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Lezione 9

Outsourcing

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Introduzione

La crescente integrazione dei mercati mondiali si è accompagnata negli ultimi decenni alla disintegrazione dei processi produttivi: alcune fasi della produzione manifatturiera e alcuni servizi sono delocalizzati all’estero e sono combinati con quelli realizzati internamente.

Questo fenomeno è stato identificato in numerosi modi dagli economisti: Krugman (1996) parla di “slicing the value chain”, Leamer (1996) preferisce il termine “delocalization”, Deardorff (2005) usa il termine “fragmentation”. E ancora numerose altre definizioni sono state utilizzate in letteratura: “production sharing”, “globalized production”, “offshoring”, “outsourcing”, etc.

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Introduzione

Alcuni economisti distinguono le tipologie di delocalizzazione a seconda della proprietà: si parla di “vertical FDI” o “intra-firm trade” o, talvolta, di “offshoring” quando la proprietà è della multinazionale che delocalizza; si parla di “international outsourcing” o “arm’s length trade” quando la proprietà e dell’impresa estera.

Già a partire dalla metà degli anni ’60 erano stati istituiti programmi di delocalizzazione produttiva dagli USA in Messico (Maquilladora) sotto un regime tariffario favorevole. E già negli anni ’70 le imprese tedesche effettuavano delocalizzazioni produttive nell’ Asia orientale nel settore tessile.

Tuttavia, è negli anni ’80 che il fenomeno diventa consistente soprattutto per USA e Giappone.

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Introduzione

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Introduzione

Mentre negli anni ’80-’90 con il termine “outsourcing” si faceva riferimento soprattutto alla delocalizzazione di fasi produttive relative a beni fisici, negli anni recenti il termine si riferisce soprattutto al commercio internazionale di servizi: per esempio, call center delocalizzati a Bangalore per servire utenti di New York, radiografie trasmesse digitalmente da Boston per essere lette a Bombay, etc.

Le nuove tecnologie informatiche e della comunicazione permetto di rendere tradable servizi che non lo erano in precedenza.

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Introduzione

Nella presente lezione, dopo un chiarimento sulla definizione di “outsourcing” secondo il WTO, passeremo a considerare alcuni schemi analitici che descrivono i possibli effetti dell’outsourcing sul reddito nazionale, sui salari e sulla distribuzione del reddito.

Inizialmente analizzeremo modelli come quello di Bhagwati et al. (2004) in cui l’outsourcing (inteso come “offshore trade in arm’s length service”) può essere studiato come un semplice fenomeno di commercio internazionale e, pertanto, illustrato secondo gli schemi standard della teoria del commercio internazionale.

Successivamente passeremo a considerare lo schema analitico di Baldwin che, basandosi su Blinder (2006) e Grossman, Rossi-Hansberg (2006), parla di un nuovo paradigma interpretativo associato all’outsourcing che va al di là degli schemi standard della teoria del commercio internazionale

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Piano della lezione

La definizione di outsourcing secondo il WTO

Outsourcing e teoria standard del commercio internazionale nello schema di Bhagwati et al. (2004)

Outsourcing: un nuovo paradigma interpretativo? L’analisi di Baldwin (2006)

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La definizione di outsourcing secondo il WTO

Il WTO distingue 4 modalità in cui i servizi possono essere commerciati internazionalmente.

Modalità 1. Il commercio in servizi consiste in uno scambio a distanza in cui il fornitore e l’acquirente restano nelle proprie sedi (arm’s length trade). Le ICT hanno contribuito molto a questo tipo di scambio. Lo scambio può avvenire tra imprese (call center, back office, programmazione di software, contabilità, etc.) oppure tra fornitori individuali (architetti, designer, consulenti, etc) e consumatori (o imprese)

Modalità 2. Il commercio in servizi consiste in uno scambio in cui l’acquirente raggiunge la sede del fornitore. Esempi: il turismo, le cure mediche fornite a pazienti stranieri, l‘istruzione fornita a studenti stranieri.

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La definizione di outsourcing secondo il WTO

Modalità 3. Il fornitore stabilisce una presenza commerciale nel paese straniero sede dell’acquirente. Questa offerta di servizi implica un elemento di IDE, sia pur in forma limitata. Esempi: banche e assicurazioni.

