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 1 1. ASPETTI GENERALI E INTRODUTTIVI 1. Diversi significati del termine  Nella fede e teologia cristiana il tema della  grazia  è molto antico e ricco di aspetti. Per approfondirlo occorre tenere conto di numerose voci della Rivelazione, dell'  Antico e del Nuovo Testamento , che ad esso si riferiscono. Per questa sua ricchezza e complessità, fin dai tempi più antichi, nella Chiesa sorsero numerose dispute. La sua elaborazione come specifico trattato teologico "  De Gratia", nell'ambito della teologia dogmatica, risale al XVII secolo (1680) in seguito alla controversia con i teologi della Riforma 1 . Esso, quindi, è piuttosto recente, inoltre, nel tempo ha ricevuto differenti collocazioni. Nel Catechismo Romano del Concilio di Trento era posto agli inizi della teologia dei sacramenti e considerato tra i loro effetti. L'attuale spostamento nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) appare molto significativo. È stato posto nella Parte Terza , dedicata alla Vita in Cristo, come introduzione alla vita morale d el cristiano. Egualmente significativi sono i titoli sotto i quali è collocato. La Sezione Prima specifica "  La vocazion e dell'uomo: la vita nello Spirito ". Il capitolo terzo di questa riguarda "  La salvezza di Dio: la legge e la grazia ". L'articolo secondo, sotto il titolo: "Grazia e giustificazione" svolge nell'ordine: giustificazione, grazia, merito e santità cristiana (nn. 1987-2029). In breve, la grazia passa dalla sezione dei sacramenti a quella della vita nello Spirito, come base della sua espressione morale. Quanto al termine grazia , è stato sottomesso a numerosi impieghi linguistici, assume ndo significati e contenuti assai diversi. Nel linguaggio comune ha indicato l'insieme dell'amabilità e bellezza, in  particolar e femmini le, e la gentil ezza nell'atte ggiament o o negli atti esteriori. Nel passato linguaggio  politico-s ociale significò le concessioni straordinarie o i gesti di generosità magnanima esercit ati dalle supreme autorità verso i sudditi. Nell'attuale linguaggio  giuridico  indica i provvedimenti con cui i Capi di Stato commutano o condonano, in tutto o in parte, pene inflitte con sentenza irrevocabile. Nel linguaggio filosofic o riguarda il favore o la pura benevolenza verso un inferiore o il carattere estetico di movimenti, forme e atteggiamenti. In quest'ambito, però, i tentativi di un maggior approfondimento non hanno condotto a espressioni precise, ma soltanto generiche, collegat e a idee diverse come: dono, libertà, gratuità , volontà di apertura, scambio di bene o amore 2 . Comunque sia, è evidente che si tratta di significati assai lontani da quelli che il termine riveste nella Scrittura e nella teologia. 2. Argomento e temi, nella fede e nella teolog ia Riguardo alla teologia, in primissima approssimazione possiamo dire che grazia (greco charis, latino  gratia ) designa la benevolenza personale assolutamente gratuita di Dio, che si comunica all'uomo e gli effetti  di questo suo  favore 3 . Si è detto "primissima approssi mazione" perché il concetto,  per la sua vastità e comples sità, potrà essere ampliato , approfond ito e completato solo mediante indicazioni più dettagliate e specifiche, che emergeranno nello sviluppo dei suoi vari aspetti. Nella Rivelazione, infatti, molte realtà e concetti si riferiscono, a diverso titolo, alla grazia. Dovremo approfondirle, quindi, a partire dalla Scrittura. In campo teologico dovremo poi seguire gli sviluppi dei diversi aspetti, che avvennero in seguito a numerosi errori o interpretazioni unilaterali, che portarono a eresie (pelagianesimo, semipelagianesimo, ecc.) sulle quali la Chiesa dovette pronunciarsi. L'elaborazione del trattato avvenne, in particolare, nel periodo del Tridentino e in seguito alle controversie con la Riforma. Nel secolo XX, il tema a cquistò ulteriore ampiezza e vigore nel dibattito teologico che precedette e seguì il Concilio Vaticano II . Queste brevi premesse ci avviano a comprendere le ragioni delle impostazioni più recenti: quella sintetica del Catechismo della Chiesa Cattolica  e quelle più ampie e descrittive della teologia, che saranno approfondite, volta per volta, nei successivi approcci. Il Catechismo al n. 1996 definisce la grazia come "il  favore, il  soccorso gratuito  che Dio ci dà  perché rispondi amo al suo invito: diventare figli adottivi , partecipi della natura divina, della vita eterna". Aggiunge poi: "La grazia è un  partecipazio ne alla vita di Dio; c'introduce nell'intimità della vita trinitaria" (1997). Al n. 1999, accennando alla grazia di Cristo, la definisce: "il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla". Questa è la grazia santificante o deificante , ricevuta nel Battesimo che, in noi, diviene la sorgente dell'opera di santificazione. Al n. 2000 precisa ancora: "La grazia santificante è un dono abituale, una disposizione stabile e soprannaturale che perfeziona l'anima stessa per renderla capace di

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1. ASPETTI GENERALI E INTRODUTTIVI

1. Diversi significati del termine

 Nella fede e teologia cristiana il tema della  grazia  è molto antico e ricco di aspetti. Perapprofondirlo occorre tenere conto di numerose voci della Rivelazione, dell' Antico  e del Nuovo

Testamento, che ad esso si riferiscono. Per questa sua ricchezza e complessità, fin dai tempi piùantichi, nella Chiesa sorsero numerose dispute. La sua elaborazione come specifico trattato teologico" De Gratia", nell'ambito della teologia dogmatica, risale al XVII secolo (1680) in seguito allacontroversia con i teologi della Riforma1. Esso, quindi, è piuttosto recente, inoltre, nel tempo haricevuto differenti collocazioni. Nel Catechismo Romano del Concilio di Trento era posto agli inizidella teologia dei sacramenti e considerato tra i loro effetti. L'attuale spostamento nel Catechismo della

Chiesa Cattolica (1992) appare molto significativo. È stato posto nella Parte Terza, dedicata alla Vita

in Cristo, come introduzione alla vita morale del cristiano. Egualmente significativi sono i titoli sotto iquali è collocato. La Sezione Prima  specifica " La vocazione dell'uomo: la vita nello Spirito". Ilcapitolo terzo di questa riguarda " La salvezza di Dio: la legge e la grazia". L'articolo secondo, sotto iltitolo: "Grazia e giustificazione" svolge nell'ordine: giustificazione, grazia, merito e santità cristiana

(nn. 1987-2029). In breve, la grazia passa dalla sezione dei sacramenti a quella della vita nello Spirito,come base della sua espressione morale.

