Giuseppe Celi 2005 Capitolo 6 Elementi costitutivi del modello a prezzi flessibili.

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Giuseppe Celi 2005

Capitolo 6

Elementi costitutivi del modello a prezzi flessibili

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Il piano della lezione

Il lato dell’offerta: produzione potenziale, flessibilità dei salari ed equilibrio nel mercato del lavoro

Il lato della domanda: le componenti della spesa interna e le loro determinanti

Il commercio internazionale

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Ipotesi ed implicazioni del modello

L’analisi riguarda il sistema economico in condizioni di prezzi flessibili e piena occupazione nel breve periodo.

Le ipotesi del modello e le implicazioni che ne derivano sono quelle definite classiche:

piena flessibilità di prezzi e salari

mercato del lavoro sempre in equilibrio

produzione effettiva sempre uguale a quellla potenziale

eventuali shock da domanda cambiano la composizione del Pil ma non il suo livello

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Differenze tra analisi classica ed analisi keynesiana

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Produzione potenziale, salari reali ed equilibrio del mercato del lavoro

Nel modello macroeconomico a prezzi flessibili i due ingredienti fondamentali per spiegare come si determina la produzione potenziale e il livello dei salari reali sono:

la funzione di produzione

Il meccanismo di market clearing che opera nel mercato del lavoro

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La funzione di produzione

Nella forma Cobb-Douglas della funzione di produzione, l’output potenziale Y* è dato dalla dotazione di lavoro L, dallo stock di capitale K dell’economia, dall’efficienza del lavoro E e dal parametro α che indica l’elasticità del prodotto rispetto al capitale e la rapidità con cui operano i rendimenti decrescenti del capitale.

La funzione di produzione assume cioè la forma:

Y* = K(LE)1-

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La funzione di produzione

Se la forza lavoro e l’efficienza del lavoro sono mantenute costanti, il PIL reale aumenta all’aumentare dello stock di capitale. Poiché ogni successivo aumento dello stock di capitale produce un minore aumento del livello di produzione, la funzione di produzione è rappresentata da una curva non rettilinea. Più basso è il livello di , maggiore è la curvatura e maggiore è la rapidità con cui diminuiscono i rendimenti dell’investimento.

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Produzione potenziale, salari reali ed equilibrio del mercato del lavoro

Quando il sistema economico opera in condizioni di pieno impiego, la produzione effettiva è uguale a quella potenziale (ossia vi è il pieno utilizzo della capacità produttiva dell’economia).

Il meccanismo di market clearing che opera nel mercato del lavoro, basato sull’ipotesi classica di flessibilità di prezzi e salari, garantisce l’equilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro e la piena occupazione.

In equilibrio, ogni persona che desideri lavorare al salario corrente (quello di market clearing) può farlo e ogni impresa che intenda assumere lavoratori al salario corrente (quello di market clearing) può farlo.

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La domanda di lavoro

Il primo passo per vedere come si stabilisce l’equilibrio nel mercato del lavoro è determinare la domanda di lavoro. Partiamo dalle seguenti ipotesi di concorrenza perfetta:

nel sistema economico operano K imprese identiche, ognuna proprietaria di 1 unità di capitale;

ciascuna di queste imprese assume L lavoratori a cui paga un

salario W stabilito dal mercato;

ciascuna impresa vende Y unità di prodotto al prezzo P stabilito dal mercato

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La domanda di lavoro

L’obiettivo dell’impresa è quello di massimizzare il suo profitto, ossia la differenza tra i suoi ricavi e i suoi costi (per ipotesi, gli unici costi sono rappresentati dai salari pagati ai lavoratori):

profitto = ricavi – costi = (P Y) – (W L)

Per realizzare questo obiettivo, l’impresa aumenta la produzione assumendo lavoratori fino a quando il ricavo marginale generato dall’ultimo lavoratore assunto eguaglia il suo costo di assunzione rappresentato dal salario:

(P PML) – W = 0

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La domanda di lavoro

Il prodotto marginale del lavoro PML è la differenza tra quanto l’impresa è in grado di produrre con la sua forza lavoro corrente Limpresa e quanto produrrebbe se assumesse 1 lavoratore addizionale

In simboli, se la funzione di produzione dell’impresa rappresentativa è Yimpresa = F(1, Limpresa), il prodotto marginale del lavoro è dato da:

PML = F(1, Limpresa + 1) – F(1, Limpresa)

