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UNITELNews24 n. 15 44 Giurisprudenza Ambiente CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. V, 4 dicembre 2008 Sentenza C - 247/07 TUTELA DELL’AMBIENTE - Elaborazione di alcuni piani e programmi relativi all'ambiente - Partecipazione del pubblico - Mancata trasposizione entro il termine prescritto - Inadempimento di Stato - (Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord) - Direttiva 2003/35/CE. Non recependo, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico in occasione dell'elaborazione di alcuni piani e programmi relativi all'ambiente, e che modifica, per quanto riguarda la partecipazione del pubblico e l'accesso alla giustizia, le direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio, il Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi che gli incombono ai sensi di questa direttiva. (Testo ufficiale: En ne prenant pas, dans le délai prescrit, les dispositions législatives, réglementaires et administratives nécessaires pour se conformer à la directive 2003/35/CE du Parlement européen et du Conseil, du 26 mai 2003, prévoyant la participation du public lors de l’élaboration de certains plans et programmes relatifs à l’environnement, et modifiant, en ce qui concerne la participation du public et l’accès à la justice, les directives 85/337/CEE et 96/61/CE du Conseil, le Royaume-Uni de Grande-Bretagne et d’Irlande du Nord a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu de cette directive). (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it) Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 novembre 2008, Causa C-405/07 P Misure da adottare contro l’inquinamento atmosferico da emissioni dei veicoli a motore - Disposizione nazionale derogatoria che anticipa l’abbassamento del valore limite comunitario delle emissioni di particelle prodotte da taluni veicoli nuovi con motore diesel - Rifiuto della Commissione - Specificità del problema. (Direttiva 98/69/Ce) La Corte ha deciso che la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 27 giugno 2007, causa T-182/06, Regno dei Paesi Bassi/Commissione, è annullata, così come la decisione 2006/372/Ce, relativa al progetto di disposizioni nazionali notificato dal Regno dei Paesi Bassi a norma dell’articolo 95, paragrafo 5, del trattato Ce le quali fissano limiti per le emissioni di particelle nei veicoli con motore diesel, è annullata. La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese. Il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel concludere che la Commissione, adottando la decisione controversa, non avesse violato né il dovere di diligenza né l’obbligo di motivazione.La Commissione - hanno sottolineato i giudici del Lussemburgo - per valutare l’esistenza di un problema specifico di qualità dell’aria ambiente nei Paesi Bassi, non ha tenuto debito conto dell’insieme dei dati pertinenti, specie di quelli relativi all’anno 2004. Ciò premesso, il Tribunale non poteva, senza incorrere in un errore di diritto, respingere il ricorso del Regno dei Paesi Bassi in quanto infondato concludendo che la Commissione avesse giustamente considerato non specifico il problema del rispetto dei valori limite comunitari di concentrazione delle particelle nell’aria ambiente. (Diritto comunitario e internazionale, Il sole 24 Ore, novembre-dicembre 2008, n. 6)

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UNITELNews24 n. 15 44

Giurisprudenza

Ambiente

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. V, 4 dicembre 2008 Sentenza C - 247/07

TUTELA DELL’AMBIENTE - Elaborazione di alcuni piani e programmi relativi all'ambiente - Partecipazione del pubblico - Mancata trasposizione entro il termine prescritto - Inadempimento di Stato - (Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord) - Direttiva 2003/35/CE. Non recependo, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico in occasione dell'elaborazione di alcuni piani e programmi relativi all'ambiente, e che modifica, per quanto riguarda la partecipazione del pubblico e l'accesso alla giustizia, le direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio, il Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi che gli incombono ai sensi di questa direttiva. (Testo ufficiale: En ne prenant pas, dans le délai prescrit, les dispositions législatives, réglementaires et administratives nécessaires pour se conformer à la directive 2003/35/CE du Parlement européen et du Conseil, du 26 mai 2003, prévoyant la participation du public lors de l’élaboration de certains plans et programmes relatifs à l’environnement, et modifiant, en ce qui concerne la participation du public et l’accès à la justice, les directives 85/337/CEE et 96/61/CE du Conseil, le Royaume-Uni de Grande-Bretagne et d’Irlande du Nord a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu de cette directive). (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)

Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 novembre 2008, Causa C-405/07 P

Misure da adottare contro l’inquinamento atmosferico da emissioni dei veicoli a motore - Disposizione nazionale derogatoria che anticipa l’abbassamento del valore limite comunitario delle emissioni di particelle prodotte da taluni veicoli nuovi con motore diesel - Rifiuto della Commissione - Specificità del problema. (Direttiva 98/69/Ce) La Corte ha deciso che la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 27 giugno 2007, causa T-182/06, Regno dei Paesi Bassi/Commissione, è annullata, così come la decisione 2006/372/Ce, relativa al progetto di disposizioni nazionali notificato dal Regno dei Paesi Bassi a norma dell’articolo 95, paragrafo 5, del trattato Ce le quali fissano limiti per le emissioni di particelle nei veicoli con motore diesel, è annullata. La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese. Il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel concludere che la Commissione, adottando la decisione controversa, non avesse violato né il dovere di diligenza né l’obbligo di motivazione.La Commissione - hanno sottolineato i giudici del Lussemburgo - per valutare l’esistenza di un problema specifico di qualità dell’aria ambiente nei Paesi Bassi, non ha tenuto debito conto dell’insieme dei dati pertinenti, specie di quelli relativi all’anno 2004. Ciò premesso, il Tribunale non poteva, senza incorrere in un errore di diritto, respingere il ricorso del Regno dei Paesi Bassi in quanto infondato concludendo che la Commissione avesse giustamente considerato non specifico il problema del rispetto dei valori limite comunitari di concentrazione delle particelle nell’aria ambiente. (Diritto comunitario e internazionale, Il sole 24 Ore, novembre-dicembre 2008, n. 6)

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Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 novembre 2008, Causa C-381/07 Inquinamento dell’ambiente idrico - Sostanze pericolose - Scarichi - Autorizzazione preventiva - Fissazione di norme di emissione - Regime dichiarativo - Piscicolture. (Direttiva 2006/11/Ce) La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 2006/11/Ce, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico della Comunità. Tale articolo non può essere interpretato nel senso che esso consente agli Stati membri, una volta che siano stati adottati, in applicazione di tale articolo, programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque comprendenti standard di qualità ambientale, di istituire, per taluni impianti ritenuti scarsamente inquinanti, un regime dichiarativo cui si accompagni un richiamo di tali prescrizioni e un diritto, a favore dell’autorità amministrativa, di opporsi all’apertura di un’azienda o d’imporre valori limite per lo scarico specifici per l’impianto interessato. (Diritto comunitario e internazionale, Il sole 24 Ore, novembre-dicembre 2008, n. 6)

Appalti

CORTE COSTITUZIONALE – 17 dicembre 2008, n. 411 APPALTI – Regole concorrenziali e principi comunitari di libera circolazione delle merci – Tutela della concorrenza – Competenza esclusiva del legislatore statale. La disciplina delle procedure di gara e, in particolare, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, ivi compresi quelli che devono presiedere all’attività di progettazione, mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei princípi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei princípi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sentenze n. 431 e n. 401 del 2007). Esse, in quanto volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono riconducibili all’àmbito della tutela della concorrenza, di esclusiva competenza del legislatore statale (sentenze n. 401 del 2007, n. 345 del 2004), che ha titolo pertanto a porre in essere una disciplina integrale e dettagliata delle richiamate procedure (adottata con il d.lgs. n. 163 del 2006), la quale, avendo ad oggetto il mercato di riferimento delle attività economiche, può influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni (sentenza n. 430 del 2007). APPALTI – Fase negoziale – Esecuzione del rapporto contrattuale – Ordinamento civile – Competenza esclusiva del legislatore statale. La fase negoziale dei contratti della pubblica amministrazione, che ricomprende l’intera disciplina di esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l’istituto del collaudo, si connota per la normale mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall’esercizio di autonomie negoziali e deve essere ascritta all’àmbito materiale dell’ordinamento civile (sentenza n. 401 del 2007), di competenza esclusiva del legislatore statale, che l’ha esercitata adottando le disposizioni del d.lgs. n. 163 del 2006. APPALTI – Regioni a statuto speciale – Art. 4, c. 5 d.lgs. n. 163/2006 – Obbligo di conformare la legislazione regionale in materia di appalti a quanto stabilito dal codice. L’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale, nella parte in cui stabilisce che «le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione», impone anche alle Regioni ad autonomia speciale di conformare la propria legislazione in materia di appalti pubblici a quanto stabilito dal Codice stesso.

UNITELNews24 n. 15 46

APPALTI – Regione Sardegna - Norme della L.R. n. 5/2007 – Illegittimità costituzionale. E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1 e 6, dell’art. 9, dell’art. 11, commi 12, 13, 14, 15 e 16, dell’art. 13, commi 3, 4 e 10, dell’art. 16, comma 12, dell’art. 20, comma 5, dell’art. 21, comma 1, dell’art. 22, commi 2, 14, 17 e 18, dell’art. 24, dell’art. 26, comma 2, dell’art. 30, comma 3, dell’art. 34, comma 1, degli artt. 35, comma 2, e 36, degli artt. 38, comma 1, e 39, commi 1 e 3, degli artt. 40 e 41, dell’art. 46, commi 4 e 7, dell’art. 51, commi 1 e 3, dell’art. 54, commi 1, 2, 8, 9, 10 e 11, degli artt. 57, 58, 59 e 60, e dell’allegato I (punti 45.23, 45.24, 45.25) della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2007, n. 5 (Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in attuazione della direttiva comunitaria n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004 e disposizioni per la disciplina delle fasi del ciclo dell’appalto), in quanto incidenti su materie riservate alla competenza esclusiva dello stato (tutela della concorrenza e ordinamento civile).

