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Giulio d'Onofrio Vera philosophia Studi sul pensiero cristiano in età tardo-antica, alto-medievale e umanistica o QttàNuova

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Giulio d'Onofrio

Vera philosophia Studi sul pensiero cristiano

in età tardo-antica, alto-medievale e umanistica

o QttàNuova

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La realizzazione di questo volume è stata resa possibile da un parziale contributo offerto dal Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell'Università degli Studi di Salerno su fondi per pubblicazioni scientifi­che del Dipartimento e su fondi FARB (resp. G. d'Onofrio).

Edizione originale: Vera philosophia. Studies in Late Antique, Early Medieval, and Renaissance Christian Thought,

English Text by John Gavin, S.]. (Nutrix, l) © 2008, Brepols Publisher n . v., Turnhout - Belgium

In copertina: Gesù fanciullo /ra i dottori nel Tempio (Le 2, 41-50)

Ms. New York, Pierpont Morgan Library, M. 302, f. 2v (Salterio di Ramsey)

Photographic credit: The Pierpont Morgan Library, New York

© 2013, Città Nuova Editrice Via Pieve Torina, 55- 00156 Roma

tel. 063216212- e-mail: [email protected]

ISBN 978-88-311-1750-0

Finito di stampare nel mese di gennaio 2013 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M.

Via Pieve Torina, 55 00156 Roma- tel. 066530467

e-mail: [email protected]

a Daniela

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70 Jl pensiero 'convertito'

te a un tempo la necessità improrogabile e l'impossibilità effettiva di «disputare» con Dio, come Giobbe si propone di fare, a modello di tutti i teologi della tradizione cristiana182

• E ancora: l'unico modo di parlare di Dio è «non dicendo dicere et dicendo non dicere»183

• Per­ché se è Dio, non lo puoi comprendere, se lo comprendi non è Dio: perciò di Dio non si può né parlare né tacere: «Ma non puoi cogliere con il pensiero una cosa di tal genere. È ben più santa tale ignoranza che non una scienza soltanto presunta», e quindi fallace. «E infatti noi parliamo di Dio. È stato detto: 'E Dio era il Verbo', ossia la Parola (Gv l, 1). Parliamo di Dio, ma perché meravigliarsi se non comprendi di cosa parliamo? Se infatti lo comprendi, non è Dio. E allora, pro­clamiamo pure con pietà la nostra ignoranza, piuttosto che ostentare temerariamente una scienza chè non abbiamo. Avvidinarsi appena a Dio con la mente, è fonte di grandissima felicità: ma 1comprenderlo, è assolutamente impossibile»184

. Tutti questi paradossi teologici sono infatti la diretta conseguenza , della conversione del pensiero, che è stata essa stessa in fondo il para­dosso più grande, in quanto ha fatto in modo, contro ogni aspettativa naturale, che la verità potesse precedere la ricerca. Ed è stata questa l'inversione di rotta che, rendendo possibile la speculazione cristiana, ha aperto un nuovo capitolo per la storia della filosofia.

pacanda est. Et tamen Deus, cum de illo nihil digne dici possit, admisit humanae vocis obsequium, et verbis nostris in laude sua gaudere nos voluit. Nam inde est et quod dicitur Deus. Non enim re vera in strepitu istarum duarum sillabarum ipse cognoscitur, sed tamen omnes liltinae linguae socios, cum aures eorum sonus iste tetigerit, movet ad cogitandam excellentissimam quandam immortalemque naturam».

182 Cf. Adnotationes in Iob, 39, PL 34, 885-886, ed. J. Zycha, Wien 1898 (CSEL, 28/2), p . 626, 12-15: «Quaerendo enim cum omnipotente disputatur, non convincendo aut refellendo. No.n ergo quia omnipotens est, ideo quiesciendum est a disputando cum eo».

183 Epistola ad Madaurenses , 5, PL 33 , 1028, in Epistolae, 232, ed. Goldba­cher cit. (alla nota 152), IV, Wien- Leipzig 1911 (CSEL 57), pp. 514-515.

184 Cf. Sermones, 117, 3, 4, 663: «Sed non potes tale aliquid cogitare. Magis pia est talis ignorantia quam praesumpta scientia. ( .. . )De Deo loquimur. Quid mirum si non comprehendis? Si enim comprehendis, non est Deus. Sit pia confes­sio ignorantiae magis quam temeraria professio scientiae. Attingere aliquantum mente Deum magna beatitudo est: comprehendere autem, omnino impossibile». E cf. ibid., 5, 7-8, 665-666.

CAPITOLO 2

LA VESTE DI FILOSOFIA

l. !}ultimo deifilosofi anticht~ il primo dei nuovi

Introducendo Severino Boezio come figura centrale tra i suoi Fonda­tori del Medioevo, Edward Kennet Rand, fin dalle battute iniziali del capitolo intitolato «Il primo degli Scolastici»1

, lo presentava come il più compiuto e, con l'eccezione soltanto di Agostino, «il più originale filosofo» che la romanità abbia mai prodotto»2

• Per quanto voluta­mente iperbolico, questo giudizio riassume un 'opinione comune tra gli storici che dalla fine del secolo XIX in poi hanno tentato una colloca­zione dell'opera boeziana tra le tappe fondamentali della speculazione latina tardo-antica e alto-medievale. La formula «ultimo dei Romani e primo degli Scolastici», consacrata da Martin Grabmann3, assume in effetti il significato più diretto se collocata in una prospettiva di storia del pensiero: innanzi tutto, in quanto iniziatore del 'metodo scolasti­co' della teologia - ossia del progetto, formulato con lucidità para­digmatica negli Opuscula sacra, di assicurare con l'uso delle categorie mentali umane la chiarificazione più ampia possibile dei termini che esprimono il dogma-, Boezio sembra porsi come cerniera tra il patri­monio intellettuale antico assicurato alla civiltà cristiana dai Padri e la rielaborazione sistematica che ne hanno poi tentato i teologi del Me-

1 E. K. RAND, Boethius, the First o/ the Scholastics, in Io., Founders o/ the Mzddle Ages, Cambridge (Mass.) 1928 (repr. New York 1957), pp. 135-180; cf. ibid., p. 136: «Boethius was a name with which everybody had to reckon. He is one of the Founders».

2 Ibid., p. 135: «A century of barbarism had swept like a wave over Roman civilization, or dashed against its coasts, when there suddenly appeared the most thoroughgoing philosopher, and , with the exception of St. Augustine, the most originai philosopher, that Rome had ever produced».

3 Cf. M. GRABMANN, Geschichte der scholastischen Methode, 2 voll., Freiburg im Breisgau 1909-1911, I, pp. 148-177 (tr. it., 2 voli., Firenze 1980, I, pp. 181-214).

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dioevo4; d'altra parte è innegabile che la Consolatio Philosophiae abbia

offerto per secoli all'Occidente un importante modello letterario per il genere del dialogo etico-filosofico; e, ancora, la fortuna medievale della sua opera di traduttore del corpus di logica diffuso nelle scuole ellenistiche e di rielaboratore del sapere scientifico dell'Antichità ha contribuito in modo determinante a definire la sua funzione di media­tore della sapienza classica dal mondo latino tardo-imperiale al nuovo e ancora incerto vivaio intellettuale romano-barbarico.

Se dunque è lecito considerare l' «età di Teodorico» come una - pur breve - stagione di «rinascita» culturale e spirituale, legata al progetto di consolidare il nuovo stato politico dell'Occidente roma­no-barbarico, sembra evidente che Boezio debba in particolare essere indicato- anche in base ad alcune sue esplicite dichiarazioni program­matiche- come colui che all'interno di tale processo di ripresa intel­lettuale si è assunto il compito di incarnare ufficialmente la figura del 'filosofo', incaricato di assicurare la soprawivenza della speculazione classica. In questa luce assumono dunque uno spessore particolare tanto la domanda sulla portata effettiva del rinnovamento speculativo compiuto da Severino Boezio quanto anche, conseguentemente, quel­la sul ruolo che gli deve essere attribuito nel concreto sviluppo della storia della filosofia occidentale.

È possibile delineare nel suo compiuto sviluppo un 'pensiero' di Boezio, autentico e, almeno in una certa misura, originale? Oppure la valutazione del suo contributo alla speculazione medievale deve essere sostanzialmente ricondotta a un'opera di traduzione, rielabo­razione e trasmissione sintetica di alcuni importanti tratti del sapere filosofico antico? Di fatto sia prendendo in considerazione l'aspetto formale dei suoi scritti - per lo più di carattere didattico, costellati dall'introduzione episodica e occasionale di questioni isolate -, sia valutando il tipo di recezione della sua eredità di pensiero da parte degli intellettuali del Medioevo, non parrebbe corretto, a prima vista, indicare in Boezio il portatore di una originale e coerente visione d'in- . sieme del reale e di una peculiare concezione omogenea del vero. La ' 'filosofia' o 'sapienza' sembrerebbe piuttosto per lui risolversi in un insieme disorganico di dottrine, di volta in volta evocate e messe in pratica per risolvere i problemi teorici che incidentalmente egli incon-

4 Cf. ibid. , pp. 148-149 e 175-176 (tr. it., pp. 181-182 e 212-213); lo stesso · GRABMANN, ibid. , p. 176 (p. 213), propone una rapida carrellata sulle opinioni di alcuni critici che tra la fine del secolo XIX e l'inizio del xx hanno insistito sulla fun­zione di tramite svolta da Boezio tra Patristica e Scolastica.

I.: ultimo dei filosofi antichi, il primo dei nuovi 73

tra nello studio dei diversi settori della scienza umana e che affronta in dipendenza dalle più divergenti impostazioni dottrinali vigenti nella tarda Antichità (neopitagorismo negli scritti matematici, aristotelismo con venature di neoplatonismo nelle opere logiche, ancora neopla­tonismo contaminato con tratti direttamente desunti dallo stoicismo nella Consolatio, agostinismo e dialettica negli opuscoli teologici).

E tuttavia diversi interessanti indizi non consentono di respin­gere a priori l'idea che il mondo intellettuale di Boezio sia stato ca­ratterizzato da una solida unità speculativa interna. La stessa presen­tazione letteraria del personaggio di Filosofia nella Consolatio ne è una esplicita testimonianza: la sapienza personificata, caratterizzata da tratti significativamente riconoscibili come umani e, a un tempo, trasfigurati in una dimensione divina, presenta infatti quale suo carat­tere dominante, fin dall'inizio dell'opera, una armonica e inalterabile uniformità.

Di questa continuità in progresso della filosofia veridica deve es­sere considerato testimonianza il famoso disegno, annunciato da Boe­zio all'inizio del secondo libro del commento maggiore al Peri herme­neias, secondo il quale, dopo avere terminato di tradurre e commenta­re l'intero corpus degli scritti di Aristotele e Platone, sarebbe stata sua intenzione passare a dimostrare che il pensiero di questi due massimi esponenti della speculazione antica non è affatto - come è invece ac­caduto alla maggior parte dei filosofi - in contraddizione («non ut plerique dissentire»), e che anzi sussiste tra loro un profondo accordo, almeno sui temi più importanti e delicati («in plerisque quae sunt in philosophia maxime consentire»)5

• La fondamentale (e fondante) idea

5 Cf. SEVERINO BoEZIO, In AriJtotelù Periermeneias (ve! De interpreta/io­ne), editio secunda, II, 3, 433CD, ed. C. Meiser, 2 voli., II, Leipzig 1880, pp. 79, 9 · 80, 9: « Mihi autem si potentior divinitatis adnuerit favor, haec fixa senten­tia est, ut quamquam fuerint praeclara ingenia, quorum labor ac studium multa de his guae nunc quoque tractamus latinae linguae contulerit, non tamen quen­dam quodammodo ordinem filumque et dispositione disciplinarum gradus edi­derunt, ego omne Aristotelis opus, quodcumque in manus venerit, in Romanum stilum vertens eorum omnium commenta latina oratione perscribam, ut si quid ex logicae artis subtilitate, ex moralis gravitate peritiae, ex naturalis acumine ve­ritatis ab Aristotele conscriptum sit, id omne ordinatum transferam atque etiam quodam lumine commentationis inlustrem omnesque Platonis dialogos vertendo ve! etiam commentando in latinam redigam formam. His peractis non equidem contempserim Aristotelis Platonisque sententiam in unam quodammodo revocare concordiam eosque non ut plerique dissentire in omnibus, sed in plerisque et his in philosophia maximis consentire demonstrem». Nelle note seguenti di questo ca­pitolo le opere di Boezio verranno citate senza indicazione del nome dell'autore e sempre con il riferimento, oltre che alle edizioni critiche moderne, alle colonne

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dell'unità («concordia») e unicità del sapere vero è dunque alimen­tata dalla convinzione che i migliori maestri dell'Antichità abbiano contribuito, in modi diversi ma perseguendo una comune finalità, ad assicurare agli uomini una visione del mondo omogenea, compiuta e unitaria. Solamente in questo modo, infatti, il loro insegnamento poteva aspirare a dare concreta esistenza a quella humanarum divi­narumque rerum scientia che fin dai tempi di Varrone e di Cicerone il linguaggio sapienziale latino prometteva ai cultori del sapere, ordinata alla ricerca di un verum nascosto nelle profondità della natura6

Vera sapientia è insomma, secondo Boezio, quella che gode dell'i­nalterabilità e della perfezione proprie del suo più autentico oggetto: il Sommo Bene, che l'umanità non può comprendere e descrivere, ma di cui non si può ignorare né l'esistenza, né il suo essere necessariamente in sé caratterizzato da assoluta unità e indivisibilità - come dimostra, per contrario, la vanità dei tentativi di coloro che credono di poterlo catturare dividendolo in parti e inseguendolo in beni particolari7• E come per il Bene in sé, così anche per Filosofia proprio l'introduzione di divisioni e parzialità è inevitabilmente causa per l'uomo della per­dita della felicità (beatitudo), intesa da Boezio come raggiungimento di una condizione di equilibrio dei desideri soggettivi, a immagine dell'immutabilità assoluta propria di Dio8• La dottrina platonica della reminiscenza indica in effetti alla sapienza il compito di orientare l'uo­mo verso tale condizione di divina serenità avviandolo alla ricerca di una perduta verità originaria, la cui oggettiva realtà è garantita, anche per chi vive nella dispersione conseguente alla vita corporea, dal fatto che ne portiamo tutti nella nostra interiorità un lontano ma indelebile ricordo9

• Proprio da tale orientamento, naturale per l'intera umanità, verso l'unico Bene e le sue manifestazioni nasce la philosophia: ossia la

corrispondenti in PL 63 e 64 (senza indicazione del volume). Potranno essere in-trodotte variazioni relativamente alla punteggiatura. ..

6 Cf. Consolatio Philosophiae, l, pr. 4, 3, 615A, ed. C. Moreschini, Milnchen · - Leipzig 2000, p. 12, 8-10: «Haecine est bibliotheca ( ... ) in qua mecum saepe residens de humanarum divinarumque rerum scientia disserebas?». Per l'origine ciceroniana e le testimonianze tardo-antiche di questa definizione della filosofia, · cf. supra, cap. l, alla nota 7. ·

7 Cf. Consolatio Philosophiae, III, pr. 9, 16, 755C-756A, p. 77, 43-46: «Hoc igitur quod est unum simplexque natura pravitas humana dispertit et dum rei · quae partibus caret partem conatur adi pisci, nec portionem, quae nulla est, nec . •. ipsam, quam minime affectat, assequitur».

8 Cf. ibid., p r. 9, 24-31, 756B-757 A, pp. 78, 71 - 79, 93; p r. 12, 28-38, 780B-782A, pp. 94, 74- 96, 106.

9Cf. ibid., m. XI, 775A-777A, p. 91 ; pr. 12, l, 777AB, pp. 91 , l- 92, 4.

I: ultimo dei filosofi antichz; il primo dei nuovi 75

pretesa, da parte degli studiosi, di poter indagare e ricostruire almeno in parte l'armonia dell'orda naturae, con la messa in opera di stru­menti concettuali elaborati dai sapienti dell'Antichità per misurare e stabilire analogie tra gli accadimenti naturali10

Nel sesto libro del commento ai Topica ciceroniani, Boezio intro­duce un approfondimento all'analisi del concetto di 'necessario' os­servando che vi sono cose non necessarie che devono essere preferite a cose necessarie. Questo non vale, ovviamente, per lussi ridondanti, come un fastoso banchetto che non può essere considerato migliore di un nutrimento parco ed essenziale; ma vale per alcune cose che appar­tengono alla specie del bonum e che, pur non essendo necessarie, sono 'più buone' di altri beni necessari. L'esempio più significativo è proprio la philosophia: se infatti vivere è necessario, e filosofare non è neces­sario, è comunque meglio vivere da filosofo, peculiarità degli uomini, che vivere e basta, come fanno gli animali 11 • Fare filosofia, secondo una rapida osservazione altrove formulata dallo stesso Boezio, è fonte di felicità per gli uomini perché li mette in condizione di contemplare il bene più desiderabile, ossia il vero; ma è tale soprattutto quando viene comunicata e insegnata e, quindi, è partecipata da più sapienti 12 •

10 Cf. ihid., pr. 12,5-8, 778A, p. 92, 14-25. 11 Cf. In Topica Ciceronù commentaria, VI, 1161BC: «NeceJJaria etiam non

necessariis partim praeferri, partim etiam postponi debent, quod Marcus Tullius tacuit: necessaria quippe praeferuntur his non necessariis quae non boni ratione sed voluptatis appetitione sunt constituta, veluti luxu regio parata convivia nul­lus sapiens iudicet esse meliora his quae naturae expleant indigentiarn. Quaedam vero sunt quae ipsa specie boni, cum non necessaria sint, mcliora sunt necessariis. Nam vivere necessarium est, et sine eo subsistere animai n equi t, philowphari vero non est necessarium: melius !amen longeque excellentius est philosophum vivere quam tantum vivere; illud enim raro paucisque etiam utentibus ratione conces­sum, illud pecudibus commune nobiscum». Anche l'analisi del concetto di 'raro' conferma tale ragionamento: la «philosophans vita», che è «rara», è preferibile alla «vita ipsa» che è «vulgaris», ossia comune a tutti: cf. ihid., 1161 C.

12 Cf. De hypotheticù Jyltogi.rmiJ, l , 1-4, pracf., 831AD, ed. L. Obertello, Bre­scia 1969, pp. 204, l - 206, 36: Boezio è felice di poter mettere i frutti del proprio lavoro in comune con l'anonimo destinatario dell'opera- forse lo stesso Patrizio al quale è dedicato il commento ai Topica (cf. OllERTELLO, Introduzione, ibid., pp. 131-135)- poiché la speculazione del vero, pur essendo un bene desiderabile in quanto tale, è resa ancora più amabile dall 'essere partecipata da più intelligenze. Proprio tale motivazione è dunque alla base, in questo testo, del progetto di ren­dere nota in Occidente la dottrina del sillogismo ipotetico, esposta, e in modo parziale, soltanto da scrittori di lingua greca; e, più in generale, del programma di lavoro di Boezio quale mediatore, traduttore e commentatore della competenza filosofico-scientifica degli antichi greci. Sul principio per cui non c'è felicità nella sapienza se non è possibile parteciparla, cf. MARCO Tut.uo CICERONE, Laelius (De amicitia), 23, 88, ed. Milller cit. (cap. l, alla nota 132), pp. 190,37- 191, 9.

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È in armonia con tali princìpi che Boezio rivendica per sé il ruolo e la dignità del @osofo, sia come indagatore, sia come divulgatore della verità: «nos philosophi, quibus veritatis falsitatisque discretio curae est»13

• Ruolo e dignità che giustificano la rivendicazione della propria immagine di nutrix del vero sapiente nel rimprovero rivolto da Filosofia alle Muse all 'inizio della Consolatio, colpevoli di distrarre con le loro blandizie non un uomo comune, ma «uno nutrito di studi eleatici e accademici»'\ ossia da lei medesima allevato15 e alimentato con il cibo spirituale che rende forte l'animo16•

La @osofia non è dunque per l'uomo Boezio un elemento acces­sorio della sua personalità intellettuale, né è soltanto il punto di arrivo di un percorso di educazione scientifica che trova nella pratica dei testi dei @osofi antichi il proprio coronamento: è invece un sapere formativo essenziale del suo io, finalizzato a dare senso e giusta misura a qualsiasi operazione conoscitiva e pratica. Solo una concezione di tale genere giustifica il fatto che egli in punto di morte abbia affidato appunto alla Filosofia personificata il compito di illuminarlo sul senso della propria vita e dispiegargli l'incomprensibile evento della sua im­minente, tragica conclusione; e al tempo stesso offre le coordinate ide­ologiche e concettuali che devono orientare la risposta al quesito sul significato che avrebbe dovuto rivestire, per Boezio, la professione del filosofo nel contesto dell'incompiuto progetto teodoriciano di rifon­dazione della tradizione civile e intellettuale romana, in riferimento alla particolare situazione politico-sociale determinata dal tramonto delle istituzioni imperiali in Occidente.

Per formulare una risposta metodologicamente corretta a tale quesito è allora opportuno tenere conto della relazione che collega il pensiero di Boezio da una parte alla tradizione filosofica classica, e in particolare alla tarda riflessione neoplatonica, della quale egli si è fatto dichiaratamente erede fin dai suoi primi scritti sulle arti liberali;

13 In Aristotelis Periermeneias, ed. prima, I, 4, 314A, ed. Meiser cit. (alla nota 5), I, Leipzig 1877, p . 71, 21-23. Cf. anche In Aristotelis Periermeneias, ed. secun­da, I, praef., 396D, ed. Meiser cit., II, p. 10, 18-19: «Oratio ( .. . ) philosophica vel dialectica, id est, qua verum falsumque valeat expediri»; e cf. ibid., II, 442B, pp. 95, 27 - 96, l.

14 Cf. Conso!atio Philosophiae, I, pr. l, 10,59 lA, ed. Moreschini, p. 6, 36-37: «Hunc vero, Eleaticis atque Academicis studiis innutritum».

15 Cf. ibid., pr. 3, 2, 604A, p. 9, 3-5 : «ltaque ubi in eam deduxi oculos intui­tumque defixi, respicio nutricem meam, cuius ab adulescentia laribus obversatus fueram, Philosophiatn>>.

16 Cf. ibid., pr. 2, 2, 599A, p. 8, 2-4: «T une ille es, ai t, qui nostro quondam lacte nutritus, nostris educatus alimentis in virilis animi robur evaseras?».

Scientia, sapientia e philosophia 77

e dall'altra al contesto culturale dominante in epoca tardo-imperiale, ossia in una civiltà romana che, da Costantino in poi, si riconosce uf­ficialmente come «cristiana». Tenendo conto dell'incidenza di queste due convergenti coordinate storico-culturali è quindi necessario inter­rogarsi su quali indizi, espliciti o sottintesi, possono essere individuati nei testi di Boezio per ricostruire in modo adeguato e completo la sua concezione della filosofia e per verificarne la continuità o l'eventuale evoluzione nel corso della sua maturazione intellettuale.