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La domanda di lavoro

Se la funzione di produzione dell’impresa rappresentativa è espressa nella forma di una Cobb-Douglas Y = 1(LE)1- (con K=1, per ipotesi) , il prodotto marginale del lavoro può essere calcolato derivando la funzione rispetto ad L e ottenendo:

L’impresa assumerà lavoratori fino al punto in cui il valore del prodotto marginale (PxPML) è uguale al salario:

PML =

impresaL

-1E) - (1

P

impresaL

1-E) - (1 = W

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La domanda di lavoro

L’impresa tipica sceglie di assumere il numero di lavoratori che rende il ricavo marginale – il prodotto marginale del lavoro moltiplicato per il prezzo del prodotto P – uguale al salario W. In questo punto, la curva del ricavo e la curva del costo sono parallele e il profitto è massimizzato.

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La domanda di lavoro

Dalla condizione di eguaglianza tra ricavo marginale (PxPML) e costo marginale (W)

possiamo derivare un’espressione per la domanda di lavoro di un’impresa tipica:

Limpresa =

P

impresaL

1-E) - (1 = W

1

1

/

1

PW

E

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La domanda di lavoro

La domanda di lavoro nell’intero sistema economico sarà uguale a K volte la domanda di lavoro dell’impresa tipica:

Ld = K

Come si nota, vi è una relazione inversa tra domanda di lavoro e salario reale.

1

1

/

1

PW

E

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L’equilibrio del mercato del lavoro

L’equilibrio nel mercato del lavoro si realizza quando domanda e offerta di lavoro sono uguali. Abbiamo determinato la domanda di lavoro complessiva del sistema economico. Come si determina l’offerta di lavoro?

L’offerta di lavoro è rappresentata semplicemente da chi desidera lavorare, ossia dalla forza lavoro.

Sotto l’ipotesi di perfetta flessibilità di prezzi e salari, è possibile che ci sia un divario tra domanda di lavoro delle imprese e forza lavoro? La risposta è no. Vediamo perché.

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L’equilibrio del mercato del lavoro

Supponiamo che i lavoratori disposti a lavorare al salario e ai prezzi correnti siano in numero maggiore rispetto alla domanda di lavoro delle imprese. In questa situazione, la concorrenza tra lavoratori provocherà un abbassamento del salario W e quindi, per un dato livello dei prezzi, una riduzione del salario reale W/P inducendo le imprese ad assumere lavoratori.

Se invece la richiesta di lavoratori da parte delle imprese eccede la forza lavoro, la concorrenza tra imprese per accaparrarsi lavoratori provocherà un innalzamento del salario reale W/P e quindi una riduzione della domanda di lavoro.

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L’equilibrio del mercato del lavoro

La flessibilità salariale è alla base del meccanismo di market clearing che porta in equilibrio il mercato del lavoro.

Formalmente, il salario reale di equilibrio può essere derivato dall’eguaglianza tra domanda di lavoro Ld e forza lavoro L :

Risolvendo per W/P, si ha:

L = Ld = K

1

1

/

1

PW

E

L

Y

L

KE

P

W

11 1

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L’equilibrio del mercato del lavoro

Il livello di

equilibrio dell’occupazione è uguale alla forza lavoro. Al livello di equilibrio del salario reale, non vi è eccesso di domanda né eccesso di offerta di lavoro.

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L’equilibrio del mercato del lavoro

Fino a quando la flessibilità salariale consente il meccanismo di market clearing, il sistema economico opererà in condizioni di pieno impiego.

E’ importante notare che la situazione di piena occupazione non necessariamente garantisce un benessere sociale elevato. I redditi reali delle persone non proprietarie dei mezzi di produzione sono i loro salari reali: W/P = (1-α) x (Y/L). Se α è molto elevato, i redditi dei salariati potrebbero essere molto bassi e così pure il benessere sociale.

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Occupazione e produzione

Quando il mercato del lavoro è in equilibrio, l’impresa rappresentativa produce un output pari a:

Yimpresa = 1E 1-(L/K) 1-

(se K è il numero delle imprese esistenti, L/K è la quantità di lavoro impiegata da una singola impresa)

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Occupazione e produzione

Quando i mercati funzionano bene (equilibrio concorrenziale e flessibilità di prezzi e salari), la produzione totale effettiva sarà uguale a quella potenziale del sistema economico:

Y = K Yimpresa= K x 1E 1-(L/K) 1- = KE 1-L1- =

= K(LE) 1- = Y*

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Occupazione e produzione

Quando il sistema economico è in condizioni di piena occupazione, il livello di occupazione è uguale alla forza lavoro e il PIL reale è uguale alla produzione potenziale Y*

