolato I Mille (1874), Garibaldi ricorda la memoria di Nullo, Cairoli, Montanari, eroi dei Risorgimento caduti per la patria: la morte è qui definita come un “santo sacrificio”; Garibaldi invita ad “immergere le bende dei neonati nel sangue dei caduti”, per poi avvolgervi i piccoli. Edmondo De Amicis esalta Mazzini, Garibaldi e Cavour nel romanzo Cuore4 ed insiste sulla “santità” di Garibaldi, definito “redentore dei popoli”; nel romanzo, il padre di Enrico Bottini spiega al figlio come amare la patria, la cui bandiera è “benedetta”. Così, alla fine dell’Ottocento e nel primo Novecento ci si rivolge a bambini di 9 anni, che frequentano la III elementare. Oggi, tutto questo è completamente caduto nell’oblio. Il mito e la morte sono oggi considerati infatti in modo completamente diverso. Sacrificio e martirio sono le parole chiave dell’epopea garibaldina e del lessico risorgimentale ottocentesco: il termine “sacrificio” indica qualcosa di “sacro”, indica la trasposizione di una categoria religiosa in ambito storico-politico, un atteggiamento tipico del Risorgimento; non a caso, infatti, in questo periodo sono ricorrenti le immagini del “Sacro Cuore” di Gesù, trafitto e addolorato. Anche il termine “martirio” è connesso con la dimensione sacrale dei primi cristiani, delle persecuzioni durante l’età romana imperiale di Diocleziano. Negli anni ’60 dell’Ottocento si rappresenta Garibaldi come “Cristo benedicente”, addirittura con le stigmate alle mani! Del mito di Garibaldi e del Risorgimento si tende a dare, per tutto l’Ottocento ed i primi decenni del ‘900, un’immagine quindi religiosa, di eroe pronto al sacrificio ed alle sofferenze. Il Risorgimento sarà mitizzato anche durante la dittatura fascista, che si presenterà come perfezionamento dello Stato risorgimentale, debole e diviso, a differenza di quello fascista5, forte ed unito, anche se la storiografia liberale, rappresentata ad esempio da Piero Gobetti, pensatore liberale, antifascista perseguitato e bastonato dai fascisti durante il regime, che ne La rivoluzione liberale6 definirà il fascismo come il tradimento degli ideali del Risorgimento, sotto il profilo della violazione della libertà, che è invece uno degli assi portanti di tutti i moti ottocenteschi.

3 Cfr. G. C. Abba, Da Quarto al Volturno, Mursia, Milano, 1967. 4 Cfr. E. De Amicis, Cuore, Garzanti, Milano, 1964. 5 Cfr. G. Volpe, Momenti di storia italiana, 1925. 6 Cfr. P. Gobetti, La rivoluzione liberale, 1926.

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Queste immagini hanno oggi un effetto “perturbante”, intendendo il termine con il vocabolario della psicoanalisi freudiana, cioè destabilizzante. Gli eroi amati oggi sono immortali e non sono disposti al sacrificio, tranne rare eccezioni, come quella di Ernest Che Guevara, il medico guerrigliero che negli anni ’50 e ’60 del Novecento combatte per la liberazione del Sud America dalle dittature sanguinarie militari di destra, più o meno appoggiate dagli Stati Uniti d’America; Che Guevara è destinato a diventare un mito nella sinistra giovanile mondiale degli anni’70 e ’80 del Novecento,ma si tratta di un’eccezione. 3. Giuseppe Garibaldi: la conquista del Sud e il brigantaggio. Tra gli eroi di tutti i tempi (Giulio Cesare, Napoleone, Garibaldi), Garibaldi è sicuramente il più popolare ed il più amato al mondo, anche se fu strumentalizzato dal fascismo e persino dal nazismo. Durante la spedizione dei Mille, sconfigge uno dei eserciti regolari più attrezzato, quello borbonico, in cui i soldati erano tutti professionisti, e non di leva, perché nel Regno delle Due Sicilie non vi era ancora la leva obbligatoria, che sarà invece inserita con l’unificazione del Regno d’Italia. Nel ‘900, perfino Gandhi, teorico della non violenza in India contro l’impero britannico, mitizza Mazzini e Garibaldi e disprezza Cavour; di Garibaldi afferma che non condivide il metodo della guerriglia, ma ne ammira l’idea. Garibaldi combatte per la libertà, per altro è un contadino e un uomo di pace. Il Regno della