giurisprudenza lavoro

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INDICE SOMMARIO PARTE PRIMA Ricordo di Giorgio Ghezzi, di LUIGI MONTUSCHI ................. 3 DOTTRINA PIETRO ICHINO, La stabilità del lavoro e il valore dell’uguaglianza ....... 7 Job security and the value of equality GIORGIO BRUNELLO,ADRIANA TOPO, Il nuovo apprendistato professionaliz- zante: dalla formazione apparente alla formazione effettiva? ....... 33 From cosmetic to real training? The new Italian apprenticeship sys- tem FAUSTO CAPELLI, Gli “accordi quadro” comunitari come strumenti per risolvere i conflitti nazionali in materia di lavoro ................... 59 The EU “frameworks agreements” as a means of solving national labour disputes MARIELLA MAGNANI, La disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali alla prova dei fatti ............................... 69 The discipline of the strike in the public services sector: the test of facts ENRICO GRAGNOLI, L’attività sindacale e la derogabilità assistita ........ 83 Trade Union activity and “derogabilità assistita” GUIDO BONI, Contratto di lavoro intermittente e subordinazione ......... 113 Job on call and contract of employment GIUSEPPE PERA, Noterelle ............................... 145 PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA SABRINA BELLUMAT, Responsabilità dell’imprenditore e concorso di colpa del lavoratore in materia di danno da infortunio ................ 103 SABRINA BELLUMAT, Riconoscimento del debito ed effetto interruttivo nella prescrizione dei contributi previdenziali ................... 233 Fascicolo saggio 1_2005 - Copyright Giuffre' Editore SpA

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PARTEPRIMA DOTTRINA S ABRINA B ELLUMAT ,Responsabilitàdell’imprenditoreeconcorsodicolpadel lavoratoreinmateriadidannodainfortunio ................ 103 S ABRINA B ELLUMAT , Riconoscimento del debito ed effetto interruttivo nella prescrizionedeicontributiprevidenziali ................... 233 RicordodiGiorgioGhezzi,diL UIGI M ONTUSCHI ................. 3 Indicesommario II

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I N D I C E S O M M A R I O

PARTE PRIMA

Ricordo di Giorgio Ghezzi, di LUIGI MONTUSCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

DOTTRINA

PIETRO ICHINO, La stabilità del lavoro e il valore dell’uguaglianza . . . . . . . 7Job security and the value of equality

GIORGIO BRUNELLO, ADRIANA TOPO, Il nuovo apprendistato professionaliz-zante: dalla formazione apparente alla formazione effettiva? . . . . . . . 33From cosmetic to real training? The new Italian apprenticeship sys-tem

FAUSTO CAPELLI, Gli “accordi quadro” comunitari come strumenti per risolverei conflitti nazionali in materia di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59The EU “frameworks agreements” as a means of solving nationallabour disputes

MARIELLA MAGNANI, La disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenzialialla prova dei fatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69The discipline of the strike in the public services sector: the test offacts

ENRICO GRAGNOLI, L’attività sindacale e la derogabilità assistita . . . . . . . . 83Trade Union activity and “derogabilità assistita”

GUIDO BONI, Contratto di lavoro intermittente e subordinazione. . . . . . . . . 113Job on call and contract of employment

GIUSEPPE PERA, Noterelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

PARTE SECONDA

NOTE A SENTENZA

SABRINA BELLUMAT, Responsabilità dell’imprenditore e concorso di colpa dellavoratore in materia di danno da infortunio . . . . . . . . . . . . . . . . 103

SABRINA BELLUMAT, Riconoscimento del debito ed effetto interruttivo nellaprescrizione dei contributi previdenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233

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ELISA BENEDETTI, Specificità della contestazione disciplinare e corrispondenzatra addebito e motivo della sanzione irrogata . . . . . . . . . . . . . . . . 190

FRANCESCA BIANCIARDI, Elezione delle r.s.u. e requisiti di rappresentatività . 60

ANDREA BOLLANI, Recesso unilaterale dal contratto collettivo e comportamentoantisindacale nella giurisprudenza di Cassazione . . . . . . . . . . . . . . 65

STEFANIA BRUN, Stress da eccesso di lavoro e incidente stradale: un nuovopasso nell’« incerto cammino » verso l’estensione della portata applicativadell’art. 2087 c.c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

MARIA TERESA CARACCIOLO, Sulla rilevanza disciplinare del comportamento dellavoratore nel periodo compreso tra il licenziamento e la reintegrazione . 209

BARBARA DE MOZZI, Atti preparatori della concorrenza e responsabilità risar-citoria del lavoratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182

CLAUDIA FALERI, Cessazione dell’attività aziendale per fallimento del datore dilavoro e obblighi procedurali relativi al conseguente licenziamento collet-tivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217

GIACOMO FONTANA, Criteri di scelta dei lavoratori da collocare in Cassa inte-grazione e obblighi di informazione sindacale . . . . . . . . . . . . . . . . 165

NICOLA GHIRARDI, Sulla controversa natura delle ipotesi di accordo sindacali . 73

MARIA GIOVANNA GRECO, Natura ed efficacia dell’accordo stipulato dall’assem-blea dei lavoratori circa il contratto collettivo nazionale applicabile inazienda. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

GIUSEPPE LUDOVICO, Impugnazione del licenziamento e fallimento: questioni intema di continuità del rapporto e di competenza . . . . . . . . . . . . . . 245

GIACOMO MATTO, Sull’efficacia del giudicato penale nel procedimento discipli-nare a carico di dipendenti dello Stato e sul termine di attivazione delprocedimento stesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

ANNA MONTANARI, I crediti retributivi garantiti in caso di insolvenza del datoredi lavoro: la Corte di Giustizia interpreta la direttiva n. 987/1980 . . . . 28

GIUSEPPINA MORTILLARO, Contratto di merchandising, segmentazione dell’im-presa e interposizione: due sentenze della Cassazione . . . . . . . . . . . 117

DOMENICO MOSCA, Fallimento del datore di lavoro e decorrenza della prescri-zione del diritto del lavoratore al t.f.r. nei confronti del Fondo di garan-zia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161

NATALIA PACI, La pignorabilità dei crediti di lavoro e l’ambito di applicazionedel quarto comma dell’art. 545 c.p.c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144

LEONARDO PANAIOTTI, Denunciata alla Consulta come incostituzionale la di-stinzione tra compensazione propria e impropria, ai fini dell’applicabi-lità del limite del quinto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132

LEONARDO PANAIOTTI, Sulla coobbligazione solidale dell’amministratore con lasocietà per omissione di vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228

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ENRICO RAIMONDI, L’apposizione successiva del termine al rapporto di lavorodel dirigente originariamente assunto a tempo indeterminato . . . . . . . 204

RICCARDO SALOMONE, Lavoro somministrato tramite agenzia e qualificazionedella fattispecie contrattuale: la giurisprudenza inglese scopre ilco-datore?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

MICHELANGELO SALVAGNI, La domanda iniziale di ammissione all’integrazionesalariale determina l’ente legittimato passivamente a erogare le quote dit.f.r. maturate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149

CHIARA SANTINI, Il controllo satellitare sull’autovettura e la discipina delcontrollo a distanza ex art. 4 St. lav.: un provvedimento del Ministero delLavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175

PIETRO SCIORTINO, Sulla sentenza costitutiva dell’obbligo di concludere uncontratto di lavoro e sui suoi presupposti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

ENRICO M. TERENZIO, Contratti di formazione e lavoro: il mancato recuperodelle agevolazioni contributive da parte dello Stato italiano . . . . . . . . 40

MARTINA VINCIERI, La tutela dell’apparenza e dell’affidamento dei terzi inbuona fede nell’ambiente lavoristico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

MARIA VINCIGUERRA, La prima giurisprudenza applicativa della nuova disci-plina del contratto a termine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194

LA GIURISPRUDENZA CHE FA DISCUTERE

ORONZO MAZZOTTA, Novità sul fronte del lavoro straordinario del personaledirettivo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260

PARTE TERZA

NOTIZIE E COMMENTI

Osservatorio legislativo in materia di lavoro: Orario di lavoro e riforma delmercato del lavoro tra correzioni e disposizioni attuative (a cura di F.BANO e L. CALAFÀ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Osservatorio previdenziale: La manovra finanziaria per il 2005 (a cura di M.CINELLI e C.A. NICOLINI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Lettere alla Rivista: Lavorare meno per lavorare tutti: il Keynes dimenti-cato (di L. CAVALLARO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

Libri ricevuti (a cura di P. ICHINO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

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INDICE ANALITICO DELLE SENTENZE(parte II)

Assunzioni

— A termine, all’inizio di nuova attivitàv.: Contratto a termine - Disciplina ex d.lgs. n. 368/2001 - Avvio di unanuova attività - Assunzione a t.

— A termine, previste da contratto collettivov.: Contratto a termine - Disciplina ex d.lgs. n. 368/2001 - Previsione diassunzioni a t. contenuta in c. coll.

Cassa integrazione guadagni

— Intervento straordinario - Criteri di scelta dei lavoratori - Accordocollettivo aziendale sui criteri - Assorbe ogni eventuale anomalia pro-cedurale precedente - Accordo che non stabilisce i criteri, ma soltantodei limiti alla discrezionalità del datore - Non elimina la necessità dicomunicazione ex art. 1, settimo comma, l. n. 223/1991 (Cass., Sez. lav.,3 maggio 2004, n. 8353, nt. G. FONTANA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165

— Quote di t.f.r. maturate durante i periodi di integrazione salarialev.: T.F.R. - Cassa integrazione guadagni - Quote di t.f.r. maturate etc.

Comportamento antisindacale

— Recesso unilaterale da c. coll. - Mancata consultazione del sindacatov.: Contratto collettivo - Recesso u. dal contratto a tempo indeterminato- Mancata discussione preventiva con la controparte sindacale - Noncostituisce di per sé comportamento antisindacale

— Richiesta di attivazione della procedura di elezione di r.s.u. a normadell’Accordo interconfederale 27 luglio 1994 - Difetto di rappresentati-vità delle associazioni sindacali richiedenti - Rifiuto da parte del datoredi lavoro - È legittimo (Cass., Sez. lav., 8 marzo 2004, n. 4652, nt. F.BIANCIARDI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

Contratti di formazione e lavoro

— Differenziazione territoriale della contribuzione previdenziale dichia-rata illegittima - Obbligo di recupero - Impossibilità assoluta di esecu-

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zione - Esclusione (C. Giust., Sez. V, 1º aprile 2004, n. 99/02, nt. E.M.TERENZIO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

Contratto a termine

— Dirigentiv.: Dirigenti - Contratto a termine

— Disciplina ex d.lgs. n. 368/2001 - Avvio di una nuova attività - Assun-zione a termine in una prima fase sperimentale - È sempre legittima, perespressa previsione legislativa (T. Milano, Sez. lav., 4 maggio 2004, nt.M. VINCIGUERRA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194

— Disciplina ex d.lgs. n. 368/2001 - Previsione di assunzioni a terminecontenuta in contratto collettivo - Non costituisce fonte diretta dilegittimità del c.a.t., ma elemento di conferma circa la sussistenza dellaragione giustificatrice (T. Firenze, Sez. lav., 23 aprile 2004, nt. M.VINCIGUERRA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195

— Disciplina ex d.lgs. n. 368/2001 - Requisiti formali dell’atto - Sostitu-zione di lavoratore assente - Indicazione del nome del sostituito senzaspecificazione della ragione dell’assenza - Legittimità (T. Milano, Sez.lav., 4 maggio 2004, nt. M. VINCIGUERRA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194

— Disciplina ex d.lgs. n. 368/2001 - Requisiti formali dell’atto - Sostitu-zione di lavoratore assente - Indicazione del nome del sostituito - Noncostituisce requisito formale per la validità dell’apposizione del termine(T. Firenze, Sez. lav., 23 aprile 2004, nt. M. VINCIGUERRA) . . . . . . . . . 195

— Obbligo di trasformazione in contratto a tempo indeterminatov.: Processo - Sentenza - Obbligo etc.

Contratto collettivo

— Accordo tra datore di lavoro e assemblea dei lavoratori - Ha natura dicontratto collettivo - Fattispecie: accordo circa il contratto collettivonazionale di categoria applicabile in azienda (Cass., Sez. lav., 5 maggio2004, n. 8565, nt. M.G. GRECO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

— Campo di applicazione - Art. 2070 c.c. - Inapplicabilità ai contratticollettivi di diritto comune (Cass, Sez. lav., 5 maggio 2004, n. 8565, nt.M.G. GRECO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

— « Ipotesi di accordo » - Natura giuridica (Cass., Sez. lav., 19 giugno 2004,n. 11464, nt. N. GHIRARDI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

— Recesso unilaterale dal contratto a tempo indeterminato - Mancatadiscussione preventiva con la controparte sindacale - Non costituisce di

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per sé comportamento antisindacale (Cass., Sez. lav., 22 aprile 2004, n.7706, nt. A. BOLLANI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

Contratto di lavoro

— Contitolarità apparente del rapporto in capo a due datori - Coobbliga-zione di entrambi conseguente all’apparenza da loro stessi creata (Cass.,Sez. lav., 21 giugno 2004, n. 11491, nt. M. VINCIERI) . . . . . . . . . . . . 87

— Costituzione del rapporto ex art. 2932 c.c. - Ammissibilità (Cass., Sez.lav., 5 maggio 2004, n. 8568, nt. P. SCIORTINO) . . . . . . . . . . . . . . . . 95

Controlli

— Impianti che consentono il controllo a distanzav.: Impianti audiovisivi di controllo a distanza

Dirigenti

— Contratto a termine - Apposizione del termine in corso di rapporto -Legittimità (Cass. lav., 16 marzo 2004, n. 5374, nt. E. RAIMONDI) . . . . 204

— Orario di lavorov.: Orario di lavoro - Personale direttivo

Garanzia dei crediti di lavoro

— Insolvenza del datore di lavoro - Direttiva n. 987/1980 - Limitazionedella garanzia alle sole esigenze primarie dei lavoratori - Contrasta conla direttiva (C. Giust., Sez. II, 4 marzo 2004, n. 19/01, 50/01, 84/01, nt.A. MONTANARI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

— Insolvenza del datore - Pagamento del t.f.r. a carico del Fondo digaranzia - Prescrizione del diritto - Decorrenza - Data di ammissione alpassivo - Fondamento (Cass., Sez. lav., 26 febbraio 2004, n. 3939, nt. D.MOSCA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161

Impianti audiovisivi di controllo a distanza

— Impianti di controllo satellitare su autovetture - In funzione di esigenzetecnico-organizzative del servizio di pronto intervento di impresa ero-gatrice di gas - Legittimità (Ministero del Lavoro, Direz. Gen. tutelacondiz. lav., Div. IV, 24 giugno 2004, decr., nt. C. SANTINI) . . . . . . . . 172

Impiego alle dipendenze dello Stato

— Provvedimenti disciplinari - Procedimento - Effetti del giudicato pe-nale - Termine per l’attivazione del procedimento disciplinare - Disci-

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plina transitoria ex art. 10, terzo comma, l. n. 97/2001 - Illegittimitàcostituzionale (C. cost., 26 giugno 2004, n. 186, nt. G. MATTO) . . . . . . 52

Interposizione

— Fattispecie: merchandising - Natura autonoma della prestazione lavo-rativa del merchandiser - Interposizione vietata dell’agenzia tra il centrocommerciale e il lavoratore - Non configurabilità (Cass., Sez. lav., 8aprile 2004, n. 6896, nt. G. MORTILLARO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

— Criteri di distinzione dell’appalto genuino - Utilizzazione da partedell’appaltatore di beni strumentali forniti dall’appaltante - Presun-zione legale di sussistenza dell’interposizione vietata - Condizione -Marginalità dell’apporto strumentale dell’appaltatore - Fattispecie:merchandising (Cass., Sez. lav., 19 novembre 2003, n. 17574, nt. G.MORTILLARO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117

Lavoro temporaneo tramite agenzia

— Qualificazione del rapporto in termini di lavoro autonomo, subordinatoo sui generis - Contratto tacito di lavoro (subordinato o autonomo) trautilizzatore e prestatore - Configurabilità (Court of Appeal, Civil Divi-sion, 5 marzo 2004, nt. R. SALOMONE) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Licenziamento

— Annullamento giudiziale - Intervallo tra il licenziamento e l’ordine direintegrazione - Permanenza degli obblighi contrattuali - Violazione ditali obblighi - Nuovo licenziamento - Ammissibilità (Cass., Sez. lav., 4giugno 2004, n. 10663, nt. M.T. CARACCIOLO) . . . . . . . . . . . . . . . . . 209

Licenziamento collettivo

— Procedura ex l. n. 223/1991 - Fallimento e altre procedure concorsuali acarico dell’impresa - Cessazione dell’attività aziendale - La procedura exl. n. 223/1991 deve essere applicata (Cass., Sez. lav., 8 luglio 2004, n.12645, nt. C. FALERI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217

Merchandising

— Rapporto quadrilatero - Interesse dell’appaltatore all’esecuzione del-l’opera - Interposizione illecita - Esclusione (Cass., Sez. lav., 19 novembre2004, n. 17574, nt. G. MORTILLARO). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

— Tipicità sociale - Nozione (Cass., Sez. lav., 8 aprile 2004, n. 6896, nt. G.MORTILLARO) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

Obbligo di non concorrenza

— Concorrenza potenziale - Fattispecie: costituzione di società per la

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commercializzazione di prodotti distribuiti dalla datrice di lavoro -Viola l’obbligo di non concorrenza ex art. 2105 c.c. (Cass., Sez. lav., 5aprile 2004, n. 6654, nt. B. DE MOZZI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182

Omissioni contributive

— Coobbligazione solidale dell’amministratore con la società per omissionedi vigilanza ex art. 6, secondo comma, l. n. 689/1981 - Ampia autonomiafunzionale del soggetto che ha agito per conto della società - Irrilevanza(Cass., Sez. lav., 24 giugno 2004, n. 11751, nt. L. PANAIOTTI) . . . . . . . 228

Orario di lavoro

— Personale direttivo - Prolungamento di un’ora e tre quarti dell’orariogiornaliero rispetto all’orario normale degli altri lavoratori - Caratteregravoso e usurante della prestazione - È in re ipsa - Retribuzionemaggiorata a titolo di straordinario - È dovuta (Cass., Sez. lav., 23 luglio2004, n. 13882, nt. O. MAZZOTTA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260

Prescrizione

— Contributi previdenziali - Interruzione - Riconoscimento del debito -Denuncia annuale delle retribuzioni mediante modello 01/M - Nonproduce l’effetto interruttivo (Cass., Sez. lav., 6 marzo 2004, n. 4632, nt.S. BELLUMAT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233

Processo

— Questioni di competenza - Controversia su domanda di reintegrazionenei confronti di impresa fallita - Competenza del giudice del lavoro(Cass., Sez. lav., 27 febbraio 2004, n. 4051, nt. G. LUDOVICO) . . . . . . . . 242

— Sentenza - Obbligo di trasformazione di contratto a termine in con-tratto a tempo indeterminato, disposto da clausola collettiva - Esecu-zione in forma specifica - Ammissibilità (Cass., Sez. lav., 5 maggio 2004,n. 8568, nt. P. SCIORTINO). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

Provvedimenti disciplinari

— Dipendenti dello Statov.: Impiego alle dipendenze dello Stato - Provvedimenti disciplinari

— Procedimento - Contestazione dell’addebito - Descrizione chiara e pun-tuale dei fatti contestati - Necessità - Corrispondenza tra adde-bito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione irrogata -Necessità (Cass., Sez. lav., 19 agosto 2004, n. 16249, nt. E. BENEDETTI) . 190

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Rappresentanze sindacali unitarie

— Richiesta di attivazione della procedura di elezione - Rifiuto del datore- Comportamento antisindacalev.: Comportamento antisindacale - Richiesta di a. della procedura dielezione di r.s.u.

Reintegrazione

— Fallimento dell’impresa - Questioni di competenza sulla domanda direintegrazione nei confronti dell’i. fallitav.: Processo - Questioni di competenza - Controversia su domanda direintegrazione etc.

— Licenziamentov.: Licenziamento - Annullamento giudiziale - Intervallo tra il l. el’ordine di r.

Retribuzione

— Compensazione - Con un debito del lavoratore verso il datore - Presup-pone alterità e autonomia dei rapporti da cui credito e debito nascono- Credito e debito nascenti entrambi dal rapporto di lavoro - Dannoluogo a compensazione impropria o conguaglio, non soggetto al limitedel quinto - Fattispecie: mutuo erogato dal datore come beneficioannesso al rapporto di lavoro - Difetto di autonomia del mutuo rispettoal rapporto di lavoro (Cass., Sez. lav., 29 marzo 2004, n. 6214, nt. L.PANAIOTTI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

— Compensazione - Con un debito del lavoratore verso il datore - Presup-pone alterità e autonomia dei rapporti da cui credito e debito nascono- Credito e debito nascenti entrambi dal rapporto di lavoro - Dannoluogo a compensazione impropria o conguaglio, non soggetto al limitedel quinto - Fattispecie: debito del lavoratore nascente da suo inadem-pimento nei confronti del datore - Non può considerarsi autonomorispetto al rapporto di lavoro (Cass., Sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7337, nt.L. PANAIOTTI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

— Compensazione - Con un debito del lavoratore verso il datore - Regolaper cui essa presuppone alterità e autonomia dei rapporti da cui creditoe debito nascono, applicandosi altrimenti un mero conguaglio, nonsoggetto al limite del quinto - Questione di costituzionalità - Nonmanifesta infondatezza (T. Palermo, Sez. lav., 27 aprile 2004, ord., nt. L.PANAIOTTI). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132

— Compensazione e pignoramento - Limite del quinto ex art. 545 c.p.c. -Applicabilità in riferimento a qualsiasi debito del lavoratore, nei con-

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fronti di qualsiasi creditore (Cass., Sez. lav., 24 maggio 2004, n. 9950, nt.N. PACI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144

Sicurezza del lavoro

— Obblighi del datore - Eccesso di stress da lavoro - Responsabilità deldatore di lavoro ex art. 2087 c.c. - Condizioni - Prova a carico dellavoratore circa l’eccessività delle prestazioni lavorative assegnategli(Cass., Sez. lav., 26 giugno 2004, n. 11932, nt. S. BRUN) . . . . . . . . . . 109

— Responsabilità civile - Concorso di colpa del lavoratore - Esonero diresponsabilità per il datore - Condizione: assoluta imprevedibilità delcomportamento del lavoratore (Cass., Sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7328,nt. S. BELLUMAT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

— Responsabilità civile - Concorso di colpa del lavoratore - Esonero diresponsabilità per il datore - Condizione: che egli provi di avere adottatotutte le misure idonee a garantire la sicurezza del lavoro (Cass., Sez. lav.,26 giugno 2004, n. 11932, nt. S. BRUN) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

— Responsabilità civile - Concorso di colpa del lavoratore - Riduzioneproporzionale del risarcimento (Cass., Sez. lav., 17 aprile 2004, n. 7328,nt. S. BELLUMAT) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

Trattamento di fine rapporto

— Cassa integrazione guadagni - Quote di t.f.r. maturate durante i periodidi integrazione salariale - Ente obbligato a erogare le prestazioni -Discipline diverse applicabili ratione temporis - Domanda iniziale diammissione all’integrazione salariale precedente o successiva al marzo1988 - Conseguente individuazione dell’ente obbligato (Cass., Sez. lav.,11 marzo 2004, n. 5007, nt. M. SALVAGNI) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149

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INDICE CRONOLOGICO DELLE DECISIONI

Giorno Autorità Pagina

2004

FEBBRAIO

26 Cass., Sez. lav., n. 3939.................................... 16127 Cass., Sez. lav., n. 4051.................................... 242

MARZO

4 C. Giust., Sez. II, n. 19, 50, 84/01...................... 285 Court of Appeal, Civil Division......................... 36 Cass., Sez. lav., n. 4632.................................... 2338 Cass., Sez. lav., n. 4652.................................... 60

11 Cass., Sez. lav., n. 5007.................................... 14916 Cass., Sez. lav., n. 5374.................................... 20429 Cass., Sez. lav., n. 6214.................................... 131

APRILE

1o C. Giust., Sez. V, n. 99/02 ................................ 405 Cass., Sez. lav., n. 6654.................................... 1828 Cass., Sez. lav., n. 6896.................................... 116

17 Cass., Sez. lav., n. 7328.................................... 10317 Cass., Sez. lav., n. 7337.................................... 13122 Cass., Sez. lav., n. 7706.................................... 65

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Giorno Autorità Pagina

23 T. Firenze, Sez. lav. ........................................ 19527 T. Palermo, Sez. lav........................................ 132

MAGGIO

3 Cass., Sez. lav., n. 8353.................................... 1654 T. Milano, Sez. lav. ......................................... 1945 Cass., Sez. lav., n. 8565.................................... 805 Cass., Sez. lav., n. 8568.................................... 95

24 Cass., Sez. lav., n. 9950.................................... 144

GIUGNO

4 Cass., Sez. lav., n. 10663 .................................. 20919 Cass., Sez. lav., n. 11464 .................................. 7321 Cass., Sez. lav., n. 11491 .................................. 8724 C. Cost., n. 186............................................... 5224 Ministero del Lavoro, Direz. Gen. tutela condiz.

lav., Div. IV, decr. ......................................... 17224 Cass., Sez. lav., n. 11751 .................................. 22826 Cass., Sez. lav., n. 11932 .................................. 109

LUGLIO

8 Cass., Sez. lav., n. 12645 .................................. 21723 Cass., Sez. lav., n. 13882 .................................. 260

AGOSTO

19 Cass., Sez. lav., n. 16249 .................................. 190

NOVEMBRE

19 Cass., Sez. lav., n. 17574 .................................. 116

Indice cronologico delle decisioniXII

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ABBREVIAZIONI

AaS = L’Assistenza sociale (Riv. INCA-CGIL)AB = Arbeitsrecht im BetriebAC = Archivio civileADL = Argomenti di diritto del lavoroAI = L’amministrazione italianaAL = Actualidad LaboralAP = Archivio penaleAppNDI = Appendice al Novissimo Digesto italianoAR = ArbeitsrechtAS = Le assicurazioni socialiAsS = L’assistenza socialeAuR = Arbeit und RechtBBTC = Banca, borsa e titoli di creditoBSPT = Boll. Sc. Perf. Spec. Dir. Lav. Un. TriesteCA = Corriere amministrativoCDT = Cuadernos de derecho del trabajoCG = Corriere giuridicoCI = Contratto e impresaCLLIR = The Intern. Journal of Comp. Labour Law and Ind. Rel.Comm SB = Commentario del codice civile Scialoja-BrancaComm Sch = Il c.c. - Commentario dir. da P. SchlesingerContr = ContrattazioneCP = Cassazione penaleCS = Consiglio di StatoDCSI = Diritto comunitario e degli scambi internazionaliDD = Democrazia e dirittoDE = Diritto dell’economiaD&L = Diritto e lavoro - Riv. critica di diritto del lavoroDF = Diritto fallimentareDG = Diritto e giurisprudenzaD&G = Diritto e giustiziaDigesto IV = Digesto IV ed.DL = Il diritto del lavoroDLComm = Diritto del lavoro. Commentario dir. da F. CarinciDLab = Derecho laboralDLM = Diritti Lavori MercatiDL Marche = Diritto e lavoro nelle MarcheDLRI = Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali

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DM = Il diritto marittimoDML = Diritto del mercato del lavoroDO = Droit ouvrierDPL = Diritto e pratica del lavoroDRI = Diritto delle relazioni industrialiDS = Droit socialDT = Derecho del trabajoDTSS = Derecho del trabajo y de la seguridad socialEGT = Enciclopedia giuridica TreccaniEIRR = European Industrial Relations ReviewEJIR = European Journal of Industrial RelationsEL = Economia e lavoroEnc dir = Enciclopedia del dirittoFA = Foro amministrativoFI = Foro italianoFN = Foro napoletanoFP = Foro padanoGC = Giustizia civileGCCC = Giurisprudenza completa della Cassazione civileGComm = Giurisprudenza commercialeGCost = Giurisprudenza costituzionaleGDI = Giurisprudenza di diritto industrialeGDir = Guida al dirittoGeC = Giustizia e CostituzioneGI = Giurisprudenza italianaGLav = Guida al LavoroGLL = Giurisprudenza del lavoro del LazioGM = Giurisprudenza di meritoGMil = Giurisprudenza MilaneseGNorm = Guida normativa - « Il Sole-24 Ore »GP = La Giustizia penaleGPiem = Giurisprudenza piemonteseGTosc = Giurisprudenza toscanaGU = Gazzetta UfficialeILJ = Industrial Law JournalILP = Impresa lavoro e previdenzaILLeJ = Italian Labour Law e-Journal (www.labourlawjournal.it)ILRR = International Labor Relations ReviewIP = Informatore PirolaIPen = L’indice penaleIPrev = Informazione previdenzialeIRLJ = Industrial Relations Law JournalIS = Industria e sindacatoLabour = Labour, Review of Labour Economics and Ind. RelationsLD = Lavoro e dirittoLG = Il lavoro nella giurisprudenzaLI = Lavoro informazione

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LP = Laboratorio politicoLPO = Lavoro e previdenza oggiL80 = Lavoro ’80LSS = Lavoro e sicurezza socialeMAC = Massimario annotato della CassazioneMCR = Mercato, concorrenza, regoleMFI = Massimario del Foro italianoMGC = Massimario di Giustizia CivileMGI = Massimario della Giurisprudenza italianaMGL = Massimario giurisprudenza del lavoroMLR = Monthly Labor ReviewMO = MondoperaioMOS = Movimento operaio e socialistaMSCG = Materiali per una storia della cultura giuridicaMT = Monitori dei tribunaliND = Il nuovo dirittoNDI = Novissimo Digesto italiano (v. anche AppNDI)NDL = Note di diritto del lavoroNGCC = Nuova giurisprudenza civile commentataNGL = Notiziario della giurisprudenza del lavoroNLCC = Le nuove leggi civili commentateNRLRA = Nuova rass. di legislazione e rivista amm. per i ComuniNTDL = Nuovo trattato di dir. del lav. (Padova, CEDAM, 1971-1976)NZA = Neue Zeitschrift für ArbeitsrechtOGL = Orientamenti della giurisprudenza del lavoroOML = Osservatorio sul mercato del lavoro e sulle professioniPD = Politica del dirittoPE = Politica e economiaPS = Prospettiva sindacalePSA = La previdenza sociale nell’agricolturaPSoc = Previdenza socialeQCost = Quaderni costituzionaliQDLRI = Quaderni di dir. del lavoro e delle rel. industrialiQEL = Quaderni di Economia del LavoroQG = Questione GiustiziaQIS = Quaderni di industria e sindacatoQISFOL = Quaderni ISFOLQL = Quaderni di diritto del lavoroQRIDL = Quaderni della Rivista italiana di diritto del lavoroQRS = Quaderni di Rassegna sindacaleRA = Recht der ArbeitRacc = Raccolta della Corte di Giust. CERAmmRI = Rivista amministrativa della Repubblica ItalianaRassDP = Rassegna di diritto pubblicoRCDP = Rivista critica del diritto privatoRCoop = Rivista della cooperazioneRCP = Responsabilità civile e previdenziale

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RDA = Rivista di diritto agrarioRDC = Rivista di diritto civileRDComm = Rivista di diritto commercialeRDI = Rivista di diritto industrialeRDICL = Rivista di diritto internazionale e comparato del lavoroRDIPP = Rivista di diritto internazionale privato e processualeRDL = Rivista di diritto del lavoroRDN = Rivista del diritto della navigazioneRDP = Rivista di diritto processualeRDPub = Rivista di diritto pubblicoRDPC = Rivista di diritto procedura civileRDSport = Rivista di diritto sportivoRFI = Repertorio del Foro italianoRGC = Repertorio della Giustizia civileRGEnel = Rassegna giuridica dell’EnelRGI = Repertorio della Giurisprudenza italianaRGL = Rivista giuridica del lavoro e della previdenza socialeRGScuola = Rivista giuridica della scuolaRI = Relazioni industrialiRIDL = Rivista italiana di diritto del lavoroRIDPP = Rivista italiana di diritto e procedura penaleRIMP = Rivista degli infortuni e malattie professionaliRInf = Rivista degli infortuniRIPS = Rivista italiana di previdenza socialeRISP = Rivista italiana di scienza politicaRIT = Revue internationale du travailRL = Relaciones LaboralesRNot = Rassegna del notariatoRPS = Revista de politica socialRS = Rassegna sindacale e Nuova rassegna sindacaleRSoc = Rivista delle societàRT = Revista de trabajoRTAR = Rassegna dei Tribunali amministrativi regionaliRTDPC = Rivista trimestrale di diritto e procedura civileRTDPub = Rivista trimestrale di diritto pubblicoRTSA = Rivista trimestrale di scienza amministrativaSD = Sociologia del dirittoSM = Stato e mercatoSS = Sicurezza socialeTAR = I tribunali amministrativi regionaliTemi = TemiTLG = Toscana Lavoro GiurisprudenzaTG = Toscana GiurisprudenzaTR = Temi romanaTratt CM = Trattato di dir. civile Cicu-MessineoTS = Travail et société

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Nel prossimo fascicolo:

PARTE PRIMA

Edoardo GheraSul lavoro a progetto

Maurizio CinelliLa previdenza per i lavoratori atipici

Alberto PizzoferratoPartecipazione dei lavoratori, nuovi modelli di governance edemocrazia economica.

Fabrizio AmatoIl divieto delle discriminazioni per motivi non di genere inmateria di lavoro.

Lucia ValenteClausole d’uso e usi aziendali nel sistema delle fonti negoziali diintegrazione del contratto di lavoro.

Antonio VallebonaConflitto e partecipazione.

PARTE SECONDA

Note a sentenza di: Cristina Alessi, Francesco Alvaro, ValentinaBeghini, Francesca Bianciardi, Olivia Bonardi, Chiara Cec-carelli, Fulvio Corso, Paolo Cro, Gilda Del Borrello, Cinzia DeMarco, Lorenzo M. Dentici, Claudio Mazza, Anna Montanari,Claudio Morpurgo, Marina Nicolosi, Fabio Ravelli, MaddalenaRosano, Luca Ruggiero, Alessandra Sartori, Andrea Sitzia,Francesco Stolfa, Patrizia Tomasicchio, Loredana Zappalà.

PARTE TERZA

La legge tedesca sui licenziamenti come modificata dalla leggeHartz 24 dicembre 2003, con il commento di M. CORTI.

Osservatorio legislativo in materia di lavoro (a cura di F. BANO eL. CALAFÀ).

Osservatorio previdenziale (a cura di M. CINELLI e C.A. NICOLINI).

Letture: M. PALLINI recensisce L. DI VIA, Antitrust e dirittisociali. Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto.

Libri ricevuti (a cura di P. ICHINO)

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PARTE PRIMA

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RICORDO DI GIORGIO GHEZZI (*)

Ricordare Giorgio GHEZZI (1932-2005) è un’impresa non solodolorosa, ma difficile: per la profonda commozione di queste ore,per la consapevolezza di dire cose del tutto inadeguate a ricordarela sua straordinaria figura di intellettuale e di studioso.

Mi manca la raffinata ironia di Giorgio: come riassumere conpoche parole l’ampiezza e la molteplicità dei suoi interessi, l’in-stancabile contributo dato al diritto del lavoro e alla comunitàscientifica, l’impegno civile profuso nelle istituzioni e nell’Univer-sità?

Quel che sappiamo è che è mancato uno scienziato del dirittoe un autentico Maestro, che ha fatto parte di una generazione distudiosi che ha contribuito in modo irripetibile alla costruzione, sindalle fondamenta, del diritto del lavoro post-costituzionale.

Allievo del prof. Tito CARNACINI, che ha fondato la Scuolabolognese, affidandola poi alle cure di Federico MANCINI, Giorgio hapercorso rapidamente l’iter accademico, approdando alla metàdegli anni ’70 nella Facoltà di Giurisprudenza: e qui, ben presto èdiventato un protagonista di primo piano. Tutti noi giuslavoristibolognesi dobbiamo qualche cosa a Giorgio, scrittore elegante efinissimo, scienziato rigoroso, mai proclive alla retorica, sempreattento al dato giuridico ed extra-giuridico, capace di imprimereun indirizzo innovativo all’ordinamento del lavoro.

Lascia una produzione scientifica impressionante per vastità ditemi e per ricchezza di idee, a partire dal 1960 sino ad oggi: sono daricordare, anzitutto, il contributo al Commentario dello Statuto deilavoratori, un’opera collettanea che resta il frutto più significativodi una stagione di grande innovazione culturale, giuridica e sociale;

(*) Giorgio GHEZZI e mancato il 17 gennaio 2005. Il testo riproduce il brevericordo dell’illustre Collega e Maestro pronunciato al Consiglio della Facolta diGiurisprudenza di Bologna il 19 gennaio 2005.

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i Manuali di Diritto del lavoro e sindacale, scritti insieme conUmberto ROMAGNOLI, che sono un esempio forse unico di come sipossa coniugare la cultura multiforme, la capacità di comunicare ilpensiero giuridico, l’attenzione ai giovani lettori; i numerosissimiscritti di diritto sindacale ispirati alla valorizzazione della contrat-tazione collettiva e alla promozione delle garanzie dei lavoratori.

Nei due importanti lavori monografici pubblicati nella metàdegli anni ’60 su La responsabilità contrattuale delle associazionisindacali e La mora del creditore nel rapporto di lavoro, Giorgio haaffrontato con autorità e sicurezza temi sino ad allora inediti deldiritto del lavoro e sindacale, in un contesto giuridico-interpreta-tivo ancora privo di modelli ricostruttivi e di affidabili approccimetodologici, così indirizzando l’intero dibattito successivo delladottrina giuslavoristica.

Con rara perizia tecnica e chiarezza di pensiero si è interrogatosulla delicata questione dell’efficacia delle clausole della parteobbligatoria del contratto collettivo e, in particolare, del dovere dipace sindacale in relazione all’esercizio del diritto di sciopero.Partendo da un rigoroso tracciato civilistico, Giorgio ha saputocogliere la specificità dell’ambiente lavoristico, ricercando — comeha scritto egli stesso in una “Avvertenza” per il lettore — « lasoluzione più consona alla natura dei problemi » così come sipresentano nella realtà, con la capacità di antivedere ciò che altriha saputo registrare solo più tardi.

All’interno della Scuola bolognese, Giorgio ha fatto cresceremolti allievi che oggi sono nostri Colleghi, ma vi sono anche giovaniricercatori, dottori di ricerca e cultori del diritto del lavoro che havoluto seguire sino all’ultimo con intelligenza e affetto, infondendoloro fiducia nella prospettiva di rinnovamento del sistema di tuteledel lavoro.

La storica « Rivista giuridica del lavoro », di cui è stato Diret-tore instancabile e per la quale ha profuso un impegno fortissimosino alla pubblicazione dell’ultimo fascicolo, è diventata il luogoideale dove Giorgio ha saputo trasfondere e intrecciare insieme lesue doti di studioso e di giuslavorista innovatore, con uno slanciogeneroso e autentico verso i giovani.

È a tutti nota la sincera passione umana e politica con la qualeGiorgio ha operato nelle istituzioni lungo un arco di almenotrent’anni, sia partecipando al governo della città di Bologna, sia

Ricordo di Giorgio Ghezzi4

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come parlamentare per due legislature e vice-presidente dellaCommissione Lavoro, sia nella Commissione di garanzia per losciopero nei servizi pubblici essenziali.

Lavorando all’interno delle istituzioni, ha saputo mettere afrutto le sue inesauribili energie intellettuali, la forza riformatricedelle sue idee, la ferma fede garantista, senza sottrarsi neppure allaprova dei cambiamenti e delle trasformazioni che il mondo dellavoro vive in modo diretto, e spesso conflittuale.

Da qualche anno Giorgio aveva assunto con entusiasmo la Di-rezione dell’Istituto giuridico « A. Cicu » dell’Ateneo bolognese, poitrasformato in Dipartimento di Scienze Giuridiche, e sino agli ultimigiorni ha voluto adempiere questo faticoso incarico, senza sottrarsineppure al tedio degli innumerevoli incombenti amministrativi chespesso comporta la gestione di tante strutture universitarie.

Pur consapevole delle difficoltà della sua salute, aveva ancheprogrammato di tenere un ciclo di lezioni in quest’anno accademico,partecipandoai corsi ufficiali di dirittodel lavoro, perchénon si èmaispenta in lui, nemmenonei giorni dellamalattia, l’inestinguibile pas-sione per l’Università, la dedizione agli studenti, ai quali dopo tantianni sentiva ancora il bisogno di rivolgersi, per trasmettere la suaconcezione etica della vita e dei rapporti di lavoro.

Siamo tutti grati a Giorgio per quello che ci ha dato, perl’insegnamento profuso a intere generazioni di giovani, per l’impe-gno civile speso a favore delle persone più deboli, per la forzamorale che gli ha consentito di lottare con serenità, ma anche confermezza e dignità contro un nemico oscuro e implacabile.

Come amico e collega, legato a una consuetudine di vita e dilavoro universitario da oltre quarant’anni, saluto Giorgio conprofondo affetto e commossa gratitudine: con lui scompare unoscienziato del diritto che ha segnato il volto della Facoltà bolo-gnese e che rimane un modello di stile accademico, oltre che diqualità umane non comuni.

Giorgio lascia dietro di sé tanto rimpianto, ma anche la spe-ranza — come Lui diceva spesso, e come diciamo anche noi, oggi,per darci coraggio — che altri sappia raccogliere il testimone,perché mai si disperda quel sapere prezioso e il Suo alto insegna-mento.

LUIGI MONTUSCHI

Ricordo di Giorgio Ghezzi 5

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Page 25: giurisprudenza lavoro

PIETRO ICHINO

LA STABILITÀ DEL LAVOROE IL VALORE DELL’UGUAGLIANZA (*)

SOMMARIO: 1. Un quesito cruciale in tema di uguaglianza: è giusto licenziare illavoratore inefficiente? — 2. La stabilità del rapporto di lavoro come ga-ranzia dell’eguaglianza. — 3. Eguaglianza vs. parità di trattamento. Laquestione dell’incentivo all’impegno individuale. — 4. Uguaglianza e paritàdi trattamento vs. libertà di impresa. — 5. Il licenziamento del lavoratoreinefficiente alla luce dei tre principi costituzionali. — 6. La stabilità dellavoro regolare come fattore di diseguaglianza. — 7. La crisi del vecchiodispositivo egualitario. — 8. (Segue): un meccanismo ostile verso i piùsfortunati tra gli sfortunati. — 9. Come si incarna un’opzione egualitaria« rawlsiana » nel sistema occidentale di mercato del XXI secolo.

1. È stata pubblicata recentemente una sentenza della Cortedi cassazione in materia di licenziamento per giustificato motivoobbiettivo, che si presta molto bene come punto di partenza peruna riflessione sul ruolo — forse più importante di quello comune-mente riconosciuto — che il principio di uguaglianza gioca nelnostro diritto del lavoro e in particolare nel nostro diritto viventein materia di licenziamento (1). Il caso può schematicamente rias-sumersi così: le cameriere di un grande albergo sono capaci dirassettare normalmente ciascuna 30 stanze al giorno; una came-riera, per cause indipendenti dalla sua volontà, da qualche temporiesce a rassettarne soltanto 15; per questo viene licenziata. Illicenziamento può considerarsi giustificato, a norma dell’art. 3

(*) È il testo della relazione tenuta al convegno dell’Accademia dei Lincei su« Il nuovo volto del diritto italiano del lavoro » (Roma, 13-14 dicembre 2004) epresentata in versione inglese all’Università di Vienna il 31 gennaio 2005. Lo scrittoè destinato agli Studi in memoria di Giorgio Ghezzi.

(1) Cass. 5 marzo 2003, n. 3250, che può leggersi in q. Riv., 2003, II, 689, conun commento del giudice del lavoro L. CAVALLARO e uno mio.

DOTTRINA

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della l. n. 604/1966 (o delle regole molto simili in vigore negli altriPaesi europei e ora nella nuova Costituzione dell’Unione europea)?

Se cerchiamo nei repertori di giurisprudenza dell’ultimo decen-nio una regola a cui ancorare la soluzione del problema, ne tro-viamo diverse e tra loro contrastanti. Possiamo schematicamentericondurle alle cinque massime seguenti:

A. il licenziamentoègiustificato se ènecessarioper ridurreunaperdita aziendale; ingiustificato se mira ad aumentare il profitto (2);

B. il licenziamento è senz’altro giustificato, perché non si puòimporre all’imprenditore di tenere in vita un rapporto che si svolgein perdita (3); e anche il « costo-opportunità » — cioè, nel nostrocaso, la differenza di produttività tra la lavoratrice in questione ela migliore lavoratrice disponibile per sostituirla — costituisce diper sé una perdita;

C. il licenziamento è senz’altro giustificato, perché il rendi-mento della lavoratrice è nettamente inferiore al rendimento nor-male, che è il rendimento dovuto per contratto (4);

D. il licenziamento è senz’altro ingiustificato, perché il rischiodelle variazioni incolpevoli di rendimento è a carico dell’impresa (5);

E. il licenziamento è giustificato se l’impresa sopprime ilposto di lavoro; ingiustificato se sostituisce la lavoratrice con un’al-tra (6).

Queste massime giurisprudenziali corrispondono abbastanza

(2) V. sostanzialmente in questo senso, tra le altre, Cass. n. 6067/1994; Cass.n. 11646/1998 e Cass. n. 12514/2004, ora in q. Riv., 2004, I, 838, con un miocommento critico. In senso contrario v. ultimamente Cass. 2 agosto 2004, n.14744, per ora inedita, dove la Corte ha affermato l’insufficienza del bilancioaziendale in perdita per giustificare il licenziamento (questo era stato ritenutogiustificato dal giudice di primo grado, poi annullato da quello di secondo grado).Per gli ulteriori riferimenti giurisprudenziali e dottrinali, oltre che per le indica-zioni bibliografiche relative alle sentenze citate in questa e nelle note seguenti,rinvio alla più ampia trattazione della questione del giustificato motivo oggettivodi licenziamento svolta nel mio Il contratto di lavoro, III, Tratt CM, 2003, 435-467.

(3) V. sostanzialmente in questo senso, tra le altre, Cass. n. 6067/1994 eCass. n. 6621/1995.

(4) V. sostanzialmente in questo senso, tra le altre, Cass. n. 3633/1994.(5) Questo è l’orientamento giurisprudenziale che si esprime nella sentenza

Cass. n. 3250/2003, cit. nella nota 1, nella quale esso è assoggettato al solotemperamento della legittimità del licenziamento nel caso di impossibilità asso-luta e totale della prestazione lavorativa; sostanzialmente nello stesso senso v.Cass. n. 1421/1996.

(6) È questa la massima che compare con la frequenza di gran lunga

Pietro Ichino8

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bene alle massime di buon senso comune — anche queste contra-stanti fra loro — con le quali la questione viene solitamentetrattata e risolta dall’uomo della strada. Quando in lui prevalgonopulsioni di destra, gli udiamo solitamente dire: « l’impresa non è unente di assistenza o beneficienza: non si può obbligare l’impresa alavorare in perdita »; oppure: « se posso sostituire un lavoratore conuna macchina, perché mai non potrei sostituirlo con un altrolavoratore più efficiente? »; oppure ancora: « l’impresa offre untrattamento standard per ottenere una prestazione standard; se laprestazione è sotto lo standard l’impresa deve poter licenziare,altrimenti fallisce». Quando invece nell’uomo della strada preval-gono pulsioni di sinistra, gli udiamo dire: « il padrone non puòtastare i muscoli al lavoratore, non può guardargli in bocca percontrollarne la dentatura, come si fa con un cavallo; non puòscegliersi il lavoratore più forte, più intelligente, più bello e piùsimpatico »; oppure: « sostituire un lavoratore con un altro significamettere i lavoratori in concorrenza tra loro: è giusto che il dirittoimpedisca una guerra tra poveri ».