2. Scientia, sapientia e philosophia

Se è vero che, come si è visto nel capitolo precedente, l" appropriazio­ne' del vero dei filosofi da parte degli intellettuali cristiani trova con Agostino il modo di dare vita a una filosofia razionale di tipo siste­matico innestando il programma neoplatonico di restaurazione della comprensibilità di un cosmo che si presuppone ordinato secondo le leggi di una razionalità divina universale, il contributo speculativo di Boezio si innesta proprio su questo delicato ramo dell'evoluzione pro­blematica della filosofia tardo-antica, ossia sull'onda costruttiva del 'ribaltamento' della ragione critica ciceroniana operato dai pensatori cristiani. Ma, senza affidarsi come i Padri della Chiesa a una conver­genza immediata e diretta di vera philosophia e vera religio (ossia alla perfetta coincidenza dell'intelligere con il credere), Boezio fonda la propria spiegazione sistematica della realtà- e, in essa, del significato, della causa e delle finalità dell'esistenza umana in un cosmo ordinato da una mente divina - sulle solide basi di una rinnovata fiducia per l'autonoma costruttività in ambito naturale della scienza umana.

Cristiano, rispettoso dell'autorità di Agostino sul versante della conoscenza della fede, Boezio è però, per quanto concerne la disci­plina metodologica della propria intelligenza, uno studioso e un entu­siasta seguace del pensiero neoplatonico. Convinto della possibilità di realizzare per l'uomo, anche con le sole forze naturali, una rinnovata intelligenza scientifica del reale, egli, pur accettando come essenziale la sintesi agostiniana di ragione e fede quando si tratta di indagare i dati della Rivelazione, si sforza comunque di portare autonomamente la razionalità scientifica, pur conoscendone i limiti, al suo massimo potenziale indagativo in tutti gli altri ambiti di conoscenza possibili.

Per questo, come prima importante correzione all'impostazio­ne raccomandata da Agostino, fin dall'esordio della propria opera di scrittore-filosofo, ossia nel proemio al De institutione arithmetica,

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78 La veste di Filosofia

Boezio presenta la sapientia come una forma di conoscenza perfetta, ossia in sé divina, ma consentita anche all'uomo già come esito del­le sue ricerche nei diversi campi delle discipline liberali17 : un sapere intuitivo di natura definitiva e assoluta ma non eccedente i limiti del­la mente creata, e che dunque, proprio mentre viene proposto come fine da raggiungere con il progressivo maturarsi della scientia, vale anche come principio motore di essa. Le diverse arti, o scientiae, non possono quindi presumere di sussistere autonomamente: esse sono i mezzi e descrivono i percorsi necessari per il finale conseguimento della sapientia («tam multis artibus ars una perficitur»). Soltanto colui che- come Simmaco, secondo la lode retorica dell'epistola di dedi­ca - ha saputo elevarsi a tale considerazione superiore del vero gode della capacità di formulare un equilibrato giudizio sulla differenziata specificità dei diversi campi che costituiscono la conoscenza scientifi­ca e può veramente essere detto sapiente18

Ora, se la sapientia è il fine della scientia (ossia nel De institutio­ne, in particolare, del quadrivio) 19, allora la philosophia coincide con il percorso di perfezionamento delle capacità conoscitive umane che porta dalla seconda alla prima, ossia dalla scientia alla sapientia20

• E infatti, come Boezio precisa anche altrove, la filosofia è la disciplina capace di far comprendere natura e proprietà di tutte le cose cono­scibili, in quanto presiede alla comprensione intellettuale della loro

17 Cf. De institutione arithmetica, praef., 1079AB, ed. G. Friedlein, Leipzig 1867, p. 3, 11-18: «lta enim mei quoque mihi operis ratio constabit, si, guae ex sapientiae doctrinis elicui, sapientissimi iudicio comprobentur. (. .. ) In quo nihil mirum videri debet, cum id opus, quod sapientiae inventa persequitur, non aucto­ris sed alieno incumbit arbitrio».

18 Cf. ibid. , 1079B·1080A, pp. 3, 20- 4, 18: «Sed huic munusculo, non ea­dem guae ceteris imminent artibus munimenta consti tuo, neque enim fere ulla sic cunctis absoluta partibus nullius indiga suis tantum est scientia nixa praesidiis, ut non ceterarum quoque artium adiumenta desideret. Nam in effigiandis mar­more statuis alius excidendae molis labor est, alia formandae imaginis ratio, nec eiusdem artificis manus politi operis nitor exspectat. ( ... ) Tam multis artibus ars una perficitur. At nostri laboris absolutio longe ad faciliorem currit eventum. Tu enim solus manum supremo operi inpones, in quo nihil de decernentium necesse est laborare consensu. Quamlibet enim hoc iudicium multis artibus probetur ex­cultum, uno tamen cumulatur examine». -Su questo tema cf. o'ONOFRIO, La scala ricamata cit. (cap. l, alla nota 7), pp. 11-63.

19 Cf. supra, alla nota 17. 2° Cf. De institutione arithmetica, praef., 1079CD, p. 7, 21-26: «lnter omnes

priscae auctoritatis viros, qui Pythagora duce puriore mentis ratione viguerunt, constare manifestum est, haud quemquam in philosophiae disciplinis ad cumu­lum perfectionis evadere, nisi cui talis prudentiae nobilitas quodam quasi quadri­vio vestigatur, quod recte intuentis sollertiam non latebit».

Scientia, sapientia e philosophia 79

vera realtà21 • Perciò, secondo la formula coniata nel primo commen­to a Porfirio (la cui composizione è più o meno coeva a quella del De institutione), la filosofia è veramente «amor et studium et amici­tia quodammodo sapientiae», e non di una sapienza ancora dispersa e articolata nelle molteplici direzioni delle varie arti, bensì di quel­la immediata contemplazione-partecipazione della divinità del vero che è all'origine di ogni altro sapere, teoretico o praticd2

; ma è anche corretto affermare che l'unica possibilità per conseguire la sapienza è studiare le discipline scientifiche particolari, per cui chiunque le di­sprezzi non potrà essere detto vero filosofo (indagatore della verità) e vero sapiente23•

Se dunque la philosophia si colloca in una posizione intermedia tra le scientiae e la sapientia, allora tutte e tre tali attività dell'anima,

21 Cf. In Topica Ciceronis commentaria, VI, l156D: «Quae vero alia disci­plina naturam proprietatemque rerum omnium docet, vel quae omnino eorum quae intelligi possunt, scientiam profitetur, nisi haec tantum ex qua nos pauca praesumpsimus philosophia?». In questo passaggio (ll56C-ll57A) Boezio trae spunto dalla definizione ciceroniana di argumentum come «ratio quae rei dubiae faciat fidem» (cf. supra, cap. l, alla nota 15) per mostrare che sono in errore co­loro che presumono di separare gli argumenta, e dunque la retorica e la logica, ossia I'ars dicendi, dalla sapienza, o ars intelligendi: poiché la veridicità del discor­so non può che dipendere dalla corretta comprensione delle cose di cui si parla, anche il commento del manuale retorico ciceroniano è un'operazione genuina­mente filosofica, poiché alla filosofia compete la direzione di ogni sforzo volto a comprendere natura e proprietà di tutte le cose. Sulla definizione di argumentum cf. anche: In Topica Ciceronis commentarla, I, 1048B; De topicis di//erentiis, I, l, 2, 5-8 e 7, 1-2, 1174C e ll80C, ed. D. Z. Nikitas, in ID., Boethius' De topicis diffe­rentiis und die byzantinische Rezeption dieses Werkes, Athens - Paris - Bruxelles 1990 (Corpus Philosophorum Medii Aevi. Philosophi Byzantini, 5), pp. 3, 7-14 e 16, 1-4; e CASSIODORO [FLAVIO MAGNO AuREl.lO SENATORE], Expositio PJalmorum, Sa/144, 21, PL 70, 1028C, ed. M. Adriaen, 2 voli., Turnhout 1958 (CCSL, 97 -98), II, p. 1297, 342-344.

22 Cf. In Isagogen Porphyrii, ed. prima, I, 3, 100-llA, ed. S. Brandt, Wien - Leipzig 1906 (CSEL, 48), p. 7, 11-23: «Et prius quid sit ipsa philosophia, con­siderandum est. Est enim philosophia amor et studium et amicitia quodammodo sapientiae, sapientiae vero non huius, quae in artibus quibusdam et in aliqua fa­brili scientia notitiaque versatur, sed illius sapientiae quae nullius indigens vivax mens et sola rerum primaeva ratio est. Est autem hic amor sapientiae intellegen­tis animi ab illa pura sapientia inluminatio et quodammodo ad se ipsam retrac­tio atque advocatio, ut videatur studium sapientiae studium divinitatis et purae mentis illius amicitia. Haec igitur sapientia cuncto equidem animarum generi me­ritum suae divinitatis inponit, et ad ptopriam naturae vim puritatemque reducit. Hinc nascitur speculationum cogitationumque veritas et sancta puraque actuum castimonia».

23 Cf. De institutione arithmetica, I, l, 1081C, ed. Friedlein, p. 9, 6-9: «Qui­bus quatuor partibus si careat inquisitor, verum invenire non possit, ac sine hac quidem speculatione veritatis nulli recte sapiendum est».

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scienza, filosofia e sapienza, dovranno essere orientate allo studio e all'acquisizione di un comune oggetto di conoscenza. Ancora nelle pagine iniziali del De institutione arithmetica, Boezio, riformulando le parole della sua fonte diretta, il neopitagorico Nicomaco di Gerasa, propone una prima definizione di tale oggetto. Se è vero che, in via di principio, la sapientia è comprehensio della veritas delle cose che vera­mente sono e la cui sostanzialità non è sottoposta al mutamento acci­dentale, è giusto riconoscere che tale è la condizione di quelli che gli indagatori del vero (in particolare i Pitagorici) hanno proposto come oggetti di indagine delle scienze (matematiche): entità incorporee non mutevoli, elencabili secondo una rielaborazione in chiave aritmetico­pitagorica del catalogo delle categorie aristoteliche, alle quali soltanto si può correttamente applicare il nome di 'essere' (qualità, quantità, relazioni matematiche, azioni, passioni, luoghi, tempi, ecc.):

La sapienza è infatti comprensione della verità delle cose che sono e che possiedono una sostanzialità immutabile. E diciamo essere quelle cose che non crescono per incremento, non de­crescono per diminuzione, né sono sottoposte ad alcun gene­re di variazioni, ma si conservano sempre poggiando se stesse per propria capacità su quell'unico fondamento che è la loro stessa natura. Tali sono le qualità, le quantità, le forme, le gran­dezze, le piccolezze, le uguaglianze, gli abiti, le azioni, le di­sposizioni, i luoghi, i tempi, e tutto ciò che si trova in qualche modo congiunto alle cose corporee (quodammodo adunatum corporibus )24•

24 Ibid., 1079D-1080D, pp. 7, 26 - 8, 8: «Est enim sapientia rerum, quae sunt suique immutabilem substantiam sortiuntur, comprehensio veritatis. Esse autem illa dicimus, quae nec intentione crescunt nec retractione minuuntur nec variationibus permutantur, sed in propria semper vi suae se naturae subsidiis nixa custodiunt. Haec autem sunt qualitates, quantitates, formae, magnitudines, par­vitates, aequalitates, habitudines, actus, dispositiones, !oca, tempora et quicquid adunatum quodammodo corporibus invenitur». Cf. una ripresa di questi medesi­mi termini e concetti in De institutione musica, II, 2, 1095D-1096D, ed. Friedlein cit. (alla nota 17), pp. 227, 20 - 228, 2; e cf. NICOMACO DI GERASA, Introductio arithmetica, l, I, 3-4, ed. R. Hoche, Leipzig 1866, pp. 2, 20- 3, 8. La derivazio­ne di questo catalogo di essentiae dalla tabella delle categorie aristoteliche, quasi una rivisitazione del loro elenco in chiave pitagorico-platonica, non è difficile da riconoscere, soprattutto se si tiene conto di talune particolarità della tetminolo­gia dialettica tardo-antica in latino (habitudo è l'abito, actus l'azione, dispositio il sito) e della particolare prospettiva da cui dipende questo testo, che è quella delle scienze numeriche (per cui magnitudo, parvitas e aequalitas sono le tre principali forme di relazione in ambito matematico). Per un confronto tra il testo boeziano

Scientia, sapientia e philosophia 81

E tuttavia le scienze possono cogliere tali oggetti solamente sotto con­dizioni ben diverse da quelle che rendono possibile la perfetta sapien­za: per poterle sottoporre alla misurazione scientifica il ricercatore è infatti costretto a considerarle nell'unico modo in cui esse si presen­tano alla sua ragione, ossia nel loro apparire in forma parcellizzata, corrotta e individualizzata, in congiunzione con la corporeità. Duo­que la sapientia, punto di arrivo del corretto philosophari, si propone come «integra comprehensio», ossia come possesso compiuto della perfezione di quegli stessi oggetti che la scientia indaga a partire dalla loro manifestazione fenomenica, contaminata da accidentalità e mute­volezza, nel regno del sensibile25•

Proprio in tale duplice condizione delle essenze, in sé immutabili e mutevoli nella congiunzione con la materia corporea, risiede però il più grave limite per la filosofia: perché la manifestazione delle essen­tiae nel regno dei corpi ne sottopone inevitabilmente la verità a un processo di corruzione antologica- ossia di dilatazione (da cui nasco­no le 'molteplicità', oggetto, in quanto tali, dell'aritmetica e, in quanto poste in relazione reciproca, della musica) e di divisione (da cui na­scono le 'grandezze', oggetto della geometria a prescindere dal loro movimento e dell'astronomia in quanto si muovono): un processo che una volta avviato potrebbe, proprio per la variabilità intrinseca ai suoi esiti, proseguire all'infinito. E non è ovviamente possibile una «integra comprehensio» di qualcosa di potenzialmente infinito, ossia di non definibile: «hanc igitur naturae infinitatem indeterminatamque poten­tiam philosophia spante repudiat». Per avviare la conoscenza scienti­fica delle essenze, la ragione si forgia allora, quando si trova dinanzi all'infinibilità delle cose, certe corrispondenti nozioni strumentali di tipo limitato: rappresentazioni finite dell'essere, quantitative e/ o spa­ziali, che possono essere fatte oggetto di una valutazione definitoria ri­gorosa e venire proposte all'intelligenza come riflessi strumentalmen­te definiti di manifestazioni infinite di entità in sé perfette. E Boezio

e quello di Nicomaco che ne è la fonte diretta, cf. n'ONOFIUO, Fons scientiae. La dialettica cit. (cap. l, alla nota 7), pp. 125-135.

25 Cf. De institutione arithmetica, ibid., 1081BC, pp. 8, 11-15 e 9, 8-13: «Haec igitur quoniam, ut dictum est, natura inmutabilem substantiam vimque sortita sunt, vere proprieque esse dicuntur. Horum igitur, id est_, q~ae sunt pro­prie quaeque suo nomine essentiae nominantur, scientiam ~~ptent~a profitetur. (. .. ) Est enim sapientia earum rerum, quae vere sunt, c?gn~uo ~t mtegr~ com­prehensio. Quod haec qui spernit id est has semitas saptenuae ~~ d~nuntlo n~n recte esse philosophandum, siquidem philosophia est amor sap1ent1ae, quam m his spernendis ante contempserit».

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commenta, anche in questo caso, che chi perde di vista tali elementi di conoscenza de-finita non può veramente essere detto filosofo26•

n problema è che in questo modo, obbligata a passare attraverso il giogo di una modificazione rappresentativa delle essenze, la mente umana sembra perdere di fatto l'opportunità di cogliere veramente la loro originaria verità: come infatti Boezio afferma nel commento ai Topica, ogni ars (e dunque ogni 'scienza') è un'imitatio naturae che sovrappone alla forma autentica della cosa in sé, non direttamente co­noscibile dall'uomo, le modificazioni imposte da esigenze di organiz­zazione razionale dei dati acquisiti, che variano a seconda delle pecu­liarità metodologiche di ciascun ambito di indagine27• Le scientiae sono dunque una strumentazione pratica, elaborata dagli uomini per domi­nare la materia interminata della manifestazione delle essenze, e pro­prio tale loro natura sembra destinarle a restare inesorabilmente per­fettibili e distanti dall'effettivo conseguimento del loro scopo ultimo.

3. Il dialogo con la ragione e il compz'to della logica

La situazione di «scacco» dell'umana intelligenza, cui la filosofia si propone di porre riparo con l'elaborazione degli strumenti che avvia­no la messa in moto delle diverse scienze, ha un riscontro letterario nella condizione di oblio della verità in cui, secondo le parole pronun­ciate da Filosofia in persona, si trova il malato Boezio all'inizio della

26 Cf. ibid., 1081CD, p. 9, 13-27: «Illud quoque addendum arbitror, quod cuncta vis multitudinis ab uno progressa termino ad infinita progressionis aug­menta concrescit. Magnitudo vero a finita inchoans quantitate modum in divi­sione non recipit; infinitissimas enim sui corporis suscipit sectiones. Hanc igitur naturae infinitatem indeterminatamque potentiam philosophia sponte repudiat. Nihil enim, quod infinitum est, ve! scientia potest colligi ve! mente comprehendi, sed hinc sumpsit sibi ipsa ratio, in quibus possit indagatricem veritatis exerce­re sollertiam. Delegit enim de infinitae multitudinis pluralitate finitae terminum quantitatis et interminabilis magnitudinis sectione reiecta definita sibi ad cogni­tionem spatia depoposcit. Constat igitur, quisquis haec praetermiserit, omnem philosophiae perdidisse doctrinam».

27 Cf. In Topica Ciceronis commentaria, I, 1048B: «Omnis quippe ars imitatur . naturam, atque ab hac materia suscepta rationes ipsa viamque conformat, ut cum · facilius id quod ars quaeque promittit, tum elegantius fiat: velut parietem struere naturalis ingenii est, sed arte fit melius». E cf. ibid., VI, pro!., 1155CD: «Sed ars facultatem imitata naturae viam quamdam rationemque reperit, qua id effici faci­lius ac melius possit. ( ... ) Oportuit enim ( .. . ) animadvertere omnem quidem artem sui materiam effectus ex natura suscipere, sed in ea tamen ratione propriam facul­tatem elegantiamque experiri».

Il dialogo con la ragione e il compito della logica 83

Consolatio, in seguito all'azione di disturbo compiuta sulla sua mente dalle perturbazioni esterne, ossia da passioni sensibili che debilitano l'intelligenza. E infatti, per assicurargli il ritorno a una compiuta com­prensione del vero, Filosofia ritiene di dover avviare con lui, grazie allo strumento didattico-dimostrativo del dialogo, un procedimento metodologicamente ordinato di interrogazioni particolari e successi­ve, ossia un processo di comprensione scientifica della realtà nei suoi diversi aspetti28

Nei suoi commenti ai primi trattati dell'Organon, Boezio attribui­va senz' altro tale compito di strutturazione organizzati va delle rappre­sentazioni mentali della verità alla logica, disciplina che è a un tempo strumento e parte integrante della filosofia: strumento, in quanto solo il rispetto delle sue normative procedurali assicura adeguatezza e di­gnità epistemologica alle varie forme di sapere; parte, perché tali re­gole stesse sono già, in quanto tali, forme di conoscenza della realtà, le più generali e le più evidenti di tutte29

• Assume perciò un importante rilievo per la concezione boeziana della filosofia il tema dell' ortus logi­cae30: la nascita della logica e, con essa, del sapere scientifico, ha avuto luogo quando i filosofi antichi hanno sentito l'esigenza di elaborare una disciplina formale del pensiero che garantisse la corrispondenza tra gli oggetti della conoscenza e le parole e i concetti che li esprimo­no. Tale corrispondenza non è infatti immediata per tutte le forme di conoscenza come lo è, per esempio, per l'aritmetica, il cui oggetto, la quantità numerata, sussiste ed è conosciuto solo in quanto astratto da ogni variabilità accidentale. Le parole usate dall'uomo per esprimere le sue conoscenze relative al mondo naturale non corrispondono in­vece, nello stesso modo oggettivo e spontaneo, alle res corporee, il cui essere complesso e non necessario è sottoposto all' accidentalità11

• Pro­prio nel non aver riconosciuto tale differenza, anzi, consiste il «ma­gnus error» dei cattivi filosofi come Epicuro, che hanno creduto che tutto avvenga nelle res nel modo stesso in cui si intende con il ragio-

2R Cf. Consola t io Philuwphiae, I, p r. 6, l, 650A, ed. Moreschini, p. 23, 1-4. 29 Cf.ln Isagogen Purphyrii, ed. H'cunda, l, 3, 73C-75A, ed. Brandt cit. (alla

nota 22), pp. 140, 13- 143, 7. 30 Ibid., 73C, p. 140, 13; ihid., 4, 75A, p. 143, 9. 31 Cf. ibid., 2, 72C-73A, pp. 138, 17- 139, 1: «Neque enim sese ut in nume­

ris, ita etiam in ratiocinationibus habet. In numeris enim quicquid in digitis recte computantis evenerit, id sine dubio in res quoque ipsas necesse est evenire, ut si ex calculo centum esse contigerit, centum quoque res illi numero subiectas esse necesse est. Hoc vero non aeque in disputatione servatur; neque enim quicquid sermonum decursus invenerit, id natura quoque fìxum tenetur».

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namento e non altrimenti e hanno conseguentemente diffuso precetti morali falsi perché fondati su una conoscenza teoretica inadeguata32 •

E di qui sono scaturite le dissensiones dei maestri dell'Antichità, che si basavano su determinazioni ancora soggettive, e dunque inadeguate, del rapporto tra cose e parole. Viceversa i 'veri' filosofi - dalla triade dei grandi maestri Socrate, Platone e Aristotele, fino ai commentato­ri neoplatonici dell'Organon - hanno capito che dovevano prelimi­narmente impegnarsi nell'elaborazione di una scientia disputandi che mettesse la ragione in grado di distinguere quale ratiocinatio sia vera e ' quale no, e dunque quale realtà corrisponda alla vera comprensione, fino a poter determinare nella sua più intima originarietà la incorrupta veritas dell' essere33•

Proprio alla logica spetta dunque il compito di porre la mente umana, nel corso delle sue operazioni scientifiche più complesse, nella

32 Cf. ibid. , 72BC, p. 138, 3-17: «Cum igitur hic actus sit humani animi, ut semper aut in rerum praesentium comprehensione aut in absentium intellegen­tia aut in ignotarum inquisitione atque inventione versetur, duo sunt in quibus omnem operam vis animae ratiocinantis inpendit, unum quidem, ut rerum na­turae certa inquisitionis catione cognoscat, alterum vero, ut ad scientiam prius veniat quod post gravitas moralis exerceat. Quibus inquirendis permulta esse ne­cesse est, quae vestigantem animum a recti itinere non minimum progressione deducant, ut in multis evenit Epicuro, qui atomis mundum consistere putat et honestum voluptate metitur. Hoc autem idcirco huic atque aliis accidisse manife­stum est, quoniam per imperitiam disputandi quicquid ratiocinatione comprehen­derant, hoc in res quoque ipsas evenire arbitrabantur. Hic vero magnus est errar». L'importanza che la correttezza della competenza teoretica del filosofo riveste per le conseguenze che ha sul versante pratico è implicitamente sottolineata da Boe­zio, nel proemio al secondo libro di In Categorias Aristotelis, 201B, presentando come determinante in questo senso anche la propria attività di traduttore dei testi fondamentali della sapienza greca, che gli consente di contribuire al completa­mento e perfezionamento dell'opera civilizzatrice propria dell'impero romano.