Due Sicilie, nella mentalità di Vittorio Emanuele II, è la continuazione del Regno di Sardegna, e per questo continua a chiamarsi Vittorio Emanale II e non Vittorio Emanuele I re d’Italia. Nella II guerra d’indipendenza, la Francia invia 100000 uomini a sostegno della causa nazionale italiana, ma nessuna potenza europea, neppure la Francia, aveva interesse che l’Italia divenisse uno Stato unitario; la Francia, inoltre, era protettrice del potere temporale del papa. Nel 1859, con il trattato di Villafranca, Napoleone III si ritira improvvisamente dalla guerra, sia perché in Italia sono ripresi pericolosi focolai rivoluzionari che renderebbero difficile un futuro protettorato francese in Italia, sia perché la base del popolo di Francia non vede positivamente questo impiego di energie a favore dell’Italia, ma soprattutto perché la Toscana, il 27 aprile 1859, aveva dichiarato la propria annessione al Regno di Sardegna. Napoleone III si ravvede dell’errore compiuto e si ritira dalla guerra, perché teme che l’Italia possa diventare uno Stato unitario e la Francia, che aveva mire espansionistiche verso la penisola, non voleva questo. Garibaldi, dopo la cessione di Nizza alla Francia, disse sdegnosamente a Cavour che “lo aveva fatto diventare straniero in patria”. Giuseppe Galasso7, uno dei maggiori storici viventi della questione meridionale, sottolinea come Garibaldi avesse portato dalla sua parte la classe dei contadini, ma anche quella dei proprietari terrieri: la proprietà privata dei latifondisti venne rispettata, come dimostra la repressione della rivolta di Bronte operata dal generale garibaldino Nino Bixio nel luglio 1860 e come ci viene puntigliosamente descritto dal grande narratore verista Giovanni Verga in una delle più celebri Novelle Rusticane, “Libertà”8. Il 20 agosto Garibaldi passa lo stretto di Messina, il 7 settembre libera Napoli ed il 1° ottobre conclude le sue vittorie attraversando il Volturno: tutta l’Italia meridionale è liberata dai Borboni, come ci illustra il testo del garibaldino Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno9. Garibaldi ha rispettato la proprietà privata dei latifondisti, ma anche i contadini, ai quali non ha mai espropriato un palmo di terra ed ai quali ha addirittura sempre pagato persino la colazione dei suoi soldati. Nel 1859 viene coniato un inno per Garibaldi, successivo quindi di un decennio all’ ”Inno di Mameli”. Nel 1859, Garibaldi è un mito anche a New York. I rapporti tra Cavour e Vittorio Emanuele II non erano sempre ottimi: il re non andò neanche ai funerali di Cavour, quando questi morì improvvisamente e prematuramente, il 6 giungo 1861, ma si limitò ad inviare il figlio. Nel freddo incontro di Teano tra Garibaldi ed il re: l’eroe consegna al sovrano le terre liberate, che avevano già deciso la loro annessione al Regno di Sardegna. Ne segue, il 17 marzo 1861, l’unificazione del Regno d’Italia Emerge, nei primi anni del regno d’Italia, in tutta la sua forza dirompente, la “questione meridionale”:le differenze tra Nord e Sud sono vistosissime, a partire dall’istruzione. Al Nord l’analfabetismo tra la popolazione oscilla dal 20% al 40%, al Sud dall’ 80% a quasi il 100%, in Sicilia, ed al Sud si rimpiange la situazione precedente all’unificazione, si rimpiange la tirannia borbonica. Le leggi del Regno d’Italia, inizialmente privo di autonomie locali e di decentramento, vengono astrattamente estese a tutta la penisola: con la lunga leva obbligatoria si privano le famiglie contadine del Sud di braccia utili, giovani e forti per la lavorazione della terra, peraltro praticata con strumenti arretratissimi, e mentre il Mezzogiorno d’Italia vive in una condizione ancora per molti versi feudali, al Nord fa la sua comparsa l’industria; in questo contesto

7 Cfr. G. Galasso – R. Romeo, Storia del Mezzogiorno, Edizioni del Sole, Napoli-Roma, 1986. 8 Cfr. G. Verga, “Libertà”, in Novelle Rusticane, a cura di C. Riccardi, I Meridiani, Mondatori, Milano, VI edizione, 2001. 9 Cfr. G. C. Abba, Da Quarto…, cit.