Se il buon senso comune fornisce indicazioni tra loro diame-tralmente opposte, per la soluzione del nostro problema, non è dimaggiore aiuto il riferimento alla norma legislativa che disciplinala materia: di primo acchito parrebbe trarsene argomento a soste-gno delle massime più permissive, ma è facile convincersi chequell’argomento prova troppo e conduce a un’interpretazione dellanorma sicuramente sbagliata.

Nell’art. 3 della l. n. 604/1966 si legge che « il licenziamento pergiustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole ina-dempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro »: senella nozione di inadempimento a cui la legge fa riferimento potessericomprendersi senz’altro anche l’inadempimento incolpevole, que-sta parte della norma potrebbe offrire un fondamento apparente-mente solido alla massima C; sennonché la norma è quasi sempreinterpretata come riferita soltanto all’inadempimento colpevole. Lastessa norma può offrire fondamento anche alla massima B: il testolegislativo prosegue infatti consentendo il licenziameno per « ragioniinerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al

maggiore nelle sentenze in materia di g.m.o. di licenziamento: v. tra le altre Cass.n. 3899/2001 e Cass. n. 88/2002.

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regolare funzionamento di essa »: dunque — potrebbe ritenersi — illicenziamento è consentito in tutti i casi in cui il rapporto si svolgain perdita per l’impresa, poiché lo svolgersi in perdita non può con-siderarsi conforme al « regolare funzionamento » aziendale. Senon-chéèagevoleosservare che—unavolta esclusi i casi di licenziamentoper motivo illecito (discriminatorio, capriccioso, o per rappresaglia),che sono oggetto del divieto di cui all’art. 4 della stessa legge, e i casidi licenziamento disciplinare — l’imprenditore che licenzia un di-pendente lo fa sempre perché ritiene che il bilancio preventivo dellaprosecuzione di quel rapporto contrattuale sia in perdita. Se dunquefosse sufficienteunaperditaattesaqualsiasi, anchedi entitàminima,per giustificare il licenziamento, questo comporterebbe uno svuo-tamento pressoché totale del significato della norma in esame. Devepertanto convenirsi che non basta una perdita attesa qualsiasi pergiustificare oggettivamente il licenziamento (7).

Se dall’art. 3 della l. n. 604/1966 non può trarsi argomento uni-voco a sostegno delle massime B e C, ancor più difficile è trarneargomento a sostegno della A, poiché la norma fa riferimento sol-tanto all’organizzazione produttiva e non alla contabilità dell’im-presa (bilancio societario in attivo o in perdita). E ancor più difficileè trarne qualsiasi argomento a sostegno delle massime D ed E.

Queste ultime, peraltro, sono quelle ricorrenti con frequenzanettamente maggiore nella nostra giurisprudenza: occorre dunqueinterrogarsi sul perché di questo orientamento giurisprudenzialedominante. Una possibile risposta si trova considerando una dellefunzioni più rilevanti svolte di fatto dal diritto del lavoro: lagaranzia dell’eguaglianza tra i lavoratori.

2. Alcuni istituti tradizionalmente propri del diritto del lavoro— e di quello italiano in particolare — sembrano creati allo scopoprincipale di produrre un effetto di eguagliamento fra i lavoratori,facendo sì che la determinazione iniziale del trattamento in sede dinegoziazione individualeprescinda il piùpossibile dallaproduttivitàeffettiva del singolo e proteggendo, nei limiti del possibile, i più de-boli contro successive riduzioni, motivate dal manifestarsi di difettidi produttività. In particolare, l’insieme di questi istituti fa leva

(7) Rinvio ancora al mio scritto citato nella nota 2 per una più estesaargomentazione a sostegno di questa affermazione.

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sull’asimmetria informativa per cui il datore di lavoro al momentodell’assunzione conosce male le capacità del lavoratore (soprattutto— ma non soltanto — quando questi sia un giovane al primo im-piego): il meccanismo protettivo tende, per così dire, a coltivarequella asimmetria informativa, ostacolando tutto quanto può ri-durla, nella fase della costituzione del rapporto (con l’effetto che iltrattamento contrattuale deve essere fissato ex ante, sulla base dellaproduttività media attesa « di categoria »); tende poi a impedire l’ag-giustamento successivo in costanza del rapporto stabilizzato.

Considerato in questa luce, il contratto di lavoro funzionacome una sorta di polizza assicurativa, accollando all’impresa ilrischio dell’inefficienza futura (non causata da colpa osservabile) eproducendo così un effetto di eguagliamento tra i lavoratori.

Svolgono, in maggiore o minore misura, la funzione di impedirela conoscibilità ex ante delle qualità produttive del lavoratore:

— la regola del collocamento al lavoro sulla base di « richiestanumerica » per categoria e qualifica, richiesta presentata dal datoredi lavoro all’organizzazione sindacale (clausola di closed shop nellesue versioni più severe pre-entry e labour pool c. s.) oppure all’ufficiodi collocamento pubblico, il quale procede all’avviamento sullabase di graduatorie basate soltanto sull’anzianità di iscrizione allalista e dei carichi di famiglia; è questa una regola che, nella secondaversione, è rimasta in vigore nel nostro Paese come norma generale— ancorché limitata da numerose eccezioni e di fatto larghissima-mente disapplicata — fino al 1991; si applica tuttora per il collo-camento obbligatorio dei disabili;

— la disciplina limitativa del patto di prova e in particolare larelativa limitazione temporale inderogabile;

— la disciplina limitativa del contratto a tempo determinato e dellavoro temporaneo tramite agenzia, che impedisce l’uso del rapportoa termine come un lungo periodo di prova;

— i divieti di indagine del datore di lavoro sulle opinioni e la vitaprivata del lavoratore, sui suoi precedenti penali, sulle sue malattiee il suo stato di salute.

Svolgono invece la funzione di impedire l’aggiustamento expost del trattamento alle qualità produttive del lavoratore, cono-sciute dal datore di lavoro in costanza di rapporto:

— i meccanismi di progressione di carriera riferiti alla sola

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anzianità di servizio (promozione automatica), diffusamente previ-sti dalla contrattazione collettiva;

— i meccanismi di progressione retributiva automatica riferitiall’anzianità di servizio (scatti di anzianità), questi pure diffusa-mente previsti dalla contrattazione collettiva;

— in generale, tutte le regole che privilegiano la seniority nellascelta dei lavoratori da sospendere dal lavoro, collocare in mobilitào comunque licenziare (last in first out): sono le regole che hanno lamassima diffusione su scala mondiale;

— la disciplina limitativa dei licenziamenti, nella misura in cuiessa impedisce al datore di lavoro di sostituire il lavoratore che sirivela in concreto meno capace di adattarsi agli shock tecnologici,o di sostituire quello che in qualsiasi altro modo si rivela o diventameno produttivo per cause inerenti alla sua persona, come accadealla cameriera sfortunata nel caso da cui abbiamo preso le mosse.

Le ultime due massime giurisprudenziali individuate nel primoparagrafo, in materia di giustificato motivo obbiettivo di licenzia-mento (D: è vietato licenziare l’inefficiente incolpevole; E: è vie-tato licenziare il lavoratore per sostituirlo con un altro lavoratore)si inseriscono perfettamente nel meccanismo tendente a garantirel’efficacia della scelta preventiva per l’eguaglianza. Questa —finché non se ne trovi un’altra più convincente — può dunqueessere indicata come la loro ragion d’essere fondamentale, che sitraduce in giustificazione sul piano giuridico positivo alla luce delprincipio sancito dal secondo comma dell’art. 3 della nostra Costi-tuzione: quello che impone alla Repubblica di adoperarsi perrimuovere gli ostacoli all’eguaglianza sostanziale tra i cittadini,cioè per costruire l’eguaglianza tra diseguali.

Questa chiave di lettura del diritto del lavoro presenta alcunenotevoli assonanze con la teoria della giustizia basata sulla « pre-ferenza a priori per l’eguaglianza », proposta da John RAWLS al-l’inizio degli anni ’70 (8). L’idea del filosofo statunitense è che — inuna situazione originaria nella quale gli individui, liberi e razionali,ignorino la propria posizione concreta (il « velo dell’ignoranza »),cioè non conoscano le dotazioni e posizioni sociali riservate aciascuno di loro in un futuro incerto (la « lotteria naturale »), ma

(8) J. RAWLS, A Theory of Justice, 1971. tr. it. a cura di S. Maffettone,Milano, Feltrinelli, 1982.

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ben conoscano la propria avversione al rischio di trovarsi tra idiseredati e gli esclusi dal benessere — essi siano indotti dal propriointeresse egoisticamente inteso, prima ancora e indipendentementeda eventuali motivi etici, a scegliere di darsi contrattualmente unassetto sociale ispirato a un principio di eguaglianza, che si con-creta in regole di massima uniformità nella distribuzione dei dirittifondamentali e che consente disuguaglianze nella distribuzione didiritti e risorse soltanto quando queste operino in favore di chirisulti in concreto svantaggiato, al fine di ridurne lo svantaggio (9).L’ordinamento fondato su tale principio si propone dunque diperseguire l’uguaglianza nonostante le diversità di dotazioni e diposizioni sociali destinate a determinarsi via via in concreto, anzicontrastando tale diversità sul nascere, oppure contrastandone glieffetti differenziatori sul piano della ricchezza e del benessere.

Possiamo pensare al diritto del lavoro come a un meccanismoche — attraverso gli istituti e le norme che abbiamo sopra consi-derato — tende a far sì che le condizioni contrattuali siano nego-ziate, con effetti tendenzialmente stabili, in una situazione diignoranza o forzata indifferenza circa le dotazioni e qualità deisingoli lavoratori, analoga a quella che RAWLS nel suo paradigmaassume come « situazione originaria » caratterizzata dal « velo del-l’ignoranza ». L’assimilazione, per questo aspetto, del meccanismofondato sull’insieme di quegli istituti al paradigma rawlsiano con-sente di individuare una giustificazione razionale di questa partedel diritto del lavoro, a sé stante e autonoma rispetto alle altre chepure sono state individuate dagli studiosi di economia del lavo-ro (10): di considerare cioè come ragion d’essere del diritto dellavoro, almeno nella sua parte qui considerata, una preferenza apriori per l’eguaglianza, derivante a sua volta dall’avversione alrischio che connota la generalità degli esseri umani e si manifestanella loro preferenza per soluzioni di tipo lato sensu « assicurativo »,

(9) « ... noi non facciamo altro che riunire in una sola concezione un insiemedi condizioni... che, dopo opportuna riflessione, siamo pronti a riconoscere comeragionevoli. ...Un modo di guardare all’idea della posizione originaria è... quello divederla come un artificio espositivo che riassume il significato di queste condizionie ci aiuta a trarne le conseguenze » (op. cit. nella nota prec., p. 35 dell’edizioneitaliana).

(10) Per un censimento di queste possibili giustificazioni razionali rinvio,per brevità, al secondo capitolo delle mie Lezioni di diritto del lavoro, Milano, 2004.

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quando essi si trovano sotto il « velo dell’ignoranza » riguardo allapropria situazione futura e alle dotazioni di cui disporranno.

Va detto subito che l’assimilazione del dispositivo giuslavori-stico sopra evidenziato al paradigma rawlsiano è possibile solo alprezzo di una banalizzazione di quest’ultimo e della obliterazionedi alcuni aspetti assai rilevanti della teoria della giustizia propostadal filosofo statunitense. Innanzitutto, egli teorizza un sistema chegarantisca non tanto una parità nella distribuzione delle risorsemateriali, quanto una equa parità nella distribuzione delle oppor-tunità, ovvero delle aspettative che ciascun individuo può ragio-nevolmente e attivamente coltivare. Inoltre, costituisce parte in-tegrante di quella teoria anche un « principio di differenza » colquale egli giustifica una differenziazione dei trattamenti volta aconsentire la valorizzazione della maggiore produttività dei piùdotati, quando questa valorizzazione ridondi congruamente anchea vantaggio dei meno dotati (11). In altre parole, l’opzione rawl-siana per l’uguaglianza non può intendersi in senso statico, madeve essere vista dinamicamente, tenendosi conto dei meccanismiche determinano la risposta del sistema economico alle regole viavia impostegli. Nella situazione originaria a cui RAWLS fa riferi-mento il « velo dell’ignoranza » copre soltanto gli esiti della lotterianaturale e sociale, non i meccanismi generali secondo i quali ilsistema funziona (12). Su questo punto torneremo nell’ultimaparte del discorso; in questa parte iniziale, l’assimilazione del

(11) Il « principio di differenza » è inteso da RAWLS nel senso di « un accordoper considerare la distribuzione delle doti naturali come un patrimonio comune eper suddividere i benefici di questa distribuzione, qualunque essa sia ». Egliprecisa in proposito che « Coloro che sono stati favoriti dalla natura, chiunque essisiano, possono trarre vantaggio dalla loro buona sorte solo a patto che migliorinola situazione di coloro che ne sono rimasti esclusi. Coloro che sono naturalmenteavvantaggiati non devono ottenere dei benefici solo perché sono più dotati, masoltanto allo scopo di coprire i costi della loro educazione e della loro formazioneprofessionale e di usare il loro talento per favorire anche i meno fortunati.Nessuno merita né le sue maggiori capacità naturali né una migliore posizione dipartenza nella società. Ma ciò non implica che si devono eliminare questedistinzioni. Esiste un modo di considerarle. La struttura fondamentale può esseremodificata in modo che questi fatti contingenti operino per il bene dei menofortunati » (op. cit., p. 98 dell’ed. italiana). Per un’ampia discussione in propositov. recentemente C. ARNSPERGER, P. VAN PARIJS, Quanta diseguaglianza possiamoaccettare?, Bologna, il Mulino, 2003, e ivi particolarmente il cap. V, « variazioni sultema di Rawls », 67-81.

(12) In questo senso M. FERRERA ha parlato, in un recente seminario

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dispositivo giuslavoristico al paradigma rawlsiano — per quantoapprossimativa e criticabile sul piano della lettura corretta delfilosofo statunitense — è utile per individuare e sottolineare unaragion d’essere fondamentale del diritto del lavoro europeo conti-nentale, nella sua configurazione che ha dominato per tutta laseconda metà del secolo XX.

3. Il principio di eguagliamento che può vedersi sotteso al di-spositivo giuslavoristico sopra descritto è soltanto uno dei principifondamentali a cui il diritto del lavoro si è proposto di dare attua-zione nell’ultimo mezzo secolo: altro e ben diverso è il principio diparità di trattamento — fatto proprio dagli ordinamenti interna-zionali, dall’ordinamento comunitario e da tutti gli ordinamenti na-zionali moderni — che si compendia nell’espressione equal treatmentfor work of comparable worth. Mentre con il primo si persegue l’egua-glianza tra le persone in quanto tali, indipendentemente dalla loroproduttività, con il secondo si persegue la precisa commisurazionedel trattamento al « valore » della prestazione lavorativa: è il prin-cipio che nella nostra Costituzione è sancito dall’art. 36, nella partein cui esso prevede appunto il proporzionamento della retribuzionedel lavoratore « alla quantità e qualità del suo lavoro ».

Il principio del pari trattamento per prestazioni di pari valorecomporta, sì, il divieto di considerare alcune differenze tra le per-sone, donde l’eguaglianza di trattamento nonostante quelle diffe-renze; ma comporta anche che siano ben considerate le differenze divalore della prestazione lavorativa, donde la corrispondente disu-guaglianza: un effetto opposto a quello cui tende il dispositivo giu-slavoristico esaminato nel paragrafo precedente. E questa disu-guaglianza non è riconducibile al « principio di differenza » rawlsia-no (13), perché essa è consentita o addirittura perseguita come va-lore in sé, indipendentemente dalla sua idoneità a produrre indiret-tamente effetti benefici per i soggetti più svantaggiati.

Il discorso, poi, si complica se consideriamo che questa disu-guaglianza è, certo, in larga parte determinata dalla dotazioneoriginaria di ciascun lavoratore, ma in parte anche dal suo impe-

organizzato dal Dipartimento di Studi del Lavoro dell’Università di Milano, diun’« ignoranza illuminata dalle cognizioni fornite dalle scienze sociali ».

(13) V. ancora nota 11.

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produttività media. Quel dispositivo entra tuttavia in tensione conla regola dell’insindacabilità delle scelte imprenditoriali là doveesso attiva un controllo giudiziale sulla perdita attesa conseguentealla prosecuzione del rapporto di lavoro, ovvero sul bilancio pre-ventivo del rapporto stesso, ai fini dell’accertamento del motivooggettivo del licenziamento: quanto più questo controllo si sovrap-pone alla valutazione discrezionale dell’imprenditore circa la pro-duttività del rapporto e i relativi costi-opportunità, tanto più laregola dell’insindacabilità delle scelte imprenditoriali ne risultadisattesa.

Qualche tensione si determina anche tra il principio di libertà diimpresa e il principio di parità di trattamento o di commisurazione,quando l’attuazione di quest’ultimo comporti il sovrapporsi dellavalutazione comparativa del giudice a quella dell’imprenditore sullaproduttività (« quantità e qualità ») delle prestazioni lavorative.

5. Torniamo alle cinque massime giurisprudenziali in materiadi giustificato motivo oggettivo di licenziamento, dalle quali ab-biamo preso le mosse. Per facilitare il ragionamento su di esse puòessere utile un minimo di formalizzazione del loro contenuto pra-tico, mediante l’uso di simboli algebrici. Chiamiamo dunque:

θi il numero di stanze rassettate dalla cameriera inefficiente delcui licenziamento si discute,

θn il numero di stanze rassettate normalmente dalle camerieredell’albergo, ovvero il rendimento normale.

Abbiamo visto nel § 1 che — se si escludono i motivi illeciti(discriminatori, di capriccio o di rappresaglia) e il motivo discipli-nare, cioè la colpa della lavoratrice — l’imprenditore che licenziaun dipendente lo fa sempre perché il bilancio preventivo dellaprosecuzione di quel rapporto contrattuale è in perdita; e questoaccade soltanto se effettivamente si riduce il suo fabbisogno dilavoro e/o se il mantenere in servizio la cameriera comporta per luiun costo-opportunità, essendo possibile sostituirla con un’altra piùefficiente. Questo è il caso da cui abbiamo preso le mosse, nel qualeil rendimento della cameriera è sceso, senza sua colpa, sotto ilrendimento normale:

θi < θnQuando questo accade, una parte (minoritaria) della giurispru-

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— ritiene il licenziamento giustificato, secondo la massima A,a condizione che anche l’intero bilancio aziendale sia in perdita;

— ritiene che il licenziamento sia giustificato in ogni caso,secondo la massima B, poiché θi < θn significa che il singolo rap-porto di lavoro è in perdita, e tanto basta;

— ritiene che il licenziamento sia giustificato in ogni caso,secondo la massima C, poiché θn è la prestazione dovuta, al di sottodella quale è sempre ravvisabile l’inadempimento, ancorché incol-pevole.

Esaminiamo queste prime tre massime alla luce dei tre principisopra individuati: quello dell’eguagliamento, quello della commi-surazione e quello della libertà di impresa.

La massima A — quella secondo cui, perché il licenziamentosia giustificato, è sufficiente che il bilancio aziendale sia in perdita— non sembra riconducibile a nessuno dei tre principi costituzio-nali considerati, ponendosi invece in grave contrasto con ciascunodi essi. In un mercato concorrenziale (14) il bilancio aziendale puòessere in pareggio o in attivo solo in quanto l’imprenditore si attivicostantemente per eliminare i singoli rapporti che si svolgono inperdita prima che vada in rosso l’intero bilancio aziendale; impe-dire all’imprenditore di attivarsi per prevenire lo sbilancio, con-sentendogli di attivarsi soltanto quando lo sbilancio si sia ormaiverificato, contrasta dunque innanzitutto con il principio di libertàdi impresa. Ma quella massima contrasta altresì con il principio dicommisurazione, per la parte in cui inibisce indiscriminatamente illicenziamento (differenziazione del trattamento in relazione allaquantità-qualità della prestazione) all’impresa con bilancio in at-tivo e, simmetricamente, contrasta con quello di eguagliamentoper la parte in cui lo consente indiscriminatamente all’impresa conbilancio in perdita.

(14) Diversa è la posizione del monopolista, che può permettersi di man-tenere stabilmente rapporti di lavoro produttivi di perdite, quando queste sonocoperte dalla rendita derivante per lui dall’assenza di concorrenza. Questa con-siderazione potrebbe costituire argomento per l’applicabilità della massima Aall’impresa operante in regime di monopolio. Non mi risulta, tuttavia, che né inItalia né altrove siano mai state pronunciate sentenze tendenti a differenziare ilcriterio di valutazione del licenziamento economico a seconda della strutturamonopolistica o concorrenziale del mercato dei beni o dei servizi in cui operal’impresa.

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La massima B — quella secondo cui per la legittimità dellicenziamento basta che sia in perdita il bilancio preventivo delsingolo rapporto di lavoro — trova agevolmente un fondamentonel principio di libertà di impresa e in quello di commisurazione: illegittimo titolare dell’impresa può licenziare chi produce di menoper ridurre i costi e incrementare l’utile; donde, almeno tenden-zialmente, un premio per i dipendenti più efficienti. Ma questamassima porta con sé un sacrificio netto del principio di eguaglia-mento.

La massima C — secondo cui per la legittimità del licenzia-mento basta che la prestazione lavorativa sia meno produttiva delnormale, configurandosi così comunque un inadempimento —trova il suo fondamento principale nel principio di commisura-zione: può essere licenziato il lavoratore obbiettivamente inadem-piente, intendendosi per tale quello il cui rendimento si colloca aldi sotto dello standard obbiettivamente dovuto. A ben vedere,questa massima attribuisce rilievo all’evento passato o presente(l’inadempimento verificatosi), in quanto fonte di ragionevole pre-visione di un evento futuro (la perdita attesa): per questo aspetto,dunque, essa si pone in armonia anche con il principio di libertà diimpresa al pari della massima B. Ma, al pari della massima B, essaproduce un sacrificio netto del principio di « eguagliamento » (15).

Quanto alle ultime due massime - secondo le quali, rispettiva-mente, può essere licenziato per inefficienza soltanto il lavoratoreche ne sia colpevole (D) ed è vietato licenziare il lavoratore persostituirlo con uno più efficiente (E) — esse trovano invece, comesi è visto nel secondo paragrafo, il loro fondamento costituzionalenel principio di « eguagliamento »; il principio di commisurazione èapplicato soltanto in riferimento all’impegno profuso dal lavora-tore (il difetto colpevole di impegno può essere punito col licenzia-mento) ma non in riferimento alla sua efficienza obbiettiva; la

(15) Il sacrificio del principio di eguagliamento portato dalla massima Cpuò ridursi se la nozione di « inadempimento notevole », cui fa riferimento l’art. 3della l. n. 604/1966, viene interpretata (non nel senso della necessità di unadifferenza « apprezzabile », ma) nel senso della necessità che la differenza θn − θiassuma un valore particolarmente elevato. In questo caso il risultato praticodell’applicazione della massima C può avvicinarsi fino a coincidere con quellodelle massime D ed E, secondo la lettura e applicazione che ne viene propostainfra in questo paragrafo.

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libertà d’impresa è fortemente limitata per ciò che riguarda lafunzione di selezione delle risorse umane: non è consentito all’im-prenditore scegliere i migliori e scartare i peggiori.

Sta di fatto che nessuna delle cinque massime considerate, aben vedere, se considerata nell’assolutezza della sua formulazione,rispecchia mai compiutamente l’itinerario logico seguito dal giu-dice per decidere il caso concreto. Se si guarda alla sostanza dellesingole decisioni giudiziali, senza fermarsi alla parte teorica dellerelative motivazioni, è agevole constatare che nessuna delle mas-sime considerate è mai ritenuta dal giudice come l’unica regolaapplicabile per la soluzione del caso concreto: tutti i giudici sannobene che nessuno dei tre principi costituzionali che entrano in giocopuò assumere valore assoluto; e che, viceversa, nessuno dei tre puòessere totalmente obliterato. A ben vedere, la « ragione » del licen-ziamento di cui all’art. 3 della l. n. 604/1966 sta proprio, secondo ildiritto vivente, nel contemperamento fra quei tre principi.

Tutti i giudici, dunque, anche quando non lo dicono nelle mo-tivazioni delle loro sentenze, per un verso ritengono che non bastinoné una perdita attesa di entità qualsiasi, né un inadempimento og-gettivo qualsiasi, per giustificare il licenziamento (dunque non ap-plicano mai la massima B come unica regola); per altro verso sannoche deve sempre esserci una soglia (che nella figura 1 coincide con ladifferenza θn - θg), oltre la quale la perdita attesa (θn − θi) non po-tendo essere ragionevolmente accollata all’impresa, giustifica il li-cenziamento (dunque non applicano mai né la massima D né la mas-sima E nella loro assolutezza).

Figura 1

θi θn0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41

eguagliamento <------ θg------> commisurazionelibertà di impresamassime D ed Emassime B e C

θn = rendimento normale

θi = rendimento della cameriera inefficiente

θn - θg= limite minimo della perdita attesa che può giustificare il licenziamento

Dove quella soglia θn - θg si collochi, nel nostro ordinamento

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attuale dipende dal peso che il giudice soggettivamente attribuisceal principio di eguagliamento rispetto agli altri due principi. Piùalta è la soglia, più alto è il grado di garanzia dell’eguagliamentotra i lavoratori; e corrispondentemente:

— maggiore è il contenuto assicurativo del rapporto di lavoro;— maggiore è il sacrificio del principio di commisurazio-

ne (16);— minore è lo spazio lasciato alla libertà dell’imprenditore

nella scelta e gestione delle risorse umane in azienda.Nel caso della cameriera d’albergo che abbiamo assunto come

banco di prova del ragionamento, dunque, non può negarsi l’esi-stenza di un numero minimo giornaliero di stanze rassettate, al disotto del quale la lavoratrice può essere licenziata. Il divieto disostituzione della cameriera con una più efficiente, pertanto, nonpuò essere assoluto: la legittimità o no della sostituzione dipendedall’entità della differenza di produttività tra le due (θn - θi), che èquanto dire dall’entità del costo-opportunità che prevedibilmentegrava sull’albergatore in conseguenza della prosecuzione del rap-porto; e dall’opinione del giudice circa la collocazione di θg, che èquanto dire dal modo in cui il giudice stesso nel caso concretocontempera il principio di eguagliamento con gli altri due.

Ora, immaginiamo un plausibile svolgimento della vicendagiudiziale conseguente all’impugnazione del licenziamento. Ipotiz-ziamo, ad esempio, che in un primo tempo il giudice della fasecautelare ritenga sufficiente, per giustificare il licenziamento, lariduzione permanente di un terzo della capacità lavorativa (θg1),quindi a maggior ragione la riduzione della metà verificatasi nelnostro caso (θi); ma che in seguito, nel giudizio di merito di primogrado, un altro giudice ritenga invece necessaria una riduzionepermanente della capacità lavorativa di almeno due terzi (θg2) econseguentemente annulli il licenziamento, ordinando la reintegra-zione della cameriera nel suo posto. Il rapporto di lavoro riprende,con la perdita conseguente a carico dell’albergo, eventualmenteaumentata dal fatto che nel frattempo è stata assunta un’altra

(16) È interessante osservare che, a parità di protezione contro il licenzia-mento, una più ampia variabilità della retribuzione in relazione alla produttivitàridurrebbe il sacrificio del principio di commisurazione, temperando l’effettoegualitario del dispositivo di protezione.

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cameriera in sostituzione di quella inefficiente, per cui la presta-zione di quest’ultima, a questo punto, è del tutto superflua. Ipo-tizziamo poi che anche il giudice d’appello ritenga necessaria, pergiustificare il licenziamento, una riduzione permanente del rendi-mento superiore alla metà (θg3) e che però questa sentenza vengaannullata in Cassazione, con rinvio a un nuovo giudice di merito,che alla fine dia ragione all’impresa (θg4).

Figura 2

θi θn0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41

θg1θg2

θg3 θg4

θg1 = esito del giudizio cautelare (impugnazione respinta)

θg2 = esito del giudizio di merito di 1° grado (licenziamento annullato)

θg3 = esito del giudizio d’appello (licenziamento annullato)

θg4 = esito del giudizio di rinvio, in seguito a cassazione della sentenzad’appello (licenziamento convalidato)

Secondo un orientamento giurisprudenziale che ha prevalsoincontrastato per un ventennio — e che solo negli ultimi anni èstato disatteso da alcune sentenze di Cassazione (17) — circal’interpretazione e applicazione dell’art. 18 St. lav., retribuzioni econtributi previdenziali pagati dall’impresa nel lungo periodo chepuò intercorrere tra la sentenza di merito di primo grado, ad essasfavorevole, e l’ultima sentenza, di segno contrario, non possonoessere recuperati, neppure se durante l’intero periodo la camerieraè stata lasciata del tutto inattiva: l’impresa può star contenta seriesce a recuperare quanto pagato a titolo di risarcimento deldanno per il periodo intercorso tra il licenziamento e la primasentenza di merito.

Le cose, ovviamente, vanno peggio per il datore di lavoro se èla sentenza θg2 o la θg3 ad arrivare per ultima: in questo caso, nongli sarà servito a nulla ottenere la sentenza favorevole θg1 o la θg4in una fase intermedia, poiché alla fine, oltre a reintegrare la

(17) Cfr. Cass. n. 8263/2000.

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cameriera nel suo posto di lavoro, egli dovrà anche risarcirla ditutte le retribuzioni perdute dalla data del licenziamento, nonchépagare i relativi contributi previdenziali e le sanzioni per la tardi-vità del versamento.

In altre parole: per effetto del particolare apparato sanziona-torio disposto dall’art. 18 St. lav., così come esso è stato fin quiprevalentemente interpretato e applicato, al datore di lavoro bastaincontrare il giudice più severo anche una sola volta per subire unaperdita cospicua, indipendentemente dall’esito finale della causa.Questo fa sì che egli determini le sue scelte, in materia di licenzia-mento, facendo riferimento non all’orientamento giurisprudenzialemedio, ma agli orientamenti giurisprudenziali più severi (nel no-stro caso θg2 o θg3), ovvero a quelli che attribuiscono il maggiorpeso al principio di eguagliamento rispetto a quello di commisura-zione e a quello della libertà dell’imprenditore nella scelta deidipendenti più efficienti.

6. Proprio in riferimento al principio di eguagliamento, tut-tavia, il vecchio meccanismo egualitario del nostro diritto dellavoro, incardinato sulla nozione di giustificato motivo di licenzia-mento e sul contenuto assicurativo del rapporto, illustrata nellepagine che precedono, presenta alcuni difetti immediatamenteevidenti.

Innanzitutto, a causa della discrezionalità lasciata al giudicenella determinazione della soglia di perdita attesa idonea a giusti-ficare il licenziamento, quel meccanismo opera di fatto in modidiseguali da zona a zona: nel caso da cui abbiamo preso le mosse,alla cameriera tocca una sorte diversa a seconda dell’orientamentodel giudice del luogo in cui si trova l’albergo, poiché ogni giudice hauna propria idea circa la soglia minima delle stanze rassettate (piùprecisamente: il valore della differenza θn - θg , al di sotto dellaquale può scattare il licenziamento. E la stessa alea si ripropone insede di Cassazione: basti considerare che, come si è visto, ciascunadelle cinque massime sopra proposte è ben rappresentata, ancorchécon frequenza differente, nella giurisprudenza di legittimità piùrecente.

In secondo luogo, anche là dove la decisione sia affidata algiudice più egualitarista, come pure si è visto, può sempre accadereche la soglia venga superata (perché il divieto di sostituzione non

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può essere assoluto) e che la lavoratrice incolpevole sia pertantolicenziata legittimamente, senza alcun indennizzo: per una stanzarassettata in più o in meno, la nostra cameriera d’albergo puòsalvare o perdere tutto. Sotto il profilo della « preferenza ex ante perl’uguaglianza », cui dovrebbe fondamentalmente ispirarsi quelmeccanismo, qui c’è evidentemente qualche cosa che non funzionaa dovere: proprio la cameriera che risulta più gravemente perdentealla lotteria della vita viene abbandonata a se stessa, senza che ilcosto da lei sopportato per l’espulsione dal posto di lavoro venga inalcun modo internalizzato nel bilancio dell’impresa.

Sempre sotto il profilo del principio di eguaglianza, il vecchiomeccanismo presenta anche alcuni altri difetti, meno immediata-mente evidenti, ma in realtà più gravi di quelli testé individuati:

— più il lavoro regolare è stabile, più è difficile per il disoccu-pato, il precario e l’irregolare uscire dalla loro posizione: in altreparole, la protezione della stabilità rischia di generare il fenomenodel mercato del lavoro duale, diviso in compartimenti tra loro pocoo nulla comunicanti;

— inoltre, il lavoratore meno efficiente che, nonostante laprotezione contro il licenziamento offertagli dal sistema, perde ilposto si trova a negoziare una prestazione della quale è ormaiconoscibile la produttività θi inferiore a θn: cioè una prestazioneche si colloca, rispetto alla categoria di appartenenza, visibilmentenella parte inferiore alla media; in questo caso lo standard minimoinderogabile di trattamento determinato in riferimento alla pro-duttività normale θn si ritorce contro il lavoratore, esponendolo alrischio di disoccupazione di lunga durata; in altre parole, il mec-canismo di eguagliamento si trasforma per lui in meccanismo diesclusione (la nostra cameriera d’albergo, se il giudice riterràgiustificato il licenziamento, troverà un nuovo posto di lavoro condifficoltà tanto maggiore quanto più rigido è il dispositivo giusla-voristico che la ha protetta fino a quel momento);

— infine, in un mercato caratterizzato dall’asimmetria infor-mativa circa la qualità delle prestazioni lavorative offerte, di cui siè detto nel § 2, se è consentito ai lavoratori (che sanno di essere) piùefficienti di collocarsi al di fuori dell’area di applicazione della pro-tezione, essi tendono a farlo, avendo un forte incentivo a sottrarsi almeccanismo egualitario: il fenomeno può manifestarsi sotto forma

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di spostamento dall’area del lavoro subordinato a quella del lavoroautonomo (18), oppure sotto forma di spostamento dal paese contasso di rigidità della protezione del lavoro più elevato a quello contasso inferiore (è quanto accade, ad esempio, nel mercato del lavorouniversitario tra Europa continentale e U.S.A.); in questo caso ilmeccanismo egualitario si riduce a un meccanismo di solidarietà trai soli più deboli e aumentano le disuguaglianze tra questi e i lavo-ratori professionalmente più forti (19).

In un sistema di mercato nel quale l’ordinamento non possaoffrire una garanzia assoluta contro il rischio di disoccupazione o dioccupazione irregolare, e che non possa impedire la fuga dei piùforti dall’area protetta, il vecchio modello di protezione del lavoroproduce dunque anche effetti che contrastano gravemente conl’ideale egualitario.

7. Sta di fatto che negli ordinamenti europei si assiste, nel-l’ultimo quindicennio, a una tendenza generale al depotenzia-mento, più o meno marcato, di una parte consistente delle istitu-zioni giuslavoristiche egualitaristiche. Per ciò che riguarda, inparticolare, l’ordinamento italiano, questa tendenza caratterizzal’evoluzione del diritto del lavoro già da un quarto di secolo, senzaperò investire la disciplina del licenziamento, la quale anzi, nellostesso periodo, è stata semmai irrobustita:

— dalla prima metà degli anni ’80 ha incominciato a esseregradualmente depotenziata la regola del collocamento su richiestanumerica, fino alla sua abrogazione quasi totale avvenuta nel 1991;

— dalla fine degli anni ’70 ha incominciato a essere gradual-mente flessibilizzata la disciplina limitativa del contratto a ter-mine; nel 2001 è stata emanata una riforma della materia forte-mente liberalizzatrice, almeno negli intendimenti del legislatore;

(18) Si registra infatti una forte correlazione tra grado di rigidità dellaprotezione del lavoro e tasso di lavoro autonomo: v. in proposito OCDE, Protec-tion de l’emploi et performance du marché du travail, in Perspectives de l’emploi,giugno 1999, e ivi particolarmente p. 81 (« les résultats... confirment qu’une législa-tion pour la protection de l’emploi stricte est un facteur important de développementde l’emploi indépendant »), la tabella 2.10 alla p. 85 e il grafico 2.2 alla p. 78.

(19) Questo fenomeno è descritto da G.A. AKERLOF nel suo notissimo saggioThe Market for « Lemons »: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in TheQuarterly Journal of Economics, 1970, 488-500.

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— dal 1997 è consentita la fornitura di lavoro temporaneo daparte di agenzie specializzate; dal 2003 questa è consentita in tuttii casi nei quali è consentita l’assunzione a termine; di fatto il lavorotemporaneo tramite agenzia è largamente utilizzato in sostituzionedel patto di prova;

— dall’inizio degli anni ’80 l’ordinamento ha previsto comeforma normale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro unrapporto di lavoro a termine, fosse esso denominato apprendistato,contratto di formazione e lavoro, oppure — con la riforma del 2003— « contratto di inserimento ».

All’esito di questa fase sempre piu estesa di esame delle qualitàdel lavoratore, solo quello che risulta essere più efficiente e affida-bile riesce ad accedere alla cittadella del lavoro stabile; il piùdebole si impantana nella palude del lavoro precario. È facileprevedere che il processo di liberalizzazione del lavoro temporaneo,se la disciplina dei licenziamenti resterà inalterata, accentuerà ilcarattere duale del mercato: assisteremo, cioè, a un aumento delledisuguaglianze tra i lavoratori (20).

8. Sotto il « velo dell’ignoranza » circa le proprie dotazionipersonali e la propria situazione effettiva nel mercato, ma noncirca i meccanismi generali di funzionamento del mercato stes-so (21), quale assetto preferisce il lavoratore occidentale del XXIsecolo, che teme di risultare perdente alla lotteria naturale o aquella sociale e vuole ridurre il proprio rischio al minimo, in untessuto produttivo in continuo movimento ed esposto agli shockpiù svariati?

Egli potrebbe forse preferire un sistema che offrisse al piùdebole una garanzia di stabilità assoluta del posto di lavoro, anchea costo di un « premio di assicurazione » elevatissimo, purché nonfosse consentito ai più forti sottrarsi alla mutua assicurazione e

(20) È vero che, in Italia, l’area di applicazione del vecchio sistema pro-tettivo sarebbe destinata ad ampliarsi se trovasse applicazione rigorosa e gene-ralizzata la nuova norma (d.lgs. n. 276/2003, art. 69) che impone di considerarecome rapporti di lavoro subordinato ordinario tutti i rapporti di collaborazioneautonoma continuativa a tempo indeterminato. Ma i primi dati disponibili suglieffetti di questa norma, a un anno dalla sua emanazione, non autorizzano alcunottimismo in proposito.

(21) V. in proposito nota 12.

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fosse reso trascurabile per tutti il rischio della disoccupazione o dellavoro irregolare. Il problema, qui, nasce dal fatto che è moltodifficile costruire un sistema con queste caratteristiche, che nonabbia anche le altre caratteristiche assai indesiderabili dei sistemicollettivisti sperimentati nell’Europa orientale nel secolo scorso. Esi osservi come queste altre caratteristiche — tra le quali unadrastica compressione delle possibilità di sviluppo economico e diconseguente miglioramento delle condizioni e aspettative anchedei più svantaggiati — allontanino notevolmente questo sistemadal modello ideale rawlsiano, nel quale gioca un ruolo assai impor-tante l’incentivo alle persone più produttive, quando la ricchezzada loro prodotta possa essere utilizzata per il miglioramento dellecondizioni delle persone più svantaggiate (22).

Quello che invece appare indiscutibile è che il nostro lavoratorerawlsiano non può preferire un sistema del tipo di quello che è statoin vigore in Italia nell’ultimo mezzo secolo, il quale ha di fattorinunciato a costruire l’uguaglianza tra i diseguali mediante iservizi nel mercato del lavoro, proponendosi di costruirla soltantomediante un meccanismo assicurativo inderogabile difettoso: essoha offerto, sì, a molti un contratto di lavoro-polizza assicurativacon massimale di copertura molto elevato, ma non è stato in gradodi impedire una vasta area di disoccupazione e di lavoro nonprotetto, dalla quale è difficile uscire (perché dove è più stabile illavoro regolare è anche più stabile la posizione del disoccupato equella dell’irregolare): in Italia oggi è questa la posizione di almenoun quarto della forza lavoro. Né il nostro lavoratore rawlsiano puòpreferire un sistema come il nostro attuale che, nonostante ilsuddetto meccanismo assicurativo, espone comunque chi si rivelanotevolmente più debole e inefficiente della media al rischio diperdere il posto di lavoro senza alcun indennizzo, collocandosi aquesto punto visibilmente nella metà meno produttiva della suacategoria e cadendo quindi nella trappola della disoccupazione dilunga durata. Un sistema nel quale, oltretutto, quest’ultima eve-nienza può verificarsi con maggiore o minore probabilità da zona azona, a seconda dell’orientamento del giudice territorialmentecompetente.

(22) V. in proposito nota 11.

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9. Dal punto di vista del paradigma rawlsiano, deve conve-nirsi che

— chi e destinato a risultare il piu sfortunato stara meglio seè la legge, piuttosto che il singolo giudice, a fissare e dosare ilcontenuto assicurativo del contratto di lavoro secondo criterigenerali: stara meglio, in particolare, se — fermo restando ilcontrollo giudiziale contro il licenziamento discriminatorio — il« filtro » del licenziamento per motivi economici è costituito da uncongruo indennizzo dovuto in ogni caso e non da una valutazionegiudiziale circa la bontà del motivo del licenziamento, cui puòconseguire la perdita incolpevole del posto senza alcun indennizzo;

— il più sfortunato stara meglio se il meccanismo assicurativoinderogabile offertogli dall’ordinamento ha carattere rigorosa-mente universale, accomunando deboli e forti in un unico sistemasolidaristico, senza possibilità per i più forti di sottrarvisi e senzaesclusione dei più deboli: egli può essere dunque interessato asacrificare una parte della copertura assicurativa, se questo ènecessario per ampliare la platea degli assicurati verso l’alto, maanche verso il basso, con una limitazione rigorosa dei contratti atermine;

— la garanzia migliore di benessere per chi risulta perdentealla lotteria naturale e sociale è data comunque da un sistema diservizi di istruzione, formazione, informazione e assistenza nelmercato del lavoro capace di ridurre il più possibile, fino adazzerare, il suo deficit di dotazione iniziale o il suo handicap,preesistente o sopravvenuto.

Nel contesto economico globale in cui oggi ci collochiamo, unabuona prospettiva per i « perdenti » potrebbe dunque essere garan-tita da un ordinamento che, innanzitutto, istituisse una rete uni-versale di sicurezza costituita da un sistema di servizi scolastici, diformazione mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente pos-sibili, di informazione e orientamento professionale, di assistenzaalla mobilità geografica, di ricerca intensiva della nuova occupa-zione, oltre che di sostegno del reddito per la durata del periodo didisoccupazione, tanto più intensi e attivi quanto più debole è laposizione della persona interessata: cioè mobilitati efficacementeper neutralizzare il suo deficit naturale di competitività, anche alcosto di un ingente prelievo dal prodotto nazionale lordo, necessa-rio per il finanziamento di tali servizi. Sul piano della disciplina del

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rapporto individuale, quell’ordinamento dovrebbe invece offrire achiunque lavori continuativamente e prevalentemente per ununico datore di lavoro o committente, quale che sia la forma delrapporto stesso, un contratto con contenuto assicurativo più ri-dotto rispetto a quello oggi offerto dal regime italiano di tutelareale (salva la protezione contro le discriminazioni), ma in unsistema di mutua assicurazione veramente universale, suscettibiledi applicarsi sia ai più forti, che oggi riescono a sottrarvisi, sia aipiù deboli, che oggi ne sono esclusi. Un ordinamento siffattoassicurerebbe alla generalità dei lavoratori in posizione di sostan-ziale dipendenza dal datore di lavoro o committente periodi rela-tivamente lunghi di lavoro ragionevolmente protetto, in alter-nanza con periodi di disoccupazione brevi e ben assistiti, precedutida una separazione non traumatica dall’azienda: una separazione,cioè, accompagnata da un congruo indennizzo, dovuto in ogni caso,per il danno intrinsecamente inerente alla perdita del posto, pro-porzionato all’anzianità di servizio e in parte convertibile in unpreavviso di lunghezza variabile a scelta del lavoratore. Il licen-ziamento sarebbe disincentivato e « filtrato », oltre che dal sud-detto indennizzo, da un meccanismo di assicurazione contro ladisoccupazione finanziato dall’azienda stessa con un contributocrescente al crescere del numero dei licenziamenti (23).

Nel caso da cui abbiamo preso le mosse, applicandosi unmeccanismo di protezione di questo tipo, la cameriera divenutainefficiente avrebbe una probabilità di essere licenziata tanto mag-

(23) Il riferimento più interessante, su questo punto, è alla recente propostadi riforma della disciplina dei licenziamenti elaborata da O. BLANCHARD e J. TIROLE

in riferimento all’ordinamento francese (Contours of employment protection reform,2003, tr. it. in q. Riv., 2004, I, 161-211), consistente essenzialmente nel porre acarico dell’impresa: a) il danno della perdita del posto, che dovrà essere inden-nizzato mediante una congrua buonuscita (meglio se in parte convertibile a sceltadel lavoratore in preavviso lavorato); b) il danno del restare disoccupato, chedovrà essere indennizzato mediante un meccanismo assicurativo finanziato dal-l’impresa stessa, con premio crescente in riferimento alla frequenza dei licenzia-menti. Gli Autori sottolineano come questo assetto della disciplina della materianon sia di per sé riduttivo della stabilità garantita ai lavoratori regolari dallediscipline attualmente vigenti nell’Europa continentale, neppure da quelle piùrigide: il grado di protezione offerto — e quindi l’entità del contenuto assicurativodel rapporto di lavoro — dipende essenzialmente dall’entità del costo del licen-ziamento (cui corrisponde la soglia al di sotto della quale la perdita attesa dallaprosecuzione del rapporto rientra nel rischio posto a carico dell’impresa).

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giore quanto minore è la sua anzianità, stante il costo corrispon-dentemente minore per l’impresa e la maggiore perdita attesa dallaprosecuzione del rapporto; se licenziata, però, essa riceverebbeautomaticamente — cioè senza mettere di mezzo giudici e avvocati— un indennizzo adeguato per il danno immediato derivante dallaperdita del posto a carico dell’albergo (ciò che nel nostro sistemaattuale non è previsto), potendo lei stessa scegliere se incassarlotutto subito o convertirlo parzialmente in retribuzione corrente,con corrispondente differimento della cessazione del rapporto dilavoro; avrebbe la prospettiva di essere presa in carico da unsistema di servizi finanziato dall’impresa con un contributo pro-porzionale alla frequenza dei licenziamenti operati, capace di ri-qualificarla in funzione di una nuova occupazione nella quale lasua menomazione pesi di meno o non pesi affatto (centralinista,addetta a un servizio di portineria o reception, ecc.), senza perditarilevante di reddito nel periodo necessario al passaggio; avrebbepiù facilità di ritrovare un’occupazione meglio compatibile con ilsuo handicap, in un mercato del lavoro più fluido.

È questo il modello sperimentato con notevole successo (anchese con costi molto elevati per l’erario: fino al 3% del redditonazionale nei periodi di congiuntura sfavorevole) nell’ultimomezzo secolo nei Paesi nord-europei, e in quelli scandinavi inparticolare: i Paesi dove gli ultimi della fila stanno meglio, rispettoa qualsiasi altro Paese del mondo. Ed è questo probabilmente oggil’unico modo che si offre anche a noi per realizzare un sistema diprotezione del lavoro capace di conciliare tra loro i principi dieguaglianza, di commisurazione e di libertà d’impresa. Semprechéun’opzione siffatta sia ancora all’ordine del giorno.