33 Cf. In Isagogen Porphyrii, ed. secunda, ibid ., 73AB, pp. 139, 1-18: «Quare necesse erat eos falli qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent. Nisi enim prius ad scientiam venerit quae ratiocinatio veram teneat disputandi se­mitam, guae veri similem, et agnoscere quae fida, quae possit esse suspecta, rerum incorrupta veritas ex ratiocinatione non potest inveniri. Cum igitur veteres saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria in disputatione collige­rent atque id fieri in possibile videretur ut de eadem re contraria conclusione facta utraque essent vera quae sibi dissentiens ratiocinatio conclusisset, cuique ratioci­nationi credi oporteret esset ambiguum, visum est prius disputationis ipsius ve­ram atque integram considerare naturam, qua cognita tu m illud quoque quod per disputationem inveniretur, an vere comprehensum esset, posset intellegi. Hinc igitur profecta est logicae peritia disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes internoscendi vias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem vera sit, guae vero semper falsa , guae numquam falsa, possit agno­sci». Sulle dissensiones philosophorum cf. supra, cap. l, pp. 30-35.

Il dialogo con la ragione e il compito della logica 85

condizione in cui essa si trova spontaneamente nelle indagini matema­tiche: ossia nella possibilità di operare su nozioni definite, per le quali sia assicurata quella stabilità normativa che non hanno le cose naturali ma che è necessaria al conoscere per accostare l'intelligenza all'immu­tabilità delle forme vere. Nulla di strano, dunque, se anche l'oggetto della logica viene da Boezio identificato con le essentiae primordiali («quaedam prima natura ex quibus omnia velut ex aliquo fonte ma­narent»), dalla cui conoscenza deriva quella delle realtà successive, in ordine di decrescente perfezione antologica. Il primo codificatore della disciplina, Aristotele, constatando l'infinità delle res corporee oggetto di indagine della filosofia, ha proposto infatti di fissare in un numero ristretto di generi le classificazioni della realtà che, in quanto definite, possono poi essere fatte oggetto di scienza (scientiae subiec­tum): risultato di tale operazione mentale, che consente di avere una completa disciplina rerum et vocum significantium, è stata l'enuncia­zione delle dieci categorie, che, in quanto generi massimi della realtà, sono i princìpi da cui tutto ciò che è trae la propria maniera di essere34

L'efficacia filosofica delle categorie è duplice. l) La loro utiliz­zazione consente di evitare l'ambiguità, perché impone di fissare in un numero determinato di valori logici le generalità massime degli approcci umani alle cose che sono oggetto di scienza: aggirando la tentazione di ricondurre tutti i concetti sotto un unico comune deno­minatore generico, come l'ens o l'unum, Aristotele è riuscito a supe­rare analogie e confusioni tra i termini significanti e a delineare con precisione i sentieri mentali privilegiati lungo i quali è corretto inse­guire le infinite forme individuali, storiche e accidentali, nelle quali si manifesta l'assolutezza del vero1~. 2) D'altra parte, però, la verità oggettiva che la mente cerca di descrivere operando con la classifica­zione categoriale non può appartenere al mondo della diversità e della mutevolezza: e anzi, proprio perché possa esser fatta oggetto di cono­scenza sicura, è necessario presupporre che essa goda di quei caratteri di immutabilità, durevolezza e definizione rigorosa che sono condizio­ni imprescindibili della vera scienza. Le categorie descrivono perciò altrettante manifestazioni oggettive della verità dell'essere, ossia es­sentiae, che appaiono nel mondo delle apparenze mutevoli (cioè sono

14 Cf. In Isagogen Porphyrii, ed. prima, I, 2, 90-lOC, ed . Brandt, pp. 5, 14 -7, 2; In Isagogen Porphyrii, ed. secunda, I, 4, 75AB, p. 143, 14-23 ; In Categorias Aristotelis, I, 160B-161 B.

35 Cf., In Isagogen Porphyrii, ed. secunda, I, 4, 75AB, pp. 143, 14 - 144, 8; ibid., III, 7, 108C-109B, pp. 221, 13-222, 22; ibid., III, 8, llOC-lllA, pp. 226, l- 227, 7.

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in qualche modo «adunatae corporibus»), ma per le quali la mente è obbligata a presupporre un originario statuto antologico perfetto.

In verità, tuttavia- a parte la rielaborazione, puramente strumen­tale, dei nomi nell'elenco proposto nel De institutione arithmetica -le categoria e della logica non si identificano senz' altro per Boezio con le essentiae immutabili presentate nei suoi scritti matematici come realtà in sé perfette e veramente esistenti: prodotti della mente, le categorie non sono 'essere' se non come nome (ossia, l'essere si predica di cia­scuna di esse), e non si può presupporre che partecipino in qualche modo di una sostanza o natura comune, che sia chiamata ens o bo­num36. Questo significa che la natura degli oggetti della logica - che : poi, a partire da essa, diventano gli oggetti di tutte le scienze - non .· coincide direttamente con la natura degli oggetti della sapienza, verso cui tutta la filosofia, con il corteo delle scienze che la costtltUisccmcl. deve necessariamente tendere37•

Tutto ciò conferma dunque il persistere di un inconciliabile tra la maniera di essere in sé delle cose e la loro pensabilità da umana, che sembra compromettere, come avrebbero voluto gli Acca­demici, l'intero progetto filosofico di Boezio, decretando l'impossibi­lità di superare le contraddizioni dei filosofi e il conseguente u . .:mu .. -

bile disorientamento teoretico ed etico del genere umano. Altre le forme in cui il soggetto umano è costretto dalla sua Lu.uuJLZ<RJln:

di limitatezza conoscitiva a rappresentarsi la natura delle cose, la realtà oggettiva in sé degli oggetti conosciuti che la scientia di ricostruire. Ma la tavola delle dieci categorie non è che una, sia pure la più completa e più facilmente fruibile, tra le tante mentali grazie al cui aiuto l'intelligenza umana si sforza di accostarsi, ma sempre in misura relativa, alla verità dell'essere in sé. La stessa : situazione di divaricazione tra la realtà oggettiva e la sua rappresen­tazione interiore si può dunque verificare anche nei confronti di classificazioni strumentali elaborate dai logici per definire i signifi- . cati delle voces che corrispondono nel pensiero e nel linguaggio alle

·36 Cf. ibid., l, 4, 75BC, p. 144, 1-6: «Quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa sunt nec quicquam videntur habere commune nisi tantum nomen, quoniam omnia 'esse' praedicantur: quippe substantia est, qualitas quantitas est, et de aliis omnibus 'est' verbum communiter praedicatur, sed non . est eorum communis una substantia ve! natura, sed tantum nomen».

37 Cf. ibid. , Il, 4, 91AB, p. 180, 4-19: la domanda centrale della filosofia essere quella sul «quid» delle cose e proprio per questo motivo tra i diversi ficati del termine genus i filosofi hanno portato la loro attenzione solo sul terzo, che significa la sostanza universale.

Il dialogo con la ragione e il compito della logica 87

resls. In generale, insomma, il giudizio logico umano non può ~resu­mere di imporsi come una descrizione oggettiva in tutto cor.nspo~­dente al modo o ai modi di essere della realtà in sé: esso espnme, Vi­

ceversa, l'opera di distinzione tra vero e falso nel rapporto tra p.ar~le c significati propria del soggetto e corrisponde al suo linguagg10 m­reriore· la sua formulazione verbale non appartiene alla sfera dell'es-

, . . l ' '39 sere delle cose, che, m quanto tah, sono sempre e so tanto vere . È ovvio che «non può esserci scienza vera se non esiste realmen­

te ciò di cui si ha scienza»40; e tuttavia l'esistenza dello sci bile non condiziona in un solo modo, univoco e necessario, il costituirsi della scienza. Di un medesimo oggetto, come è possibile che vi sia o che non vi sia scientia senza che per questo venga meno l'oggettività della sua esistenza41 , così è possibile che si diano nel soggetto diverse forme di conoscenza che tuttavia non cessano, se correttamente acquisite ed elaborate, di riflettere un qualche aspetto della realtà in sé: ossia di essere ciascuna nella sua propria prospettiva, tutte 'veridiche'. Per esem~io, la matematica e la fisica insegnano nozioni vistosame?te di­verse sulla natura di una sola cosa, come la linea o la superfiCie; e la grammatica e la dialettica ~r~p~ngono visio_ni differenz~ate su~la _na~u­ra di un unico oggetto, oss1a d d1scorso42

• E 1l fatto che l una dtsctphna sia 'veridica' non implica la falsità dell'altra: perché è evidente che le

38 Si possono infatti sostituire o sovrapporre alla ?ivisi_one del sign_ificato in dieci categorie anche altre divisioni, diversamente fun~wnah: p~r esempio la qua­Jripartizione in sostanza universale e particolare e accidente un~versale_e partlc?: !are nella quale trovano un altro complementare tipo di orJine 1 medestmi ambtu con~ettuali che nella tavola delle categorie sono indicati dalla distinzione tra la prima, ossia la sostanza, e gli altri nove predicamenti che a essa ineriscono; cf. In Categoria.r Aristoteli.r, I , 169C-170B.

39Cf. ibid., l81AB. . . . . . . . 40 Jbid. II 229A: «Quoniam scientia ad aliquid est (sctbths emm rei sctenua

Jicitur), no~ p~terit esse scientia, nisi sit res aliqua quae sciri possi~» . 41 Cf. ibid., 230BC: «Scibile ergo et scientiam non esse stmul Illa res prob~t,

quod si quis rem scibilem tollat, ~c!entia~ .quoque sust~leri.t ~nulla potest .emm scientia permanere, si res qua e scm pos~lt mter~at), a t SI ~ctb!le esse consu~uas , non omnino scientia consequitur. Infanubus entm ca nobis quae nun~ no~Imus erant et in suae naturae substantia permanebant, sed eorum apud no_s scienua ~o~ crat. Multae quoque sunt artes quas esse quidem in suae na~ura~ rauone perspict­mus, quarum neglectus scientiam sustulit. Multumque ego Ipse tam metuo ne hoc verissime de omnibus studiis liberalibus dicatur>>.

42 Cf. Introductio ad syllogismos categoricos, 762C: «Non enim una atque ea­dem diversarum ratio disciplinarum, cum sit diversissimis disciplinis una at~ue eadem substantia materies. Aliter enim de qualibet orationis parte g:ammauco, aliter dialectico disserendum est, nec eodem modo lineam ve! superfiCiem mathe­maticus ac physicus tractant».

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88 La veste di Filosofia

due scienze, proprio insegnando sulla medesima realtà cose diverse (ma non necessariamente contraddittorie, e anzi utilmente comple­mentari), contribuiscono insieme ad accostare meglio il soggetto alla · 'vera' natura della cosa43

• La stessa molteplicità delle 'scienze' elabo­rate dall'umanità nel corso della sua storia per accostarsi alla verità naturale offre dunque una conferma al principio per cui nel soggetto la conoscenza non riflette, se non in modo relativo, la complessità ori- . gin aria dell'oggetto.

4. Filosofia e realtà

II problema di restaurare l'identità tra gli oggetti della logica e delle scienze e quelli della sapienza, ossia tra concetti-produzioni mentali e ; realtà delle essenze, è insomma il problema primo e fondamentale del- · la filosofia, in quanto disciplina della verità delle formule mentali che · esprimono e descrivono il reale. E questo spiega l'importanza attribu- ·.·. ita dai commentatori neoplatonici di Aristotele alle domande relative ·. alla natura degli universali, dal momento che la veridicità stessa degli oggetti della logica non può prescindere da una loro corrispondenza effettiva con la realtà ultima delle cose: attribuire scientificità ai per- · corsi della filosofia equivale a domandarsi cosa corrisponda realmente a tali oggetti e, dunque, se essi esistano effettivamente oppure no44. •.

Il problema si risolve secondo Boezio spostandone l'incidenza dal piano antologico a quello gnoseologico. La differenza non è tra · l'essere pensabile dell'oggetto della logica e l'essere reale dell'oggetto della metafisica, ma tra la conoscibilità della res e la sua effettiva re­altà. Non sempre e non necessariamente, infatti, la rappresentazione conoscitiva deve essere identica all'oggetto conosciuto per non essere · falsa, e quindi, nel caso specifico, non necessariamente la pensabi­lità dell'universale deve essere connotato dall'esistenza nella stessa maniera in cui esistono le res corrispondenti e in cui esiste l' essentia

43 Cf. ibid:, 762~: «Qu~ fit ut altera alteram non impediat disciplina, sed

mult?~um constderattone comuncta fiat vera naturae atque ex omnibus explicata cognttto».

44 Cf. In ls~gogen Porph~rii, ed. prima, l, 10, 19CD, ed. Brandt, pp.

1 25: 20 -26, 10: la. rtsposta alla pnma domanda porfiriana sulla natura degli univer­salt (se sono reali oppure no) deve necessariamente essere affermativa in quanto se si negasse l'esistenza dei generi e delle specie non potrebbero esis;ere le cose che, in quanto rientrano nei generi e nelle specie, veramente sono («res omnes quae vere sunt»).

Filosofia e realtà 89

primordiale di cui tutte partecipano. Viceversa, è important; per le Morti dell'intera filosofia riconoscere che tra la conoscenza e l oggetto conosciuto può sussistere una differenza che, senza implicare falsità nella prima, deriva dall'intervento formale del soggetto nel~'op~r~­~ione che la rende possibile. Con questa affermazione Boezio SI n ­wllega, fin dalle prime sue pagine filosofiche, al presupposto ~ella ~noseologia neoplatonica secondo il quale l'intelligenza vera ~odifica necessariamente la natura dell'oggetto in sé, appunto (come m segna Platone) per poterla conoscere, assimilandola alla propria ~a~i~ra ~i essere, ossia astraendola. L'errore nasce semmai dal prodursi di illeci­te composizioni tra rappresentazioni corrispondenti a realtà che no? possono in natura essere congiunte, come nel caso del centauro; il corretto processo intellettivo si compie invece filtrando la co~oscenz~ uttraverso le operazioni - oggettive, ossia naturali e necessane, ma di competenza del solo soggetto- della divisione e dell'astrazi?n~, ~ro: prie dell'intelligenza razionale che si sforza di introdurre distmziom nelle immagini che i sensi le comunicano ancora confuse45 •

La realtà degli universali è dunque necessariament~ ~~Ile cose corporee, ma la loro intellezione è separata dalle cose senstbih: «sunt» o «subsistunt in corporalibus atque in sensibilibus, intelleguntur au­tem praeter sensibilia». La loro esistenza è negli individui, il vero pen­siero a essi corrispondente è negli intelligibili. E infatti in un ~ede­simo oggetto possono sussistere due potenzialità co?oscit~ve dtverse, dipendenti dalla condizione sotto la quale le considera il soggetto: così una medesima linea può essere considerata curva o convessa, se­condo due diverse intellezioni e in base a due diverse definizioni di un medesimo oggetto. Allo stesso modo gli universali sussistono in un modo, cioè negli individui, ma sono oggetto di intellezione in un

45 Cf. In Isagogen Porphyrii, ed. secunda, I, 11, 8_4~D, ed .. Brandt, pp. 164, 3 - 165, 7: «Haec quidem est ad praesens de propos~tt.s quaestto; q~am nos ( ... ) hac ratiocinatione solvemus. Non enim necess~ esse dtcl?JUS omnem tntellec­tum qui ex subiecto quidem fit, no~ tamen ut .se.se tpsum subt~ctu~ habet, f~lsum et vacuum videri. In his enim sohs falsa optnto ac non pottus tntellegen~ta est quae per compositionem fiunt. ( ... ) Quodsi hoc per divisionem et abs.tractt?~em fiat, non quidem ita res sese habet ut intellectus est, intellectus ta.men tl!e mtnt~e falsus est: sunt enim plura quae in aliis esse suum ha~ent, ex q.utbus aut omntno separari non possunt, aut, si separata fuerint, nulla rattone subststunt. ( ... ) Omnes enim huiusmodi res incorporeas in corporibus esse suum habe~t~s sensus cum ipsis nobis corporibus tradit, at vero an~us, cui potestas est e~ dts!Unc~a compo­nere et composita resolvere, quae a senstbus confusa et c?rportbus ~ont~ncta. tra­duntur ita distinguit, ut incorpoream naturam per se ac stne corponbus tn qutbus est concreta, speculetur et videat».

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altro, ossia come se fossero separati dai corpi46• I filosofi possono aver . avuto visioni divergenti sugli universali proprio in quanto li hanno contemplati sotto diverse prospettive: Platone li ha considerati come sussistenze separate dai corpi, in quanto oggetto di intellezioni di tale genere; ·· Aristotele invece come intellezioni universalizzate di realtà sussistenti nel mondo sensibile47• E anche se Boezio commenta che tale diversità di opinione tra i due non può essere risolta se non a un · più alto livello speculativo («altioris enim est philosophiae») e che in quest'opera egli segue Aristotele per il solo fatto che si tratta di una introduzione alla logica aristotelica48

, tuttavia .questa impostazione già : permette di intravedere come appunto a una risolutiva chiarificazione ·. delle implicazioni gnoseologiche del problema debba essere affidato · il già ricordato progetto del recupero finale della concordia tra i due . grandi maestri dell'Antichità, proposto da Boezio come scopo ultimo · della propria intera opera filosofica49•

Boezio è allora in grado di estendere la medesima prospettiva . che gli consente di risolvere il problema degli universali alla spie- .

~6 Cf. ibtd., 85A-86A, pp. 165, 14- 167, 12: «lta haec cum accipit animus •. perm1xta corporibus, incorporalia dividens speculatur atque considera!. Nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare quoniam ita eam mente capimus quasi praeter · corpora sit, cum praeter corpora esse non possit: non enim omnis qui ex subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsae res habent falsus putandum est, sed, ut superius dictum est, ille quidem qui hoc in compositione facit falsus est ut cum hominem atque equum iungens putat esse centaurum; qui vero id in divi: sionibus et abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non modo falsus non est, verum etiam solus id quod in proprietate verum est in­venire potest. Sunt igitur huiusmodi res in corporalibus atque in sensibilibus, in­telleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura perspici et proprietas valeat comprehendi. ( ... ) Subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora. Neque enim interclusum est ut duae res eodem in subiecto sint ratione diversae, ut linea curva atque cava, quae res cum diversis definitionibus terminen­tur diversusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto reperiun­tur: eadem enim linea cava, eadem curva est. lta quoque generibus et speciebus id ~st singularitati et universalitati, unum quidem subiectum est, sed alio mod~ •· umversale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur in rebus his in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut arbitrar, quaestio dissoluta est. lpsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo, intelleguntur vero alio, et sunt incorporalia, s~d sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus, intellegun- , tur vero ut per semet 1psa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia».

47 Cf. ibid., 86A, p. 167, 12-15: «Sed Plato genera et species ceteraque non modo intellegi universalia, verum etiam esse atque praeter corpora subsistere pu­tat, Aristoteles vero intellegi quidem incorporalia atque universalia, sed subsistere in sensibilibus putat».

48 Cf. ibid., 86A, p. 167, 15-20. 49 Cf. supra, nota 5.

Filosofia e realtà 91

~uzione, più in generale, della differenza in~ana~ile tra ~· o??etti~ità M<:mplice dell'essere in sé e i modi complessi e d1fferenz1at1 m cm le rt's vengono conosciute secondo ciascuna delle diverse scienze elabo­rate dai sapienti antichi. In questo modo anche la molteplice fenome­nologia del dissenso di opinioni tra i filosofi che aveva determinato la nisi del sapere antico potrà adeguatamente essere risolta come ~on­scguenza del fatto che le loro diverse dottrine intorno a un medes1mo oggetto sono semplicemente state formulate in riferimento a diffe­renti ambiti di indagine scientifica. È infatti necessario riconoscere che la conoscenza umana- obbligata a prendere le mosse dalle facol­tà corporee, sensi e immaginazione, che la mettono in con~atto c~n l~ natura- può rappresentarsi la verità dell'oggetto della saptenza, m se unitario soltanto in modo parziale e sotto forme indefinite, sia nume­ricamen~e, come le stelle in cielo, sia qualitativamente. Ciò non impe­<lisce, tuttavia, che, in quanto reale, tale oggetto sia potenzialmente 'noto', ossia oggettivamente esistente in un modo finito, sul piano naturale e dunque in sé realmente conoscibile: la sua indefinibilità pertiene dunque non al suo modo di essere, ma al modo di conoscere proprio del soggetto conoscente. Quest'osservazione, f~rmulata da Boezio solo incidentalmente nel commento al nono capitolo del De interpretatione chiosando la differenza tra contingente e necessario, è invero gravida di conseguenze sul piano epistemologico, a conferma dell'importanza che nel sistema boeziano della filosofia assume l'ade­sione alla distinzione neoplatonica tra l'oggettività della capacità rap­presentativa del soggetto e quella della realtà dell'oggetto conosciu­to5o. La differenza tra i risultati delle molteplici scienze, che dunque trattano il medesimo oggetto sotto forme e con strumenti conoscitivi diversificati, lungi dal permanere come principio di disgregazione e

50 Il modo di essere del 'contingente' concerne il futuro e, a differenza di quello del 'necessario' (oggetto della filosofia) , dipende d~l c~so e ~on è né 're: aie' , né 'noto', non soltanto per chi lo conosce ma ~n che m s~ co,nstderato;. puo tuttavia accadere che anche eventi passati e presenti, dunque m se necessan, ap­paiano non definibili e incerti, ma ciò dipende soltanto dai.lir~1iti del soggett? eh~ li conosce e non dalla loro oggettiva realtà: così per esempiO il numero de~h ast~l in cielo è un dato «natura notissimum» ma «nobis ignoratum»; cf. In Artstotelts Periermeneias, ed. secunda, III, 9, 490D, ed. Meiser cit. (alla nota 5).' Il, p. 192, 2-11: «In his quidem id est praeteritis et praesentibus rerum defimtus event~s est, in futuris vero et contingentibus indefinitus est et incertus, nec .sol~m n~bts ignorantibus, sed naturae. Nam licet ignoremus nos utrum astra p~rta stnt an 1m­paria, unum tamen quodlibet definite in natura stell~rum esse mantf~stum e.st. Et hoc nobis quidem est ignoratum, naturae v~ro n?tzsstmur:z. Sed ~o~ tta hodte me visurum esse amicum aut non visurum nobts qutdem qmd evemat tgnoratum est,

notum vero naturae».