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Massimo D’Azeglio affermò che “Bisogna fare gli italiani”10. Nord e Sud presentano culture diversissime, si parlano dialetti differenti.Un altro aspetto dell’Italia post-unitaria fu quello della chiusura dei conventi e della laicizzazione della cultura: nei conventi furono istituiti i licei, è il caso del Liceo Classico “Galileo” di Firenze, istituzione dei padri scolopi. Con i governi della Destra Storica, che si susseguono dopo la morte di Cavour, dal 1861 al 1876, dopo l’ “Inchiesta Jacini” del 1861, che aveva preso atto della drammatica situazione delle campagne al Sud, si emana la “Legge Pica” nel 1863 e si stronca il brigantaggio, investendo molte risorse in quest’operazione di repressione, ma la repressione e l’affidamento dei briganti o presunti briganti ai tribunali militari è l’unica strada seguita. Renato Fucini, scrittore e giornalista verista toscano, l’autore de Le veglie di Neri, nel 1873 si reca a Napoli e descrive con crudo realismo la drammatica situazione sociale: si dorme in 20 in una stanza, in promiscuità, mancano le strade, le condizioni igienico-sanitarie sono terribili. Gravi e numerose furono quindi le cause del brigantaggio, che si sviluppò come fenomeno antiborbonico, ma anche antipiemontese, fenomeno che fu represso nel sangue con 120000 soldati. Antonio Gramsci, nel primo ‘900, ne Il Risorgimento11, uno dei suoi sei Quaderni dal carcere, accuserà Garibaldi di aver favorito il gioco degli industriali del Nord e di aver trascurato la questione contadina al Sud, di non aver compreso, insieme a Mazzini, il fatto che la questione agraria poteva essere invece la molla per fare entrare in scena le masse, facendo così del Risorgimento un successo dell’Italia intera, e non solo del Nord; per Gramsci, l’azione di Garibaldi era dettata dall’autoritarismo di Crispi e per questo Garibaldi fu un elemento nocivo alla questione meridionale, Garibaldi fece il gioco delle forze di destra, che volevano il Piemonte come Stato “guida” dell’Italia; il filosofo Benedetto Croce, negli stessi anni scriverà che fino al 1861 l’Italia era “un’espressione geografica”12, sottolineando quindi maggiormente il valore dell’unità politica che di quella culturale. 4. Garibaldi e Cavour: confronti ed interpretazioni storiografiche. Chiedersi cosa sia vivo oggi della tradizione risorgimentale non può prescindere dall’analisi dei grandi miti che hanno, seppur diversamente, contribuito al processo di unificazione nazionale: Garibaldi e Cavour. L’unificazione italiana, nel suo periodo culminante è soprattutto opera di tre grandi protagonisti, secondo lo storico Salvatorelli13, vale a dire Cavour, Mazzini e Garibaldi. Essi, sebbene discordi ed irriducibili avversari politicamente e ideologicamente, di fatto furono reciprocamente necessari, fino al punto che l’opera di ciascuno di essi sarebbe stata vana o impossibile senza quella degli altri. Il conte di Cavour non avrebbe certamente potuto presentare come urgente e inderogabile la questione italiana agli statisti europei riuniti nel 1856 a Parigi, ed a Napoleone IIII, se il Mazzini con la sua tenace propaganda fatta di moti e martiri, non l’avesse tenuta viva all’interno della penisola ed in tutta l’Europa. Dopo la II guerra d’indipendenza, l’unificazione si sarebbe arrestata in un vicolo cieco senza l’iniziativa di Garibaldi nel Sud; per essa e per la pressione del Mazzini, il Cavour si convertì all’unità D’altra parte, senza l’abilità diplomatica del Cavour, le iniziative mazziniane e garibaldine sarebbero state facilmente stroncate per l’opposizione delle grandi potenze. Uomo del popolo, cuore pieno di umanitarismo, di egualitarismo e d’inflessibile amore per la libertà di tutti i