LA STABILITÀ DEL LAVORO E IL VALORE DELL’UGUAGLIANZA. — Riassunto. L’A.prende spunto dalla notevole varietà degli orientamenti giurisprudenziali in materia di giustificato motivooggettivo di licenziamento, per interrogarsi sul loro fondamento legislativo e osservare che proprio l’orienta-mento dominante appare quello più lontano dal contenuto letterale della norma che regola la materia. Essoappare invece coerente con la funzione più rilevante svolta di fatto dal diritto del lavoro nell’ultimo mezzosecolo: la garanzia dell’uguaglianza di trattamento dei lavoratori, indipendentemente dalle differenze direndimento tra di essi. Questa funzione, corrispondente al principio di eguagliamento di cui all’art. 3 Cost.,deve tuttavia essere contemperata con il principio di commisurazione del trattamento al valore della presta-zione, di cui all’art. 36 Cost., e con quello di libertà di impresa di cui all’art. 41 Cost.: da questocontemperamento, secondo l’A., nasce la nozione di giustificato motivo di licenziamento, cardine dell’interosistema del diritto del lavoro. Sul piano dello ius condendum, l’A. osserva poi come le caratteristiche delmercato del lavoro attuale facciano sì che il vecchio meccanismo protettivo produca anche effetti nettamentecontrari al principio di eguagliamento tra i lavoratori; e ne trae argomento a sostegno di una riforma delmeccanismo stesso, di cui traccia le linee essenziali.

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JOB SECURITY AND THE VALUE OF EQUALITY. — Summary. The Author moves from theremarkable variety of the courts’ decisions about the justification of dismissal for economic reasons; he thenexamines their legislative ground and points out that it is just the maxim that prevails in the case-law booksthat is the least coherent with the literal content of the norm regulating this matter in the Italian law. On theother hand, the same maxim appears, on the contrary, coherent with the most relevant function effectivelyexerted by labour law in the last half century: the guarantee of parity of treatment among workers,notwithstanding the differences among their performances. This function, which in the Italian law correspondsto the principle of equalization set by Sect. 3 of the Constitution, must be balanced with the principle of equaltreatment for work of comparable worth, which in the Italian law is based on the Sect. 36 of the Constitution,and with the principle of liberty of enterprise, set by Constitution Sect. 41: from this balance, according to theA., the notion of objective dismissal justification, keystone of the whole labour law system, arises. On the levelof the reform of the matter, the A. observes that the labour market characteristics cause the old protectionmechanism to produce also some effects that clash with the workers’ equalization principle; and from thisobservation he draws an argument in favour of a reform of this mechanism, whose essential contents areoutlined in the last part of the essay.

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GIORGIO BRUNELLO

Ordinario di politica economica nell’Università di Padova

ADRIANA TOPO

Associato di diritto del lavoro nell’Università di Padova

IL NUOVO APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE:DALLA FORMAZIONE APPARENTEALLA FORMAZIONE EFFETTIVA? (*)

SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. Le ragioni economiche dell’intervento pubbliconel campo della formazione. — 3. L’apprendistato in Italia e in Europa. —4. La durata del contratto di apprendistato nella legge anteriore al d.lgs. n.276/2003. — 5. La durata dell’apprendistato nel d.lgs. n. 276/2003. — 6. La« fidelizzazione » dell’apprendista. — 7. La certificazione delle competenzepratiche nell’apprendistato. - 7.1. La certificazione della competenze profes-sionali nella l. 24 giugno 1996, n. 197. - 7.2. La certificazione delle compe-tenze maturate dall’apprendista e la rilevanza della qualifica professionalenella disciplina dettata dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. — 8. Conclu-sioni.

1. La formazione professionale è da tempo argomento didiscussione nel dibattito di politica economica e nei circoli accade-mici. Da più parti si sottolinea come l’Italia stia perdendo terrenoin termini di competitività, e come ciò sia dovuto, tra l’altro, alloscarso investimento in formazione del capitale umano. In terminiquantitativi, la percentuale della forza lavoro con un titolo discuola secondaria superiore è in Italia tra le più basse nella Comu-nità europea, superiore solo a Grecia e Portogallo. La stessa qualitàdel sistema educativo è sotto scrutinio, visti i risultati dell’indagineOCSE sui quindicenni europei, che mostra come il livello medio di

(*) Questo saggio è frutto del lavoro congiunto dei due autori; tuttavia, G.BRUNELLO ha curato individualmente i paragrafi 2, 3 e 8 e A. TOPO i paragrafi 4-7.Gli autori ringraziano Paolo SESTITO per i commenti a una prima versione del lavoro.

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competenze scientifiche e letterarie degli studenti italiani sia so-stanzialmente inferiore ai migliori esempi europei (1).

Si rileva inoltre che in Italia viene realizzata poca formazioneprofessionale. Secondo l’ultima indagine Eurostat sulla formazionefatta dalle imprese, la percentuale di imprese che investono informazione sul totale di tutte le imprese era nel 1999 pari al 62percento nei 15 paesi della Comunità europea e al 24 percento inItalia. Anche nelle ore medie di formazione per lavoratore l’Italianon eccelle, con 7 ore rispetto alle 11 della media europea (2).Risultati simili emergono dall’ultima indagine sulle famiglie euro-pee, che si riferisce al 2001. Da tale indagine risulta come solo il4.26 percento degli italiani in età tra i 18 e i 30 anni abbia fatto unqualche tipo di formazione, contro il 20.46% della media euro-pea (3). Infine, i tempi medi necessari in Italia per la transizionedalla scuola al lavoro sono tra i più lunghi tra i paesi OCSE (4).

Dunque, in Italia sia l’istruzione sia la formazione professio-nale sono in ritardo rispetto all’Europa. Se pensiamo che la for-mazione del capitale umano sia cruciale per la crescita della pro-duttività, e quindi del benessere economico della popolazione,occorre individuare forme di intervento economiche e giuridicheche consentano di colmare il gap esistente con i nostri principalipartners europei.

Nel presente lavoro esaminiamo un istituto importante nelpanorama formativo italiano, l’apprendistato, e in modo partico-lare l’apprendistato professionalizzante (5). Il contratto di appren-distato sta attirando infatti da qualche tempo un’attenzione cre-

(1) Cfr. il progetto PISA, nel sito www.oecd.org.(2) Eurostat, Continuous Vocational Training Survey (1999).(3) European Community Household Survey.(4) I dati, che si riferiscono alla seconda metà degli anni ’90, sono reperibili

in N. BOTTANI, A. TOMEI, La difficile transizione dalla scuola al lavoro, www.lavo-ce.info del 29 settembre 2004.

(5) Il presente studio ha ad oggetto l’apprendistato « professionalizzante »,regolato dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 nell’ambito di una riforma che neprevede tre diversi tipi. L’apprendistato professionalizzante riproduce e sostan-zialmente sostituisce il precedente e unico modello di apprendistato volto a farconseguire al lavoratore una qualifica professionale attraverso prestazioni dilavoro subordinato. Sul fatto che l’apprendistato professionalizzante erediti lefunzioni assolte in precedenza dall’unico apprendistato regolato dalla legge cfr. G.FERRARO, Contratto di apprendistato, in G. FERRARO, Tipologie di lavoro flessibile,Torino, 2004, 119, a p. 124.

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scente da parte degli operatori interessati, a fronte della riduzionedel peso di altri contratti di lavoro a contenuto formativo, come icontratti di formazione e lavoro (6).

La figura 1 mostra la recente evoluzione dello stock annuale diapprendisti rispetto allo stock di assunti con contratto di forma-zione e lavoro (c.f.l.). Lo stock degli apprendisti è aumentatonotevolmente a partire dal 1997, anno in cui è stata promulgata lalegge Treu di riforma della fattispecie, ed ha superato lo stock deic.f.l. a partire dal 1999, quando a causa delle note difficoltà in sedecomunitaria, quest’ultima fattispecie è diventata una modalità diassunzione meno appetibile. Come altri ha ricordato (7), il tenden-ziale aumento dello stock di apprendisti è anche da collegareall’allargamento della platea dei lavoratori interessati a seguitodella legge Treu, che ha innalzato l’età massima di partecipazioneda 20 a 24 anni. La dinamica negli ultimi anni sembra tuttaviasuggerire come l’apprendistato si sia via via configurato come unostrumento sostitutivo del contratto di formazione lavoro, in cuil’elemento formativo è secondario di fronte al ridotto costo dellavoro consentito sia dai contratti collettivi sia dai notevoli sgravicontributivi. Un elemento a sostegno di questa interpretazione delfenomeno è la diffusione di rapporti di apprendistato di duratamolto inferiore a quella prevista dalla normativa, che stabilisce unminimo di 18 mesi. Se l’impresa fosse coinvolta in modo significa-tivo nell’attività di formazione, avrebbe il chiaro incentivo ditrattenere il lavoratore più a lungo, al fine di recuperare i costi diformazione e ottenere eventuali profitti dalla differenza tra pro-

(6) Il c.f.l. è stato peraltro relegato dall’art. 86, nono comma, d.lgs. n.276/2003 al settore del lavoro presso le p.a. Il contratto di lavoro con finalitàformative utilizzabile nel settore privato è ora esclusivamente l’apprendistato,essendo invece il contratto di inserimento diretto alla riqualificazione del lavora-tore per l’adattamento allo specifico « contesto ». L’affermazione secondo la qualele finalità formative sarebbero ora lasciate al « nuovo » apprendistato è di M.DELL’OLIO, Il contratto di inserimento, in AA.VV., Come cambia il mercato dellavoro, Milano, 2004, 385 e specialmente 386. Va comunque ricordato che, in forzadell’accordo interconfederale 13 novembre 2003, concluso in attuazione dell’art.86, comma 13º, d.lgs. n. 276/2003, le parti sociali hanno definito per i c.f.l. unregime transitorio, che ne ha permesso la stipulazione anche dopo l’entrata invigore del citato decreto (l’a.i. 13 novembre 2003 può leggersi in www.welfare.go-v.it.).

(7) P. SESTITO, La riforma dell’apprendistato: possibili effetti sul mercato dellavoro e sul sistema educativo-formativo, Mimeo, 2004.

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duttività e retribuzioni. Se invece la formazione è puramentecosmetica, questo incentivo viene a mancare e l’impresa è sostan-zialmente indifferente tra un contratto di apprendistato che dura18 mesi e una reiterazione di contratti di durata più breve.

Fonte: Ministero del Lavoro, Rapporto di monitoraggio 2003.

In sostanza, come altri hanno già sottolineato (8), l’apprendi-stato è stato spesso utilizzato dalle aziende come opportunità dimanodopera a costo ridotto piuttosto che come reale occasioneformativa. Il recente incremento nel ricorso all’apprendistato nonha quindi significato necessariamente un incremento nell’accumu-lazione di capitale umano. Probabilmente ciò è avvenuto perché leregole in materia non forniscono alle parti incentivi adeguati asvolgere un investimento formativo di tipo sostanziale.

Nel presente lavoro ci domandiamo quindi quali caratteristi-che debba avere l’apprendistato per fornire alle parti, datore dilavoro e lavoratore, adeguati incentivi economici ad investire informazione. Individuiamo in particolare due aspetti, che riteniamocruciali, la durata del « contratto », come concetto alternativo al

(8) L’affermazione è ricorrente nella letteratura sull’argomento. Sul puntosi veda di recente P. SESTITO, La riforma dell’apprendistato, cit.

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concetto di durata dell’apprendistato, e la certificazione dellecompetenze (9), e verifichiamo se vi sia coerenza tra la normativavigente e l’esigenza economica di motivare gli agenti ad investire incapitale umano.

2. L’intervento pubblico in materia di formazione è unaprassi consolidata, sia nel nostro Paese sia in altre economiesviluppate. È opportuno tuttavia chiedersi quali siano le ragionieconomiche che motivano tale intervento. La giustificazione del-l’intervento pubblico si basa sulla valutazione che il mercato, selasciato fare, produce un livello di formazione professionale infe-riore al livello socialmente efficiente. Questo effetto si verifica inmodo particolare quando le competenze acquisite durante il pro-cesso formativo sono spendibili — o trasferibili — in parte o intutto ad altre imprese. Infatti, se l’impresa si fa carico dei costi diformazione, e la formazione è utilizzabile presso altre imprese, c’èil rischio concreto che il lavoratore cambi lavoro al termine dellaformazione, impedendo così al precedente datore di lavoro direcuperare i costi sostenuti.

D’altro canto, se il lavoratore si fa carico dei costi dellaformazione direttamente, o indirettamente accettando una ridu-zione della retribuzione durante il periodo formativo, l’assenza dirisorse finanziarie oppure la presenza di pavimenti salariali —come il salario minimo — pongono dei vincoli alla capacità diinvestimento. Infine, se le competenze acquisite non sono sottopo-ste ad adeguata certificazione, l’incentivo ad investire si riduceulteriormente (10).

Nonostante la scarsità di indagini statistiche con informazionisulla trasferibilità delle competenze, dalle indagini esistenti nelpanorama internazionale emerge come molta formazione inazienda sia finanziata, almeno in parte, dalle imprese, anchequando le competenze impartite sono considerate trasferibili (11).

(9) T. TREU, La riforma del mercato del lavoro: prime notazioni, in AA.VV.,Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004, 3; a p. 12 sottolinea la necessitàche la formazione debba essere « investita » sempre più da pratiche di certifica-zione riconosciute e diffuse.

(10) Cfr. A. BASSANINI, Improving skills for more and better jobs? The quest foreducation policies to promote adult education and training, OECD, Mimeo, 2004.

(11) J. BARRON, M. BERGER e D. BLACK, Do workers pay for on the job

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Questo sembra essere il caso dell’apprendistato in Germania (12).Inoltre, da molte rilevazioni emerge che le imprese pagano granparte della formazione esterna, che è in genere utilizzabile in piùimprese (13).

Un adeguato livello di formazione richiede dunque che l’im-presa che investe, in tutto o in parte, abbia sufficienti garanzie dipoter almeno recuperare i costi di formazione sostenuti, e che illavoratore che investe acquisisca delle competenze opportuna-mente certificate e spendibili sul mercato. Il fatto che il mercatodel lavoro non sia del tutto trasparente, e che esistano asimmetrienel livello e qualità dell’informazione sulle competenze di cuiciascun lavoratore dispone, in parte facilita ed in parte ostacola ilprocesso formativo. Lo facilita perché, se il lavoratore formato ècomunque considerato più produttivo nell’impresa che l’ha for-mato che in altre imprese, l’impresa che forma può retribuire illavoratore meno della sua produttività senza il rischio di perderlo,e quindi può fare profitti positivi. Lo ostacola perché il lavoratorepuò avere difficoltà a valutare la qualità e spendibilità dellaformazione ricevuta (14).

Quando sia l’impresa sia il lavoratore investono nel processoformativo, l’investimento in formazione può essere stimolato damisure pubbliche, di tipo economico o giuridico, che garantiscanoall’impresa la possibilità di almeno ripianare i costi di formazionee al lavoratore di poter ottenere competenze riconoscibili e spen-dibili nel mercato. L’intervento pubblico non si limita soltanto afornire un quadro di regole, ma comprende anche la concessione disussidi, il cui fine principale è di ridurre il costo della formazionesostenuto dalle parti. Esempi di sussidi sono la riduzione deglioneri sociali prevista per i lavoratori apprendisti in Italia e laconcessione di crediti fiscali per le spese di formazione, come quelli

training?, Journal of Human Resources, 1999, n. 34, 235-252; M. LOWENSTEIN e J.SPLETZER, General and specific training: evidence and implications, ivi, 1999, n. 34,710-733; A. BOOTH e M. BRYAN, Who pays for general training? New evidence forBritish men and women, IZA, discussion paper, n. 486, 2002.

(12) Come documentato ad esempio da D. ACEMOGLU e J. PISCHKE, Certifi-cation on training and training outcomes, The European Economic Review, n. 44,2000, 917-927.

(13) OECD, Employment Outlook, Paris, 2003.(14) Cfr. G. BRUNELLO e M. DE PAOLA, Market Failures and the Under-

Provision of Training, CESifo discussion paper, 2004, 917-927.

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a suo tempo previsti dalla l. 18 ottobre 2001, n. 383 (cosiddettalegge Tremonti-bis).

Nella valutazione dell’impatto di tali sussidi, va inoltre tenutoconto degli effetti di sostituzione tra opzioni diverse. Ad esempio,una politica che sussidi l’apprendistato può aumentare lo stock diapprendisti, ma nel contempo può disincentivare la stipulazione dialtri tipi di contratto di lavoro diretti a lavoratori nella stessafascia di età. Ne consegue che l’impatto dei sussidi sull’occupazionecomplessiva è di difficile misurazione.

3. Una modalità dell’investimento in formazione in aziendadiffusa soprattutto in Europa (15) è l’apprendistato, che affonda lesue radici nel periodo medioevale (16). I contratti di apprendistatotendono a durare per un periodo specificato all’inizio, non neces-sariamente equivalente al tempo necessario per acquisire le com-petenze richieste in modo soddisfacente, e l’apprendista riceve disolito una retribuzione inferiore a quella del lavoratore già formatodurante il tirocinio, ed un aumento retributivo alla fine del periododi formazione (17). Inoltre, l’apprendistato è spesso regolato dalgoverno e dalle parti sociali interessate, incluse le associazioni dicategoria.

Il successo dell’apprendistato come modello formativo in Paesicome la Germania è legato anche alla presenza di istituti socio-economici che svolgono il ruolo di facilitatori, tra i quali vannoricordati relazioni industriali in cui il sindacato svolge un ruolosignificativo non totalmente antagonista nell’azienda, un sistemafinanziario che consente l’utilizzo di un quadro decisionale di lungo

(15) Sulla disciplina e le problematiche dell’apprendistato nei paesi europeisi rinvia a M. BIAGI e M. TIRABOSCHI, La rilevanza della formazione in apprendistatoin Europa, problemi e prospettive, DRI, 1999, 87.

(16) Sulle origini dell’apprendistato in Occidente v. M. RUDAN, Il contrattodi tirocinio, Milano, 1966, 39 ss., ove ulteriori rinvii storici riferiti sia all’etàclassica sia al medioevo durante il quale il vincolo che lega l’artefice al puerassume rilevanza fondamentale nel sistema associativo delle corporazioni. Si vedaanche P.A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formative, Milano, 2001. NegliStati Uniti significativamente il fenomeno non si è mai radicato. Vedi L. LYNCH,Training in the Private Sector, Chicago University Press, Chicago, 1993.

(17) Cfr. J. MALCOMSON, J. MAW e B. MCCORMICK, General Training by Firms,Apprentice Contracts and Public Policy, The European Economic Review, n. 47,2003, 197-227.

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periodo e legami sia formali che informali tra imprese (18). Quandol’impresa sostiene una parte rilevante dei costi della formazione,una retribuzione relativamente bassa dell’apprendista non è suffi-ciente a compensare tali costi se è bassa anche la produttività dellavoratore durante l’apprendistato (19). Affinché l’impresa sia ingrado perlomeno di recuperare i costi e abbia quindi un realeincentivo a investire in formazione, occorre che il contratto includaun periodo in cui la produttività del lavoratore formato sia supe-riore alla sua retribuzione, come avviene di solito al termine delperiodo formativo.

Per funzionare, l’apprendistato richiede dunque che l’appren-dista sia disincentivato a lasciare facilmente l’impresa — se nonper ragioni indipendenti dalla sua volontà — prima della fine delperiodo pattuito. Tale evenienza si verifica ad esempio se le dimis-sioni volontarie anticipate non danno diritto, né in tutto né inparte, alla certificazione delle competenze acquisite, che rende ilcapitale umano accumulato spendibile nel mercato del lavoro. Inassenza di penalità per l’apprendista che lascia l’impresa, si veri-ficherebbe un classico problema di opportunismo: l’apprendistaminaccia di lasciare l’impresa prima del completamento dellaformazione, quando questa ha già investito in modo sostanziale, alfine di ottenere una retribuzione più elevata sul mercato. Al fine dievitare il turnover, l’impresa che sta investendo deve aumentare laretribuzione all’apprendista, il che riduce i profitti dell’investi-mento. La probabile conclusione è che le imprese hanno minoreincentivo a svolgere formazione.

È chiaro dunque che, mentre l’impresa è incentivata ad allun-gare al massimo la durata del contratto, l’apprendista ha l’incen-tivo opposto. Anche da parte dell’impresa ci può essere opportu-nismo: se i costi formativi che essa sostiene non siano verificabili daterzi, essa può avere interesse a enfatizzarli in modo da ottenere unallungamento del contratto.

Nel contesto europeo, esiste una certa varietà nella definizione

(18) D. SOSKICE, Social skills from a mass higher education: rethinking thecompany-based initial training paradigm, Oxford Review of Economic Policy, n. 9,1993, 101-113.

(19) Come sostengono D. ACEMOGLU e J. PISCHKE, op. cit., nel caso dell’ap-prendistato tedesco.

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della durata di un contratto di apprendistato. Nel sistema tedesco,la durata è regolata dalla legge e la grande maggioranza degliapprendisti nel sistema segue programmi di 3 o 4 anni. Esistetuttavia un periodo iniziale di prova, e molti candidati — circa unquinto del totale — lasciano l’impresa durante questo periodo. IlRegno Unito presenta una situazione quasi opposta, in quanto ladurata del contratto è a discrezione del datore di lavoro. Nei fatti,la durata media risulta essere inferiore all’anno. La Francia el’Olanda occupano una posizione intermedia, con una durata me-dia più vicina ai due anni.

Una peculiarità italiana consiste nel fatto che l’apprendistapuò completare il suo tirocinio in più imprese. Il fatto che unapprendista che lascia l’impresa volontariamente per cambiarelavoro non veda affatto pregiudicata la sua possibilità di conse-guire la certificazione né debba ricominciare il periodo dell’appren-distato dall’inizio facilita la mobilità. Non sorprende quindi che lamobilità degli apprendisti nel nostro Paese sia un fenomeno rile-vante. Uno studio recente sull’apprendistato in Veneto — unadelle regioni che utilizza in modo intensivo questa fattispecie —mostra come il numero medio di rapporti di lavoro intrattenuti dallavoratore nei due anni successivi all’assunzione come apprendistasia stato nel 1999 pari a 1.9, al lordo del lavoro come apprendista.Ciò vuol dire che in media ogni apprendista veneto ha cambiatolavoro una volta nei due anni successivi all’inizio del periodo diapprendistato. Si tratta di una mobilità notevole, e non è stranoche in tale contesto l’impresa trovi poco interessante investire informazione: si troverebbe infatti a sostenere un costo con il rischioconcreto che il lavoratore formato passi alla concorrenza.

L’accertamento delle competenze acquisite durante l’appren-distato differisce in modo notevole tra Germania e Inghilterra. Nelprimo Paese, l’accertamento consiste sia in esami o prove condottida enti esterni all’impresa o dalle autorità regionali, sia in provepratiche valutate da una commissione con componenti esterni. InInghilterra, invece, il datore di lavoro ha più spazio nella valuta-zione, e c’è molta più variabilità nelle pratiche di accertamen-to (20). In Italia, come si vedrà, il sistema è complesso e in corso di

(20) Cfr. H. STEEDMAN, Five Years of the Modern Apprenticeship Initiative:

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definizione. Le capacità acquisite in azienda sono state peraltro dasempre dichiarate dal datore di lavoro mediante iscrizione sullibretto di lavoro.

A livello sperimentale sta emergendo in alcune regioni (21)l’idea dei moduli formativi, il cui fine è di aumentare la portabilitàdella formazione svolta. Si tratterebbe cioè di poter riconoscereanche competenze parziali, tramite un sistema di crediti che portial conseguimento della qualifica richiesta anche se il lavoratore sisposta da un’impresa all’altra. Naturalmente, la modularizzazionee la trasformazione di pezzi di formazione in crediti favorisce illavoratore che investe in formazione, in quanto il suo investimentoviene certificato anche se svolto in forma parziale. Questo sistemadi certificazione, tuttavia, entra in conflitto con l’esigenza didisincentivare la mobilità dell’apprendista e favorire il recuperodei costi di formazione sostenuti dall’impresa. Quindi, la frammen-tazione in moduli della formazione tramite apprendistato puòandare bene quando siamo sicuri che i costi della formazione sonoesclusivamente a carico del lavoratore: in tal caso, l’impresa non hanulla da recuperare. Se tuttavia, come suggerisce molta evidenzaempirica, parte rilevante dei costi è sostenuta dall’impresa, misuredi questo tipo non fanno che ridurre l’incentivo che l’impresa ha adavviare un processo di formazione.

Nella disciplina italiana dell’apprendistato esistono a nostroavviso due aree di criticità, su cui torneremo più avanti. La primaattiene alla durata del rapporto con il lavoratore coinvolto nelprocesso formativo. Se si ritiene opportuno dare all’impresa cheinveste in formazione sufficienti garanzie di recuperare i costisostenuti durante l’apprendistato, e se il recupero dei costi puòavvenire allorché il lavoratore formato spenda le competenze ac-quisite almeno in parte presso la stessa impresa formatrice, risultaevidente la necessità di predisporre schemi normativi che stabili-scano una congrua durata minima del contratto di apprendistato.

Il secondo profilo critico riguarda la certificazione e/o il moni-toraggio delle capacità acquisite dal lavoratore durante la forma-zione. Se, infatti, l’oggettiva trasparenza della formazione ricevuta

an Assessment against Continental European Models, National Institute EconomicReview, n. 178, 2001, 75-87.

(21) ISFOL, Il nuovo apprendistato, Rapporto 2000, Milano, 2001.

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rappresenta un valore per il lavoratore ed un incentivo all’appren-dimento professionale, è evidente che un sistema che si proponga difavorire la formazione della forza lavoro debba predisporre regoleche garantiscano una valutazione il più possibile oggettiva dellecompetenze acquisite. In tale ottica appare però evidente che lacertificazione delle competenze non può essere riservata all’im-presa formante, pena il rischio di fenomeni di opportunismo in cui,ad esempio, il datore di lavoro fornisca formazione apparente o« cosmetica » in cambio di vantaggi di tipo normativo o contribu-tivo.

I due profili sono strettamente legati. Un’adeguata certifica-zione delle competenze in assenza di garanzie sulla durata delcontratto di apprendistato riduce l’incentivo dell’impresa a inve-stire in formazione, perché facilita il turnover dei lavoratori. Taleturnover non incide sulla decisione dell’impresa se avviene dopo unperiodo formativo in cui quest’ultima può almeno recuperare icosti sostenuti. Una durata troppo sostenuta in assenza di certifi-cazione garantisce l’impresa ma non il lavoratore, che ha minoriopportunità di spendere bene le competenze acquisite sul mercatodel lavoro.

4. Si è visto come, dal punto di vista economico, una ragio-nevole durata e un adeguato meccanismo di certificazione sianoelementi importanti al fine di favorire l’investimento in forma-zione. Per analizzare se le regole di recente adottate dall’Italia inmateria di apprendistato siano congrue rispetto a tali esigenze, ènecessario premettere che la disciplina in esame è sostanzialmenteun semilavorato, dal momento che l’art. 49 del d.lgs. n. 276/2003per un verso affida la disciplina della formazione professionale alleregioni e, d’altro canto, riserva molti altri aspetti dell’apprendi-stato all’autonomia collettiva. In attesa (22) dell’esercizio da parte

(22) In virtù di quanto stabilito dall’art. 47, terzo comma, d.lgs. n. 276/2003, in attesa della regolamentazione del contratto di apprendistato ai sensi delpresente decreto continua ad applicarsi la vigente normativa in materia. Peraltrola disciplina del 2003 abroga solo poche norme del vecchio regime; perciò l’appli-cazione del decreto n. 276 non porterà forse alla caducazione del preesistentesistema giuridico, che finirà per risultare sostanzialmente un insieme stratificatodi regole nuove e di regole vecchie non incompatibili con il regime più recente. Sultale profilo controverso della disciplina dell’apprendistato si rinvia a P. BELLOCCHI,

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degli enti locali e delle organizzazioni sindacali del potere loroassegnato, la riflessione può dunque avere ad oggetto solo i principistabiliti dalla legge statale che, comunque può essere valutata nellasua idoneità a porsi come univoco sistema di orientamento per lefonti di livello inferiore.

La normativa italiana precedente al decreto n. 276 non si è maiposta nell’ottica di assicurare una durata minima del contratto diapprendistato, vincolante per entrambe le parti, al fine di tutelarel’investimento formativo del datore di lavoro. Sin dalle origini, lanorma di legge ha invece prefissato, sostanzialmente tramite unrinvio alla contrattazione collettiva, limiti temporali al periodo diapprendistato, per evitare fenomeni di abuso della fattispeciecontrattuale. La legge si è proposta cioè di evitare che un mede-simo lavoratore potesse essere occupato a vita come apprendistaove il ricorso al contratto di tirocinio costituisse il mezzo perretribuire in misura proporzionalmente ridotta prestazioni di la-voro analoghe a quelle fornite da lavoratori specializzati. La du-rata del periodo di tirocinio è stata perciò stabilita dai contratticollettivi sulla base del calcolo dei tempi tecnici richiesti perl’acquisizione delle necessarie competenze professionali da parte diun lavoratore mediamente diligente (23).

Il rapporto di apprendistato nella normativa anteriore al d.lgs.

Apprendistato, ne Il nuovo mercato del lavoro, a c. di M. PEDRAZZOLI, Bologna, 2004,537, 545; D. GAROFALO, Apprendistato e contratto di inserimento, ne La riforma delmercato del lavoro, a c. di E. GRAGNOLI e A. PERULLI, Padova, 2004, 587, 611; E.PASQUALETTO, L’apprendistato, ne I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale,a c. di P. CENDON, V, Lavoro subordinato, Torino, 2004, 229, 232. Sul punto sivedano anche G. FERRARO, Contratto di apprendistato, cit., 127; L. MENGHINI,Apprendistato, in Contratti di lavoro flessibili e contratti formativi, a c. di M. BROLLO,M.G. MATTAROLO, L. MENGHINI, Milano, 2004, 186, 193. Il problema del coordina-mento fra le norme in materia di apprendistato è poi ulteriormente aggravatodalla ripartizione di competenze in materia di formazione professionale fra Statoe Regioni. Su questo diverso profilo si rinvia a G. ORLANDINI, Contratti formativi ecompetenze normative delle regioni, in Mercato del lavoro, Riforma e vincoli disistema, a c. di R. DE LUCA TAMAJO, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, Napoli, 2004, 515.

(23) Tale calcolo presume che, durante i tempi tecnici, la produttivitàdell’apprendista sia inferiore a quella di un lavoratore esperto. Se il differenzialedi produttività e i costi diretti della formazione sostenuti dall’azienda sonocomplessivamente superiori al differenziale retributivo, i tempi tecnici risultanoessere insufficienti a fornire all’impresa incentivi adeguati a investire in forma-zione. In tal caso nel computo di tali tempi è necessario aggiungere anche ilperiodo necessario affinché l’impresa possa recuperare perlomeno i costi sostenuti.

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n. 276/2003 poteva peraltro essere sia a tempo determinato, ricor-rendo i presupposti stabiliti dalla legge per l’apposizione del ter-mine, sia a tempo indeterminato, essendo esso non un rapportonecessariamente a termine in senso tecnico, ma un rapporto adurata massima limitata che, se stipulato senza termine alcuno,allo scadere del periodo fissato dal contratto collettivo si sarebbeconvertito, in assenza di recesso, in un normale rapporto di lavo-ro (24).

L’eventuale interesse dell’imprenditore ad assicurarsi la pre-stazione dell’apprendista nel periodo successivo alla compiutaformazione veniva ignorato dalla legge, che ne lasciava la prote-zione all’autonomia privata. Il legislatore anziché occuparsi del-l’interesse del datore alla conservazione di un particolare rapporto,si premurava di consentire all’impresa di recedere al termine delperiodo di apprendistato, con recesso ordinario. L’ordinamento sifaceva carico dunque, semmai, di tutelare la libertà di licenzia-mento dell’imprenditore, nel momento in cui il rapporto di lavorosi trasformava da rapporto di tirocinio a normale rapporto dilavoro, attribuendo per altro verso incentivi economici all’impre-sa (25) che non procedesse a licenziare l’ex apprendista, evidente-mente ritenendola in generale non interessata alla conservazionedel rapporto con il lavoratore che aveva formato. Conferma deldisinteresse della legge per lo svolgimento dell’apprendistatopresso il medesimo datore di lavoro era data del resto dalla regolasecondo la quale i periodi di tirocinio svolti presso diversi datori dilavoro potevano essere sommati, il che conduceva appunto anchea ritenere leciti rapporti di apprendistato a termine (26).

L’assetto descritto non escludeva peraltro la possibilità che leparti, nell’esercizio dell’autonomia privata, dettassero una diversaregolamentazione dei propri interessi, apponendo al contratto diapprendistato un termine che poteva essere inferiore, coincidente oanche superiore al periodo necessario per il compimento della

(24) Sul punto si rinvia alle argomentazioni di G. SUPPIEJ, voce Apprendi-sta, Enc dir, 814, 824.

(25) Cfr. art. 6, l. 28 febbraio 1987, n. 56 che riconosce il diritto ai beneficicontributivi previsti dalla legge a favore dell’apprendistato ove il rapporto conl’apprendista sia mantenuto per un anno dopo la trasformazione del rapporto atempo indeterminato.

(26) Cfr. art. 8, l. 19 gennaio 1955, n. 25.

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formazione. Questa conclusione, già proposta dalla dottrina (27)nel periodo anteriore all’entrata in vigore della l. 18 aprile 1962, n.230, era infatti confortata dalla circostanza per cui la libertà dellavoratore, rispetto all’ipotesi del « contratto per tutta una vita »,trovava comunque protezione nel quarto comma dell’art. 2097 delcodice civile secondo il quale, trascorsi cinque anni dall’inizio delrapporto, sarebbe stato comunque lecito il recesso del prestatored’opere. Nessuna incompatibilità sembrava perciò esservi fra ap-prendistato e termine contrattuale.

Non si può però negare che il tema della durata sia stato unodei più controversi in tema di tirocinio (28), ed è opportunoricordare che di recente, fra l’altro, l’opinione degli interpreti si èindirizzata verso la configurazione dell’apprendistato come con-tratto necessariamente a « termine minimo di durata », a favoredel lavoratore, senza però che tale opinione possa dirsi confortatada dati positivi univoci. Uno degli elementi testuali dai quali sideduce tale conclusione è l’art. 16, primo comma, l. 24 giugno1997, n. 196, nella parte in cui dice che l’apprendistato non puòavere durata inferiore a 18 mesi (29). A ben vedere, però, questadisposizione non sembra fissare limiti per i singoli contraenti, maparametri validi per la contrattazione collettiva chiamata a stabi-lire la durata tecnica del periodo necessario per l’apprendimento.Inoltre tale disposizione, se interpretata nel contempo sia nelsenso di individuare la durata minima dello specifico contratto diapprendistato, sia nel senso di stabilire la durata minima tecnicadel periodo di apprendistato, e coordinata alla regola che consentela somma dei periodi di apprendistato svolti presso diversi datoridi lavoro, conduce alla costruzione di un assetto della materiadifficilmente accettabile in relazione ai principi costituzionali. Soloalcuni fra i contratti di apprendistato dovrebbero infatti avereuna durata non inferiore al minimo stabilito dalla legge, potendol’ultimo contratto avere una durata inferiore variabile in relazionealla soglia massima fissata dalla contrattazione collettiva, senza

(27) G. SUPPIEJ, voce Apprendista, cit.(28) G. SUPPIEJ, op. cit., e G. FERRARO, Contratto di apprendistato, cit.,

descrivono come « controversa » la questione relativa alla configurazione dell’ap-prendistato come contratto a termine.

(29) In tale senso si esprime G. LOY, Art. 16, Apprendistato, ne Il PacchettoTreu, NLCC, 1998, 1337, 1344.

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che tale variabilità di durata possa essere in alcun modo giustifi-cata razionalmente a fronte del principio di eguaglianza innanzialla legge stabilito dall’art. 3 della Cost. In buona sostanza, ilvincolo variabile di durata posto sostanzialmente a carico deldatore di lavoro non apparirebbe costituzionalmente legittimoperché privo di alcuna oggettiva razionale giustificazione.

Anche il secondo riferimento normativo dal quale si trae unapossibile soluzione per la questione in esame appare insoddisfa-cente. Se infatti si pretende di ricavare un’indicazione dall’art. 10del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, che esclude dal proprio ambitodi applicazione l’apprendistato (30), si deve ammettere la liberastipulazione a termine del contratto di tirocinio, anche per unadurata inferiore ai diciotto mesi previsti dall’art. 16, l. n. 196/1997,così come ovviamente la stipulazione a tempo indeterminato, dellacui ammissibilità non si discute. Infatti lì dove non trova applica-zione una legge, come il decreto n. 368, limitativa della libertànegoziale dei privati, si deve ammettere la piena espressione del-l’autonomia contrattuale che dovrebbe consentire l’apposizionedel termine.

5. L’interpretazione dell’art. 49 del d.lgs. 10 settembre 2003,n. 276 può essere effettuata sia nell’ottica di descrivere qualisoluzioni la legge adotti in ordine alla struttura temporale deltirocinio, sia nella prospettiva di evidenziare se quella disciplinasoddisfi le esigenze che l’economista indica come rilevanti ai fini diincentivare entrambi i contraenti a investire in formazione.

La nuova legge non sembrerebbe avere introdotto sostanzialinovità: essa pare limitarsi a stabilire la durata minima e massimadel tirocinio, rimettendo alla contrattazione collettiva, ora anchedi livello regionale (31), la determinazione della specifica duratadel periodo. Una più attenta lettura della norma mette però inrisalto una sostanziale differenza terminologica rispetto al regimeanteriore. Mentre infatti l’art. 2130 c.c. riferiva la durata non al

(30) G. FERRARO, op. cit., 124.(31) Sul rinvio alla contrattazione di livello regionale, cfr. D. GAROFALO,

Apprendistato e contratto di inserimento, cit., 596.

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contratto ma al periodo di tirocinio (32), con una tecnica che nonappare superata dalla più recente disciplina posta dall’art. 16 dellal. n. 196/1997, che si riferisce in modo per la verità equivocoall’« apprendistato », l’art. 49, terzo comma, del decreto n. 276,afferma espressamente che i contratti collettivi stabiliscono ladurata del « contratto » di apprendistato da un minimo di due annia un massimo di sei. Se risulta evidente che è aumentato il limiteminimo e massimo di durata del periodo, è vero anche che l’oggettodella disciplina sembrerebbe essere ora il contratto e non il periodo.

Se deve essere attribuito un significato univoco al termineadottato dal legislatore, e considerato che in altro contesto lanorma distingue tra « contratto » e « periodo » di tirocinio (33), sipuò ipotizzare l’introduzione di una novità importante per quantoriguarda la durata del rapporto. Sembra si possa cioè ritenere cheil nuovo apprendistato professionalizzante, nei limiti stabiliti dallacontrattazione collettiva, debba avere una durata predeterminatae rigida corrispondente al tempo necessario, di norma, per l’acqui-sizione della capacità professionale, apparendo così esclusa la li-ceità di contratti di apprendistato a termine per un periodo infe-riore al tempo necessario per la maturazione della qualifica.

Questa osservazione non è però sufficiente a chiarire quale siala disciplina del recesso del lavoratore, nell’ambito di un rapportoche appare riduttivo e forse addirittura fuorviante ricondurre allecategorie del tempo determinato o, in alternativa, del tempoindeterminato. Se, infatti, per quanto attiene all’impresa risultacon chiarezza che durante il tirocinio è ammesso il recesso solo pergiusta causa o giustificato motivo e che la libertà insindacabile direcesso può essere esercitata solo al termine del « periodo » diapprendistato, non è altrettanto chiaro se l’apprendista, durante ilrapporto a durata minima garantita, che non sia stato stipulato atempo indeterminato, possa recedere solo per giusta causa o se,viceversa, gli sia consentito sempre e comunque recedere ad nutumdando ordinario preavviso.

Ne consegue che l’apparente scelta del legislatore di ipotizzareun contratto di apprendistato professionalizzate di durata sostan-

(32) Anche l’art. 7, l. 19 gennaio 1955, n. 25 nel regolare la « durata »dell’apprendistato non fa riferimento alcuno al « contratto ».

(33) Cfr. art. 49, quarto comma, lett. c).

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zialmente coincidente con il tempo previsto per la maturazionedelle capacità professionali poggia su un dato normativo di nonfacile interpretazione, che non permette di trarre conclusioni circauna diversa opzione di politica del diritto che non sia la scelta divincolare l’imprenditore a un rapporto di durata tendenzialmentecoincidente con il periodo di tirocinio previsto dal contratto col-lettivo.

Per quanto attiene alla legge, resta perciò controvertibile laquestione relativa al se il lavoratore possa lecitamente recederedurante il l’apprendistato, ed è dunque difficile affermare che ilcontratto, come regolato dal decreto n. 276/2003, soddisfi l’inte-resse dell’impresa a investire in formazione, dal momento cheall’onere di conservazione del rapporto non corrisponde alcunacertezza in ordine alla permanenza dell’apprendista alle dipen-denze dell’impresa formatrice. Certamente la legge ha inteso, però,compiere una scelta che non appare neutrale e che vuole, in buonasostanza, favorire la sede contrattuale come ambito di regolamen-tazione di quegli aspetti dell’apprendistato che potrebbero esserericondotti all’idea di « fidelizzazione » del lavoratore, ancorché intale scelta si annidino nuovi e diversi problemi.

6. Un profilo della disciplina del rapporto di lavoro che èstato riproposto all’attenzione del dibattito dottrinale in tempirecenti riguarda l’ammissibilità delle cosiddette tecniche di fide-lizzazione del dipendente, cioè le clausole che l’autonomia nego-ziale potrebbe adottare per soddisfare l’esigenza dell’impresa diassicurarsi la collaborazione del lavoratore per un periodo di tempodeterminato (34).

Queste clausole che, come dottrina e giurisprudenza insegnano,possono essere distinte in « clausole di stabilità » in senso stretto e« clausole di durata minima garantita » (35), potrebbero soddisfarel’esigenza — che l’economista ha sopra evidenziato — di legare illavoratore all’impresa per un periodo minimo definito, nel caso in

(34) Cfr. C. ZOLI, Clausole di fidelizzazione e rapporto di lavoro, q. Riv., 2003,I, 449 e A. RUSSO, Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione delpersonale, Milano, 2004.

(35) In materia si veda L. ISENBURG, Le clausole di durata minima garantitanel contratto individuale di lavoro, RGL, 1975, I, 33.

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cui si ritenesse di dovere interpretare l’art. 49 del d.lgs. n. 276/2003come norma che ammette il libero recesso dell’apprendista, sep-pure in un regime di durata minima garantita del rapporto. L’ap-posizione allo specifico contratto di tirocinio di una clausola distabilità a favore dell’impresa permetterebbe cioè al datore dilavoro di vincolare l’apprendista per il periodo di tempo valutatonecessario a coprire i costi della formazione. Anche la S.C. ha tral’altro affermato la liceità della stipulazione di un patto di durataminima garantita in relazione ad un’ipotesi in cui l’impresa avevaassunto nei confronti del lavoratore peculiari obblighi in materia diformazione (36). In quel caso però la formazione e l’obbligo distabilità sembravano porsi in termini di corrispettività reciproca.

Nonostante l’orientamento della Cassazione, e nonostante l’at-teggiamento della dottrina che ammette la disponibilità del poteredi recesso del lavoratore (37), non si può ritenere del tutto scontatal’applicabilità di una clausola siffatta all’apprendistato nel quale, adifferenza del caso giunto all’attenzione della Cassazione, l’obbligoformativo posto a carico del datore di lavoro ha come corrispettivola riduzione della retribuzione spettante al lavoratore (38).

Inoltre, se è vero che la legge privilegia la contrattazionecollettiva come fonte di disciplina del contratto di apprendistato,stabilendo i principi che essa deve rispettare, non è chiara l’am-piezza dei margini di intervento lasciato all’autonomia individualein considerazione, tra l’altro, dell’inserimento dell’apprendistato,anche professionalizzante, nel percorso a rilevanza pubblicistica diapprendimento e istruzione.

Non sarebbe dunque, forse, stato inutile chiarire se l’ordina-mento vuole comunque garantire la libertà di recesso del lavora-tore che ritiene interessato a sperimentare e vagliare i diversi

(36) Cass. 11 febbraio 1998, n. 1435, q. Riv., 1998, II, 539, con nota di BANO.(37) P. ICHINO, Il contratto di lavoro, III, Tratt CM, Milano, 2003, 390. V.

anche C. ZOLI, Clausole di fidelizzazione, cit., 456, che peraltro sottolinea lanecessità di un corrispettivo a compensazione del sacrificio del lavoratore.

(38) Riflettendo sull’esperienza francese, C. ALESSI, La formazione profes-sionale, ne Il Pacchetto Treu, NLCC, 1998, 1224, a p. 1234 sottolinea che condi-zione per la liceità della clausola di stabilità a favore dell’impresa sarebbe il porsidel dovere del lavoratore come correlativo rispetto a una formazione eccedenterispetto a quella normalmente dovuta.

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ambiti e percorsi professionali, a scapito dell’eventuale protezionedegli interessi della produzione.

7. La riflessione sulla certificazione delle competenze acqui-site durante l’apprendistato non è semplice quantomeno per ladifficoltà di adottare un linguaggio che non ingeneri equivoci. Pertale ragione è opportuno precisare che, nell’evoluzione della disci-plina dell’apprendistato, il temine « certificazione » è stato utiliz-zato prevalentemente in relazione al profilo della formazione ester-na (39), che da sempre si affianca alla pratica professionale inazienda. In seguito, però, non ci occuperemo della certificazionedella formazione esterna, ma della certificazione delle competenzematurate in azienda pur dovendo notare un continuo, e mai risolto,intreccio fra profilo esterno e interno della formazione professio-nale.

Da sempre nell’apprendistato si pone il problema della ogget-tivazione delle competenze di natura più propriamente pratiche oprofessionali maturate lavorando nella prospettiva della acquisi-zione di una qualifica. Anche a tale proposito, seppure forse im-propriamente considerando la scelta terminologica del legislatore,si può parlare di certificazione per indicare l’opportunità che vengaapprestata un’attestazione oggettiva alle conoscenze professionalidel lavoratore, al fine di aumentarne l’utilizzabilità nel mercato.

Già la risalente disciplina dell’apprendistato, riconducibile alr.d.l. 21 settembre 1938, n. 1906, da interpretare unitamente alr.d.l. 21 giugno 1938, n. 1380 sull’istituzione dei corsi per laformazione e il perfezionamento dei lavoratori, prevedeva prove di

(39) Cfr. art. 16 della l. 24 giugno 1997, n. 196. Sulla certificazione dellecompetenze acquisite nella formazione cfr. d.m. 31 maggio 2001, n. 174. Direcente la formazione esterna ha assunto un significato ancora più rilevante per ilfatto dell’inserimento dell’apprendistato fra i percorsi formativi che concorronoall’adempimento dell’obbligo di « frequenza di attività formative » secondo leindicazioni dell’art. 68 della l. 17 maggio 1999, n. 144, e nella prospettiva di unarelazione fra scuola e lavoro che consenta il passaggio fra il percorso tipicodell’istruzione e il percorso della scuola professionalizzante, come quello attuatodalla riforma in corso, è infatti evidente che la verifica e la misurazione, secondocriteri oggettivi, della preparazione conseguita dall’apprendista o dallo studenteassume importanza fondamentale. Sul rapporto fra riforma del sistema scolasticoe riforma dell’apprendistato si soffermano P. BELLOCCHI, Apprendistato, cit., D.GAROFALO, Apprendistato e contratto di inserimento, cit., e L. MENGHINI, Contratti dilavoro flessibili e contratti formativi, cit.

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accertamento e attestati di idoneità per i lavoratori che avesserofrequentato i corsi di formazione, comunque obbligatori per gliapprendisti, diretti a fare acquisire il « titolo » di lavoratore quali-ficato e lavoratore specializzato (40). In relazione a questa disci-plina risalente nel tempo due sono gli elementi di attualità dasottolineare: l’attribuzione (41) a soggetti terzi, cioè non all’im-prenditore, del potere di certificare la formazione professionaleattraverso esami di profitto in cui la commissione giudicatrice ècomposta da rappresentanti delle parti sociali, da docenti e darappresentanti delle istituzioni (ispettorato corporativo ed even-tualmente ispettore del ministero dell’educazione), nonché il con-ferimento al titolo di un valore specifico da utilizzare nel mercatodel lavoro, cioè l’attribuzione del diritto di precedenza nelle assun-zioni effettuate tramite il collocamento pubblico (42).