Quanto al termine grazia, è stato sottomesso a numerosi impieghi linguistici, assumendo significatie contenuti assai diversi. Nel linguaggio comune  ha indicato l'insieme dell'amabilità e bellezza, in

 particolare femminile, e la gentilezza nell'atteggiamento o negli atti esteriori. Nel passato linguaggio

 politico-sociale significò le concessioni straordinarie o i gesti di generosità magnanima esercitati dallesupreme autorità verso i sudditi. Nell'attuale linguaggio  giuridico  indica i provvedimenti con cui iCapi di Stato commutano o condonano, in tutto o in parte, pene inflitte con sentenza irrevocabile. Nellinguaggio filosofico riguarda il favore o la pura benevolenza verso un inferiore o il carattere esteticodi movimenti, forme e atteggiamenti. In quest'ambito, però, i tentativi di un maggior approfondimentonon hanno condotto a espressioni precise, ma soltanto generiche, collegate a idee diverse come: dono,libertà, gratuità, volontà di apertura, scambio di bene o amore2. Comunque sia, è evidente che si trattadi significati assai lontani da quelli che il termine riveste nella Scrittura e nella teologia.

2. Argomento e temi, nella fede e nella teologia

Riguardo alla teologia, in primissima approssimazione possiamo dire che grazia (greco charis,latino  gratia) designa la benevolenza personale assolutamente gratuita di Dio, che si comunicaall'uomo e gli effetti di questo suo favore

3. Si è detto "primissima approssimazione" perché il concetto, per la sua vastità e complessità, potrà essere ampliato, approfondito e completato solo medianteindicazioni più dettagliate e specifiche, che emergeranno nello sviluppo dei suoi vari aspetti. NellaRivelazione, infatti, molte realtà e concetti si riferiscono, a diverso titolo, alla grazia. Dovremoapprofondirle, quindi, a partire dalla Scrittura. In campo teologico dovremo poi seguire gli sviluppi deidiversi aspetti, che avvennero in seguito a numerosi errori o interpretazioni unilaterali, che portarono a

eresie (pelagianesimo, semipelagianesimo, ecc.) sulle quali la Chiesa dovette pronunciarsi.L'elaborazione del trattato avvenne, in particolare, nel periodo del Tridentino e in seguito allecontroversie con la Riforma. Nel secolo XX, il tema acquistò ulteriore ampiezza e vigore nel dibattitoteologico che precedette e seguì il Concilio Vaticano II . Queste brevi premesse ci avviano acomprendere le ragioni delle impostazioni più recenti: quella sintetica del Catechismo della Chiesa

Cattolica e quelle più ampie e descrittive della teologia, che saranno approfondite, volta per volta, neisuccessivi approcci.

Il Catechismo  al n. 1996 definisce la grazia come "il  favore, il  soccorso gratuito  che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito: diventare figli adottivi, partecipi della natura divina, della vitaeterna". Aggiunge poi: "La grazia è un  partecipazione alla vita di Dio; c'introduce nell'intimità dellavita trinitaria" (1997). Al n. 1999, accennando alla grazia di Cristo, la definisce: "il dono gratuito che

Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato esantificarla". Questa è la grazia santificante o deificante, ricevuta nel Battesimo che, in noi, diviene lasorgente dell'opera di santificazione. Al n. 2000 precisa ancora: "La grazia santificante è un donoabituale, una disposizione stabile e soprannaturale che perfeziona l'anima stessa per renderla capace di

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vivere con Dio, di agire per amor suo". Le definizioni teologiche sono più estese, dovendo risponderealle incomprensioni e difficoltà sollevate dalla mentalità e cultura di ogni tempo. I teologi, quindi, la

 presentano in questi termini: la grazia è l'amore di Dio che si rivolge all'uomo in maniera gratuita,

inattesa, incomprensibile e lo conduce alla salvezza nella comunione con Lui, mostrando che la

resistenza a Lui è una prigionia dell'uomo in se stesso (alienazione), che può essere vinta solo da un

intervento liberatore.

Questa descrizione intende dire che: a) la grazia è non solo l'amore di Dio, ma Dio stesso, poichéDio è amore (1Gv 4,8); b) la grazia di Dio che si rivolge all'uomo è un atto libero dell'infinita bontàdivina; c) essa è piena gratuità e puro dono; d) essa è del tutto inattesa perché dipende solo dalla liberainiziativa di Dio verso l'uomo peccatore; e) il suo mistero o incomprensibilità dipende dal fatto chenessuna creatura può "comprendere" l'immensa bontà, amore e benevolenza di Dio, né le forme concui la realizza e manifesta (come l'incarnazione, sofferenza, umiliazione, passione e morte del Figlio);f) il dono con cui Dio salva consiste nella comunione personale di vita con Lui e nel dono di poterloconoscere e amare senza limiti; g) Dio vince il peccato, il rifiuto e la chiusura dell'uomo, non con laviolenza, ma liberando e rinnovando interiormente il peccatore, mediante la sua bontà, perdono eamore incondizionato4. Il Signore libera pure l'uomo dall'illusione di poter decidere del senso della

 propria vita, fidando solo nel proprio potere. Tale illusione non è solo vana e inutile, ma sprofonda la

 persona nell'assurdo, l'alienazione totale, il fallimento e la prigionia di sé. Questa ricchezza e profondità del rapporto fra Dio e l'uomo spiega la difficoltà di ogni tentativo di definire il terminegrazia. La stupefacente ricchezza di significati concentrati in questa parola spiega pure le ragioni percui essa sia divenuta un tema centrale nella Rivelazione, la fede, la vita cristiana e la teologia.

Spiega pure gli ostacoli che la chiesa ha dovuto superare e le difficoltà che ha dovuto affrontare perassicurarne i giusti contenuti e la corretta comprensione teologica. Spiega infine perché, coinvolgendoquasi tutti i differenti trattati teologici, possa venire sviluppata secondo prospettive molto diverse,anche se complementari, e venire collocata in settori che vanno dalla teologia sistematica(antropologia teologica), a quella dei sacramenti, fino alla teologia morale e spirituale. Le definizionisopra riportate mostrano pure le ragioni che hanno reso il XX secolo un altro importante momento diriflessione e comprensione della grazia. In esso si sono approfondite le dimensioni interiori,

individuali e inesperibili su cui si concentravano le precedenti esposizioni, assieme all'attenzione allesue dimensioni esterne, comunitarie, sociali e alle sue mediazioni ed esperibilità esterne. Questoarricchimento si deve, soprattutto, a due fattori: l'accresciuta sensibilità alle tematiche sociali, nelsecolo XIX e XX; il concludersi di alcune idee tipiche della modernità. Ciò esige che un discorsocontemporaneo sulla grazia, in Occidente, tenga conto che l'uomo si è abituato a ritenersi obbligatosolo a se stesso, a non aspettarsi alcun dono o benevolenza, a ritenere tutto come dovutogli, a contaresolo sulle proprie capacità e realizzazioni, ad attribuirsi il diritto esclusivo di negare o affermare sensi,valori e significati, in breve, a imporre esclusivamente la sua volontà di autonomia assoluta5.