popoli, Garibaldi, secondo De Sanctis14, non conosceva né l’arte politica, né il calcolo diplomatico, amava le idee semplici, chiare, oneste, ed agiva improvvisamente, temerariamente, al di fuori di ogni dottrinarismo ed alchimia politica. Del pensiero di Mazzini capiva soltanto che combattere per redimere la patria divisa ed oppressa era il più grande dovere della vita, ma a differenza dei grandi uomini politici, sapeva che per “convertire” al Risorgimento un popolo fatto al 90% di contadini, bisognava associare alle guerre di indipendenza anche la volontà di combattere all’interno le ingiustizie, le disuguaglianze, le sperequazioni tributarie, gli sfruttamenti, i costumi feudali. Pensava che la repubblica fosse la forma perfetta dello Stato, ma la giudicava inadatta al popolo italiano, ancora immaturo; accettò perciò lealmente la monarchia sabauda che con il suo esercito di 40000 uomini gli dava la maggior garanzia nella guerra all’Austria. Democratico e rivoluzionario, aderì alla Società Nazionale per convincere tutti gli italiani, di qualsiasi partito, del dovere supremo di unirsi attorno a Vittorio Emanuele II per liberare la patria. Garibaldi fu democratico e monarchico al tempo stesso, ma tiepido verso il Mazzini, del quale non sopportava l’astratto dottrinarismo e l’intransigente dogmatismo, come risulta dal passo di questa lettera scritta ad un amico: “Io conosco le masse italiane meglio del Mazzini perché sono sempre vissuto in mezzo ad esse, Mazzini, invece, conosce solo un’Italia intellettuale”.

10 Cfr. M. D’Azeglio, Proposta di un programma per l’opinione pubblica nazionale, Le Monnier, Firenze, 1947. 11 Cfr. A. Gramsci, Il Risorgimento, in Quaderni dal carcere, vol. III°, Editori Riuniti, Roma, 1975. 12 Cfr. B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari, 1942. 13 Cfr. L. Salvatorelli, Pensiero ed azione del Risorgimento, Torino, 1950. 14 Cfr. F. De Sanctis, Mazzini, Bari, 1928.

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Contrariamente a Mazzini, Garibaldi credeva moltissimo nei poteri dittatoriali e soleva dire spesso che quando la nave corre pericolo di naufragare è dovere sacrosanto del capitano prendere saldamente e coraggiosamente il timone in mano. A lui, più che a Mazzini, lo storico Mach Smith attribuisce il merito di aver tratto il popolo dall’indifferenza politica alla fede nel Risorgimento: “La notorietà di Garibaldi fu un ingrediente essenziale nel guadagnare molta gente comune ad una causa nazionale che sarebbe altrimenti sembrata remota e senza vantaggi […]. Garibaldi fu prezioso per quel suo spensierato prendere la legge in mano senza calcolare il costo e le conseguenze; con la sua fede cieca ed irragionevole e con il coraggio di assurdi convincimenti mostrò che un uomo può smuovere le montagne e spostare una frontiera”15. D’altra parte Garibaldi non ebbe, e non poteva avere, simpatia per Cavour, uomo del “giusto mezzo” politico, freddo e calcolatore, diplomatico consumato e maestro insuperabile dell’empirismo politico, non poteva accettare la sua politica che “eccitava e fermava, voleva e disconosceva la rivoluzione; applaudiva a spedizioni nelle quali non sperava e le soccorreva per congedarle; che rallegravasi d’ogni incendio e si presentava come l’unico getto d’acqua per spegnerlo” 16. Garibaldi, per la sua mentalità di eroe romantico, non poteva entrare nell’ordine di idee del Cavour, non ne poteva comprendere le necessità politiche ed i fatali patteggiamenti diplomatici. Il suo primo contrasto con Cavour risale alla cessione di Nizza alla Francia: il 12 aprile 1860 Garibaldi, dinnanzi alla Camera dei deputati accusò Cavour di averlo reso “straniero in patria”. L’11 settembre 1860 Garibaldi, dittatore di Napoli, chiese a Vittorio Emanuele II