La riforma dell’apprendistato attuata nel 1955 ha modificatol’assetto normativo precedente nel senso di de-regolare le modalitàdi accertamento delle competenze tramite un rinvio alla contrat-tazione collettiva per la disciplina delle prove di idoneità (43).Secondo la norma, la verifica dell’idoneità professionale, ai finidell’attribuzione della qualifica, si svolge invece necessariamentepresso gli uffici pubblici solo nel caso di contestazione da parte dellavoratore della mancata attribuzione della qualifica (44). Di fatto,in molti casi, la contrattazione collettiva non precisa nulla sullemodalità delle prove di accertamento cosicché l’attribuzione dellaqualifica è sostanzialmente rimessa al giudizio del datore di lavo-ro (45), il quale la pubblicizza annotandola nel libretto di lavoro, orilasciando il « certificato » che attesta il tirocinio compiuto (art.2133 del codice). Peraltro l’annotazione della qualifica non attri-

(40) Cfr. art. 5, r.d.l. n. 1380/1938.(41) Cfr. art. 16, r.d.l. n. 1380/1938.(42) Cfr. art. 18 del r.d.l. n. 1380/1938 e art. 11, r.d.l. 21 settembre 1938, n.

1906.(43) Cfr. art. 24, d.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668, regolamento di attua-

zione della legge sull’apprendistato n. 25/1955.(44) Cfr. art. 25, d.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668.(45) Il c.c.n. l. dei chimici (settore privato) del 1983, art. 89 e il c.c.n.l. degli

edili (aziende industriali) del 1987, art. 3, si esprimono allo stesso modo: fannoriferimento alle prove di idoneità da svolgersi « secondo le norme di legge », cherinviano alla contrattazione collettiva senza precisare come debbano svolgersi leprove di idoneità.

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buisce nessun titolo di abilitazione professionale, né prova alcun-ché in ordine alla capacità professionale del lavoratore (46), nelsenso che non esclude che il lavoratore possa essere assunto comelavoratore non specializzato da un nuovo datore di lavoro (47).

La disciplina dell’apprendistato viene successivamente modi-ficata anche per quanto riguarda la priorità nelle assunzioni tra-mite collocamento pubblico e mentre la legge sull’apprendistatodel 1955 nulla dice in ordine alla precedenza dei lavoratori munitidi titolo di specializzazione o di qualificazione, la legge sul collo-camento n. 264/1949, generalizzando il principio dell’assunzionenumerica, si limita a prevedere la possibilità di assunzione nomi-nativa a favore dei lavoratori in possesso di titolo di studio rila-sciato da scuole professionali al primo impiego. Il titolo professio-nale non comporta quindi più nessuna preferenza nella lista dicollocamento, e permette semmai al lavoratore, alla ricerca dellaprima assunzione, di offrire lavoro al di fuori del rigido sistema delcollocamento pubblico.

7.1. Impulso decisivo alla certificazione delle competenzematurate dall’apprendista nell’attività formativa è dato dall’art.16 della l. n. 196/1997, che si propone di incentivare la stipulazionedi contratti di apprendistato, ponendo però parallelamente l’ac-cento sulla formazione, e specificamente sulla formazione esterna.In particolare tale articolo indica alcuni criteri per la normativa didettaglio che dovrà dare esecuzione alla legge, fra i quali la neces-sità di adottare regole sulla certificazione dell’attività formativaesterna svolta dall’apprendista e sulla necessità di pervenire a un

(46) Essa « vale semplicemente a provare che il rapporto di tirocinio haesaurito il suo ciclo, realizzato la sua funzione ». Così M. SALA CHIRI, Il tirocinio,Comm Sch, 1992, 150, ma già G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,Napoli, 1963, 19. Del resto per quanto attiene al certificato di tirocinio rilasciatoex art. 2133 c.c., nei casi in cui non fosse obbligatorio il libretto di lavoro si dicevaanalogamente che il documento avrebbe dovuto certificare la durata del rapportocon l’indicazione delle mansioni e dell’azienda presso il quale si era svolto ilrapporto; e che, se l’indicazione delle mansioni doveva essere specifica « anche perattestare la formazione professionale dell’apprendista, è da escludersi qualsiasiapprezzamento », « a meno che esso sia stato richiesto dall’interessato ». Così L.RIVA SANSEVERINO, Disciplina delle attività professionali, Impresa in generale, subartt. 2060-2134, Comm SB, 1986, 857.

(47) Lo afferma espressamente Cass. 15 luglio 1998, n. 6941, q. Riv., 1999,II, 242.

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sistema di controlli che, nell’ottica dell’efficiente utilizzo dellerisorse pubbliche, evidenzi l’esistenza di un « reale rapporto » fraattività lavorativa e attività formativa esterna.

Quanto all’oggettivo accertamento delle capacità pratiche dellavoratore, l’unica disposizione riconducibile alla l. n. 196/1997 èstabilita da un atto regolamentare, cioè il d. m. 28 febbraio 2000che, disciplinando le funzioni del « tutore aziendale » previsto dal-l’art. 3 della l. n. 196, cioè di quel lavoratore che « ha il compito diaffiancare l’apprendista durante il periodo di apprendistato », sta-bilisce all’art. 1, terzo comma, che il tutore manifesti le proprievalutazioni sulle competenze acquisite dall’apprendista ai fini del-l’attestazione da parte del datore di lavoro, senza però attribuire aquesta forma di « parere » un carattere vincolante; cosicché risultaconfermata la sostanziale autonomia di giudizio dell’imprenditore.

La ricostruzione del sistema della certificazione sul quale siinnesta la riforma odierna sarebbe però incompleta se non siconsiderasse legge quadro sulla formazione professionale 21 dicem-bre 1978 (48), che attribuisce alle regioni prerogative fondamentaliin materia. In questa legge si tenta di rafforzare il nesso fraformazione esterna e apprendistato, che già caratterizzava la pre-cedente legislazione, indicando, fra le iniziative di competenzaregionale « la qualificazione e specializzazione di coloro che abbianoassolto l’obbligo scolastico e non abbiano mai svolto attività dilavoro » (art. 8, primo comma, lett. a ). La legge si caratterizzaanche per il fatto di tentare di ricostruire un nesso fra certificazionedelle competenze e mercato del lavoro, prevedendo che, al terminedei corsi professionali volti al conseguimento della qualifica, gliallievi siano ammessi alle prove di idoneità innanzi a commissionipubbliche e che, sulla base degli attestati di idoneità, ricevanodagli uffici di collocamento la qualifica valida ai fini dell’avvia-mento al lavoro e dell’inquadramento aziendale (art. 14, l. 21dicembre 1978, n. 845) (49). Peraltro, all’apparente carattere vin-colante del titolo si contrappone la circostanza per cui la contrat-

(48) Questa legge è stata peraltro oggetto di una riforma « strisciante ». Sulpunto vedi le osservazioni di A. LASSANDARI, La disciplina del mercato del lavoro nelnuovo disegno costituzionale, RGL, 2002, I, 231, a p. 254.

(49) La rilevanza pratica della regola si riduce nel momento in cui vieneabrogato il sistema dell’avviamento pubblico al lavoro.

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tazione collettiva non prevede di norma l’assegnazione della qua-lifica di lavoratore specializzato ai soggetti che abbiano conseguitol’idoneità ai corsi di formazione professionale, limitandosi a ridurrela durata del periodo di apprendistato in relazione al tipo diformazione scolastica svolta precedentemente dall’apprendista.

Già alla fine degli anni ’70 si evidenzia perciò quella che risultaessere forse anche oggi il principale nodo irrisolto in ordine allacertificazione delle competenze professionali, cioè la sostanzialepratica incapacità della legge di interferire con l’autonomia privatain ordine all’accertamento delle competenze maturate dal lavora-tore in azienda. L’impermeabilità del contratto rispetto all’ogget-tivazione delle competenze risulta poi difficilmente accettabile ovesi consideri la tendenza dell’ordinamento giuridico (50) a fare del-l’apprendistato lo strumento per la realizzazione di percorsi diistruzione. L’assetto che si è descritto non può infatti che apparirecontraddittorio rispetto al principio che si va affermando con la l.n. 144/1999, secondo il quale deve essere garantita la possibilità dipassaggio fra i diversi indirizzi (51) del sistema di istruzione eformazione. La garanzia del diritto di passaggio comporta infattiche le competenze certificate in qualsiasi segmento della forma-zione costituiscano « crediti » per il passaggio da un sistema all’al-tro (art. 68, secondo comma, l. n. 144/1999 e art. 6 del d.P.R. 12luglio 2000) e perciò che le competenze pratiche maturate inazienda siano assoggettate anch’esse a una valutazione di tipooggettivo, pena la necessità di utilizzare solo il criterio del tempocome criterio di valutazione dell’esperienza pratica svolta dall’ap-prendista, con conseguente mortificazione delle capacità e abilitàindividuali.

7.2. Il nodo strutturale dell’apparente intangibilità dellasfera del contratto rispetto all’esigenza di certificazione oggettivadelle competenze maturate dall’apprendista « sul campo » sembraconfermata dal decreto n. 276. La legge, pur confermando la

(50) A tale proposito si deve menzionare la l. n. 144/1999, che già traccia unimportante nesso fra istruzione scolastica e istruzione professionale.

(51) Gli indirizzi sono: il sistema di istruzione scolastica; il sistema diformazione professionale di competenza regionale; l’esercizio dell’apprendistato(art. 68, primo comma, l. n. 144/1999).

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possibilità di passaggio fra i diversi tipi di iter formativo e profes-sionale, e dunque ammettendo il riconoscimento delle competenzematurate in termini di « credito », da pesare ai fini del completa-mento del percorso, si occupa in modo sostanzialmente neutrale,cioè tramite un ampio rinvio ad altre fonti, della certificazionedelle competenze pratiche acquisite con il lavoro. Inoltre, puressendo prevista (52) la certificazione delle competenze, con attri-buzione del valore di credito formativo alla qualifica conseguitanell’apprendistato in relazione al proseguimento del percorso diformazione, la legge non esclude in modo univoco ciò che appari-rebbe necessario, ovvero il potere del datore di lavoro di accertareunilateralmente la capacità pratica del lavoratore. Viceversa pro-prio il rinvio ad altre fonti avrebbe dovuto imporre al legislatore didettare principi, come la regola dell’oggettività necessaria (53)della valutazione, che appare di per sé qualificante di un regimedell’apprendistato (54).

Sotto altro profilo, non si può negare che anche il decreto n.276, all’art. 49, quinto comma, tenti di riaffermare il legame fraformazione e contratto di lavoro che da sempre appare presente efunzionale nella disciplina dell’apprendistato. Il riferimento effet-tuato dalla legge al « riconoscimento... della qualifica professionaleai fini contrattuali », laddove fissa i criteri cui dovra attenersi lalegge regionale nel regolare i profili formativi dell’apprendistato,vuole infatti sostanzialmente dire che l’acquisizione della qualificaprofessionale deve essere strumentale alla collocazione del lavora-tore nel mercato, cioè deve attribuire una qualifica spendibile dallavoratore. Ma il rinvio incondizionato alla potestà normativa delleregioni, su tale profilo della formazione professionale, appare ina-deguato perché in grado di limitare la liberta di circolazione deilavoratori. È evidente infatti che la circolazione dei lavoratori sul

(52) Cfr. art. 51 d.lgs. n. 276/2003.(53) La regola della necessaria oggettività dell’accertamento rivela la pro-

pria importanza anche ove si rifletta sulle ipotesi che sembrano ammesse dallalegge di apprendistato « frammentato », cioè svolto presso più datori di lavoro, concumulo dei relativi periodi, i quali, altrimenti, rilevano per la mera durata.

(54) Neppure la norma che introduce il libretto formativo del cittadino, nelquale vengono annotate le competenze del lavoratore, purché riconosciute ecertificate, chiarisce alcunché sulle modalità della certificazione delle competenzepratiche dell’apprendista.

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suolo nazionale e nell’Unione europea (55) impone tendenzial-mente l’adozione di criteri omogenei di riconoscimento delle qua-lifiche; criteri che non possono non richiedere un inquadramentoda parte di una fonte di livello almeno statuale.

8. All’incremento dell’uso dei contratti di apprendistato nelnostro Paese non sembra corrispondere un incremento significativodelle attività formative, perché tali contratti sono utilizzati soprat-tutto al fine di ridurre il costo del lavoro. La carenza di formazioneè, a nostro avviso, attribuibile almeno in parte al fatto che lanormativa non fornisce adeguati incentivi alle parti interessateall’investimento in formazione.

Abbiamo individuato in particolare due aree critiche, la duratadel contratto e la certificazione delle competenze. Se si ritieneopportuno dare all’impresa che investe in formazione sufficientigaranzie di recuperare i costi sostenuti durante l’apprendistato, ese il recupero dei costi può avvenire allorché il lavoratore formatospenda le competenze acquisite almeno in parte presso la stessaimpresa formatrice, è opportuno predisporre schemi normativi chestabiliscano una congrua durata minima del contratto di appren-distato. Poiché l’oggettiva trasparenza della formazione ricevutarappresenta un valore per il lavoratore e un incentivo all’appren-dimento professionale, è necessario che un sistema che si proponedi favorire la formazione della forza lavoro predisponga regole chegarantiscano una valutazione il più possibile oggettiva delle com-petenze acquisite.

Il d.lgs. n. 276/2003 non sembra rispondere in modo soddisfa-cente a queste due esigenze. Per quanto riguarda la durata, esisteun’importante ambiguità tra la durata del « contratto », che variatra un minimo di due e un massimo di sei anni, e che sembrapresupporre il completamento del periodo di tirocinio presso una

(55) Sulla necessità di collocare la disciplina dell’apprendistato nella pro-spettiva di un modello europeo coerente, pur in assenza di norme comunitariecogenti, si rinvia alle riflessioni di F. BANO, I contratti a contenuto formativo, inImpiego flessibile e mercato del lavoro, a c. di A. PERULLI, Torino, 2004, 167, a p.168, e alla Comunicazione della COMMISSIONE EUROPEA del 18 giugno 1997 dal titoloSviluppare l’apprendistato in Europa, non pubblicata nella GU e sintetizzata inhttp://europa.eu.int.

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singola impresa, e la possibilità di conseguire la qualifica profes-sionale con una successione di periodi formativi presso impresediverse. Per quanto riguarda invece la certificazione, il decretoconferma l’apparente impermeabilità della sfera del contratto ri-spetto all’esigenza di certificazione oggettiva delle competenzematurate dall’apprendista « sul campo ».

Ci aspettiamo quindi che lo scollamento tra diffusione deicontratti di apprendistato e attività formativa non cosmetica, e ilconseguente utilizzo dell’apprendistato come uno strumento im-proprio di riduzione del costo del lavoro, rimangano una caratte-ristica saliente del mercato del lavoro italiano anche nel prossimofuturo.

DALLA FORMAZIONE APPARENTE ALLA FORMAZIONE EFFETTIVA? IL NUOVOAPPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE. — Riassunto. Il saggio contiene una riflessione di tipogiuridico ed economico sul contratto di apprendistato « professionalizzante » regolato dall’art. 49 del d.lgs. 10settembre 2003, n. 276. In particolare analizza i profili della durata del contratto e della certificazione dellecompetenze acquisite durante il rapporto dal lavoratore, al fine di discutere la congruenza delle norme rispettoai tipici interessi economici dei contraenti.

FROM COSMETIC TO REAL TRAINING? THE NEW ITALIAN APPRENTICESHIP SYS-TEM. — Summary. The essay investigates the new rules for apprenticeship in Italy both from a legal and aneconomic viewpoint. The Authors focus on contract duration and on the certification of skills and discuss howconsistent the new rules are with economic considerations.

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Professore nel Collegio Europeo di Parma - Università di Parma

GLI « ACCORDI QUADRO » COMUNITARI COME STRUMENTIPER RISOLVERE I CONFLITTI NAZIONALI

IN MATERIA DI LAVORO

Il Tribunale del lavoro di Monaco di Baviera, in un’ordinanzadel 26 febbraio 2004, pone alla Corte di Giustizia di Lussemburgoil quesito (1) se il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare lapropria normativa interna qualora la stessa sia ritenuta in contra-sto con l’Accordo quadro comunitario sul contratto di lavoro atempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (2) dalle organizza-

(1) La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’ArbeitsgerichtMünchen con ord. 26 febbraio 2004 in causa Mangold c. Helm (GUCE 29 maggio2004) reca i seguenti quesiti:

« 1.a) Se la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro... debba essere inter-pretata nel senso che nell’ambito della sua attuazione nell’ordinamento internoessa vieta una reformatio in peius attraverso un abbassamento dell’età da 60 a 58anni.

« 1. b) Se la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro... debba essere inter-pretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale la quale — come quellacontroversa nel caso di specie — non contenga alcuna limitazione ai sensi delle trealternative previste al n. 1.

« 2. Se l’art. 6 della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, n.2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento inmateria di occupazione e di condizioni di lavoro, debba essere interpretato nelsenso che esso osta a una normativa nazionale la quale — come quella controversanel caso di specie — consenta di concludere contratti a tempo determinato conlavoratori che abbiano compiuto i 52 anni in assenza di una ragione obbiettiva,così derogando al principio della necessaria presenza di una ragione obbiettiva.

« 3. Se, nel caso in cui una delle tre precedenti questioni venga risoltaaffermativamente, il giudice nazionale debba disapplicare la normativa nazionalecontrastante con il diritto comunitario e se trovi quindi applicazione il principiogenerale di diritto interno secondo cui un contratto di lavoro a tempo determinatoè ammissibile solo in presenza di una ragione obbiettiva ».

(2) L’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, unitamente alla

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zioni intercategoriali UNICE (3) e CEEP (4), in rappresentanzadelle associazioni dei datori di lavoro, e CES (5), in rappresentanzadei sindacati dei lavoratori.

Come è noto, il predetto Accordo quadro è stato attuato,conformemente all’art. 139 del Trattato CE, tramite la direttivadel Consiglio dell’Unione europea n. 1999/70 (6), la quale, a suavolta, è stata trasposta nei vari Paesi membri mediante adeguatiprovvedimenti nazionali di recepimento (7).

Dal punto di vista giuridico-formale il quesito non pone par-ticolari problemi, se non sotto uno specifico profilo che attienesegnatamente alla materia del lavoro. Il quesito qui consideratoevoca infatti una problematica ben nota ai cultori del dirittocomunitario, riguardante i limiti posti ai poteri del giudice interno,in caso di contrasto tra una direttiva e una disposizione di leggenazionale, di procedere alla disapplicazione di quest’ultima.

Come sappiamo, il giudice interno può senz’altro disapplicareuna disposizione di legge nazionale se questa risulta in contrastocon una norma comunitaria direttamente efficace contenuta, adesempio, nello stesso Trattato CE o in un regolamento (8). Alcontrario, se la disposizione nazionale entra in conflitto con unadirettiva comunitaria non trasposta (o scorrettamente trasposta)nell’ordinamento interno di uno Stato membro (il cui termine di

direttiva n. 1999/70 che l’ha attuato, è pubblicato in GUCE L 175 del 10 luglio1999, 45.

(3) Unione delle Confederazioni delle industrie della Comunità europea(UNICE). Per quanto riguarda la struttura, le funzioni e la politica dell’UNICE,v. R. NUNIN, Il dialogo sociale europeo, Milano, 2001, 94.

(4) Centro europeo dell’impresa a partecipazione pubblica (CEEP). Perquanto riguarda la struttura, le funzioni e la politica del CEEP, v. R. NUNIN, op.cit., 116.

(5) Confederazione europea dei sindacati (CES). Per quanto riguarda lastruttura, le funzioni e la politica della CES, v. R. NUNIN, op. cit., 53.

(6) Cfr. nota 2. Vari giudici di diversi Stati membri, compresa l’Italia,hanno rimesso alla Corte di Giustizia altre cause relative all’Accordo quadro e alladirettiva n. 1999/70 di cui si discute (cfr. cause n. 53/04; n. 180/04; n. 261/04).

(7) In Italia la direttiva n. 1999/70 è stata recepita con il d.lgs. 6 settembre2001, n. 368. Sulle questioni relative al recepimento delle direttive di attuazionedegli Accordi quadro, v. E. CORTESE PINTO, Commento agli artt. 138-139, inCommentario ai Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, a c. di A.TIZZANO, Milano, 2004, 777 ss.

(8) Cfr. la sentenza n. 170/1984 (Granital) della Corte costituzionale ita-liana, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1984, 193.

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attuazione sia già scaduto), il giudice di tale Stato non potrà sic etsimpliciter disapplicare la disposizione nazionale contrastante conla direttiva senza effettuare ulteriori verifiche. Egli dovrà, prima ditutto, accertare se la norma contenuta nella direttiva sia completadi contenuto dispositivo e, in secondo luogo, se la stessa norma siastata invocata in una controversia tra due soggetti privati oppurein una controversia tra un soggetto privato e lo Stato (o unorganismo pubblico). Tenendo presente infatti la giurisprudenzadella Corte di Giustizia relativa alla diretta efficacia in sensoverticale delle direttive, il giudice nazionale potrà disapplicare ladisposizione nazionale qualora la direttiva venga invocata controlo Stato oppure contro un organismo pubblico, mentre non dovràprocedere a tale disapplicazione in caso di controversia tra duesoggetti privati (9).

I curiosi effetti di questa giurisprudenza possono farsi parti-colarmente sentire, come sopra ricordato, nella materia del lavoro,dato che, in questa materia, le controversie possono nascere sia traun lavoratore e un datore di lavoro privato, sia tra un lavoratore eun datore di lavoro pubblico (10).

(9) Cfr. F. CAPELLI, L’efficacia orizzontale delle direttive secondo una giuri-sprudenza incompiuta, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1994,51.

(10) Cfr. lo scritto citato nella nota 9; v. inoltre F. CAPELLI, La direttiva sullaparità dei sessi e le lavoratrici notturne, in Diritto comunitario e degli scambiinternazionali, 1996, 355. Tra le cause recentemente rimesse alla Corte di Giusti-zia, citate nella nota 6, le due portanti il n. 53/04 e 180/04 provengono dalTribunale di Genova e riguardano controversie tra lavoratori, da un lato, e unorganismo pubblico, dall’altro. Che il problema evocato nel testo tuttora per-manga e continui a creare difficoltà alla stessa Corte di Giustizia viene confermatodalla sentenza emessa il 5 ottobre 2004 nelle cause riunite nn. 397-403/01 (Pfeiffere altri c. Croce Rossa tedesca), rimesse alla Corte da un giudice tedesco che era statorichiesto di disapplicare una norma interna, contrastante con la direttiva n.93/104 sull’orario di lavoro, in varie controversie tra lavoratori e un datore dilavoro privato (Croce Rossa tedesca). La Corte ha invitato il giudice a interpretarela normativa interna in modo conforme alla direttiva, riproponendo così l’indi-rizzo giurisprudenziale adottato per la prima volta nella nota sent. Marleasing(causa n. 106/89, Racc, 1990, I, 4156), che aveva suscitato perplessità e critiche(cfr. il commento di F. CAPELLI, ne Le Società, 1991, 440). Le stesse critichevengono ribadite, con riferimento alla sentenza del 5 ottobre 2004 consideratanella presente nota, da M. CASTELLANETA, in Guida al diritto, n. 40/2004, 115. Perla precisione, la direttiva n. 93/104 sull’orario di lavoro, presa in considerazione inquest’ultima sentenza, non è direttamente attuativa di un Accordo quadrocomunitario (anche se è stata integrata da un successivo Accordo quadro, a sua

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Orbene, per quanto riguarda gli Accordi quadro comunitariconclusi in base all’art. 139 del Trattato CE, sarebbe possibileevitare l’applicazione di questa giurisprudenza alle controversienelle quali tali Accordi quadro vengono invocati, se le specifichedirettive di attuazione, adottate dal Consiglio dell’Unione europea,non venissero equiparate a quelle tipiche aventi carattere norma-tivo a norma dell’art. 249 del Trattato CE. Purtroppo è questol’indirizzo che è stato finora seguito, come si ricava dalla giurispru-denza comunitaria (11). In effetti, il metodo — accolto in sedecomunitaria — di far attuare gli Accordi quadro tramite appositedirettive adottate dal Consiglio dell’Unione europea, è stato pun-tualmente contestato in una causa portata davanti al Tribunale di

volta attuato con una nuova direttiva, la n. 2000/34); ma ciò non sposta i terminidel problema evocato nel testo perché, come abbiamo ricordato, esso riguardatutte le direttive, non importa se attuative o no di un Accordo quadro. L’unicasoluzione ipotizzabile per l’ordinamento italiano potrebbe ricavarsi, a nostroavviso, da C. cost. n. 443/1997 (Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, 246, con nota di S.NINATTI, « La sola alternativa praticabile »: eguaglianza, discrezionalità legislativa enorme comunitarie nella sentenza 443/97 della Corte costituzionale, 215), che hadichiarato l’incostituzionalità, per contrasto con l’art. 3 Cost., di una normaitaliana sulle paste alimentari, in quanto essa vietava ai nostri produttori l’uti-lizzazione di specifici ingredienti, consentiti invece dalla normativa comunitaria,risultandone una forma di « discriminazione alla rovescia » ai danni dei produttoriitaliani, che non poteva essere impedita in base al diritto comunitario (sul puntocfr. F. CAPELLI, È legittima la « discriminazione alla rovescia » imposta per tutelarela qualità della pasta alimentare italiana, in Diritto com. e degli scambi internaz.,1994, 421). Anche con riferimento all’efficacia verticale delle direttive, nelleipotesi di cui ci stiamo occupando si verifica una discriminazione ai danni deilavoratori dipendenti di un’impresa privata, i quali non possono beneficiare deivantaggi che le direttive medesime finiscono per accordare ai dipendenti pubblici;discriminazione che è dovuta soltanto alla giurisprudenza della Corte di Giustiziaesaminata nel testo. Se, pertanto, la nostra Corte costituzionale dovesse ritenereinaccettabile il trattamento discriminatorio ai danni dei lavoratori dipendenti diimprese private, potrebbe, sulla base dell’art. 3 Cost., dichiarare l’incostituziona-lità delle norme legislative italiane contrastanti con le disposizioni delle direttivecomunitarie di volta in volta invocate. Questa soluzione sarebbe, a nostro avviso,giuridicamente più corretta di quella suggerita dalla sent. Pfeiffer c. Croce Rossatedesca: appare infatti problematico per il giudice nazionale interpretare la nor-mativa del proprio Paese in modo conforme a una direttiva comunitaria, se talenormativa non si presta ad alcuna interpretazione conforme, in quanto orientatain direzione diametralmente opposta; su questo aspetto v. F. CAPELLI, L’efficaciadelle direttive: due modeste proposte per risolvere un problema antico, in Dir. com. edegli scambi internaz., 2004, 755.

(11) Cfr. sent. del Tribunale di prima istanza 17 giugno 1998, in causa n.135/96 (UEAPME c. Consiglio), Racc, 1998, II, 2335.

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prima istanza, dato che l’art. 139 del Trattato CE prevede chel’attuazione di tali Accordi avvenga « in base a una decisione delConsiglio su proposta della Commissione ». Il Tribunale di primaistanza ha rigettato la contestazione senza fornire una motivazioneprecisa e documentata, accontentandosi di riconoscere al termine« decisione », contenuto nell’art. 139 del Trattato, non una portatatecnico-giuridica, ma una portata meramente indicativa (12).

Considerato il numero limitato di Accordi quadro finora stipu-lati, è probabile che gli inconvenienti provocati dalla descrittagiurisprudenza sull’efficacia diretta verticale delle direttive pos-sano essere ragionevolmente contenuti e circoscritti. Ma in previ-sione di un aumento del numero di tali accordi, la cui attuazionedovrà avvenire anche all’interno dei nuovi Stati membri nei qualisarà necessario un non breve periodo di collaudo per garantire unacorretta applicazione del diritto comunitario nei rispettivi ordina-menti, è da ritenere che i predetti inconvenienti possano moltipli-carsi a scapito di una uniforme applicazione degli Accordi quadronei Paesi dell’Unione.

La soluzione, per eliminare alla radice tali inconvenienti, po-trebbe essere quella di interpretare in modo letterale la disposi-zione dell’art. 139 del Trattato. In altri termini, il Consiglio del-l’Unione europea potrebbe dare attuazione agli Accordi quadromediante una decisione formale, a norma dell’art. 249 del TrattatoCE, che abbia come destinatari, contemporaneamente, da un lato,gli Stati membri e, dall’altro, i lavoratori e i datori di lavoro cherisultano rappresentati dalle organizzazioni categoriali firmatariedei rispettivi Accordi quadro. In questo modo, qualora in unoStato membro non venisse adottato uno specifico provvedimentodestinato a recepire nell’ordinamento di tale Stato un determinatoAccordo quadro, gli interessati potrebbero ottenere, per via giudi-ziaria, l’applicazione delle norme dell’Accordo quadro, attuatemediante la decisione del Consiglio, nei confronti di tutti i soggetti

(12) Cfr. la sent. cit. nella nota precedente, punti 66 e 67 della motivazione.A tale proposito v. le osservazioni critiche di E. CORTESE PINTO, in Commentario aiTrattati dell’Unione, cit., 779. Occorre ricordare che, secondo l’art. 139, par. 2, delTrattato CE, gli Accordi quadro comunitari all’interno degli Stati membri pos-sono essere recepiti anche tramite accordi collettivi: per l’Italia, ci sembra che ilprimo caso di recepimento di questo tipo riguardi l’accordo quadro sul telelavoro(cfr. FI, 2004, V, 101-108).

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coinvolti, in quanto l’Accordo medesimo diventa applicabile atutti i lavoratori e a tutti i datori di lavoro (privati e pubblici).

I riferimenti sopra effettuati agli aspetti giuridico-processualiconsentono di comprendere più a fondo gli aspetti sostanziali chemaggiormente rilevano.

La direttiva 1999/70, di cui al quesito del Tribunale tedescorichiamato in apertura, è stata adottata per dare attuazione al-l’Accordo quadro concluso nel 1999 dalle organizzazioni categorialiUNICE, CEEP e CES sul contratto di lavoro a tempo determinato.Tale Accordo quadro, come sappiamo, è uno dei sei Accordi (cui siriferisce l’art. 139 del Trattato) finora conclusi dalle predetteorganizzazioni categoriali nel contesto del dialogo sociale (13): essisono, a tutt’oggi, le uniche forme di intesa, in materia di lavoro,che vedono coinvolte in sede comunitaria le parti sociali rappre-sentate dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Per la verità, il Trattato CE ammette la possibilità che in sedecomunitaria le parti sociali procedano anche alla stipulazione diveri e propri accordi collettivi (14). Tale eventualità non si è peròfinora realizzata, perché la conclusione di un accordo collettivocomunitario è sembrata un obiettivo difficilmente raggiungibile,risultando più agevole per le parti sociali avviare fra loro contattie trovare intese adeguate entro i limiti delineati nell’art. 139 delTrattato e alle condizioni in esso stabilite (15).

Ma a ben vedere gli Accordi quadro, come tali, sono assimila-bili ai contratti collettivi dal punto di vista dei contenuti, perchésono, in sostanza, il frutto di un’intesa raggiunta dai rappresen-tanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il ricorso allo strumentonormativo comunitario (direttiva o decisione) è apparso necessariounicamente per assicurare un’efficacia giuridica vincolante alle

(13) Gli Accordi quadro finora stipulati riguardano: a) il congedo paren-tale; b) il lavoro a tempo parziale; c) il lavoro a tempo determinato; d) l’orario dilavoro dei lavoratori marittimi; e) alcuni aspetti dell’orario di lavoro; f) l’orariodi lavoro del personale di volo dell’aviazione civile.

(14) Cfr. art. 139, n. 1 del Trattato CE: « Il dialogo fra le parti sociali alivello comunitario può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali,ivi compresi accordi ». Su aspetti correlati v. A. LO FARO, Funzioni e finzioni dellacontrattazione collettiva comunitaria. La contrattazione collettiva come risorsa del-l’ordinamento giuridico comunitario, Milano, 1999, passim.

(15) A tale proposito, v. R. NUNIN, op. cit., con riferimento ai punti indicatialle note 3, 4 e 5.

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clausole in tali Accordi contenute. Acquisendo efficacia giuridicavincolante, le clausole degli Accordi quadro che risultano completenel loro contenuto dispositivo finiscono per prevalere nei confrontidelle disposizioni interne degli Stati membri con esse in contrasto(con le sole limitazioni, cui sopra abbiamo accennato, riferiteall’efficacia diretta verticale delle direttive).

Una risposta affermativa al quesito posto dall’Arbeitsgericht diMonaco di Baviera avrebbe quindi l’effetto di rendere inapplica-bile la normativa nazionale di uno Stato membro in materia dilavoro, per contrasto con un Accordo quadro comunitario. Laprevalenza del diritto comunitario sui diritti nazionali degli Statimembri, che si è pienamente affermata nei diversi settori nei qualila normativa comunitaria ha da tempo trovato applicazione (do-gane, concorrenza, commercio intra ed extra comunitario, appaltipubblici, trasporti, prodotti alimentari, attività professionali, tu-tela dei consumatori, agricoltura, tutela dell’ambiente, ecc.) puòquindi senz’altro affermarsi, grazie all’adozione degli Accordi qua-dro, anche nel settore del lavoro (16).

In Paesi come l’Italia, dove i dibattiti sul modo di disciplinarela materia del lavoro si sono spesso trasformati in scontri violentifra posizioni strumentalmente contrapposte, nei quali le faziositàideologiche e le mire politiche hanno sovente avuto la meglio sullaragione, il ricorso agli Accordi quadro comunitari potrebbe con-sentire di giungere a soluzioni di buon senso, spianando la strada aun autentico dialogo sociale che le parti coinvolte potrebberoeffettivamente condurre nell’interesse delle specifiche categorieinteressate.

D’altro canto, in tutti i settori, diversi da quello del lavoro, neiquali la normativa comunitaria ha trovato applicazione, è statopossibile raggiungere risultati estremamente significativi a vantag-gio dell’intera economia e quindi, di riflesso, a tutela degli interessidei lavoratori e dei datori di lavoro (17). Non sarebbe stato altri-menti possibile far approvare in Italia molti dei provvedimenti che

(16) Nel Trattato costituzionale europeo, in corso di ratifica, è stata espres-samente prevista, all’art. I-6, la prevalenza del diritto comunitario sul dirittonazionale degli Stati membri.

(17) Cfr. A. QUADRIO CURZIO, Noi, l’economia e l’Europa, Bologna, 1995,passim.

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sono stati adottati in sede comunitaria e che hanno esercitato unimpatto decisamente positivo sulla nostra economia, e ciò a causadella particolare situazione conflittuale che ha sempre caratteriz-zato il mondo politico italiano. È noto che, nei momenti cruciali, èstato il ricorso al cosiddetto « vincolo esterno » a consentire diintrodurre e di applicare in Italia regolamentazioni indispensabili,da un lato, al rilancio dell’economia, nonché, dall’altro lato, allarimozione dei più diversi ostacoli (« lacci e laccioli ») che hannosempre impedito al nostro Paese di affrancarsi da vincoli obsoletie dannosi (18).

D’altra parte, la resistenza che tuttora viene opposta, anchenel nostro Paese, all’ampliamento delle competenze e dei poteri diintervento dell’Unione europea nelle materie del lavoro, sta per-dendo sempre più la sua giustificazione. Innanzitutto, essendosisignificativamente attenuate le divergenze ideologiche che in pas-sato, specialmente in Italia, hanno alimentato le contese tra leorganizzazioni sindacali, contribuendo a trasformarle in organismiausiliari dei partiti, più interessati all’esercizio del potere politicoche alla tutela dei lavoratori, sono venute meno le ragioni sostan-ziali che ostacolavano il dialogo sociale.

Ma oltre al mutamento di carattere ideologico, destinato atogliere forza ai motivi che alimentano i conflitti, vi sono ragionioggettive che dovrebbero aprire la strada a intese ragionevoli,agevolando la stipulazione di Accordi quadro comunitari nel con-testo del dialogo sociale (19). La realizzazione del mercato internonell’Unione europea è ormai un fatto compiuto; così pure la glo-balizzazione economica, che ha reso inoperanti molti strumenti di

(18) Sui « lacci e laccioli » riferiti al settore del lavoro v. P. ICHINO, Il lavoroe il mercato, Milano, 1996, passim. Per quanto riguarda il « vincolo esterno » cfr. G.CARLI, Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, 1993, 434. Parlando del trasfe-rimento delle competenze alla Banca Centrale europea imposto dal Trattatodi Maastricht, CARLI dichiara (p. 8) « ancora una volta dobbiamo ammettereche un cambiamento strutturale avviene attraverso l’imposizione di un “vincoloesterno”. Ancora una volta, come già nel caso del Trattato di Roma, come nel casodel sistema monetario europeo, un gruppo di italiani ha partecipato attivamentelasciando tracce importanti del proprio contributo, all’elaborazione di quei Trat-tati che hanno rappresentato “vincoli esterni” per il nostro Paese. Ancora unavolta si è dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, costruendoaltrove ciò che non si riusciva a costruire in patria ».

(19) Cfr. V. FERRANTE, Nuovi sviluppi per il dialogo sociale europeo: ladirettiva sul lavoro a termine in Europa e diritto privato, 2000, 215.

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controllo che gli Stati membri hanno potuto utilizzare nel passa-to (20).

Negli ultimi vent’anni, con un’accelerazione notevole nel se-condo decennio, sono stati adottati numerosissimi provvedimenticomunitari che hanno mutato in Europa il quadro giuridico riferitoagli aspetti economici, con l’effetto di armonizzare, all’interno deidiversi Stati membri, le regole applicabili in settori di notevolerilevanza tecnico-economico-sociale. Per di più, l’introduzionedella moneta unica, che è stata adottata dai più importanti Statimembri, ha ridotto la sovranità degli Stati nazionali nel settoremonetario, con conseguente trasferimento all’Unione europea disensibili poteri anche in materia di politica economica (21). In uncontesto siffatto, appare evidente non solo l’utilità, ma anche lanecessità di rendere possibile a livello europeo la soluzione deiproblemi concernenti la materia del lavoro, coinvolgendo le partisociali rappresentate dalle rispettive organizzazioni categoriali.

Se esistono regole comuni destinate a condizionare pesante-mente la gestione dell’economia all’interno dei vari Stati membri,non sarà infatti possibile che la materia del lavoro, strettamenteconnessa all’economia, possa continuare a essere assoggettata alledifferenti discipline nazionali, ispirate a regole diverse, influenza-bili per di più da motivazioni politiche nazionali (22). Anche inmateria di lavoro finirà quindi per affermarsi, in sede europea, unalegislazione basata su criteri democratici, vicina alle parti diretta-mente interessate, che seguirà, per una via ancora diversa, l’indi-rizzo adottato in tutti gli altri settori dalla legislazione comunitariache ha saputo dar prova di tutelare al meglio gli interessi dellageneralità dei cittadini (23).

(20) Si pensi, ad esempio, alla « delocalizzazione » delle imprese. NessunoStato può adottare oggigiorno provvedimenti in grado di incidere coercitivamentesu decisioni volte a trasferire un’impresa in uno Stato diverso da quello dove essaè sorta.

(21) V. F. CAPELLI, L’euro nell’ordinamento dell’Unione europea, Napoli,1999, 57 ss.

(22) Cfr. A. LO FARO, Europei, comunitari e comunitarizzati: i contratticollettivi nell’era della sovranazionalità, RGL, 2000, I, 861.

(23) Cfr. F. CAPELLI, Il sistema istituzionale dell’Unione europea come fonda-mento di una nuova forma di democrazia, in Diritto comunitario e degli scambiinternazionali, 2004, 221.

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GLI « ACCORDI QUADRO » COMUNITARI COME STRUMENTI PER RISOLVERE I CON-FLITTI NAZIONALI IN MATERIA DI LAVORO. — Riassunto. Nel commentare l’ordinanza di ungiudice tedesco in materia di lavoro, l’A. prende in considerazione gli Accordi quadro conclusi in sede europeatra i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, mettendone in rilievo le peculiarità e analizzandonegli effetti non solo sotto il profilo giuridico, ma anche sotto il profilo politico-sociale. Sotto quest’ultimo profilo,l’A., riferendosi in particolare alla situazione italiana, sottolinea come le relazioni tra le organizzazioni deidatori di lavoro e i sindacati dei lavoratori sono sempre state molto difficili a causa dei condizionamenti dinatura politica. A suo avviso, gli Accordi quadro, che consentono di far risolvere questioni molto controverseda parte di organismi operanti in sede europea, politicamente meno coinvolti e, quindi, meno aggressivi diquelli operanti in sede nazionale, potrebbero costituire un valido strumento per attenuare le faziosità fra leparti in conflitto, favorendo lo sviluppo del dialogo sociale nelle relazioni industriali. Sotto il profilo giuridico,l’A. ritiene che gli Accordi quadro dovrebbero essere attuati in sede comunitaria non mediante direttive, mafacendo ricorso a decisioni comunitarie, allo scopo di assicurare una loro applicazione diretta nei confronti ditutti gli interessati.

THE EU « FRAMEWORK AGREEMENTS » AS A MEANS OF SOLVING NATIONAL LA-BOUR DISPUTES. — Summary. In commenting on the decision of a German court on the subject of labour,the Author refers to the « framework agreements » concluded at the EU level between the employers’ andemployees’ representatives, drawing attention to the salient points and analyzing the effects not only from thelegal point of view, but also from the political and social one. As regards the latter aspect, the Author, withspecific reference to the Italian situation, emphasizes the fact that relations between the employers’ organiza-tions and the trade unions have always been bedevilled by political interests. In his opinion, the frameworkagreements, which make it possible to solve very controversial questions for the part of European bodies, whichare politically less involved — and therefore less aggressive than those operating at national level — mightrepresent an effective means of mitigating partisanship between the conflicting parties and encouraging socialintercourse in the workplace. From the legal perspective, the Author is of the opinion that frameworkagreements should be set up at the EU level, not by means of directives, but through decisions taken by theCommission, with the object of ensuring their direct application to all those involved.

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MARIELLA MAGNANI

Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Pavia

Membro della Commissione di garanzia per lo sciopero nei s.p.e.

LA DISCIPLINA DELLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICIESSENZIALI ALLA PROVA DEI FATTI (*)

SOMMARIO: 1. La l. n. 146 e gli scioperi selvaggi. — 2. Lo strabismo dello scioperonei pubblici servizi. — 3. La (naturale) centralità delle forme di prevenzionedel conflitto. — 4. La praticabilità di forme alternative di protesta. — 5. Leregole del conflitto e le proposte di modificazione. — 6. Le regole sanziona-torie e i possibili adattamenti. — 7. Conclusioni.

1. Il dilagare di scioperi « selvaggi », soprattutto nel 2003 enei settori del trasporto aereo ed urbano, in connessione con unadifficile operazione di ristrutturazione aziendale e con il difficilerinnovo del contratto collettivo nazionale, ha acceso un dibattito,talora scomposto, sulla capacità di tenuta delle regole attualmentedettate in materia.

Tali regole, poste con la l. n. 146/1990, sono state modificatedopo appena un decennio, con la l. n. 83/2000: occorre ricordarlo,perché non è usuale che una legge così strutturale, e largamentecondivisa anche dal movimento sindacale, subisca in tempi relati-vamente ravvicinati un adattamento, sia pure di tipo manuten-tivo. Questo è indice della particolare sensibilità della materia almutamento dei dati di contesto. Non vi è da sorprendersi: che unfenomeno social-collettivo come lo sciopero non possa essere go-vernato se non con regole condivise; e che esse tengano conto dei

(*) Lo scritto è destinato agli Studi in memoria di Giorgio Ghezzi.

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dati di contesto corrisponde all’esperienza di tutti i Paesi demo-cratici.

Ebbene, rispetto all’impianto della l. n. 146/1990 e del succes-sivo intervento manutentivo, vi sono stati almeno due mutamentidei dati di contesto. Deve sottolinearsi, da una parte, la tenden-ziale liberalizzazione-privatizzazione dei servizi pubblici, col con-seguente venir meno, almeno in alcuni casi, dell’originario regimedi monopolio; d’altra parte, che la tendenza alla frammentazionesindacale non si è attenuata rispetto al momento in cui si sonodettate le regole manutentive dell’impianto originario della l. n.146. Anzi, tale tendenza si è in alcuni casi rafforzata, con laconseguente esasperata concorrenzialità tra le organizzazioni sin-dacali.

La tendenziale privatizzazione-liberalizzazione che interessa ipubblici servizi incide in duplice modo sulla materia che ci occupa:se, a regime, può rivelare l’inadeguatezza delle regole contenutenegli accordi e nelle regolamentazioni provvisorie imperniate suuna situazione di monopolio pubblico, nell’immediato essa è cer-tamente fonte di tensioni e forte conflittualità in settori in passatoposti al riparo dai colpi del mercato e della concorrenza.

La combinazione dei due fattori sopra richiamati — privatiz-zazione-liberalizzazione dei servizi, frammentazione sindacale —ha fatto sì che si sia appannata la capacità delle organizzazionisindacali di governare il conflitto, capacità su cui avevano scom-messo sia il legislatore del 1990, sia quello del 2000. Basti pensareappunto all’incremento degli scioperi c.d. spontanei, senza regole oal di fuori delle stesse (1), potenzialmente idonei a sfuggire allemaglie della legge.

Nel dibattito di cui si parlava, innescato, come sempre av-viene, dalla recrudescenza del conflitto, le proposte avanzate sonostate di diverso segno, dall’indicazione di potenziare le regole digoverno del conflitto, in particolare quelle sanzionatorie, a quelladi rafforzare le forme e le procedure di prevenzione del medesimo,sulle quali la l. n. 83/2000 ha operato una forse ancora troppotimida apertura. Discutere sui punti dolenti della disciplina e della

(1) MONTUSCHI, Lo sciopero senza regole, Newsletter CGS, 2003, n. 3, 17 ss.

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prassi dello sciopero nei pubblici servizi e sui possibili rimedi èquanto si propone il presente saggio.

2. Per comprendere che fare occorre, anzitutto, comprenderela peculiare natura dello sciopero nei s.p.e. Esso assume connotatiben diversi rispetto a quelli che gli sono propri in generale nelsistema delle relazioni industriali, specie delle relazioni di tipopluralistico-conflittuale, ove si è potuto autorevolmente affermareche il conflitto è il vero padre di tutte le cose: lo stesso contrattocollettivo non è altro che lo sbocco del conflitto e può a sua voltaessere fonte di ulteriori conflitti, segnatamente sull’applicazione einterpretazione del medesimo (2). Ebbene, la peculiarità dello scio-pero nei pubblici servizi sta non tanto nel fatto che esso incideanche su soggetti terzi — gli utenti — estranei al conflitto; quantonel fatto che in molti casi esso incide solo su di essi, ed eventual-mente sugli scioperanti. In linea generale — nelle ipotesi tipichecaratterizzanti il servizio pubblico, vale a dire quelle monopolisti-che — è ipotizzabile se non un’indifferenza da parte delle aziendeo degli enti erogatori, certamente una minore capacità di incidenzadello sciopero nei loro confronti, in quanto datori di lavoro chehanno il vantaggio di non rischiare la perdita del cliente-utente.