TAR LAZIO, Roma, Sez.II ter – 9 dicembre 2008, n. 11147 APPALTI - Contenzioso pendente tra la stazione appaltante e l’impresa partecipante alla gara – Affidamento di distinto appalto – Ricorso giurisdizionale – Interesse – Sussistenza. La circostanza che la società interessata sia parte avversa di un contenzioso avviato con la stazione appaltante riguardante una precedente gara, non è tale da escludere l’interesse a promuovere un ricorso che riguarda l’affidamento di un appalto di fornitura e servizi del tutto distinto, seppure di oggetto analogo, da quello di cui alla predetta controversia. (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)

Tribunale di Modena, sentenza 13 agosto 2008 n. 1296 Variazioni al progetto - Variazioni concordate o indicate dal committente - Forma scritta – Necessità - Esclusione. (Cc, articoli 1659 e 1661) Il requisito della forma scritta, previsto dall’articolo 1659 del Cc nell’ipotesi di variazioni alle modalità esecutive dell’opera apportate per iniziativa dell’appaltatore, non trova applicazione al caso in cui dette variazioni siano concordate con il committente o da questi indicate. In tal caso, infatti, deve applicarsi l’articolo 1661 del Cc che consente al committente di apportare variazioni al progetto riconoscendo all’appaltatore il diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 luglio 2008, n. 19305 Appalto - Difformità e vizi dell’opera - Rovina e difetti di cose immobili - Responsabilità - Condizioni – Accertamento - Insindacabilità in cassazione. (Cc, articolo 1669; Cpc, articolo 360) Tra i gravi difetti, previsti dall’articolo 1669 del Cc, idonei a configurare una responsabilità del costruttore vanno inquadrate tutte quelle deficienze costruttive incidenti sulla funzionalità e abitabilità dell’immobile, comportanti una menomazione del godimento del proprietario, sempre che sia ravvisabile un pericolo per la durata e la considerazione dell’immobile. La valutazione del giudice del merito, in ordine alla responsabilità dell’appaltatore ai sensi della ricordata disposizione, costituisce apprezzamento di merito che sfugge al sindacato di legittimità, ove sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici. (M.Fin.) (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

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Corte d’appello di Roma, sezione II, sentenza 19 giugno 2008 n. 2606 Determinazione del corrispettivo - Calcolo dell’Iva - Assenza di specificazione - Esercizio di impresa e pregressa emissione di fatture - Irrilevanza. (Dpr 26 ottobre 1972 n. 633, articolo 18, comma 2) Ai fini della determinazione del corrispettivo di appalto, nel caso in cui nel contratto non sia specificato se il prezzo è o meno comprensivo di Iva, non ha nessuna rilevanza né il fatto che la società appaltante sia nell’esercizio di impresa, né il fatto che fossero state emesse in precedenza delle fatture cosicché il prezzo indicato deve ritenersi al netto dell’Iva. Ai sensi dell’articolo 18, comma 2, del Dpr 633/1972, infatti per le operazioni imponibili per le quali non è obbligatoria l’emissione di fattura (come nel caso di specie) il prezzo deve essere inteso - sempre e comunque - come comprensivo di Iva anche se non è specificato (fermo il divieto di patti contrari) e, quindi, non ha rilevanza la pregressa emissione di fatture, perché nel caso specifico non era richiesta, né l’esercizio di impresa, perché ciò determina solo l’obbligo per la società di versare l’Iva ma non ha rilevanza alcuna per il calcolo del prezzo. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 6 dicembre 2008, n. 48)

Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 16 maggio 2008, n. 12452 Appalti pubblici - Associazione temporanea di imprese - Divieto di modificazione della composizione delle associazioni temporanee e dei consorzi - Nullità - Controversia tra le associate - Irrilevanza. (Cc, articolo 1418; legge 11 febbraio 1994 n. 109; Dlgs 17 marzo 1995 n. 158, articolo 23; legge 18 novembre 1998 n. 315, articolo 9) L’articolo 13 della legge n. 109 del 1994 (applicabile nella specie ratione temporis) nel disciplinare la partecipazione dei concorrenti riuniti nelle forme dell’associazione temporanea di imprese e dei consorzi alle procedure di affidamento in materia di lavori pubblici, dispone, al comma 5, che nel caso di presentazione di offerte da parte di dette associazioni o consorzi non ancora costituiti, questa sia sottoscritta da tutte le imprese che li costituiranno e che contenga l’impegno che, in caso di aggiudicazione della gara, le stesse imprese conferiranno mandato collettivo speciale con rappresentanza a una di esse, da qualificare come capogruppo e da indicare in sede di offerta, la quale stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e delle mandanti. A tale disposizione (che risulta rafforzata dal comma 6 dello stesso articolo 13, secondo cui l’inosservanza della stessa comporta l’annullamento della aggiudicazione o la nullità del contratto) è stato aggiunto, a opera dell’articolo 9, comma 24, della legge n. 415 del 1998, il comma 5-bis dello stesso articolo 13, sul divieto di qualsiasi modificazione della composizione delle associazioni temporanee e dei consorzi rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora sia stata modificata la composizione dell’associazione temporanea di impresa e non sia stata dichiarata la nullità dell’atto di aggiudicazione o del contratto tra il committente e l’associazione, tale nullità non può essere dichiarata nella diversa controversia (rispetto alla quale è estraneo il committente) sorta tra le imprese associate e nella quale si deduca un preteso inadempimento contrattuale tra le parti stesse. (M.Fin.) (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

Corte d’appello di Roma, sezione II, sentenza 27 febbraio 2008, n. 2375 Appalti pubblici - Contratti della Pa – Requisito della forma scritta - Necessità - Carenza – Conseguenze - Nullità del contratto - Sussistenza. (Cc, articolo 1325; Dlgs 12 aprile 2006 n. 163) Gli appalti conclusi dalla pubblica amministrazione, anche quando questa agisca iure privatorum, richiedono a pena di nullità la forma scritta; a tal fine è necessario che le parti, prima dell’inizio dei lavori, sottoscrivano, contestualmente, un atto dal quale si evinca la regolamentazione dell’opera da eseguire e il corrispettivo da corrispondere. Ne discende che il negozio concluso dalle parti solo dopo l’esecuzione dell’opera con l’intento di attribuire efficacia ex tunc a un precedente accordo verbale, è nullo e in quanto tale non sanabile ai sensi dell’articolo 1423 del codice civile. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

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Atti e provvedimenti amministrativi

Consiglio di Stato, Sezione VI, Decisione 17 ottobre 2008, n. 5055 Atti e provvedimenti amministrativi - Attività amministrativa - Potere-dovere dell’amministrazione - Dopo nomina commissario ad acta - Possibilità. La nomina da parte del giudice amministrativo del commissario ad acta non priva l’amministrazione del potere di provvedere direttamente sull’istanza, nell’esercizio delle proprie potestà ordinamentali. Atti e provvedimenti amministrativi - Attività amministrativa - Riesame disposto a seguito di ordinanza cautelare del giudice amministrativo - Ordinari termini procedimentali - Applicabilità - Conseguenza. L’azione amministrativa conseguente a ordinanza cautelare del giudice amministrativo che dispone il riesame dell’atto negativo impugnato è da ritenersi assoggettata agli ordinari termini procedimentali, con la conseguenza che anche con riguardo a essa può formarsi con il decorso dei detti termini il silenzio-assenso. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 22 novembre 2008, n. 46)

Contratti della Pa

Tribunale di Bari sezione III, sentenza 18 giugno 2008 n. 1545 Incarichi professionali - Delibera di conferimento - Omessa specificazione del compenso dovuto al professionista - Conseguenze - Nullità della delibera - Estensione del vizio al contratto d’opera professionale - Sussistenza. (Rd 3 marzo 1934 n. 383, articoli 284 e 288) La validità e la vincolatività del conferimento a un professionista privato, da parte dei competenti organi collegiali di un ente locale, dell’incarico per la progettazione di un’opera pubblica sono subordinate all’indicazione, nella relativa delibera, del compenso dovuto e dei mezzi finanziari per farvi fronte, con la conseguenza che, in mancanza, la nullità della delibera deve intendersi estesa al contratto di prestazione d’opera professionale successivamente stipulato, il quale perde altresì l’idoneità a costituire titolo per il compenso. (Nella fattispecie, il giudicante ha escluso che la pretesa di pagamento del corrispettivo, avanzata da un professionista privato nei confronti di un ente locale, fosse sorretta da valido titolo costitutivo, in quanto, pur essendo la copertura di spesa assicurata dalle somme già stanziate per il progetto, la delibera assunta dal competente organo non conteneva alcuna indicazione sull’ammontare del compenso dovuto). (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

Edilizia e urbanistica

Corte di Cassazione penale, Sezione III, sentenza 18 novembre 2008, n. 42892 Reati edilizi - Esecuzione di lavori in assenza o in difformità del titolo abilitativo - Responsabilità del comproprietario - Condizioni. (Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articoli 11 e 44; Cp, articoli 110 e seguenti) In materia di reati edilizi, la responsabilità del comproprietario, qualora questi non risulti committente o esecutore dei lavori, non può essere fondata solo sul generico riferimento all’anzidetta qualità soggettiva, ma deve essere desunta da indizi precisi e concordanti, quali l’accertamento della concreta situazione in cui è stata svolta l’edificazione abusiva, i rapporti di parentela con l’esecutore dell’opera, ovvero il committente o il proprietario. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

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Reati edilizi - Interventi subordinati a permesso di costruire - Fattispecie. (Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articoli 3, 10 e 44) Rientra tra gli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera c), del Dpr 6 giugno 2001 n. 380, portando alla realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso dal precedente, con modificazione della sagoma dell’edificio, nonché delle superfici utili dello stesso, l’intervento sostanziatosi nella parziale rimozione della copertura in tegole di un immobile con successiva realizzazione di un terrazzino a tasca. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