il licenziamento di Cavour ed il “nulla osta” per attaccare lo Stato pontificio. Garibaldi sapeva bene che Cavour aveva cercato di impedire e di ostacolare la spedizione al Sud, che lo aveva fatto costantemente sorvegliare dai suoi emissari, che aveva tentato, anche se invano, di togliergli il governo della Sicilia, che si era adoperato per impedirgli lo sbarco in Calabria, che gli voleva togliere la dittatura nel Napoletano, che si opponeva alla sua progettata marcia su Roma e che voleva in qualsiasi modo stroncare il movimento rivoluzionario. Come ci illustra Valsecchi,17 Cavour non poteva opporsi apertamente, né impedire una spedizione che continuava la sua opera di unificazione nazionale, sarebbe stato lo stesso che contraddire se stesso, ferire il sentimento nazionale, affrontare le impopolarità, esporsi ad un’insurrezione dell’opinione pubblica. E così Cavour fu costretto a subire, a chiudere gli occhi, ma con il fermo proposito di impedire che essa deviasse dalla causa nazionale, unitaria, monarchica.Il trionfo di Garibaldi in Sicilia preoccupò moltissimo Cavour perché l’iniziativa garibaldina, che si era svolta al di fuori ed in contrasto con le sue idee, acquistava una propria autonomia che lo portava a pensare potesse vedere ora la possibilità di contrapporre la propria bandiera a quella monarchica e moderata, che fino ad allora aveva occupato tutto lo scacchiere della politica. Il contrasto tra Garibaldi e Cavour era quello tra monarchia e rivoluzione, tra l’Italia ideale e quella reale: vinse il Cavour, cioè la realtà. Garibaldi aveva chiesto ingenuamente al re di sostituire una politica di compromessi e di ambiguità con la rivoluzione popolare, ma Vittorio Emanuele II, scegliendo Cavour, diede all’Italia un’impronta liberale e moderata. Con Garibaldi fu sconfitto il risorgimento come rivoluzione democratica e sociale. Cavour era riuscito a convincere la monarchia sabauda dei rischi del programma garibaldino, e trasse dalla sua parte non soltanto il re, ma anche il parlamento e Napoleone III. Lo statista piemontese, minacciando lo spauracchio dell’avanzata rivoluzionaria, spaventò l’imperatore francese e, presentando come sicuro ed imminente l’intervento della Francia sul suolo italiano, minacciò Garibaldi. In tal modo neutralizzò entrambi, assumendo il ruolo di “tertius gaudens”. Poté impossessarsi di gran parte dello Stato pontificio battendo Garibaldi nel suo stesso programma, sottrasse a lui il meridione mettendolo sotto il controllo delle truppe piemontesi, smorzò il pericolo rivoluzionario guadagnandosi la stima ed il consenso delle Corti europee. Fu questo, secondo lo storico Trevelyan, “il coronamento del suo genio politico”.18 L’ultimo grande contrasto tra Cavour, Mazzini e Garibaldi nacque dal problema dell’assetto istituzionale che il nuovo Stato avrebbe dovuto avere: Mazzini, “apostolo” intransigente della democrazia, esigeva che il problema fosse risolto da una “Costituente Nazionale”, eletta liberamente dal popolo; Garibaldi voleva consegnare al re le sue conquiste soltanto dopo aver preso Roma ed appoggiava le richieste del Sud sulla necessità di un’amministrazione decentrata; Cavour insisteva per un forte potere centrale, espresso dall’autorità della monarchia sabauda nell’unità del Parlamento nazionale. Nella costituente nazionale auspicata da Mazzini vide un grave pericolo per la monarchia e per lo Stato moderato, e a riguardo della richiesta di Garibaldi e del Mezzogiorno circa un’amministrazione decentrata vide il pericolo della

15 Cfr. D. Mach Smith, Garibaldi, Milano, 1959. 16 Cfr. G. Ferrari, Garibaldi, Milano, 1959. 17 Cfr. F. Valsecchi, Garibaldi e Cavour, in Nuova Antologia, luglio, 1960. 18 Cfr. G. M. Trevelyan, Garibaldi e i Mille, Bologna, 1910.