Tali idee e atteggiamenti, di matrice ideologica tecnicista e scientista, benché arretrate e confutate,condizionano ancora larghe parti della cultura attuale. Esse contrastano radicalmente con la capacità di

 pensare la vita come  grazia  o dono di Dio. Il dono di sé generoso e gratuito, che Dio ha attuato in

Cristo diviene, pertanto, un'esigenza specifica dell'evangelizzazione, della catechesi e del dialogointerculturale del XXI secolo. D'altra parte è egualmente necessario non attenuarne la portata mistica,soprannaturale e religiosa del tema, essenziale per il dialogo interreligioso.

3. Per una teologia contemporanea della grazia

L'idea di fondo da tenere sempre viva è il fascino della grazia come dono, che ne faun'imprevedibile e smisurata espressione di generosità e gratuità non dovute. È tale fascino divino chesuscita lode e gratitudine senza fine. A tal fine occorre valorizzare l'impostazione di Ef 1,3-10, che lacollega alle categorie della benedizione, elezione,  predestinazione, redenzione,  sapienza e  prudenza .Se la sua essenza consiste nell'amore del Padre per il Figlio Gesù Cristo e, in lui, per noi, vasottolineato bene che l'atteggiamento paterno di Dio, che ci vuole suoi figli, precede ogni volontà esupera ogni progetto umano. Ne consegue che la benedizione  è il dono dello Spirito Santo, checompendia tutto ciò che il Padre dà e può dare. La  predestinazione  sottolinea che il nostro essere difigli è antecedente a ogni volere creato. La redenzione è la liberazione dal peccato e la trasformazionedivina di tutto il nostro essere spirituale e corporeo. Queste azioni divine, come dono assolutamente

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gratuito, avvengono in prospettiva trinitaria, elevando l'uomo all'esistenza della Trinità e aprendolo alrapporto con ognuna delle persone divine. Questa vita trascendente e divina si attua in una comunionesolidale che ne fonda l'aspetto comunitario o ecclesiale. Appartenere a Cristo, quindi, significa entrarenell'ambito della intersoggettività centrata in lui, ossia appartenere alla sua Chiesa. Le persone divineche si donano e comunicano a noi costituiscono la  grazia increata. L'effettiva trasformazione che

 provocano nel nostro essere costituisce la  grazia creata. Esse indicano la necessità di armonizzaresempre i seguenti aspetti: appartenenza al mondo della trascendenza divina; partecipazione allafigliolanza di Dio in Cristo; liberazione dalla schiavitù del peccato; vita di autentica libertà nelrapporto con Cristo, liberatore dal peccato e salvatore universale6.

Tale armonizzazione è possibile se valorizziamo due elementi da tenere sempre uniti nei diversiapprofondimenti e sistemazioni teologiche. Il primo è la  grazia interiore, ossia l'aspetto invisibile eincalcolabile dell'amore divino che opera in noi. Il secondo è la  grazia esteriore, che riguarda lemediazioni simboliche, sociali, politiche e le strutture del mondo, attraverso le quali anche la grazia

 può passare. Essi vanno tenuti presente, poiché consentono di vedere la grazia come nucleo intimo ecompendio dell'intera realtà evangelica. La loro duplice dimensione costituisce un punto chiave dellariflessione teologica, perché esplicita, approfondisce ed esprime maggiormente la ricchezza dellagrazia. Un altro elemento imprescindibile è la necessità di una stretta cooperazione fra la sovrana

libertà e gratuità del dono di Dio e la libertà, sostenuta dallo Spirito, della risposta umana. Anche aquesto riguardo la teologia della grazia deve affrontare le difficoltà e i problemi sollevati dallamentalità moderna e contemporanea. Essi derivano dal mancato riconoscimento dei limiti dellecapacità umane e dal rifiuto dell'umiltà che il messaggio dell'umiliazione, passione e morte in croce diCristo comporta ed esige riguardo alla fede cristiana.

Di fronte ad esse la dottrina della grazia deve: a)  sottolineare la storicità della grazia divina sia nelsuo accadere nell'evento di Cristo, che nel suo comunicarsi nell'evento della chiesa; b) approfondire la

 grazia esteriore, ossia ciò che la fede scopre e identifica negli avvenimenti terreni, storici e sociali eafferra come offerte dell'amore divino; c) esprimere il paradosso evangelico della croce, ossia delleumiliazioni, sofferenze e contraddizioni della vita quotidiana, che riducono al silenzio le preteseimmanenti e le illusioni intramondane. Così intesa, la grazia indica la vera apertura attuale alla vita

eterna7

. Un'altra esigenza sempre più urgente è l'incontro e dialogo della fede con le antiche tradizionireligiose o le nuove forme emergenti. La prospettiva della grazia non può trascurare il fatto che inalcune di esse, sia pure in forme estremamente diverse e imperfette, si possano trovare diverse istanzesalvifiche quali: a) aspirazioni a incontrare Dio; b) desideri d'entrare in comunicazione, dialogo ecomunione con lui; c) ricerca di un soccorso alla propria insufficienza, solitudine, limite e finitezza.Ovviamente, ogni religione è condizionata dalla propria concezione di Dio. Visioni cosmo-vitalistiche,monistiche, panteistiche di un dio impersonale, non distinto dal mondo, non consentono uno sviluppoadeguato delle predette istanze. Vi sono, tuttavia, forme religiose che esprimono aspetti più elevati.

 Nell'induismo la Bhakti sottolinea l'amore, abbandono in Dio e unione del cuore con il Signoresupremo. Essa risponde al bisogno di condivisione, amore, fede e visione, che l'uomo prova verso ildivino. Essendo molto ricca di significato, è stata tradotta con vari termini: partecipazione amorosa,amore/fede, devozione, dedizione, attaccamento, affetto, fervore, fedeltà, adorazione. Ciò perché essa

riguarda quello spazio in cui l'uomo si riconosce come partecipe del divino. Nella sua forma classica,ossia il Bhagavadgita, il testo indù che maggiormente promuove l'azione e la devozione, la bhakti, sul

 piano della conoscenza, mantiene la trascendenza del divino; su quello della rappresentazione,risponde al desiderio di vedere; su quello dell'attività e dell'affettività, mobilita le forze dell'uomo e lefocalizza sul suo oggetto8. Pure la mistica musulmana del Sufi vede Dio come polo di tutta la vita, alquale si accede per la via del puro amore, vertice della vita spirituale 9. Anche in alcune religioni

 primitive Dio è avvertito come un "tu" che si china su noi per grazia e con amore. Questi casi, tuttavia,offrono solo accenni a una comunione, non sempre scevra da forme di tipo naturalistico, cosmico evitalistico. Solo nella Rivelazione e fede biblico-cristiana, il pieno spazio alla comunionesoprannaturale e interpersonale può fare superare tali limiti10.