TAR Lazio, Sezione I-quater, sentenza 30 ottobre 2008, n. 9438 Ordinanza per esecuzione di opere – Demolizione opere edilizie abusive - Autorità competente a emettere l’ordinanza - Legge 15 maggio 1997 n. 127 – Vincolo pertinenziale - Legge 25 marzo 1982 n. 94. Quanto viene lamentata è l’incompetenza del soggetto che ha adottato l’ordinanza di demolizione, in quanto «per l’atto de quo la competenza è riservata alla sola persona del sindaco». In esito al radicale rinnovamento negli anni Novanta a opera della legge 142/1990 e del Dlgs 29/1993, sfociato nella legge 127/1997 l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive rientra nella competenza del dirigente comunale ovvero, nei comuni sprovvisti di tale qualifica, dei responsabili degli uffici e dei servizi e non del Sindaco, trattandosi di tipico potere gestionale. Sulla sussistenza o meno del vincolo pertinenziale addotto nella fattispecie, va osservato che in passato alla pertinenza edilizia, soggetta al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio ex articolo 7, comma 2, lettera a), del Dl 9/1982, convertito dalla legge 94/1982, sono state riconosciute peculiarità proprie diverse dalla nozione civilistica. È stato così delineato un concetto di pertinenza più restrittivo di quello del codice civile. Con il Dpr 380/2001 è stata introdotta una nuova disciplina. Argomentando dall’articolo 3, comma 1, lettera e.6), del citato decreto presidenziale, debbono essere ricondotti nell’ambito delle pertinenze gli interventi che comportino la realizzazione di un volume non superiore al 20% di quello dell’edificio principale. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 22 novembre 2008, n. 46)

Tribunale penale di Bologna, sentenza 29 ottobre 2008 n. 2890 Realizzazione del manufatto - Permesso di costruire - Necessità - Destinazione del manufatto. (Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articoli 44 e 37) In tema di reati edilizi, quando il manufatto è destinato a fungere da cucina è soggetto al permesso di costruire e la sua abusiva realizzazione integra il reato di cui all’articolo 44 del Dpr 380/2001. Quando invece è destinato a fungere da mero magazzino o deposito attrezzi ha da qualificarsi come mera pertinenza e come tale - ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera l), della legge regionale 25 novembre 2002 n. 31 e della delibera 10 marzo 2004 n. 15 del Consiglio comunale di Minerbio - soggetta a mera denuncia di inizio attività, la cui omissione non dà luogo a un illecito penale, ma a un semplice illecito amministrativo, sanzionato ai sensi dell’articolo 37 del Dpr 380/2001. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 7 ottobre 2008, n. 24769 Vincoli urbanistici - Osservanza - Necessità – Nei rapporti tra privati - Conseguenze - Locazione di un fondo per uno scopo non consentito da vincoli di destinazione - Nullità. (Costituzione, articoli 42 e 44; Cc, articolo 1418) I vincoli di destinazione dei fondi a determinate finalità costituiscono un limite alla proprietà terriera privata, conforme al dettato costituzionale, essendo essi volti a conseguire il razionale sfruttamento del suolo (da intendersi nel senso di ottimale utilizzazione agricola o di salvaguardia del territorio) e alla promozione di equi rapporti sociali, in ciò sostanziandosi la relativa funzionalizzazione. Deriva da quanto precede, pertanto, che la abusività urbanistica di immobili

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assume rilievo non solo nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione. I vincoli posti dalle disposizioni urbanistiche (tali essendo quelle poste sia da leggi speciali che da regolamenti edilizi comunali e da piani regolatori), infatti, rilevano anche sul piano dei rapporti privatistici della vita comune di relazione, incidendo sul contenuto del diritto di proprietà, sugli atti di disposizione e del bene e sulla responsabilità extracontrattuale. In particolare qualora sia stato oggetto di locazione un terreno avente, urbanisticamente, destinazione «verde agricolo e bosco» e le parti abbiano inteso perseguire l’intento di asservire il fondo stesso a «deposito di materiali edili», e il godimento di questo si sia estrinsecato secondo modalità attuative di tale convenuta destinazione, un tale contratto - alla pari dell’accessorio patto di prelazione in caso di vendita - è nullo in quanto volto a realizzare un godimento del bene corrispondente al risultato vietato dall’ordinamento, atteso che non solo persegue un interesse non meritevole di tutela, ma si risolve addirittura in termini di dannosità sociale. (M.Fin.) (Guida al diritto, Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2008, n. 46)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/09/2008, Sentenza n. 35912 URBANISTICA ED EDILIZIA - Disciplina antisismica - Intervento edilizio in zona sismica in assenza di autorizzazione - Natura permanente del reato. In tema di contravvenzioni antisismiche, a seguito dell'entrata in vigore del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (che ha abrogati, sostituendole, le precedenti fattispecie contemplate dagli artt. 17, 18 e 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64), i reati previsti dagli artt. 93 e 94 del citato decreto, sanzionati dall'art, 95, hanno natura di reati permanenti, in quanto il primo (art. 93) permane sino a quando chi intraprese l'intervento edilizio in zona sismica non presenta la relativa denuncia con l'allegato progetto, ovvero non termina l'intervento e il secondo (art. 94), permane sino a quando chi intraprende l'intervento edilizio in zona sismica lo termina ovvero ottiene la relativa autorizzazione (Cass. pen. sez. III sent. 5 dicembre 2007, n. 3069, Mirabelli). (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)

Tribunale di Bari, sezione IV, sentenza 24 giugno 2008, n. 1563 Edilizia popolare ed economica - Cooperative per l’edilizia popolare - Controversie inerenti ai rapporti sociali - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Presupposti. (Rd 28 aprile 1938 n. 1165, articolo 131) In tema di cooperative per la costruzione di alloggi economici e popolari, e, in particolare, di controversie inerenti ai rapporti sociali, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo richiede la sussistenza non solo del requisito soggettivo, ossia la qualificazione della cooperativa come sovvenzionata dallo Stato, ma altresì del requisito oggettivo, consistente nella fruizione del contributo statale per la costruzione degli alloggi. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 19 giugno 2008, n. 16628 Assegnazione di alloggi economici e popolari con patto di futura vendita - Trasferimento della proprietà dell’alloggio - Presupposti. (Dpr 1265/1956, articolo 27; legge 43/1949, articoli 12-19; Dpr 616/1977, articoli 91-95; legge 457/1978, articolo 52) In tema di assegnazione di alloggi economici e popolari con patto di futura vendita, il trasferimento della proprietà dell’alloggio non si determina automaticamente con l’esercizio della facoltà di riscatto, né con il completo pagamento del prezzo, ma solo quando sia stata perfezionata l’attività negoziale implicante il riconoscimento, da parte dell’istituto, dell’esistenza dei presupposti fissati dalla legge per l’esercizio del diritto al trasferimento medesimo; con la conseguenza che l’ente proprietario o gestore conserva, fino a detto trasferimento, il potere di rilevare ragioni di decadenza dai diritti collegati all’assegnazione. (M.Pis.) (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

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Energia T.A.R. LOMBARDIA,Milano, Sez.III – 10 dicembre 2008, n.5771

ENERGIA – Contratto di tolling – Funzione e causa – Ripartizione dei rischi legali alla produzione di energia elettrica.

Nel contratto di tolling un soggetto (il toller) fornisce combustibile ad un altro soggetto (il processor) che gestisce la centrale elettrica; quest’ultimo riconsegna al toller l’energia prodotta utilizzando il combustibile fornito, dietro pagamento da parte del toller di un prezzo per l’utilizzo della centrale (la tolling fee). La funzione di tale contratto è quella di ripartire i rischi, connessi all’attività di produzione dell’energia elettrica, fra i due soggetti innanzi citati: il toller si assume il rischio delle variazioni di prezzo del combustibile e del prezzo dell’energia elettrica; mentre il processor dal canto suo si limita a mettere a disposizione la capacità produttiva della sua centrale, trasformando il combustibile in energia. Tale funzione risulta ancor più chiara se si considera che la tolling fee non è commisurata al prezzo dell’energia prodotta, ma ad un corrispettivo fissato nel contratto che va a remunerare l’attività di trasformazione in sé considerata. La causa di tale contratto risulta pertanto più affine a quella dell’appalto o della somministrazione di servizi, piuttosto che a quella della compravendita. Il toller potrebbe essere anche un acquirente finale di energia; ma più frequentemente trattasi di soggetto che vende l’energia ritirata dalla centrale del processor nei mercati elettrici. Per questo motivo tale soggetto può essere considerato a pieno titolo un operatore di mercato, essendo egli riconducibile alla figura del grossista (se non a quella del produttore; cfr. art. 2, comma 18, del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79 in base al quale “Produttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica indipendentemente dalla proprietà dell'impianto”). ENERGIA – Liberalizzazione del mercato elettrico – Terna s.p.a. – Sicurezza del sistema – Equilibrio tra energia caricata sulla rete ed energia consumata – Mercato del giorno prima – Servizio di dispacciamento – Mercato per i servizi di dispacciamento. A seguito dell’emanazione del d.lgs. n.79/99, il mercato elettrico italiano, ed in particolare il mercato di produzione dell’energia, è stato oggetto di liberalizzazione; ne è scaturito un sistema che consente a chiunque sia in possesso di determinati requisiti, ed abbia conseguito una apposita autorizzazione, di produrre energia elettrica, connettersi alla rete nazionale e vendere nel mercato l’energia prodotta. Affinché tale sistema possa operare in maniera efficiente è necessario che la rete elettrica nazionale sia gestita da un soggetto estraneo agli interessi dei singoli produttori, ai quali deve essere assicurato un trattamento imparziale in ordine all’accesso alla rete stessa. Il legislatore ha pertanto stabilito di sottrarre ad Enel, proprietaria della rete, la gestione di questa, ed ha deciso di affidare tale incombenza ad una società appositamente costituita: Terna s.p.a. Fra i compiti che competono a quest’ultima vi è quello di garantire la sicurezza del sistema: poiché l’energia elettrica è un bene che non può essere immagazzinato e stoccato (se non per minimi quantitativi), è necessario che, istante per istante, la quantità di energia che viene caricata sulla rete dai produttori, sia pari alla quantità di energia che viene via via prelevata dai consumatori. La quantità di energia elettrica immessa giorno per giorno nella rete dipende, in prima battuta, dall’entità della domanda e dell’offerta come risultanti dalle contrattazioni che si svolgono nel mercato elettrico del giorno prima (MGP). In tale mercato, che si svolge quotidianamente, i produttori e gli acquirenti si accordano per la vendita e l’acquisto della quantità di energia necessaria al soddisfacimento della domanda relativa al giorno successivo. Poiché tuttavia la quantità di energia immessa in rete, istante per istante, dai produttori non coincide perfettamente con la quantità consumata, è necessario un intervento da parte del Gestore della Rete atto a riequilibrare il sistema. Terna garantisce tale equilibrio attraverso l’espletamento di un apposito servizio: il servizio di dispacciamento. Nella pratica il Gestore della rete stipula contratti con soggetti specificamente abilitati, titolari di impianti denominati unità di produzione o di consumo, i quali si obbligano a immettere e/o a prelevare energia elettrica secondo le disposizioni impartite dal Gestore stesso, cosicché sia costantemente assicurato l’equilibrio del sistema, e cioè sia garantito che la quantità di energia immessa nella rete, sia costantemente pari alla quantità prelevata. I contratti sopra citati vengono stipulati in un apposito mercato dell’energia elettrica,