Della reale natura dei fenomeni che si intendono normare,quindi anche della natura peculiare o « alterata », rispetto al nor-male schema, dello sciopero nei pubblici servizi, va dunque tenutoconto. Ciò anche per evitare il rischio di produrre, come è già statodenunciato, « un sistema di gestione burocratica dell’azione diautotutela sindacale che non richiama certamente né il fenomenosociale dello sciopero né il suo concetto ontologico » (3). Al di làdell’enfasi, non si può dare torto al vice Presidente della Commis-sione di Garanzia quando, con toni allarmati, descrive la burocra-tizzazione del conflitto nei servizi pubblici: i servizi pubblici sitrascinano « in un perenne disservizio per le continue proclama-zioni di scioperi spesso annullati o rinviati o comunque di scarsa

(2) Cfr. MANCINI e ROMAGNOLI, Diritto sindacale, Il Mulino, Bologna, 1971,297, che richiamano il pensiero di KAHN-FREUND.

(3) Cfr. PROSPERETTI, L’evoluzione dello sciopero virtuale nei servizi pubbliciessenziali, in Relazione sull’attività della Commissione (1° ottobre 2001-31 luglio2002), Roma, 2002, 55.

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incidenza ». Alcuni sindacati mirano essenzialmente alla propria« visibilità » e solo in nome di questa effettuano scioperi a distanzadi mesi dalle effettive ragioni a suo tempo poste a base della azionedi autotutela. Si ha quindi il caso di « scioperi rinviati d’autorità,prima sospesi per un periodo di franchigia (ad esempio estiva), chevengono riprogrammati sulla scorta di un diritto di prenotazionead esercitare quel tale sciopero le cui ragioni spesso nessuno ricor-da » (4).

3. Le regole, dunque, vanno tarate sulla reale natura deifenomeni che si intende regolare; dei motivi della natura alteratadello sciopero nei pubblici servizi si è detto.

Il motivo di fondo, il suo strabismo, ha un carattere talmentestrutturale da rendere evidente come, in questo settore, il richiamoalla centralità della « regolazione ex ante » (5), vale a dire dellaprevisione di forme di prevenzione e composizione delle controver-sie collettive di lavoro, non sia rituale.

Secondo qualcuno, con la l. n. 83/2000, la « stessa centraturadella regolazione si è trasferita dall’ex post all’ex ante » (6). Lenuove attribuzioni affidate alla Commissione, contenute nelle varielettere dell’art. 13, l. n. 146, segnerebbero un vero e propriorevirement verso la prevenzione degli scioperi. Ma la previsionedegli interventi di carattere preventivo non ha comportato l’attri-buzione alla Commissione del potere di intervenire come media-trice del conflitto: l’intervento preventivo è essenzialmente preor-dinato a garantire il rispetto dei limiti di esercizio del diritto disciopero imposti dalla legge.

Certamente, l’attività di prevenzione può portare la Commis-sione sulla soglia della mediazione. In particolare, specie nell’ap-plicazione dell’art. 13, lett. c), che attribuisce alla Commissione ilpotere di « assumere informazioni o convocare le parti in apposite

(4) PROSPERETTI, op. cit., 55.(5) Cfr. CELLA, La prima applicazione delle procedure di raffreddamento e di

conciliazione, in Relazione sull’attività della Commissione (1° ottobre 2001-31 luglio2002), Roma, 2002, 19.

(6) Cfr. CELLA, op. loc. cit. V. anche BALLESTRERO, La Commissione diGaranzia dieci anni dopo, QDLRI, 2001, 23 ss., che giudica la previsione diinterventi preventivi una delle innovazioni che hanno maggiormente modificatoil ruolo della Commissione di Garanzia.

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audizioni, per verificare... se vi sono le condizioni per una compo-sizione della controversia », essa è ancora agli inizi e non deveescludersi che, nel formarsi di un’auspicabile prassi in tal senso, ilsuo intervento finisca per lambire il merito delle controversie.

Tuttavia va sottolineato che una cosa è l’intervento diretto nelmerito, altra cosa è l’intervento indiretto. E la particolare naturadei pubblici servizi e dello sciopero in questo settore, per le ragionisopra illustrate, giustificherebbero una sperimentazione proprio inquesto ambito.

Sono note le obiezioni avanzate contro ipotesi conciliative-arbitrali delle controversie collettive, legate innanzitutto all’avver-sione della nostra cultura sindacale e giuridica. È però possibileipotizzare interventi sperimentali e limitati: circoscritti, ad esem-pio, alle controversie sull’applicazione della normativa esistente(con la funzione, non disprezzabile, di prevenire i micro-conflitti),demandate appunto a procedure conciliative e in ultima analisiarbitrali. Alla Commissione di garanzia potrebbe essere affidato divalutare l’opportunità di devolvere ad arbitri la composizione diquesti conflitti, tenendo conto delle circostanze di fatto (7). Sa-rebbe una soluzione coerente con l’obiettivo, perseguito anchedalla l. n. 83, di rafforzarne la funzione di autorità centrale delsistema, senza la commistione, da molti ritenuta inopportuna, trafunzioni di conciliazione nel merito del conflitto e funzioni regola-torie e sanzionatorie (8). Naturalmente, vi è sullo sfondo l’esigenzagenerale di potenziare i servizi pubblici di mediazione, concilia-zione e arbitrato in tutte le controversie di lavoro. E lo sviluppo diuna cultura in questo senso potrebbe, invero, essere favorito dallastessa legge di riforma del mercato del lavoro, con l’inclinazioneche vi traspare verso forme di amministrazione dei rapporti dilavoro anche nella fase della posizione delle regole, e che si esprimespecialmente nell’istituto, vituperato ma ricco di potenzialità,della certificazione.

(7) Cfr. TREU, Il conflitto e le regole, DLRI, 2000, 316.(8) Cfr. CELLA, op. cit., 19; GHEZZI, Sul ruolo istituzionale della Commissione

di garanzia, RGL, 2002, I, 368; TREU, Il patto delle regole nei trasporti e laregolazione dello sciopero nei servizi essenziali, in Scritti in memoria di M. D’An-tona, II, Giuffrè, Milano, 2004, 2310 ss.

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4. Alla luce dell’analisi sopra compiuta, il c.d. sciopero vir-tuale o di solidarietà non appare, almeno astrattamente, un fuord’opera nella regolazione dello sciopero nei pubblici servizi. Se, inpresenza delle condizioni evidenziate, lo sciopero si può presentarecome un fenomeno « altro » rispetto al suo fisiologico dispiegarsi nelconflitto industriale, non è improponibile ipotizzare forme diversedi protesta sindacale a seconda degli interessi in gioco. L’idea, daalcune parti riproposta recentemente proprio come rimedio agliscioperi selvaggi, muove probabilmente anche dalla percezione diun generale mutamento del ruolo dello sciopero nelle stesse rela-zioni industriali, rispetto a quello, salvifico, che la nostra culturasindacale e giuridica (pur sempre di matrice pluralistico-conflit-tuale) gli ha attribuito: basti pensare all’incidenza che, nella so-cietà mediatica, può assumere l’opinione pubblica nel condizionaregli esiti del conflitto.

La prima, già sperimentata prospettazione dello sciopero vir-tuale comporta la stipulazione tra le parti di accordi che prevedanola rinuncia dei lavoratori aderenti alla retribuzione e l’obbligo peril datore di corrispondere una somma, di norma commisurata alleretribuzioni, a un apposito fondo con finalità benefiche o di inte-resse sociale (9). Ma vi sono anche proposte più articolate, checontemplano la creazione di un fondo cogestito, posto a disposi-zione di ciascuna delle parti contendenti per la realizzazione dellerispettive campagne d’informazione dell’opinione pubblica circa imotivi del contendere (10).

Si tratterebbe dunque di una forma alternativa di protestache, senza alcuna penalizzazione degli utenti, avrebbe al contempoil vantaggio di recuperare la capacità di pressione sulle imprese —che lo sciopero tradizionale, per i motivi visti, non avrebbe — e di

(9) È questa la soluzione adottata dall’accordo di regolamentazione del-l’esercizio del diritto di sciopero per i piloti dipendenti da imprese elicotteristichedel 21 maggio 2002: il personale coinvolto nello sciopero virtuale rinuncerà apercepire « la quota-parte del valore, diviso due, della retribuzione netta spet-tante per l’arco di tempo dello sciopero ». Corrispondentemente, per tale periodo,« le aziende verseranno un importo pari al valore della retribuzione lorda deldipendente aderente allo sciopero » (aumentato rispettivamente del 100% e del200% nel caso di secondo e terzo sciopero). E tali somme saranno devolute,secondo le indicazioni dell’osservatorio nazionale paritetico previsto dal contrattocollettivo nazionale, per finalità benefiche o di interesse sociale.

(10) Cfr. ICHINO, Sciopero virtuale, una scelta di civiltà, www.lavoce.info.

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cogliere il rilievo assunto dall’opinione pubblica nel condizionaregli esiti del conflitto. È difficile però pensare che il c.d. scioperovirtuale, considerate le (comprensibili) diffidenze non solo delleorganizzazioni sindacali dei lavoratori, ma degli stessi datori dilavoro (11), possa riguardare settori allargati del mondo dei servizied essere concepito come una forma di protesta generalizzabile, aldi là delle ipotesi in cui, stante l’impossibilità di astenersi dallavoro senza arrecare un vulnus a prestazioni indispensabili, taletipo di sciopero costituisce in realtà l’unico modo (è il caso dell’eli-soccorso) per dare voce alla protesta.

5. Sul piano delle vere e proprie regole del conflitto, la mag-giore sofferenza è indubbiamente subita dalla c.d. regola dellararefazione (o più propriamente dell’intervallo minimo). Tutte leregole dettate per decongestionare indirettamente o direttamenteil ricorso allo sciopero nei conflitti che interessano i s.p.e. necessi-terebbero, in verità, di una riflessione, a cominciare dalla funzio-nalità delle procedure di raffreddamento e conciliazione e dall’ido-neità della configurazione della revoca spontanea quale formasleale di azione sindacale (cfr. art. 2, sesto comma, l. n. 146) al finedi scongiurare l’effetto-annuncio, particolarmente drammatico nelsettore dei trasporti. Ma quella, come si è già accennato, cheappare ictu oculi più problematica nella gestione e negli esiti è laregola della c.d. rarefazione: più precisamente la previsione per laquale deve intercorrere un intervallo minimo tra proclamazione diun nuovo sciopero ed effettuazione di quello già proclamato, làdove la continuità del servizio pubblico possa essere oggettiva-mente compromessa dall’addensarsi di astensioni dal lavoro cheincidono sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino di utenza.Già introdotta nella versione « soggettiva » dalla giurisprudenzadella Commissione di Garanzia e nella versione « oggettiva » inalcuni accordi collettivi stipulati tra la fine del 1998 e l’inizio del2000 nel settore dei trasporti, la regola di legge non prevedeeccezioni a seconda del grado di rappresentatività delle associa-zioni sindacali, al contrario delle discipline pattizie, che prevede-

(11) Cfr. Newsletter CGS, n. 1-2/2004.

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vano un’eccezione a favore dello sciopero proclamato dai sindacatirappresentativi del 51% dei lavoratori interessati (12).

Per come è formulata dalla legge — intervallo tra effettuazionee proclamazione — la regola ha più significato nel caso di rarefa-zione soggettiva: vale a dire nel caso in cui lo sciopero sia procla-mato dallo stesso sindacato, cui è ragionevole imporre di attenderel’esito del medesimo prima di procedere ad una nuova proclama-zione.

Meno ragionevole appare la regola nel caso di rarefazioneoggettiva: vale a dire quando si tratti di scioperi proclamati dasoggetti sindacali diversi (13). Nata come antidoto alla frammen-tazione sindacale e quale surrogato di regole incidenti sulla qualitàdei soggetti proclamanti, essa ha mostrato tutte le sue difficoltàproprio dove esiste una frammentazione elevata e dove questastessa frammentazione è all’origine del moltiplicarsi di separateazioni di sciopero: in questi casi, come è già stato osservato, icalendari dagli scioperi sono così fitti da rendere pressoché impos-sibile, « anche alla migliore delle Commissioni di Garanzia, dioperare con i propri interventi lo sfoltimento auspicato dagli utentie pressantemente richiesto dalla opinione pubblica » (14). Tanto èvero che anche chi, più di altri, si è adoperato per il funzionamentodella regola di rarefazione, ha finito per fare appello a una leggesulla rappresentatività sindacale « che contribuisca ad eliminare inradice il fenomeno della frammentazione sindacale », dal momentoche « nessuna regola di rarefazione riuscirà ad evitare che servizipubblici di cruciale importanza (come i trasporti), siano continua-mente vulnerati da scioperi grandi, piccoli e piccolissimi, ma tutti

(12) Cfr., in generale, ALES, Dal conflitto alla partecipazione: le nuove rela-zioni sindacali nei trasporti, RGL, 2000, I, spec. 104 ss.

(13) Cfr. le osservazioni critiche di GHEZZI, Un’importante riforma tutta insalita: la disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, RGL, 1999, I, 702.Le regolamentazioni provvisorie delle prestazioni indispensabili nel settore deltrasporto aereo del 2001 e nel settore del trasporto urbano del 2002, contengonodisposizioni diverse per il caso di rarefazione c.d. soggettiva e il caso di rarefazionec.d. oggettiva: cfr. BALLESTRERO, La rarefazione degli scioperi. Le regole legali e laloro applicazione, in Relazione sull’attività della Commissione (1° ottobre 2001-31luglio 2002), Roma, 2002, 18, che giustifica che l’intervallo intercorra tra dueazioni di sciopero e non tra proclamazione ed effettuazione nel caso di rarefazioneoggettiva, facendo riferimento alla forte frammentazione sindacale che interessai due settori.

(14) BALLESTRERO, op. cit., 18.

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comunque in grado di danneggiare l’utenza ed esasperare l’opi-nione pubblica » (15).

Non è questa la sede per riprendere la formidabile questionedell’opportunità o no di una legislazione sulla rappresentanzasindacale, che ha impegnato il dibattito giuridico e politico nelloscorso decennio (16). L’impegnatività di simile prospettiva, unita-mente alla mancanza di adeguati consensi, ha fatto sì che essaabbia declinato e che sia improbabile che si ripresenti all’orizzontein tempi brevi. Peraltro, per quanto attiene specificamente al temadello sciopero, si deve aggiungere che la selezione della rappresen-tanza sindacale non sarebbe sufficiente per ottenere risultati signi-ficativi nei confronti dei conflitti, specialmente di quelli deglioutsiders, rivelatisi i più pericolosi per il sistema.

Eppure la necessità di aggiustamenti che rendano la gestionedelle regole dello sciopero nei pubblici servizi meno burocratica erituale e, nello stesso tempo, più effettiva è innegabile. Al di làdell’opportunità di adeguamento delle regole di rarefazione conte-nute negli accordi e nelle regolamentazioni provvisorie, in modotale da tenere conto della effettiva incidenza dello sciopero sullacontinuità del pubblico servizio (17), due sono i correttivi proposti,privi del carattere « invasivo » della regolazione diretta, anche aifini del conflitto, della rappresentatività sindacale:

a) la sottoposizione della decisione di sciopero a referendumpreventivo dei lavoratori interessati. Tale prospettiva, contenuta,sia pure nella forma cauta del referendum consultivo, anche nelLibro bianco sul mercato del lavoro, merita di essere sperimentataattribuendo in prima battuta innanzitutto alle parti sociali l’ini-ziativa per la sua introduzione e, in caso di carente iniziativa diqueste, affidando « alla Commissione di Garanzia il compito didecidere, su richiesta delle parti o d’ufficio, circa l’opportunità diutilizzo dello strumento, tenendo conto delle circostanze e degli

(15) Cfr. BALLESTRERO, ibidem.(16) Per l’illustrazione dei termini del dibattito e per la giustificazione della

posizione « astensionistica », cfr. MAGNANI, Legge, sindacato, autonomia collettiva, inScritti in memoria di M. D’Antona, II, cit., 1945 ss.

(17) V. quanto osserva BALLESTRERO, op. cit., 17, a proposito degli esitiirrazionali che comporta talvolta l’applicazione meccanica della regola di rarefa-zione.

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interessi in gioco » (18). Giova sottolineare che gli ostacoli eventualinon sono di principio, legati alla normativa costituzionale; laconclusione per la quale il diritto di sciopero è a titolarità indivi-duale non è affatto imposta dall’art. 40 Cost. (19). Essi sonosemmai di natura tecnica (in particolare come definire l’ambito deisoggetti interessati dalla consultazione) (20); dunque, sotto questoprofilo, superabili, solo che non si rifiuti pregiudizialmente laprospettiva, come dimostra l’esperienza dei Paesi che praticano ilreferendum, vale a dire quelli anglosassoni. Ad esempio, si po-trebbe far coincidere tale ambito con il contratto nazionale oaziendale cui lo sciopero si riferisce;

b) la preventiva dichiarazione individuale di adesione allosciopero, che non comporterebbe una limitazione dell’azione disciopero, ma la prevedibilità della sua incidenza, con conseguentepossibilità per le imprese di misurare e far conoscere agli utenti glieffetti di esso (21). Tale condizionamento procedurale appare menoincisivo, dal punto di vista collettivo, di quello conseguente alreferendum; ma più stringente dal punto di vista individuale. Eproprio per questo si comprendono le remore affacciate, se non lavera e propria avversione, nei confronti della proposta: l’obbligodella preventiva dichiarazione della propria adesione allo sciopero,con le conseguenti esposizione e visibilità individuali, potrebbeessere apprezzato come un condizionamento indiretto della pienalibertà del singolo. Ciò spiega come negli accordi che vi fannocenno (22) si preveda solo una comunicazione volontaria circal’adesione allo sciopero. Probabilmente, a temperare l’effetto-an-nuncio, basterebbe che le imprese tenessero conto dei dati, in loro

(18) TREU, Il conflitto e le regole, cit., 318.(19) Cfr. MAGNANI, Contrattazione collettiva e governo del conflitto, DLRI,

1990, spec. 706-707. Infatti, l’art. 40 Cost. è, sotto questo profilo, « impreciso »,non escludendo il monopolio sindacale (ferma restando l’esigenza di conciliarequesto monopolio con il principio di libertà e quindi di pluralismo sindacale).

(20) V. infatti quanto rilevano GHEZZI, Sul ruolo istituzionale, cit., 368 ss. e,più recentemente, SANTONI, Rappresentatività e conflitto nei servizi essenziali, q.Riv., 2004, I, 319 ss.

(21) Cfr. VALLEBONA, Sciopero nei servizi essenziali e posizione dei singolilavoratori, DL, 2003, I, 339 ss.

(22) Cfr. l’Accordo nazionale per il comparto Regioni-autonomie locali del19 settembre 2002 e l’Accordo nazionale per il comparto della scuola del 3 marzo1999.

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possesso, relativi alla sindacalizzazione, vuoi nell’allestimento dellemisure per garantire le prestazioni indispensabili, vuoi nelle comu-nicazioni all’utenza (23).

6. Si è detto che, più che l’apparato sanzionatorio, sono leregole sostanziali a mostrare delle crepe. In effetti la l. n. 83/2000ha eliminato uno dei più vistosi difetti della l. n. 146, che lasciavail datore di lavoro arbitro della decisione di adottare sanzionidisciplinari nei confronti dei singoli che avessero violato le regolesullo sciopero. È bensì vero che neppure ora la Commissione ha ilpotere di deliberare le sanzioni nei confronti dei singoli; ne pre-scrive però l’applicazione al datore di lavoro (cfr. art. 13, lett. i), l.n. 146) e ha il potere di infliggere una sanzione amministrativapecuniaria nei confronti dei soggetti che non si conformino allaprescrizione (cfr. art. 4, comma 4-sexies). Il sistema, dunque, oraappare chiuso.

Ciò che sconta semmai l’apparato sanzionatorio è, da unaparte, il fatto che la legge scommette sulla capacità delle associa-zioni sindacali di governare il conflitto e, non a caso, connette laprescrizione delle sanzioni individuali da parte della Commissionedi Garanzia alla valutazione di illegittimità del comportamentodelle organizzazioni sindacali. Con la conseguente difficoltà di« catturare » gli scioperi spontanei. A tale difficoltà la Commissioneha fatto fronte enfatizzando il riferimento operato dalla leggeall’« organizzazione » sindacale (24): genus più ampio, come noto,della species « associazione », in quanto idoneo a comprendere tuttele forme di coalizione sindacale, anche se non strutturate secondo

(23) In effetti, a norma dell’art. 2, sesto comma, l. n. 146, le amministra-zioni e le imprese erogatrici dei servizi sono tenute a dare comunicazione agliutenti, nelle forme adeguate, dei modi e dei tempi di erogazione dei servizi dellosciopero e delle misure per la riattivazione degli stessi. E la Commissione diGaranzia ha, a più riprese, ritenuto che le aziende, ai fini della comunicazioneall’utenza, possano effettuare un giudizio prognostico circa il grado di adesioneallo sciopero e dunque il grado di incidenza dell’astensione collettiva sul servizioerogato, non effettuando alcuna comunicazione all’utenza, qualora prevedano chelo sciopero non incida sul funzionamento del servizio pubblico. Va da sé che,qualora lo sciopero creasse un disservizio all’utenza, di cui la stessa non fosse statapreavvisata, l’azienda potrebbe essere sanzionata a norma dell’art. 4, quartocomma, l. n. 146.

(24) Cfr. la deliberazione della Commissione n. 03/32, in www.commissione-garanziasciopero.it.

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il modulo associativo. Accade infatti che i lavoratori conducanoazioni conflittuali anche attraverso coalizioni occasionali, in cui,mancando l’elemento della stabilità, non può ravvisarsi un’asso-ciazione, e la cui regolamentazione giuridica dovrà essere reperitanelle altre forme organizzatorie del diritto privato (25). Può, dun-que, essere aperto un procedimento di valutazione nei confronti diun comitato spontaneo di sciopero, anche se ciò non può condurre,nel caso di violazione delle disposizioni della legge, all’adozionedelle sanzioni previste ai commi secondo e quarto dell’art. 4,conformate sull’ipotesi del sindacato-associazione (26), ma puòsfociare unicamente, in caso di valutazione negativa, nella possi-bilità di prescrivere al datore di lavoro l’applicazione delle sanzionidisciplinari.

Qualcuno ha giudicato il sistema per un verso potenzialmenteinefficiente, per altro verso, quand’anche si ritenesse che la Com-missione possa spingersi fino al punto di indicare preventivamentela sanzione ritenuta congrua e adeguata alla gravità delle colpe daaddebitare (27), inutilmente farraginoso. E ha proposto di voltarepagina, rinunciando all’uso improprio di un istituto — le sanzionidisciplinari — che è stato pensato per reagire agli inadempimentiche ledono gli interessi dell’impresa e non quelli dei terzi: piùprecisamente, abilitando la Commissione di Garanzia ad applicaredirettamente una pena pecuniaria di tipo amministrativo, conte-nuta entro un limite minimo e massimo, da infliggere dopo avereaccertato l’effettiva partecipazione del lavoratore allo scioperosenza regole. La sanzione economica sarebbe così sottratta allatentazione riduttiva e minimizzante del datore di lavoro, « scarsa-

(25) Cfr. GIUGNI, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 2001, 57 ss., che richiamala normativa codicistica sui comitati.

(26) La difficoltà di individuare in concreto il legale rappresentante, in casodi comitato spontaneo ed effimero, rende impraticabile pure la deliberazione dellasanzione amministrativa sostitutiva ex art. 4, comma 4-bis, l. n. 146: cfr. MONTU-SCHI, op. cit., 21. GAROFALO, Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali e le sanzioni,RGL, 2003, I, 18-19, al contrario, ritiene che, con l’individuazione del destinatariodella sanzione direttamente nel responsabile legale della organizzazione, senzapassare attraverso la mediazione dell’organizzazione stessa, l’applicazione dellanorma sarebbe semplificata proprio nelle ipotesi di coalizione non stabilmentestrutturate.

(27) Come è affermato da autorevole dottrina: cfr. GIUGNI, Diritto sindacale,cit., 253.

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mente sensibile alle reazioni postume finalizzate alla tutela (futura)dei diritti costituzionali dei terzi » (28). Tuttavia, l’attribuzione ditale competenza alla Commissione la graverebbe di un onere ge-stionale rilevantissimo, spostando fortemente il baricentro dellesue funzioni sul versante para-giurisdizionale, ciò che ne determi-nerebbe un vero e proprio mutamento di natura (29).

D’altra parte, l’apparato sanzionatorio sconta la relativa no-vità della regolamentazione del lavoro autonomo, con il relativo,frettoloso adattamento a tale area dei meccanismi sanzionatoriideati per il lavoro subordinato (30). Ma in questa materia, come inquella attinente alle sanzioni individuali, manca ancora una signi-ficativa esperienza da cui trarre insegnamenti.

7. È la Commissione di Garanzia che, con vistose accentua-zioni dopo la l. n. 83/2000, costituisce il centro di gravità dell’interosistema legislativo di cui parliamo (31). A seguito di una sceltaunica nel panorama comparato, essa assomma funzioni normative,preventive, sanzionatorie. Molte delle potenzialità offerte dallalegge, specie per quanto attiene alla fase di prevenzione, non sonoancora state esplorate; così come, anche per quanto attiene allefunzioni regolatorie, pure la nuova legge, nonostante inopportuneasperità regolative (32), concede margini di discrezionalità checonsentono di effettuare equi contemperamenti tra diritto di scio-pero e diritti della persona costituzionalmente tutelati.

Si tratta di un sistema inedito di produzione e gestione dina-mica delle regole, in una materia in cui la regolamentazione unoactu appare all’evidenza inadeguata.

(28) Cfr. MONTUSCHI, op. cit., 23.(29) Il punto è stato discusso, peraltro, anche prima dell’emanazione della

l. n. 83/2000: cfr., in proposito, le osservazioni di GHEZZI, Un’importante riformatutta in salita, cit., 693 ss.

(30) Cfr. SANTONI, L’esercizio del potere sanzionatorio della Commissione diGaranzia, in Relazione sull’attività della Commissione (1° ottobre 2001-31 luglio2002), Roma, 2002, 64; GALANTINO, L’astensione dei lavoratori autonomi, ibidem, 23ss.

(31) Cfr. GHEZZI, La Commissione di Garanzia nella legge di riforma traprofili funzionali e dinamica delle istituzioni, ADL, 2001, 1 ss.

(32) Cfr. l’art. 13, lett. a), l. n. 146, con la relativa previsione dei tettimassimi delle prestazioni indispensabili, su cui v., tra i tanti, il giudizio critico diSANTONI, Continuità e innovazione nella disciplina degli scioperi nei servizi pubbliciessenziali, q. Riv., 2000, I, 404 ss. e di TREU, Il conflitto e le regole, cit., 311 ss.

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Certo, né il sistema né, in particolare, la Commissione possonosupplire allo stallo delle relazioni industriali. Ed è ovvio che sia piùfruttuoso, anche ai fini del contenimento del conflitto, promuoverela composizione delle controversie di lavoro. Stupisce però che siastata proposta dal Libro bianco sul mercato del lavoro addirittural’ipotesi di sostituire la Commissione di Garanzia con un organismospecializzato in materia di prevenzione e composizione delle con-troversie collettive di lavoro, con particolare, ma non esclusiva,competenza nella gestione del conflitto nei servizi essenziali. Certo,le relazioni industriali non possono ridursi al conflitto; tuttavia,così come nel diritto commerciale devono esservi leggi sull’insol-venza (33), anche nelle relazioni industriali regole del conflittodevono essere poste.

E il modello italiano ha trovato una fortunata, anche se nonfacile, alchimia tra autonomia ed eteronomia, prevenzione e con-tenimento, imperniata proprio sulla felice invenzione della Com-missione di Garanzia.

LA DISCIPLINA DELLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI ALLAPROVA DEI FATTI. — Riassunto. L’A. discute dei punti dolenti della disciplina e della prassi dellosciopero nei pubblici servizi e dei possibili rimedi. In questo contesto vengono analizzate partitamente le ipotesidi modifica della disciplina dello sciopero nei pubblici servizi e che attengono sia alle regole sostanziali, siaall’apparato sanzionatorio, sia infine all’impianto di fondo della l. n. 146/1990, imperniato sulla « feliceinvenzione » della Commissione di Garanzia.

THE DISCIPLINE OF THE STRIKE IN THE PUBLIC SERVICES SECTOR: THE TEST OFFACTS. — Summary. The Author discusses the most problematic aspects of the legal rules and practicesgoverning strikes in public services, together with the possible solutions. In this context the Author provides adetailed analysis of the proposed amendments to said legal framework, concerning substantive rules, sanctions,and the fundamentals of Law no. 146/1990, which are based on the « happy invention » of the Commissionedi Garanzia.

(33) Cfr. KAHN-FREUND, Labour and the Law, London, 1972, 223 ss.

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ENRICO GRAGNOLI

Straordinario di diritto del lavoro nell’Università di Parma

L’ATTIVITÀ SINDACALE E LA DEROGABILITÀ ASSISTITA (*)

SOMMARIO: 1. L’attività sindacale fra il modello del contratto collettivo indero-gabile e quello della cosiddetta derogabilità assistita. — 2. L’inderogabilitàed i limiti al potere di disposizione del lavoratore. — 3. La prospettivacollettiva dell’inderogabilità delle leggi e dei contratti collettivi. — 4. Dero-ghe al contratto collettivo ed esercizio dell’autonomia individuale. —5. L’inderogabilità del contratto collettivo fra autonomia individuale ecollettiva. — 6. Derogabilità assistita e lavoro autonomo.

1. Con una delle più incisive elaborazioni della categoriadell’inderogabilità, tanto più significativa perché contenuta inun’opera dedicata alle clausole obbligatorie dei contratti collettivie non alla funzione normativa, si è detto che le associazionisindacali potrebbero « sottoporre alla cognizione del giudice ordi-nario, in via principale, nei modi e nei limiti previsti dalla legge perle comuni controversie sui diritti, quanto attiene all’interpreta-zione ed all’applicazione dei contratti collettivi » (1), poiché « am-mettere la configurabilità positiva di controversie giuridiche didiritto comune significa trasferire anche sul piano del processo i

(*) Si pubblica qui, in forma più sintetica, il contributo destinato agli Studi inmemoria di Giorgio Ghezzi.

(1) Cfr. GHEZZI, La responsabilità contrattuale delle associazioni sindacali,Milano, 1963, 285; ROMAGNOLI, Le associazioni sindacali nel processo, Milano, 1969,74, sull’opportunità di restituire « all’autonomia dei gruppi la soluzione deiproblemi inerenti all’interpretazione o all’applicazione delle norme collettive » esulla « crisi della classica bipartizione delle controversie collettive in conflittieconomici e conflitti giuridici »; v. già KAHN-FREUND, I conflitti tra i gruppi e la lorocomposizione, PS, 1960, 24 ss.

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risultati stessi che la contrattazione collettiva ha ormai prodottosul piano del diritto sostanziale » (2).

Tali iniziative processuali potrebbero essere esperite con ri-guardoaprevisionidinaturaobbligatoriadegli accordi collettivi,ma(ed è questo il punto più discutibile, ma più importante) l’azionedell’associazione sindacale potrebbe essere proposta anche per unaclausola normativa, ad esempio a fronte di un’inosservanza « tantoestesa e generalizzata da apparire come metodicamente concertataod almeno consentita (...) e da concretare un vero inadempimento,da parte dell’associazione, del dovere di esercitare influenza nei con-fronti dei propri iscritti » (3). Quindi, nella lite fra i soggetti collettivisi potrebbe giungere ad una sentenza che faccia stato nei riguardi ditutte le imprese e dei lavoratori.

Talora, questo risultato interpretativo è stato ricavato dall’in-divisibilità dell’interesse collettivo. Il fatto che la sentenza resa nelcontraddittorio fra i soggetti collettivi sia efficace per tutti dipen-derebbe « dalla natura del rapporto dedotto in giudizio: rapportocollettivo e indivisibile, come l’interesse al quale fa capo. Tutti gliinteressati, se non sono parti in senso formale nel giudizio, sonoparti del rapporto, e quindi è naturale che la sentenza faccia statorispetto a tutti » (4). Però, pure in funzione di un interesse collet-tivo irriducibile alla mera somma di quelli individuali (5), la clau-sola del contratto opera dall’esterno sulle singole relazioni e non visi ingloba (6). Né ciò può essere desunto dalla nozione di interesse

(2) Cfr. GHEZZI, La responsabilità contrattuale, cit., 250 ss.; v. già ASQUINI,Controversie collettive e controversie individuali di lavoro, DL, 1930, I, 234 ss.

(3) V. GHEZZI, La responsabilità contrattuale, cit., 284 ss.; cfr. anche BORGHESI,Contratto collettivo e processo, Bologna, 1980, 92 ss.; TREU, Azione sindacale e nuovapolitica del diritto, in AA.VV., Sindacato e magistratura nei conflitti di lavoro. I. L’usopolitico dello Statuto dei lavoratori, a cura di TREU, Bologna, 1975, 5 ss.

(4) V. F. SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, 35ª ed., Napoli,1995, 48; cfr. anche SIMI, La funzione della legge nella disciplina collettiva deirapporti di lavoro, Milano, 1962, 108; PERGOLESI, Alcune osservazioni sulla faseattuale del processo del lavoro, RDL, 1950, I, 8.

(5) V. F. SANTORO-PASSARELLI, Autonomia collettiva, giurisdizione, sciopero,RISCG, 1949, 138 ss.; DELL’OLIO, Interesse collettivo e libertà dei singoli. Il sindacatodei lavoratori nell’ordinamento vigente, in Annali della Facoltà di Giurisprudenzadell’Università degli Studi di Macerata, Milano, 1994, 56; CESARINI SFORZA, Gliinteressi collettivi e la Costituzione, DL, 1964, I, 47 ss.

(6) Cfr. GRANDI, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, DLRI,1981, 362 ss.; GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo, in AA.VV., Il

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collettivo, la quale non spiega la ricaduta dei contratti nella sferagiuridica di imprese e di prestatori di opere, perché non vi è unaefficacia erga omnes (7).

Con una diversa impostazione, si è sostenuto che il giudicatorealizzatosi nella lite collettiva vincolerebbe i singoli datori dilavoro ed i prestatori di opere perché « le clausole normative (...)rientrano, attraverso il congegno della sostituzione, nella stessafattispecie concreta del contratto individuale », in forza dell’ob-bligo di dare attuazione in tale sede alle indicazioni dell’accordo.Anzi, si è soggiunto, « trattandosi in definitiva, di vera e propriaappartenenza d’un rapporto giuridico alla fattispecie d’altro rap-porto, pare ricorrere un caso di autentica pregiudizialità sostan-ziale (...), cioè di una necessitata dipendenza di un rapporto da unaltro, che è appunto, nei suoi confronti, pregiudiziale » (8).

In questa sede non importa indagare se tale impostazione sia insé persuasiva e se, pertanto, sia possibile una azione del sindacatovolta ad ottenere una sentenza efficace nei riguardi dei soggetti in-dividuali. Peraltro, seppure con qualche eccesso dovuto al perma-nere di impostazioni legate alla teoria dell’incorporazione (9), taliindicazioni mantengono un forte risalto nell’attuale panorama deldiritto del lavoro, perché sottolineano come la previsione di normecontrattuali inderogabili non sia un elemento esteriore nell’azionecollettiva, ma ne rappresenti il fulcro ed il senso stesso, in connes-

contratto collettivo di lavoro, Atti del terzo Congresso nazionale di diritto del lavoro,Milano, 1968, 35 ss.; PERSIANI, Saggio sull’autonomia privata collettiva, Padova,1972, 149 ss.; CARNELUTTI, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro,Padova, 1936, 74 ss.

(7) Peraltro, cfr. l’intervento di CARNACINI, in AA.VV., Il contratto collettivo(Atti del III congresso nazionale di diritto del lavoro), Milano, 1968, 88 ss., sullapossibilità di una sentenza con efficacia collettiva, che « partecipa al caratteregenerale ed astratto di ogni norma e quindi ha efficacia su tutto quanto abbia aricadervi », così che la norma « sarà da intendersi e d’applicarsi ai singoli rapportifra datori e lavoratori nei termini così fissati ». Cfr. PROTO PISANI, Appunti suirapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile e la garanzia costitu-zionale del diritto di difesa, RTDPC, 1971, 1225 ss., sulla necessaria conciliazionedi un’eventuale efficacia del giudicato per chi non abbia partecipato al giudiziocon il principio garantistico dell’art. 24 Cost.

(8) V. GHEZZI, La responsabilità contrattuale, cit., 344.(9) In senso critico rispetto alla teoria dell’incorporazione, v. TREU, Potere

dei sindacati e diritti acquisiti degli associati nella contrattazione collettiva, RDC,1965, I, 362 ss.; GRANDI, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, loc. cit.,393 ss.

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sione con l’interesse (10) del quale sono portatori i gruppi e che essidefiniscono perfezionando le loro strategie di rappresentanza.

Infatti, l’inderogabilità non è solo uno strumento di tutela delsingolo lavoratore che, nell’ambito del suo rapporto individuale,non può vedere peggiorato il trattamento a lui riservato dalleprescrizioni collettive. Al tempo stesso e, forse, con ancora mag-giore importanza sistematica, l’inderogabilità del contratto collet-tivo consente ad esso di raggiungere il suo fine costitutivo dieliminare pericolose forme di concorrenza reciproca a scapito deilavoratori. Solo un accordo « realmente inderogabile ad opera deicontratti individuali stipulati tra i singoli datori e prestatori dilavoro » (11) ha permesso l’evoluzione razionale della società capi-talistica verso forme di organizzazione produttiva passate dallosfruttamento incontrollato a più equilibrate relazioni, capaci disoddisfare le esigenze economiche e personali dei dipendenti (12).

Pertanto, il sindacato crea per sua vocazione costitutiva rego-lamenti inderogabili. In questo contesto, si spiegano le imposta-zioni di coloro che immaginano una azione dell’associazione ingrado di condurre ad una sentenza idonea a vincolare i soggettiindividuali. Se anche non si condivide questa ultima tesi, forsecondizionata da qualche riflesso della teoria dell’incorporazione,oggi come ieri non può essere dimenticato il principio sotteso e,cioè, l’inderogabilità delle clausole negoziali collettive (13), poiché

(10) Sulla contrapposizione o, almeno, sulla potenziale distonia fra inte-resse collettivo ed interessi individuali, v. CATAUDELLA, Adesione al sindacato eprevalenza del contratto collettivo sul contratto individuale di lavoro, RTDPC, 1967,560; sull’obbiettivo dell’accordo collettivo di soddisfare l’interesse collettivo, v.PERSIANI, Saggio sull’autonomia privata collettiva, cit., 161 ss. Per una ricostruzionedell’interesse collettivo che lo accosta a quello di classe, v. M.G. GAROFALO,Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore, Napoli, 1979,139 ss. Invece, per il nesso fra l’interesse collettivo e quello dell’organizzazione, v.LAMBERTUCCI, Efficacia dispositiva del contratto collettivo e autonomia individuale,Padova, 1990, 156 ss. Sul concetto di interesse collettivo in un contesto che diaspazio ai risultati elettorali quale indice di misurazione della rappresentatività, v.D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, DLRI, 1999, 669 ss.

(11) Cfr. RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sindacale, 2ª ed., Torino,2003, 5 ss.

(12) V. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1995,37 ss.

(13) Sulla centralità dell’art. 2113 c.c., cfr. NOGLER, Saggio sull’efficaciaregolativa del contratto collettivo, Padova, 1997, 158 ss.; invece, per l’impossibilededuzione dall’art. 2113 c.c. della previsione dell’inderogabilità del contratto

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solo così esse possono escludere trattamenti deteriori dovuti all’ac-cordo individuale e, quindi, alla condizione di debolezza e diisolamento sociale del singolo prestatore di opere.

Il problema è divenuto di grande attualità nell’ultimo periodo,per la tentazione del legislatore di trasformare gli stessi soggettisindacali dai creatori di clausole inderogabili e dai custodi dellaloro attuazione (poco importa se con l’esercizio di azioni collettiveo con il supporto a quelle di ciascun dipendente) nei guardiani dinuove forme di deroga. Anzi, per alcuni autori, seppure nell’ambitodel lavoro autonomo, tale risultato sarebbe stato già raggiuntodall’art. 68 del d.lgs. n. 276/2003, nella sua stesura originaria: si erainfatti dedotto il conferimento alle Commissioni di certificazionedel potere di recepire accordi derogatori rispetto alle previsioni dilegge, con la precisazione per cui, « quando la certificazione con-valida le scelte derogatorie delle parti si limita a registrare unparticolare contenuto contrattuale, che, in quanto tale, resta im-putabile alle parti stesse » (14).

A dire il vero, tale lettura del vecchio testo dell’art. 68, d.lgs.n. 276/2003 è stata oggetto di un’immediata contestazione; al-tri (15) vi hanno visto una semplice disciplina delle rinunce e delletransazioni, in conformità con le indicazioni letterali e, dunque,non vi hanno colto alcuna ipotesi di derogabilità assistita. Questaultima soluzione è preferibile; infatti, ferme le critiche complessiveall’idea stessa di una parziale derogabilità delle disposizioni ditutela del lavoratore a progetto (16), dall’art. 68 non si deducealcun potere di deroga (17), perché si fa riferimento solo a rinunce

collettivo, già insita nel sistema, v. MEUCCI, Il rapporto di lavoro nell’impresa,Napoli, 1991, 66; F. SCARPELLI, Lavoratore subordinato ed autotutela collettiva,Milano, 1993, 248 ss.

(14) Cfr. NOGLER, La certificazione dei contratti di lavoro, DLRI, 2004, 203 ss.,57 ss. (dell’estratto). Tutti i successivi riferimenti sono ai numeri di pagine del-l’estratto, perché il saggio è stato pubblicato quando questo lavoro era già in bozze.

(15) Cfr. SPEZIALE, La certificazione dei rapporti di lavoro nella legge delega sulmercato del lavoro, RGL, 2003, I, 271 ss.

(16) Cfr. MISCIONE, Il collaboratore a progetto, LG, 2003, 812 ss.; ROMEO,Rilancio dell’autonomia privata nel diritto del lavoro e certificazione dei rapporti,ibid., 2003, 111 ss.

(17) V. SPEZIALE, La certificazione dei contratti di lavoro, in AA.VV., Tipo-logie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro, a curadi BELLOCCHI-LUNARDON-SPEZIALE, in AA.VV., Commentario al d.lgs. 10 settembre2003, n. 276, coordinato da F. CARINCI, Milano, 2004, 100 (dell’estratto). Tutti i

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e transazioni (18). Anzi, questa impostazione è confermata daldecreto n. 251/2004.

L’art. 15 del d.lgs. n. 251/2004 forse aspirava a chiarire l’art. 68del d.lgs. n. 276/2003, poiché, se già era incerto il suo significato, amaggiore ragione era discutibile il nesso con l’art. 82. Se il legisla-tore storico si prefiggeva di apportare certezza nell’esegesi con ildecreto n. 251/2004, tale scopo non è stato raggiunto. L’interpre-tazione letterale del nuovo art. 68 è quanto mai discutibile, alpunto che, per ovvi motivi di prudenza, si possono indicare soloimpressioni generiche, a fronte di locuzioni equivoche e confuse.

Pare di capire che la disposizione si riferisca all’ipotesi (a direil vero alquanto circoscritta) della preesistenza di un accordorientrante nell’oggetto dell’art. 409, n. 3, c.p.c. e della volontà delleparti di renderlo coerente con i criteri dell’art. 61, primo comma,c.p.c., così da « ricondurlo » a « progetto, programma di lavoro ofase di esso » e così da adottare le modificazioni negoziali idonee adassicurare da un lato il persistere del rapporto e, dall’altro, ilrispetto degli artt. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003. In questo caso, « idiritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possonoessere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede dicertificazione del rapporto di lavoro (...) secondo lo schema dell’art.2113 del codice civile ». Tale frase è alquanto misteriosa.

Sembra di comprendere che, qualora le parti procedano allastipulazione di un accordo destinato a rendere compatibile ilpreesistente rapporto con i criteri dell’art. 61, d.lgs. n. 276, equalora optino per la certificazione (volontaria), in quella sedepossono essere adottati atti di rinuncia o di transazione che ab-biano per oggetto le posizioni soggettive derivanti dal precedentecontratto, e tali rinunce e transazioni hanno luogo « secondo loschema dell’art. 2113 del codice civile ». Tante categorie e figuregiuridiche possono trovare spazio nell’art. 2113 c.c., ma non vi sitrova « uno schema ». Resta incerto se l’art. 68 voglia sancirel’impugnabilità dell’atto di disposizione o, all’opposto, prevedere

successivi riferimenti sono ai numeri di pagine dell’estratto, perché il saggio èstato pubblicato quando questo lavoro era già in bozze.

(18) Invece, v. NOGLER, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 53, ilquale riconosce che il richiamo alle rinunce ed alle transazioni da parte dell’art. 68è « erroneo » e che si tratta di categoria giuridica diversa da quella della deroga-bilità, ma ritiene di potere correggere il precetto.

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che la stipulazione in sede di certificazione determina le conse-guenze dell’art. 2113 c.c. o, ancora, se l’art. 68 non prenda posi-zione sul punto, così che l’impugnabilità dipenderebbe dalla stipu-lazione nelle forme dell’art. 2113, quarto comma, c.c.

Inoltre, a maggiore ragione, resta oscuro il nesso fra l’art. 68 el’art. 82 del decreto n. 276, poiché già l’art. 82 permette la stipu-lazione di rinunce e transazioni in sede di certificazione. Apparevelleitario pretendere di fornire una interpretazione univoca di unasimile norma. Peraltro, il richiamo dei « diritti derivanti da unrapporto di lavoro già in essere » sembra smentire chi aveva vistonell’art. 68 un avallo all’inserimento nel decreto di forme di dero-gabilità assistita. Anzi, seppure in un contesto incoerente, l’art. 68ribadisce di avere come oggetto rinunce e transazioni (e non si vedeperché queste espressioni non dovrebbero essere riportate al loropreciso significato tecnico) e di concernere non la deroga, ma ladisposizione di posizioni soggettive già sorte, cioè di « diritti deri-vanti da un rapporto di lavoro già in essere ». Sull’art. 68 non si puòimperniare dunque alcuna forma di derogabilità assistita (19).

La deroga non può coincidere con le rinunce e le transazio-ni (20), e il punto è chiarito dall’art. 2113, primo comma, c.c., ilquale consente rinunce e transazioni in ordine a posizioni sogget-tive derivanti da fonti legali e negoziali inderogabili (21). Inoltre,se l’art. 68 avesse previsto (e così non è mai stato, né nella prima,né nella seconda stesura) una ipotesi di derogabilità assistita, ilprecetto si sarebbe esposto a seri dubbi di legittimità costituzio-nale (22), perché l’art. 5, l. n. 30/2003 concepisce la certificazione infunzione del contenimento delle controversie individuali e nondella modulazione delle tutele.

Tuttavia, il tema della derogabilità assistita assume un risalto

(19) Cfr. BELLAVISTA, Commento all’art. 68, in AA.VV., La riforma delmercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali. Commentario al d.lgs. 10 settembre2003, n. 276, a cura di GRAGNOLI-PERULLI, Padova, 2004, 779.

(20) Cfr. PERA, Le rinunce e le transazioni del lavoratore, Comm Sch, 1990, 2ss.; CESTER, Rinunzie e transazioni (diritto del lavoro), Enc dir, XL, 994 ss.

(21) Cfr. SPEZIALE, La certificazione dei contratti di lavoro, cit., 102 ss.;CASTELVETRI, Il lavoro a progetto, di prossima pubblicazione in Studi in onore diGiorgio Ghezzi, Padova, 2005, 27 ss. (dell’estratto).

(22) V. M.G. GAROFALO, La legge delega sul mercato del lavoro: prime osser-vazioni, RGL, 2003, I, 377 ss.

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più generale; si segnala (23) l’obbiettivo di « accrescere lo spazioregolativo del contratto individuale facendo ricorso alla tecnicadell’inderogabilità solo relativa » (24). Per alcuni, questo fine dipolitica del diritto sarebbe stato realizzato dall’art. 68, in partico-lare nell’impianto originario, perché, per lo meno in tema di lavoroa progetto, la certificazione sarebbe stata « prefigurata sia qualemeccanismo di assistenza alla volontà individuale espressa al mo-mento della conclusione dell’accordo contrattuale che, contempo-raneamente, quale meccanismo utile a prevenire controversie giu-diziali sul piano qualificatorio » (25). Secondo altri, non si sarebbeancora giunti ad una simile situazione normativa (26), e tale ultimaricostruzione è convincente, a maggiore ragione dopo il decreto n.251/2004. Resta comunque aperto il problema più generale delsenso complessivo della categoria dell’inderogabilità in questofrangente storico.