Anche a questo proposito, quindi, il tema della grazia si rivela di particolare importanza,

sottolineando il dono assolutamente libero e gratuito di sé che, in Cristo, Dio fa all'uomo, perchéquesti lo accolga nella fede, trasformando tutta la sua vita. È in questo contesto che le prospettive e leconseguenze della grazia investono globalmente tutti i temi teologici: rapporto fra vita trinitaria euniverso (creazione, protologia); rapporto fra Dio e uomo peccatore e redento (antropologia teologica,

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soteriologia); chiesa e sacramenti (ecclesiologia, sacramentaria, liturgia); compimento futuro(escatologia). Riguardo allo sviluppo delle mediazioni terrene, le prospettive e le conseguenze dellagrazia fanno da base all'etica teologica (teologia morale) e all'impegno spirituale ascetico,contemplativo (teologia spirituale) e operativo (teologia pastorale). Questi stretti rapporti spiegano

 perché il tema della grazia, come trattato teologico, nel corso del tempo e nelle varie epoche, abbiadato luogo a elaborazioni sistematiche collocate, di volta in volta, in diverse parti della teologia. Atutt'oggi, per la teologia della grazia, rimangono particolarmente importanti e attuali gli sviluppiantichi e recenti della cristologia, della teologia dello Spirito Santo (pneumatologia), centrata sul donoe l'autocomunicazione divina, e dell'antropologia come attuazione, potenziamento e compimento dellestrutture fondamentali della persona umana. Di esse occorrerà tenere il debito conto. Il tema dellagrazia si collega pure a quelli della  giustificazione, santificazione e merito che svilupperemo nel corsodella trattazione.

1 L. Serenthà, "Uomo", DTI, III, 523.

2 A. Lalande, DCF, 353-354.

3 A. Beni, "Grazia", NDT, 607.

4 O. H. Pesch, "Grazia", ET, 442-444.

5 Pesch, "Grazia", 441-442.

6 G. Manca, La grazia, Cinisello B. 1997, 9-14.

7 Pesch, "Grazia", 447-448.

8  M. Delahoutre, "Bhakti", GDR, 212-213; " Bhagavadgita" , ibid., 211; G.R. Franci (a cura),  La Bhakti.

 L'amore di Dio nell'induismo, Cuneo 1970.

9 R. Caspar, "Sufismo", GDR, 2049-2051; F. Schuon, Sufismo, Roma 1982.

10 Beni, "Grazia", 593.

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2. GRAZIA: CONTESTO, TERMINI, DISTINZIONI

Anche questo capitolo è introduttivo e presenta alcuni dei termini e delle distinzioni formulate neisecoli, per meglio elaborare l'argomento. La loro presentazione ha il fine di conoscerne la loroesistenza, significato e utilità in senso generale. Durante lo sviluppo successivo dei diversi argomenti,ritorneremo ad essi, ogni volta che occorrerà, per chiarirli e comprenderli meglio. Al momento occorrericordare che essi non nacquero da sottigliezze e non costituiscono elaborazioni complicate oarbitrarie, ma esprimono il risultato degli sforzi, sovente ardui e faticosi, dell'intelligenza disposta acredere e della fede desiderosa di pensare e capire. In definitiva sono il frutto dello Spirito che spingela Chiesa ad approfondire sempre più quel mistero delle Persone divine e delle relazioni tra loro e connoi che stanno alla base del mistero della grazia e degli altri ad esso connessi (elezione,

 predestinazione, giustificazione, santificazione, deificazione, merito). Più brevemente potremmo direche termini e distinzioni furono elaborati per capire meglio, fin dove è possibile, il mistero della

 presenza e dell'azione divina nella Chiesa e nel mondo. Per questo la loro comprensione maturagradualmente, approfondendo gli specifici temi.

1. Il contesto reale della grazia

Il miglior modo per comprendere i problemi e i significati collegati al tema della grazia è dicollocarli nel loro reale contesto storico e nel loro autentico ambito spirituale e umano. Questi sonoindicati dalla Scrittura. Fin dalle sue prime pagine emerge la vicenda dell'uomo che, volendo fare ameno di Dio e meglio di lui, si è ritrovato in una triste condizione di disordine e miseria (peccatooriginale). Rifiutando l'amicizia con Dio e perdendo il dono dell'integrità (grazia, possibilità di non

 peccare) i nostri progenitori e i loro discendenti si trovarono nell'incapacità di dominare la violenzadelle loro passioni e istinti e di sottrarsi alla forza del peccato, che s'impadronì del mondo. In talecondizione, l'umanità ha sperimentato l'impossibilità di salvarsi con le sue sole forze e ha subito unacrescita impressionante del potere del male. Essa passò, così, dalla disobbedienza originale alladiffidenza reciproca (Gn 3, 1-19), all'omicidio (Caino, Gn 4, 1-16), alla volontà di sterminio (Lamech,Gn 4, 23-24). Morte, inganno e violenza entrarono nel mondo e s'impadronirono dell'uomo. L'umanitàimparò a manipolare i materiali, ma non riuscì ad accompagnare il progresso tecnico con quellospirituale e morale, scadendo sempre più nella grave condizione descritta in Genesi 6, 5-6: "Il Signorevide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuorenon era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuorsuo".

Anche dopo il diluvio il male riprese la sua corsa inarrestabile. Il tentativo di assicurare l'unità delgenere umano mediante grandiose realizzazioni (Babele) portò soltanto maggiori incomprensioni edivisioni (Gen 11, 1-9). Questa tragica crescita e trionfo del male mostrano l'assoluto bisogno di Dio edel suo aiuto, che l'uomo ha per vincere il male. Il peccato originale, infatti, ha così indebolito lecapacità spirituali, intellettuali e morali dell'uomo, da non consentirgli più,  senza l'aiuto divino, unavita libera dal peccato e la capacità di compiere azioni moralmente buone e opere oneste per tutta lavita. Tale aiuto divino, e la nuova situazione positiva che esso produce, è detto  grazia  dalla fede

cristiana.