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denominato mercato per i servizi di dispacciamento (MSD). Attraverso la conclusione dei contratti testé menzionati, Terna è in grado di impartire agli operatori, anche mediante la formulazione di specifici programmi, le disposizioni necessarie affinché questi ultimi immettano nel (e prelevino dal) sistema energia elettrica, cosicché esso permanga in costante equilibrio. ENERGIA – Sicurezza del sistema – Terna – Unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrixo – Del. n. 111/2006 AEEG – Aspetto qualitativo e quantitativo dell’offerta – Prezzo dell’energia necessaria all’erogazione del servizio di dispacciamento. L’intervento di Terna attraverso il reperimento di risorse sul mercato dei servizi di dispacciamento non è il solo strumento di cui dispone il Gestore della Rete per garantire la sicurezza del sistema. Con la deliberazione n. 111/2006, l’AEEG ha introdotto un nuovo istituto, quello delle unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrico. Tale istituto prevede che talune delle unità abilitate, il cui apporto sia ritenuto indefettibile per la sicurezza, vengano inserite in un determinato elenco (quello delle unità essenziali appunto) e che, a seguito di tale inclusione, Terna possa esercitare su di esse particolari poteri che le consentono di dettare vincoli e criteri in ordine alle offerte di energia che dette unità andranno a fare nei mercati elettrici: in tal modo il Gestore della Rete è in grado di influire sia sull’aspetto quantitativo e qualitativo dell’offerta (non solo sull’offerta del mercato per il servizio di dispacciamento), sia sul prezzo dell’energia necessaria all’erogazione del servizio di dispacciamento. ENERGIA – Unità essenziali – Competenza dell’AEEG – Fondamento – Servizio di dispacciamento – Limitazioni. La competenza in materia di unità essenziali è ricavabile da talune norme di carattere primario: art. 2, comma 12, della legge n. 481/95, art. 3, comma 3 del d.lgs. 79/99. Fra i servizi presi in considerazione delle predette norme vi è anche il servizio di dispacciamento volto a garantire la sicurezza del sistema, e pertanto in tale materia l’Autorità può intervenire emanando apposite direttive e prescrizioni dirette ad assicurare specifici livelli di qualità delle prestazioni rese nell’ambito di tale servizio. L’istituto delle unità essenziali, configurato dagli artt. 63 e seguenti della deliberazione dell’AEEG n. 111/06 - in quanto strumento di garanzia per un efficace espletamento del servizio di dispacciamento, ed in definitiva di garanzia della qualità delle prestazioni rese nell’ambito di tale servizio in occasione di circostanze di particolari criticità – trova pertanto fondamento nelle succitate disposizioni di carattere primario. Il mercato afferente al servizio di dispacciamento può subire l’intervento di regole che vanno a limitare il gioco della concorrenza qualora ricorrano circostanze di particolare criticità che rendono opportuno contenere i costi di sicurezza del sistema. Del resto si deve considerare del tutto ragionevole un regime che preveda siffatte limitazioni, giacché, soprattutto in caso di rischio di gravi squilibri nel sistema, gli operatori potrebbero abusare della propria posizione e spingere il costo delle risorse essenziali per la sicurezza a livelli anormalmente elevati, così determinando condizioni di criticità idonee a compromettere le stesse esigenze di sicurezza. Essendo tuttaviail regime del libero mercato quello di carattere generale, è ovvio che ogni limitazione che ad esso si impone deve essere circoscritta ad ipotesi particolari, e deve essere disposta attraverso l’adozione di provvedimenti adeguatamente motivati che diano conto delle ragioni di interesse pubblico connesse alla sicurezza del sistema che richiedono l’introduzione di misure derogatorie.

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 9 dicembre 2008, n. 1006

ENERGIA –Impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili – D.lgs.n. 387/2003 – Regione siciliana –Diretta applicazione – Autorizzazione unica – Procedimento unico. Le disposizioni del d. lgs. n. 387/2003, e segnatamente l’art. 12, trovano diretta applicazione nei confronti della Regione siciliana, ai sensi degli artt. 16 ed 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. Pertanto, in base ai principi posti dai comma 3 e 4 del predetto art. 12, la costruzione e l'esercizio degli impianti di

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produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili richiede “un’autorizzazione unica”, a seguito di “un procedimento unico”, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, mediante conferenza dei servizi. In tal modo, le determinazioni delle amministrazione interessate, devono essere espresse solo in sede di conferenza di servizi, così da assicurare l’unicità del procedimento, mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l’autorizzazione unica finale. ENERGIA – V.I.A. - Impianti di produzione di energia mediante sfruttamento del vento – Assoggettamento a V.I.A. - Allegato B), del D.P.R. 12 aprile 1996, punto 2, lett. e). I progetti d’impianti industriali per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento sono assoggettati alla procedura di valutazione d'impatto ambientale, ai sensi dell’allegato B), del D.P.R. 12 aprile 1996, punto 2, lett. e), aggiunta dall'art. 2 D.P.C.M. 3 settembre 1999. ENERGIA – V.I.A. – Costruzione ed esercizio degli impianti eolici - Conferenza di servizi – D.P.R. 12 aprile 1996 – L.R. Sicilia n. 6/2001 – Principio di obbligatorietà della conferenza di servizi – Soprintendenza per i beni archeologici – Parere sulla compatibilità paesaggistica – Esercizio del potere al di fuori della conferenza di servizi – Illegittimità. Nel contesto normativo di cui al D.P.R. 12 aprile 1996, a cui principi fa richiamo la L.R. Sicilia 3 maggio 2001, n. 6, e alla luce del principio di obbligatorietà della conferenza di servizi (articolo 14, comma 2, l. n. 241 del 1990, come modificato dall'articolo 8 della legge 11 febbraio 2005, n. 15) tutte le amministrazioni tenute ad adottare le proprie determinazioni, ai fini della valutazione d’impatto ambientale per la costruzione e l'esercizio degli impianti eolici, devono esprimere il proprio avviso in sede di conferenza dei servizi. Ciò comporta che la Soprintendenza per i beni archeologici non ha il potere di pronunciarsi sull’istanza di autorizzazione al di fuori della conferenza di servizi: infatti, per quanto, astrattamente, il potere di rilasciare pareri sulla compatibilità paesaggistica spetti alla Soprintendenza, lo stesso deve necessariamente essere esercitato all’interno della procedura di cui si è accennato. (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)

Espropriazione

Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 11 settembre 2008 n. 23399 Espropriazione - Indennità - Articolo 5-bis del Dl n. 333 del 1992 - Dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma - Criterio applicabile - Articolo 2, comma 90, della legge n. 244 del 2007 - Efficacia retroattiva – Ai giudizi in corso - Esclusione - Conseguenze. (Legge 25 giugno 1865 n. 2359, articolo 39; Dl 11 luglio 1992 n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, articolo 5-bis; Dpr 8 giugno 2001 n. 327, articolo 57; legge 24 dicembre 2007 n. 244, articolo 2) Dichiarata, nelle more del giudizio (nella specie: in pendenza del ricorso per cassazione avverso la sentenza che aveva quantificato l’indennità) la illegittimità costituzionale dell’articolo 5-bis del decreto legge n. 333 del 1992, convertito nella legge n. 359 del 1992, trova applicazione, per la determinazione dell’indennizzo di aree fabbricabili, il criterio generale fissato dall’articolo 39 della legge n. 2359 del 1865, l’indennizzo - cioè - è pari al valore venerale del bene, atteso che tale disposizione non può ritenersi abrogata per effetto dell’articolo 57 del Dpr n. 327 del 2001. Nella specie, inoltre, non trova applicazione lo ius superveniens costituito dall’articolo 2, commi 89 e 90, della legge n. 244 del 2007 (secondo cui quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico sociale l’indennità è ridotta del venticinque per cento) atteso che la norma intertemporale contenuta nel comma 90 ricordato prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di espropriazione solo con riferimento ai procedimenti espropriativi e non anche ai giudizi in corso. (M.Fin.) (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

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Corte d’appello di Napoli, sezione I civile, sentenza 8 luglio 2008 n. 2752 Requisizioni per insediamenti per i senza tetto - Trasformazione in occupazioni preordinate all’espropriazione - Obbligo di esproprio a carico dei comuni - Sussistenza - Effettiva realizzazione degli insediamenti - Necessità. (Legge 19 aprile 1984 n. 80, articolo 6, comma 4) Nel caso in cui, in concreto, il fondo requisito non sia stato mai utilizzato per la posa in opera di insediamenti provvisori per i senza tetto (nel senso che sono state realizzate le opere di preparazione e di urbanizzazione, ma poi gli alloggi provvisori ricavati da containers non vi sono stati mai collocati), manca il presupposto per l’applicazione dell’articolo 6, comma 4, della legge 80/1984 che, disposta la trasformazione di tali requisizioni in occupazioni preordinate alle espropriazioni, pone l’obbligo di espropriazione solo a carico dei comuni che abbiano utilizzato i fondi requisiti per l’installazione di tali insediamenti provvisori. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