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disgregazione del nuovo Stato che avrebbe favorito soltanto la volontà dei capi meridionali di conservare i privilegi e le secolari disuguaglianze. In Italia, prima è nata la nazione, poi lo Stato. Lo storico Delio Cantimori19 ha profondamente studiato questi problemi. Nel paradigma tradizionale, Garibaldi è concepito come l’eroe romantico e guerrigliero, Cavour come il diplomatico freddo e calcolatore, tuttavia si possono ravvisare in entrambi i personaggi elementi che tendono a smentire tale rigida impostazione. Nel ‘garibaldinismo’ confluirono infatti componenti diversissime, gli anticavouriani, i mazziniani, le masse di sottoproletari del Sud. In Garibaldi confluirono quindi variegate ed eterogenee connotazioni: l’eroe nizzardo le unificò tutte nella lotta per la libertà. Garibaldi, come ha scritto lo storico Denis Mach Smith, rimase un “uomo comune” che riuscì a stabilire un contatto immenso con le masse, impresa che non riuscì a Cavour. Lo statista piemontese, per Mach Smith, fu “il Guicciardini dell’Ottocento”20, indifferente alle emozioni, a differenza di Garibaldi, ma attento al ‘particulare’, alla ‘discrezione’, cioè alla capacità di discernere questioni ed alleanze. Anche in Garibaldi è presente un progetto politico, come si nota dalla crisi del 1860, quando l’eroe chiede a Vittorio Emanuele II di assumere pieni poteri e di destituire Cavour, in nome di un ingenuo cesarismo. Garibaldi è ora repubblicano, ammiratore di Mazzini, ora filomonarchico, in nome di un’ingenua fede nel re (“offrì la sua spada a due re”21, a Carlo Alberto nella prima guerra d’indipendenza, ed a Vittorio Emanuele II nella seconda, come afferma il garibaldino Giuseppe Guerzoni, compagno di battaglie di Garibaldi fin dall’avventura dei “Cacciatori delle Alpi”, autore di una biografia sul generale e di altri scritti sull’epopea garibaldina), ora è giacobino e socialista, sensibile alla “questione meridionale”, ordinando la divisione delle terre demaniali tra i contadini del Mezzogiorno, ora è un militare severo, ordinando al generale Nino Bixio la repressione della rivolta di Bronte, che comportò decine di fucilazioni tra i contadini, come illustra con crudo realismo Giovanni Verga nella novella Libertà. Da tale eterogeneo panorama si deduce come la figura di Garibaldi vada letta aldilà delle ideologie politiche: Garibaldi è un eroe che combatte per un ideale, e solo in quest’ottica è possibile rintracciare l’azione unitaria dell’eroe. Cavour è un economista liberista e liberale, formatosi sui libri, nei viaggi in Francia ed in Inghilterra: in questo lo statista dimostra la sua statura di intellettuale “europeo”, anche se ignaro, ad esempio, dei reali problemi della Sardegna e del Sud. Il filosofo Giovanni Gentile, nel primo ‘900, vide in Cavour il più grande politico che l’Italia abbia mai avuto. In sintonia con la tesi di Mach Smith, Gentile sostiene che il pensiero politico cavouriano è liberale, ma la sua azione fu talvolta illiberale, come dimostra la politica del “connubio”, consistente in un’alleanza tra le forze moderate di centro-destra e quelle di centro-sinistra, con l’esclusione dei pericolosi estremismi: questa, per Gentile22 come per Mach Smith, è la violazione della politica liberale, che non è basata sulla costruzione di un grande centro, come invece si era attuato con il connubio, ma sull’alternativa tra due poli, uno di maggioranza ed uno di opposizione. Per lo storico Omodeo23, Cavour fu invece un politico con uno spiccato senso del “reale”, come emerge dal suo carteggio, per il quale vale la pena sacrificare l’ “ideale”, cioè le aspirazioni personali, romantiche, “artistiche”, che pure sono presenti anche nello statista piemontese. 5. Giuseppe Garibaldi: la massoneria e l’associazionismo operaio e democratico in Italia. Fin da giovane Garibaldi è membro della Massoneria; in seguito partecipa con vigore alle varie associazioni operaistiche; tale ‘partecipazione’ sarà esercitata da Garibaldi anche dopo la morte, nel senso che a suo nome saranno intitolati vari movimenti popolari, come le cooperative, le Società di Mutuo Soccorso, che svolgevano una sorta di attività sindacale, la brigata partigiana “Garibaldi” nella Resistenza al nazi-fascismo durante la seconda guerra mondiale. L’Italia appena formata è una monarchia costituzionale; molti Stati europei, come la Francia, conoscono per breve periodo un’esperienza costituzionale, negli anni 1848-1849. Gli Stati risorgimentali hanno un suffragio limitato e non sono Stati democratici; l’Inghilterra vittoriana, con Gladstone, conosce un certo allargamento elettorale; inoltre, nel Risorgimento, tra gli aventi diritto al voto, solo un’esigua minoranza si recava alle urne. Ciò dipendeva essenzialmente da ragioni culturali, dato l’altissimo tasso di analfabetismo, e da motivazioni socio-economiche, particolarmente gravi al Sud, che ovviamente distoglievano l’interesse dei braccianti dalla politica. Ralf Dahrendorf, sociologo della politica, tuttora vivente, ha affermato che un Paese realmente democratico prima di costituirsi come “Stato di diritto”è

19 Cfr. D. Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1957. 20 Cfr. D. Mach Smith, Storia d’Italia 1861-1958, Laterza, Bari, 1959. 21 Cfr. G. Guerzoni, Garibaldi, in Scrittori garibaldini, a cura di G. Trombatore, Einaudi, Torino, 1972. 22 Cfr. G. Gentile, Il liberalismo di Cavour, in Che cosa è il fascismo, Vallecchi, Firenze, 1925. 23 Cfr. A. Omodeo, Difesa del Risorgimento, Einaudi, Torino, 1951.