2. Alcune interpretazioni contrastanti

 Nella vita della Chiesa, la concezione biblico-cristiana della grazia ha subito interpretazionidiverse, nel corso del tempo. Alcune erano opposte o addirittura contraddittorie, legate ad alternieccessi infondati di ottimismo o di pessimismo. L'ottimismo fu di Pelagio e dei suoi seguaci(pelagiani), secondo i quali la condizione umana, prima del peccato originale, non differiva da quellasuccessiva. Ritenevano, quindi, che: la tendenza al male è naturale; la natura umana può osservare, dasola, la legge di Dio e di Cristo; la grazia aiuta l'uomo soltanto a fare meglio ciò che può fare da sé. Adistanza di molti secoli il pessimismo fu dei protestanti e seguaci di Giansenio (giansenisti), chesostenevano la totale corruzione intrinseca dell'uomo, in conseguenza del peccato. Per loro, tutto ciò

che l'uomo fa è sempre e soltanto peccato. La corretta fede ecclesiale si oppose agli opposti estremismie anche alle loro forme più attenuate (semipelagiani da un lato, rigoristi dall'altro), esponendo la veritàrivelata secondo la verità e il sano, equilibrato realismo della dottrina cattolica. Sottolineò, pertanto,contro i pelagiani, l'assoluta necessità della grazia divina, perché l'uomo possa orientarsi a Dio come

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valore assoluto e amarlo e servirlo al di sopra di ogni altra cosa. Evidenziò che la grazia illuminal'intelligenza, fortifica la volontà e sostiene tutta la persona.

Contro protestanti e giansenisti ribadì che l'uomo, nonostante tutte le difficoltà incontrate dopo il peccato originale (forza della concupiscenza, indebolimento della libertà, impossibilità di evitare tutti i peccati personali ecc.), sotto l'influsso della grazia soprannaturale di Cristo e in forza di essa, può

orientarsi veramente a Dio e al bene e compiere atti moralmente buoni. La libertà umana, infatti, non èstata totalmente distrutta, ma soltanto profondamente ferita, dal peccato originale.

3. Trasformazioni del tema e principali distinzioni

Queste lotte per la verità apportarono, durante i secoli, diverse trasformazioni al tema. S. Agostinonegli ultimi vent'anni della sua vita, sottolineò contro Pelagio che, dopo il peccato, per condurre unavita cristiana, la persona umana ha bisogno di un "aiuto" (auxilium) che la liberi dal peccato e le dia

 pure la forza (gratia operans) di corrispondere (gratia cooperans). Ciò riguarda tanto la libertà che leopere. La sua dottrina riguardante la libertà, il peccato, la grazia e il merito, fu trasmessa ai secolisuccessivi. Nel medioevo questi temi ricorsero ancora, ma S. Tommaso collegò la dottrina sulla graziacon quella sulla legge. La Riforma, invece, sollevò il problema della giustificazione, come tema

centrale della salvezza e di tutta la verità cristiana. Di conseguenza, anche la grazia venne trattata intali termini, con particolare ampiezza, dal Concilio di Trento. Nei secoli XVI-XVIII sorse lacontroversia "de auxiliis" sulla  grazia sufficiente  e la  grazia efficace. I professori della facoltà diWürzburg posero il trattato della grazia subito dopo la Cristologia. Nel tempo che precedette ilConcilio Vaticano II   vennero riproposti i temi dell'inabitazione divina nell'anima dei giusti, dellavolontà salvifica universale di Dio e dello stretto rapporto fra Cristo e la grazia. Nel post-concilio,invece, emersero sempre più i temi del rapporto fra Chiesa, fede, grazia e sacramenti. L'attenzione siappuntò sulla persona dello Spirito Santo che opera nella e per la grazia, più che sulla sua opera, ossiala grazia. Si accese, inoltre, un crescente interesse per la grazia nella condizione dei non cristiani.

Come si è già visto in parte, nel contesto generale della rivelazione biblica, dell'annuncioecclesiale, degli sviluppi storici, dottrinali e delle controversie sopra accennate, la riflessione teologicasi trovò a dover sviluppare numerosi termini e distinzioni, riguardanti i molteplici aspetti e compitidella grazia. Anche il Magistero ne utilizzò alcune per le sue definizioni. Presentiamo, quindi, alcunidi questi termini e distinzioni principali, nelle loro formulazioni più semplici, rinviando le spiegazioniapprofondite ai luoghi appropriati che più avanti lo richiederanno. Riteniamo importante illustrarne finda ora il senso e l'utilità dato che, a volte, alcuni credenti e anche teologi rivolgono loro alcunecritiche. Tali suddivisioni e distinzioni diventano comprensibili, invece, se le collochiamo entro losforzo mai esaurito e sempre rinnovato di: a) comprendere più profondamente questo grande e difficilemistero; b) collegarlo con la maggior chiarezza e precisione possibile alle altre verità rivelate; c)capirne il significato e l'utilità per la vita umana e cristiana. Sono queste, infatti, le esigenze che hanno

 portato, ogni volta e senza sosta, a elaborare nuovi termini e distinzioni o a specificare, rinnovare echiarire quelle precedenti. Alcune divennero parte dell'annuncio e della catechesi abituale dellaChiesa, tanto che le ritroviamo sia nel precedente Catechismo Romano del Concilio di Trento, che in

quello del Concilio Vaticano II , il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica.È, quindi, molto interessante esaminare l'impostazione che il secondo ha dato a tutto il tema della

grazia. Alla sua collocazione abbiamo già accennato nel capitolo precedente. Qui noteremo come, nel presentare la grazia e il suo potere di giustificarci, parta dalla conversione che opera la giustificazione (nn. 1987, 1989). Sottolinea, quindi, che la conversione, sotto la mozione della grazia, fa rivolgerel'uomo a Dio, lo allontana dal peccato e gli fa accogliere il perdono e la giustizia dall'Alto (n. 1989).La  giustificazione  non è una semplice remissione dei peccati, ma anche la santificazione e ilrinnovamento interiore dell'uomo (1989). Al riguardo, cita alla lettera il Concilio di Trento (DS, 1528).Sottolinea poi che, con la giustificazione, Dio infonde nei nostri cuori la fede, speranza, carità el'obbedienza alla sua volontà (n. 1991). Precisa, quindi, che il termine giustizia, da cui deriva quello di

 giustificazione, indica la "rettitudine dell'amore divino" (n. 1991). Definisce quindi la grazia"partecipazione alla vita di Dio che c'introduce nella vita trinitaria" (n. 1997). La conversione egiustificazione sono dette pure  grazia prima, che nessuno può meritare, essendo date solo da Dio,come puro dono (n. 2027). La  grazia santificante o deificante  è il dono gratuito che Dio, nelBattesimo, ci fa di sé e della sua vita, per mezzo della fede in Gesù Cristo. Essa è infusa in noi dallo

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Spirito Santo, che ci guarisce e santifica, per cui è in noi la sorgente dell'opera di santificazione (n.1999). La grazia santificante viene pure detta  grazia abituale, perché è dono stabile e permanente,come disposizione soprannaturale ad agire secondo gli inviti della volontà divina. Ciò la distinguedalle grazie attuali, che sono gli interventi mediante i quali il Signore continua ad operare in noi, siaall'inizio della conversione, che in tutto il corso della sua opera di santificazione (n. 2000). IlCatechismo  distingue pure le  grazie sacramentali, come doni particolari e specifici dei singolisacramenti e le  grazie speciali, che si dividono in: carismi, o doni ordinati alla grazia santificante, aservizio della carità che edifica la Chiesa, che hanno come fine il suo bene comune (n. 2003); grazie di

 stato, che aiutano a esercitare le responsabilità inerenti sia alla vita cristiana che ai ministeri dellaChiesa (n. 2004).