Giustizia amministrativa

Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Decisione 10 novembre 2008, n. 11 Giudizio amministrativo - Appalto - Ricorso - Ricorso incidentale - Interesse a ricorrere - Condizioni. In capo al ricorrente avverso un atto di aggiudicazione di gara pubblica svolta tra due soli concorrenti sussiste un interesse a ricorrere non solo quando l’annullamento dell’atto amministrativo lesivo è di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del singolo, ma anche quando il predetto annullamento comporti la rinnovazione della procedura di gara con esito favorevole al ricorrente Giudizio amministrativo - Appalto pubblico - Ricorso - Ricorso incidentale - Appello - Appello incidentale - Ordine di trattazione - Principio di parità delle parti - Imparzialità del giudice. (Legge 1034/1971, articolo 22; Rd 1054/1924, articolo 34; Costituzione, articolo 111) Per i principi della parità delle parti e di imparzialità del giudice, quando le due uniche imprese ammesse alla gara abbiano ciascuna impugnato l’atto di ammissione dell’altra, la scelta in merito all’ordine di trattazione tra appello principale e appello incidentale non può avere rilievo decisivo sull’esito della lite. Pertanto la fondatezza del ricorso incidentale, esaminato preliminarmente, non preclude l’esame di quello principale, né la fondatezza del ricorso principale, esaminato preliminarmente, preclude l’esame di quello incidentale, poiché entrambe le imprese sono titolari dell’interesse minore e strumentale all’indizione di una ulteriore gara. Giudizio amministrativo - Ordinamento processuale - Ordine di esame sui ricorsi - Scelta discrezionale del giudice - Sussistenza. L’ordinamento processuale amministrativo non detta alcuna disposizione né pone criteri generali circa l’ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentali. La relativa scelta è pertanto lasciata al prudente apprezzamento del giudice adito, censurabile unicamente sotto il profilo dell’irragionevolezza, circostanza che non ricorre nel caso in cui la priorità data al ricorso incidentale sia giustificata dalle censure nello stesso dedotte, suscettibili di incidere sull’interesse a ricorrere del ricorrente principale e, quindi, sulla sussistenza di una condizione dell’azione. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 6 dicembre 2008, n. 48)

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Inquinamento TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 12 dicembre 2008, n.1767 INQUINAMENTO – A.I.A. – D.lgs. n. 59/2005 – Poteri del sindaco in relazione al TULS 1265/1934 in materia di industrie insalubri – Coordinamento e limiti. L’autorizzazione integrata ambientale è istituto introdotto nel nostro ordinamento dal d. lgs. 18 febbraio 2005 n°59; essa si propone, a fini di maggiore efficacia ed efficienza, di sostituire con un unico titolo abilitativo i molti di essi che in precedenza erano necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante. Con l’’A.I.A. risulta pertanto contraddittorio un potere come quello riconosciuto al Sindaco dagli artt. 216 e 217 T.U.L.S. in relazione al D.M. 5 settembre 1994: se al Sindaco stesso fosse consentito, attraverso la dichiarazione di insalubrità, di obbligare in qualsiasi momento l’industria destinataria del provvedimento, ancorché fornita di A.I.A., ad allontanarsi dall’abitato, è evidente che di autorizzazione integrata, e onnicomprensiva, non si potrebbe più parlare, e l’obiettivo della legge sarebbe frustrato. In proposito, quindi, il legislatore del d. lgs. 59/2005, al comma 11 dell’art. 5, ha previsto un coordinamento fra le due discipline, imponendo all’autorità che rilascia l’A.I.A. di acquisire, in sede di istruttoria, le “prescrizioni del Sindaco di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934 n°1265”, di tenerne conto nel rilascio dell’autorizzazione; al Sindaco ha conferito poi un potere di intervento anche a posteriori, consentendogli “in presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell’autorizzazione” e qualora “lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica” di chiedere alla Regione il riesame, in vista ovviamente di una revoca o modifica, dell’autorizzazione stessa. In sintesi, il potere di far allontanare un’industria in quanto insalubre è degradato a potere di intervento e di promozione procedimentale nei riguardi della Regione, che ormai accentra tutte le competenze in materia. (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 5 dicembre 2008, n. 6055 INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 – Misura ablatoria personale – Rapporti con la disciplina di cui agli art. 91, R.D. 45/1901, art. 9 R.D. n. 1406/1931, artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934, art. 17 D.P.R. n. 303/1956. La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 risiede nella sua natura di misura ablatoria personale, consentita in apicibus dall’art. 23 Cost., la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati. Le norme di cui all’ art. 91 del R.D. n. 45/1901; l’art. 9 del R.D. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934 e l’art. 17 del D.P.R. n. 303/1956 non avevano tale connotazione e, dunque, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17. INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 – Confronto con le disposizioni di cui agli artt. 2043,2050 e 2058 c.c. – Continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 17 d.lgs. n. 22/97- Inconfigurabilità – Applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 – Illegittimità. Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata,nella specie, l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse. Non è pertanto ravvisabile continuità normativa tra l’art. 2043 c.c. e il menzionato art. 17 del decreto Ronchi : ne discende che la seconda previsione non si presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima e che un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita applicazione retroattiva della legge.

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INQUINAMENTO – Siti contaminati - Società responsabile dell’inquinamento – Estinzione anteriore al 1997 – Applicabilità dell’art. 17 d.lgs. n. 22/97 – Esclusione – Altri strumenti di intervento – Cd. successione economica. Nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del 1997 non è possibile applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi artt. 239 e ss.) E’ però possibile far valere, a regime, l’ordinaria responsabilità civilistica di tipo aquiliano; inoltre, sul versante amministrativo, rimangono comunque adottabili (come già avveniva in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto Ronchi) i provvedimenti contingibili contemplati dall’ordinamento per i casi di qualificate urgenze di intervenire. In particolare, nei provvedimenti contingibili e urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di attivazione, discrezionalmente individuati dall’amministrazione procedente, può motivatamente seguire anche le diverse regole della successione c.d. “economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato) che consentono, per la migliore e immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di derogare al generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina paga”, di onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche latenti, di un bene-impresa dei correlativi costi dell’internalizzazione delle diseconomie esterne prodotte. INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati – Accertamenti tecnici – Art. 223 c.p.p. – Applicabilità – Esclusione – Prelievo e analisi dei campioni – Procedura – Allegato 2 del D.M. n. 471/99. In materia di accertamenti tecnici prodromici ai provvedimenti finalizzati alla bonifica dei siti contaminati, non è invocabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., dal momento che questa disposizione certamente non esprime un principio generale: si tratta piuttosto una previsione speciale del diritto processuale penale, dettata all’unico fine di stabilire le condizioni alle quali è consentita la migrazione, nel fascicolo del dibattimento, dei verbali di analisi non ripetibili e di quelli di revisione e alla cui eventuale violazione corrisponde solo la sanzione endoprocessuale della nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. (Cass., sez. III pen., 28.6.2006, n. 37400). In sede amministrativa il contraddittorio procedimentale sugli accertamenti tecnici può svolgersi secondo altre modalità e la regola del preventivo avviso, pur configurandosi come una forte tutela, non è sempre imposta dall’ordinamento né deve essere necessariamente osservata, potendo ugualmente assicurarsi, seguendo altri schemi procedurali, una piena dialettica tra l’amministrazione e gli interessati. E’ questo il caso del D.M. n. 471/1999 che, nell’Allegato 2, reca una completa e dettagliata disciplina delle “Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni”, prevedendo, tra l’altro, dei campioni supplementari “per eventuali contestazioni e controanalisi”. (a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)

Previdenza e assistenza

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 28 ottobre 2008, n. 25888 Cassa edile - Natura di ente di previdenza e assistenza - Conseguenze - Idoneità dell’attestazione del credito per l’emissione di decreto ingiuntivo. (Cpc, articolo 635) La Cassa edile deve essere ricompresa, al pari degli altri enti di previdenza e assistenza, nella previsione di cui al comma 2 dell’articolo 635 del Cpc, cosicché deve riconoscersi l’idoneità dell’attestazione del credito a costituire prova ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo. (F.S.Iv.) (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

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Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 21 luglio 2008, n. 20080 Infortuni sul lavoro e malattie professionali – Malattia del lavoratore - Fasce orarie di reperibilità - Giustificatezza dell’assenza - Effettuazione di visita cardiologica già fissata - Idoneità. (Dl 463/1983, convertito dalla legge 638/1983, articolo 5) Per giustificare la violazione dell’obbligo di reperibilità in determinati orari non è richiesta l’assoluta indifferibilità della prestazione sanitaria da effettuare durante le cosiddette fasce orarie, ma basta un serio e fondato motivo che giustifichi l’allontanamento da essa. (Nella specie, la Suprema corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificata l’assenza del lavoratore allontanatosi dal domicilio per l’effettuazione di un elettrocardiogramma e di una visita cardiologica, anche perché il differimento dell’appuntamento avrebbe comportato il rischio di un rinvio molto lungo, «stante le ben note difficoltà in cui versa il servizio sanitario»). (F.S.Iv.) (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 6 dicembre 2008, n. 48)

Pubblica amministrazione

Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 18 giugno 2008, n. 16577 Progetto di opera pubblica - Non preceduto da valido incarico professionale - Utilità per l’ente pubblico - Liquidazione del compenso professionale. (Cc, articoli 1226 e 2041) Nel caso dell’elaborazione, a favore di un ente pubblico, che ne abbia riconosciuto l’utilità, di un progetto di opera pubblica non preceduta da un valido incarico professionale conferito contrattualmente, l’indennizzo dovuto ex articolo 2041 del Cc al professionista va liquidato, nei limiti dell’arricchimento dell’ente, con riguardo all’entità dell’effettiva perdita patrimoniale subita dal professionista, da accertarsi tenendo conto delle spese anticipate per l’esecuzione dell’opera e del mancato guadagno, da determinarsi eventualmente anche ex articolo 1226 del Cc, che lo stesso avrebbe ricavato dal normale svolgimento della sua attività professionale nel periodo di tempo dedicato invece all’esecuzione dell’opera utilizzata dall’ente pubblico, senza la possibilità di far ricorso a parametri contrattuali. (M.Pis.) (Guida al diritto, Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2008, n. 46)