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La spesa totale

Come sappiamo, in un’economia aperta, la spesa totale è divisa in quattro componenti: consumi (C) investimenti (I), spesa pubblica (G) ed esportazioni nette (NX)

La somma di queste quattro componenti costituisce il il reddito nazionale che, secondo il principio del flusso circolare, è uguale alla domanda aggregata (E) e al PIL reale (Y) :

C + I + G + NX = E = Y

Ricordiamo quali sono le determinanti di ogni singola componente della spesa totale

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La spesa in consumi

Le famiglie prendono decisioni su consumo e risparmio dopo aver versato una parte del loro reddito alla pubblica amministrazione sotto forma di imposte nette (imposte meno trasferimenti). Assumiamo che le imposte nette siano ottenute moltiplicando l’aliquota media costante t per il reddito nazionale:

T = t Y

Assumere t come costante è una semplificazione del mondo reale perché nella maggior parte dei paesi industrializzati il sistema di imposizione fiscale è progressivo

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La spesa in consumi

Il reddito che resta alle famiglia dopo aver pagato le imposte è il reddito disponibile YD :

YD= Y – T = (1 – t)Y

Al fine di accrescere il loro patrimonio e la spesa nel futuro, le famiglie detengono una parte del loro reddito disponibile sotto forma di risparmio SH . La quota del reddito delle famiglie destinata all’acquisto di beni di consumo sarà, allora, pari a:

C = YD – SH = Y- T – SH

Nei principali paesi avanzati i consumi sono pari ai 2/3 del PIL

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La spesa in consumi

Assumiamo che la spesa in consumi venga suddivisa in una parte che non dipende dal reddito e che denotiamo con C0

(livello di consumi di base) e in una parte che è funzione positiva del reddito disponibile Cy x YD (il parametro Cy è la propensione marginale al consumo). Possiamo allora esprimere la spesa in consumi come una funzione lineare del reddito:

C = C0 + Cy YD = C0 + Cy (1 – t)Y

Questa funzione del consumo è una semplificazione del mondo reale. Le determinanti del consumo non si esauriscono nel solo reddito disponibile.

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Altre determinanti della spesa in consumi

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La funzione del consumo

La funzione del consumo è espressa in forma lineare. Il parametro C0 (intercetta) è il livello del consumo quando il reddito disponibile è zero (può essere interpretato come l’ammontare del patrimonio a cui le famiglie devono rinunciare al fine di restare in vita in assenza di reddito)

La propensione marginale al consumo (PMC), denotata dal parametro Cy (inclinazione) , indica di quanto variano i consumi se il reddito disponibile varia di 1 euro.

Cy > 0: se il reddito aumenta, le famiglie accrescono il consumo; Cy < 1: quando il reddito aumenta, le famiglie aumentano anche il risparmio

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La funzione del consumo

Il valore della PMC dipenderà anche dalle aspettative delle famiglie circa le variazioni del loro reddito. Se la variazione del reddito è percepita come permanente, allora è tanto più probabile che la PMC sia relativamente elevata. Se invece la variazione del reddito è percepita come transitoria , è probabile che la PMC assuma un valore più contenuto.

Sulla base delle ipotesi semplificatrici adottate, i due parametri C0 e Cy sono allora sufficienti per calcolare il livello della spesa totale in beni di consumo C in corrispondenza di ogni possibile livello del reddito disponibile YD

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La funzione del consumo

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La spesa in investimenti

La spesa in investimenti è la componente più variabile e volatile del PIL

Per dare un’idea dell’ordine di grandezza, nel caso degli USA essa ammonta attualmente a circa il 17% del PIL

Le cause delle fluttuazione della spesa in beni di investimento sono principalmente due: il tasso di interesse e gli animal spirits degli imprenditori

Tasso di interesse. Più alto (basso) è il tasso di interesse reale, più bassa (alta) è la spesa in investimenti perché diventa più costoso (meno costoso) per le imprese intraprendere progetti di investimento

Animal spirits. Più alta (bassa) è la fiducia degli imprenditori, più elevata (bassa) sarà la spesa in investimenti

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Ancora su investimenti e tasso di interesse

Le imprese investono quando il rendimento dell’investimento, ossia il flusso dei profitti futuri attualizzati, è maggiore del costo dell’investimento stesso. Quanto maggiore è il tasso di interesse, e quindi il costo dell’investimento, tanto minore sarà il numero di progetti di investimento potenzialmente redditizi. Al livello aggregato, vi è quindi una relazione inversa tra tasso di interesse e spesa in investimenti.