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innanzitutto una “Civil Society”, cioè una “Società civile organizzata”; è questa, per Dahrendorf24, la base di uno Stato di diritto, che non dev’essere un mero dispensatore di diritti, ma anche di doveri. Garibaldi si recò più volte in Parlamento, anche se era, come lui stesso scrisse nei suoi diari, “lontano dalle cerimonie parlamentari”: per Garibaldi bisogna rendere coscienti i popoli, e questo è possibile solo mediante l’associazionismo. Garibaldi, su queste basi, partecipa al Congresso di Roma del 1872 con due obiettivi: 1) l’unione delle forze democratiche popolari e 2) il suffragio universale. Tra Mazzini e Garibaldi si consumarono molte fratture, Garibaldi non fu solo il “braccio armato” della mente di Mazzini, anche se manca nell’eroe un preciso disegno ideologico: Mazzini era un rivoluzionario decisamente antimonarchico e repubblicano, solido nei suoi principi ideologici. Garibaldi avrebbe invece accettato l’unificazione a qualsiasi costo, sotto una monarchia o sotto una repubblica; è per questo che in Garibaldi è carente un progetto politico definito, perché a lui interessano primariamente la libertà e l’unità della patria. Garibaldi è stato utilizzato dai socialisti per la sua vicinanza all’associazionismo ed alle società di mutuo soccorso, ma è esplicitamente contrario all’abolizione della proprietà privata, che rispetta, anche nel corso della “spedizione dei Mille”, senza compiere mai degli espropri. Per rendere cosciente il popolo è fondamentale educarlo; in questo senso Garibaldi pensa all’istituzione delle “scuole serali” come uno dei primi doveri dei governanti L’istruzione è infatti il punto di partenza per costruire l’ascesa sociale delle masse, e questo è un elemento comune tra Mazzini e Garibaldi (Mazzini aveva addirittura aperto una “scuola popolare” a Londra). Ma tale vicinanza alle masse non si traduce mai, nell’eroe nizzardo, e tanto meno in Mazzini, nell’abbracciare il socialismo: entrambi condannano, ad esempio, gli eccessi socialisti del programma comunardo francese del 1871. La vicinanza di Garibaldi alle masse si concretizza nell’abbracciare, invece, l’associazionismo. Molti sono quindi gli impegni di Garibaldi con l’associazionismo: oltre al già citato Congresso di Roma del 1872, nel 1867 aveva partecipato ad un convegno, a Ginevra, per la pace, e questo dimostra come sia fallace la tesi di un Garibaldi unilateralmente bellicoso. Nel 1881 Garibaldi promuove un congresso per l’allargamento del suffragio: il diritto di voto non dev’essere più concesso in base al censo, ma all’istruzione. E’ la Riforma Depretis del sistema elettorale, anche se non si è ancora giunti al suffragio universale, maschile e femminile (si ricordi, in proposito, che le donne in Italia andranno al voto per la prima volta solo il 2 giugno 1946, in occasione del referendum tra monarchia e repubblica). Garibaldi non farà comunque in tempo a vedere l’applicazione di questa riforma, perché morirà nel 1882. La Massoneria nasce come fenomeno di associazione, di “sociabilità”; nel ‘700 nascono in Francia le logge massoniche ed anche le donne sono già presenti nella Massoneria. Ma la Massoneria è particolarmente diffusa tra gli uomini di mare, anche in Inghilterra, come è fortemente presente tra i generali di Napoleone (17 su 25 sono massoni) e tra i commercianti. La Massoneria è un fenomeno internazionale diffuso in modo capillare, ma non unitariamente: è un fenomeno diversificato. La prima