Pubblico impiego

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 5 novembre 2008, n.26556 Impiego pubblico - Riassunzione del dipendente cessato dal servizio - Natura - Effetti. (Costituzione, articolo 97; Dpr 3/1957, articolo 132) Nel rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, l’istituto della riammissione in servizio, al pari di quello cosiddetto dello scorrimento della graduatoria, risponde all’interesse pubblico di procedere alla copertura di vacanze utilizzando l’esito di procedure concorsuali pregresse, nel rispetto, quindi, del precetto recato dall’articolo 97 della Costituzione, e presuppone, di conseguenza, il potere ampiamente discrezionale di provvedere alla copertura dei posti con tale modalità. La domanda di riammissione del dipendente cessato dal servizio deve qualificarsi come proposta di stipulazione di un nuovo contratto di lavoro, che l’amministrazione può accettare o rifiutare; la riassunzione origina un nuovo rapporto, del tutto svincolato dal precedente. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

Corte dei conti, sez. regionale di controllo per il Molise, delibera n. 34 del 14 ottobre 2008

Responsabilità amministrativa - Copertura assicurativa - Con oneri anche solo in parte a carico della PA - È inammissibile Una struttura contrattuale che, nell’assicurare i danni conseguenti da condotte connotate da colpa

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lieve, indichi come beneficiario il dipendente e contempli la ripartizione del pagamento del premio assicurativo per il 50% a carico dell’ente e per il 50% a carico del dipendente si pone in contrasto con la norma giuridica disciplinante il settore e disattende una consolidata giurisprudenza contabile, sicché la stipula di una polizza assicurativa per responsabilità amministrativa patrimoniale derivante da colpa lieve a favore dei propri dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa, responsabili di procedimento con il pagamento del relativo premio per il 50% a carico dell’ente e per il 50% a carico dell’assicurato, viola l’art. 3, co. 59, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008) e i principi affermati da una consolidata giurisprudenza contabile.

NOTA Inammissibile l’assicurazione per responsabilità amministrativa patrimoniale con oneri anche solo in parte a carico della PA. La sezione molisana di controllo della Corte dei conti ha preso posizione sull’applicazione dell’art. 3, co. 59, della legge n. 244/2007, specificando che esso ha positivizzato un principio affermato da una consolidata giurisprudenza contabile circa l’illegittimità della stipulazione di po- lizze assicurative per la copertura di danni che amministratori e dipendenti dell’ente locale potrebbero essere chiamati a risarcire all’ente medesimo o ad altri enti pubblici, quale conseguenza di un’accertata responsabilità amministrativa o contabile. Per una uniforme giurisprudenza contabile, infatti, “il pagamento, da parte di un ente locale, dei premi assicurativi per polizze stipulate a favore dei propri dipendenti a copertura delle conseguenze derivanti da sentenze di condanna della Corte dei conti, che discendono dagli illeciti amministrativi, non può che definirsi danno per l’erario, in quanto del tutto privo di sinallagma e non rispondente ad alcun interesse pubblico” (Corte dei conti, sez. giurisdiz. Umbria, 10 dicembre 2002, n. 553). Anzitutto, per la delibera in commento, il divieto sancito dalla norma, anche se espressamente riferito ai soli amministratori degli enti pubblici, in considerazione del riportato orientamento giurisprudenziale e della ratio della norma, è senz’altro da intendersi come riferito a tutti i dipendenti pubblici. Inoltre, hanno osservato i giudici contabili molisani, la traslazione del rischio dal soggetto imputabile e riconosciuto colpevole all’ente divenuto creditore operata da una siffatta copertura assicurativa vanificherebbe la funzione sanzionatoria e deterrente che, oltre a quella risarcitoria, è connotato proprio della responsabilità amministrativa, come indicato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 371/1998. La giurisprudenza contabile è infatti orientata nel senso di riconoscere all’ente pubblico la possibilità di assicurare esclusivamente i rischi che rientrano nella sfera della propria responsabilità patrimoniale come le conseguenze di fatti causativi di danno posti in essere da amministratori e dipendenti pubblici senza dolo o colpa grave. Per siffatta tipologia di danni l’ente può ricorrere ad una copertura assicurativa, stipulando una polizza in cui l’ente sia al tempo stesso l’assicurato ed il beneficiario. In altri termini, assicurandosi per fatti dannosi commessi da amministratori e dipendenti con “colpa lieve”, l’ente si tutela da danni che, diversamente, rimarrebbero a suo carico giacché in assenza di un elemento soggettivo connotato da dolo o colpa grave non sarebbe possibile un’azione di rivalsa. Integra invece un’ipotesi di danno erariale il comportamento dell’ente che assicuri i danni, scaturenti da fatti connotati da colpa grave o dolo integranti responsabilità amministrativa e contabile, dei quali non deve rispondere ma che anzi lo vedrebbero nella veste di creditore. Nei termini e con i limiti indicati per i giudici contabili molisani è dunque ammissibile che l’ente stipuli una polizza assicurativa per il risarcimento dei danni causati dagli amministratori e dipendenti con “colpa lieve”, fermo restando che il divieto posto dall’art. 3, co. 59, della legge n. 244/2007 non incide sulla disciplina dettata dall’art. 86, co. 5, del Dlgs n. 267/2000, che prevede la possibilità per i comuni, le province, le comunità montane, le Unioni di comuni ed i consorzi tra enti locali di assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all’espletamento del loro mandato. Con l’avvertenza che la citata copertura assicurativa non può, comunque, comprendere la responsabilità amministrativa e contabile. Quanto all’ipotesi di ripartire il pagamento del premio assicurativo, a copertura di danni arrecati all’ente per fatti dannosi commessi con colpa lieve, per un 50% a carico dell’ente ed un 50% a carico dei dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa che vengono ritenuti i reali beneficiari della polizza, la delibera in esame ha affermato che non è dato intendere quale sarebbe per i dipendenti “assicurati” l’utilità ricavabile dalla stipula di una polizza assicurativa siffatta, non essendo configurabile la responsabilità amministrativa in presenza di un elemento soggettivo integrante la sola colpa lieve e, conseguentemente, a quale titolo avverrebbe la loro partecipazione al pagamento della metà del premio.

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In effetti, sembrerebbe configurarsi un contratto che dal lato dei dipendenti appare privo di causa, cioè privo di ragione concreta. E poiché una struttura contrattuale che, nell’assicurare i danni conseguenti da condotte connotate da colpa lieve, indichi come beneficiario il dipendente e contempli la ripartizione del pagamento del premio assicurativo per il 50% a carico dell’ente e per il 50% a carico del dipendente si pone in contrasto con la norma giuridica disciplinante il settore e disattende una consolidata giurisprudenza contabile, la sezione molisana ha concluso nel senso che la stipula di una polizza assicurativa per responsabilità amministrativa patrimoniale derivante da colpa lieve a favore dei propri dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa, responsabili di procedimento con il pagamento del relativo premio per il 50% a carico dell’ente e per il 50% a carico dell’assicurato, sia violativa dell’art. 3, co. 59, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e dei principi affermati da una consolidata giurisprudenza contabile. (Massimiliano Atelli, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, dicembre 2008, n. 12)

Corte dei conti, sez. III giurisdiz. centrale d’appello, sentenza n. 314 del 13 ottobre 2008

Danno erariale - Ravvisibilità nel rifiuto del dipendente di restituire somme percepite senza titolo - Esclusione Il rifiuto opposto alla restituzione di somme, percepite sulla base di un formale provvedimento di attribuzione, non può certo configurare alcuna violazione di obblighi di servizio, rientrando la pretesa alla restituzione di somme in un ordinario rapporto civilistico tra dipendente e datore di lavoro.

NOTA Niente giudizio contabile per il dipendente che rifiuta di restituire somme percepite senza titolo. Con la decisione n. 314, la terza sezione centrale d’appello della Corte dei conti ha affermato che, per consolidata giurisprudenza, si riconosce la responsabilità del dipendente (con conseguente attrazione del relativo giudizio nella cognizione del giudice contabile) per il danno conseguito all’indebita percezione di emolumenti solo nell’ipotesi in cui vi abbia dato causa con il proprio comportamento fraudolento o per mancato adempimento degli obblighi di servizio. Il che non accade nel caso di mero rifiuto di restituire una somma non spettante (diverso sarebbe, invece, il fatto percettivo quale conseguenza del mancato adempimento di obblighi di servizio). In altri termini, il rifiuto opposto alla restituzione di somme, percepite sulla base di un formale provvedimento di attribuzione, non può certo configurare alcuna violazione di obblighi di servizio, rientrando la pretesa alla restituzione di somme in un ordinario rapporto civilistico tra dipendente e datore di lavoro. (Massimiliano Atelli, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, dicembre 2008, n. 12)

Corte di cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 settembre 2008, n. 22929 Impiegati regionali, provinciali e comunali - Art. 15, co. 2, del decreto del presidente della regione Sicilia n. 26/1999 - Compenso di posizione di responsabilità - Individuazione dei beneficiari nel contratto decentrato - Riconoscimento del diritto - Adozione del contratto decentrato Spetta alla contrattazione collettiva integrativa individuare i soggetti beneficiari del “compenso di posizione di responsabilità” previsto dall’art. 15, co. 2, del decreto del presidente della regione Sicilia n. 26 dell’11 novembre 1999, che rinvia espressamente, a tal fine, alla contrattazione decentrata, dovendosi escludere che l’espressione “individuazione” usata nel testo normativo assuma valore meramente ricognitivo; ne consegue che, ove il contratto collettivo integrativo non sia stato concluso, non è configurabile alcun diritto soggettivo all’attribuzione dell’emolumento.