Modalità 4. Il commercio in servizi consiste in uno scambio in cui il fornitore raggiunge la sede dell’acquirente. Esempi: costruzioni, attività di consulenza, cure mediche portate nel paese straniero, istruzione portata nel paese straniero. Questo tipo di scambio comporta un’emigrazione temporanea.

Paradossalmente, nelle trattative in sede GATT (WTO dopo) la modalità 1 risultò essere la meno controversa al contrario della 3 e 4. I paesi avanzati spingevano per favorire la presenza commerciale all’estero (modalità 3), mentre si opponevano alla presenza straniera attraverso la modalità 4. L’attitudine dei paesi meno avanzati era opposta.

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La definizione di outsourcing secondo il WTO

Attualmente, la maggior parte degli economisti si riferisce alla modalità 1 quando parla di “outsourcing”. Tuttavia, nel dibattito pubblico (non solo accademico) sugli effetti dell’outsourcing su salari e occupazione spesso si includono indiscriminatamente nella modalità 1 le importazioni di componenti da parte delle imprese manifatturiere o gli IDE. Ma questo è scorretto e crea confusione nella comprensione del fenomeno.

Nel modello di Bhagwati et al. che ci apprestiamo a considerare l’outsourcing consiste strettamente nella modalità 1 secondo la definizione WTO che abbiamo riportato.

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Il modello di Bhagwati, Panagariya e Srinivasan (2004)

Come si è detto, nel modello di BPS gli effetti dell’outsourcing sono analizzati secondo l’approccio della teoria standard del commercio internazionale. Secondo quest’ultima (per esempio il modello HOS), l’analisi procede guardando agli effetti del passaggio dall’autarchia al free trade in termini di:

1) incremento del reddito nazionale di ciascuna nazione;

2) cambiamento nella distribuzione del reddito (dato che l’analisi è di lungo periodo e presuppone il pieno impiego, l’aggiustamento dei prezzi dei fattori necessario a garantire la piena occupazione ha effetti sulla distribuzione).

Lo stesso approccio è seguito nel modello che segue.

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Il modello di Bhagwati, Panagariya e Srinivasan (2004)

Tre versioni del modello sono presentate.

Nella prima, si considera un unico bene e due fattori di produzione (K e L). E’ chiaro che inizialmente, con un unico bene, non c’è scopo per il commercio internazionale. Ma l’opportunità dell’outsourcing apre la possibilità di commerciale i servizi del lavoro per la produzione del bene finale. In questo caso, il modello conduce in modo non ambiguo ad un incremento di welfare con i consueti effetti redistributivi tra i fattori.

Nella seconda, si considerano due beni e tre fattori (due specifici rispettivamente alla produzione di ciascun bene, K e Lun, e il terzo usato in entrambe le produzioni, Lsk ). Inizialmente, il modello prevede lo scambio internazionale convenzionale di beni a prezzi mondiali fissi. Successivamente, subentra l’outsourcing e anche in questo caso il welfare aggregato aumenta ma con effetti redistributivi tra i fattori.

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Il modello di Bhagwati, Panagariya e Srinivasan (2004)

Nella terza versione del modello, si considerano tre beni e due fattori. Inizialmente, due beni sono tradable e il terzo è non tradable. Successivamente il bene non tradable diventa tradable on line ed è importato ad un prezzo più basso. In questo caso, l’outsourcing conduce ad un incremento di welfare per entrambi i fattori.

Il messaggio generale del modello di BPS è che l’offshoring ha effetti generalmente positivi per l’economia.

La versione 1 del modello è riportata nel grafico che segue. La curva MPL rappresenta la produttività marginale del lavoro (si assumono rendimenti decrescenti). La dotazione di lavoro è L0 e W0 rappresenta il salario reale iniziale. In questo caso, il monte salari è dato dall’area del rettangolo 0W0E0L0. Il rendimento del capitale è dato dall’area al di sotto della curva MPL e al di sopra della linea W0E0

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Vantaggi dell’outsoucing nel modello a un bene

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Vantaggi dell’outsoucing nel modello a un bene (1)

Supponiamo che un’innovazione tecnologica permetta all’economia di acquistare elettronicamente all’estero i servizi del lavoro al salario W’. L’economia continua ad impiegare la stessa dotazione di lavoro domestico L0 ma ad un salario più basso, W’. Inoltre, l’economia acquisterà lavoro estero nella misura di L0L’ pagando il rettangolo L0L’E’R. Il lavoro domestico riceve in aggregato 0L0RW’ e il capitale l’area al di sotto della curva MPL e al disopra della linea orizzontale W’E’.