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contraddizione tra diversi so etti d . ragione di collaborazione e re~fproc'o eve po1.tderst trasformare in una , . d' . conso 1 amento tr . . b' tt 1 ncerca: vale cioè come un p . . . a 1 van am t-

, nnctplO motore della fil . .t: · ~ero, non come una rigida acquisizione di dati oso;.a, t~tesa, m progresso, il cui scopo ultimo d' h ' ma c~me una rtcerca per l'umanità in questa vita s~'/a'uan anc ile restasse ~rraggiungibile

' sempre consegmm d' comune comprensione di verità E l dd' . ento 1 una

. l . . a contra tztone con l' . mentt a trm, se non porta a inutili ir . 'd' . . . g 1tnsegna-desiderio di fare bella figura pr n?1

1 trnbebnl~1 d~ttnnan scaturiti dal · . esso 1 pu tco tgn

a ctascun ricercatore di sottoporr 'fi l o~ante, consente . e a ven ca e propn · . . 1 , persegmmento di un progresso . . e pos1z1om ne nità5l. conosc1ttvo comune all'intera urna-

Ogni conoscenza scientifica è sì o . . tata in se stessa, in quanto riflette un ;;~~ttva e nece~san.a se valu-delle res all'intelligenza del soggetto· ma ~ ~~ces~~no d1 apparire complessità dell'iter indagativo pers:guit:~~u ~catt ~n ~elazione alla sapienza, i suoi risultati particolari de a oso ~ 1ll ce~ca della passibili di ulteriori verifiche ne 1' l v~no ebs.s~re c~nstderatt ancora

g 1 a tn am ttt· ossta d 1 come conoscenze ancora probabili ( . , d . evono va ere e non necessarien. Anche se ognt' ctoe. ~ «probv~re» o «approvare») . . sczentza e un a lto os · d' stztone permanente che non d . ' sta una tspo-eve ventre meno se 1,.

accidentale di una forza esterna5J non per tntervento considerata immutabile: i divers1· p, non .r:>edr llquefilsto essa deve essere

li . ercorst e a osofi . fi na zzatt al raggiungimento di . a sono tuttt - , 'd un comune umco scop d , . ,

evt ente che i risultati delle indagi . . . . o, e e pereto nt compmte ne1 van ambiti discipli-

51 Cf. Introductio ad syllogismos cat .

opus lector accedit, (. .. )si quid est quod &;~;~cos; 761C-~62C: «Sed qui ad hoc ~e consulta, quid ipse sentiat quid nos affer pe , n.e statim o.bstrepat, sed ratio­hore consideratione diiudicet ( ) At . . amu~, venore mentls acumine et subti-

'd . · ... SI 1am qUisque . . cupi us malit ( ... ) si inquam malu t . d ' suae scientiae defensor esse

d .. · b' ' ' ' n vm Icare quam stu us Im Iberunt, nemo expetit ut pri'or d vertere quae vulgatis semel

. a con emnent sed · construant atque aluora coniunganb S . d' , ut mawra quaedam gio citato supra alla nota 42. >. egue Irnme Iatamente nel testo il passag-

• 52 Cf. In Topica C,iceronis commentaria, II, 1081D- . . sana sunr, haec propna considerantur nat Q l 082A. «Qua e emm neces-

. d' · ura uae vero p b bi!' rum m .lclum exspectant. Ea namque sunt ;ob . . ro .a la sunr plurimo-vel plunbus vel maxime famosis atque p . ~bilta,l quae Vldentur vel omnibus

. . praec!pUis ve sec d artem scientlamque eruditis ut quod m d' . , d' . un um unamquamque t · · · ' e Ico m me 1cm · na, caetensque m propria studiorum f ul . . a, geometrae m geome-

53 Cf 1 C . . ac tate ventatls» . . n . ategorras Amtotelis, III, 242AC Tal . . .

che alla SituaziOne, già ricordata, del persona i~ B e ~ssen;~z~o!le SI collega an­tro, presentato come un filosofo che per l' ' .gdg od~ZIO allimzio della Consola-

. mc1 enza 1 caus h b . propne vere conoscenze. e esterne a o l!ato le

Filosofia e realtà 93

nari possono essere via via corretti in base a un costante confronto e in vista di un reciproco perfezionamento54 •

Per questo stesso motivo negli scritti boeziani la presentazione dd filosofo e della filosofia ha, o sembra avere, un andamento oscil­lunte, se non duplice: talvolta infatti il filosofo è rigorosamente identi­ficato con l'apodittico, o demonstrator, in quanto è colui che fa ricorso ud argomenti necessari (o meglio «probabili e necessari» e «necessari c non probabili», ma non «probabili e non necessari»), e dunque la filosofia è presentata come acquisizione di conoscenze non contraddi­dbili sulla verità, della quale rispecchia l'immutabilità55 ; talvolta, in­vece, viene accentuata piuttosto la natura dinamica e progressiva del sapere, e si esorta il lettore a non rimanere ancorato per pigrizia o per arroganza (i principali vizi che ostacolano la sapienza) alle conoscenze via via acquisite con lo studio delle discipline scientifiche56• Nel primo caso Boezio si collega alla considerazione della filosofia come risul­tato del contributo conoscitivo fornito dalle diverse scienze, nel loro ambito tutte 'necessarie'; nel secondo ne sottolinea la finalizzazione

54 Cf. De topicis di!ferentiis, I, l, 3-6, 1173B-1174B, ed. Nikitas cit. (alla nota 21), p. 2, 5-19: l'intento di quest'opera, secondo la presentazione dell'autore, è di rispondere all'esigenza di armonizzare le differenze delle due diverse tradizioni scolastiche sui topica, greca e latina, in base al principio per cui la filosofia per­segue il suo unico scopo («ad perfectionem speculationis») attraverso percorsi differenziati.

55 Cf. ibid., I, 1182AB, pp. 18, 17 - 19, 14: «Philosophus vero ac demonstra­tor de sola tantum veritate pertractat, atque sint probabilia sive non sint, nihil refert, dummodo sint necessaria. Hic quoque his duabus speciebus utitur argu­menti, quae sunt probabile ac necessarium, necessarium ac non probabile. Patet igitur in qua philosophus ab oratore ac dialectico in propria consideratione dis­sideat, in eo scilicet quod illis probabilitatem, huic veritatem constar esse propo­sitam. ( ... ) Qua fit ut oratoribus quidem ac dialecticis haec principaliter facultas [sci!. topicorum inventio] paretur, secundo vero loco philosophis. Nam in qua probabilia quidem omnia conquiruntur, dialectici atque oratores iuvantur; in qui­bus vero probabilia ac necessaria docentur, philosophicae demonstrationi mini­stratur ubertas».

56 Cf. De syllogismis categoricis, I, 793D-794C: «Sed si qui ad hoc opus le­gendum accesserint ab his petitum sit ne in his quae nunquam attigerint statim audeant iudicare, neve, si quid in puerilibus disciplinis acceperint, id sacrosan­ctum iudicent, quandoquidem res teneris auribus accommodatas saepe philoso­phiae severior tractatus eliminar. Si quid vero in his non videbitur, ne statim ob­strepant, sed, ratione consulta, quid ipsi opinentur, quidve nos ponimus, veriore mentis acumine et subtiliore pertractata ratione diiudicent». Cf. anche In Topica Ciceronis commentaria, II, prol. , 1063BD; e una non diversa professione di atteg­giamento aperto al possibile progresso del sapere anche a costo di una rinuncia a ciò che si crede di avere raggiunto come solidamente dimostrato («ita non sum amator mei, ut ea quae semel effuderim meliori sententiae anteferre contendam») conclude il Contra Eutychen et Nestorium (cf. il testo cit. in/ra, alla nota 140).

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a una conoscenza di ordine superiore, nella cui assolutezza vengono superate le limitazioni del soggetto razionale umano. E poiché l'intera filosofia è conoscenza in progresso, si può correttamente descrivere Boezio come portatore di una considerazione - non poco significativa per le conseguenze sui pensa tori medievali - della vera filosofia come storia della filosofia: ossia come un collettivo processo di crescita sa­pi~n~i~e de~'~manità, alimentato dal confronto fra le opinioni dei mtghon fra 1 ncercatori del vero, dal superamento delle forme ina­deguate di speculazione (in particolare sono spesso oggetto della sua pol~mica gli Stoici) e dalla verifica di quelle più adeguate (nelle opere logtche soprattutto l'aristotelismo, nella Consolatio il platonismo e il neoplatonismo )57•

È evidente allora, dietro tale considerazione della filosofia in co­st~nte progresso, la presenza efficace del modello metodologico di Ct~er?n_e: Esplici~amente, in una pagina del commento ai Topica, Bo­ezto st rltlene anz1 autorizzato dal metodo ciceroniano a proporre una cor~ezione mi?li_orativa per un'opinione formulata dall'Arpinate me­destmo: questl, mfatti, nelle Tusculanae propone una definizione dei c?ncetti di 'caso' e 'fortuna' che può essere perfezionata in base a una dtversa c_oncez~one leggibile nella Fisica di Aristotele e appartenente, a parere di ~oez10, a un superiore livello filosofico. Commentando que­sta operaz10ne, egli chiarisce tuttavia che anche qualora tale correzio­ne anziché dall'autorevolezza del filosofo antico fosse scaturita da una sua personale riflessione, il lettore avrebbe dovuto comunque valutare non la qualità delle persone in disaccordo ma la validità e la ragio­nevolezza delle rispettive argomentazionP8• Mentre però in Cicerone l'impostazione riduttiva della filosofia era determinata dalla coscien­za negativa dei limiti della capacità umana di accostarsi all'assoluto Boezio, convinto del fatto che simili contraddizioni nascono spess~ dall'impostazione specialistica delle diverse prospettive di approccio a un problema, si fonda su di essa per difendere invece una valutazio­ne costruttiva della scienza umana, intesa come progressivo avvicina­mento dell'intelligenza al vero. In questo stesso senso, infatti, ancora nel commento ai Topica, Boezio torna sul tema della natura inquisitiva e aperta del sapere filosofico sottolineando che se la ragione umana è sempre in movimento non è per una rinunciataria sfiducia nell'utilità delle proprie acquisizioni: al contrario, essa è costantemente mossa da

57 Cf. In Aristotelis Periermeneias, ed. secunda III 9 491C ed Meiser p 193, ~~-26; V, 12, 587BD, pp. 393 , 7- 394, 4. ' ' ' ' . ' .

Cf. In Topeca Ctceronts commentarr:a, V, 1152AD.

L'errore dei «vecchi filosofi» 95

un insopprimibile amore della verità, che le impedisce di accontentar­si e di accettare qualsiasi inganno consolatorio, nella continua aspira­zione al congiungimento con un fine che le è assolutamente superiore

c che senza posa la attrae verso di sé59•

5. U errore dei «vecchi filosofi»

La concezione della filosofia fin qui dedotta da testimonianze estrapo­late dagli scritti boeziani era destinata a ricevere definitiva consacra­zione nella Consolatio, vera opera della maturità filosofica dell'autore in quanto esito diretto del suo ideale della partecipazione umana alla

sapienza divina. Quando appare a Boezio in carcere, Filosofia indossa una veste

che ella stessa ha tessuto con le sue mani, ed è costituita di una «in­dissolubilis materia»60 • Come questa sua indistruttibile veste, la vera Sapienza è una e inalterabile, e non può dividersi in scuole, correnti o specificità dottrinarie diverse e contrastanti. Anzi, proprio la presun­zione dei cattivi pensatori, incapaci di conservare l'autentica eredità di Socrate (e dei suoi non discordi discepoli; Platone e Aristotele), è stata causa non secondaria delle persecuzioni e dei maltrattamenti subiti da Filosofia nel corso dei secoli. E Boezio può facilmente constatare sui bordi della sua veste le tracce delle offese che le hanno arrecato gli esponenti «del volgo epicureo e stoico, e altri ancora», che ne hanno strappato piccole frange e con questo trofeo inutile sono andati in giro a gloriarsi di essere suoi portavoce, portando alla rovina coloro che ca­devano nel loro ingannd'1• E tuttavia nulla possono contro la superio­re solidità del vero gli sforzi di coloro che continuano a saccheggiar­ne immagini parziali e ingannevoli, mentre, sicura e irraggiungibile,

59 Cf. ibid., VI, prol., 1155BC: «Humana ratio ( ... ) in motu posita, aliquid semper inquirit, atque amore scientiae neque decipi patitur, neque ullo modo a

veritatis ratione traduci». 60 Cf. Consolatio Philosophiae, I, pr. l , 3-6, 588A-590A, ed. Moreschini, p.

5, 12-24. 6 1 Cf. ibid. , p r. 3, 7-8, 607 A -608A, p. l O, 20-28: «Cuius hereditatem c~m

deinceps Epicureum vulgus ac Stoicum ceterique pro sua quisque parte raptum Ire molirentur meque reclamantem renitentemque velut in partem praedae trah~­rent, vestem quam meis texueram manibus discide~unt abre~tisque ab ea panni ~ culis totam me sibi cessisse credentes abiere. In qUlbus quomam quaedam nostri habitus vestigia videbantur, meos esse familiares imprudentia rata, nonnullos eo­rum profanae multitudinis errore pervertit».

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dall'alto della sua rocca l'instancabile maestra se la ride dei loro vani tentativi di condurla prigioniera verso l'errore62 •

Il disprezzo di Filosofia soprattutto per gli esponenti delle scuole ellenistiche, che più di altri hanno tradito e corrotto il vero insegna­mento dei suoi sinceri seguaci, ha quindi modo di farsi ancora più esplicito quando descrive le conseguenze delle false posizioni da essi assunte in ambito gnoseologico: perché, se la vera philosophia è una e indivisibile, ogni erronea valutazione dell'ordine dei processi conosci­tivi e dei criteri che regolano i rapporti tra soggetto e oggetto nella for­mazione della scienza comporta un pericoloso allontanamento dalla corretta comprensione della realtà delle cose. Ed è conseguentemente avvertito come necessario e improrogabile l'intervento correttivo dei filosofi autentici, incaricati di scongiurare le conseguenze, non soltan­to teoretiche ma soprattutto morali, di un non adeguato apprezza­mento dei princìpi che regolano l'universo.

In un carme del quinto libro della Consolatio, gli antichi Stoici sono apertamente additati da Boezio quali principali responsabili del pericoloso diffondersi di questa ingannevole prospettiva:

Quondam porticus attulit obscuros nimium senes, qui sensus et imagines e corporibus extimis credant mentibus imprimi, ut quondam celeri stilo mos est aequore paginae quae nullas habeat notas pressas figere litteras. Sed mens si propriis vigens nihil motibus explicat sed tantum patiens iacet notis subdita corporum cassasque in speculi vicem rerum reddit imagines, unde haec sic animis viget cernens omnia notio? Quae vis singula perspicit aut quae cognita dividit? Quae divisa recolligit alternumque legens iter

62 Cf. ibid., 11-14, 608A-610A, pp. 10,34- 11, 46.

L'errore dei «vecchi filosofi»

nunc summis caput inserit nunc decedit in infima, tum sese referens sibi veris falsa redarguit? Haec est efficiens magis longe causa potentior quam quae materiae modo impressas patitur notas. Praecedit tamen excitans ac vires animi movens vivo in corpore passio. Cum vellux oculos ferit vel vox auribus instrepit, tum mentis vigor excitus quas intus species tenet ad motus similes vocans notis applicat exteris introrsumque reconditis formis miscet imagines63

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La straordinaria sensibilità poetica di Boezio, sapientemente funzio­nalizzata, nei versi della Consolatio, all'impegno di reinventare un lin­guaggio lirico per la latinità morente, riesce spesso a dare pregevole veste metrica anche a dense esposizioni filosofiche, imprigionate senza costrizione in raffinate strutture formali e cadenze ritmiche mutua­te con libertà e, insieme, con grande rispetto dai modelli classici. In questo caso, in particolare, l'esposizione di due contrapposte teorie gnoseologiche è affidata a una utilizzazione sapiente, molto efficace sul piano delle immagini e tuttavia assolutamente rigorosa e precisa sotto l'aspetto tecnico, della terminologia filosofica tardo-latina. Mol­te fra le espressioni utilizzate in questo carme per descrivere i percorsi della conoscenza umana, nonostante l'evidente libertà stilistica del poeta nell'impiegarle, obbediscono con precisione alle regole fissate dalle fonti antiche, e soprattutto da Cicerone, per tradurre in latino i complessi concetti logico-gnoseologici elaborati dalle diverse scuole greche. Nessuna fra le parole utilizzate in questi versi come portatrici di significato filosofico è stata inserita da Boezio senza una precisa

63 lbid., V, m. IV, 850B-853B, pp. 151-152. Negli ultimi versi (33-40) pre­ferisco alla punteggiatura scelta da Moreschini (« ... passio, cum ..... .instrepit. Tum ... ») quella concordemente proposta dai precedenti editori, in ragione del­l'evidente opposizione sin tattica tra «cum ... »e «tum ... »).

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98 La veste di Filosofia

ragione dottrinaria: in modo raffinato e inconsueto, il cesello raffinato del poeta ha anzi saputo sottilmente esprimere immagini dotate di intensa efficacia lirica proprio servendosi del lessico adeguato a un complesso trattato di gnoseologia.

È evidente che nel tentativo di tradurre in lingua moderna que­sti versi è opportuno, se si vuole rendere al meglio e correttamente la complessa densità filosofica delle parole, ricorrere a un linguaggio parafrastico che non perda di vista la specificità tecnica dei termini, rinunciando in parte all'immediatezza del ritmo e delle stringate sono­rità che impreziosiscono il latino:

Mise in scena in tempi antichi il Portico certi vecchi fin troppo oscuri, tali da credere che si imprimano nelle menti conoscenze sensoriali e immaginative provenienti dai corpi più esterni, così come talvolta lo stilo veloce sulla piana tavoletta cer~ta che ancora non reca alcun segno suole, premendo, tracciare le lettere.

10 Ma se è vero che nulla la mente produce traendo vigore dalle sue facoltà, e, restando passiva, inerte soggiace alle impressioni provenienti dai corpi e riflette, come uno specchio,

15 vane immagini delle cose, donde, allora, trae sì possente vigore sulle anime questo alto sguardo che tutto coglie? quale potenza distingue le realtà singolari? quale divide gli oggetti della conoscenza?

20 e quale ancora riunisce i risultati della divisione, e quindi, seguendo un percorso duplice, ora alza il capo fino ai gradi più alti del vero, ora s'abbassa agli infimi margini, ora infine, tornando a volgersi su se stessa,

25 con le verità smaschera le falsità? Certo questa forza interiore è causa efficace del conoscere ben più potente di quanto lo sarebbe una passiva disposizione, recettiva, come la materia, di segni impressi dall'esterno.

30 L'affezione sensibile deve precedere, è vero, sollecitandole e mettendole in movimento, le facoltà dell'animo nel corpo vivente.

l} errore dei «vecchi filosofi»

Ma quando la luce ferisce gli occhi o il suono echeggia nelle orecchie,

" allora si desta il vigore della mente: e richiamando le immagini ideali che interne conserva quando giungono informazioni esterne somiglianti le collega alle impressioni provenienti dal di fuori; e alle forme che nasconde dentro di sé

·111 congiunge le immagini sensoriali.

99

Se il carme, come spesso accade negli ultimi libri della Consolatio, svolge effettivamente la funzione di commento poetico erudito all'e­sposizione dottrinaria contenuta nella prosa precedente, è evidente che l'errore gnoseologico sopra denunciato da Filosofia (e in un primo momento presentato come tipico dell'ottusità e dell'ignoranza delle menti incolte) viene qui polemicamente identificato soprattutto con la posizione difesa dagli Stoici in contrapposizione all'insegnamen­to aristotelico sull'attività astraente dell'anima intellettiva. I seguaci di Zenone riducono infatti la funzione svolta dal soggetto nell'evento della conoscenza a una pura passività recettiva delle informazioni pro­venienti dai sensi e successivamente, più in profondità, coagulate nella costituzione di immagini corrispondenti al grado, più unitario e rap­presentativo ma pur sempre passivo, dell'immaginazione64

: ed è chia­ro che i sensus e le ima gin es di cui parla Boezio (v. 3) sono il risultato dell'impressione delle conoscenze nell'anima rispettivamente ai due più bassi ma anche più determinanti gradini della gnoseologia stoica, quelli che producono e orientano l'intero formarsi dell'immagine co­noscitiva su un terreno assolutamente disponibile alla modificazione proveniente dall'esternai'\ e dunque in sé assimilabile a una tabula rasa, una superficie molle non scritta sulla quale uno stilo traccia con maggiore o minore profondità, a seconda dell'intensità della pressio­ne, il disegno delle lettere (vv. 4-9)66

64 Cf. M. PoHLENZ, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, 2 voli., Gi:ittingen 1959, I, pp. 54-63, in partic. pp. 55-56 (tr. it., Firenze 1967, l, pp. 97-117, in partic. pp. 98-104).

65 Su questo significato di imagines come prodotti dell'affezione sensibile depositati nella memoria sensitiva, cf. anche In Isagogen Porphyrii, ed. secunda, l, l, 71 C, ed. Brandt, pp. 136, 17 - 13 7, 3. E ancora sul binomio senJUs e imagina­tiones, cf. In Aristotelis Periermeneias, ed. secunda, l, l, 406A-407 A, ed. Meiser, pp.27,4-29,11.

66 Con il termine pagina si indica nell'Antichità una superficie scritta da un solo lato, come il foglio di papiro o, appunto, la superficie cerata di una tavoletta: cf. S. Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma 1984 (Sussidi eruditi, 26), p.

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100 La veste di Filosofia

La Filosofia boeziana- che, come risulta dal contesto, pronun­cia in prima persona le parole del carme - condanna con decisione questa dottrina dei «vecchi» filosofi stoici, «oscuri» in quanto intel­lettualmente disorientati e accecati dal pregiudizio materialista: una dottrina gnoseologica che può a giusto titolo essere presentata come una vera e propria 'eresia' filosofica, proprio in quanto assunzione, per ragioni di polemica e rivalità tra scuole, di una posizione separata dall'opinione condivisa dai più autentici amici della verità. La scelta di considerare il soggetto come un passivo recettore di immagini cor­poree appare in tutta la sua gravità quando viene assunta addirittura quale fondamento di un intero sistema speculativo, come accade nel caso di quello stoico. La costruzione di tutte e tre le discipline filoso­fiche che lo costituiscono, la logica, la fisica e l'etica, è infatti orientata dal presupposto che l'intelligenza del vero sia nel soggetto soltanto e puramente una inerte disposizione passiva, sottoposta alle modifica­zioni che producono sulla sua superficie le 'impressioni' provenienti dal mondo esterno. L'espressione qui usata da Boezio per indicare l'effetto di tali impressioni o modificazioni è nota (v. 13 ): parola che già Cicerone nei Topica e poi lo stesso Boezio, sia come traduttore di Aristotele sia quando commenta Cicerone, fanno corrispondere al CTY)fLEiov o al CTUfL~OÀov aristotelici, che indicano in generale il risultato dell'imprimersi nell'anima di un significato espresso dalla vox"7• Pro­prio come il signum agostiniano (che a esso può correttamente essere accostato per le applicazioni che ne vengono fatte nella trattatistica logico-semantica altomedievale)68 , il termine nota esprime appunto

35. Il significato tecnico originale di stilus quale strumento metallico per graffiare le tavolette cerate e l'immagine stessa della pressione con cui vengono tracciate le let­tere confermano che Boezio si riferisce in questi versi proprio allo strumento scrit­torio più in uso nell'Antichità - e ancora nel Medioevo - per l'esercizio privato della scrittura (con un chiaro riferimento, dunque, all'immagine stoica della tabula rasa, cui farà ampio riferimento l'intera tradizione dell'empirismo medievale e moderno).