2. Il tema dell’inderogabilità delle fonti del diritto del lavororisente di due problemi che, nonostante il vivace dibattito, possonoessere considerati ancora in parte aperti. Essi devono essere richia-mati affinché si possa ragionare delle nuove, eventuali prospettivedi derogabilità assistita (27). In primo luogo, si discute da temposul raccordo fra inderogabilità e limiti al potere di disposizio-ne (28); come è noto, si è sostenuto che « inderogabilità e indispo-nibilità (dei relativi diritti) costituiscono (...) fenomeni normativiinscindibili, in quanto rispondenti ad una medesima logica, che èpoi quella di sottrarre spazi all’autonomia privata » (29), al punto

(23) Cfr. BIAGI, Progettare per modernizzare, in AA.VV., Le politiche dellavoro. Insegnamenti di un decennio, a cura di TREU, Bologna, 2001, 277 ss., e, dellostesso A., Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti dilavoro, q.Riv., 2001, I, 257 ss.

(24) V. NOGLER, op. cit., 12 ss.(25) V. NOGLER, op. loc. cit.(26) Cfr. SPEZIALE, La certificazione dei rapporti di lavoro, cit., 275 ss.(27) Cfr. VOZA, Norma inderogabile e autonomia individuale assistita, DLRI,

1998, 603 ss.(28) V. ARANGUREN, La tutela dei diritti dei lavoratori, Padova, 1981, 44 ss.;

BUONCRISTIANO, Le rinunzie e le transazioni dei lavoratori, in Trattato di dirittoprivato, a c. di P. RESCIGNO, Torino, 1986, 589 ss.

(29) V. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli,1976, 241 ss.; cfr. anche F. MAZZIOTTI, Profili dell’autotutela nel rapporto di lavoro,Napoli, s.d., 138 ss.

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che le norme legali e le clausole contrattuali inderogabili incide-rebbero sul regime di possibile disposizione dei diritti derivantidall’applicazione delle previsioni inderogabili (30).

Non vi sarebbero stati ostacoli di ordine logico a che l’ordina-mento positivo così prevedesse; peraltro, questa impostazione ècontraddetta da una piana lettura dell’art. 2113 c.c., il quale, nelregolare le rinunce e le transazioni e, dunque, i tipici negozi didisposizione dei diritti, specifica in quali forme e con quali limiti sipossa disporre (31) delle posizioni soggettive derivanti dall’attua-zione di statuizioni inderogabili, a prescindere dalla loro naturanegoziale od eteronoma.

Quindi, l’esegesi dell’art. 2113 c.c. porta a concludere, in sin-tonia con le posizioni maggioritarie (32), che l’inderogabilità el’indisponibilità (o, meglio, i vincoli alla disposizione dei diritti dellavoratore) hanno nell’ordinamento positivo due sorti diverse. Aprescindere dalle specifiche indicazioni dell’art. 2113 c.c., indero-gabilità ed indisponibilità sono categorie differenti, poiché « ciò cheassume rilievo ai fini della distinzione tra negozio in deroga enegozio dispositivo » è « il momento dell’acquisto, in senso tecnico(...), del diritto » (33). Infatti, « ogni norma, condizionando a unfatto giuridico un effetto giuridico, non fa che attribuire valoregiuridico a certe situazioni che riguardano certe altre antecedentisituazioni di fatto e così fornire ai soggetti una base e un criterioper la valutazione del futuro ». La norma propone « una valuta-

(30) Cfr. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile, cit., 271 ss.; v. giàCOTTINO, L’art. 2113 c.c. e l’annullabilità per errore, violenza o dolo delle transazionie rinunce a diritti inderogabili dei lavoratori subordinati, DL, 1946, I, 48 ss.; D.NAPOLETANO, Le quietanze liberatorie nel diritto del lavoro, Milano, 1953, 120 ss.

(31) Cfr. PERA, Le rinunce e le transazioni del lavoratore, cit., 34 ss.; MAGNANI,Disposizione dei diritti, in Dig., disc. priv., sez. comm., vol. V, 60 ss. Primadell’entrata in vigore del testo ora vigente dell’art. 2113 c.c., cfr. F. SANTORO-PASSARELLI, L’invalidità delle rinunzie e transazioni del prestatore di lavoro, GCCC,1948, II, 53 ss.; GRANDI, L’arbitrato irrituale nel diritto del lavoro, Milano, 1963, 369ss.; GIUGNI, I limiti legali dell’arbitrato nelle controversie di lavoro, RDL, 1958, I, 65ss.; FLAMMIA, Sull’art. 2113 c.c., MGL, 1960, 381 ss.

(32) Cfr. CESTER, Rinunzie e transazioni, cit., 984 ss.; MAGNANI, Disposizionedei diritti, cit., 60; FERRARO, Rinunzie e transazioni del lavoratore, EGT, XXVIII,5 (dell’estratto); D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro,DLRI, 1991, 469 ss.; PALMIERI, Transazione e rapporti eterodeterminati, Milano,2000, 332 ss.

(33) V. MAGNANI, op. loc. cit.

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zione anticipata e prospettica attraverso tipi e schemi generalidesunti dalle esperienze trascorse » (34).

Pertanto, la fattispecie, « se si considera nel quadro del proce-dimento di produzione degli effetti, non è causa, né concausa diessi; e non è neppure condizione per il concretizzarsi della norma;costituisce piuttosto uno dei termini, col soggetto valutante, del-l’atto di valutazione: vale a dire, l’oggetto della valutazione » (35),alla stregua delle scelte prescrittive.

Qualora il fatto tipico sia accaduto, poiché si sono prodotti glieffetti, la « valutazione » è portata a compimento in ogni sua parte.Quindi, è determinante il sorgere della (perfetta) posizione sogget-tiva azionabile nel rapporto di lavoro, cioè del diritto completo inogni suo elemento (anche quantitativo), a fronte del prodursi delfatto tipico e del collegato, incondizionato operare dell’accordo, ilquale determina i diritti e gli obblighi dell’impresa e del lavorato-re (36). L’accordo produce i suoi effetti con il compiersi dellafattispecie e con il realizzarsi di quel fatto tipico che fa sorgere ildiritto individuale (37).

Per l’art. 2113 c.c., è nullo il contratto individuale di modifi-cazione di previsioni legali o negoziali inderogabili, mentre l’atto didisposizione è valido nei confini identificati dalla stessa norma e daogni altra disposizione limitativa dell’autonomia privata, ad esem-pio dall’art. 1966, secondo comma, c.c.; del resto, l’art. 2113 c.c.sposta il problema della validità del negozio sul terreno formale,

(34) Cfr. FALZEA, Efficacia giuridica, Enc dir, XIV, 484 ss.(35) CATAUDELLA, Fattispecie e fatto, Enc dir, XVI, 935, ricorda che « l’ordi-

namento, attraverso il mezzo tecnico rappresentato dalla norma, ha intesoprendere posizione non nei confronti di una fattispecie astratta bensì rispetto allaserie indeterminata dei fatti che hanno in comune le caratteristiche precisate nelloschema tipico, sicché può ben dirsi che nella valutazione astrattamente espressanella norma è potenzialmente implicata la valutazione di tutte le concretefattispecie, che rientrino nello schema tipico » (v. 933).

(36) V. MAGNANI, op. loc. cit.; VOZA, Norma inderogabile e autonomia indivi-duale, cit., 639 ss.; invece, per l’opposta tesi dell’identità di causa delle rinunce adiritti futuri e di quelle a diritti acquisiti, v. FABRIS, L’indisponibilità dei diritti deilavoratori, Milano, 1978, 37 ss.

(37) Di recente, in senso conforme, v. VOZA, op. cit., 647, per cui « il poteredi disposizione dei diritti individuali resta attribuito unicamente al singolo, e nonsi trasferisce al sindacato, come dimostra il fatto che (...), in mancanza diun’espressa previsione normativa ovvero di un mandato ad hoc conferito dalsingolo lavoratore all’organizzazione sindacale, a quest’ultima non è consentitodisporre dei diritti del primo ».

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poiché, se non ricorrono altri divieti, la stipulazione nei modiprevisti dall’art. 2113, quarto comma, c.c. esclude l’impugnazionedel prestatore di opere (38).

Pertanto, in contrasto con tesi espresse di recente (39), laposizione della dottrina maggioritaria non dà alcuna lettura re-strittiva della locuzione « diritto derivante da norma inderogabile »contenuta nell’art. 2113 c.c. (40). Parlando di diritto soggettivo, illegislatore deve avere fatto riferimento « solo “al diritto già acqui-sito” dal lavoratore in forza dell’applicazione delle norme legali econtrattuali inderogabili poste a sua tutela » (41). Se così non fosse,se cioè il diritto non fosse venuto ad esistenza e, quindi, non fossestato acquisito, non si potrebbe ragionare del diritto stesso e tantomeno si potrebbe pensare ad una sua disposizione (42).

Non si può neppure affermare che inderogabilità ed indisponi-bilità si « sovrapporrebbero » nella « ipotesi di norme che attribui-scono diritti al lavoratore per il solo fatto di aver instaurato ilrapporto di lavoro, a prescindere dal verificarsi di presuppostilegati all’esecuzione della prestazione » (43). In realtà, nelle ipotesirichiamate (diritto alla sicurezza e diritto di sciopero) non vi èalcuna confusione fra il tema dell’inderogabilità e quello delladisponibilità, poiché, in entrambi i casi, le posizioni soggettive nonpossono essere oggetto di un atto di disposizione, in quanto lovietano specifici principi costituzionali (artt. 32 e 40 Cost.) (44).Tuttavia, non si vede perché l’inderogabilità delle fonti legali si

(38) V. l’art. 82, d.lgs. n. 276/2003.(39) NOVELLA, Considerazioni sul regime giuridico della norma inderogabile

nel diritto del lavoro, ADL, 2003, 509 ss., afferma che un atto potrebbe produrre« effetti dispositivi di diritti di cui il disponente non sia ancora titolare » (v. 532),salvo, poi, sostenere che « è nulla la rinuncia o la transazione che abbia per oggettodiritti futuri, diritti cioè non ancora entrati nel patrimonio del disponente, permancanza originaria della causa » (cfr. 532, nt. 70). Ma, allora, non vi può esseredisposizione di un diritto inesistente.

(40) Cfr. NOVELLA, op. cit., 521.(41) Cfr. NOVELLA, op. loc. ult. cit., che, peraltro, utilizza l’espressione per

rendere un concetto diverso, se non opposto.(42) Cfr. F. SANTORO-PASSARELLI, L’invalidità delle rinunzie e transazioni del

prestatore di lavoro, cit., 53 ss.(43) Cfr. NOVELLA, op. ult. cit., 531.(44) V. SMURAGLIA, Indisponibilità e inderogabilità dei diritti del lavoratore, in

Nuovo tratt. dir. lav., dir. da RIVA SANSEVERINO e MAZZONI, vol. II, Padova, 1971,720 ss.; G. BRANCA, Sulla indisponibilità dei diritti del lavoratore garantiti dallaCostituzione, FP, 1958, I, 803 ss.

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dovrebbe confondere con la sorte delle posizioni soggettive, dopoche sono venute ad esistenza.

Ancora, non è persuasivo affermare che la disposizione deidiritti implicherebbe sempre una deroga a clausole negoziali ed aprevisioni eteronome. Si dice che « l’atto con il quale il lavoratorerinuncia alla quota maturata dell’indennità di sottosuolo comporta(...) la disapplicazione di una norma inderogabile: non si tratta,beninteso, della norma contrattual-collettiva che attribuisce ildiritto all’indennità, ma della norma, anch’essa presente nel con-tratto collettivo, e inderogabile, che determina, su base mensile,l’ammontare dell’indennità di sottosuolo » (45). Invece, dopo che ilprestatore di opere ha adempiuto il suo obbligo e compiuto il suofacere, sia la disposizione contrattuale sull’an, sia quella sul quan-tum hanno trovato piena applicazione, perché, con il realizzarsi delfatto tipico, si è compiuta la valutazione ed il diritto relativo èstato acquisito al patrimonio del dipendente.

Avvenuta tale attuazione delle statuizioni convenzionali, essenon possono essere più « disapplicate » (e non è chiaro che cosa siintenda con tale espressione, poiché l’inderogabilità del negozioconsente ai soli soggetti collettivi di incidere sulla sua esecuzione).Diversa è la sorte del diritto alla retribuzione maturata e, cioè,dell’importo determinato nell’an e nel quantum, poiché di taleposizione soggettiva il titolare può disporre nei limiti dell’art. 2113c.c. (46). Una rinuncia (totale o parziale) all’indennità maturatanon impedisce che, nel mese successivo (per seguire l’esempioproposto), il diritto all’indennità di sottosuolo sorga di nuovo, inattuazione delle stesse, intonse, clausole del contratto collettivo.

Un punto può essere meglio specificato. Mentre la differenzafra inderogabilità e limiti al potere di disposizione affonda in unsistema di teoria generale recepito dallo stesso art. 2113 c.c. (e noncostruito in alcun modo da tale precetto), nulla costringeva illegislatore a stabilire che da fonti inderogabili dovessero derivarediritti disponibili nelle forme e con i vincoli dell’art. 2113 c.c.Sarebbe stata accettabile anche una soluzione diversa, ad esempio

(45) Cfr. NOVELLA, op. loc. ult. cit.(46) Cfr. MAGNANI, op. loc. cit., 60 ss. Cfr. anche MARESCA, La prescrizione dei

crediti di lavoro, Milano, 1983, 40 ss.; FERRARO, Rinunzie e transazioni del lavora-tore, cit., 40 ss.

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formulata in tema di ferie, poiché, in tale ambito, il diritto èirrinunciabile, per principio costituzionale.

Le differenze fra la disciplina dell’inderogabilità e quella delladisposizione dei diritti individuali non derivano quindi da consi-derazioni teoriche, ma da contingenti e ragionevoli scelte compiutedall’ordinamento positivo, anche per evidenti ragioni di promo-zione della certezza nei rapporti di lavoro (47). Se mai, si devecercare di spiegare per quali più generali motivazioni razionalil’art. 2113 c.c. abbia indicato i modi di legittima disposizione e nonabbia ritenuto preferibile collegare all’avvenuta applicazione dileggi o di clausole negoziali inderogabili il sorgere di posizionisoggettive indisponibili (48).

Non a caso, si è osservato che « è improprio ragionare, intermini generalizzanti, di frustrazione dello scopo perseguito dallanormativa inderogabile » per la mancata introduzione di un regimedi assoluta indisponibilità, poiché questo non è « un argomentoidoneo in sé a sostenere la compenetrazione tra inderogabilità eindisponibilità » (49). In sostanza, la limitata possibilità di disporredei diritti ha un fondamento testuale preciso nell’art. 2113 c.c.Sarà da chiarire come mai solo in alcuni casi (ad esempio, in temadi ferie, di sciopero e di tutela della salute) all’inderogabilità siaccompagni una indisponibilità assoluta.

3. La scelta positiva compiuta dall’art. 2113 c.c. di non esclu-dere dall’esercizio del potere di disposizione tutte le posizioni sog-gettive derivate dall’applicazione di norme legali e di clausole con-trattuali inderogabili induce a chiedersi perché i due problemidell’inderogabilità e dell’indisponibilità abbiano ricevuto soluzioniprescrittivedifferenti (50).A ragione, si è osservato che, « se allabasedell’imperatività della norma sta un interesse superindividuale (an-

(47) Cfr. GIUGNI, Le rinunce e le transazioni del lavoratore: riesame critico,DL, 1970, I, 3 ss.; MAZZOTTA, Autonomia individuale e sistema del diritto del lavoro,DLRI, 1991, 491 ss.; CESTER, Rinunzie e transazioni, cit., 986; PERA, Le rinunce ele transazioni del lavoratore, cit., 3 ss.; ANGELINI, Le rinunzie e le transazioni dellavoratore, in ANGELINI, RENNA, ROMEI, La disciplina dei crediti del lavoratoresubordinato, Torino, 1994, 342 ss.

(48) Cfr. MAGNANI, op. loc. cit.(49) V. CESTER, Rinunzie e transazioni (diritto del lavoro), cit., 992.(50) Invece, sull’indisponibilità quale diretta conseguenza dell’inderogabi-

lità delle fonti, v. U. PROSPERETTI, Le rinunce e le transazioni del lavoratore, Milano,

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che se in ipotesi realizzabile attraverso la soddisfazionedell’interessedel singolo), nonvi è alcunadifficoltàadammettere che essa si arrestialla fase successiva, quando, avvenuta tale attribuzione, l’interessesuperindividuale può dirsi realizzato e si rientra nell’ambito di uninteresse meramente individuale » (51) o, forse, di uno nel quale lecomponenti individuali prevalgono su quelle collettive.

Si obbietta con qualche fondamento che persino i limiti delpotere di disposizione hanno riflessi collettivi (52), ma tali aspettisono meno significativi di quanto accade a proposito della costru-zione e dell’attuazione delle regole e, quindi, dell’approvazione dileggi inderogabili e della stipulazione dei contratti (53).

Nella nozione del diritto del lavoro propria di una societàcapitalistica, basata sullo sfruttamento dei mezzi di produzione dimassa e sulla connessa debolezza sociale dei lavoratori, solo leggiinderogabili tutelano i destinatari e devono essere nulli accordidifformi dal paradigma di protezione voluto dalle fonti eteronome.A maggiore ragione questo vale per gli accordi sindacali (54); se siriflette sulla loro origine storica e sul modo del loro imporsi nelnostro ordinamento, è agevole verificare che essi hanno acquisito illoro spazio proprio in quanto inderogabili, sebbene ciò abbia fattoemergere nella loro struttura un momento di autorità (55), peraltroindispensabile.

Solo tale caratteristica li rende un’alternativa rilevante alnegozio individuale; infatti, essi devono escludere che, sfruttandole sue risorse economiche e la sua condizione di proprietario dellestrutture produttive, il datore al lavoro possa mettere in pericolosaconcorrenza reciproca i prestatori di opere, approfittando del di-sagio dell’uno e dell’altro per costringerli ad accettare accordiindividuali sempre più sfavorevoli, con quel « gioco al ribasso »

1955, 186 ss.; TILOCCA, Il negozio di disposizione del debitore d’opera, RDC, 1956, I,72; DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, cit., 238 ss.

(51) Cfr. MAGNANI, op. loc. cit.(52) Cfr. DE LUCA TAMAJO, op. loc. cit.(53) Sul fatto che l’inderogabilità dell’accordo è essenziale per l’esplicarsi

della contrattazione collettiva, v. RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sin-dacale, cit., 5 ss.

(54) Per la tradizionale ricostruzione basata sulla categoria del mandatoirrevocabile, v. F. SANTORO-PASSARELLI, Inderogabilità dei contratti collettivi didiritto comune, DE, 1950, 299 ss.

(55) Cfr. BIANCA, Le autorità private, Napoli, 1977, 42 ss.

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tipico di situazioni caratterizzate dall’assenza di attività sindacale.Se mai, ora vi è competizione persino fra diversi contesti

economici, per la grande facilità della circolazione dei capitali edelle merci, così che gli ordinamenti attraggono spregiudicati in-vestimenti proprio per la minore salvaguardia del lavoro e, per-tanto, per le prospettive di maggiori speculazioni e di più altiprofitti (56). Tuttavia, nei sistemi di capitalismo maturo e, se sivuole, di economia postindustriale, l’acquisita inderogabilità delcontratto collettivo lo rende di per sé capace di garantire un livellominimo di tutela a tutti coloro cui si applica, per l’invaliditàdell’eventuale negozio individuale difforme. È superfluo ricordarecome tale nullità dell’accordo di deroga in peius non basti aproteggere i prestatori di opere, se non vi sono meccanismi piùarticolati in grado di rendere effettivo l’esercizio dei loro diritti.

Peraltro, per quanto qui interessa, l’inderogabilità del con-tratto sindacale non ha solo una rilevanza collettiva, ma spiega ilsorgere di un’organizzazione e, dunque, il costituirsi del gruppo edil suo operare, poiché esso è destinato proprio per sua vocazionecostitutiva a porre regole inderogabili. Se così non fosse, il con-tratto non avrebbe senso e verrebbe meno il momento qualificantedell’esperienza sindacale, la quale, sia dal punto di vista storico, siada quello della riflessione teorica, almeno nel nostro ordinamentonon mira ad una generica forma di tutela del lavoro subordinato,ma ad una specifica protezione, realizzata per mezzo dell’accordocollettivo e, quindi, della fissazione di regole uniformi che si im-pongono alle trattative individuali.

Se l’inderogabilità è un momento costitutivo della stessa atti-vità sindacale, perché giustifica il senso e il valore della contratta-zione collettiva, è agevole spiegare per quali ragioni la nullitàdell’accordo individuale sia la conseguenza della deroga illegittimaalle intese sindacali. L’inderogabilità delle clausole normative è afondamento dell’intera azione sindacale, a partire dall’art. 39Cost. (57). Chi cerca di variare in peius clausole inderogabili violai criteri che connotano lo statuto complessivo della contrattazione

(56) V. PERULLI, Diritto del lavoro e globalizzazione, Padova, 1999; ID.,Diritti sociali e mercato globale, RGL, 2000, I, 939 ss.

(57) Cfr. MOROZZO DELLA ROCCA, Rappresentanza sindacale e mandato nelcontratto collettivo, RTDPC, 1964, 916 ss.; CORRADO, Efficacia normativa del con-

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nel nostro ordinamento, in quanto la funzione normativa miraproprio ad introdurre principi immodificabili nell’ambito del rap-porto individuale.

Infatti, i rari casi di previsioni derogabili degli accordi sinda-cali sollevano continue tensioni interpretative, perché non vi ècorrispondenza fra la funzione e la sua attuazione. Lo testimonia ilvivace dibattito su talune indicazioni del contratto nazionale dicategoria delle imprese bancarie, il quale disciplina in mododerogabile, per espressa indicazione, il periodo di preavviso deilavoratori, così privati di ogni tutela ed esposti alle forti (elegittime) pressioni dei datori di lavoro. Non ha peraltro senso uncontratto collettivo derogabile, che non realizza, anzi rinnega ilsuo scopo.

Pertanto, con l’inderogabilità delle fonti, l’intero diritto dellavoro mostra la sua prospettiva collettiva e si impone sulle ten-tazioni capitalistiche. Lo stesso non si può dire per i limiti al poteredi disposizione dei diritti, poiché tali negozi si situano dopo l’av-venuta applicazione delle fonti legali e delle clausole contrattuali e,di conseguenza, quando esse hanno esplicato i loro effetti. In talemomento, la sorte di ciascun diritto ha minore rilevanza collettiva,proprio perché si discute di quanto è già occorso e, quindi, i limitiall’indisponibilità non evitano in sé alcuna ipotesi di « gioco alribasso » da parte dell’impresa, ma salvaguardano solo la liberaformazione della volontà di ciascuna persona, nonostante le sueeventuali deficienze di informazione, di risorse patrimoniali, diconsigli avveduti.

Indefinitiva, nel riguardare l’eserciziodel poteredidisposizione,l’art. 2113 c.c. si preoccupa di quelle che, con termine ormai entratonel lessico giuridico, potremmo chiamare le strutturali « asimmetrieinformative » delle quali soffre il lavoratore subordinato. Per con-verso, l’inderogabilità del contratto collettivo permette l’esplicarsidel negoziato sindacale e, dunque, contrattazione ed inderogabilitàsono un binomio inscindibile (58). Lo stesso ragionamento vale perle norme legali, che avrebbero scarso significato se facessero riferi-

tratto collettivo di diritto comune, DE, 1964, 916 ss.; R. SCOGNAMIGLIO, Autonomiasindacale ed efficacia del contratto collettivo di lavoro, RDC, 1971, I, 161 ss.

(58) V. già SIMI, L’efficacia del contratto collettivo, in Nuovo trattato di dirittodel lavoro, diretto da RIVA SANSEVERINO e MAZZONI, Padova, 1973, 314 ss.

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mento, ai fini della loro applicabilità, a manifestazioni di volontà disoggetti, come i lavoratori, in condizioni ovvie ed evidenti di debo-lezza sociale. Però, mentre in ordine al potere di disposizione deidiritti, l’obbiettivo dell’art. 2113 c.c. è di assicurare la libera e ra-zionale formazione della volontà (nella consapevolezza del fatto che,spesso, la transazione è una soluzione equa ed accettabile), non visarebbe contrattazione collettiva senza inderogabilità.

È persuasiva la tesi tradizionale per cui i negozi transattivi edabdicativi « non possono considerarsi contrari alle norme che con-templano l’attribuzione dei diritti medesimi, perché non tendonoad una esclusione o limitazione dell’acquisto da parte di colui in cuifavore sono predisposti, ma ad una disposizione di diritti giàacquistati ad opera del titolare. Pertanto, mentre i negozi contrarialle norme imperative indicate possono essere nulli, i negozi dirinunzia e transazione, possono, senza contraddizione, essere sem-plicemente annullabili » (59). Tale posizione porta ad ulteriori con-seguenze; per questa strutturale e convincente contrapposizionefra l’inderogabilità ed i vincoli all’esercizio del potere di disposi-zione (60) (che non sono affatto fra loro collegati da un nessoinsuperabile), non vi è difficoltà a vedere nell’art. 2113 c.c.l’espressa conferma dell’inderogabilità del contratto colletti-vo (61), se anche non si vuole più dare risalto all’art. 2077 c.c. (62).

Le obiezioni sollevate sul punto ripropongono un collegamentonon persuasivo fra due separate componenti prescrittive propriedell’art. 2113 c.c. Invece, si dice che l’entrata in vigore dell’attualetesto dell’art. 2113 c.c., « lungi dall’aver risolto ogni problema »,« finisce col dedurre, e far dipendere » la « inderogabilità (e laconseguente attivazione del meccanismo di sostituzione automa-

(59) V. F. SANTORO-PASSARELLI, L’invalidità delle rinunzie e transazioni, cit.,53 ss.

(60) V. TOSI, Disponibilità individuale e collettiva dei diritti soggettivi na-scenti da norme inderogabili, ADL, 1999, 615 ss.

(61) V. PERA, Le rinunzie e le transazioni del lavoratore, cit., 159 ss.;BALLESTRERO, Riflessioni in tema di inderogabilità dei contratti collettivi, q. Riv.,1989, I, 357 ss.; SCIARRA, Contratto collettivo, in Dig., disc. priv., sez. comm., vol. IV,60 ss.; NOGLER, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, cit., 164 ss.;RUNGGALDIER, Osservazioni sull’inderogabilità delle disposizioni dei contratti collet-tivi di cui all’art. 2113 c.c., q. Riv., 1980, I, 291 ss.

(62) Cfr. TURSI, Autonomia contrattuale e contratto collettivo di lavoro, Torino,1996, 181 ss.

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tica) dalla c.d. indisponibilità relativa che l’art. 2113 contemplaper determinati diritti del lavoratore » (63). Infatti, per un verso,l’art. 2113 c.c. ribadisce come, nell’assolvimento della funzionenormativa, le clausole degli accordi collettivi siano inderogabi-li (64) e, per altro verso, pone limiti al potere di disposizione delprestatore di opere, senza che una disciplina debba seguire neglisvolgimenti specifici la sorte dell’altra.

A proposito dell’inderogabilità del contratto collettivo, l’art.2113 c.c. ha enunciato un principio comunque immanente nelnostro ordinamento (65) e desumibile dall’art. 39 Cost., se nondall’art. 2077 c.c. (66). Infatti, come dottrina e giurisprudenza (67)hanno sempre dovuto riconoscere, non vi può essere contrattocollettivo se esso non introduce clausole inderogabili. Quindi, sulpunto, nel testo vigente, l’art. 2113 c.c. riepiloga quanto giàdoveva essere ricavato dalla stessa nozione di accordo collettivo e,pertanto, dall’art. 39, primo comma, Cost., che presuppone talecategoria nel fondare la libertà sindacale.

4. La riflessione sul collegamento fra l’inderogabilità ed ilimiti legali al potere di disposizione ha conosciuto una singolareparabola nel nostro ordinamento, poiché, in una prima fase, glisforzi della dottrina si sono orientati sull’obbiettivo di estenderealle rinunce e alle transazioni istituti propri dell’inderogabilità (68)e, in particolare, una generale sanzione di nullità che colpisca in sél’atto di disposizione, non solo nelle ipotesi dell’art. 1966, secondocomma, c.c. Quindi, si è cercato per un lungo periodo di tempo didedurre dall’inderogabilità delle leggi e dei contratti l’indisponibi-

(63) Cfr. RUSCIANO, Contratto collettivo e autonomia sindacale, cit., 101 ss.(64) V. MENGONI, Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, ne

La contrattazione collettiva: crisi e prospettive, Milano, 1976, 35 ss.(65) Sull’impossibilità di ricavare l’inderogabilità dal diritto comune, v.

PERSIANI, Saggio sull’autonomia privata collettiva, cit., 9 ss.; VARDARO, L’inderoga-bilità del contratto collettivo e le origini del pensiero giuridico-sindacale, DLRI, 1979,537 ss.

(66) In senso critico sull’applicazione dell’art. 2077 c.c., cfr. VARDARO, Leorigini dell’art. 2077 c.c. e l’ideologia giuridico-sindacale del fascismo, in Materialiper una storia della cultura giuridica, Bologna, 1980, 454 ss.

(67) V. GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, cit., 33ss.

(68) Cfr. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, cit.,238 ss.

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lità assoluta delle posizioni soggettive « primarie », se non di quellerisarcitorie e secondarie, così che gli atti relativi dovessero essereconsiderati nulli e non solo annullabili, a prescindere dalle forme distipulazione e, di conseguenza, dall’applicazione dell’art. 2113,quarto comma, c.c.

Nell’ultima fase del dibattito (69), sebbene tali questioni nonsiano state accantonate e suscitino un perdurante interesse (comeè per ogni tema centrale nell’intero diritto del lavoro), si assiste aragionamenti di ispirazione opposta, perché, con un dichiaratotaglio innovativo, si cerca di riferire alla categoria dell’inderogabi-lità figure proprie del sistema di vincoli attinenti al potere didisposizione (70). In particolare, seppure in ambiti differenti e confinalità non sempre coerenti, si sostiene che alcune forme di stipu-lazione potrebbero consentire non l’esclusione dell’impugnazioneper rinunce e transazioni, a norma dell’art. 2113, quarto comma,c.c., ma addirittura valide deroghe a fonti legali o ad accordisindacali per loro natura inderogabili (71). In tal caso, l’interventosindacale (o di enti bilaterali composti quindi dalle associazionirappresentative) permetterebbe di introdurre deroghe altrimentivietate (72).

Ogni proposta di riforma dovrebbe essere valutata in sé. Ingenerale, non può essere accettata l’idea di trasporre a propositodell’inderogabilità figure che hanno un preciso significato se appli-cate all’esercizio del potere di disposizione (73), come è per l’assi-stenza sindacale. Se la creazione di norme inderogabili da parte

(69) Su nuove prospettive del contratto individuale, cfr. GHERA, Prospettivedel contratto individuale di lavoro, in Scritti in onore di Gino Giugni, Bari, 1999, vol.I, 503 ss.

(70) Cfr. VOZA, op. cit., 653 ss.; PINTO-VOZA, Il Governo Berlusconi e il dirittodel lavoro: dal Libro bianco al disegno di legge delega, RGL, 2002, I, 482 ss.; P.ICHINO, Norma inderogabile e valorizzazione dell’autonomia individuale nel diritto dellavoro, RGL, 1990, I, 77 ss.; F. SCARPELLI, Spunti per la tutela del lavoro nelrapporto: autonomia negoziale individuale e sostegno collettivo, in AA.VV., I « de-stini » del lavoro, a cura di F. AMATO, Milano, 1998, 101 ss.

(71) Cfr. VALLEBONA, Norme inderogabili e certezza del diritto: prospettive perla volontà assistita, DL, 1992, I, 480 ss.; P. ICHINO, Il lavoro e il mercato, Milano,1996, 59 ss.

(72) V. G. PROSPERETTI, L’autonomia privata tra inderogabilità e flessibilitàdelle tutele, MGL, 1993, 599 ss.

(73) Sull’esperienza in altri settori dell’ordinamento, cfr. VOZA, Normainderogabile e autonomia individuale assistita, cit., 603 ss.

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della legge o dei soggetti collettivi è sempre in funzione di uninteresse collettivo, il consentire una modificazione in peius daparte dell’accordo individuale provoca il prorompere e l’inevitabileaffermarsi di interessi diversi da quelli protetti dalla fonte indero-gabile.

Per sua natura, l’autonomia individuale risponde a specificheaspettative di ciascun lavoratore, per un verso esposto ai ricattidelle imprese e, per altro verso, se anche così non fosse, propenso adare importanza al suo « particulare » e non alla più generalevisione strategica che dovrebbe caratterizzare il contratto collet-tivo o l’intervento del legislatore (74). Il passaggio dal negoziocollettivo inderogabile a quello collettivo derogabile (seppure nelrispetto di talune forme) implica la valorizzazione di indeterminatiinteressi individuali in luogo di quelli collettivi, comunque sottesiall’esercizio dell’autonomia privata sindacale (75).

A tale riguardo, poco importano la forma o i modi di stipula-zione dell’intesa individuale e, quindi, l’assistenza delle associa-zioni sindacali o degli enti bilaterali, anche ad ammettere (e vi è dadubitarne) che gli uni o gli altri siano capaci di destreggiarsi inquestioni così complesse, sia sul versante tecnico-giuridico, sia suquello delle relazioni fra gruppo e singoli. A norma dell’art. 2113,quarto comma, c.c., il sindacato interviene a correggere o limitareasimmetrie informative (76), non a caso operando in difficile con-correnza con le Commissioni di conciliazione istituite presso leDirezioni provinciali del lavoro e, a maggiore ragione, con i giudici,i migliori consulenti di cui un lavoratore possa disporre, se essivogliono esplicare tale funzione con tempo ed impegno.

Anzi, a ragione si è proposto di permettere che gli effettidell’art. 2113, quarto comma, c.c. possano essere collegati anche a

(74) Cfr. DELL’OLIO, L’organizzazione e l’azione sindacale in generale, inDELL’OLIO-G. BRANCA, L’organizzazione e l’azione sindacale, Padova, 1980, 252 ss.

(75) V. TRIONI, Il sistema del diritto sindacale dalla rappresentanza allarappresentatività, DLRI, 1986, 587 ss.; NAPOLI, Regolamentazione dello sciopero egoverno del conflitto collettivo, PS, 1988, 23 ss.; TOSI, Rappresentanza sindacale eautonomia individuale, MGL, 1990, 114 ss.

(76) Cfr. GRANDI, La conciliazione e gli arbitrati nella legge di riforma delprocesso del lavoro, RDL, 1974, I, 41 ss.; PERONE, La conciliazione delle controversiedi lavoro ed il ruolo del giudice in Italia, RDICL, 1978, 139 ss.; PETINO, Composi-zione delle liti e ruolo del sindacato, Milano, 1989, 37 ss.

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transazioni o rinunce concluse con l’assistenza dei legali (77), per-ché questi possono raggiungere risultati migliori dei conciliatorisindacali nel dare aiuto ai prestatori d’opera, inquadrando lanatura e l’opportunità degli atti di disposizione. Se tale suggeri-mento non ha ancora portato a risultati positivi, l’art. 68 (almenonel testo originario) e l’art. 82, d.lgs. n. 276/2003 permettono(secondo alcune impostazioni) alle Autorità di certificazione divalutare rinunce e transazioni con gli stessi effetti dell’art. 2113,quarto comma, c.c. (78). Ancora una volta, tale intervento diassistenza vuole dare informazioni e consigli a chi si accinge adisporre delle sue posizioni soggettive in condizioni di possibiledebolezza sociale e di probabile inferiorità economica.

L’inderogabilità non ha peraltro diretta attinenza al tema delleasimmetrie informative, ed è secondario il problema del livello diconsapevolezza delle parti nell’eventuale stipulazione di un con-tratto di deroga (se ciò fosse consentito). L’inderogabilità consenteil pieno affermarsi delle strategie collettive e il loro imporsi alledebolezze individuali o all’egoismo o, comunque, alle pulsioni e alleaspettative di chi guarda alla sua sola sorte, senza una valutazionedelle esigenze dell’intero gruppo organizzato. Se vi fossero forme diderogabilità assistita, il sindacato si dovrebbe perciò limitare ad...assistere (nel senso di essere spettatore) al prorompere delle aspi-razioni individuali. A quel punto, altri (come i legali) megliopotrebbero assolvere funzioni di consulenza nella redazione deicontratti, poiché si dovrebbe comunque presiedere alla correttaredazione di negozi usciti dall’area della decisione collettiva.

A tale riguardo, ancora una volta, è facile richiamare l’espe-rienza sorta nell’applicazione dell’art. 2113, quarto comma, c.c.Nella prassi, vi è piena fungibilità fra la stipulazione avanti alleCommissioni pubbliche o a quelle sindacali; se mai, si preferiscericorrere a queste ultime quando l’accordo presenti aspetti cosìdubbi sul piano fiscale o su quello previdenziale che risulta prefe-ribile evitare quel minimo di pubblicità insito nella comparizione

(77) GHEZZI, La conciliazione delle controversie di lavoro intervenuta conl’assistenza dei difensori, RTDPC, 2000, 205 ss.

(78) Cfr. DE ANGELIS, La certificazione dei rapporti di lavoro, in AA.VV., Lalegge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, a cura di M.T. CARINCI,Milano, 2003, 243 ss.

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avanti alla Direzione provinciale del lavoro. Peraltro, in nessunmodo la partecipazione di rappresentanti sindacali alla manifesta-zione di volontà abdicativa o transattiva permette di fare compa-rire interessi collettivi e tanto meno di condizionare a questi ultimiquelli del singolo lavoratore; invece, essi sono non i principali, magli unici presi in considerazione.

Ciò è ragionevole (e, comunque, permesso dall’art. 2113 c.c.)quando si dispone di posizioni soggettive già entrate nel patrimo-nio individuale. Però, se si volesse seguire il medesimo modello intema di inderogabilità, si dovrebbe riconoscere che la derogabilitàassistita farebbe rifluire senza indugio e senza mediazioni le rela-tive materie nella sfera dell’autonomia individuale, così che l’in-derogabilità non si attenuerebbe, ma scomparirebbe, appuntonella sua natura di divieto all’intervento dell’accordo individuale.Infatti, poco importerebbero le forme di stipulazione di questoultimo.

Se il dialogo cessa di essere collettivo e il potere di decideretorna al singolo prestatore di opere, l’interesse collettivo cede difronte a quello specifico di ogni lavoratore, non più frenato ocontenuto da previsioni che si impongano alla sua volontà ed aquella delle imprese (79). In sostanza, come non può esistere untertium genus fra individuale e collettivo, così non si può introdurreuna figura intermedia fra inderogabilità e derogabilità, sia conriguardo alle fonti legali, sia, a maggiore ragione, a proposito degliaccordi collettivi.

Sarebbe illusorio immaginare di configurare, per mezzo di unanecessaria iniziativa sindacale al momento della conclusione delcontratto individuale, una sorta di continuità fra l’azione delgruppo e la sfera di autonomia di ciascun prestatore di opere.Questo preteso collegamento strutturale fra le determinazioni delsingolo e quelle delle associazioni sminuisce l’originalità dell’atti-

(79) V. DELL’OLIO, Interesse collettivo e libertà dei singoli, cit., 59, per cui « lastessa indivisibilità, solitamente affermata come caratteristica dell’interesse col-lettivo (...) si rivela propria (...) non dell’interesse in sé, ma del modo, spiccata-mente “sindacale”, cioè di massa, in cui esso viene realizzato, o meglio proposto ».Sulle qualificanti differenze fra il sindacato e le altre associazioni, cfr. ROMAGNOLI,Associazione sindacale, EGT, vol. III, 7 (dell’estratto).

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vità di elaborazione dell’interesse collettivo (80), a prescinderedagli esiti di tali processi, vari e spesso discutibili.

L’interesse collettivo non è la somma di tante esigenze setto-riali (81), poiché l’organizzazione assume suoi comportamenti ne-goziali sulla base di una sintesi comunque soggettiva ed originaledelle necessità presenti nello specifico contesto sociale ed econo-mico. Però, l’idea di interesse collettivo non basta per spiegareperché l’intesa sindacale abbia effetti sulla relazione individuale,poiché l’originalità del momento sindacale è diversa dall’assolutaprevalenza rispetto alla sfera giuridica delle imprese e dei lavora-tori (82) e, quindi, non vi è il meccanico imporsi dell’interessecollettivo. Se si giungesse a tale concezione, si dovrebbe riconoscereuna dimensione di assoluta autorità, estranea all’art. 39, primocomma, e all’art. 2 della Costituzione.

Invece, il contratto collettivo non ha efficacia soggettiva ge-nerale (83). Nel suo incontro con il rapporto individuale, esso deveaccettare la libertà del lavoratore, poiché l’intesa ha comunqueapplicabilità limitata. Forse, l’evoluzione della società economicadi questi anni e dei metodi di produzione può indurre il legislatorea fare a meno di un diritto sindacale della libertà (quale è ancorail nostro) e ad optare per una differente disciplina della rappresen-

(80) Sull’evoluzione del sistema di relazioni industriali e sulla necessariacentralità della tutela della persona, cfr. GRANDI, Le relazioni di lavoro tra conflittoe cooperazione (modelli di opposizione e modelli di composizione degli interessicollettivi di fronte ai nuovi orizzonti del conflitto industriale), in Annali dellaFondazione Pastore, vol. XI, Milano, 1982, 31 ss.; sul sindacato quale momento diuna articolazione di « comunità intermedie », v. P. RESCIGNO, Le società intermedie,in Persona e comunità. Saggi di diritto privato, Padova, 1987, vol. II, 29 ss.; RIDOLA,Democrazia pluralistica e libertà associative, Milano, 1987, 50 ss.

(81) Sulla « simbiosi » fra interesse collettivo ed individuale, v. ROMAGNOLI,Commento all’art. 28, in GHEZZI-MANCINI-MONTUSCHI-ROMAGNOLI, Statuto dei dirittidei lavoratori, Bologna, 1972, 435 ss.

(82) Per indicazioni in tale senso v. TREMOLADA, Concorso e conflitto traregolamenti collettivi di lavoro, Padova, 1984, 35 ss.; GITTI, Contratti regolamentarie normativi, Padova, 1994, 69 ss.

(83) Cfr. MISCIONE, Il problema del contratto collettivo; il dissenso, GI, 1987, V,65 ss.; v. LAMBERTUCCI, Efficacia dispositiva del contratto collettivo e autonomiaindividuale, cit., 43 ss., secondo cui « il profilo della vincolatività del contrattocollettivo si sposta dal versante del datore di lavoro non affiliato all’associazionesindacale stipulante al lato del lavoratore “dissenziente” rispetto ad una contrat-tazione che non gli garantisce i trattamenti economici precedentemente goduti ».

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tanza (84), con connotazioni imperative, come accade nell’impiegopubblico. Tuttavia, quando il singolo lavoratore privato accettache il suo rapporto sia regolato dal contratto collettivo, quest’ul-timo opera con la forza (e dunque con l’autorità) derivante dallasua natura inderogabile, come accade per la legge.

5. Il passaggio a una società postindustrializzata pone que-stioni nuove di tutela del lavoro, per la progressiva valorizzazionedelle capacità individuali, così che, rispetto alla definizione dicondizioni minime di protezione per tutti i prestatori di opere (85),si impongono logiche di premio per le più spiccate capacità pro-fessionali (86) e, dunque, elementi di stimolo all’esercizio dell’au-tonomia negoziale individuale (87). Tuttavia, queste trasforma-zioni del senso stesso e delle finalità del diritto del lavoro (88) nonmettono in discussione l’istituto dell’inderogabilità delle previsioniintrodotte dalla legge o dai contratti collettivi. In particolare,qualora si discuta del lavoro subordinato, il problema non è datoné dalla natura delle fonti, né dagli effetti degli atti di disciplinaeteronoma o di quelli frutto dell’autonomia collettiva. Si discute,piuttosto, delle singole prescrizioni, non delle complessive conno-tazioni delle leggi e dei contratti (89).

A ragione, si rileva che « l’amministrazione del rapporto dilavoro identifica l’ambito in cui potere positivo e contropoteres’incontrano con maggiore continuità e anzi coabitano gomito agomito quotidianamente »; dunque, « capita con crescente fre-quenza di assistere ad un’espansione di ruolo della contrattazione

(84) Più in generale, sull’esistenza di una dimensione di autorità insita nelcontratto collettivo, v. GIUGNI, Diritto del lavoro (voce per un’enciclopedia), inLavoro, legge, contratti, Bologna, 1989, 275 ss.

(85) In una prospettiva di necessaria valorizzazione della persona dellavoratore, cfr. D’ANTONA, La grande sfida delle trasformazioni del lavoro: ricentrarele tutele sulle esigenze del lavoratore come soggetto, in Opere, Milano, 2000, I, 249 ss.

(86) Cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Lavoro subordinato e diritto del lavoro alle soglie del2000, ADL, 1999, 273 ss.

(87) Cfr. DEL PUNTA, L’economia e le ragioni del diritto del lavoro, DLRI,2001, 5 ss., e, dello stesso A., Mercato o gerarchia? I disagi del diritto del lavoronell’era delle esternalizzazioni, DML, 2000, 49 ss.

(88) Cfr. A. e P. ICHINO, A chi serve il diritto del lavoro, q. Riv., 1994, I, 459ss.

(89) V. P. LOI, L’analisi economica del diritto e il diritto del lavoro, DLRI,1999, 547 ss.

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collettiva sul terreno dell’amministrazione del rapporto di lavorofino a farne la sede più trafficata d’un modello di partecipazioneprocedimentale aperto agli stessi destinatari degli atti di ammini-strazione » (90), così che l’accordo sindacale (e le sue regole inde-rogabili) (91) assumono una posizione centrale spesso poco coe-rente con i problemi di rapidità decisionale sollevati dalla modernasocietà economica (92). Ne derivano discrasie fra le specifichestrategie di tutela e le esigenze messe in luce dal mercato nel qualeè impegnata ciascuna impresa.

Tuttavia, questo disagio manifestato dal diritto del lavoro nonpuò essere risolto per mezzo di una complessiva critica alla cate-goria generale dell’inderogabilità. Se, in una stagione storica ca-ratterizzata dalla debolezza delle imprese e dalla scarsa lungimi-ranza delle loro associazioni, le regole inderogabili messe asalvaguardia dei dipendenti si sono estese talora oltre i limiti dellaragionevolezza e hanno pregiudicato un efficace esercizio dei poteridel datore di lavoro, come è accaduto (si noti, non per responsa-bilità culturali delle associazioni sindacali, ma delle loro contro-parti), allora spetta alla stessa dinamica del negoziato correggeretali distorsioni. Il problema non è l’inderogabilità delle clausolesindacali, ma il fine e la struttura delle singole prescrizioni, le qualipossono essere modificate dall’autonomia privata collettiva, nonsolo al livello nazionale, ma persino a quello aziendale (93).

(90) Cfr. ROMAGNOLI, Amministrazione del rapporto di lavoro, in Dig., disc.priv., sez. comm., vol. I, 110 ss.

(91) V. SIMITIS, Diritto privato e diseguaglianza sociale: il caso del rapporto dilavoro, DLRI, 2001, 47 ss.

(92) V. ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro nel prisma del principio d’ugua-glianza, RTDPC, 1997, 533 ss.