società a cui Garibaldi si iscrive è la Carboneria, e questo capita vicino a Odessa; poco dopo s’iscrive alla “Giovine Italia”, fondata da Mazzini nel 1831 per sopperire alle carenze delle sette risorgimentali, con l’intento, quindi, di un allargamento della base. Nel 1844 Garibaldi va a Rio de Janeiro, poi a Montevideo: s’iscrive alla loggia “L’asilo della virtù”, una loggia irregolare. In seguito, sempre a Montevideo, s’iscrive alla loggia regolare “Gli amici della patria”, alla quale hanno aderito anche molti mazziniani. L’Argentina è in lotta con il Brasile, che opprime la nazionalità argentina del Rio della Plata. Garibaldi partecipa alle lotte argentine, sul mare di Rio della Plata, una grande insenatura con baie e lagune: con una piccola imbarcazione da pesca, chiamata “Mazzini”, armata di pochi cannoni, s’impegna coraggiosamente contro il Brasile. Dopo la spedizione dei Mille, Garibaldi torna a far parte della Massoneria (che era anche fortemente presente in Sicilia grazie agli inglesi ed era penetrata negli alti gradi della marina borbonica): Garibaldi, appena liberata la Sicilia, su consiglio di Cattaneo, si adopera per la costruzione di una linea ferroviaria in Sicilia, ma quando l’eroe arriva a Napoli, Cavour invia nella città partenopea i suoi emissari ed inizia una campagna diffamatoria contro Mazzini e Garibaldi e contro la costruzione di tale linea ferroviaria, possibile solo con la complicità economica della Massoneria, ma in seguito, dopo l’unità d’Italia, “messo da parte” Garibaldi, che si ritira a Caprera, sarà proprio Cavour a volerla realizzare e ad arrogarsi il merito della costruzione. Nel 1862 Garibaldi diventa “Gran Maestro del Gran Governo di Palermo”, un’associazione massonica; nel 1864 viene eletto “Gran Maestro della Massoneria italiana”, ma Garibaldi accetterà tale carica solo a patto di raggiungere l’unità della Massoneria, preludio indispensabile all’unità dei ceti popolari. Proprio grazie a Garibaldi la Massoneria diventerà la più grande “società segreta” italiana, attiva ancora oggi, e questo

24 Cfr. R. Dahrendorf, Per un nuovo liberalismo, traduzione di M. Sampaoli, Sagittari Laterza, Roma-Bari 1988.

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dimostra il fondamentale contributo di Garibaldi all’associazionismo. La Massoneria è un’associazione laica, non cattolica, proprio come Garibaldi l’aveva voluta: l’eroe è infatti fortemente anticlericale, perché la Chiesa è nemica del liberalismo, delle libertà, della democrazia, del socialismo, è stata un ostacolo all’unificazione italiana ed a quel progresso sociale e culturale del popolo tanto auspicato da Garibaldi; il “clericalismo” è per Garibaldi sinonimo di “oscurantismo”. Si pensi in proposito ad una figura come Bettino Ricasoli, cattolico, ma anche liberale, e per questo scomunicato dalla Chiesa di Pio IX. Fra’ Pantaleo e don Giovanni Verità furono uomini di Chiesa capaci di conciliare la fede con le aspirazioni liberali. La Chiesa cattolica, con anatemi e predizioni apocalittiche, ha ricercato il consenso tra le masse più povere, e per questo Garibaldi è fortemente anticlericale, anche se è profondamente religioso, convinto che Dio animi persino i cespugli di Caprera; Garibaldi concepisce dunque Dio come animatore della natura e del progresso, mostrandosi, in questo, vicino al pensiero religioso mazziniano. Desidero infine ringraziare i colleghi e gli studenti per avermi seguito. MARCO MARTINI

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