67 Cf. la traduzione boeziana di ARISTOTELE, De interpretatione, l, 16a, ed. L. Minio-Paluello, Bruges- Paris 1965 (Aristoteles latinus, 11/1), p. 5, 8; e cf. MARCO TULLIO CICERONE, Topica, 8, 35, ed. Friedrich cit. (cap. l, alla nota 13): «ltaque hoc idem Aristoteles <TlJfot~OÀov appellat, quod latine est nota»; e ancora SEVERI­NO BoEZIO, In Topica Ciceronis commentaria, IV, 1111B: «Nota vero est quae rem quamque designat». - Si noti nel carme boeziano anche il gioco sull'ambiguità di notae, usato al v. 8 per designare invece le lettere o le parole scritte.

68 Cf. AGOSTINO DI IPPONA, De dialectica, PL 32, 1410, ed. B. D. J ackson -J. Pinborg, Dordrecht - Boston 1975 (Synthese Historical Library, 16), p. 86; De doctrina christiana, l, 2, 2, PL 34, 19-20, ed. Martin cit. (cap. l, alla nota 169), p. 7, 1-14; De magistro, 1, 2-3, PL 32, 1195-1196, ed. Daur cit. (cap. l, alla nota 147), pp. 159, 71 - 160, 20; ecc. Cf. A. MAIERÙ, «Signum» dans la culture médié-

L'errore dei «vecchi filosofi» 101

- soprattutto quando è utilizzato in riferimento alle discussioni cice­roniane sulla gnoseologia ellenistica - la particolare connotazione di verità che caratterizza secondo gli Stoici il contenuto di un'esperienza evidente (cioè la cpav-racr[a, in latino visum)69 e che consente di di­stinguerlo in maniera definita da altre conoscenze («veritatis nota»)7°. E anzi, negli Academica ciceroniani l'individuazione della nota quale connotazione logica del vero scaturita dall'immediato contatto con la realtà oggettiva della res esterna (cf. anche Boezio al v. 29: «impres­sae notae») viene presentata come l'arma fondamentale (e dunque il primo criterio di verità) che gli Stoici credono di poter opporre a chi rifiuta il principio dell'evidenza sensoriale71

All'appiattimento dell'attività psichica conseguente all'empi­rismo materialista stoico Filosofia oppone quindi la rivendicazione delle molteplici energie produttive di conoscenza che fecondano la vita interiore dell'anima umana (vv. 10-25). I «motus» da cui trae il suo vigore ( «vigens») la «mens» ( vv. 10-11) non sono infatti qui le passioni (secondo il significato che assume con più frequenza il sin­tagma «animi motus» negli scritti di Cicerone)72

: precisandoli come «proprii motus» della mente, Boezio vuole piuttosto indicare con essi i processi organizzativi secondo i quali si articola la conoscenza e che corrispondono a ciò che noi intendiamo parlando di 'facoltà' dell'a­nima, disposte lungo una successione di gradi in riferimento a una differente organizzazione dei dati e una maggiore o minore dignità del risultato73• E prima di prendere in considerazione altre inferiori

vale, in !l'prache und Erkenntnù im Mittelalter, Akten des VI lntern. Kongresses fiir Mittelalterliche Philosophie (Bonn, 29. Aug.- 3. Sept. 1977), Berlin 1981,2 voli. (Miscellanea Mediaevalia, 13/1-2), I, pp. 51-72; o'ONoFRIO, Fons scientiae. La dialettica ci t. (cap. l, alla nota 7), p. 159 e nota l.

69 Cf. MARCO Tuu.ro CICERONE, Lucullus (Academica priora), 6, 18, ed. Miil­ler cit. (cap. l, alla nota 2), p. 30, 12-13. La corrispondenza di visum e cpanacr{a è esplicitamente confermata da SEVERINO BoEZIO, In Isagogen Porphyrii, ed. prima, l, 10, 19B, ed. Brandt, p. 25,8-11, per indicare le immagini che la mente riconosce nelle informazioni provenienti dai sensi o anche (congiungendo due diversi signi­ficati filosofici del termine greco) quelle che la mente costruisce artificiosamente a partire da esse (come il centauro).

7° Cf. MARCO TULLIO CICERONE, ibid., 11, 33, p. 26, 31-35. 71 Cf. ibid., 11, 35, p. 37, 29-32: «Non enim urguent, ut coarguant neminem

ulla de re posse contendere nec adseverare sine aliqua eius rei, quam si bi quisque piacere dicit, certa et propria nota». Per la replica probabilista a questa dottrina cf. ibid., 26, 84, p. 57, 28-31; e cf. supra, cap. l, p. 25 e note 33-36.

72 Cf. Io., De o/ficiis, I, 6, 19, ed. Miiller cit. (cap. l, alla nota 7), p. 8, 29; 21, 73,p.26, 11-12;28, 100,p.35,9;36, 13l,p.45, 12;38, 136,p.46,3l;ecc.

73 Per un uso simile a questo del sintagma motus animae (quale traduzio­ne del greco ljlux~ç xtv~crEtç incontrato nel linguaggio filosofico di Massimo il

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102 La veste di Filosofia

manifestazioni dell'attività conoscitiva umana, l'indignazione di Filo­sofia solleva subito il velo sul più elevato e più prezioso grado del sapere, la cui insopprimibile funzione verrebbe a essere pericolosa­mente sacrificata da una concezione «a posteriori» del meccanismo della conoscenza (vv. 16-17): la cernens omnia natio che regola e go­verna, sopra ogni altro principio, la sfera psicologica ( «animis viget») sembra in fondo identificarsi con lo sguardo sommo e totalizzante, quasi divino, di cui dovrebbe essere capace, quando giunge a contem­plare l'insieme di tutte le cose, la medesima Filosofia («haec ... notio», ossia, in un certo senso, «questa mia conoscenza»). Ed è un'immagine che richiama con efficacia la solenne descrizione con cui Boezio fin dall'inizio dell'opera ha introdotto la sua interlocutrice, la dimensione della cui figura «era di incerta misurabilità: ora infatti si abbassava alla consueta dimensione degli uomini, ora invece sembrava spingersi a toccare il cielo con la sommità del capo (summi verticis cacumine), e anzi, quando sollevava la testa ancora più in alto, penetrava nel cielo stesso e si sottraeva allo sguardo degli uomini che la osservavano»74

• E ancora, come vedremo più avanti, quando torna in seguito ad alludere a questo massimo grado della conoscenza, invitando l'uomo a seguirla verso tali altezze per rendersi capace di riconoscere l'ordine perfetto e mai contraddittorio che vige nell'intero creato, Filosofia stessa ne parla come della «sommità dell'intelligenza» (summae intelligentiae cacumen)75•

Ma anche il termine natio, qui usato per indicare questa funzione superiore e regolatrice dell'intelligenza umana, capace di cogliere il vero nella sua totalità, senza limitazioni o parcellizzazioni, ha una sua precisa valenza filosofica di origine classica. Ancora secondo il lessico ciceroniano, si chiama natio o notitia rerum il risultato dell'operazio­ne d-conoscitiva del reale come oggetto: ossia quella acquisizione di verità interiore da parte dell'anima cui si riferisce l'efficacia distintiva delle notae significanti, e che corrisponde a quello che i Greci, a se-

Confessore), cf. GIOVANNI ScOTO EruuGENA, Periphyseon, Il, 23, PL 122, 572C-580A, ed. É. Jeauneau, 5 voli., Turnhout 1996-2003 (CCCM, 161-165), t. II, pp. 63, 1469-73, 1714.

74 Consolatio Philosophiae, I, p r. l, 1-2, 588A, ed. Moreschini, pp. 4, 3 - 5, 12: «Mihi supra verticem visa est mulier ( ... ) statura discretionis ambigua. Nam nunc quidem ad communem sese hominum mensuram cohibebat, nunc vero pulsare caelum summi verticis cacumine videbatur; quae cum altius caput extulisset, ip­sum etiam caelum penetrabat respicientiumque hominum frustrabatur intuitum». Cf. anche l'assonanza con il v. 22 del carme.

75 Cf. ibid., V, pr. 5, 12, 856A, p. 154,48-49: «Quare in illius summae intelli­gentiae cacumen, si possumus, erigamur>>.

L} errore dei «vecchi filosofi» 103

conda dell'adesione alla tradizione platonica o a quella stoica, chia­mano rispettivamente Éwota o np6À>')\jJtç76: nel primo caso si tratta però di una concezione che proviene dall'interiorità dall'animo, anzi dalle più intime profondità noetiche della vita spirituale; nel secondo, in accordo con il materialismo stoico, della pura recettività di tipo forte con cui la mente dà il suo assenso all'evidenza sensibile. A prescinde­re da tali oscillazioni di scuola, comunque, la natio è per Cicerone il principio della discrezione del vero dal falso: il tribunale in cui si di­scute e si giudica la corrispondenza del prodotto interiore della mente all'esteriorità della res77 • E allora la cernens omnia natio, di cui qui Boezio rivendica autonomia spirituale e supremazia rispetto a ogni inferiore attività dell'anima intelligente, coinciderà correttamente con la più alta funzione conoscitiva, la cui efficacia non può minimamen­te essere messa in dubbio. È il criterio supremo che consente all'uo­mo di congiungersi alla verità: non al modo di apparire, mutevole e sottoposto all'accidentalità, degli oggetti comunicati dalle percezioni sensoriali, ma al modo di essere in sé delle cose che sono, giudicabile solo da una penetrazione intuitiva e non mediata nella realtà ultima di tutte le cose, colte nel loro modo originario di essere (e, dunque, di essere vere).

E tuttavia, il contenuto puro della natio totalizzante, in quanto coincide con la verità assoluta, non potrà essere espresso analiticamen­te, se non per mezzo di generalissime formulazioni, quali i princìpi primi della logica aristotelica o altre intuizioni veridiche di massima estensione, che, pur potendo avere un valore assiomatico decisivo per tutta la conoscenza subordinata, non si risolvono immediatamente in una effettiva precisazione di ambiti concettuali determinati e dunque singolarmente conoscibili. Ne segue che per potersi esplicare in mani­festazioni di verità più precisate e applicabili a oggetti definiti e descri­vibili, l'intuizione primordiale del vero dovrà essere sottoposta a una dilatazione verso il basso che comporterà però inevitabilmente per i suoi contenuti una diminuzione di stabilità e di certezza. Subito dopo l'iniziale rivendicazione dell'alta origine spirituale del vero intuito dal­la mente, Filosofia passa dunque a reclamare un riconoscimento di

76 Cf. MARcus Tuwus Cic:ERO, Lucullus (Academica priora), lO, 30, p. 35,30-31. 77 Cf. ibid., 11, 3 3, p. 36, 29-31: «Qua e ista regula est veri et falsi, si notionem

veri et falsi propterea quod ea non possunt internosci nulla habemus?>>. Cf. inol­tre: Io., ibid., 9, 27, pp. 33,37-34, 3; 41, 128, p. 77, 19-20; De natura deorum, I, 16, 43, ed. Miiller cit. (cap. l, alla nota 25), p. 18, 35-37; 18, 46, p. 20, 7 -8; II, 17, 45, p. 62, 15-17; III, 7, 16, p. 112, 29-31; De o/ficiis, III, 20, 81, ed. Miiller cit., p. 116, 2-4; ecc.

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104 La veste di Filosofia

autonomia dal materialismo sensistico anche per le successive attività con cui l'intelligenza, scendendo lungo i gradi del sapere, articola la scienza in forme sempre meno estese e quindi più determinate, sotto­ponibili alle strumentazioni analitiche e sintetiche della logica (vv. 18-25). Dopo lo sguardo iniziale, intuitivo e onnicomprensivo, che antici­pa in sé e regola l'intera sfera delle attività conoscitive, una successione di potenzialità minori scandisce il generarsi delle forme di determina­zione del vero che costituiscono nel loro insieme il quotidiano pro­cesso umano di valutazione e organizzazione della realtà esterna. Una potenza (vtS) distingue aspetti singoli delle verità già radunate in unità all'interno della natio universale (v. 18); un'altra, quasi allo stesso tem­po, applica il metodo diairetico, cioè della divisio, attuando la discesa dei significati lungo la scala dei generi e delle specie (v. 19); un'altra ancora ripercorre in senso inverso l'itinerario della precedente e fissa, con il metodo della sintesi, a ogni gradino della scala medesima una esatta definitio del concetto corrispondente (vv. 20-23 ); e la stessa po­tenza, o forse un'altra, realizza, quale esito del precedente percorso di ascesa e discesa lungo la gerarchizzazione delle conoscenze, la discretio argomentativa del vero e del falso e smaschera l'errore contrapponen­dolo alle certezze precedentemente acquisite (vv. 24-25). Non si tratta, tuttavia, di diverse facoltà o forme sostanzialmente distinte dell'anima, operanti indipendentemente le une dalle altre, ma del complesso muo­versi intorno ai propri oggetti di un'unitaria e articolata forza interio­re: una razionalità discorsiva che modifica e sostituisce di volta in volta i propri percorsi per meglio avvicinarsi a una descrizione chiara della maniera di essere dell'oggetto conosciuto, anche se, così facendo, si allontana dalla stabilità della natio universale per trame conseguenze e applicazioni secondarie e molteplici.

È evidente però che questo processo di discesa dal più assoluto universale alla conoscibilità del particolare, proprio in quanto com­porta una diminuzione di perfezione originaria, non sarà mai il ri­sultato di uno spontaneo auto-degradarsi dell'anima verso il basso. La conoscenza intuitiva primordiale, pur coincidendo con l'attività suprema della mente, rischierebbe di rimanere immobile e infeconda, e in ogni caso ignota alla vivacità quotidiana della coscienza, se non venisse stimolata in qualche modo da fattori esterni a uscire dalla sfera della pura interiorità e a proiettarsi verso il mondo. È per questo che l'informazione di origine sensibile, filtrata attraverso gli strumenti sen­sori del corpo, è comunque chiamata da Filosofia a svolgere un impor­tante ruolo quale principio occasionale di attivazione del sapere. Se infatti una gnoseologia tutta «a posteriori» ridurrebbe l'anima soltan-

I: errore dei «vecchi filosofi» 105

to a una 'causa materiale', ossia a un contenitore puramente passivo dell'intelligenza (vv. 26-29), è però necessario riconoscere che senza l'esperienza sensibile, che genera il contatto puntuale tra il mondo esterno e la sfera dell'interiorità psicologica, quest'ultima resterebbe immobile e nessuno stimolo la spingerebbe ad attivare la piramide ascensivo-discensiva delle sue operazioni. Ecco dunque che la passio, ossia l'affezione che induce i centri recettivi della sensibilità esteriore di un corpo vivente ad avviare la reazione dell'anima da cui scaturisce la conoscenza, deve precedere in ordine cronologico (non certo per dignità o efficacia) l'attività delle potenze interiori (vv. 30-32).

Negli ultimi versi del carme viene insomma esplicitata una teoria della complementarietà di azione della parte intellettuale dell'anima e di quella sensitiva che sembra direttamente ispirata dalla dottrina ari­stotelica dell' astrazione78: una dipendenza della conoscenza intellettiva dalla modificazione dei sensi corporei a opera delle impressioni esterne, ma anche, complementare e inversa a essa, una modificazione dei dati provenienti dai sensi in base alloro inquadrarsi in forme universali inte­riormente possedute dall'anima intellettiva (vv. 33-40). E in effetti, nel quarto capitolo del libro r del De anima, Aristotele parla esplicitamen­te del concorso della facoltà sensitiva, che distingue le qualità corporee, e di quella intellettiva (separata dalla corporeità), che è il luogo delle forme intelligibili: la seconda riconosce la somiglianza di tali forme con le immagini delle sostanze esterne la cui esistenza è documentata dalla prima con la percezione delle qualità accidentali79. L'operatività dell'in­telletto consentita dalla presenza delle entità universali intelligibili nell'anima giace tuttavia di per sé per Aristotele in uno stato di inatti­vità potenziale: e solo in seguito alla sollecitazione del pensiero intellet­tivo da parte della sensibilità le forme si attualizzano nella coscienza80

Non è un caso, pertanto, che per esplicitare il senso di tale potenzialità

7H Cosl di fatto la interpreta Luca Obertello nel commento alla sua traduzio­ne: SEVERINO BoEZIO, La consolazione della Filosofia. Gli opuscoli teologici, Milano 1979 (I classici del pensiero), a c. di L. Obertello, p. 304, nota 29: «Questi ultimi versi contengono le linee essenziali di una vera c propria gnoseologia di stampo aristotelico, assai simile a quella predominante poi nella Scolastica matura».

79 Cf. ARISTOTELE, De anima, III, 4, 429ab; e cf. ToMMASO n'AQUINO, Quae­stiones disputatae de veritate, q. 2, a. 6, ad 3, ed. A. Dondaine, in Io., Opera om­nia iussu Leonis XIII P. M. edita, XXII/l, Roma 1975, coli. 66b, 127 - 67a, 133: «Homo praecognoscit singularia per imaginationem et sensum, et ideo potest ~p­plicare cognitionem universalem, guae est in intellectu, ad particulare: non emm proprie loquendo sensus aut intellectus cognoscunt, sed homo per utrumque, ut patet in I De anima».

8°Cf. ARISTOTELE, ibid., 429b-430a.

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106 La veste di Filosofia

intellettiva egli introducesse proprio l'immagine della tavoletta cerata, sulla quale «non c'è in atto nulla di scritto»81 • A prescindere dunque dal problema dei rapporti tra intelletto passivo e attivo e dalle varie solu­zioni che a esso hanno dato i commentatori del De anima, resta il fatto che dalle parole di Boezio traspare una considerazione- poco 'aristate- ,, lica' in verità- delle potenze interiori dell'animo quali princìpi innati di attività conoscitiva, nonostante sia vero anche per lui che il loro vigore viene suscitato e messo in movimento («excitus») dall'occasionale so­praggiungere delle sensazioni. Ne è dimostrazione il fatto che per ben due volte, e con parole diverse ma sovrapponibili, negli ultimi versi del carme (vv. 36-40) sono ribadite sia la presenza alla mente di im- , magini innate della verità («species» o «formae»), sia l'operazione che . essa compie quando, riconoscendo una somiglianza tra queste perfette nozioni ideali e le modificazioni conoscitive provenienti dall'esterno («motus»), richiama («vocans») le prime dal deposito silenzioso della memoria per applicarne il significato alle informazioni dei sensi («no- , tae», ancora una volta, e «imagines»): solo in questo modo, una volta realizzato tale incontro tra vero interiore e mondo esterno, tra 'immagi­ni ideali interne' e 'immagini sensoriali' o 'impressioni provenienti dal di fuori', l'anima, secondo Boezio, viene messa in grado di ri-conoscere e determinare la verità degli oggetti conosciuti.

6. La gnoseologia neoplatonica e il 'ribaltamento' dei rapporti tra soggetto e oggetto

Quella che Boezio contrappone al materialismo gnoseologico dei «vecchi» filosofi è dunque una rivisitazione della dottrina della co­noscenza aristotelica, in base alla quale, con una forte attenuazione dell'impianto empirico originario, egli fa largo spazio, da una parte, alla operatività creatrice di conoscenza da parte del soggetto; e, dall'al­tra, a un innatismo eidetico, per cui tale attività è consentita all'io dal possesso «a priori» di forme generali del vero, modelli non mutevoli della realtà, il confronto con i quali è la chiave fondamentale del ri­conoscimento del significato portato dentro l'intelligenza dal contatto sensoriale con il mondo: le essentiae del De institutione arithmetica, o gli intelligibilia del secondo commento a Porfirio82 , collocati al vertice

~ 1 Ibid, 430a: «WCi'lrEp Év ypa.!J-t-taTEL4J ~ !J-'IJ9Èv Évu7rctp;l(EI ÉV'rEÀE;l(Efc;t yeypa.!J-!LÉ­

vov». E palese l'assonanza di queste parole aristoteliche con il v. 8 del carme boeziano. 82 Cf. supra, pp. 78-82 e 84-88.

Il 'ribaltamento' dei rapporti tra soggetto e oggetto 107

della sapienza umana. È dunque sempre più evidente il fatto che la matrice filosofica che ha ispirato in buona sostanza l'intera concezione boeziana sul funzionamento della conoscenza e la sua revisione della tecnica gnoseologica di Aristotele- come del resto è emerso con chia­rezza dalla sua presentazione del problema degli universali83

- vada in­dicata nell'insegnamento dei pensatori neoplatonici greci, che hanno dato vita durante gli ultimi secoli della romanità morente al progetto di realizzare una armonica concordia degli insegnamenti dei grandi maestri dell'Antichità elaborando un sistema speculativo fondato sulla dottrina platonica della spiritualità ascensiva del vero ma corredato dai frutti della preziosa strumentazione logico-scientifica messa a pun­to da Aristotele. Proprio tale sintesi dottrinaria consente alla raffinata psicologia neo platonica di salvaguardare l' operatività autonoma del­l'io operando uno spostamento deciso - rispetto non soltanto al ma­terialismo antico ma anche allo stesso metodo induttivo aristotelico -dell'asse portante della verità del conoscere dalla dipendenza da una necessità proveniente dall'oggetto corporeo a una oggettività interiore di ordine teorico e non materiale, determinata solo dall'autonomo modo di agire sui dati conoscitivi proprio del soggetto spirituale84

È soprattutto nelle pagine speculativamente più dense degli ulti­mi due libri della Consolatio che viene esplicitamente problematizza­ta, teorizzata e risolta la situazione di confronto fra la verità oggettiva delle res e i risultati delle operazioni delle facoltà conoscitive umane. Qui il compito supremo di Filosofia prende concretamente corpo nel progetto di aiutare la mente ancora debole e stupita di Boezio a gua­rire dall'incapacità di comprendere l'incompatibilità tra l'innata cer­tezza di un governo divino del mondo e la constatazione dell'illogicità apparente delle vicende terrene, che sembrano dipendere più dal caso che dall'obbedienza a una razionalità universale. All'inizio della sesta prosa del quarto libro, dinanzi all'impossibilità, lamentata da Boezio, di giustificare la presenza del disordine e dell'ingiustizia all'interno di una storia cosmica orientata dal Sommo Bene, Filosofia annuncia solennemente la necessità di raggiungere una soluzione unitaria per tutte le apparenti contraddizioni che scaturiscono dall'incommen­surabilità tra la condizione umana, parcellizzata nella dimensione

83 Cf. supra, pp. 88-90, 84 Cf. PLOTINO, Enneades, V, 3, 2-4, ed. Henry- Schwyzer cit. (cap. l, alla

nota 92), t. II, pp. 300-304, Cf. il commento filosofico di questo terzo trattato del­la quinta Enneade proposto da W. BEIERWALTES, Selbsterkenntnis und Er/ahrung der Einheit, Frankfurt am M. 1991 (tr, it., Milano 1995).