Ma qual è il tasso di interesse rilevante? E’ il tasso di interesse reale rischioso a lungo termine.

A lungo termine, perché i progetti di investimento influenzano costi e profitti dell’impresa in un lungo arco di tempo

Reale, ossia corretto per l’inflazione, perché l’investimento intrapreso dall’impresa è rappresentato da un’attività materiale e non da un titolo finanziario

Rischioso, perché i progetti di investimento sono “rischiosi” in quanto sono basati su aspettative che riguardano il futuro

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La funzione di investimento

Assumiamo che anche la funzione di investimento sia espressa in forma lineare:

I = I0 – Ir r

dove I0 sono gli investimenti di base (intercetta) e Ir r è la parte degli investimenti che dipendono inversamente dal tasso di interesse reale r (Ir è la sensibilità degli investimenti ad tasso di interesse, ossia la pendenza della funzione di investimento)

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La funzione di investimento

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Altre determinanti degli investimenti

Come nel caso della funzione del consumo, anche nel caso della funzione degli investimenti abbiamo adottato una grande semplificazione della realtà.Nel mondo reale le decisioni di investimento dipendono non solo dal tasso di interesse reale ma anche dalle risorse finanziarie delle imprese e dai profitti totali. Inoltre, alcune componenti degli investimenti (costruzioni) sono molto sensibili alle variazioni di r , altre invece sono poco sensibili (investimenti in scorte delle piccole imprese)

Il livello di spesa in investimenti può anche essere espressa come funzione del livello del mercato azionario in quanto gli stessi fattori che determinano il valore del mercato azionario determinano anche il livello della spesa in investimenti. Infatti, quando r è basso, gli investitori preferiscono le azioni alle obbligazioni e questo fa salire il mercato azionario al pari degli investimenti delle imprese. Analogamente, se gli utili futuri attesi sono elevati, il valore del mercato azionario salirà e così pure gli investimenti delle imprese

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Acquisti pubblici

Gli acquisti pubblici di beni e servizi nelle principali economie industrializzate costituiscono circa il 25% del PIL, includendo gli acquisti delle pubbliche amministrazioni locali, statali e federali

La spesa pubblica è maggiore degli acquisti pubblici in quanto include i trasferimenti che, nella contabilità nazionale, vengono considerati come imposte negative

Nel nostro modello, gli acquisti pubblici sono indicati dalla variabile G che è assunta come esogenamente determinata. Al pari della contabilità nazionale, assumiamo i trasferimenti come imposte negative (come si è visto, abbiamo definito le imposte come imposte nette).

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Acquisti pubblici, trasferimenti e imposte

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Commercio internazionale

L’ultima componente del PIL da considerare sono le esportazioni nette (NX), ossia la differenza tra esportazioni lorde (GX) e importazioni (IM)

Sommando le esportazioni nette NX a C+I+G, teniamo conto delle produzioni nazionali vendute agli stranieri e che non compaiono in C+I+G ; inoltre, correggiamo la spesa dei residenti per escludere i beni di produzione estera che non attivano il PIL nazionale

La funzione di comportamento delle esportazioni nette è ovviamente il risultato combinato delle due funzioni di comportamento riferite rispettivamente alle esportazioni lorde e alle importazioni

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Esportazioni lorde

Il volume delle esportazioni lorde (GX) di un paese dipende positivamente da due variabili: il reddito estero (Yf) e il tasso di cambio reale (ε):

GX = (Xf Yf) + (X ) dove:

Xf è la sensibilità delle esportazioni nazionali al reddito estero;

X è la sensibilità delle esportazioni nazionali al tasso di cambio reale;

(Nota bene il tipo di notazione utilizzata per i parametri: la lettera

maiuscola indica la variabile che figura al primo membro della

equazione di comportamento, mentre il pedice fa riferimento alla

particolare variabile esplicativa contenuta nel secondo membro)

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Importazioni

La domanda di importazioni (IM) dipende positivamente dal PIL reale interno (Y). Dipende (negativamente) anche dal tasso di cambio reale, nel senso che un deprezzamento (apprezzamento), rendendo le merci straniere più (meno) costose, provoca una riduzione (aumento) dei beni importati.