(93) Cfr. Cass. 9 novembre 2001, n. 13916, mass., per cui « alle parti socialidella contrattazione collettiva è consentito, in virtù del principio generale del-l’autonomia negoziale, di modificare anche in senso peggiorativo le posizioni deilavoratori già godute con i precedenti contratti collettivi venuti a scadenza e nonrinnovati, fermi restando i diritti già acquisiti in virtù di prestazioni lavorativegià eseguite al tempo della scadenza del contratto non rinnovato ». Del resto, « icontratti collettivi aziendali hanno natura ed efficacia di contratti collettivi,sicché, non applicandosi ad essi la disciplina dell’art. 2077 c.c., che regola soltantoi rapporti fra contratto collettivo e contratto individuale, la nuova disciplinacontenuta in un contratto collettivo aziendale può modificare in senso peggiora-tivo quella precedente contenuta in un contratto nazionale » (cfr. Cass. 19 giugno2001, n. 8296, mass.). Inoltre, « nell’ipotesi di successione di contratti collettivi didiverso livello (nazionale, provinciale, aziendale) l’eventuale contrasto tra le

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Alle eventuali deficienze organizzative indotte dal proliferaredei vincoli voluti dal contratto collettivo non si può replicaremettendo in discussione l’inderogabilità. Come il negoziato sinda-cale ha talora ridotto in modo eccessivo gli spazi di iniziativa deldatore di lavoro, così lo stesso dialogo sociale, a livello nazionale oaziendale, può porre rimedio ai suoi errori. Non si può pensare dirisolvere i problemi sollevati dalla contrattazione per mezzo di unamodificazione improvvisa della natura delle clausole, con il pas-saggio dall’inderogabilità a varie ipotesi di derogabilità assistita e,quindi, dalle scelte collettive a quelle delle trattative individuali.Come gli eccessi di garantismo sono imputabili a concrete dinami-che sindacali, allo stesso modo le correzioni (spesso necessarie)possono provenire solo da profonde rettifiche nei comportamentinegoziali (94).

In contrasto con quanto spesso si afferma (nell’evidente ricercadi capri espiatori, a prezzo di inaccettabili semplificazioni), glieccessi di tutela del lavoro in alcuni settori produttivi non dipen-dono dall’inderogabilità, ma dalle singole clausole, quindi da chi leha stipulate. Al tempo stesso, l’antidoto non è da ricercarsi nellasoppressione o nella limitazione dell’inderogabilità, che ha per-messo l’immenso progresso della nostra società del lavoro (95).L’autonomia collettiva può in vario modo adeguare le sue previ-sioni alle esigenze di una società economica più competitiva e più

relative previsioni non deve essere risolto secondo i principi di gerarchia e dispecialità, propri delle fonti legislative, ma in base all’individuazione della effet-tiva volontà delle parti desumibile dal coordinamento delle varie disposizioni, dipari dignità, della contrattazione nazionale e locale, fermo restando che un nuovocontratto collettivo (sia esso nazionale o aziendale) può anche modificare in peiusla disciplina collettiva precedente (di qualsiasi livello essa sia), con il solo limitedel rispetto dell’esistenza di veri e propri diritti (e non di mere aspettative)acquisiti dai lavoratori alla stregua della normativa poi superata da quellapeggiorativa » (v. Cass. 6 ottobre 2000, n. 13300, mass).

(94) Cfr. PERULLI, Interessi e tecniche di tutela nella disciplina del lavoroflessibile, DLRI, 2002, 403, per cui « il parziale arretramento della componenteeteronoma della regolamentazione si coniuga ad una più accentuata espansionedell’autonomia negoziale individuale, in un’ottica di autodeterminazione e auto-realizzazione dell’individuo. La flessibilità, oltre ad essere più generale, pervasivae permanente che in passato, accentua così i connotati della diversificazione edell’individualizzazione, in funzione delle condizioni operative e delle scelteproduttive delle imprese ».

(95) Sul nuovo spazio dell’autonomia individuale, v. PROIA, Flessibilità etutela « nel » contratto di lavoro subordinato, DLRI, 2002, 435 ss.

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votata a premiare il merito (96). Non vi è alcuna necessità dideroghe individuali, perché le libere scelte dell’autonomia privatapossono sempre essere trasformate.

Si può condividere qualche giudizio negativo su alcune mani-festazioni invasive degli accordi sindacali, perché l’eccesso di vincoliall’azione del datore di lavoro lo mette talora in difficoltà nel ci-mentarsi con le insidie di mercati ad intensa concorrenza interna-zionale. Infatti, « l’esito della procedimentalizzazione del potere diamministrare non consiste soltanto nell’accrescerne la trasparenza;la procedimentalizzazione del potere di amministrare il rapporto viintroduce anche una sorta di razionalità contrattata perché obbligaad allargare il confronto delle variabili da valutare » (97). Tuttavia,almeno per le clausole normative degli accordi collettivi, il rimedioad eccessi di garantismo non può essere individuale, ma, nella logicadello stesso ordinamento intersindacale, può derivare solo da un di-verso esercizio del negoziato collettivo (98).

In sostanza, non si vede perché da contratti poco coerenti conle insidie della società economica contemporanea si debba passaread accordi individuali (99), nella stipulazione dei quali i soggettisindacali sono destinati a rimanere spettatori a fronte dell’emer-gere dell’interesse del singolo (100). La modificazione progressivadelle condizioni economiche, a partire dalle insidie arrecate daiPaesi in via di sviluppo, interpella l’autonomia sindacale qualesede di mediazione dei conflitti di lavoro, votata a contemperare leesigenze della produzione con i problemi complessivi dei prestatoridi opere. Non la deroga assistita alle clausole inderogabili, ma larettifica di alcune linee di tendenza del negoziato può permettere aidatori di lavoro di affrontare le sfide dell’economia contempora-nea (101).

(96) Sulle prospettive di una modulazione delle tutele, v. PROIA, Flessibilitàe tutela « nel » contratto di lavoro subordinato, cit., 451 ss.

(97) Cfr. ROMAGNOLI, Amministrazione del rapporto di lavoro, cit., 112 ss.(98) V. DELL’OLIO, Il diritto del lavoro italiano e le sue fonti, DLRI, 2002, 523

ss.(99) Cfr. L. ZOPPOLI, Lavoro, mercato e regole: alla ricerca di nuovi equilibri,

DML, 1999, 423 ss.(100) Cfr. VALLEBONA, Norme inderogabili e certezza del diritto: prospettive per

la volontà assistita, cit., 481 ss.; ID., Autonomia collettiva e occupazione: l’efficaciasoggettiva del contratto collettivo, DLRI, 1997, 381 ss.

(101) Cfr. ROMAGNOLI, Un diritto da ripensare, LD, 1995, 467 ss.

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Sarebbe singolarepensare aduna trasformazionedi quella strut-tura del contratto collettivo che ha garantito la progressiva tuteladel lavoro e, al tempo stesso, il miglioramento costante del sistemaimprenditoriale verso più elevati livelli di efficienza. Se vi sono ec-cessi di garantismo, la responsabilità non è né del contratto, né del-l’inderogabilità, ma delle specifiche clausole accettate e introdottenel nostro sistemadi relazioni industriali, così che solo l’ordinamentointersindacale può trovare una soluzione equilibrata.

Dunque, la nozione di derogabilità assistita presenta un intrin-seco profilo di debolezza; non vi è uno stadio intermedio fra ledecisioni individuali e quelle collettive, ed altro è l’autonomianegoziale collettiva, altro la tutela sindacale volta a correggereasimmetrie informative. Di conseguenza, la deroga, per quantoassistita, alle previsioni del contratto collettivo rinnega comunquelo spazio di determinazione dei soggetti sindacali, a favore dilogiche individuali che, per la loro genesi, per la loro ispirazione eper i motivi sottesi, sono alternative, e non complementari rispettoalle iniziative collettive.

6. A prescindere dai risultati cui simili ipotesi di derogabilitàassistita possono avere condotto in altri settori dell’ordinamento,ad esempio in tema di locazioni (102), dove, peraltro, difettanoorganismi rappresentativi della stessa natura e con la medesimadignità costituzionale delle associazioni sindacali, nel diritto dellavoro non si può configurare una categoria intermedia fra l’auto-nomia individuale e quella collettiva e, pertanto, le ipotesi dideroghe assistite farebbero rifluire le relative materie nell’area diintervento del negozio individuale. Poiché nulla è immutabile, inastratto non si può dire che la soppressione di tutele offerte conleggi o accordi inderogabili debba essere sempre avversata (103).Altro è accettare la nozione della derogabilità assistita.

In primo luogo, questo intervento sindacale non porta a unadiversa forma di manifestazione del potere negoziale dei singo-

(102) Cfr. VOZA, op. cit., 620 ss.(103) V. NOGLER, op. cit., 53; in senso critico sulla previsione di forme di

derogabilità assistita in tema di lavoro a progetto, cfr. ROMEO, Rilancio dell’auto-nomia privata nel diritto del lavoro e certificazione dei rapporti, cit., 112.

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li (104), poiché i vincoli basati sull’intervento dei gruppi o deglienti bilaterali al momento della stipulazione del negozio possonocorreggere asimmetrie informative, ma, secondo verosimiglianza,non permettono alle organizzazioni alcun esercizio della loro auto-nomia contrattuale, neppure in via indiretta. Comunque sia con-figurata, la cosiddetta « validazione » sindacale (anche se sostenutada funzioni pubbliche (105), ad esempio nell’ipotesi della certifica-zione) (106) comporta un intervento di tutela dell’interesse indivi-duale, e su tale terreno vi è da chiedersi se le associazioni sindacalio gli enti bilaterali (107) abbiano le competenze tecniche ed unsufficiente accreditamento culturale (108). L’iniziativa di tutelasindacale (e non di esercizio dell’autonomia) non è in funzionedell’interesse collettivo, estraneo al dialogo fra i contraenti, masolo della protezione di quello individuale, destinato a rimanerequale unico protagonista (109).

In secondo luogo, se la derogabilità assistita coincide conl’apertura di maggiori spazi all’esercizio del potere negoziale indi-viduale, non si capisce perché si debba ragionare di una astrattaderogabilità, quando devono essere piuttosto apprezzate, in modospecifico, le singole regole. Ad esse bisogna guardare, non allanatura delle fonti legali e agli effetti del contratto collettivo.Assumendo la relativa responsabilità sociale, politica e culturale, il

(104) Cfr. SPEZIALE, La certificazione dei rapporti di lavoro, 277 ss.(105) V.F. CARINCI, Il casus belli degli Enti bilaterali, LD, 2003, 209, sulle

prospettive di successo della certificazione.(106) Cfr. TIRABOSCHI, La c.d. certificazione dei lavori « atipici » e la sua tenuta

giudiziaria, LD, 2003, 101 ss.(107) Per una visione positiva del possibile intervento degli enti bilaterali,

v. SCARPONI, Gli Enti bilaterali nel disegno di riforma e nuove questioni circa lafunzione dei « sindacati comparativamente più rappresentativi », LD, 2003, 231, percui « il ruolo degli enti certificatori, quali sono gli enti bilaterali, può assumere unavalenza psichica, nell’assicurare che lo sviluppo in concreto dei contratti di lavorosottoscritti dalle parti rispetti effettivamente i presupposti stabiliti dalla legge,realizzando un’opera di trasparenza nel riassetto del mercato del lavoro checonsentirebbe di evitare abusi ed elusioni della legge ». Nello stesso senso, cfr. DEL

PUNTA, Enti bilaterali e modelli di regolazione sindacale, ibid., 2003, 221 ss.(108) Cfr. ALLEVA, Ricerca e analisi dei punti critici del d.lgs. n. 276/2003 sul

mercato del lavoro, RGL, 2003, I, 921 ss.(109) V. SPEZIALE, op. loc. cit.; MISCIONE, Il collaboratore a progetto, cit., 823

ss.; ALLEVA-ANDREONI-ANGIOLINI-COCCIA-NACCARI, Un disegno autoritario nel metodo,eversivo nei contenuti, in AA.VV., Lavoro: ritorno al passato, Roma, 2002, 87;PINTO-VOZA, Il Governo Berlusconi e il diritto del lavoro, cit., 484 ss.

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legislatore e i soggetti collettivi possono cambiare le varie disci-pline senza introdurre generali forme di derogabilità.

Questi artifici possono al più servire a occultare e rendere menopercepibili, ma per ciò solo più discutibili sul piano istituzionale edei rapporti collettivi le scelte di modificazione del sistema delletutele. Basata sul potere economico del datore di lavoro, l’autono-mia individuale non ha bisogno di alcun sostegno, né di alcunincentivo per espandere il suo ambito di azione. A tale fine, èsufficiente sopprimere le varie previsioni inderogabili, legali ocontrattuali. Passare attraverso forme di derogabilità assistita èinutile e determina confusione. Basta eliminare le specifiche pre-visioni inderogabili per dare spazio alle scelte negoziali dei presta-tori di opere e delle imprese e pertanto, in molti casi al preponde-rante potere contrattuale di queste ultime.

L’ATTIVITÀ SINDACALE E LA DEROGABILITÀ ASSISTITA. — Riassunto. Il saggio indagasull’inderogabilità del contratto collettivo e sulla conseguente tutela del lavoratore subordinato, in relazione allapossibilità di prevedere forme di « derogabilità assistita »; si interroga quindi sull’interpretazione del d.lgs. n.276/2003 ed esclude che esso preveda forme di derogabilità assistita.

TRADE UNION ACTIVITY AND « DEROGABILITÀ ASSISTITA ». — Summary. The essayinquires about the trade union agreement and the connected protection of employees, in relation to thepossibility of derogating the trade union agreement clauses. The essay inquires about the interpretation of« d.lgs. n. 276/2003 » and excludes that such statute permits to derogate the trade union agreement.

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GUIDO BONI

Dottorando di ricerca in diritto europeo e comparato dell’impresa e del mercatonell’Università di Pescara

CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTEE SUBORDINAZIONE

SOMMARIO: 1. L’ambito dell’indagine. — 2. Il contratto di lavoro intermittente:considerazioni preliminari. — 3. Le diverse modalità dello stare a disposi-zione. — 4. La qualificazione del contratto di lavoro intermittente. — 5. Idubbi di legittimità e una proposta di soluzione. — 6. Il contratto di lavorointermittente senza obbligo di disponibilità. — 7. Il lavoro intermittente perperiodi predeterminati. — 8. Conclusioni.

1. L’esigenza di un rinnovamento delle politiche e della legi-slazione del lavoro attuata, anche, attraverso la diffusione disottotipi di lavoro coordinato, o di lavoro subordinato a disciplinadifferenziata, oltre che dai cultori di diritto del lavoro, vienepercepita anche dalla riflessione sociologica che, già da una decinadi anni, avverte che « una carriera lavorativa unica che copral’intera esistenza sarà l’eccezione e non la regola. Nell’arco dellapropria vita le persone avranno dei periodi di lavoro e dei periodidi disoccupazione, attività a tempo pieno e attività part-time » (1).

Parlare di instabilità e di lavoro ampiamente flessibile nonappare più un tabù. È peraltro ormai un fatto che il lavoro c.d.tipico copra in misura sempre minore i nuovi posti di lavoro. Siprende dunque atto di come la variabilità e l’imprevedibilitàdell’impiego siano divenute la norma, cercando, al contempo, vienuove per governare simile mutamento di scenario.

(1) R. DAHRENDORF, Quadrare il cerchio, Laterza, Bari-Roma, 1995, 60.

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Ampliare il ventaglio delle tipologie contrattuali, agevolandole possibilità di accedere, nella legalità, ad alcune occasioni dilavoro è ciò che in sostanza si è fatto con il d.lgs. n. 276/2003. Iltentativo di ridurre l’area dei c.d. falsi autonomi tramite la riformadelle collaborazioni coordinate e continuative, i rigidi limiti allavoro occasionale, il contratto di inserimento, il lavoro intermit-tente, dovrebbero essere utili « per aumentare il numero di personeche possono avere una chance lavorativa, uno spezzone di lavoro,un tempo per una attività » (2). L’idea è dunque quella di creareoccupazione anche attraverso (o, come altri direbbe, nonostante)una pluralità di rapporti di lavoro. I nuovi modelli organizzativiflessibili applicati dalle aziende stimolano, infatti, il sorgere dinuovi modelli di contratto individuale capaci di introdurre unadimensione spaziale e temporale della prestazione diversa da quellatradizionale, basata sull’impiego del lavoro a tempo pieno e didurata stabile. Si tratta, in sostanza, di un tentativo di far rien-trare in una pluralità di modelli contrattuali la miriade di forme diattività espresse dall’attuale organizzazione economica.

Tramite l’introduzione di alcune nuove categorie contrattuali,il legislatore ha, infatti, inteso realizzare lo scopo, dichiarato, diattrarre nell’orbita del giuridicamente rilevante tutta una varietàdi modelli e tipologie di lavoro, per così dire, social-atipiche perrapporto allo standard del lavoro subordinato tradizionale. Lungidall’essere un fenomeno nuovo, la recente riforma del lavoro haperò portato a conseguenze estreme le tendenze alla flessibilizza-zione del sistema che avevano iniziato a diffondersi durante glianni ’90 del XX secolo per culminare, prima del nuovo corso, nelc.d. pacchetto Treu.

Non è questa la sede per tentare nemmeno una sinteticaricostruzione di tale percorso; solo si cercherà di porre in rilievo ildiffondersi di un insieme di norme destinate a una nuova figura dilavoratore. Un lavoratore che, smarrite da tempo le certezze che gliderivavano dal sistema di produzione fordista e dal suo modellogiuridico di riferimento, la l. n. 300/1970, ha sperimentato in primapersona le implicazioni del c.d. lavoro flessibile e si avvia ora versonuove modalità di cessione delle proprie energie lavorative. La via

(2) A. ACCORNERO, L’ultimo tabù. Lavorare con meno vincoli e più responsa-bilità, Laterza, Bari-Roma, 1999, 44.

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seguita dall’attuale legislatore si muove nel segno della creazione diun mercato del tempo di lavoro, in cui alle parti del rapporto, fermirestando i diritti indisponibili irrinunciabili, è lasciato, rispetto alpassato, un margine di azione autonoma maggiore circa la scelta diquando e quanto lavorare. Da un sistema di protezione centratosulla limitazione legale dei poteri del datore di lavoro, l’ottica sisposta, piuttosto, sull’efficienza allocativa del mercato del lavo-ro (3).

Al contempo, la prestazione di lavoro può così essere adattatacon più elasticità alle variegate esigenze organizzative della mo-derna impresa, sottoposta alla pressione costante dell’inarrestabileinnovazione tecnologica, nell’ambito dell’avvenuta mondializza-zione dei mercati. Ne sono esempi emblematici, fra gli altri, lariforma dell’orario di lavoro, la somministrazione e, particolar-mente, il lavoro intermittente. La cifra caratteristica è data da unaprofonda destrutturazione della nozione di « tempo », con conse-guente abbandono di quello che si può dire costituisse uno fra iprimi e fondamentali traguardi della regolazione del lavoro: per-mettere al lavoratore di acquisire un impiego a tempo pieno eindeterminato che servisse da pietra angolare sulla quale (provarea) fondare le certezze della propria esistenza.

Vero è che già da molto tempo sono state introdotte e, direi,metabolizzate, nell’ordinamento le forme del lavoro a termine e atempo parziale, ma le novità cui si fa riferimento provocano unanouvelle vague dalla quale, come si cercherà di mettere in luce,discende una nuova e crescente incertezza circa il livello e lacontinuità del reddito che sfocia, secondo un’importante indica-zione del rapporto Supiot, in « una forte alterazione del rapportocol tempo degli individui più svantaggiati » (4). Gli orari variabili,multiperiodali, a chiamata, la modulazione annuale del tempo dilavoro rappresentano, infatti, tutti indici chiari della « fine deilavori dal tempo uniforme » (5).

La materia da analizzare è ampia e complessa. In questa sede,

(3) Sul punto v. F. LISO, Analisi dei punti critici del d.lgs. n. 276/2003:spunti di riflessione, WP C.S.D.L.E. Massimo D’Antona, n. 42/2004, 3.

(4) Così A. SUPIOT (a cura di), Il futuro del lavoro, tr. it. Carocci, Roma, 200396, che rinvia a S. LEIBFRIED et al., Zeit der Armut, Suhrkamp, Frankfurt a.M.,1995 (tr. ingl. Time, Life and Poverty, CUP, Cambridge, 1998).

(5) Ibidem, 92.

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l’ambito dell’indagine è stato ristretto al rapporto corrente fradisponibilità e subordinazione nel nuovo contratto di lavoro inter-mittente, onde mettere in luce l’emergere di una nozione di subor-dinazione, per così dire, affievolita, nella quale a una riduzione deidiritti consegue anche un riproporzionamento dei doveri da essaderivanti.

A tal fine, l’attenzione si è rivolta in prima battuta all’indivi-duazione delle diverse modalità dello stare a disposizione. Unavolta precisato quale sia la tipologia principale di lavoro intermit-tente — qui individuata in quella che prevede la corresponsione diun’indennità di disponibilità come necessaria —, si è proceduto adesaminare le altre ipotesi particolari rinvenibili nel d.lgs. n. 276/2003, allo scopo di metterne in luce gli elementi caratteristici ai finidell’inquadramento delle stesse nell’area del lavoro subordinato oin quella del lavoro autonomo. Si vedrà conclusivamente comevenga a profilarsi una nuova tipologia di lavoratore che, diventatopiù padrone del suo tempo e, dunque, in certa misura più libero epiù prossimo all’amato-odiato « lavoratore maggiorenne », si ri-trova però più esposto all’ansia dell’imprevedibilità.

2. Lavoro intermittente, lavoro a chiamata, lavoro a richie-sta, job on call, stand-by workers: la parola per indicarlo senzadubbio c’è, così come c’è il dubbio che alla fine questa nuovatipologia contrattuale altro non sia che un mero flatus voci (6).Difficile non chiedersi, infatti, se all’incertezza sul significante noncorrisponda anche un’incertezza sul significato. Nella sua versionedefinitiva, il d.lgs. n. 276/2003, al dodicesimo comma dell’art. 86prevede infatti che le disposizioni di cui all’art. 34, secondocomma, concernenti il lavoro intermittente, hanno « carattere spe-

(6) L’istituto in esame non è figura del tutto nuova nel panorama deirapporti di lavoro italiani (v. infra). Suscitò infatti un acceso dibattito l’accordoZanussi del 30 giugno 2000. Stipulato con il consenso di FIM-CISL e UILM, nonsottoscritto dalla FIOM-CGIL, fu successivamente « saggiamente respinto » (ROC-CELLA, Contrattazione collettiva, azione sindacale, problemi di regolazione del mercatodel lavoro, LD, 2000, 356; sul punto v. ID., Una Repubblica contro il lavoro,www.cgil.it/giuridico, 2002; per una ben più condivisibile valutazione di segnoopposto v. F. LISO, op. ult. cit., 19) da quasi il 70% dei lavoratori attraverso unaconsultazione referendaria. Il testo dell’accordo è reperibile in LI, 2000, 14 ss. Inargomento, v. amplius BIAGI, L’accordo Zanussi e il « lavoro a chiamata », GL,2000, 56 ss.

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rimentale ». Un tentativo, dunque, di stemperare sul nascere pre-vedibili contestazioni nei confronti di questa nuova tipologia dilavoro, in merito alla quale il Governo stesso nutre, evidentemente,dei dubbi, ritenendo opportuno procedere con cautela, se non pertentativi, privilegiando, sembrerebbe, il metodo del c.d. try andgo (7).

Peraltro, l’interesse datoriale a disporre di strumenti con cuifronteggiare esigenze produttive saltuarie o periodiche — si dice —risulterebbe già adeguatamente soddisfatto da un ampio numero dicontratti di lavoro flessibile esistenti (8).

In effetti, il ragionamento che il Governo propone rasenta ilsemplicismo: aumentando le tipologie contrattuali si moltiplicanole possibilità di accesso al lavoro nei confronti di una platea disoggetti fino ad ora relegati nel lavoro irregolare. La sensazione èche si inseguano i fenomeni senza cercare veramente di governarli.Insomma, se si riesce a dare un nome e una disciplina giuridica auna fattispecie finora esistente nella realtà, ma non precisamentetipizzata dal legislatore, ne dovrebbe discendere logicamente che atutti i lavoratori che finora prestavano un lavoro saltuario e alnero, le imprese, finalmente edotte sul da farsi, offriranno un —certamente più costoso — contratto di lavoro intermittente (9).

Da una pur sommaria ricognizione comparatistica, si puòrilevare che nei sistemi europei dove forme contrattuali simili sonogià in vigore, le soluzioni offerte differiscono profondamente l’unadall’altra (10). Quanto al Regno Unito, esso rappresenta la pro-

(7) V. P. ICHINO, La « legge Biagi » sul lavoro: continuità o rottura colpassato?, CG, n. 12, 2003, 1548.

(8) Cfr. P. BELLOCCHI, Le nuove tipologie di lavoro: il lavoro a chiamata; illavoro coordinato e continuativo; il lavoro occasionale e accessorio; il lavoro ripartito,ne La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, a c. di M.T.CARINCI, Ipsoa, Milano, 2003, 191.

(9) Con d.m. 10 marzo 2004 si è disposto che « la misura dell’indennitàmensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta al lavoratore per iperiodi nei quali lo stesso garantisce la disponibilità al datore di lavoro in attesadi utilizzazione, è determinata nel 20% della retribuzione prevista dal c.c.n.l.applicato » (art. 1). Per una critica di segno analogo a quella espressa nel testo, v.R. ROMEI, sub artt. 33-40, in L. MONTUSCHI et al., Il nuovo mercato del lavoro,Zanichelli, Bologna, 2004, 403 ss.

(10) Sul punto v. A. PERULLI, Interessi e tecniche di tutela nella disciplina dellavoro flessibile, in AA.VV., Interessi e tecniche nella disciplina del lavoro flessibile,Giuffrè, Milano, 2003, 84-87.

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spettiva più destrutturata rispetto al paradigma del lavoratoresubordinato tradizionale, giacché il ricorso a tali contratti è sempreammesso (11). Tale tipologia di rapporto è piuttosto frequente, masenza che sia prevista la corresponsione di un’indennità di dispo-nibilità, di talché la figura fuoriesce dal campo di applicazione deldiritto del lavoro (12), sebbene vi siano dei tentativi da parte digiurisprudenza e dottrina di ricondurre al lavoro subordinato i casiin cui la chiamata è assai frequente e il numero di ore lavorato taleda far presumere la mancanza dell’occasionalità (13). In Belgio,questo contratto è riservato espressamente dalla legge a professio-nalità alte, in special modo dell’informatica e della consulenzaaziendale (14).

L’Olanda, già nota per essere la prima part-time economy nelmondo, conosce un’ampia diffusione di questa tipologia contrat-tuale. Si stima che il 16% delle imprese vi faccia ricorso, per coprireil 17% della propria forza lavoro (15). La legge, però, all’opposto diquanto ha fatto il legislatore italiano, che pure proprio ai PaesiBassi sembra avere guardato nel delineare la disciplina del nuovoistituto (16), esclude in modo esplicito la sua applicabilità ai più

(11) V. più diffusamente M. FREEDLAND, Worker’s Protection, United Kin-gdom National Study for the ILO, BIT, 1999.

(12) V. più diffusamente P. LEIGHTON, Problems Continue for Zero-HoursWorkers, ILJ, 31, 2002, 71 ss., nonché H. COLLINS, Employment Rights of CasualWorkers, ivi, 29, 2000, 73 ss., il quale individua tre tipologie di contratti di lavorointermittente nell’ordinamento inglese: il c.d. Master agreement, che corrisponde aquello che la civilistica italiana chiamerebbe un contratto normativo; il c.d.Requirement contract, nel quale al Master agreement si aggiunge la promessa dellavoratore di accettare tutte le chiamate; l’Exclusive dealing requirement contract,con il quale il datore di lavoro si impegna a offrire al lavoratore tutte le occasionidi lavoro intermittente che si presenteranno nell’impresa. Nessuno dei tre con-tratti ha però le caratteristiche per essere qualificato come contratto di lavoro,trattandosi, al più, soltanto di promessa di stipulare successivi contratti allecondizioni prestabilite, se ne ricorrerà l’occasione.

(13) L’Employment Rights Act, ss. 210-13, prevede infatti che perché siabbia un contratto di lavoro che legittimi l’accesso alla disciplina protettiva ènecessario a month of continuous employment.

(14) V. A. PERULLI, op. ult. cit., 85.(15) Dati riportati da R.B. FREEMAN, War of the Models: Which Labour

Market Institutions for the 21st Century?, Labour Economics, 5, 1998, 1-24.(16) V. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (a cura di), La

« legge Biagi » per il lavoro. Capire la riforma, http://www.welfare.gov.it, dove siprecisa che « la forma più persuasiva, offerta dall’esperienza di altri Paesi, èsenz’altro quella olandese che imposta [...] il lavoro intermittente o a chiamata

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giovani e ai soggetti socialmente più deboli. La Spagna, che pureconosce forme di part-time flessibili, non ha introdotto il lavorointermittente. Infine, la Germania, dove però questo istituto,chiamato Arbeit auf Abruf, è previsto come una sottospecie delpart-time e come tale non presenta limitazioni di sorta quanto aisoggetti di tale contratto (17). La soluzione tedesca prevede che ildatore e il prestatore di lavoro possano convenire su base indivi-duale questo genere di attività. Tuttavia, proprio il contratto deveprecisare i minimi di impegno del lavoratore, almeno su basesettimanale. In assenza di questa previsione, si presume che illavoratore venga utilizzato per almeno 10 ore alla settimana,avendo diritto a essere convocato con un preavviso di quattrogiorni. In tal modo, al lavoratore è garantita una pur minimasicurezza in termini di reddito, proprio come avviene nel lavoro atempo parziale.

3. La scelta che si è fatta in Italia, di estendere questamodalità di lavoro anche ai giovani e ai disoccupati di lunga durataover 45, rischia di essere una scelta improvvida, come se l’impera-tivo di Lisbona fosse solo more jobs (18). In effetti, si può argomen-tare — come in sostanza sembra fare il Governo — che siano deibetter jobs rispetto a « forme di lavoro intermittente o a chiamata,[fornite da caporali e intermediari vari], consistenti cioè in presta-zioni svolte con discontinuità pur nell’ambito dell’aspettativa da-toriale di poter contare sulla disponibilità del prestatore » e « assaidiffuse naturalmente nel mercato del lavoro nero », ma anche fra « ilavoratori titolari di partita IVA, o inquadrati come parasubordi-

come una forma contrattuale che a fronte della disponibilità del prestatore arendersi disponibile alla prestazione, prevede la corresponsione a carico del datoredi lavoro di una “indennità di disponibilità”, similmente a quanto accade nel-l’ipotesi di lavoro interinale ».

(17) V. Teilzeit- und Befristungsgesetz - TzBfG del 21 dicembre 2000, § 12 (ilcui testo è possibile consultare in traduzione italiana in DRI, 2001, 204 ss.).

(18) « The Union has today set itself a new strategic goal for the next decade:to become the most competitive and dynamic knowledge-based economy in theworld capable of sustainable economic growth with more and better jobs andgreater social cohesion », PRESIDENCY CONCLUSIONS, Lisbon European Council,23-24 marzo 2000, http://europa.eu.int/ISPO/docs/services/docs/2000/jan-march/doc@00@[email protected].

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nati » (19). Certo, tutto è meglio del caporalato, o del lavoro subor-dinato mascherato da « lavoro a fattura ».

È dunque questa la tipologia di lavoratori ai quali viene offertodi porsi « a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzarela prestazione », anche in virtù di un contratto a tempo determi-nato (art. 33, secondo comma). Non « alle dipendenze e sotto ladirezione », secondo la nota formulazione dell’art. 2094 c.c., ma,molto più semplicemente, « a disposizione ». Non si presta il propriolavoro, intellettuale o manuale che sia, collaborando nell’impresa,ma si è utilizzati. Pur con la consapevolezza del paradosso, laprima impressione che se ne ricava, almeno a livello lessicale, ècomunque quella che il lavoratore venga ridotto a mero fattoreproduttivo, a una res, nel segno di un ritorno alla locatio operarum,non già in senso nominalistico, ma proprio in quello di (auto)con-segna della cosa, e cioè del lavoratore, al datore di lavoro, perché nedisponga, perché lo utilizzi (20).

È necessario chiedersi allora preliminarmente se l’obbligo distare a disposizione integri di per sé stesso il requisito della colla-borazione di cui all’art. 2094 c.c., e nel caso in cui si dia rispostaaffermativa, ammettere di conseguenza che la mera disponibilitàriveste comunque un’utilità in sé per il datore, poiché viene acostituire la giustificazione del pagamento dell’indennità, allargan-dosi così l’obbligo dedotto in contratto di modo tale che dallo starea disposizione viene a derivare anche l’obbligo di eseguire laprestazione e il diritto del datore di chiederla.

Al fine di dare risposta compiuta a tale interrogativo, è neces-sario in prima battuta identificare le diverse modalità di presta-zione di lavoro a chiamata rinvenibili nel decreto e successiva-mente verificare se gli elementi tipici della subordinazione sianopresenti in alcune, in nessuna o in ciascuna.

Dalla lettura del testo normativo e dalle numerose interpreta-

(19) V. relazione di accompagnamento della proposta del Governo per unadelega in materia di mercato del lavoro (d.d.l. n. 848, comunicato alla Presidenzadel Senato della Repubblica il 15 novembre 2001).

(20) Ma v. L. MENGONI, L’enciclica « Laborem exercens » e la cultura indu-striale, in Diritto e valori, Bologna, 1985, 413, secondo cui il principio di tuteladella persona in tutte le sue manifestazioni contenuto nell’art. 2 Cost. deveindurre a « controllare la finzione del lavoro come bene di mercato », mediante ibaluardi del diritto e dell’etica sociale.

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zioni, non sempre uniformi, offerte dai commentatori, emergonotre possibili modalità dello « stare a disposizione ».

a) La prima è quella che prevede sempre e comunque, senzabisogno alcuno di effettiva chiamata, la corresponsione, in tutto oin parte anticipata, di un’indennità che discende dall’obbligo —sanzionato alla stregua delle repressive previsioni dell’art. 36, sestocomma — di presentarsi al lavoro il giorno successivo in caso dirichiesta. Questa modalità dovrebbe rappresentare il tipo princi-pale voluto dal legislatore per vincolare il lavoratore occasionale efornire all’imprenditore la certezza di poter disporre « a chiamata »di forza lavoro per fronteggiare esigenze impreviste della produ-zione. Questo, almeno, a prestar fede alla l. delega n. 30/2003,poiché, come si ricava dall’art. 4, l’obbligo di disponibilità e lacorresponsione di una indennità avrebbero dovuto costituire il tipoprincipale, giacché espressamente vi si prevedeva il carattere me-ramente eventuale della « non obbligatorietà per il prestatore dirispondere alla chiamata del datore di lavoro non avendo titolo apercepire la predetta indennità ». La lettura del decreto delegatopotrebbe far propendere però per la conclusione opposta, come sievince dalla definizione dello stesso (art. 34), nonché, più chiara-mente, dall’art. 35, lett. b), ove si prevede che il contratto di lavorointermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova di unaserie di elementi, fra cui « luogo e modalità della disponibilitàeventualmente garantita dal lavoratore ». Data la sua eventualità,l’inclusione di una clausola di disponibilità nel contratto rappre-senta quindi un elemento meramente accidentale, che ci può essereo non essere, tanto che esiste anche la forma senza obbligo dirisposta, e, dunque, senza indennità. Poiché, dunque, la letteradella normativa di attuazione consente di ritenere comprese en-trambe le modalità, non si vede la ragione per cui ritenere che illegislatore abbia voluto contravvenire alla delega capovolgendonele previsioni. Che la disponibilità sia solo eventuale, non porta alladiretta conclusione che normalmente il contratto è senza inden-nità, poiché la formula scelta dal legislatore è intrinsecamenteambigua e legittima pertanto entrambe le letture. Si potrebbeinfatti sostenere che l’avverbio « eventualmente » sia lì al soloscopo di attenuare la garanzia di disponibilità normalmente richie-sta.

Conseguentemente, senza necessità di prospettare l’ipotesi di

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un contrasto fra normativa delegante e delegata, mi pare che nellaricerca della ratio legis, quindi della causa del contratto, sia oppor-tuno valorizzare il testo della legge delega e ammettere, con unodei primissimi commentatori, che « buona parte della portata in-novativa del lavoro intermittente risiede nella garanzia, per illavoratore, di ricevere un’indennità di disponibilità pur nei mo-menti di inattività » (21), nonché, aggiungerei, in quella, per l’im-prenditore, di poter fare affidamento sulla risposta certa in terminiassai brevi. Tale osservazione si lega anche al testo dell’accordoZanussi-Electrolux (22) il quale, sebbene riguardasse espressa-mente il « part-time ad espansione programmata », pure è avvici-nabile, quantomeno nello spirito, al contratto di lavoro intermit-tente. In base a tale accordo, in cambio della disponibilità arendersi disponibili nelle 72 ore successive alla chiamata, i lavora-tori, oltre ad alcune ore di formazione, avrebbero infatti ricevutoun minimo di retribuzione aggiuntiva.

Ma se così stanno le cose, non è allora possibile condividere laposizione di chi considera il contratto senza indennità l’ipotesiprincipale, allorché ritiene la funzione di tale contratto « quella dipermettere al datore di lavoro di utilizzare in modo massimamenteflessibile la prestazione, superando i vincoli imposti dalle diversediscipline degli altri contratti cosiddetti flessibili » (23). Mi sembrache questo possa essere piuttosto il motivo, la ragione che sta allabase della decisone del datore di lavoro di entrare in un similecontratto, piuttosto che la causa vera e propria. Essa è invecericavabile abbastanza chiaramente dalla lettera dell’art. 33 chedefinisce il contratto di lavoro intermittente quello « mediante ilquale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoroche ne può utilizzare la prestazione »: tale norma è la definizionelegale del tipo lavoro intermittente, il cui contenuto viene specifi-cato dai successivi artt. 34 e 35. In quest’ultimo, si precisa fral’altro che il contratto deve contenere l’indicazione del luogo e

(21) M. MOBIGLIA, Il lavoro intermittente (cosiddetto lavoro a chiamata), in M.TIRABOSCHI (a c. di), La riforma Biagi. Commentario allo schema di decreto attuativodella legge delega sul mercato del lavoro, GL, suppl. n. 4, 2003, 98.

(22) Su cui v. nota 9.(23) M. MATTAROLO, Contratti di lavoro flessibili e contratti formativi, in

Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, a c. di F. CARINCI, Ipsoa, Milano,2004, 9.

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della « modalità della prestazione, eventualmente garantita dallavoratore ». Dal che, come si è visto, è possibile ricavare che taledisponibilità può anche non esserci, e in tale caso l’effetto descrittodall’art. 33 non si verifica, poiché semplicemente si ha un contrattocon il quale il lavoratore, in sostanza, fa una mera offerta, semprerevocabile senza conseguenze, di lavorare a fronte della chiamata.In tale ipotesi, pertanto, il datore di lavoro si trova nella condi-zione di non poter davvero disporre del lavoratore: soltanto sa checostui potrebbe avere interesse a lavorare per lui. Solo se c’è ilvincolo si realizza dunque l’effetto proprio di questo contratto,come accade anche nel caso del lavoro per periodi predeterminatidi cui all’art. 37; nel qual caso, sebbene corrisposta solo in caso dieffettiva chiamata, è anche prevista l’indennità di disponibilità.

Sebbene la formulazione legislativa non consenta risposte uni-voche, e pure si possa sostenere che la vera novità stia nellapossibilità di utilizzare in maniera intermittente la prestazione (24)— benché una simile facoltà già sussistesse di fatto per l’impren-ditore (25) — a me pare che invece proprio il porsi a disposizionevincolandosi contrattualmente alla chiamata rappresenti il quidnovi. Ed è infatti su tale aspetto che si sono appuntate le critichepiù aspre all’istituto (26): consentire al datore di lavoro di « com-prarsi », al prezzo dell’indennità di disponibilità, il tempo deilavoratori per utilizzarli anche solo sporadicamente (27).

Se manca l’indennità, e quindi la disponibilità, l’unico effetto

(24) Questa la posizione di MATTAROLO, op. cit., 7.(25) In argomento, v. P. ICHINO, La « legge Biagi » sul lavoro, cit., CG, n. 12,

2003, 1545). Addirittura, come ricordato da M. NAPOLI, Autonomia, cit., 13, « laprassi di formazione di una lista di riserva a cui attingere in caso di bisogno èfortemente utilizzata dalla Commissione europea per i propri funzionari ».

(26) « Il contratto più vergognoso di tutta la riforma » (così F. MAZZIOTTI,intervento al seminario « La riforma del mercato del lavoro nel decreto n.276/2003 », Università di Chieti-Pescara, 12 dicembre 2003).

(27) Cfr. R. VOZA, La destrutturazione del tempo di lavoro: part-time, lavorointermittente e lavoro ripartito, in Lavoro e diritti dopo il d.lgs. n. 276/2003. La« Legge Biagi » e le norme di attuazione, a c. di P. CURZIO, Cacucci, Bari, 2004, 254:« L’alternanza fra lavoro e non lavoro non è predeterminata o predeterminabile,essendo rimessa alla pura contingenza dell’illimitato potere datoriale ». Per BAC-CHINI, op. cit., 230, il legislatore ha inteso dare risposta alla « impetuosa domandadi flessibilità oggettiva [...] in ciò inevitabilmente confrontandosi (o meglioscontrandosi) con le esigenze di garanzia delle istanze di flessibilità soggettiva,finalizzata alla difesa della libera disponibilità del tempo di vita del lavoratore ».

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che il contratto produce, peraltro al pari delle altre due tipologie,è quello di ridurre i costi di transazione per la stipula di tanticontratti a termine, poiché si redige il contratto una volta per tuttee quando vi è l’esigenza della prestazione, quindi la chiamata, si hala certezza che il lavoratore, sempre che vi abbia interesse, saràsubito nelle condizioni di svolgerla, dando al datore la facoltà « diutilizzare quando vuole il dipendente nell’ambito di un contrattodi lavoro già acceso una volta per tutte » (28). Inoltre, la latitudinedelle causali di ricorso previste, salvo l’intervento della contratta-zione collettiva o, in via surrogatoria del Ministro del lavoro e dellepolitiche sociali (29), permette di ingaggiare un lavoratore peresigenze occasionali e di breve durata con tutta probabilità ancheal di là dei casi previsti dal contratto di lavoro a termine e,soprattutto, senza i vincoli ivi previsti per la successione di talicontratti nel tempo (30). Il che costituisce un indubbio vantaggioaggiuntivo per l’imprenditore.

b) La seconda ipotesi che viene in rilievo è dunque quellacaratterizzata dall’assenza del vincolo di rispondere alla chiamatae, correlativamente, dall’assenza del versamento di qualsivogliaindennità al lavoratore che si presenti a seguito della chiamata.

c) L’ultima, e più problematica, è prevista dall’art. 37 eriguarda il lavoro intermittente da prestarsi in periodi predetermi-nati. In tale caso, l’indennità è corrisposta solo a seguito di effet-tiva chiamata, ma sul lavoratore gravano gli stessi obblighi che nelprimo caso, con, in ipotesi, tutti i connessi rischi in caso diinadempimento. Una fattispecie intermedia dunque, in cui a frontedella predeterminazione dei periodi di eventuale chiamata, l’inden-

(28) Così DEL PUNTA, Riforma Biagi: il contratto di lavoro intermittente, GL,n. 14, 2004, 15, il quale anche ritiene il contratto senza indennità, « l’inteleiaturaminimale dello schema negoziale » (ibidem), ma anche, sembra di capire, l’ipotesinormale. Analogamente, R. ROMEI, op. cit.

(29) Ma v. quanto si prevede all’art. 6 del d.lgs. approvato il 3 giugno 2004« recante disposizioni modificative e correttive del d.lgs. 10 settembre 2003, n.276 », il quale elimina dal testo della norma tale possibilità per il Ministro:« All’art. 34 del decreto legislativo il comma 1 è sostituito dal seguente: « 1. Ilcontratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento diprestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze indivi-duate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori dilavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ».

(30) Cfr. art. 5, terzo e quarto comma, d.lgs. n. 368/2001.

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nità rimane in sospeso fino all’ultimo. Sarebbe certamente questala forma preferibile dall’imprenditore, che può contare sulla dispo-nibilità del lavoratore senza correre il rischio di corrispondergliun’indennità se non ne ha poi effettivo bisogno; come tale essa èfruibile solo nei periodi fissati dalla legge o, secondo quanto pre-vede il secondo comma dell’art. 37, in quelli ulteriori stabiliti —con deroga in peius (o in melius, se si ritiene che aumentare lepossibilità di ricorso a tale istituto sia un bene in sé per il lavora-tore che può aspirare così a un maggior numero di « occasioni dilavoro » nel senso sopra precisato) (31) — ad opera della contrat-tazione collettiva.

4. Il problema maggiore che si pone è quello di qualificarecome autonoma o subordinata la prestazione del lavoratore nellafase di attesa (32). Dal momento in cui la chiamata si realizza,infatti, il lavoratore non ha che da recarsi sul luogo di lavoro, ondecollaborare nell’impresa, mediante retribuzione, prestando il pro-prio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto ladirezione dell’imprenditore. In tale caso, la fattispecie tipica èsenza dubbio integrata. La difficoltà di qualificare con certezzaquesto contratto risiede proprio nel fatto che esso può essere divisoin due fasi, la prima certa, lo stare in attesa, la seconda incerta,svolgere la concreta prestazione lavorativa. La causa di questocontratto dovrebbe dunque risiedere nello stare a disposizione perprestare la propria attività lavorativa se chiamati (33).

Ciò che interessa in primo luogo all’imprenditore è evidente-mente che il lavoratore svolga la prestazione una volta chiamato,cosicché, dal punto di vista di quegli, la funzione che il contrattosvolge è di garantire il creditore che otterrà la prestazione quandorichiesta. Quanto al lavoratore, il suo interesse risiede nel poterfare affidamento su una — pur modesta — indennità alla qualeaggiungere la retribuzione per i periodi lavorati, potendo cosìcontare su una maggiore disponibilità di tempo libero. In fondo, un

(31) Si tratta di deroga in peius per MATTAROLO, op. cit., 58.(32) Propende per la natura autonoma della fase di attesa SCORCELLI, Il

lavoro intermittente e il lavoro ripartito, RGL, 4, 2003, 871.(33) Ritiene che si tratti di un contratto a causa mista C. ZOLI, Contratto e

rapporto tra potere e autonomia nelle recenti riforme del diritto del lavoro, dattilo-scritto, Giornate di studio AIDLaSS del maggio 2004, 36.

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bilanciamento fra due interessi questo contratto lo compie: da unlato, quello del lavoratore che vorrebbe poter lavorare solo quantoe quando ne ha bisogno, dall’altro, quello del datore di lavoro diretribuire il lavoratore solo per il tempo strettamente necessarioall’attività d’impresa. Non essendo possibile garantire l’incontrofra domanda e offerta in tale modo, si ricorre a un escamotage,rappresentato dall’indennità di disponibilità: l’imprenditore in so-stanza deve pagare un prezzo per poter disporre di un lavoratoresolo quando vuole, ed il lavoratore dal canto suo deve rinunciarealla programmabilità del suo tempo in cambio di detta somma. Seil quantum dell’indennità fissato sarà considerato da entrambe leparti sufficiente a giustificare i sacrifici richiesti, il contratto pro-babilmente troverà diffusione (34).