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108 La veste di Filosofia

spazio-temporale, e l'eterna identità della verità divina85 . Il dilemma filosofico fondamentale- che dovrà essere risolto alla luce del presup­posto, essenziale per la metafisica boeziana, della derivazione di tutto ciò che è e muta dalla perfetta immutabilità della Mente divina86 - è dunque quello della difficile conciliabilità tra la perfezione del princi­pio divino del cosmo e la derivazione da esso, accidentale e disordina­ta, del molteplice. I due termini di questo dissidio si congelano nella duplicità di concetti, apparentemente sovrapponibili e contraddittori, con cui l'intelligenza umana ha abitudine di denominare e spiegare l'accadere universale: provvidenza, per indicare la semplicità causale dell'Intelligenza divina, immutabilmente operante anche nella realtà variabile e molteplice; e fato, per indicare la successione, che sembra casuale e priva di ordine logico, di tutte le articolazioni spazio-tempo­rali in cui si dipana la derivazione delle cose dal comune principio87

Filosofia non ha difficoltà a mostrare come tali interiori contraddizio­ni avvolgano nelle loro spire appunto il non-filosofo, ossia colui che ignora i princìpi dell'ordine universale o che avendoli ammessi non ne comprende realmente il significato. E canta la mirabile legge che ordina l'universo, deprecando che gli uomini la conoscano in forma soltanto parziale, perché l'ignoranza delle cause produce turbamen­to nell'animo88

• Si impegna quindi a dimostrare, con lucidità disar­mante, quanto la distinzione e la contrapposizione apparente di fato e provvidenza nascondano in verità un falso problema, scaturito dalla debolezza del conoscere umano, ossia da una valutazione parziale, e quindi erronea, dell'armonia universale che soltanto Dio può cogliere dall'alto della sua visione assoluta, mentre gli uomini, costretti a una prospettiva limitata e incompleta, credono ingiustamente di constata­re nel mondo imperfezioni e ingiustizie.

85 Cf. Consolatio Philosophiae, IV, pr. 6, 2-4, 813A-814A, ed. Moreschini, p. 1~1, 4-13 : «Tum illa paulisper arridens: Ad rem me, inquit, omnium quaesitu maxtmam vocas, cui vix exhausti quicquam satis sit. Talis namque materia est ut una dubit~tione succisa innumerabiles aliae velut hydrae capita succrescant, nec ullus fuent modus, nisi quis eas vivacissimo mentis igne coerceat. In hac cnim de providentiae simplicitate, de fati serie, de repentinis casibus, de cognitione ac praedestinati?ne divina, de arbitrii libertate quaeri solet, quae quanti oneris sint 1psc perpendls».

~~f. ibid., 7, 814A, p. 122,20-23: «Omnium generatio rerum cunctusque ~utabihum naturarum progressus et quicquid aliquo movetur modo causas, or­dmem, formas ex divinae mentis stabilitate sortitur».

87 Cf. ibid., 8-10, 814A-815A, p. 122,24-40. 88 Cf. ibid., pr. 5, 5-7, 810A, pp. 119, 16- 120, 25; e ibid., m. v, 811A-812A,

pp. 120-121.

Il 'ribaltamento' dei rapporti tra soggetto e oggetto 109

È alle pagine delle due prose, la quarta e la quinta del quinto li­bro, fra le quali si trova incastonato il carme sull'errore materialistico della filosofia stoica, che Boezio affida il compiersi del 'capovolgimen­to' della concezione errata della conoscenza, in seguito al quale risul­terà chiaro che il manifestarsi della verità delle cose nell'anima dipen­de molto più dalle interiori capacità operative del soggetto conoscente che da un suo porsi come passivo spettatore dinanzi all'oggetto:

La causa dell'oscurità di questioni di tale genere è nel fatto che il moto conoscitivo della razionalità umana non riesce a elevarsi fino alla semplicità della prescienza divina; perché se, invece, si potesse riuscire a pensarla in qualche modo, più nulla restereb­be di ambiguo89

. (. • • )

Tu dici di dubitare fortemente se sia possibile una qualsiasi pre­scienza di quelle cose il cui accadere non è in sé necessario. Ti sembra infatti che ci sia contraddizione tra questi due aspetti (cioè prescienza e contingenza): e pensi che o è possibile preve­dere le cose, e allora ne consegue inevitabilmente la necessità, oppure non sussiste in esse alcuna necessità, e allora non se ne può avere prescienza; e ritieni che non sia possibile compren­dere mediante scienza se non ciò che è assolutamente certo. E dunque, qualora risultasse possibile prevedere come se fossero certe le cose il cui accadere non è certo, si tratterebbe soltanto di oscurità dell'opinione e non di verità della scienza. Tu credi infatti che il considerare una cosa in modo differente da come effettivamente è sia qualcosa di lontano dalla compiutezza della scienza.

La causa di questo errore è nel fatto che colui che conosce qual­cosa è convinto che la sua scienza sia determinata sempre e sol­tanto da una efficacia proveniente in modo naturale dalle cose stesse che sono conosciute. E invece è vero proprio il contrario: tutto ciò che è conosciuto, infatti, viene compreso non tanto secondo la sua propria efficacia, quanto piuttosto secondo la capacità propria di chi conosce90

89 Ibid., V, p r. 4, 2, 847 A, pp. 146, 5 - 147, 9: «Cuius caliginis causa est quod humanae ratiocinationis motus ad divinae praescientiae simplicitatem non potest amoveri; quae si ullo modo cogitari queat, nihil prorsus relinquetur ambigui>>.

•m Ibid., 21 -25, 848B-849A, pp. 148, 60- 149, 75 : «Sed hoc, inquis, ipsum dubitatur, an earum rerum quae necessarios exitus non habent ulla possit esse praenotio: dissonare etenim videntur, putasque, si praevideantur, consegui ne­cessitatem, si necessitas desit , minime praesciri , nihilque scientia comprehendi

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110 La veste di Filosofia

Quanto più le funzioni conoscitive svolgono la propria azione allon­tanandosi e svincolandosi dai condizionamenti della materialità, tanto maggiore e più corretto sarà il loro avvicinarsi alla verità della res cono­sciuta. Già al più basso livello della conoscenza, di fatto, all'affezione (passio) viene affidato il compito di introdurre le qualità degli oggetti corporei all'interno della sfera d'azione del soggetto solo per offrirgli, senza condizionarlo, un materiale informativo su cui esercitare il suo giudizio: costantemente in atto nell'equilibrio del proprio vigore co­noscitivo, quando viene sollecitata dalle informazioni dei sensi l'anima risveglia per valutarne il significato le forme universali depositate nella ; memoria. Progressivamente sempre più libere dalla soggezione alle determinazioni esterne saranno dunque, ascendendo lungo la gerar- . chia del conoscere, le facoltà più elevate e più vicine alla pura attualità · che governa dall'alto l'intero funzionamento della mente:

Un medesimo oggetto di conoscenza, per esempio 'l'uomo', viene considerato in un modo dal senso, in un modo diverso dall'immaginazione, in un altro modo dalla ragione, e in un al­tro modo ancora dall'intelligenza pura. n senso infatti ne giudi­ca la/orma sensibile («figura») inerente alla materia a essa sog­getta. I.: immaginazione invece giudica la stessa /orma sensibile, ma separandola dalla materia. La ragione, poi, si eleva del tutto al di sopra della forma sensibile e, con la capacità di conside­razione universale che le è propria, esamina senz'altro la/orma intelligibile («species»), che sta al di sopra dei singolari. E infine l'occhio dell'intell(genza si solleva più in alto ancora: si innalza infatti al di sopra della totalità di tutte le cose e contempla la /orma assolutamente semplice del vero con il puro acuto sguar­do della mente.

Ma qui è necessario prestare la massima attenzione a quanto segue: ossia al fatto che la facoltà conoscitiva (comprehenden­di vis) superiore abbraccia entro di sé quella inferiore, mentre quella inferiore non è assolutamente in grado di elevarsi a quel­la superiore. E infatti il senso non è in grado di conoscere nulla separatamente dalla materia, né l'immaginazione può conside-

po~s~ n~si _certum. <;>~od si , quae incerti sunt exitus, ea quasi certa providentur, optmoms td esse caligmem non scientiae veritatem. Aliter enim ac sese res habeat arbitrari ab integritate scientiae credis esse diversum. Cuius erroris causa est quod omnia quae quisque novit ex ipsorum tantum vi atque natura cognosci aestimat quae sc~u~tur. Quod totum contra est: omne enim quod cognoscitur non secun­dum sm vtm, sed secundum cognoscientium potius comprehenditur facultatem».

Il 'ribaltamento' dei rapporti tra soggetto e oggetto

rare le specie universali, né la ragione può afferrare la forma semplice: l'intelligenza, invece, come un osservatore che guarda dall'alto, nel momento stesso in cui intende la forma giudica an­che tutte le conoscenze inferiori, ma le comprende nello stesso modo in cui coglie la forma stessa, che non può essere afferra­ta da nessuna altra facoltà: conosce infatti sia l'universale della ragione, sia la forma sensibile dell'immaginazione, sia la mate­rialità sensoriale, senza utilizzare né la ragione, né l'immagina­zione, né i sensi: ma, per così dire, guarda tutto dall'alto nella contemplazione della /orma pura e semplice («formaliter») con l'unitario colpo d'occhio della mente.

(. .. ) Vedi dunque come nel conoscere ciascuna facoltà dipenda assai più dall 'utilizzazione delle sue proprietà che non da quelle delle cose che sono conosciute? E questo avviene secondo il corretto ordine delle cose: infatti dal momento che ogni cono­scenza si risolve in una attività («actus») del conoscente, è ne­cessario che ciascuna facoltà svolga adeguatamente il suo com­pito in dipendenza non da un potere esterno ma dal proprio91

111

Il soggetto conoscente, insomma, non è subordinato meccanicistica­mente al modo in cui gli obiecta si presentano alle sue fonti di informa­zione sul mondo esterno. Al contrario, il soggetto modifica la rappre­sentazione dei diversi oggetti conosciuti in misura proporzionale alla sua capacità di confrontarne le apparenze con una verità interiore che è posseduta in forma più o meno differenziata dai diversi esseri dotati

91 lbid. , 27-33 e38-39, 849A-850B, pp. 149,80- 150, 100 e 150, 111- 151, 116: «lpsum quoque hominem aliter sensus, aliter imaginatio, aliter ratio, aliter intellegentia contuetur. Sen.rus enimfiguram in subiecta materia constitutam. lma­ginatio vero solam sine materia iudicat/iguram. Ratio vero hanc quoque transcen­dit speciemque ipsam, guae singularibus inest, universali consideratione perpen­dit. lntellegentiae vero celsior oculus exsistit; supergressa namque universitatis ambitum, ipsam illam simplicem forma m pura mentis acie contuetur. In quo illud maxime consideranJum est: nam superior comprehendendi vù amplectitur infe­riorem, inferior vero ad superiorem nullo modo consurgit. Neque enim sensus aliquid extra materiam val et vel universales species imaginatio contuetur vel ratio capit simplicem formam; sed intellegentia quasi dcsuper spcctans concepta for­ma quae subsunt etiam cuncta diiudicat, sed eo modo quo formam ipsam, guae nulli alii esse poterat, comprehendit. Nam et rationis universum et imaginationis fìguram et materiale sensibile cognoscit nec ratione utens nec imaginatione nec sensibus, sed ilio uno ictu mentis/ormaliter, ut ita dicam, cuncta prospiciens. (. .. ) Videsne igitur ut in cognoscendo cuncta sua potius facultate quam eorum quae cognoscuntur utantur? Neque id iniuria; nam cum omne iudicium iudicantis ac­tus exsistat, necesse est ut suam quisque operam non ex aliena sed ex propria potestate perfìciat».

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112 La veste di Filosofia

di conoscenza: gli animali inferiori e non capaci di movimento, come le conchiglie marine e gli invertebrati che vivono attaccati agli scogli, godono di una rappresentazione del vero esclusivamente limitata alla conoscenza sensoriale, che consente loro di reagire solo agli stimoli più elementari provenienti dall'esterno; gli animali mobili, invece, uti­lizzando l'immaginazione, ricostruiscono internamente in modo più organizzato la medesima realtà oggettiva e sanno distinguere tra cose desiderabili e cose da evitare; a un livello evidentemente più alto si trova la capacità umana di teorizzare con la ragione una sistematica ci­formulazione ordinata e rigorosa della struttura del reale, e di affidarla alla formulazione dei disegni teorici delle discipline scientifiche92 •

Conoscere è invero l'effetto di una attività complessa, determina­ta dall'apporto articolato di distinte facoltà della mente, che produ­cono informazioni conoscitive profondamente divergenti per natura, forma ed estensione, a seconda del grado gnoseologico cui corrispon­dono. Già i cinque sensi corporei, per esempio, reagiscono in modi diversificati e producono nozioni del tutto distanti tra loro quando colgono separatamente un medesimo oggetto: la sfericità di uno stesso corpo è recepita in modi diversi dalla vista, che la considera dall'alto , nel suo insieme, e dal tatto, che si sofferma analiticamente sulle parti che la costituiscono93

• Non diversamente, risalendo la gerarchia del­le facoltà conoscitive, molteplici sono i modi in cui viene colto dalla mente un medesimo oggetto, per esempio un uomo: dai sensi nel loro insieme quando, producendo una sensazione complessa, descrivono la figura corporea umana determinata nelle sue particolarità acciden­tali dalla combinazione con la materia; dall'immaginazione, che astrae questa stessa figura individuale dalla materia; dalla ragione in senso proprio, che procede per via discorsiva seguendo le regole della logica

92 Cf. ibid. , pc. 5, 2-4, 854A-855A, pp. 152, IO - 153,20. 93

Cf. ibtd., pr. 4, 26, 849A, p. 149, 75-79: «Nam, ut hoc brevi liqueat exem­plo, eandem corporis rotunditatem aliter visus, aliter tactus agnoscit; ille emi­nus manens totum simul iactis radiis intuetur, hic vero cohacrens orbi atque con ­iunctus circa ipsum motus ambitum rotunditatem partibus comprehendit». La stessa impostazione è già operante nel De inititutione musica, I, l, 1167CD, ed. Friedlein , pp. 178, 24- 179, 20, in armonia con le idee neopitagoriche di Nicoma­co di Gerasa: quando con i nostri occhi contempliamo un corpo triangolare, ne percepiamo dapprima gli aspetti più immediatamente materiali e non la struttura geometrica, che soltanto poi, con la razionalità scientifica, saremo in grado di ri­conoscere; e tuttavia, anche dopo la definizione razionale della forma triangolare, dovremo ricordarci che per cogliere effettivamente la 'vera' natura dell'oggetto in sé non possiamo omettere le informazioni di ordine inferiore provenienti dai sensi.

La semplice unitarietà della conoscenza vera 113

c astrae la figura dalle connotazioni particolari dell'individuo, fino a elaborare la corrispondente nozione universale; e infine dall'elevato occhio dell'intelligenza superiore, che si solleva oltre il cosmo delle cose molteplici per coglierne l'unitaria sussistenza nella forma sempli­ce, pura e immutabile di tutta la verità.

Soprattutto l'individuazione di quest'ultimo, elevatissimo grado della gerarchia delle facoltà dell 'anima illumina in senso ascensivo la dottrina boeziana della conoscenza: l'intelligenza soprarazionale, capace di intuire direttamente, in uno sguardo onnicomprensivo (la cernens omnia natio del quarto carme, ancora presentata più avanti come «scientiae vis praesentaria notione cuncta complectens»94

), la perfezione autentica del vero, è quella posseduta in modo costante e inalienabile dalla divinità: la forma più alta di contemplazione diretta del reale non può infatti essere se non una conoscenza in sé divina, di cui possono anche partecipare, parzialmente ed episodicamente, le migliori fra le intelligenze create95

, ma che è posseduta in grado perfet­to soltanto dalla suprema Mente che è causa di ogni cosa96 .

7. La semplice unitarietà della conoscenza vera

Questa impostazione della dottrina della conoscenza, che risulta in tal modo determinante per l'intero orientamento del suo pensiero fi ­losofico e teologico, è direttamente attinta da Boezio al pensiero dei Neoplatonici. Fondandosi su una sintesi di spunti di filosofia classica (in particolare sul principio gnoseologico platonico per cui il simile conosce il simile97 coniugato con la concezione aristotelica secondo la quale ogni facoltà conoscitiva elabora un diverso tipo di comprensio­ne del medesimo oggetto98

), i seguaci di Platino hanno chiaramente ri­conosciuto nell'esistenza fenomenica del molteplice il risultato di una proiezione conoscitiva della semplicissima realtà dell'Uno compiuta verso l'esterno dalla prima ipostasi conoscitiva, l'Intelletto, nella cui

94 C:onsolatio Phi/osophiae, V, pr. 6, 43, 862B, p. 161, 156. 9lCf.Jn lsagogen Porphyrii, ed. prima, I, 3, l l AD, ed. Brandt, pp. 8, 6- 9, 12. 96 Cf. Consolatio Phi/osophiae, V, pr. 6, 41-45, 862BC, pp. 160, 150- 161, 165 . 97 Cf. PROCLO DIADOCO (o DI AruNE) (in seguito: PROCLO), De providentia et

fato, in ID., Tria opuscu/a (De providentia, lihertate, malo), tr. lat. di Guglielmo di Moerbeke, testo gr. da Isacco Sebastocratore e altri, ed. H. Boese, Berlin 1960, II, c. 8, 31, p. 140,7-9: «Omnia enim simili cognoscuntur: sensibile sensu, scibile scientia, intelligibile intellectu, unum uniali».

98 Cf. ARISTOTELE, Topica, I, 17, 108a; De anima, III, 8, 431b-432a.

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operazione prendono vita tutte le cose che si diversificano reciproca­mente per sussistere in quanto molteplicità99 • Soprattutto in Proda, e in particolare nei suoi testi dedicati alla conciliazione filosofica tra provvidenza divina e libertà creaturale, Boezio ha trovato esposta con chiarezza l'articolazione ascensiva delle facoltà conoscitive, utilizza- . ta per mostrare come tutti gli aspetti apparentemente contrastanti dell'universo siano spiegabili come effetti di forme di conoscenza di- · verse, disposte secondo un ordine al cui interno le facoltà superiori comprendono e giustificano le variazioni delle facoltà inferiori: senso; . fantasia, razionalità (Ò1avo1a, o conoscenza 'dianoetica' - secondo terminologia della Repubblica platonica -, ossia discorsiva e n<>.n"'''"'

va, che produce la scienza astraendo le verità universali) e o intelligenza ( vouç o conoscenza 'noetica', ovvero intuitiva e diretta, . imperfetta nell'uomo, perfetta solo nella provvidenza divina) 100•

In ossequio alla regola aristotelica secondo la quale i soggetti co­noscitivi che impiegano le facoltà più elevate sono in grado di com­prendere al loro interno anche il modo di conoscere di quelle più basse (cosicché ogni facoltà inferiore è guidata e corretta nei suoi per­corsi da quella di ordine immediatamente superiore), è dunque palese la maggiore vicinanza alla verità delle prime rispetto alle seconde101 •

317.

99 Cf. PLOTINO, Enneades, V, 3, 10-11, ed. Henry- Schwyzer, t. II, pp. 315-

10°Cf. PROCLO, De decem dubitationibus, q. l, 2-5 , in Tria opuscula, ed. Boe­se cit., I, pp. 4, l - 10, 40 (cf. anche in/ra, cap. 5, alla nota 31). E cf. PLATONE, Respublica, VI, 511 de. - Per evitare confusioni terminologiche che potrebbero · verificarsi nella presentazione delle dottrine di autori vissuti in fasi successive del Medioevo filosofico latino, è opportuno sottolineare il significato peculiare che il termine 'noetico' assume in questa prospettiva platonica, rispetto alla tradizione aristotelica; e, conseguentemente, il variare di significato dei concetti di 'noesis' e conoscenza 'noetica' rispettivamente negli studi sulla gnoseologia platonizzante (conoscenza superiore intuitiva) e in quelli sulla dottrina della conoscenza in am­bito aristotelizzante e scolastico (conoscenza astrattiva e logico-deduttiva propria dell'anima intellettiva): cf. L. SILEO, I: esordio della teologia universitaria: i maestri secolari della prima metà del Duecento, in Storia della Teologia nel Medioevo, 3 voli., dir. G. d'Onofrio, Casale Monferrato 1996, Il, La grande fioritura, [pp. 603-644], p. 606, nota 2. ·

101 Cf. Consolatio Philosophiae, V, pr. 5, 1-4, 854A, ed. Moreschini, p. 152, 1-10. Lari-comprensione ascensiva delle operazioni delle facoltà inferiori in quel­le superiori è in effetti già prospettata da ARisTOTELE, De anima, III, 4, 429b. Per la concezione neoplatonica, però, non si tratta di un ricondurre le funzioni minori alla attività delle potenze più alte, ma (come risulta evidente dall'ultimo passag­gio boeziano citato per esteso nel testo) di un superamento e inveramento della maniera secondo cui lo stesso oggetto è recepito dalle facoltà inferiori in quella più comprensiva e risolutiva secondo cui viene conosciuto da quelle più elevate.

La semplice unitarietà della conoscenza vera 115

Se la nostra anima, conoscendo, si limitasse a riflettere la cosa entro di Ké come in un passivo contenitore, non le sarebbe neanche possibile l'elaborazione di immagini fantastiche, con le quali, pur attingendo ai suggerimenti provenienti dal mondo esterno, essa è in grado di for­mulare la rappresentazione, formalmente ineccepibile ma non veridi­ca, di qualcosa che non esiste102

• Del resto l'intera storia della filosofia untica è attraversata dalla coscienza di quanto le apparenze sensibili possano essere ingannevoli e debbano cedere il passo alle più chiare c solide determinazioni concettuali elaborate secondo le regole della razionalità scientifica103• È per questo che anche la razionalità umana, presa coscienza dei propri limiti, deve riconoscere l'esistenza di un ~rado superiore di accostamento al vero ancora più puro e perfetto di cui gode in modo perfettamente attuale e inalienabile soltanto la divinità, la cui rappresentazione perfetta dell'intera verità del reale non è sottomessa ai limiti spazio-temporali che costringono ancora le dottrine razionali umane. E accorgersi che è soltanto la nostra limitata condizione conoscitiva che ci porta a immaginarci che il pre-vedere divino possa precedere e determinare il libero accadimento del fu­turo o che la provvidenza possa introdurre una qualsiasi necessità in ciò che sotto gli occhi onnicomprensivi di Dio avviene in un eterno puntuale presente, senza successione e subordinazione causale di co­noscente e conosciuto104

Proprio perché è capace di porsi domande e avanzare dubbi an­che su ciò che la ragione gli racconta e descrive, all'uomo resta dun­que in ultima analisi la possibilità di aspirare a partecipare in qualche maniera della perfezione dell'intelligenza superiore, sia pure soltanto per assaporarne in un densissimo attimo la semplice serenità risoluti­va e conservarne poi solo un ricordo, che lo guiderà nelle successive indagini sulla realtà mondana e particolare. Filosofia può dunque a questo punto esclamare trionfalmente la propria conclusione, a nome dell'intera umanità in cerca di una soluzione consolatoria ai gravi nodi

1o2 Cf. In Isagogen Porphyrii, ed. secunda, I, 10, 82BC, ed. Brandt.' p. 160.' 3-5: «Omne quod intellegit animus aut id quod est in rerum natura constt~u~~m t~tel­lectu concipit et sibimet catione describit, aut id quod no~ est. vacu~ stbt tmag~n~­tione depingit». E cf. ibzd., 11 , 84BC, p. 164, 7-1.2.: «In hts emm .so!t~ falsa. opmto ac non potius intellegentia est quae per compostttone~ fiunt. S~ em~ quts com­ponat atque coniungat intellectu id quod natur~ tung~ non ~atttu.r, ill.ud falsum esse nullus ignorat, ut si quis equum atque hommem tungat tmagmattone atque effigiet centaurum».