Pertanto, Il reddito complessivo del paese crescerà di un ammontare pari all’area E0RE’: questo è l’incremento totale di welfare dovuto all’outsourcing.

Ovviamente vi saranno effetti redistributivi con i lavoratori penalizzati in termini del rettangolo W0E0RW’, e i capitalisti avvantaggiati in termini dell’area W0E0E’W’.

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Vantaggi dell’outsoucing in presenza di commercio (2)

Come si è detto in precedenza, il secondo modello è a fattori specifici: il settore che produce il bene import-competing utilizza lavoro unskilled come fattore specifico, mentre il settore esportatore utilizza il capitale come fattore specifico. Il lavoro skilled è il fattore comune utilizzato in entrambe le produzioni.

Nella figura che segue, vediamo che in corrispondenza dell’equilibrio iniziale di free trade (senza outsourcing) l’asse 0102 rappresenta la dotazione domestica di lavoro skilled. Le curve VMPL1 e VMPL2 rappresentano il valore del prodotto marginale del lavoro skilled nelle due produzioni. L’allocazione di equilibrio del lavoro skilled si ha in corrispondenza di S0 dove il salario è lo stesso nelle due produzioni ed è pari a R0. Il PIL è misurato dalla somma delle aree al di sotto delle due curve VMPL fino al punto S0.

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Vantaggi dell’outsoucing in presenza di commercio (2)

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Vantaggi dell’outsoucing in presenza di commercio (2)

Supponiamo ora che un’innovazione tecnologica permetta di fare outsourcing in termini di lavoro skilled. I servizi di quest’ultimo verranno importati al salario R’. In corrispondenza di questo nuovo salario, vi sarà un eccesso di domanda di lavoro skilled pari a GE’. Questa domanda verrà soddisfatta con l’outsourcing che espande l’offerta di lavoro skilled di 020’2 in modo che 020’2 = GE’. Nel nuovo equilibrio il settore 1 impiegherà S0S’ di lavoro importato e il settore 2 la quantità S’S’’.

L’outsourcing genera un aumento del reddito nazionale. Quest’ultimo è misurato in termini di area al di sotto delle curve VMPL. Confrontando le aree prima e dopo l’outsourcing, è facile verificare che l’incremento di reddito è dato dalla somma delle due aree E0FE’ (settore 1) e ABE’ (settore 2).

Per quanto riguarda gli effetti redistributivi, sotto l’ipotesi di rendimenti decrescenti, l’incremento nell’uso del lavoro skilled genererà un incremento del salario degli unskilled e un aumento del rendimento del capitale.

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Vantaggi dell’outsoucing in presenza di commercio (2)

L’outsourcing è dunque benefico in termini aggregati se si fa l’ipotesi del paese piccolo. Se però si assume che il paese è abbastanza grande da influenzare i prezzi internazionali, l’effetto aggiuntivo sulle ragioni di scambio potrebbe contrastare o esaltare l’incremento di welfare generato dall’outsourcing.

Se per esempio l’outsourcing permette di aumentare l’offerta del bene esportato al di sopra della domanda mondiale, si determinerà un deterioramento delle ragioni di scambio che eroderà i vantaggi dell’outsourcing. Se invece l’outsourcing permette di espandere l’output del bene import-competing, si ridurrà la domanda di importazioni determinando un miglioramento delle ragioni di scambio che si andrà ad aggiungere ai vantaggi dell’outsourcing

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Modello 3: entrambi i fattori guadagnano dall’outsourcing

La versione 3 del modello di BPS, come si è detto, è a tre beni e due fattori: i beni 1 e 2 sono tradable, il bene 3 è un servizio non tradable. Il paese è piccolo e produce entrambi i due beni tradable ai prezzi internazionali. La concorrenza perfetta assicura che il costo unitario (che è funzione dei prezzi dei due fattori) sia uguale al prezzo internazionale per ciascuno dei due beni. Finchè i prezzi dei beni sono fissi (esogenamente determinati), anche i prezzi dei fattori saranno fissi. Questo implica che anche il costo unitario del bene 3 è ugualmente fissato, implicando una curva di offerta orizzontale.