Già queste osservazioni permettono preliminarmente di rite-nere che in entrambe le fasi del contratto vi sia una condizione disubordinazione, poiché anche nella fase di attesa il lavoratore, afronte dell’indennità, si sottopone al potere direttivo del datore dilavoro, che si estrinseca nella chiamata e che comporta, in capo allavoratore, l’obbligo di obbedire presentandosi al lavoro nei ter-mini previsti dal contratto individuale o collettivo, o, in mancanza,il giorno lavorativo successivo, come si ricava dall’art. 35. Scen-dendo più nel dettaglio, per una serie di considerazioni che se-guono, mi sembra difficile negare, anche nella fase di attesa, ilricorrere dell’indice principe della subordinazione, consistente nel-l’assoggettamento al potere direttivo e, conseguentemente, disci-plinare del datore di lavoro. La subordinazione consiste infatti,secondo consolidata giurisprudenza, proprio « nell’assoggetta-mento del lavoratore, con limitazione della sua libertà, al poteredirettivo dell’imprenditore » (35). Come è stato efficacemente dettoin dottrina, « la subordinazione implica infatti che al lavoratorel’imprenditore possa dare disposizioni vincolanti sul dove, come equando egli debba prestare il lavoro » (36). Una tale definizione,data la sua latitudine, ben si attaglia anche al contratto di lavoro

(34) Sul punto v. le conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa n.313-2002, Nicole Wippel c. Peek &Cloppenburg GmbH &Co KG, in un caso dilavoro prestato senza indennità né obbligo di disponibilità (§§ 83-84).

(35) Così ad es. Cass. 9 novembre 1992, n. 12063, DPL, 1993, 130.(36) Così M. GHIDINI, Diritto del lavoro: corso di lezioni universitarie, Cedam,

Padova, 1973, 152.

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intermittente, nel quale precisamente questi sono i poteri ricono-sciuti all’imprenditore.

A tale proposito, giova ricordare la ben nota teoria secondo cuifunzione del contratto di lavoro è quella di « consentire al datore dilavoro il coordinamento dell’altrui attività lavorativa all’interessedel creditore e, in definitiva, nel porre in essere un’organizzazio-ne » (37). A ben vedere, infatti, risponde appieno all’interesse da-toriale la facoltà di utilizzare forza lavoro in maniera intermit-tente, per fronteggiare gli imprevisti della produzione. D’altrocanto, percepire un’indennità di entità non del tutto risibile afronte di un’obbligazione di non facere, al limite senza mai esserechiamati, può non essere così sgradito al lavoratore, il quale nonsempre ambisce al lavoro a tempo pieno e indeterminato. Inoltre,a ben vedere, se un imprenditore è disposto a corrispondere un’in-dennità a fronte di un mero non facere di un suo « dipendente », losarà perché ha intenzione di utilizzarlo eccome quel lavoratore,anzi, tiene talmente a lui che non vuole che lavori altrove e che siasempre disponibile allorché ne ha bisogno.

Cionondimeno, è opportuno precisare che non è corretto, al-meno da un punto di vista giuridico, parlare di un’obbligazione « dinon fare », essendo tale affermazione vera solo da un punto di vistanaturalistico. « Gli obblighi di fare », infatti, « non sono quelli cheimpongono un’azione in senso naturalistico, ma quelli nei quali lacondotta obbligatoria è determinata » (38). Conseguentemente,l’eventualità che il lavoro non importi uno sforzo, come accade nelcaso di chi resta inattivo, in attesa di una chiamata, « è in realtà deltutto irrilevante per determinare l’appartenenza dell’obbligo dilavorare alla categoria degli obblighi di fare », poiché un « obbligodi fare può anche imporre una condotta naturalisticamente inat-tiva » (39). Precisamente questa è la condizione del lavoratore inattesa, essendo egli obbligato a una condotta predeterminata: starea disposizione per presentarsi a lavoro.

(37) Cfr. M. PERSIANI, Contratto di lavoro ed organizzazione, Cedam, Padova,1966, 290. Contra M. NAPOLI, Contratto e rapporti di lavoro oggi, in Scritti in onoredi Mengoni, t. II, Giuffrè, Milano, 1995, 1058 ss.

(38) V. per tutti G. SUPPIEJ, La struttura del rapporto di lavoro, vol. I, 1957,Cedam, Padova, 49-82; ID., Il rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 1982, 69-98; ID.,Diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2003, 59-63.

(39) G. SUPPIEJ, op. ult. cit., 62.

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Così interpretato, l’oggetto del rapporto di lavoro intermit-tente si concilia anche con quelle letture della subordinazione cherifiutano la configurazione dell’obbligazione lavorativa come meroobbligo di fare perché troppo « angusta e inadeguata », ritenendoinvece che l’oggetto sia da riferire alla « messa a disposizione delleenergie psico-fisiche » (40). In particolare, secondo questa ultimaindicazione, il vincolo di subordinazione, più che in un facere,consiste « nel dover stare alle dipendenze di altri per eseguire leprestazioni che gli vengono richieste, entro i limiti segnati dallemansioni secondo le modalità di svolgimento stabilite » (41): ilmodo in cui la prestazione è eseguita, a richiesta cioè dell’altrocontraente, è, nel caso del lavoro intermittente, incorporato nelcontratto (42). Quale che sia l’impostazione teorica cui si aderisca,il riferimento all’una come all’altra permette comunque di quali-ficare l’attesa come prestazione di lavoro subordinato. Sia nel casoin cui si richieda un facere (interpretato come obbligo di tenere unacondotta predeterminata: tenersi a disposizione per la chiamata),sia nel caso in cui si faccia più generico riferimento a uno stare alledipendenze per fare ciò che viene richiesto, qualificare lo « stare adisposizione » come lavoro subordinato è comunque coerente conentrambe queste autorevoli letture dell’oggetto del rapporto dilavoro.

Quanto al requisito della continuità della prestazione lavora-tiva, tradizionale indice sussidiario della natura subordinata delrapporto ed elemento strutturale del contratto di lavoro per auto-revole dottrina (43), il lavoro intermittente pone, almeno a unprimo esame, alcuni problemi. Appare difficile conciliare una pre-stazione lavorativa saltuaria con il requisito della persistenza delvincolo contrattuale. Tuttavia, se, come si è detto, lo stare adisposizione prefigura già di per sé adempimento contrattuale,allora rileva non tanto la continuità materiale della prestazione

(40) Così R. SCOGNAMIGLIO, Diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 2000, 100:« così riesce difficile identificare un obbligo di fare nel comportamento inattivo delmodello, tenuto soltanto a posare per l’artista ».

(41) Ivi, 100.(42) Cfr. BELLOCCHI, op. cit., 200.(43) M. GRANDI, Rapporto di lavoro, Enc dir, XXXVIII, 1987, 325; analo-

gamente già L. SPAGNUOLO VIGORITA, Impresa, rapporto di lavoro, continuità, RDC,1969, 551.

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lavorativa, quanto la continuità del vincolo giuridico che di fattoin questo contratto lega le parti (44). La perdurante disponibilitàfunzionale del lavoratore allo svolgimento della prestazione lavo-rativa nell’impresa altrui costituisce dunque il fulcro di questocontratto: l’attesa, ma solo se remunerata, è infatti « pur semprefunzionale a un facere » (45).

Vero è che una simile ricostruzione si pone in contrasto conaltre autorevoli letture della subordinazione, con il rischio diperdere di vista il cardine su cui si era soliti far poggiare il dirittodel lavoro, il quale « presuppone l’uomo che lavora, e non sempli-cemente un proprietario di forza lavoro che la offre sul merca-to » (46). Se, diversamente argomentando, si ammettesse che « laprestazione di lavoro è inseparabile dalla persona del prestatore, edunque questi deve immettersi nell’impresa, entrare nell’organiz-zazione, porsi alle dipendenze altrui » (47), allora un contratto con-cepito alla maniera di quello in esame, in cui il lavoratore finisceper essere una pedina nelle mani dell’imprenditore che, a fronte diuna modesta somma di denaro, se ne può servire come megliocrede, non appresta un’efficace « tutela dell’implicazione personaledel lavoratore » (48) nel rapporto di lavoro, « con un vistoso squi-

(44) In tal senso, P. ICHINO, Libertà formale e libertà materiale del lavoratorenella qualificazione della prestazione come autonoma o subordinata, nota a P. Milano20 giugno 1986, q. Riv., 1987, 79; BACCHINI, op. cit., 232, per il quale « la continuitàdel vincolo di disponibilità funzionale del lavoratore [...] entra a far parte dellacausa del contratto e lo qualifica come subordinato ».

(45) NAPOLI, Autonomia, cit., 12.(46) Così L. MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale, RTDPC, 1982,

117 ss, ora in Diritto e valori, Bologna, 1985, 127.(47) F. SANTORO-PASSARELLI, Spirito del diritto del lavoro, in Saggi di diritto

civile, II, Napoli, 1961, 1071. Analogamente, si veda quanto scriveva con riferi-mento alla nozione di « dipendenza » di cui all’art. 2094 c.c., F. MAZZIOTTI,Contenuto ed effetti del contratto di lavoro, Jovene, Napoli, 1974, 74: « la dipendenzadel lavoratore assume inevitabilmente un carattere personalistico, nel senso che lamessa a disposizione per altri di mere energie lavorative non può non comportare[...] la messa a disposizione della stessa persona del lavoratore ». In argomento, v.M. PERSIANI, Diritto del lavoro e autorità dal punto di vista giuridico, ADL, 2000, 22ss.; GRANDI, Persona e contratto di lavoro. Riflessioni storico-critiche sul Lavoro comeoggetto del contratto di lavoro, ADL, 1999, 313.

(48) F. SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Jovene, Napoli,1995, 17-18.

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librio contrattuale a favore della flessibilità nell’interesse dell’im-presa » (49).

Ora però, se si accoglie, conclusivamente, la ricostruzionedottrinale secondo cui l’essenza della subordinazione va ravvisatanell’assoggettamento pieno al potere direttivo del creditore e non« nello sfuggente concetto di inserimento », si sarà portati a ritenereche anche nel contratto di lavoro intermittente « quel che rileva,non è tanto la conformità dell’attività lavorativa a direttive effet-tivamente impartite dal creditore — le quali possono effettiva-mente mancare — quanto l’assunzione da parte del prestatore diun vincolo di assoggettamento dell’attività dedotta in contratto »— in questo caso lo stare a disposizione impegnandosi a risponderealle chiamate — « al potere direttivo del creditore, cioè l’assunzionedi un obbligo di obbedienza » (50).

Inoltre, poiché il proprium della « dipendenza » di cui all’art.2094 c.c. risiede nel potere datoriale di coordinamento spazio-temporale della prestazione (51), oggetto di tale coordinamentorisulterà non soltanto « il tempo della prestazione complessiva-mente intesa, ma anche i tempi dei singoli elementi che la com-pongono », di modo tale che al datore di lavoro è lasciato « il poteredi impartire in qualsiasi momento al prestatore direttive circa lemodalità di svolgimento dell’attività lavorativa » (52). Ben potràritenersi, allora, che il potere di chiamata proprio a tale funzioneassolva, al fine di rispondere ai mutevoli interessi imprenditoriali.Un coordinamento che si giustifica, e trova il necessario fonda-mento, nella continuità della prestazione lavorativa che, pur nellasua intermittenza, risulta comunque caratterizzata da quell’« u-nico vero elemento differenziale » rispetto al lavoro autonomo,

(49) Cfr. PERULLI, op. cit., 84.(50) Così P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, Tratt CM, 2000, 279, con riferi-

mento alla nozione di subordinazione, dove si precisa che « così intesa, l’eterodi-rezione può riacquistare quel ruolo di tratto distintivo essenziale del contratto dilavoro subordinato, che invece va inevitabilmente perduto se l’eterodirezione èidentificata con un dato di fatto percepibile in rerum natura (poiché nell’agire con-creto delle parti il vincolo giuridico può non apparire) ». In giurisprudenza v., ades., Cass. 9 gennaio 2001, n. 224, RGL, 2000-2001, 90; Cass. 3 luglio 1998, n. 5464,GC, 1999, 1485; Cass. 1° ottobre 1997, n. 9606, D&L, 1998, 472).

(51) ICHINO, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Milano, 1989,partic. 79-102.

(52) Ibidem, 96.

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costituito dalla « continuità della subordinazione » (53), poichécontinua è la soggezione del lavoratore al potere di chiamatadatoriale.

Tale potere è la naturale conseguenza del potere direttivo comepotere non solo organizzativo, ma anche conformativo, che dot-trina e giurisprudenza indicano come tratti salienti di un rapportocaratterizzato da eterodirezione. Poco importa, poi, che tale poterevenga usato ad intermittenza, ciò che per altro può accadere anchein un normale rapporto di lavoro, non essendo la frequenza delpotere in astratto utilizzabile, ma la sua qualità, a fornire la provadella subordinazione.

Quanto agli altri indici, per limitarci ai principali, al datorespetta il potere di predeterminare l’orario di svolgimento dell’at-tività lavorativa; su di lui grava il rischio dell’attività d’impresa; laretribuzione, come pure l’indennità, sono commisurate al tempo enon al risultato. Pur non rappresentando singolarmente elementidirimenti, presi nel loro insieme permettono però, unitamente alleosservazioni che precedono, di affermare che lo stare a disposizionesenza essere chiamati è certamente una forma di adempimentocontrattuale e che il rapporto che si instaura è di lavoro subordi-nato fin dal principio.

Dal momento che l’obbligo di perenne disponibilità alla chia-mata pone il lavoratore in un’evidente condizione di soggezioneall’altrui potere, ciò che ci permette di ricondurre il contrattonell’alveo della subordinazione, cionondimeno non può non rile-varsi che una simile condizione impedisce al lavoratore di poterorganizzare con sicurezza il proprio tempo di vita. Sebbene infattisia giuridicamente sostenibile, come si chiarirà nel prosieguo, cheegli possa, nei periodi di inattività, prestare altrove la propriaattività lavorativa — peraltro nei limiti dell’obbligo di fedeltà —,ciò è nei fatti molto difficile, non rispondendo all’interesse dinessun datore di lavoro avere un dipendente che da un giornoall’altro potrebbe interrompere la prestazione per rispondere allachiamata, salvo pensare ad ipotesi di lavoro occasionale prestatoalla giornata senza, cioè, che il lavoratore possa garantire la suadisponibilità se non da un giorno all’altro.

(53) E. GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2003, 57.

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5. Ma se così stanno le cose, pone molti dubbi il disposto dicui all’art. 38, terzo comma del d.lgs. n. 276/2003, alla cui stregua« per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibilea rispondere alla chiamata del datore di lavoro non è titolare dialcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati ». Un lavoratoresubordinato senza nessuno dei diritti riconosciuti ai lavoratorisubordinati — anche senza disturbare Monsieur de la Palice — nonè infatti un lavoratore subordinato: è un contraente qualunque, o,come è stato detto, un « lavoratore trasparente » (54). A ben ve-dere, però, il tenore letterale della norma conduce a escludere chein tali fasi siano sospesi anche i doveri tipici dei lavoratori subor-dinati; cosicché, per evitare che possano delinearsi profili di inco-stituzionalità (si pensi alla sospensione dall’indennità in caso dilegittimo impedimento all’adempimento, con imputazione in capoal lavoratore del rischio dell’impossibilità sopravvenuta della pre-stazione per causa a lui non imputabile — ex art. 36, quarto comma— con conseguente capovolgimento della logica di cui all’art. 2110c.c.), si è tentati di forzare la norma, andando al di là degli scarsimargini consentiti dal canone dell’interpretazione letterale conl’aggiunta, nell’esegesi del testo, che il lavoratore non è caricato« di nessun dovere » (55).

Peraltro, la difficoltà di programmare altre attività, coniugatacon l’impossibilità di godere pienamente dei periodi di non lavoro,da una parte giustificano l’esistenza di un compenso per la dispo-nibilità, dall’altra pongono il contratto di lavoro intermittente inuna zona di costituzionalità, per così dire, border line (56). Èinevitabile a questo punto richiamarsi a quanto affermato dalGiudice delle leggi nella nota sentenza n. 210/1992 (57), la cui ratio,sebbene dettata in tema di part-time (nel caso di specie la Cortecostituzionale aveva escluso l’ammissibilità di contratti di lavoro atempo parziale nei quali la collocazione temporale della presta-

(54) VALLEBONA, La riforma, cit., 161.(55) Così MATTAROLO, op. cit., 11.(56) Così V. BAVARO, Sul lavoro intermittente. Note critiche, ne Il lavoro tra

progresso e mercificazione, a c. di G. GHEZZI, Ediesse, Bologna, 2004, 230.(57) V. C. cost. 4 maggio 1992, n. 210, in q. Riv., 1992, II, 731, con nota di

P. ICHINO; in FI, 1992, I, 3233, con nota di A. ALAIMO; in RGL, 1992, II, 433, connota di A. CHIACCHIERONI; in GI, 1993, I, 1, 277, con nota di M. BROLLO; in MGL,1992, 121, con nota di A. RONDO.

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zione ridotta non sia stata predeterminata con riferimento aiparametri temporali), è avvicinabile a quella che sorregge il lavorointermittente.

Certamente, come rilevato in dottrina, in connessione con ilnuovo part-time « sarà difficile non affrontare unitariamente laquestione del prezzo della disponibilità » (58).

Sul punto è recentemente intervenuto il Ministro del lavorocon proprio decreto, fissando la misura di tale indennità nel 20%della retribuzione percepita (59) (o meglio percepibile) dal lavora-tore. Della valutazione di adeguatezza sarà probabilmente inve-stita la Corte costituzionale; ciò che si può per ora affermare è che,essendo assolutamente imprevedibili frequenza e durata delle chia-mate nell’arco del mese, non è possibile dire a priori quale debbaessere il minimo rispettoso del principio costituzionale. È di tuttaevidenza che un’indennità di molto superiore a quella fissata dald.m. renderebbe del tutto inservibile il nuovo istituto (60).

Tornando, finalmente, sul problema della configurabilità deidoveri propri della subordinazione anche nella fase di stand by, sisarebbe dunque portati a ritenere che sul lavoratore gravino inormali doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.

Resta però allora il problema di mitigare in qualche misura laposizione del lavoratore intermittente, che appare caratterizzatada troppi doveri e pochissimi diritti. Ma proprio tale apparentesbilanciamento dei poteri e dei diritti a vantaggio dell’impresa ciindica la strada che conduce a una possibile soluzione. In effetti, aben vedere, non sembra una forzatura della lettera del decretoritenere che, come il datore di lavoro può esigere la presenza dellavoratore in azienda da un giorno all’altro, così il lavoratore possa,secondo quanto previsto dall’art. 36, quarto comma, con tempe-stiva informazione al datore di lavoro sulla malattia o — ciò che

(58) Così DEL PUNTA, Il lavoro a tempo parziale, ne Il nuovo mercato dellavoro, cit.

(59) A norma dell’art. 2, d.m. 10 marzo 2004 « la retribuzione mensile daprendere come base di riferimento per la determinazione dell’indennità [...], ècostituita da: minimo tabellare, indennità di contingenza, E.T.R., ratei di men-silità aggiuntivi ».

(60) Vi è comunque chi, in dottrina, sostiene che solo se assai cospicuapossa essere ritenuta congrua con l’art. 36 Cost.: P.G. ALLEVA, Ricerca e analisi deipunti critici del d.lgs. n. 276/2003 sul mercato del lavoro, www.cgil.it/giuridico.

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qui interessa — su « altro evento che renda temporaneamenteimpossibile rispondere alla chiamata », mettere a sua volta, per cosìdire, in stand by l’imprenditore, naturalmente rinunciando pertutto quel periodo, all’indennità, e così in sostanza parificando lepossibilità di scelta dei due contraenti. Nel silenzio della norma,sarebbe allora opportuno ritenere che nell’espressione « altroevento » si venga a ricomprendere anche lo svolgimento di altraattività lavorativa, così come di un eventuale evento formativo.Una simile lettura, per quanto tale indicazione abbia un valoremeramente orientativo, richiama altresì lo spirito dell’accordoZanussi-Electrolux, ove, come opportunamente messo in luce (61),espressamente si prevedeva in capo al lavoratore la facoltà diopporsi alle chiamate « in presenza di cause di oggettivo impedi-mento (ad esempio, oltre alle ipotesi classiche di impossibilitàsopravvenuta per ragioni attinenti alla sfera del lavoratore, l’essereimpegnati nello svolgimento di altro rapporto di lavoro a tempoparziale, la partecipazione ad attività formative, la partecipazionea missioni umanitarie, lo svolgimento di attività di volontariato) ».

Solo interpretando in maniera estensiva la temporanea impos-sibilità di cui si è detto, appare possibile operare una letturabifronte della flessibilità al fine di controbilanciare le opposteesigenze dei contraenti. Tale soluzione ha anche il pregio di atte-nuare l’alternativa secca fra tempo lavorato e tempo « riposato »,intendendosi il tempo della disponibilità come tempo di attesaanche di altre opportunità di lavoro.

Come sono affievoliti, o, per meglio dire, assenti, i diritti deilavoratori in attesa, così devono essere attenuati gli obblighi. Salvoil potere direttivo, consistente nella chiamata, in questa fase lasubordinazione è talmente affievolita che lo stesso divieto di con-correnza differenziale, di cui all’art. 2105, prima parte, deve essereinterpretato in maniera restrittiva, utilizzandosi, a contrario ri-spetto a quanto fanno i giudici nella lettura corrente di talearticolo, le regole di buona fede e correttezza (62). Infatti, lepeculiarità del rapporto di lavoro intermittente, giustificano, anziesigono, un’interpretazione restrittiva dell’obbligo di non concor-

(61) LISO, Analisi, cit., 19.(62) Ex plurimis, v. Cass. 26 agosto 2003, n. 12489, mass.; Cass. 8 luglio

1995, n. 7529, MGL, 1995, 568, con nota di E. LUCIFREDI.

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renza, all’evidente fine di non pregiudicare, in conformità con il giàcitato dictum costituzionale n. 210/1992, « la possibilità [del lavo-ratore] di programmare altre attività con le quali integrare ilreddito lavorativo ricavato dal rapporto a tempo parziale » (diremooggi intermittente).

In conclusione, come il datore può esigere di avere il lavoratoresul posto di lavoro con brevissimo preavviso, allo stesso modoquesti può, qualora nella fase di attesa riceva altra più allettanteofferta, « informare tempestivamente il datore di lavoro, specifi-cando la durata dell’impedimento » (art. 36, quarto comma), conconseguente perdita dell’indennità per detto periodo. Solo questogli è infatti richiesto. Se dunque al momento di ricevere l’offertamigliore egli non è stato ancora chiamato, è sufficiente che avvertail datore che dal giorno successivo egli è temporaneamente indi-sponibile: in tale caso si potrebbe ipotizzare che ci si trovi davantia una causa di sospensione del contratto, e non di inadempimen-to (63). Nel silenzio della legge, non sembra neppure che si debbaritenere sussistente un limite a tale periodo di impedimento.

In questo modo, il lavoratore è messo in condizione di progre-dire verso posizioni di lavoro meno incerte e meglio retribuiteassicurandosi, in attesa delle stesse, una modesta indennità e deglispezzoni di lavoro a termine retribuiti secondo gli standard nor-mali. Risulta così possibile condurre il lavoratore oltre l’intermit-tenza, operando un bilanciamento dei poteri nel segno delle paripossibilità di scelta, coniugando, sulla scia di autorevole indicazio-ne (64), una regolazione efficace della flessibilità « con forme disicurezza tali da renderla socialmente e personalmente sosteni-bile ».

6. Nel caso del contratto di lavoro intermittente senza ob-bligo di disponibilità, i problemi maggiori risiedono, ancor primadella individuazione della natura subordinata o autonoma di talecontratto, nella possibilità stessa di poter parlare di un contratto.

(63) Nel senso del testo, v. BAVARO, op. cit., 226.(64) Così T. TREU, Le regole sociali europee: quali innovazioni?, relazione al

convegno di Europe et Société, « Modèle social européen: une dynamique dedéveloppement des relations sociales en Europe », Parigi, 9 ottobre 2003, 7 deldattiloscritto.

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A prima vista, gli elementi essenziali vi sarebbero: la forma èquella prevista nella legge scritta ad probationem per gli elementispecificati dall’art. 35; la causa è quella di consentire al datore dilavoro di utilizzare il dipendente a piacimento in virtù di uncontratto di lavoro acceso una volta per tutte, ovvero di fornirglila garanzia di poter disporre di un lavoratore per fronteggiareesigenze impreviste o discontinue (65); l’accordo delle parti è rav-visabile nella sottoscrizione dell’atto. Mancherebbe soltanto ladefinizione dell’oggetto, del comportamento che è materia delloscambio; ed è questo il punto più problematico, tanto che per unaparte della dottrina non è neppure configurabile un contratto, anzisi è di fronte a un « nonsenso ». Se manca l’indennità di disponibi-lità non si vede infatti a che cosa si vincolerebbe il lavoratore: « aprestare il suo lavoro se ne avrà voglia? E per converso, il datore dilavoro si impegnerà a chiamarlo e a retribuirlo, se e quando ne avràbisogno? » (66). Si tratterebbe, in sostanza, di due clausole mera-mente potestative che se fossero il frutto dell’autonomia privata, enon fossero invece contenute in una disposizione di legge, sareb-bero come tali inidonee a produrre vincoli giuridici, per contrastocon la regola di cui all’art. 1355 c.c. che dispone la nullità delleclausole meramente potestative del tipo si voluerim, qual è insostanza quella in esame (67): « è nulla l’alienazione di un diritto ol’assunzione di un obbligo [id est prestare la propria attivitàlavorativa] subordinata a una condizione sospensiva che la facciadipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, daquella del debitore ». « Poco più di un dato empirico considerabilecome un innocuo contatto della vita di relazione » (68).

Vero è che nei fatti le parti si sono invece raffigurate chiara-mente un bene da dedurre nel contratto, ovvero il lavoro prestatoa seguito di chiamata dietro corrispettivo. Il problema è che è del

(65) DEL PUNTA, Riforma, cit., 15.(66) Cfr. ALLEVA, Ricerca e analisi, cit., 20.(67) Nel senso del testo U. ROMAGNOLI, Radiografia di una riforma, LD, 1,

2004, 28; P.G. ALLEVA, Ricerca, cit.; C. ZOLI, Contratto, cit., 35, il quale ritiene che« nella versione in cui manca l’obbligo di rispondere alla chiamata, non grava sunessuna delle due parti alcun vincolo giuridico, cosicché si deve escludere che intale fase di quiescenza sia addirittura ravvisabile la stessa subordinazione ».

(68) Così U. ROMAGNOLI, op. cit., 27.

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tutto incerto se a questa conclusione si addiverrà, essendo rimessaalla libera volontà delle parti.

Tale accordo è dunque poco più di una cornice, proprio comeaccade nell’ordinamento inglese (69) che utilizza in questi casil’espressione umbrella contract, intendendo alludere, con una me-tafora certamente efficace, a un ombrello al di sotto del quale èpossibile, a fronte dell’accettazione del lavoratore, dare concretaesecuzione al contratto secondo le regole previste dall’accordoiniziale. Non è dunque un contratto legally enforceable in Inghil-terra, perché privo del requisito della consideration, cioè, semplifi-cando molto, della corrispettività (70). Analoga situazione nell’or-dinamento olandese, dove la dottrina esclude che si tratti di uncontratto di lavoro vero e proprio, ritenendolo piuttosto un« preaccordo volto a definire i termini dello scambio, il quale siformalizza ad ogni singola chiamata sub specie contratto a termi-ne » (71).

Tale accordo ricorda invece il contratto normativo (72) — un’in-tesa preparatoria volta a disciplinare il contenuto di tanto futuriquanto eventuali contratti, caratterizzata dal fatto che essa non èimpegnativa per le parti fino al momento dell’avvenuta conclu-sione dei singoli contratti particolari —, che non un contratto dilavoro o un contratto tout court. Lo stesso termine « contratto » èimproprio; viene impiegato « per ragioni di tradizione », poiché nonsi tratta di un contratto, dal momento che « l’utilizzazione di essodipende da una successiva, libera, manifestazione di volontà checiascuna parte si riserva di emettere in momenti successivi, quelli

(69) V. nota 12.(70) Si veda più diffusamente H. COLLINS, op. cit., passim.(71) Così PERULLI, op. cit., 84.(72) Sul contratto normativo, v. F. MESSINEO, Contratto normativo e contratto

tipo, Enc dir, 1962, 116 ss.; A. GUGLIELMETTI, Contratto normativo, EGT, 1988; S.MAIORCA, Normativo (contratto), voce in Digesto, disc. priv., Utet, Torino, 1995,XII, 169 ss.; G. GENTILI, Sull’interpretazione dei contratti normativi, CI, 1999, fasc.3, 1162 ss. Sostengono la configurabilità del contratto senza indennità comecontratto normativo V. PINTO, La modernizzazione promessa. Osservazioni critichesul d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (68 dell’estratto da V. PINTO, Lavoro e nuoveregole. Dal Libro Bianco al d.lgs. n. 276/2003, Ediesse, Roma, in corso di pubbli-cazione); R. VOZA, op. cit., 262; contra DEL PUNTA, Riforma, cit., 16; A. VALLEBONA,La riforma dei lavori, Cedam, Padova, 2004, 60, il quale ritiene che anche inassenza di obbligo di disponibilità il contratto « rimane di lavoro subordinato ».

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in cui decide se stipulare, o no, i contratti particolari » (73).L’obiettivo che si persegue con il contratto normativo è semplice-mente quello di accelerare la conclusione dei successivi contrattiparticolari. Non è che una delle tante fasi sulla strada che portaalla creazione del contratto definitivo. Lo stesso Marco BIAGI, conriferimento a questa tipologia di lavoro intermittente, parlava di« una situazione pre-contrattuale in cui è promesso un futurolavoro », e non di un contratto in senso proprio (74).

Quindi, nel caso in cui una indennità, né certa, né eventuale,sia stata pattuita, non di contratto senza indennità di disponibilitàsi dovrà parlare, ma, più drasticamente, di un non contratto, di unaccordo fra gentiluomini, o, al più, appunto di un contratto nor-mativo. Altri propone di qualificarlo come « contratto quadroall’interno del quale nascono diritti e obblighi diversi e in periodidiversi in seguito ad ulteriori manifestazioni di volontà delleparti », ma pur non essendo del tutto chiaro a che cosa si facciariferimento, non pare che una simile definizione si discosti moltodalla nozione di contratto normativo (75). Non manca neppure chivi ravvisa invece un contratto di lavoro autonomo (76), facendoleva sul criterio giurisprudenziale della mancanza dell’obbligo dirispondere alla chiamata quale criterio distintivo fra autonomia esubordinazione (77), ovvero sul dato testuale dell’art. 38 cheesclude l’applicabilità dei diritti dei lavoratori subordinati nellafase di attesa. Niente altro, dunque, che una relazione, si potrebbequasi dire affectionis vel benevolentiae causa, prodromica al lavoro

(73) Così GUGLIELMETTI, op. cit., 2. Per una ricostruzione del contrattonormativo come contratto sottoposto a condizione sospensiva, v. L. CARIOTA

FERRARA, Riflessioni sul contratto normativo, Arch. Giur., 1937, 52-81.(74) V. M. BIAGI, Il futuro del contratto di lavoro individuale in Italia, LD,

1996, 325 ss.; ora in MONTUSCHI et al., Marco Biagi. Un giurista progettuale, Giuffrè,Milano, 2003, 293. Sul punto, v. anche P.G. ALLEVA, Quali prospettive per ilmercato del lavoro?, NGL, 1994, 16.

(75) M. MATTAROLO, Contratti di lavoro flessibili e contratti formativi, inCommentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, a c. di F. CARINCI, Ipsoa, Milano,2004, 12.

(76) F. BASENGHI, op. cit., 34, seppure con riferimento all’art. 34 della leggedelega, nonché SCORCELLI, op. cit., 871.

(77) Cass. 10 luglio 1991, n. 7608, MGL, 1991, 506, con nota di R. PESSI;Cass. 25 gennaio 1993, n. 811, q. Riv., 1993, II, 425. Per una critica di taleprospettazione si rinvia ai rilievi, che qui si accolgono, di MATTAROLO, op. cit.,12-13.

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subordinato, cioè precedente e sostanzialmente estranea al futurocontratto di lavoro che, eventualmente, si instaurerà, sebbene inconformità a quanto ivi previsto.

7. Con riferimento al lavoro da prestarsi in periodi predeter-minati, di cui all’art. 37, il vincolo di rispondere alla chiamata,sotto pena di incorrere nelle sanzioni, o nella penale, dell’art. 36,sesto comma in difetto, permane; ma poiché, sembrerebbe dicapire, l’alea della chiamata è ridotta a periodi noti al lavoratore,riducendosi l’imprevedibilità e quindi aumentando la programma-bilità del tempo restante (i giorni feriali in quello che potrebbeessere il caso più ricorrente, cioè del lavoro intermittente daprestarsi, eventualmente, nel fine settimana), si cerca un bilancia-mento per rendere ancora più appetibile questo contratto all’im-prenditore, consentendogli, come si è detto, di trarre il massimo delbeneficio (78), poiché risulta così legittimo porre in essere un con-tratto « comportante un vincolo di disponibilità, ergo una posizioneobbligatoria passiva a carico del lavoratore, senza un corrispettivoimmancabile » (79). Sta tutto in quest’ultimo aggettivo il discrimenfra questa modalità e il tipo che abbiamo chiamato principale; nelfatto, cioè, che l’indennità non è immancabile, ma solo eventuale.Un tale assetto di interessi ha suscitato da parte di più di uncommentatore reazioni assai critiche, nel segno della incostituzio-nalità di tale pattuizione per violazione degli artt. 3, 35, primocomma e 36 Cost. (80).

Si tratta, è vero, di una norma a prima vista controintuitiva.Non si comprende, infatti, la ragione per cui un lavoratore chedichiari di mettersi a disposizione, e per lo più in periodi dell’annodedicati al riposo, non abbia diritto almeno all’indennità, in con-siderazione della maggiore penosità di un tale lavoro. Con ciò in

(78) Secondo VALLEBONA, La riforma, cit., 59, « lo stato di disponibilità nonè ritenuto meritevole di corrispettivo in considerazione della sua limitazione aperiodi privi di impegni lavorativi o di studio ». Viceversa, per la maggior partedei commentatori in tali casi la disponibilità, proprio perché cade in periodidestinati tradizionalmente al riposo, presenta una « maggiore penosità » (VOZA, op.cit., 258) che rende del tutto intollerabile, o, comunque di « incerto significato »(MATTAROLO, op. cit., 57), tale previsione.

(79) DEL PUNTA, Riforma, cit., 16; il corsivo è mio.(80) Cfr. NAPOLI, Autonomia, cit., 13; VOZA, op. cit., 258; MATTAROLO, op. cit.,

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sostanza da un lato eliminando il vantaggio per il lavoratore diassicurarsi comunque un guadagno, dall’altro azzerando ogni ri-schio per l’imprenditore, che pagherà il maggior costo di questaforma di lavoro solo in caso di effettiva utilizzazione del prestatore.La logica giuridica fa difetto.

Qualora simili contratti vengano stipulati, è probabile chequeste norme saranno oggetto di un frequente contenzioso, nonessendo facile intuire la ratio di tale disposizione. L’unica soluzioneresta dunque quella di ritenere che poiché, diversamente dall’ipo-tesi principale, della prestazione è incerto solo l’an, ma non ilquando, ciò giustifichi un pagamento soltanto differito dell’inden-nità, perché minore è il grado di incertezza in cui è lasciato illavoratore. Infatti, per i particolari momenti dell’anno in cui talicontratti verrebbero stipulati, il lavoratore sarebbe, nella maggiorparte dei casi, in ferie, e minore potrebbe essere considerato ilsacrificio dal legislatore.

8. Il lavoratore intermittente insomma, pur prestando un’at-tività che ha le caratteristiche del lavoro subordinato, si trova nellapeculiare condizione di non potere fruire fino in fondo dello statutoprotettivo che ne discende, o meglio di poterne fruire solo inmaniera intermittente, in concomitanza con le chiamate. Il tempodella disponibilità, che pone il lavoratore in una condizione disoggezione all’altrui potere e di vera e propria dipendenza econo-mica nei confronti dell’imprenditore — giacché dalla frequenzadelle chiamate dipende per il lavoratore stesso la possibilità diprocurarsi un reddito sufficiente a un’esistenza, se non libera,perlomeno dignitosa — non è dunque tempo di lavoro. Esso è bensìun tempo sospeso e determinabile all’occorrenza, ottenuto tramitela « destrutturazione dell’orario base e la sua ricomposizione inragione delle esigenze aziendali che man mano si profilano » (81).L’ordinamento mostra così di non riconoscere dignità giuridica aquel tempo che è stato efficacemente chiamato ni-ni: ni temps detravail, ni temps de repos (82).

Da una parte l’ineguale ripartizione dei rischi connessi alrapporto di lavoro, dall’altra l’esclusione di ogni tutela, nonché

(81) Così BACCHINI, op. cit., 232.(82) B. BERCUSSON, Les temps communautaires, DS, 2000, 252.

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l’appropriazione da parte del datore di lavoro di quel « tempogrigio » in bilico fra la potenzialità e l’atto dell’effettivo svolgersidell’attività lavorativa e del godimento dei diritti ad essa collegati:ebbene, tutto sembra congiurare a far ritenere la magra indennitàdi disponibilità una contropartita inadeguata. Un lavoratore così,in balìa della chiamata (salvo ammettersi la possibilità di ricorrerea quel bilanciamento delle flessibilità a cui si è alluso) (83), apparedistante sia dalla flessibilità mite di cui di recente si parla nellapolitica sociale comunitaria (84), sia dalla c.d. flexicurity che, seb-bene sposti il fuoco delle tutele dal rapporto al mercato, dovrebbecomunque essere in grado di garantire un’adeguata garanzia disostegno al reddito in caso di disoccupazione e il rafforzamentodella professionalità, tramite la formazione.

La tentazione del giuslavorista, di fronte a modalità cosìdestrutturate e flessibili di prestazione dell’attività lavorativa, èallora quella, di tentare di ricondurle nel più tranquillizzante solcodel tradizionale statuto protettivo della materia, disconoscendo oriducendo « drasticamente il fenomeno della diversificazione deilavori » e riportando « le nuove forme a varianti formali o applica-tive del prototipo lavoro subordinato » (85). Addirittura, GérardLYON-CAEN proponeva, in anni recenti, di considerare lavoro effet-tivo « ogni periodo durante il quale il lavoratore è a disposizione deldatore di lavoro e viene privato della sua libertà di andare evenire » (86). Soluzioni queste che, seppure giustificate da una piùche comprensibile istanza di protezione, rischiano di perdere divista le esigenze di rinnovamento della materia, le quali debbonopassare, anche, attraverso l’elaborazione di una nuova « teoriagiuridica per il lavoro che cambia » (87). Da questo punto di vista,

(83) V. supra, § 5.(84) Si veda B. CARUSO, Alla ricerca della flessibilità mite: il terzo pilastro

delle politiche del lavoro comunitarie, DRI, 2000, 141. In proposito v. amplius S.SCARPONI, Lavori flessibili, autonomia collettiva tra diritto comunitario e dirittointerno, LD, 2002, 361 ss.

(85) Cfr. T. TREU, Statuto dei lavoratori e Carta dei diritti, di prossimapubblicazione in DRI, 2, 2004 (consultabile su http://www.csmb.unimo.it/adapt/documents/14@04/Treu.pdf.

(86) G. LYON-CAEN, intervento al convegno « Les enjeux du temps detravail », promosso dall’Association Villermé, Centre Benoit Frachon, Essonne,1998.

(87) M. D’ANTONA, La subordinazione e oltre. Una teoria giuridica per il

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è allora necessario riconoscere la novità del contratto di lavorointermittente e accettare che gli strumenti a disposizione forse nonsono più sufficienti per governare queste nuove manifestazionidella flessibilità che influiscono sulla struttura del tipo più profon-damente di quanto sia fino ad oggi accaduto.

Senza sforzi inani per ricondurre a tutti i costi l’istituto nelnoto, ma senza neanche cadere nello sconforto di chi vede nellariforma soltanto l’avvenuta precarizzazione dei rapporti di lavoro,è invece opportuno tentare di superare il comprensibile disagio chel’istituto del lavoro intermittente suscita ed elaborare nuove teorieche aiutino a governare meglio gli attuali scenari, coniugandonuove tutele ai nuovi lavori, per adeguare il sistema al diffondersidei lavori atipici e parasubordinati, così rendendolo più adatto aun mondo del lavoro articolato e profondamente diversificato.Quale sia la distanza fra le indicazioni di questa parte delladottrina (88) e ciò che produrrà la Commissione incaricata diredigere lo Statuto dei lavori, non è possibile dire ora, ma è certoche seppure inconsapevolmente il nuovo contratto di lavoro inter-mittente è il figlio più che legittimo delle trasformazioni in atto e lasua forte atipicità ha in sé il segno dei tempi: un contratto asubordinazione attenuata e tutele rimodulate, che sembra rispon-dere all’esigenza, oggi sempre più avvertita, di sdrammatizzare unpo’ la problematica definitoria, superando la tradizionale alterna-tiva secca del « tutto o niente ». L’indennità di disponibilità, in-somma, sarebbe la contropartita offerta al lavoratore intermit-tente, che pure è un lavoratore subordinato, per rinunciare, nellafase di attesa, alle tutele tipiche di quella forma di lavoro.

Che poi, nel merito, la graduazione e/o rimodulazione si sia inquesto caso conclusa con un’eterogenesi dei suoi fini iniziali,avendo avuto l’occhio rivolto piuttosto alle esigenze imprendito-riali, è un’altra storia.

lavoro che cambia, in Lavoro subordinato e dintorni, a c. di M. PEDRAZZOLI, il Mulino,Bologna, 1989, 43 ss.

(88) Si veda per es. M. PEDRAZZOLI, Consensi e dissensi sui recenti progetti diridefinizione dei rapporti di lavoro, in AA.VV., Subordinazione e autonomia: vecchie nuovi modelli, QDLRI, 1998; A. SUPIOT, Lavoro subordinato e lavoro autonomo,DRI, 2000, 234 ss.; P. DAVIES, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, DRI, 2000,109 ss.; A. ACCORNERO, Intervento, in AA.VV., Nuove forme di lavoro fra subordi-nazione, coordinamento e autonomia, Cacucci, Bari, 1997, 77.

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LAVORO INTERMITTENTE E SUBORDINAZIONE. — Riassunto. Il saggio commenta criti-camente il nuovo istituto del lavoro intermittente. Propone, dopo una breve ricostruzione delle esperienze offertedalle legislazioni di altri Paesi europei, una lettura tripartita delle diverse modalità dello stare a disposizioneche, secondo l’A., emergono dagli artt. 33 ss. del d.lgs. n. 276/2003 e per ciascuna di esse affrontaanaliticamente il problema della qualificazione del rapporto di lavoro che ne scaturisce.

JOB ON CALL AND CONTRACT OF EMPLOYMENT. — Summary. This essay commentscritically on the new job on call contract. After a brief overview of the solutions provided by other Europeancountries, it states that in the d.lgs. n. 276/2003, sec. 33 ss., three different ways of being at disposal of theemployer are provided. For each of those, a qualification in term of employed or self-employed relationship isproposed.

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NOTERELLE

1. Il disservizio telefonico. — Quasi ogni giorno telefono a uncaro amico. Ogni tanto si inserisce una voce di donna per dire cheil numero è inesistente.

2. TROISI. — Si è molto ricordato nel decennale della morte.Peccato che io non abbia mai capito bene il napoletano stretto.

3. Intermezzi alla tv. — Rispetto ai programmi preventiva-mente pubblicati sono frequenti. Deploro. Salvo che non ci sia unagiustificazione obiettiva, ad esempio per comunicare al popoloitaliano che poco fa è improvvisamente deceduto il premier.

4. La tv sprecata. — La tv potrebbe essere adoperata con granvantaggio per seria opera di acculturazione. Bandendosi le cose dirilievo prettamente mondano, come i recenti servizi sull’impera-trice SISSI prestati dall’azienda austriaca. Mentre ad esempio, a mioavviso, un servizio eccellente è stato quello degli ANGELA sui MEDICI

domenica 12 settembre 2004.

5. Le gabbie salariali. — Di recente i sindacati dei lavoratorisi sono accorti che il costo della vita è assai diverso a Milano e nellesperdute località della provincia. Non lo sapevano negli ultimi anni’70 quando si battevano contro le « gabbie salariali »?

6. Un grande fatto di civiltà. — È quello della stipula, inGermania, del primo contratto collettivo per le prostitute.

7. Il vestito delle donne. — Il costume è, in pochi anni, radi-calmente mutato. Un tempo ci si vestiva per nascondere cose chepossono turbare. Ora, invece, per fare capire le delizie nascoste.

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8. Il libro di INGRAO. — Ho letto Il compagno disarmato, ed.Sperling&Kupfer. Gira e rigira, il funzionario di partito non puòessere uomo libero. Me lo insegnò Mario TOBINO, deciso a conservareil lavoro in manicomio come la più seria garanzia.

9. Le ragazze liberate in Iraq dai rapitori. — Per quel poco chestimo ancora il nostro popolo, sono certo che nessuno abbia cre-duto alla storia del rilascio gratis.

10. Il comunismo male necessario. — Lo ha detto il Ponteficeil 7 ottobre 2004. Ho ammirato. Anche le cose più odiose stanno inpiedi per il consenso della gente. E quindi hanno una giustifica-zione storica.

11. Trieste è nostra. — Si è detto da parte slovena il 9 ottobre2004; ho avuto un attimo di brivido; per taluni la carneficina dellaguerra si può dimenticare.

12. Il caso SPEZIALE. — Dunque a un professore di primafascia, dopo tante prove, può essere negato l’ordinariato per difettodi operosità scientifica nel triennio iniziale, ravvisato dalla seve-rissima commissione. Sperando che davvero di questo si tratti, enon di faide interne all’Accademia.

13. Lo schiaffo del professore. — Un professore è stato denun-ciato dai genitori (16 ottobre 2004) per aver schiaffeggiato unoscolaro discolo. Quando ero ragazzo, dello schiaffo non si sarebbedetto in casa per paura di altre busse.

14. Il tempo delle riforme. — E così i temi ardui della riformacostituzionale sono affrontati di fretta, nello scorcio della legisla-tura.

15. La mia ammissione in magistratura. — Un caro amico,magistrato in pensione, mi ha raccontato che il Comando deicarabinieri voleva la mia esclusione dal concorso perché già mili-tante socialista. Ma al concorso fui secondo in graduatoria. Lacommissione aveva a disposizione dieci punti « liberi » in totale

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discrezione. Mi superò un romano. Ne sorrisi giacché era compren-sibile io fossi del tutto sconosciuto in certi ambienti.

16. Ancora un libro scomodo. — È quello, interessante, dimemorie del prof. CIFARELLI. Materialmente è fatto male, non stafermo sul tavolo. Si può inventare un congegno impeditivo?

17. La maggioranza va rispettata. — Lo dico perché « l’Unità »del 24 ottobre 2004 lamenta che si siano mandati ispettori in giroper accertare che le novità introdotte dal ministro MORATTI ab-biano avuto corso.

18. Il prof. BIGGINI al Gran Consiglio fascista. — Votò afavore di MUSSOLINI. I colleghi pisani ne furono sorpresi, perché erastato sempre frondista. Pochi giorni dopo il ministro si incontròalla stazione di Pisa con la prof. RIVA SANSEVERINO, che manifestò,ancora, la sorpresa. BIGGINI, che in gioventù aveva avuto a che farecon la rivista antifascista « Pietra », disse alla Signora RIVA che nonsi era sentito di votare contro l’uomo cui tutto doveva. Questo mivenne raccontato dal prof. POGGI, insegnante a Genova e poi nelCSM.

19. Io, colpevole di mobbing. — Quando ero pretore a S.Miniato — che lasciai nel giugno 1962 — mi resi colpevole di undeplorevole episodio di angheria. Coadiuvava l’ufficiale giudiziarioun giovane volonteroso che si piccava di essere espertissimo cac-ciatore. Decidemmo che gli avrei inviato un mandato di compari-zione contestandogli il reato di omicidio colposo per avere, in agrodi S. Miniato, mi pare il 35 febbraio dell’anno x, ucciso, perassoluta imperizia nell’uso delle armi, un malcapitato. Non appenaletto, il poveretto cominciò a piangere e non ci fu verso di convin-cerlo che era uno scherzo. Replicava: « se il pretore l’ha scritto èvero ».

S. Lorenzo a Vaccoli, dicembre 2004.

GIUSEPPE PERA

Noterelle 147

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