103 Cf. Consolatio Philosophiae, V, pr. 5, 5-7, 855AB, p. 153,21-37. 104 Cf. ihid., 8-10, 855B, pp. 153, 38- 154,44.

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116 La veste di Filosofia

speculativi che impediscono di riconoscere il vigore universale della legge divina in un cosmo apparentemente disgregato da casualità na­turale e malvagità umana:

Se dunque, come siamo partecipi della ragione, così potessimo avere anche la capacità di giudizio che è propria della mente di­vina, allora, nel modo stesso in cui abbiamo riconosciuto che l'immaginazione e il senso devono cedere alla ragione, così ri­terremo cosa quanto mai giusta che la ragione umana si sotto­metta alla mente divina.

E allora, nella misura del possibile, sforziamoci di elevare noi stessi fino all'alto vertice di quella somma intelligenza. Solo las­sù, infatti, la ragione vedrà chiaramente ciò che in se stessa non è capace di considerare: e cioè in quale modo la provvidenza veda come certe e definite anche le cose che non hanno un esito det~rminat? , ~ co~e questa conoscenza non sia di natura opi­nabile e comctda mvece con la semplicità, che non è costretta da alcun limite, della più alta scienza Io'.

Solo aderendo in modo fermo e sicuro alla stabilità della mente divi­na, la ragione umana, nella misura in cui ciò è lecito alla sua limitata condizione conoscitiva, giunge a riconoscere l'assenza di contrad- ·' dittorietà che vige nel panorama universale dell 'ordine cosmico, e a , comprendere così che fato e provvidenza non sono ordini diversificati ·•· della realtà, ma l'esito di due diverse forme di accostamento conosci, tivo all'unico, eterno ordine provvidenziale voluto da Dio!()(,. Il fato, la successione disgregata e condizionata degli accadimenti secondo direzioni imprevedibili da parte degli uomini, è infatti solo il modo in , cui si manifesta alle loro menti, immerse nel molteplice, l'effetto del .

10' Ib 'd . . z ., ~r. 5,.11-12,. 855B-856A, p. 154, 44-54: «Si igitur, uti rationis par-

tlctpes sumus, .Ita .dzvmae zudzczum mentis habere possemus, sicut imaginationem sensu~que ratrom cedere oportere iudicavimus, sic divinae sese menti humanam submtttere rati.onem iustissimum censeremus. Quare in illius summae intelligen­~tae ca~~men, SI possumus, erigamur: illic enim ratio videbit quod in se non potest mtuen; td autem est, quonam modo etiam guae certos exitus non habent certa ra­me~ videat. a~ ~efinita P.raenotio, neque id sit opinio, sed summae potius scientiae nulhs termmts mclusa stmplicitas».

106Cf. ibid., pr. 6, l, 8~8A, p. 155, 1-5: «Quoniam igitur, uti paulo ante mon­

stratu~ es~, omne quod scttur non ex sua sed ex conprehendentium natura co­gnoscttur, mtuean:ur ~un~, qu.antum. fas est, quis sit divinae substantiae stat).Js, ut quaenam etlam sctentla ems sit posstmus agnoscere». E cf. ihid., m. v, vv. 10-15, 857A, p . 155.

La semplice unitarietà della conoscenza vera 117

semplicissimo sguardo provvidenziale con cui Dio conosce e orienta il mondo in un solo attimo atemporale. La necessità cieca dell'accadere storico è però la forma in cui l'esplicarsi insondabile del progetto divi­no può essere colto da un'intelligenza immersa in esso, imbevuta per natura di composizione e molteplicità. Come dunque in un sistema di orbite ruotanti intorno a un unico centro la complessità del reciproco intersecarsi dei movimenti periferici dipende dalla sola semplicità do­minante del cardine comune, così tutte le volontà individuali, che si conoscono concatenate nella storia cosmica in una connessione priva di libertà, scopriranno la loro vera e autonoma sussistenza se sapranno riconoscersi orientate dalla partecipazione a un amore universale, che tutto risolve nella superiore e perfetta semplicità del volere divino107

Tra la mobilis series del fato e la stabilis simplicitas della prov­videnza sussiste dunque in sé, dinanzi allo sguardo divino che tutto contempla senza distinguere o dividere, una intima corrispondenza, che Boezio, in un rapido accenno assai espressivo, assimila ad altre coppie di apparenti contraddittori:

Dunque la stessa relazione che sussiste tra l'intelligenza e la ra­gione sussiste tra l'essere («id quod est») e il divenire («id quod gignitur»), tra l'eternità e il tempo, tra il centro e la circonferenza di un cerchio, ed è questa la relazione the sussiste tra la mobile successione degli eventi che è detta fato e la stabile semplicità della provvidenza 108

La verità assoluta di tutto ciò che esiste, è conoscibile ed è operante nell'universo delle molteplicità- secondo la legge fissata una volta per tutte nella sapienza occidentale da Parmenide e accolta come fonda­mento di ogni indagine dalla tradizione neoplatonica -, è sempre e necessariamente essere immutabile e identico (id quod est); ma tutto ciò che non è l'Uno si esplica, a partire da esso, assumendo nei con­fronti di tutte le altre cose le forme del divenire (id quod gignitur). Il che significa che tutto ciò che è posteriore all'Uno è nell'Uno in quan­to nell'Uno sussiste e dall'Uno viene conosciuto, ma diviene quando è conosciuto dalle altre cose che sono posteriori all'Uno. Non diversa è la relazione tra l'eterno e il temporale, se si intendono queste due categorie secondo la dottrina agostiniana, di origine platonico-stoica,

107 Cf. ibid., IV, p r. 6, 11-16, 815A-817 A, pp. 122, 40- 124, 74. 1 0~ Ibid., 17, 817A, p. 124,74-78: «lgitur, uti est ad intellectum ratiocinatio,

ad id quod est id quod gignitur, ad aeternitatem tempus, ad punctum medium cir­culus, ita est/ati series mobilis ad providentiae stabilem simplicitatem».

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118 La veste di Filosofia

per cui aeternitas è la condizione divina di assoluta presenzialità tutto il vero, mentre tempus è la condizione di subordinazione relazione con l'altro, propria di tutto ciò che non è Dio in quanto è in Dio109

In questo assorbirsi ontologico e conoscitivo del molteplice e del diverso nella perfezione immutabile dell'unità, si risolve dunque che l'apparente ed errante differenziarsi degli oggetti della ratzoctntJI·' tio da quelli dell'intuizione diretta dell'intellectus. Per chiarire fondamentale scoperta, Boezio si sofferma a sottolineare tezza del soggetto umano sia quando si domanda se la degli effetti naturali provenienti da cause naturali scaturisca da materialistica casualità o dal governo di un'intelligenza s •nF•ru'r"'"u•:

sia quando si sforza di capire come possa introdursi in tale saria concatenazione causale l'efficacia del libero arbitrio che le volontà razionali111

; sia ancora, soprattutto, come possa tale determinazione di scelta essere compatibile con la provvidenziale visione di tutto il futuro da parte dell'Intelligenza divina112

• Solo sguardo provvidenziale divino percepisce in un istante atemporale vero spessore degli atti liberi e delle responsabilità che ne -.v''"'-I';U'J' ' no113 • Palese è, conseguentemente, anche l'infondatezza della presunzione di giudicare imperfetto un cosmo al cui interno mo di scorgere disparità e squilibri, soprattutto (ma non soltanto) ordine morale11 4• Soltanto a un'intelligenza che contempli intero dall'alto di una privilegiata posizione onnicomprensiva alta providentiae specula») è lecito valutare e determinare l'equa rispondenza di tutte le parti del creato («quid unicuique ,..,...,n,,.•n•·•r agnoscit et quod convenire novit accommodate»): in quanto ne è solo responsabile, Dio è dunque anche il solo giudice dell'insigne raculum dell'ordine universale, che stupisce invece e terrorizza che non arrivano a comprenderlo 115 • Proprio perché la conoscenza è vera solo quando in essa si concretizza una rappresentazione esatta

109 Su questo tema cf. P. PoRRo, Forme e modelli di durata nel pensiero medie­vale, Leuven 1996 (Ancient and Medieval Philosophy, De Wulf · Mansion Centre, · Ser. I, 16), pp. 83 -86.

110 Cf. Consolatio Philosophiae, V, pr. l , 8-19, 830C-832A, pp. 136, 17 - 138, 56.

111 Cf. ibid., pr. 2, 1-10, 834-837A, pp. 138, l -139,25. 112 Cf. ibid., pr. 3, 1-13, 838B-840A, pp. 140, l . 142,40. 113 Cf. ibid., pr. 2, 11, 837 A, p. 139, 25-28; m. n, 837 A-838A, p. 140. 114 Cf. ibid., IV, pr. 6, 21 -25, 817BC, pp. 124,90. 125, 105. 115 Cf. ibid. , 29-31, 818AB, pp. 125 , 113- 126, 121.

Inizio e fine della sapientia: la conoscenza teologica 119

della realtà conosciuta, quando cioè non sussiste contraddizione tra la necessità di fatto della res e la necessitas veritatis del pensiero che la esprime, soltanto la contemplazione divina può essere ritenuta dotata di una nozione esauriente dell'universo reale, al cui interno risulti evi­dente l'intrinseca necessità di tutti gli eventi reali, passati, presenti, e anche futuri, con tutti gli elementi connotativi che ne caratterizzano la realtà senza alcuna contraddizione e senza mescolanza di verità e falsità 116• Quando perciò Dio- nell'assolutezza compiuta del proprio sguardo sovrannaturale e sovrastorico - vede (meglio che 'pre-vede') una cosa veramente connotata, fra tali aspetti caratterizzanti, o dal libero arbitrio o dalla casualità o dalla necessità, è inevitabile che essa sia rispettivamente libera, casuale o necessaria, perché Egli la ha così pensata e voluta 117

All'uomo che va in cerca della vera sapienza, e si aspetta come premio la vera felicità, spetta dunque il non facile compito di utiliz­zare l'intelligenza per cogliere, nella misura del possibile, una traccia persuasiva delle inavvicinabili profondità del giudizio divino e acce­dere così alla certezza, non dimostrabile, che tutto ciò che alla sua soggettiva opinione appare ingiustificato e confuso è invece segno di un rectus ardo, perfetto in tutte le sue parti11 8

8. Inizio e fine della sapientia: la conoscenza teologica

Con tale esito della purificazione dell'intelligenza conoscitiva, raccon­tato dalla Filosofia personificata nella conclusione della Conwlatio, Boezio ci riconduce al punto di partenza della nostra analisi dei suoi scritti, con una chiusura coerente del cerchio che descrive nelle sue opere il significato dell'essere «vero filosofo». La sapientia, obietti­vo della filosofia ( «studium sapientiae»), può essere raggiunta con

11 6 Cf. ihid., V, pr. 3, 14-36, 840A-842B, pp. 142,40 - 145, 111 ; m. 111, 843A-846A, pp. 145-146.

117 Cf. ibid., p r. 5, 21-40, 860B-862C, pp. 157 , 77 - 161, 150. 118 Cf. ibid., IV, pr. 6, 34, 818B, p. 126, 127-129: «Hic igitur quidquid citra

spem videas geri, rebus quidem rectus ordo est, opinioni vero tuae perversa con­fusio». E ibid., 54-56, 820B, p. 129, 191-200: «N eque enim fas est homini cunctas divinae operae machinas vel ingenio comprehendere vel explicare sermone. Hoc tantum perspexisse sufficiat, quod naturarum omnium proditor Deus idem, ad bonum dirigens cuncta disponat, dumque ea quae protuit in sui similitudinem retinere festinat, malum omne de reipublicae suae terminis per fatalis seriem ne­cessitatis eliminet. Quo fit ut quae in terris abundare creduntur, si disponentem providentiam spectes, nihil usquam mali esse perpendas».

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120 La veste di Filosofia

un ascensivo perfezionamento delle capacità conoscitive umane reso , poss!b~e d~ ~o~tri?uto. delle diverse scientiae, che perseguon~ con · passi smgoh, limitati e diversificati, la ricostruzione complessiva di un ·. oggetto in sé 'assoluto', penetrabile solo da uno sguardo superiore a quello della razionalità discorsiva, ossia intuitivo e totalizzante: lo . sguardo medesimo che, tralucendo fin dall'inizio, ha consentito al soggetto di cogliere, con le sue prime mosse conoscitive la natura di essentia im~utabile e.per questo divinamente vera dell' o~getto di ogni sapere. Cosi, come Filosofia commenta in un carme della Consolatt'o · ~ra i più densi di profondità speculative, colui che cerca il vero, ossia il vero filosofo, è a metà tra ignoranza e conoscenza della verità né veramente ignora, né veramente comprende119• '

, Ail'i~~zio de~a Consolatio il personaggio Boezio, che si rivolge .. ali appariZione chiamandola maestra di tutte le virtù discesa dal cielo («omnium magistra virtutum supero cardine delapsa») 12°, ne ribadisce · ~oi l'origine divina («qui te sapientium mentibus inseruit Deus») e ncorda nostalgicamente i trascorsi colloqui con lei, che avevano come oggetto la humanarum divinarumque scientia, l'indagine delle forze se­grete e invisibili, ma eternamente operanti, della natura («cum tecum naturae ~ecreta rimare~») finalizzata al conseguimento di una pro­gr~m~atlca co~form~zione della razionalità umana, teorica e pratica, a.ll ordme cosmico umversale («cum mores nostros totiusque vitae ra­tlo?e~ ~d caelestis ordinis exempla formares») 121 • Per questo Boezio puo ~Irsi persuaso .che, mentre lo scopo vero e ultimo della sapienza non e altro che onentare gli uomini a Dio, l'ignoranza umana, che sempre mente a se stessa, non può invece cambiare il veritiero ordine delle cose. Così i suoi nemici hanno inventato contro di lui, per farlo condannare, la gravissima accusa di sacrilegio: e invero proprio Filo-

119 Cf. ibid., V, .m. m •. 843A-846A, pp. 145-146: «Quaenam discors foedera

r~ru~ l causa resolvtt? Qms tant~ Deu~ l v~ris statuit bella duobus l ut quae carp­tlm smgula c?~stent l eadem nolmt mtxta tugari? l An nulla est discordia veris 1 semp~rqu~ ~~b.t certa cohaerent, l sed mens caecis obruta memhris 1 nequit op­presstlummts tg.ne l rerum te~ues noscere nexus? l Sed cur tanto flagrat amore 1 ven tectas rep~nre n_otas?_l Scttne quod a p peti t anxia nosse? 1 Sed quis nota sci re laborat~ l at st nesct~, qutd ~acca peti~? l Quis enim quicquam nescius optet? 1 Aut quts valeat nesctta sequt l quove mveniat? Quis reppertam 1 queat ignarus nascere formam? l An cum mentem cerneret altam l pariter summam et singu­la norat, l nunc. membrorum condita nube l non in totum est oblita sui 1 sum­mamque tenet smgula perdens? l Igitur quisquis vera requirit l neutro est habitu· nam neque novit ~ nec p~nitus tamen omnia nescit, l sed quam retinens mcmini~ sum~~~ l.consultt alte vtsa retractans, l ut servatis queat oblitas l addere partes».

lbtd. , l , pr. 3, 3, 604A-605A p. 9 6-7 121

Cf. ibtd., p r. 4, 3-8, 614A-6Ù A, ;. 12: 8-27.

Inizio e fine della sapientia: la conoscenza teologica 121

sofia, che abitava in Boezio, allontanava dal suo animo ogni desiderio Ji beni mortali e vietava che potesse sotto i suoi occhi essere commes­so un sacrilegio, istillando quotidianamente nelle sue orecchie e nei suoi pensieri il detto pitagorico «Segui Dio!». Perché il vero compito della filosofia è condurre gli uomini a una vita di così alta perfezione conoscitiva e morale da renderli, per quanto possibile, simili a Dio («ut me consimilem Deo faceres») 122•

A conferma di quanto già abbiamo constatato negli scritti didat­tici di Boezio, anche questo fondamentale tema della somiglianza spi­rituale con Dio assume nelle pagine della Consolatio un andamento oscillante: ora, infatti, essa viene presentata come un connotato na­turale della razionalità, donata da Dio al genere umano proprio per awicinarlo a sé (facendolo appunto, a differenza di tutti gli altri esseri, «Deo mente consimilis»123

); altre volte, invece, questa medesima somi­glianza viene additata come faticoso risultato di un processo - il cui corso ha la durata dell'intera vita terrena- di orientamento dell'uomo verso il bene (è il tema svolto nel terzo libro dell'opera): il consegui­mento finale di tale scopo corrisponderà, per l'uomo, al divenire Dio -non per natura, il che è impossibile, ma per partecipazione124

• È fa­cile riconoscere, tuttavia, come anche in questo caso tale oscillazione sia indicativa soltanto di una differenza tra la descrizione dei risultati che devono scaturire dal conseguimento complessivo dello scopo del­la vera filosofia e quella della complessità del percorso articolato che a esso deve condurre, ossia tra il possesso della sapientia e l'esercizio della scientia che a tale possesso dovrebbe portare. E allora, poiché il movente primo della filosofia è una naturale e inarrestabile ricerca di felicità, e poiché il raggiungimento del bene che è premio a se stesso, in base all'idea platonica dell'auto-identificazione del conoscente con

122 Cf. ibid., 37-39, 628A-630A, p. 17, 127-137. 123 Ibid., II, pr. 5, 26, 694A, p. 44 , 74-75. 124 È interessante osservare come tale argomentazione sia esposta da Filoso­

fia con andamento rigorosamente sillogistico-geometrico, quale corollarium delle precedenti dimostrazioni, al fine di sottolinearne la rigorosa necessità logica (cf. anche i testi citati nelle due note seguenti); cf. ibid., III, pr. 10,20-25, 767 AB, pp. 83, 71 - 84, 86: «Atqui et beatitudinem et Deum summum bonum esse collegi­mus; quare ipsam necesse est summam esse beatitudinem quae sit summa divini­tas. (. .. ) Super haec, inquit, igitur veluti geometrae solent demonstratis propositis aliquid inferre quae porismata ipsi vocant, ita ego quoque tibi veluti corollarium dabo. Nam [a] quoniam beatitudinis adeptione fiunt homines beati, [b] beatitudo vero est ipsa divinitas, [c] divinitatis adeptione beatos fieri manifestum est. Sed uti iustitia adeptione iusti, sapientiae sapientes fiunt, ita divinitatem adeptos deos fieri simili ratione necesse est. Omnis igitur beatus deus: sed natura quidem unus, participatione vero nihil prohibet esse quam plurimos».

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122 La veste di Filosofia

l'oggetto conosciuto, si risolve nell'identità con Dio125 , ne segue che, per un'inattesa conciliazione di opposti, di umano e divino, sarà il possesso di se medesimo (mezzo) ad assicurare all'uomo il raggiungi­mento della somiglianza con il divino (fine) 126•

In questo si risolve allora per Boezio, in armonia con i fondamen­ti dell'antropologia cristiana, la dottrina platonica dell'anamnesi, se­condo la quale la filosofia ha il compito di mettere l'uomo sulle tracce ·. del bene che permangono nell'anima dopo la sua unione accidentale · al corpo: la reminiscenza del vero non dipende da una pre-esistenza . dell'anima, ma dalla condizione naturale in cui Dio la colloca dandole la vita, quale entità razionale predisposta a contemplarlo. Ritrovare se · stesso e possedere la propria interiorità significa per l'uomo riuscire a comprendere effettivamente tale condizione naturale127 • Per guidarla • al conseguimento di tale risultato, la filosofia solleva con le sue ali l'intelligenza umana verso quella contemplazione del Sommo Bene che può essere definita platonicamente la sua vera patria: ma deve preliminarmente liberarla da ogni perturbazione corporea - ossia, · come sappiamo, da ciò che può ostacolare la scoperta, tutta interiore, · della vera sapientia128

• Per questo, sempre secondo l'insegnamento di .

125 Cf. ibid., IV, pr. 3, 7-10, 798AB, p. 109, 20-29: «Postremo cum omne praem~~~ i~circo appetatur quoniam bonum esse creditur, quis bo;i compotem · praemu md1cet expertem? At cuius praemii? Omnium pulcherrimi maximique· memento etenim corollarii illius, quod paulo ante praecipuum dedi ac sic collige; [a] cum ipsum bonum beatitudo sit, bonos omnes eo ipso quod boni sint fieri . beatos liquet; [b] sed qui beati sin t, deos esse conveni t; [c] est igitur praemium · bono.rum - quod nullus deterat dies, nullius minuat potestas, nullius fuscet im­probltas - deos fieri».

126 Cf. ibid. , Il, pr. 4, 22-25, 684A-685A, pp. 39, 68- 40, 80: «Quid igitur, o ~ortales, extra petitis intra vos posita felicitatem? Error vos inscitiaque confun- . dit. ~s~enda1_11 ~r~vite.r ti bi ~umn:ae .cardinem felicitatis . Estne aliquid tibi te ipso ' preuosms? mhil, mqu1es. lg1tur SI tU! compos fueris, possidebis quod nec tu amit­tere umquam velis nec fortuna possit auferre. Atque ut agnoscas in his fortuitis re­bus beatitudinem constare non posse, sic collige: [a] si beatitudo est summum na­turae bonum ratione degentis, [b] nec est summum bonum quod eripi ullo modo potest, [prob. b] quoniam praecellit id quod nequeat auferri, [c] manifestum est quin ad beatitudinem percipiendam fortunae instabilitas adspirare non possit».

127 Cf. ibid., III, m. XI, w. 9-12, 775A-777 A, p. 91: «Non omne namque men­~e depulit lumen l obliviosam corpus invehens molem; l haeret profecto semen mtrorsurn veri l quod excitatur ventilante doctrina».