4. Senso e uso delle distinzioni teologiche

Questi termini e distinzioni furono, inizialmente, elaborati dalla ricerca e riflessione teologica. Inseguito vennero accolti dal Magistero che con la sua autorità li valorizzò per l'annuncio e la catechesi.Oltre a quelli ora citati nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ve ne sono altri, egualmente elaboratidai teologi nel corso del tempo, nei loro sforzi e tentativi di approfondire, comprendere o risolvere i

 problemi che di volta in volta emergevano riguardo alla grazia. È necessario conoscere anche questi

 per capirli e utilizzarli con sereno discernimento. Al riguardo è importante ricordare che più che di forme diverse della grazia, si tratta di  prospettive diverse sotto le quali  essa viene considerata, inrapporto ai vari problemi che, sovente, di volta in volta vengono a emergere. Abbiamo, quindi, la

 grazia increata e grazia creata. La grazia increata indica Dio stesso, ossia la comunione delle stessePersone divine che abitano nell'anima dei battezzati e credenti. Grazia creata  indica invece i doni,distinti da Dio, che accompagnano la grazia increata, in particolare le virtù infuse e i doni dello SpiritoSanto, che aderiscono all'uomo e lo trasformano. Alcuni distinguono pure la grazia in naturale  e

 soprannaturale. Nella terminologia scolastica della grazia, la grazia creata  fu detta abituale  perindicarne la forma stabile e duratura e distinguerla dalle grazie attuali, che sono spinte o impulsi divinitransitori. Venne pure detta  soprannaturale  perché supera le capacità dell'uomo, che non ènaturalmente partecipe della natura divina. Grazie naturali  sono tutti i doni naturali (d'intelligenza,volontà, sensibilità, capacità varie, beni, mezzi, condizioni esterne ecc.), che formano la struttura della

 persona e intessono la trama della vita, che la provvidenza divina elargisce liberamente, gratuitamentee generosamente a ogni persona. Grazie soprannaturali sono tutti i doni soprannaturali, riguardanti lalibera e gratuita chiamata alla salvezza e santificazione, perché l'uomo divenga figlio adottivo di Dio erimanga nell'intima comunione d'amore con Cristo e le Persone divine.

Altri distinguono pure fra  grazia interna  e  grazia esterna. Grazia esterna  è tutto ciò che operasull'uomo dall'esterno, come la predicazione del Vangelo, gli esempi, le testimonianze, determinatesituazioni ecc. Grazia interna è ogni influsso esercitato da Dio sulle facoltà interiori dell'uomo, comele illuminazioni dell'intelligenza e le mozioni della volontà. Solitamente, la grazia esterna èaccompagnata dalla grazia interna, che opera congiuntamente con la prima. Si distingue pure fra

 grazia sanante  o medicinale  e  grazia elevante. La prima indica le grazie interne, volte a sanare leconseguenze prodotte dal peccato e a farci vivere onestamente. La seconda indica gli influssi divini

 per renderci sempre più capaci di operare soprannaturalmente e disporci o aprirci alla giustificazione.È bene ricordare pure una distinzione, storicamente legata a un insieme di problemi sorti fra la fine del1500 e gli inizi del 1600, che vanno sotto il nome di "controversia de auxiliis". I teologi del tempodistinsero, quindi, fra  grazia sufficiente  e  grazia efficace. Al di là delle molte e complicatedisquisizioni della controversia storica, possiamo dire che  grazia sufficiente  è quella che Dio, chevuole la salvezza di tutti (volontà salvifica universale), dona a tutti (e non solo ad alcuni), nel pienorispetto della loro libertà. Grazia efficace  è quella che diviene tale solo in coloro che liberamentel'accolgono, consentendole di produrre in loro gli effetti salvifici. Di ciò riparleremo nei capitoli finali.

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3. GRAZIA ED ELEZIONE NELL'ANTICO TESTAMENTO

La grazia è riconosciuta un concetto chiave dell'annuncio biblico che, tuttavia, non espone unadottrina sistematicamente elaborata, ma molti elementi essenziali, che nel loro insieme sono stati

 progressivamente sviluppati e completati. Benché rispetto all' Antico Testamento il  Nuovo Testamento  segni una notevole crescita, sia di estensione che di espressioni, esso non sarebbe comprensibile senzao al di fuori dell' Antico Testamento. Dovremo, quindi, collegare tutta la tematica della grazia alle piùsignificative realizzazioni ed espressioni veterotestamentarie.

1. Antica alleanza, grazia, benedizione

Esegesi e teologia concordano nel sottolineare l'importanza delle parole con le quali Dio si definì,nel rivelarsi a Mosè: "Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e dei fedeltà, checonserva il favore per mille generazioni" (Es 34,6). È assai significativo che, per tradurre tali parole,sia stato necessario ricorrere a diversi modi: "Dio clemente e misericordioso, longanime, grande nella

 benevolenza e nella fedeltà"1; oppure: "Dio di tenerezza e di grazia, tardo all'ira e ricco di misericordiae fedeltà"2; e ancora: "Dio di pietà e misericordia, lento all'ira e ricco di grazia e di verità, che conservagrazia per mille generazioni, sopporta colpa, trasgressione e peccato"3. Per esprimere le realtà qui e

altrove indicate, il lessico ebraico si avvale di numerosi termini: Hen, che indica la misericordia (cuoreche si china sulle miserie);  Hesed , che indica la fedeltà generosa; 'Emet , che indica la fermezzaincrollabile negli impegni;  Rahamim, derivato da rehem, che designa il grembo materno e indical'attaccamento viscerale della madre ai propri figli; Sedeq, che indica la santità inesauribile cheassicura a tutte le creature la pienezza di diritti e la soddisfazione di ogni aspirazione. Scorrendo questitermini, la "grazia" di Dio appare preziosa al massimo e si capisce perché, come pregano i salmi,garantisca pace e gioia all'uomo, sovrabbondanza e torrente di delizie (Sal 36), sia migliore dellastessa vita e considerata come il massimo di tutti i beni (63,4).