Supponiamo che il bene 3 diventi tradable ed è acquistabile all’estero ad un prezzo più basso di quello praticato all’interno. L’offerta domestica del bene 3 scomparirà del tutto e i fattori produttivi saranno assorbiti nei settori 1 e 2. Le remunerazioni dei fattori in termini dei prezzi dei beni 1 e 2 rimarranno immutate, ma aumenteranno in termini del bene 3, dato che il prezzo di questo bene è diminuito. In questo modello, dunque, entrambi i fattori traggono vantaggio dall’outsourcing.

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Outsourcing: un nuovo paradigma interpretativo?

Recentemente alcuni eminenti economisti dell’Università di Princenton, (Grossman, Blinder) hanno fatto notare che la globalizzazione è entrata in una fase nuova e del tutto differente da quella precedente, tanto da richiedere “un nuovo paradigma” per essere interpretata. I titoli degli articoli di questi due autori sull’argomento sono emblematici: Grossman et al. (2006) “The rise of Offshoring: it’s Not Wine for Cloth Anymore”, Blinder (2006), “Offshoring: the Next Industrial Revolution?”

Baldwin (2006), passando in rassegna i nuovi contributi che cercano di offrire una nuova chiave interpretativa delle tendenze recenti dei processi di internazionalizzazione, pone a confronto vecchio e nuovo paradigma della globalizzazione contribuendo a chiarirne le differenze.

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Outsourcing: un nuovo paradigma interpretativo?

Nella prima fase della globalizzazione (che include le due ondate che conosciamo), la riduzione dei costi di trasporto ha posto fine alla necessità di produrre i beni vicino ai luoghi di consumo.

Nella seconda fase, la rapida caduta dei costi di comunicazione e di coordinamento ha permesso di porre fine alla necessità di concentrare spazialmente tutte le fasi di produzione di un bene. Più recentemente, la separazione spaziale ha riguardato i servizi. Quindi non solo la frammentazione delle fabbriche ma anche degli uffici.

Mentre la teoria standard del commercio internazionale è il vecchio paradigma che serve a spiegare la prima fase della globalizzazione, un nuovo paradigma è necessario per comprendere la seconda fase

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Outsourcing: un nuovo paradigma interpretativo?

Nel primo paradigma interpretativo, l’unità di analisi era il settore e le imprese all’interno di esso. Il commercio internazionale favoriva alcune imprese e danneggiava altre. Poiché la maggior parte delle imprese appartenenti ad un settore erano accomunate dalla stessa sorte, anche il tipo di lavoro utilizzato più intensivamente nel settore seguiva la stessa sorte delle imprese e del settore e quindi l’accorpamento di questo tipo di lavoro (per esempio, skilled vs unskilled) in un unico aggregato era utile dal punto di vista analitico per valutare gli effetti redistributivi del commercio internazionale.

Nella seconda fase della globalizzazione, la competizione non è tanto tra imprese o settori ma è tra “task” (mansioni, compiti) all’interno dell’impresa. Questa circostanza altera sostanzialmente l’approccio analitico precedente

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Il vecchio paradigma

Il vecchio paradigma si concentra, dunque, sui settori (non sui task) e sul costo declinante dei beni commerciabili (non delle idee).

Il grafico che segue mostra la logica del vecchio paradigma. L’asse delle ordinate mostra i settori dell’UE ordinati secondo il vantaggio comparato in ordine decrescente: i settori di vantaggio comparato sono più a sinistra, quelli meno competitivi sono a destra. La curva A mostra la produttività delle imprese UE. Il settore borderline is z’: in questo settore, il differenziale di produttività dell’UE nei confronti del Sud compensa esattamente il differenziale salariale (la curva A incrocia la retta del differenziale salariale). Pertanto, i settori a sinistra di z’ sono settori forti dell’UE (in termini di prezzo, qualità, etc.) perché il differenziale di produttività più che compensa il differenziale salariale; i settori a destra sono quelli più deboli per il motivo opposto.