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NOTA Il diritto all’attribuzione del compenso di posizione di responsabilità sorge solo all’adozione del contratto collettivo integrativo. La decisione in esame si presenta di particolare interesse, poiché, a prescindere dalla specifica pretesa dedotta nel merito, si caratterizza per la sua portata di carattere generale, in quanto relativa alla pretesa del riconoscimento di compensi aggiuntivi in assenza della contrattazione decentrata di riferimento, ribadendo principi di base che governano la c.d. gerarchia delle fonti anche nell’ambito della contrattazione collettiva. Nella fattispecie un funzionario della regione Sicilia chiedeva l’accertamento del diritto all’adeguamento del compenso previsto dall’art. 15 del decreto del presidente della Regione Sicilia 11 novembre 1999, n. 26, recettivo di un accordo per il personale regionale per il biennio economico 1998-1999 e per il quadriennio giuridico 1998-2001. L’amministrazione riteneva di dover pagare tale compenso solo dopo l’individuazione degli aventi diritto da parte della contrattazione collettiva integrativa. Secondo la Suprema corte la lettura della norma contrattuale non lascia incertezze sulla legittimità dell’orientamento espresso dall’amministrazione, poiché il citato art. 15 prevede la concessione di un “compenso revocabile di posizione di responsabilità” a favore, tra gli altri, dei dirigenti coordinatori di gruppi di lavoro formalmente costituiti - quale era l’interessato - previa la loro individuazione in sede di contrattazione decentrata. Il termine “individuazione”, usato sia a proposito dei soggetti beneficiari del compenso sia dei criteri di attribuzione entro un minimo ed un massimo stabiliti nel contratto nazionale, non può significare “ricognizione” - come avevano asserito i giudici di merito - di soggetti già individuati, ma proprio individuazione degli aventi diritto tout court. (Massimiliano Atelli, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, dicembre 2008, n. 12)

Rifiuti

Cassazione, sezione III penale, 1° ottobre 2008, n. 37280, Rifiuti - Rifiuti speciali non pericolosi - Materiale inerte da demolizione – Abbandono - Artt. 192 e 256, D.Lgs. n. 152/2006 In caso di condanna (o sentenza di patteggiamento della pena) per il reato di inquinamento previsto dall’articolo 257, D.Lgs. n. 152/2006, il giudice può subordinare la concessione del predetto beneficio alla bonifica del sito inquinato secondo le procedure regolamentate dallo stesso decreto legislativo, in virtù della norma specifica prevista del medesimo articolo 257, comma 3, mentre, in caso di condanna (o di sentenza di patteggiamento della pena) per gli altri reati in materia di gestione dei rifiuti o per altri reati che cagionino danni ambientali, il giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena al ripristino ambientale o a una bonifica del sito non legislativamente regolamentata pur, tuttavia, soggetta al controllo dell’autorità giudiziaria o di un organo tecnico appositamente delegato, in virtù del principio generale consacrato nell’articolo 165 c.p., secondo il quale il detto beneficio può essere subordinato alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

NOTA La sentenza in esame trae origine dal provvedimento del 22 gennaio 2008 mediante il quale il Tribunale monocratico di L’Aquila dichiarava un soggetto colpevole: a) del reato di cui all’articolo 192 e all’articolo 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, in relazione al comma 1, lettera a) perché quale titolare dell’omonima impresa individuale esercente attività di movimento terra ed edile aveva illecitamente abbandonato o depositato in modo incontrollato rifiuti speciali non pericolosi, consistenti in inerti da demolizione di edifici; b) del reato di cui all’articolo 734 c.p., perchè, nella qualità e con la condotta suddette, aveva alterato la bellezza naturale del luogo, soggetto a speciale protezione dell’autorità e per l’effetto lo condannava alla pena di 2.500 euro di ammenda, col beneficio della non menzione della condanna, e disponeva la restituzione dell’area sequestrata subordinatamente alla bonifica della stessa a spese e a cura dell’imputato sotto il controllo della competente stazione del Corpo Forestale dello Stato.

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In particolare, il Giudice monocratico aveva accertato e osservato che: - in esito alla demolizione di un fabbricato appartenente ad altro soggetto, il reo aveva ricevuto da questi l’incarico di smaltire il materiale risultante dalla demolizione; - l’imprenditore, senza alcuna autorizzazione amministrativa, aveva trasportato e smaltito il materiale in un’area di proprietà di un terzo dove i rifiuti giacevano da circa un mese quando il Corpo Forestale dello Stato aveva proceduto al sequestro; - i rifiuti, accatastati in modo disordinato e disomogeneo, alteravano indubbiamente la bellezza del luogo paesaggisticamente tutelato. Il difensore dell’imputato, avverso la sentenza del Giudice di merito, aveva proposto ricorso per Cassazione deducendo, tra l’altro, l’erronea applicazione degli articoli 256 e 257, D.Lgs. n. 152/2006, nonché esercizio di potestà riservata all’autorità amministrativa, laddove la sentenza impugnata aveva subordinato la restituzione dell’area alla bonifica della stessa a carico dell’imputato. Nel ricorso, l’imputato aveva richiamato, al riguardo, l’articolo 239, D.Lgs. n. 152/2006, secondo il quale le disposizioni relative alla bonifica dei siti contaminati non si applicano alle ipotesi di abbandono di rifiuti, e l’articoa lo 192 dello stesso decreto, secondo il quale colui che si è reso responsabile di abbandono, di deposito incontrollato o di immissione nelle acque superficiali o sotterranee di rifiuti, è tenuto a procedere alla rimozione, al recupero o allo smaltimento dei rifiuti stessi in solido col proprietario o con i gestori dell’area. Secondo il difensore, si trattava di procedure nelle quali per legge interviene l’autorità amministrativa (Regione, Provincia e Comune), con la conseguenza che l’autorità giudiziaria non ha competenza in materia. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza sopra descritta mediante la quale il ricorrente censurava la subordinazione della restituzione dell’area sequestrata alla previa bonifica della stessa, in quanto la restituzione della cosa sequestrata non poteva essere sottoposta a condizione. Infatti, nel caso di sequestro probatorio, l’articolo 262 c.p.p., prevede che, con la sentenza di merito, il giudice debba ordinare la restituzione delle cose sottoposte a sequestro, essendo venute meno le esigenze probatorie che l’aveva giustificato, a meno che, su apposita istanza di parte, decida di convertire il sequestro a fini di garanzia dei crediti indicati nell’articolo 316 c.p.p., o a fini di prevenzione ex articolo 321 c.p.p., ovvero disponga la confisca nelle ipotesi consentite (del cit. articolo 262, commi 2, 3 e 4). Analogamente, nel caso di sequestro preventivo, a norma dell’articolo 323 c.p.p., il giudice che pronuncia la sentenza di condanna deve ordinare la restituzione delle cose sequestrate, a meno che non ne disponga la confisca o che, sempre su apposita istanza della parte legittimata, decida di mantenere il sequestro a fini di garanzia conservativa. In entrambe le ipotesi, quindi, la restituzione è atto dovuto e incondizionato, sul presupposto che sono tipicamente venute a mancare le esigenze che legittimavano il sequestro, salva la possibilità di convertire il sequestro per gli altri fini determinati dalla legge o di sostituirlo con la confisca. In caso di reati in materia di rifiuti, per perseguire lo scopo di ripristinare ecologicamente le aree inquinate, l’ordinamento offre al giudice penale una sola possibilità, che è quella di concedere, ove possibile, la sospensione condizionale della pena, e di subordinarla alla bonifica del sito. Nel caso di specie, il Giudice di merito non ha ritenuto di concedere la sospensione condizionale della pena, non potendo - ovviamente - subordinare il beneficio alla bonifica del sito inquinato, ma neppure condizionare a questa bonifica la restituzione (dovuta) dell’area sequestrata. (Maria Melizzi, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2008, n. 23)

Sicurezza ed igiene del lavoro

Corte di Cassazione penale, Sezione IV, sentenza 12 novembre 2008 n. 42129 Infortuni sul lavoro - Normativa antinfortunistica - Datore di lavoro - Obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro - Utilizzo da parte di un lavoratore di un mezzo privo dello strumentario di sicurezza - Lavoratore adibito a compiti diversi - Pretesa interruzione del nesso causale - Esclusione. (Dpr 27 aprile 1955 n. 547, articoli 4 e seguenti; Cc, articolo 2087; Dpr 9 aprile 2008 n. 81, articolo 18; Cp, articolo 41)

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Correttamente viene affermata la responsabilità del datore di lavoro, che abbia omesso di dotare un trattore utilizzato nell’azienda delle necessarie misure di sicurezza e di assicurarne la corretta manutenzione, per la morte di un lavoratore il quale, alla guida del mezzo, abbia subito un incidente mortale proprio in ragione delle rilevate condizioni del mezzo. Né, in senso contrario, potrebbe opporsi l’interruzione del nesso causale, in ragione del verificarsi di una causa eccezionale sopravvenuta, connessa all’imprevedibilità dell’uso del trattore da parte del lavoratore, per essere stato questi adibito a compiti diversi. Ciò perché, in ogni caso, la condotta del lavoratore, che abbia fatto uso del mezzo, sia pure nell’esercizio di compiti diversi da quelli demandatagli, non è per nulla estranea all’area di rischio connessa al contesto lavorativo e non integra un evento eccezionale idoneo a interrompere il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento letale determinato dall’uso del mezzo. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

Corte di Cassazione penale, Sezione feriale, sentenza 22 ottobre 2008, n. 39513 Sicurezza e igiene del lavoro - Contravvenzioni - Estinzione - Prescrizione al contravvenzione per la regolarizzazione - Finalità - Efficacia estintiva - Condizioni. (Dlgs 19 dicembre 1994 n. 758, articoli 20 e seguenti) Il decreto legislativo 19 dicembre 1994 n. 758, contenente modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro, ha introdotto uno specifico rimedio amministrativo, quale è quello previsto dagli articoli 20 e seguenti, per la sollecita rimozione delle situazioni antigiuridiche in materia di sicurezza del lavoro: la procedura amministrativa, perché possa concludersi con l’estinzione del reato, presuppone non solo l’eliminazione della situazione di pericolo, ma anche il pagamento della sanzione amministrativa. (Da queste premesse, la Corte ha ritenuto non sufficiente, per la invocata declaratoria di estinzione, l’accertata rimozione della situazione di pericolo, attestata nella specie dalla stessa chiusura dello stabilimento, in assenza dell’avvenuto pagamento della sanzione amministrativa). (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)