Questo tesoro della sua grazia, Dio non lo custodisce gelosamente, ma lo effonde generosamente suogni sua opera, su ogni vivente e su quanti lo amano (Sir 1, 1-10). Il suo segno maggiore è dato dallasua "elezione" d'Israele, iniziativa pienamente gratuita, non dovuta ad alcun merito, ma soltanto

all'amore e alla fedeltà al giuramento da lui fatto agli antichi padri (Dt 7,8). La ragione di tutti i benefici elargiti da Dio al suo popolo è solo una: la sua grazia che, come Dio fedele, mantiene alla suaalleanza, per il suo amore (7,9).

2. Grazia e benedizione

Un altro termine molto significativo è quello di "benedizione", gesto che spetta al padre e alimentala vita, la gioia e la pienezza di forza. Esso, riferito a Dio, indica molto di più. Quella che Egli rivolgea Israele, fa di questo popolo una benedizione destinata a tutte le nazioni (Gn 12,3), per consacraretutti gli uomini nella sua santità divina. La benedizione manifesta Dio come Padre, che plasma ildestino dei suoi figli (Is 45,10). La grazia diviene un amore paterno che crea dei figli. In più, l'infinitasantità di Dio stabilisce, con coloro che ama, una promessa di vita santa e una costante vocazione alla

 santità. Ciò arricchisce di contenuti specifici l'idea dell'incontro personale, nel quale Dio posasull'uomo il suo sguardo, il suo sorriso e lo splendore del suo volto. In questo modo i termini e iconcetti che compongono la realtà della " grazia" rivelano l'atteggiamento e il contenuto di una libera egratuita donazione personale di Dio al suo popolo. Lungo la storia della salvezza, Dio farà risplenderein molti modi il suo favore (hen) su Israele. Stringerà un patto di alleanza fondato sulla fiducia efedeltà (hesed ) e risponderà con inesauribile compassione e misericordia (rahamim) alle sue continueinfedeltà. La grazia esprime, quindi, l'atteggiamento di benevolenza, fondato nell'essere stesso di Dio,che si rivela all'uomo e lo porta a vivere nel clima della donazione e dell'amore divino. In questa

 prospettiva è possibile comprendere la serie di fatti che testimoniano concretamente tale grazia: pattodella promessa concluso con Abramo (Gn 15, 1-19); liberazione del popolo dalla schiavitù d'Egitto (Es3,7-8); guida, assistenza e protezione nel cammino alla terra promessa (Es 15,11-13); perdonoincessante delle sue colpe (Nm 14, 18-20); protezione, vita e fertilità (Sal 136, 1-9).

Appare chiaro che il patto d'alleanza e questi favori formano un tutt'uno (1Re 8,23; Dt 7,12). I profeti ricordano che quest'amore e benevolenza, nonostante le peggiori infedeltà d'Israele, non vengonomai ritirati e che la grazia di Dio non abbandona mai il suo popolo (Is 54,10). Questo, consapevole di ciò

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(Sal 89,29; 106,45), nella sua preghiera chiede al Signore di ricordarsi sempre delle sue misericordie "chesono dai tempi dei tempi" (Sal 25,6) e di liberarlo definitivamente da ogni timore e affanno. La stessa

 preghiera invita ad attendere con ferma fiducia l'opera di Dio, perché "nel Signore è la grazia" (Sal130,7). Tenendo conto di tutti questi aspetti, si può dire che la grazia esprime la benedizione amorosa,

del Dio pieno di benevolenza, misericordia e perdono. Questo suo essere ed atteggiarsi richiamanol'uomo ad aver fiducia nel gratuito dono di sé, che Dio attua liberamente verso il suo popolo prima, e poiverso tutta l'umanità. Devono, quindi, credere e sperare nelle sue promesse. La base di tutto ciò è la suaincondizionata fedeltà alla sua alleanza, che non verrà mai ritirata, e alla sua parola, che non verrà maimeno4.

3. Grazia e alleanza

L' Antico Testamento  mostra, dunque, che la grazia non è una realtà isolata o a sé stante, mastrettamente collegata a molte altre: l'alleanza, l'elezione e la  giustificazione. Il tema dell'alleanza, inebraico berit , è egualmente fondamentale. Nel Medio Oriente antico, a livello sociale e culturale,indicava l'accordo vigente fra i diversi clan di quei popoli orientali, al fine di evitare scontri e garantire

 pace e buoni rapporti vicendevoli, anche là dove non giungevano i vincoli della consanguineità. Ci si premurava, pertanto, di conferirgli un carattere e valore sacro, mediante i giuramenti e i riti (sacrificio

di un animale e pasto in comune) che lo contrassegnavano. Storia e letteratura del popolo ebraicoruotano attorno all'idea dell'alleanza stretta da Dio con Israele. In effetti, si può riconoscere già una

 prima alleanza "noaica" stretta da Dio con Noè, dopo il diluvio (Gn 9,9) che resta in vigore per tutto iltempo delle nazioni (CCC nn. 56-58). Essa assume il carattere di una nuova creazione del genereumano (Gn 9, 1-17). Vi sono poi le due alleanze con Abramo, la prima conclusa con un sacrificiorituale (Gn 15), come sopra ricordato e la seconda con l'impegno della circoncisione, quale suo segno(Gn 16-17). Vi è poi quella più solenne con tutto il popolo, ai piedi del Sinai (Es 19, Dt 5) e quella diSichem che, dopo la conquista della terra, rinnova il patto (Gs 24,1-28). La sostanza di essa è che Diointende essere, in modo del tutto speciale, il Dio del suo popolo, rendendo Israele il suo popolo pereccellenza (Es 6,7; Lv 26,12; Dt 29,12; Os 2,25), la sua nazione santa, il suo regno sacerdotale (Es19,6) e la sua proprietà (Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,19; Sal 135,4).

I profeti non smisero mai di sottolineare (Am 5,14; Os 6,7; Ger 11,1-8) che i benefici dell'alleanzaerano garantiti, se Israele rimaneva fedele al Signore (Dt 7,7). Israele, tuttavia, rifiutò di rispondere aDio come un figlio e di consacrargli la vita e il cuore (Os 4,1; Is 1,4; Ger 9,4), ma fece scaturire le sueiniquità come l'acqua da un pozzo (Ger 6,7; Ez 16; 20). I profeti, quindi, denunciarono le sue continueinfrazioni del patto (Is 24,5; Ger 11,10; Ez 44,7) e le loro tragiche conseguenze. Queste culminarononella distruzione d'Israele, di Giuda, di Gerusalemme, del tempio e nelle rispettive deportazioni eschiavitù. Dio, però, nella sua infinita misericordia, neppure allora abbandonò il suo popolo, ma lo

 purificò, compiendo egli stesso ciò che l'uomo era radicalmente incapace di fare. Con l'opera del suoSpirito (Ez 36,27) preservò un piccolo resto con cui ricostruire un nuovo popolo (Am 3,12; 5,15; Is10,20-22; 11,11; 28,5). Con esso avrebbe introdotto nel mondo la sua giustizia (Is 45,8; 51,6), avrebbetrasformato Gerusalemme da città corrotta in città santa (Is 1, 21-26), avrebbe tratto dai cuori ostinati eribelli, dei cuori nuovi, capaci di conoscerlo (Os 2,21; Ger 31,31). Con tutto questo avrebbe attuato la

nuova alleanza definitiva, eterna (Ger 31,31-34; 32,38-40; Ez 16,6; 16,60; 34,25; 37,26; Is 42,6; 49,8;53,3; 55,3; 59,21; 61,8; Ml 3,1), universale (Is 49,6) interiore, incisa nei cuori (Os 2,21; Ger 31,31; Ez36,23-28)5.