128 Cf. ibid., IV, pr. l , 8-9, 787A-788A, p. 101, 30-36: «Et quoniam verae form~ beati~udinis me dudum monstrante vidisti, quo etiam sita sit agnovisti, decurs1s ommbus quae praemittere necessarium puto, viam tibi quae te domum revehat ostendam. Pennas etiam tuae menti quibus se in altum tollere possit adfi­gam, ut perturbatione depulsa sospes in patriam meo ductu, mea semita, meis etiam vehiculis revertaris».

Inizio e fine della sapientia: la conoscenza teologica 123

Platone, solo il sapiente è veramente libero ed è in grado di fare ciò

che vuole129•

La filosofia riesce allora nel suo compito di rendere gli uomini si-mili a Dio proprio conducendoli dalla loro condizione di conoscenza soggettiva e limitata a una comprensione diretta, intuitiva e superiore, della verità dell'ordine provvidenziale dell'universo e della sommità del Bene che tutto governa, fa essere e dirige. Come appare chiaramen­te dalla conclusione dell'opera, una apertura finale alla contemplazio­ne umana dell'assoluto nella pienezza della sua divinità è dunque non soltanto possibile come punto d'arrivo della philosophia boeziana, ma è addirittura il presupposto costitutivo della sapientia cui essa tende lungo tutto il suo percorso. È un'esigenza che Boezio condivide con i Neoplatonici. Ma lungi dal risolverla in un sapere meramente nega­tivo e in un nostalgico vagheggiamento dell'unità perduta del divino, egli ne propone l'appagamento come condizione determinante per la validità organica del complesso della conoscenza scientifica umana. Non è dunque fuori luogo ritenere che il superamento dell'impasse filosofico ciceroniano sia stato favorito in Boezio da una sua personale rimeditazione del ribaltamento agostiniano dei rapporti tra soggetto e oggetto nella conoscenza e dall 'accettazione del principio dell'erme­neutica cristiana, secondo il quale la verità, in sé destinata a restare irrimediabilmente inconoscibile per gli uomini, viene messa alla loro portata, integralmente e senza veli, dalla Rivelazione.

L'adesione a tale considerazione della ricerca umana in ambito teologico, siglata anche da un'esplicita invocazione negli Opuscula sa­cra dell'autorità di Agostinoll0, consente a Boezio, in omaggio alla sua considerazione organica della scienza umana, di estenderne i vantaggi anche alla ricerca filosofica, che del sapere teologico è preparazione e anticipazione. Grazie all'opera dei Padri della Chiesa la scienza della Rivelazione nasce come progetto di applicazione delle capacità inda­gatrici proprie della ratio dianoetica a una verità che l'uomo possiede nella Bibbia in forma immediata ma, in gran parte, ancora non esplici­ta. Questo vuoi dire che se l'intera ricerca filosofica è nel suo comples­so finalizzata alla comprensione del Sommo Bene, la scienza teologica è la più alta delle discipline che l'intelligenza umana elabora per por-

129 Cf. ibid., pr. 2, 45, 796A, p. 107, 133-137: «Veramque illam Platonis esse sententiam liquet solos quod desiderent facere posse sapientes, improbos vero exercere quidem quod libeat, quod vero desiderent explere non posse».

13°Cf. De sancta Trinitate, praef., 1249B, ed. Moreschini cit. (alla nota 6), pp. 166,29-167,33.

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124 La veste di Filosofia

tarla a compimento: essa è tuttavia caratterizzata in modo specifico rispetto alle altre scienze dal fatto che, a partire da un dato ·· storico, il movente principale della sua ricerca non è stato più "vJLLitiiLu.

una intuizione a priori, di ordine noetico, della verità e 11• 11u,1 uLaLJJ.HL<:t

delle essentiae, bensì una diretta comunicazione da parte della nità stessa di tutte le nozioni utili all'uomo per poterla conoscere e · comprendere. La teologia è dunque ancora una disciplina lHL>"vuL~,, .. nella misura in cui è stata già messa in atto con le forze naturali filosofi dell'Antichità, Aristotele compreso, a coronamento della racchia delle scienze umane 131

• Ma gode ora, nell'era cristiana, di posizione privilegiata rispetto a tutti gli altri saperi grazie all' alla Rivelazione, che la eleva, sublimandola, fino a un livello ~~ potenziali~à na~urali del conoscere e, evidentemente, ancora più vtcmo alla realtzzaztone della sapientia stessa.

Il compimento teologico della filosofia umana è constatabile · tutti i cinque opuscoli dedicati da Boezio alla comprensione dei · mi della fede cristiana. In particolare nel secondo, che contiene come è noto una breve sintesi di dottrina trinitaria, viene esplicitamente formulata una regola della corretta collocazione epistemologica del sapere teologico che sembra anticipare i risultati di gran parte delle meditazioni medievali su tale argomento. Fin dall'esordio, infatti la possibilità di risolvere la quaestio proposta («utrum Pater et Filiu~ et Spiritus sanctus de divinitate substantialiter praedicentur») è subordi­nata alla precisazione della fonte (ossia, secondo la terminologia dia­lettica, del topos) cui devono essere attinti i princìpi, o /undamenta di qualsiasi trattazione di argomenti relativi alla divinità: tale fonte ~on può che essere la Rivelazione, in cui Dio stesso ha comunicato agli uomini la verità sulla natura e l'origine di tutte le cose. La Rivelazione deve essere utilizzata dunque come fonte dei princìpi primi di qualsi­asi in_dagine teologica 132

• Al termine della propria dimostrazione, poi, Boezto _chiede a Giovanni Diacono, dedicatario del testo, di portare a compimento la compenetrazione di ragione e fede, da lui tentata in queste pagine, mediante l'unica verifica possibile: ossia mediante il

• 1:

1• La teologia è la più alta delle scienze filosofico-speculative secondo

la d! viSIOne della filos~fia proposta da SEVERINO BOEZIO, zhid., 2, 1250AB, pp. 168, 68- 169, 83; cf. D ONOFRIO, La scala ricamata ci t. (cap. l, alla nota 7).

132 Cf. Utrum Pater et Filius et Spiritus sanctus de divinitate suhstantialiter

P~~edzcentur, 1299D-1300D, ed. Moreschini cit., p. 182, 1-5: «Quaero an Pater et Films ac Spiritus sanctus de divinitate substantialiter praedicentur an alio quoli­bet I?odo viamque indaginis hinc arbitror esse sumendam, unde rerum omnium mamfestum constat exordium, id est ab ipsis catholicae fidei/undamentis» .

Inizio e fine della sapientia: la conoscenza teologica 125

confronto dei risultati raggiunti per via razionale con la formulazione autentica del dogma quale si trova nella Scrittura133 •

L'idea che la teologia cristiana possa essere soggetto di una rego­lamentazione metodologica di tipo scientifico emerge anche nel quar­to trattato, De fide catholica, che si presenta dichiaratamente, nelle pa­role dell'autore, appunto come una esposizione dei/undamenta della religione cristiana sui quali poggia l'intera comprensione della fede da parte dei credenti'34 • In questo senso si può anzi ritenere che, nell'in­tento di predisporre una scienza teologica cristiana fondata sulla Rive­lazione, Boezio abbia progettato di formulare nel quarto opuscolo un elenco di princìpi primi concernenti le principali posizioni dogmati­che della fede cristiana, più o meno corrispondente dunque, sul piano

133 Cf. ibid., 1302BC, p. 185, 64-67: «Haec si se recte et ex fide habent, ut me instruas peto; aut si aliqua re forte diversus es, diligentius intuere quae dieta sunt et fidem si poteri t rationemque coni unge».

134 Cf. De fide catholica, 1333A, ed. Moreschini cit., p. 195,7-8: «Haec autem religio nostra, quae vocatur christiana atque catholica, his /undamentis principa­liter nititur». È opportuno segnalare che da tale corrispondenza metodologica tra il secondo e il quarto opuscolo è possibile trarre un argomento interno in favore dell'autenticità boeziana di quest'ultimo (autenticità nei confronti della quale, alla luce degli studi recenti, non sembrano più sussistere valide ragioni in contrario, né ideologiche né filologiche). Tra i primi/undamenta o princìpi della conoscenza teologica assicurati dalla Rivelazione, il quarto opuscolo include infatti, in paral­lelo con il contenuto del primo e del secondo: la predicabilità della substantia, in modo eguale e unitario, nei confronti delle tre persone divine; la non reciprocità delle predicazioni trinitarie, che impedisce- esattamente come in matematica av­viene per i numeri primi -la moltiplicazione all'infinito della progenitura divina; e la denuncia dell'errore degli eretici che, non tenendo in conto l'inattaccabilità di tali verità, hanno avanzato la pretesa di tradurle in termini di comprensione antropomorfica e carnale (cf. ibid., l333AD, pp. 195, 9 · 196, 38; e si metta que· sto testo a confronto con Utrum Pater et Filius et Spiritus sanctus, 1300D-1301A, pp. 182, 5 - 183, 18). La dipendenza del quarto opuscolo da un'impostazione teologico-speculativa è confermata anche dalla presentazione della dottrina dei molteplici sensi della Scrittura, dedotta dall'insegnamento dei Padri della Chiesa e ricordata in occasione della consegna dei fondamenti della Rivelazione a Mosè sul Sinai (cf. De fide catholica, 1334CD, p. 198, 82-91), e dall'analisi della regola dell'auctoritas in ambito teologico, articolata in tre categorie fondamentali: l'au­torità delle Scritture, la tradizione universale e la tradizione e legislazione locale delle chiese particolari (cf. ibid. 1338AB, pp. 204,243 · 205, 251).- Per le pas· sate discussioni sull'autenticità del quarto opuscolo, si veda: W. BARK, Boethius' fourth Tractate, the so-ca !led De fide catholica, in «Harvard Theological Review», 39 (1946), pp. 55-69; H . CHADWICK, The Authenticity o/Boethius' Fourth Tractate, De fide catholica, in <<Journal of Theological Studies», 31 (1980), pp. 551-556; F. TRONCARELLI, Aristoteles Piscatorius. Note sulle opere teologiche di Boezio e sulla loro fortuna, in «Scriptorium», 42 (1988), l, [pp. 3-19], pp. 4-9; C. MICAELLI, Stu­di sui trattati teologici di Boezio, Napoli 1988, pp. 11-42; L. 0BERTELI.O, l trattati teologici di Boezio, in «Filosofia», 1991, [pp. 439-446], pp. 440-442.

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della teologia fondata sulla Rivelazione, all'elenco di communes con­ceptiones finalizzate nel terzo opuscolo, noto come De hebdomadibus, all'elaborazione di tipo euclideo di una scienza teologica naturale135 •

Della realizzabilità di tale teologia cristiana speculativa il primo ' e il quinto opuscolo offrono concrete esemplificazioni. La premessa metodologica del primo, trasmesso con il titolo De sancta Trinitate, conferma che l'indagine su un problema (quaestio) relativo ai temi della fede non può non prendere le mosse dal contenuto della Rive- . !azione, ma deve poi procedere con gli strumenti naturali della razio- .· nalità indagatrice. Le esplicitazioni razionali della verità dei dogmi, in sé superiore a ogni determinazione logica, non potranno tuttavia che . essere limitate e imperfette, vuoi per la natura dell'argomento («ex ' ipsa materiae difficultate»), vuoi per le già altrove ricordate debolezze umane, pigrizia o animosità, che impediscono la serenità necessaria alla trattazione di temi così elevati. È dunque giocoforza riconoscere che nessun ricercatore può presumere di attingere da solo una com- . prensione adeguata delle formule che esprimono le profondità del divino, posto che a tutte le discipline filosofiche si pone come limite , per l'indagine quanto può conseguire al massimo sforzo naturale della razionalità136

• Se anche le altre scienze, infatti, riconoscono dei mar- ·

135 Cf. Quomodo substantiae in eo quod sint bonae sin t cum non sint substan­tialia bona [=De hebdomadibus], 1311AB, ed. Moreschini cit., p. 187, 14-16: «D t igitur in mathematica fieri solet ceterisque etiam disciplinis, praeposui terminos regulasque quibus cuncta quae sequuntur efficiam». Nel terzo opuscolo la formu­lazione dei primi princìpi della dimostrazione, dichiarata di tipo simile a quella della matematica e delle altre scienze, è applicabile a ogni indagine di teologia naturale (ossia filosofica) : si tratta infatti di assiomi scientifici validi in tutte le di­scipline e dunque anche nell'analisi razionale di questioni sulla natura dell'essere divino e sulle sue relazioni con il creato. Viceversa i/undamenta rivelati della ri­cerca teologica, applicati nel secondo ed esposti nel quarto opuscolo, scaturisco­no da una formulazione riassuntiva dei dogmi della fede - e potrebbero dunque essere identificati con i capita dogmatica che Cassiodoro attribuisce alla paternità boeziana nell'Anecdoton Holderii: cf. BARK, Boethius' fourth Trae/ate cit. (alla nota preced.), pp. 58-59.

136 Cf. Desancta Trinita/e, prol., 1247-1249A, pp. 165, l- 166,23: «lnvesti­gatam diutissime quaestionem, quantum nostrae mentis igniculum lux divina di­gnata est, formatam rationibus litterisque mandatam offerendam vobis communi­candamque curavi, ram vestri cupidus iudicii quam nostri studiosus inventi. Qua in re quid mihi sit animi quotiens stilo cogitata commendo, cum ex ipsa materiae difficultate rum ex eo quod raris, id est vobis tantum, conloquor, intelligi potest. N eque enim famae iactatione et inanibus vulgi clamoribus excitamur, sed, si quis est fructus exterior, hic non potest aliam nisi materiae similem sperare sententiam. (. .. ) Sed ne [edd sane] tantum a nobis quaeri oportet quantum humanae rationis intuitus ad divinitatis valet celsa conscendere». Alla luce delle presenti osserva­zioni, nell'ultima frase di questo brano sembra preferibile la lezione «sed ne», as-

Inizio e fin e della sapientia: la conoscenza teologica 127

gini nel conseguimento dei propri esiti (come la medicina, che non sempre guarisce il malato anche se il medico ha fatto tutto quello che, in base alla propria scienza, poteva fare per curarlo), molto più tale limitazione del sapere naturale avrà vigore nei confronti di una quae­stio sulla fede, e maggiore dovrà essere la tolleranza nei confronti di chi si impegna ad affrontarla con correttezza metodologica137

• È allora palese in questa teologia di impostazione agostiniana l'incidenza della concezione della filosofia come ricerca in continuo progresso. Avvian­do la trattazione diretta del problema trinitario, nel secondo capitolo dell'opuscolo, Boezio esorta il lettore ad affrontare il problema entro le possibilità dell'intelligenza umana, ricordando un suggerimento tratto dalle Tusculanae disputationes: è necessario accontentarsi del modo in cui a ciascuno sarà possibile avere una conoscenza persuasiva (fides) di ciascun oggetto preso in considerazione, e ciò vale in modo ancora più incisivo quando si tratta del principio divino della realtà138

Il quinto opuscolo, Contra Eutychen et Nestorium, è caratteriz­zato dalla formulazione di una precisa proposta metodologica, con­sistente nel prendere le mosse dalla definizione dei termini inerenti alla quaestio per valutarne la corretta semanticità e fissare i limiti del­la loro applicabilità, assicurata dalle formule dogmatiche, al mistero di fede 139• Ancora possiamo però constatare che la correttezza stessa

sicurata dai migliori manoscritti, rispetto al «sane» proposto dagli editori (sia in precedenza Peiper e Rand, sia ora Moreschini) come emendamento suggerito da una interpretazione in senso schiettamente 'razionalistico' del metodo boeziano: la teologia deve invece, secondo quanto precede, aspirare a una comprensione del dato biblico che, fondandosi sulla sua origine rivelata, vada oltre le capacità naturali della razionalità creata.

137 Cf. ibid., 1249AB, p. 166, 23-29: «Nam ceteris quoque artibus idem quasi quidam finis est constitutus, quousque potest via rationis accedere. Neque enim medicina aegris semper affert salutem; sed nulla erit culpa medentis, si nihil eo­rum quae fieri oportebat omiserit; idemque in ceteris. A t quantum haec diffìcilior quaestio est, ram facilior esse debet ad veniam».

138 Cf. ibid., 2, 1250A, p. 168, 64-67: «Age igitur ingrediamur, et unumquodque ut intellegi atque capi potest dispiciamus: nam, sicut optime dic­tum videtur, eruditi est hominis unumquodque ut ipsum est ira de eo fìdem cape­re temprare»; cf. MARCO TU LI.! O CICERONE, Tu.rculanae disputationes, V, 7, 19, ed. Miiller ci t. (cap. l, alla nota l) : «Propriis enim et suis argumenris et admonitioni­bus tractanda quaeque res est».

ll9 Cf. Contra Eutychen et Neston'um, praef., 1341A, ed. Moreschini cit., p . 209, 55-58: «Quoniam vero in tota quaestione contrariarum sibimet haereseon de personis dubitatur atque naturis, haec primitus definienda sunt et propriis diffe­rentiis segreganda». Uno dei più corretti interpreti ed eredi Ji questo metodo teo­logico del quinto opuscolo boeziano è stato, nel nono secolo, il monaco Ratramno di Corbie: cf. G. n'ONOFRIO, Dialectic and Theology: Boethius' Opuscula sacra and

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di tale metodo è garantita dal presupposto per cui tutte le indagini razionali, anche quelle fondate sul dettato della Rivelazione, devono sempre essere considerate perfettibili e mai definitive, in quanto l' as- ·.· solutezza della verità eccede comunque le capacità umane di com­prensione; e poiché (come Boezio chiarisce anche nel terzo opuscolo) tutto ciò che è buono nelle creature deriva non da loro stesse ma dal Sommo Bene, anche nelle opinioni umane non si dovrà ritenere nulla che le renda oggetto di amore in quanto tali. Se buone almeno in parte sono le dimostrazioni razionali fondate sull'enunciato della fede, sem- . pre migliore di esse rimane comunque il testo della Rivelazione da cui prendono le mosse140

Anche dunque, e forse soprattutto nell'ambito della teologia cri­stiana, resta valido per Boezio il principio del progresso del sapere, dal quale scaturisce una sincera esortazione alla rinuncia a qualsiasi pregiudiziale apprezzamento positivo dei risultati della propria . ca141

• E assume una valenza primaria l'esortazione al lettore a non la- : sciarsi traviare da immagini rappresentative di Dio forgiate a imitazio­ne delle realtà naturali e a essere pronto a elevarsi, nei confronti delle cose divine, alla pienezza non discorsiva di una conoscenza superio- ·• re alla normale razionalità (ossia di grado noetico, superiore a quel· lo dianoetico), nella misura in cui ciò è possibile all'uomo142

• E anche

Their Early Medieval Readers, in «Studi Medievali», Ser. 3', 27 .l ( 1986), [pp. 45-67], in partic. pp. 57 -61 ; Io., Discussioni teologiche nel regno di Carlo il Calvo, in . Storia delta Teologia nel Medioevo cit. (alla nota 100), I, I prindpi, [pp. 197 -242], · in partic. pp. 221-224.

14°Cf. Contra Eutychen et Nestorium, 8, conclus., 1354CD, p. 241,771-779: «Haec sunt quae ad te de fidei meae credulitate scripsi. Qua in re si quid per­peram dictum est, non ita sum amator mei, ut ea quae seme! effuderim meliori sententiae anteferre contendam. Si enim nihil est ex nobis boni, nihil est quod in nostris sententiis amare debeamus. Quod si ex illo cuncta sunt bona qui solus est bonus, illud potius bonum esse credendum est quod illa incommutabilis bonitas atque omnium bonorum causa perscribit».

141 Cf. ibtd., praef., 1339B-1340B, pp. 207, 24 - 208, 42: Boezio applica tale principio a se medesimo prima che ad altri, professando la propria disponibilità a correggere tutto ciò che nel suo scritto verrà trovato lacunoso o imperfetto; e tuttavia, nel racconto del prologo, egli riconosce in questo (in evidente paralleli­smo con quanto Cicerone rivendica negli Academica per i probabilisti) di essere awantaggiato su tutti gli altri contendenti nel concilio sulle dottrine eutichiane, in quanto tale atteggiamento lo rende immune dalla presunzione di falsa scienza.

142 Cf. De sancta Trinitate, 6, 1256A, pp. 180,354- 181,365: «Nos vero nulla imaginatione diduci sed simplici intellectu erigi et ut quidque intellegi potest ita aggredi etiam intellectu oportet. ( ... ) Quod si sententiae fidei fundamentis sponte firmissimae, opitulante gratia divina, idonea argumentorum adiumenta praestiti­mus, illluc perfecti operis laetitia remeabit unde venit effectus. Quod si ultra se

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questo conferma il collocarsi della vera ricerca teologica (ossia della teologia cristiana) allivello più alto della vera ricerca filosofica: come esito auspicabile del progressivo avvicinamento alla sapientia nel suo complesso, con piena coscienza della limitatezza connaturale a questi che sono i più arditi percorsi tentati dall'indagine conoscitiva umana.

Nel perseguire tale progetto, Boezio mostra di avere ereditato e armonicamente sintetizzato gli insegnamenti di Cicerone, di Agostino c di Proda: da Cicerone l'indicazione dei limiti e al tempo stesso delle potenzialità della conoscenza razionale; da Agostino la coscienza della necessità di portare tali potenzialità al massimo sviluppo, sotto l' om­bra protettiva della certezza in una verità assoluta che solo i seguaci di Cristo sono sicuri di possedere grazie al contenuto indubitabile della Rivelazione; dai Neoplatonici, e in particolare da P rodo, l'assicura­zione della possibilità di stabilire un diretto contatto tra l'aspirazio­ne scientifica e il possesso sapienziale della verità sulla base di una dottrina gnoseologica che spiega come ogni conoscenza vera, dalla più limitata alla più complessa, debba sempre essere accolta come un progresso nell'accostamento dell'umanità all'essere e al bene.

E in questo modo proprio l'assunzione preziosa della metodolo­gia conoscitiva platonica, che guida la ragione dianoetico-discorsiva delle scienze fino a sublimarsi, secondo le sue possibilità, in intelletto noetico, ha offerto al filosofo di Teodorico, a coronamento degli sforzi indagativi perseguiti nel corso di tutta la sua vita intellettuale, la cor­retta base speculativa per accostare la mente umana, nel modo più adeguato consentitole dalla sua naturale imperfezione, alla pienezza di conoscenza di cui gode Dio medesimo e di cui Egli ha fatto dono agli uomini nella storia, in forma compiuta ma non immediatamente razionalizzabile, per mezzo della Rivelazione cristiana.

humanitas nequivit ascendere, quantum inbecillitas subtrahit vota supplebunt». Sul grado noetico del comprendere come strumento proprio della scienza teolo­gica, cf. anche ibid., 2, 1250B, p. 169, 78-82: «In naturalibus igitur rationabiliter, in mathematicis disciplinaliter, in divinis intellectualiter versari oportebit neque diduci ad imaginationes, sed potius ipsam inspicere formam quae vere forma ne­que imago est» (passaggio sul quale rinvio ancora al mio saggio La scala ricamata cit. [cap. l, alla nota 7]) .