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Il vecchio paradigma

Se consideriamo i costi di trasporto, il costo dei prodotti UE sui mercati del Sud è maggiore; questa circostanza fa spostare a sinistra la curva A (che diventa Aτ): adesso in corrispondenza di z’ il Sud è più competitivo perché il differenziale di produttività UE non riesce a compensare il differenziale salariale. Allora il settore borderline con costi di trasporto per l’UE diventa zx. I costo di trasporto hanno lo stesso effetto sulla competitivita del Sud sui mercati UE: in questo caso, la A slitta verso destra e diventa A/τ e il settore borderline con costi di trasporto per il Sud diventa zm. E’ evidente che i settori compresi tra zx e zm non saranno commerciati perché in questi settori l’UE sul suo mercato interno è più competitiva del Sud ma è meno competitiva sui mercati del Sud.

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Il vecchio paradigma

Con la caduta dei costi di trasporto, il settore borderline dell’UE slitta a destra e così aumenteranno le esportazioni nei settori da zx a z’. Il settore borderline del Sud slitterà a sinistra e quindi le produzioni UE in questi settori prima non tradable saranno rimpiazzate dalle importazioni dal Sud (il Sud esporterà nei settori da zm a z’).

In conclusione, se la competizione internazionale avviene tra settori e se i costi di trasporto subiscono un calo generalizzato comune a tutti i settori, i settori vincenti saranno quelli che erano comunque di vantaggio comparato fin dall’inizio e i lavoratori vincenti saranno quelli che lavorano più intensivamente nei settori vincenti. L’opposto accade per i settori declinanti e per i lavoratori di questi settori . E’ la storia raccontata dalla teoria standard del commercio internazionale (HOS).

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Il vecchio paradigma

Le implicazioni di policy associate al vecchio paradigma nel caso dell’UE sono chiare: se la liberalizzazione commerciale avvantaggia i settori di vantaggio comparato (nel caso UE, quelli più skill intensive) allora le misure di politica economica devono puntare ad un upgrading nel livello di istruzione della forza lavoro (Società dell’informazione).

La tabella che segue mostra che ad ogni livello di skill, nel caso della Germania Ovest, i task routinari seguono un trend decrescente. I sostenitori del vecchio paradigma interpreterebbero allora questa evidenza empirica come un inequivocabile upgrading nel livello di skill della forza lavoro e come un suggerimento a implementare politiche che accrescano il livello di skill della forza lavoro in futuro. Quando dal vecchio paradigma si passa al nuovo paradigma queste certezze in termini di policy sono meno chiare.

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Vecchio e nuovo paradigma

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Il nuovo paradigma

Il diagramma che segue è molto simile a quello precedente, solo che adesso la competizione in Europa avviene tra task e non tra settori. Sull’asse delle ascisse sono riportati i task ordinati in ordine decrescente secondo il vantaggio comparato (i task più competitivi sono a sinistra). E’ chiaro che il diagramma riporta una situazione diversa da quella precedente in quanto l’elevata specializzazione in un task non coincide con il vantaggio comparato di un settore (in quanto lo stesso task può essere impiegato in settori disparati).

Rispetto al diagramma precedente, vi è un’altra differenza sostanziale: gli avanzamenti nelle ICT riducono i costi di trasferimento di alcuni task ma non di altri (la riduzione dei costi non è generalizzata come nel caso precedente)

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Il nuovo paradigma

Nella figura, questa non generalizzazione del calo dei costi di trasferimento dei task è rappresentata da una retta A che non trasla in modo regolare: alcuni task (come il punto 1) iniziano ad essere esportati mentre altri iniziano ad essere importati (punto 2). Alcuni task dell’UE hanno un grosso calo nei costi di trasferimento ma non un forte incremento di produttività: il Sud, nonostante il forte calo nei costi di trasferimento, mantiene un vantaggio nel task 3 prima e dopo la riduzione dei costi. Nella figura, il cambiamento nel costo di trasferimento dei task sembra arbitrario e questo è intenzionale.