Tuttavia, per semplicità, nel nostro modello assumiamo che le importazioni IM siano espresse come una quota costante del Pil reale Y:

IM = IMy x Y

(dove IMy è la propensione marginale ad importare; 0< IMy <1)

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Esportazioni nette

Definiamo le esportazioni nette (NX) come la differenza tra le esportazioni lorde (GX) e le importazioni (IM):

NX = GX – IM = (Xf Yf) + (X ) – (IMy Y)

Quindi le esportazioni nette NX dipendono positivamente dal reddito estero Yf e dal tasso di cambio reale , e negativamente dal reddito interno Y

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Esportazioni nette e curva J

Come nel caso delle altre determinanti della domanda aggregata, anche nel caso delle esportazioni nette abbiamo semplificato notevolmente la funzione di comportamento. Le NX dipendono anche da altri fattori (pensiamo, per esempio, al ruolo della politica commerciale).

Inoltre, l’impatto del tasso di cambio reale sulle esportazioni nette opera con una serie di ritardi: una variazione di nell’anno corrente avrà uno scarso effetto sulle NX nell’anno in corso; gli effetti saranno visibili solo dopo qualche anno. Anzi, nell’anno corrente, un eventuale deprezzamento del cambio reale può determinare un peggioramento del valore delle esportazioni nette, anziché un miglioramento. La ragione di questo risultato è che nel breve periodo il deprezzamento provoca un immediato aumento dei prezzi dei beni importati senza una sostanziale variazione dei volumi dei beni importati ed esportati. Questo effetto perverso delle variazioni del tasso di cambio sulle esportazioni nette può essere rappresentato con una curva a forma di J: al momento del deprezzamento le NX peggiorano repentinamente per poi migliorare progressivamente con il passare del tempo

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Esportazioni nette e curva J

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Il tasso di cambio

Abbiamo visto come il tasso di cambio sia un’importante variabile esplicativa delle esportazioni nette. Chiediamoci ora che cosa determina il tasso di cambio.

Coloro che operano sul mercato dei cambi scambiano titoli denominati in differenti valute per trarne un profitto. Due sono i moventi alla base dell’attività degli operatori: avidità e paura

Avidità. Se, per esempio, vengono osservati interessi più elevati su titoli statunitensi piuttosto che su quelli europei, un operatore potrà ottenere un profitto vendendo titoli europei (“in posizione corta”) ed acquistando titoli statunitensi (“in posizione lunga”). Quanto maggiore sarà il differenziale tra tasso di interesse statunitense e tasso di interesse europeo, tanto maggiore sarà il guadagno dell’operatore.

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Il tasso di cambio

Paura. Sempre con riferimento all’esempio precedente, l’attività dell’operatore sarà condizionata anche dalla paura di un deprezzamento del dollaro, evento che potrebbe cancellare i profitti derivanti dal differenziale di interesse perché la variazione del cambio comporterebbe una perdita in conto capitale. Un deprezzamento del dollaro sarà tanto più probabile quanto più il tasso di cambio corrente è apprezzato (più basso) rispetto al suo valore medio o di lungo periodo

Equilibrio. L’equilibrio sul mercato dei cambi si determina quando avidità e paura si compensano: quanto maggiore è il fattore avidità derivante da un elevato differenziale dei tassi di interesse tanto maggiore dovrà essere la paura di un deprezzamento e quindi tanto più basso dovrà essere il valore corrente del tasso di cambio (cambio apprezzato rispetto al valore medio)

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Il tasso di cambio

Le relazioni precedenti permettono di determinare il tasso di camb io reale corrente. L’equazione che segue esprime il tasso di cambio reale corrente in funzione del suo valore medio (di lungo periodo) 0 e del differenziale tra tasso di interesse interno r e tasso di interesse estero rf :

= 0 - r (r – rf)

(Il parametro r è la sensibilità del tasso di cambio reale corrente al differenziale di interesse)

L’equazione di determinazione del tasso di cambio reale corrente può essere illustrata dal seguente grafico

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rusa>reur

rusa= reur

ε0

rusa<reur

Paura di deprezzamento del $

Paura di apprezzamento del $

ε

Il tasso di cambio

ε

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Tasso di cambio ed esportazioni nette

Se prendiamo l’equazione delle esportazioni nette

NX = GX – IM = (Xf Yf) + (X ) – (IMy Y)

possiamo sostituire in essa l‘espressione per derivata dall‘equazione di determinazione del tasso di cambio reale corrente vista in precedenza, ottenendo:

NX = (Xf Yf) +(X 0) – (X r r)+(X r rf) – (IMy Y)

Questa equazione segnala come il tasso di interesse interno ed quello estero influenzino le esportazioni nette in via diretta, senza passare per il tasso di cambio