Corte d’appello di Potenza, sezione Lavoro, sentenza 18 luglio 2008, n. 808 Infortuni sul lavoro - Azione di risarcimento – Distribuzione dell’onere della prova - Individuazione. (Cc, articolo 2697; Cpc, articolo 409) L’onere della prova gravante sul lavoratore che agisca per il risarcimento del danno riportato a seguito di un infortunio sul lavoro è limitato alla dimostrazione dell’esistenza del rapporto lavorativo e al nesso di causalità tra la situazione lavorativa rischiosa e l’evento dannoso verificatosi e non si estende, invece, sino a richiedere la prova, da parte sua, del collegamento dell’evento dannoso con l’inosservanza di una specifica norma inmateria di sicurezza sul lavoro; ciò poiché spetta invece al datore di lavoro, che voglia sottrarsi da una statuizione in termini di responsabilità nei suoi confronti, fornire la prova dell’avvenuta adozione di tutte le cautele idonee ad impedire il verificarsi del danno ivi compreso il rispetto delle norme inerenti la sicurezza sociale. (Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)

Cassazione penale, sez. IV, 10 luglio 2008, n. 28529 Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Cantiere edile – Subappalto dei lavori - Infortunio del dipendente del subappaltatore – Responsabilità dei soggetti della “catena” dell’appalto e del subappalto - Valutazione - Criteri L’appaltante (e il subappaltante è tale nel caso di ulteriore subappalto) è il destinatario delle disposizioni antinfortunistiche, sia in caso di accertata carenza di idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore nella tutela della salute dei lavoratori, sia qualora l’evento si ricolleghi causalmente anche alla sua condotta colposa, la quale può ravvisarsi nell’aver consentito l’inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, ovvero quando la mancata adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile, ovvero nel caso di mancato controllo delle medesime, ovvero quando si sia comunque ingerito nell’organizzazione di lavoro dell’appaltatore.

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NOTA Durante i lavori di copertura di alcuni capannoni, il dipendente di un subappaltatore (assunto irregolarmente), privo di qualsiasi misura di protezione (cinture di sicurezza), era precipitato dal tetto riportando lesioni mortali. Dell’episodio erano stati ritenuti responsabili l’appaltatore principale (che si era continuamente ingerito nell’attività di cantiere svolta dall’appaltatore) e il datore di lavoro dell’infortunato (nonché il subappaltatore di 1° livello, il quale aveva patteggiato la pena in grado di appello). L’appaltatore principale aveva contestato la sua ingerenza nei lavori oggetto di subappalto (erroneamente desunta dalla presenza di un dipendente sul luogo dell’infortunio) e aveva respinto l’obbligo, da parte sua, di predisposizione delle misure di prevenzione, tanto più considerando che i lavori in questione erano stati ulteriormente subappaltati a sua insaputa. Il sub-subappaltatore, dal canto suo, aveva contestato l’esistenza del rapporto di lavoro e aveva addossato alle altre imprese esecutrici l’obbligo di predisporre le misure di prevenzione. La Suprema Corte ha ritenuto entrambi i ricorsi infondati e li ha conseguentemente rigettati. Rilevando che l’infortunio si era verificato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994, la Cassazione ha fatto applicazione dei principi generali preesistenti (peraltro, in parte riprodotti nell’art. 7 D.Lgs. n. 626/ 1994) in tema di coordinamento tra l’appaltante e l’appaltatore nell’applicazione delle misure di prevenzione antinfortunistiche. Secondo la Cassazione, l’appaltante (il subappaltante è tale nel caso di ulteriore subappalto) è il destinatario delle disposizioni antinfortunistiche «qualora l’evento si ricolleghi causalmente anche alla sua condotta colposa che può ravvisarsi nell’aver con sentito l’inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose ovvero quando la mancata adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile ovvero nel caso di mancato controllo delle medesime». Il committente deve rispondere, inoltre, degli eventi dannosi cagionati dall’appaltatore e riconducibili alla sua carenza di idoneità tecnico-professionale nella tutela della salute dei lavoratori (Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2008, n. 8589). Inoltre, è pacifico che il committente deve rispondere della violazione delle regole di prevenzione quando si sia comunque ingerito nell’organizzazione di lavoro dell’appaltatore. Questo è quanto, per l’appunto, risulta essersi verificato nel caso in esame, dove, secondo gli accertamenti dei Giudici di merito, era risultato che appaltatore e subappaltatore collaboravano nel cantiere e che il primo, oltre a essersi riservato un potere di verifica sull’esecuzione dei lavori, aveva messo a disposizione una gru e una persona che la manovrava, ai fini del sollevamento in altezza dei materiali necessari per la realizzazione dell’opera e anche per il sollevamento e la posa dei bancali. Secondo la Cassazione «non si trattava dunque della presenza casuale di un dipendente sul luogo dell’infortunio ma di una concreta e continuativa collaborazione tra le due imprese nell’esecuzione dell’opera che le rendeva entrambe garanti della sicurezza». Per altro verso si trattava di subappalto parziale (come accertato nei gradi di merito), poiché il cantiere rimaneva nella disponibilità (anche) dell’appaltatore, conseguentemente tenuto a salvaguardare la sicurezza di chiunque si trovasse a operare nello stesso. Quanto ai contenuti del rapporto di lavoro, la Cassazione ha ritenuto corretto l’accertamento dei Giudici di appello, i quali avevano fondato il convincimento circa l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato dalle circostanze che: l il subappaltatore, nell’ultimo mese, si era avvalso costantemente della collaborazione della vittima; l il giorno dell’incidente gli erano state date indicazioni sulla movimentazione dei bancali; l il contratto di subappalto prevedeva l’obbligo, per il subappaltatore, di fornire la manodopera necessaria per l’esecuzione dei lavori. (Pierguido Soprani, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2008, n. 23)

Corte di Cassazione penale, sez. IV, 9 luglio 2008, n. 27961 Prevenzione infortuni – Cantiere edile – Obblighi del datore di lavoro dell’impresa appaltatrice – È garante dell’incolumità fisica dei propri dipendenti – Rilevanza della qualifica di piccolo imprenditore – Valutazione – Non rileva – Affidamento alla condotta del Direttore dei lavori – Esclusione - della responsabilità – Non sussiste Le molteplici qualifiche prevenzionisti che possedute (datore di lavoro dell’impresa appaltatrice, capo cantiere e RSPP) e la personale direzione dei lavori, presuppongono il personale coinvolgimento e l’obbligo di garanzia dell’incolumità fisica dei propri dipendenti, a nulla rilevando

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lo status di piccolo imprenditore e la colpa concorrente del geometradirettore dei lavori nel cantiere. Né è invocabile il c.d. principio di affidamento (in base al quale il soggetto che interagisce con altri è autorizzato a fare assegnamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte di questi ultimi): infatti detto principio non opera in presenza di una situazione giuridica in cui il soggetto è autonomamente tenuto a svolgere un’attività di controllo e vigilanza, il che gli impedisce giuridicamente di fare affidamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte degli altri.

NOTA Il socio accomandatario di una S.a.s. aveva ottenuto lavori in appalto consistenti nella predisposizione di un locale unico, facente parte di un precedente locale commerciale, mediante l’abbassamento del livello della pavimentazione di una parte dello stesso. Dopo aver sbancato e abbassato il vecchio pavimento tutt’intorno ai muri perimetrali e a un pilastro posto al centro del vano, si era iniziato a scalzare ulteriormente con un piccone il materiale sottostante il pilastro e si stava per eseguire il lavoro di sottofondazione dello stesso predisponendo un’armatura, quando improvvisamente il pilastro e una parte della volta soprastante erano crollati, investendo l’imputato e un suo dipendente, il quale aveva riportato gravi lesioni. La causa dell’evento era stata individuata nella mancata predisposizione di idonei puntellamenti del pilastro e di adeguate armature per il consolidamento della volta a crociera, nonché nella mancanza, nel piano operativo di sicurezza, di una valutazione adeguata dei rischi relativi alle opere di sbancamento e di sottomurazione. Nei gradi di merito l’imputato era stato condannato per la violazione del D.P.R. n. 164/ 1956 e del D.Lgs. n. 626/1994 (pena di euro 700,00 di ammenda), oltre che per il reato di lesioni colpose (20 giorni di reclusione, sostituita con la pena dellamulta di euro 760,00). IGiudici ne avevano ritenuto la responsabilità giacché lo stesso, nel POS da lui predisposto, si era qualificato responsabile dell’impresa, capo cantiere, caposquadra e responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Inoltre l’imputato aveva diretto personalmente i lavori, impartendo le specifiche prescrizioni per l’esecuzione, cosicché era stata individuata a suo carico la specifica posizione di garanzia facente capo al datore di lavoro. Con il ricorso per Cassazione l’imputato avevamesso in evidenza che l’accertamento della responsabilità non teneva conto della sua posizione di piccolo imprenditore, né delle circostanze del caso concreto, le quali non sembravano giustificare un giudizio di prevedibilità e di evitabilità dell’evento nei suoi confronti. In realtà, il geometradirettore dei lavori aveva omesso di evidenziare i problemi tecnici ricorrenti nell’esecuzione delle opere e i rischi prevedibili a carico dei lavoratori che solo lui era in grado di individuare in relazione alla qualifica professionale posseduta. La Corte di Cassazione è stata, però, di avviso contrario, ritenendo corretta l’individuazione della responsabilità dell’imputato, in relazione alle molteplici qualifiche prevenzionistiche da lui possedute (datore di lavoro dell’impresa appaltatrice, capo cantiere e RSPP), che ne presupponevano il personale coinvolgimento nella tutela delle condizioni di lavoro dei dipendenti, con l’obbligo di garantire l’incolumità fisica dei prestatori di lavoro, individuando gli specifici rischi operativi e adottando tutte le misure necessarie per assicurare che i lavori nel cantiere si svolgessero in condizioni di sicurezza. Secondo i Giudici di legittimità, nel caso di specie non era invocabile il cosiddetto principio di affidamento (in base al quale il soggetto che interagisce con altri è autorizzato a fare assegnamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte di questi ultimi); infatti questo principio non opera in presenza di una situazione giuridica in cui il soggetto è autonomamente tenuto a svolgere un’attività di controllo e di vigilanza, il che gli impedisce giuridicamente di fare affidamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte degli altri. (Pierguido Soprani, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2008, n. 23)