4. Grazia ed elezione

L'alleanza descritta nella Scrittura appare la conseguenza dell'elezione del popolo da parte di Dio.Egli stesso lo ha suscitato, lo ha scelto e ne ha fatto il suo alleato, rendendolo un popolo "a parte" (Nm23,9). Elezione, quindi, significa suo possesso, unione, intimità, situazione di privilegio. Israele, il più

 piccolo di tutti i popoli, è eletto con perfetta gratuità e sovrana libertà (Dt 9,5; Gr 18, 2-6). La ragioneunica dell'elezione è l'infinito amore di Dio e la sua incrollabile fedeltà alle sue promesse (Dt 4, 37;7,8; 10,15). Essa, tuttavia, non è fine a se stessa, ma finalizzata alla missione, nel piano di salvezza

che, da sempre, Dio ha voluto per tutta l'umanità. È questo piano che impone obblighi morali espirituali, precisi e rigorosi, da adempiere fedelmente. Per questo i peccati, soprattutto l'infedeltà deisingoli e del popolo, sono un tradimento particolarmente grave. L'infinita misericordia del Signore,

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tuttavia, li perdona, purché il peccatore riconosca le proprie colpe (Gr 14,20), sia spiaciuto per averlooffeso (Sal 51,19; Is 57,15) e si impegni con tutte le sue forze nella via della conversione,abbandonando le vie del male (Gr 3,14; Ez 18,30-32; 33,11-16). Questa realtà viene pure indicatacome giustificazione.

5. Elezione dagli inizi all'esilio

L'elezione, quindi, è l'esperienza e la convinzione di aver ricevuto un destino diverso dagli altri popoli e di essere in una condizione dovuta all'iniziativa totalmente libera e sovrana del Signore.Benché il termine che la designa, bahar  e i suoi derivati, sia alquanto tardivo, la consapevolezza delfatto è antica quanto l'esistenza d'Israele come popolo di Dio. Il concetto è strettamente intrecciato conquello dell'alleanza e risale alla storia di Abramo (Gs 24,3). Esso ritorna ogni volta che Israele,consapevole di essere erede (Es 34,9), è invitato a una scelta (Gs 24,15). L'elezione, quindi è un

 progetto unico e un fatto continuo. La stessa descrizione della condizione dell'umanità in preda al peccato è il contesto generale che prepara a comprenderne il significato. Dio sceglie ed elegge Abramo per benedire in lui tutte le nazioni della terra (Gn 12,3). La discendenza ed eredità dell'elezione non èspontanea, naturale o automatica. Dio sceglie, ogni volta, secondo la sua volontà, le persone cuiaffidare una missione transitoria o stabile. Questa scelta, che pone a parte e consacra, riproduce gli

aspetti dell'elezione d'Israele. Nei confronti dei profeti, da Mosè (Es 3; Sal 106,23) ad Amos (Am7,15), Isaia (Is 8,11) e Geremia (Gr 15,16; 20,7) l'elezione diventa quasi sempre una vocazione. Essisono strappati dalla loro vita abituale, dalla famiglia e amicizie e sono costretti a proclamare la volontàdivina in opposizione a tutto il popolo.

Pure i re sono scelti ed eletti, chiamati da un profeta o costretti dal gioco degli eventi dominati daDio. La loro funzione essenziale è di mantenere il popolo fedele alla sua elezione. È in base a questoche vengono giudicati (2Re 14,24; 15,3-4; 9-10; 24; 34-35). Anche sacerdoti e leviti sono eletti, sceltie messi a parte per svolgere il loro ministero, ossia tenersi alla presenza del Signore, le cui scelte edelezioni si estendono a una quantità di fatti. Ha eletto la tribù di Giuda, il monte Sion (Sal 78,68),come suo soggiorno (Sal 68,17; 132,13) e il tempio di Gerusalemme per farvi abitare il suo nome (Dt12,5; 16,7-16). Il  Deuteronomio, che esprime il tema dell'elezione con bhr , ne sottolinea l'origine

totalmente gratuita che nasce solo dal puro amore divino (Dt 7,7) e fa del popolo i suoi figli (Dt 14,1).Il fine dell'elezione è di consacrare a Dio un popolo santo, che diffonda nel mondo le grandiosemeraviglie della generosità divina. Il modo di assicurarne la santità è la Legge (Dt 7,1-6; 26,19). Il

 popolo, invece, per le sue continue infedeltà e i troppi peccati, merita l'abbandono e il rigetto (Gr31,37; Os 11,8; Ez 20,32), che Dio, tuttavia, non attua. Al contrario, con infinita misericordia, salva un"piccolo resto" dalla rovina generale, facendone il germoglio (Is 6,13; Zac 3,8) al quale rinnova iltitolo di "mio eletto", "miei elett i" (Is 41,8; 43,20; 44,2; 43,10), per ricavarne un popolo interamentevotato al suo servizio.

È all'interno di questi eventi e di questa storia che Dio manifesta il personaggio misterioso chechiama "mio Servo" (Is 42,1; 49,3; 52,13) e "mio Eletto" (42,1). Questo non è né un re, né un profeta,né un sacerdote, che venivano scelti e chiamati soltanto a un certo punto della loro vita. Il misterioso

eletto, invece, è tale fin dal seno materno (Gr 1,5) e il suo nome non viene dagli uomini ma è dato soloda Dio (Gr 49,1). La sua intera esistenza è di Dio, elezione e consacrazione al suo servizio, pertanto èil Servo per eccellenza6. Israele, in confronto agli altri popoli, ha sempre vissuto l'antichissimaesperienza di vita e di fede che lo distingueva e privilegiava per l'iniziativa d'amore di Dio.Quest'esperienza dell'elezione, nel Deuteronomio e in seguito venne espressa col termine bahar . Non èIsraele che sceglie, ma Dio. Israele deve solo riconoscere e accettare ciò, obbedirgli, seguirne la via e icomandi. Nel corso dei secoli, tutte le vicende storiche saranno vissute da Israele in questa prospettiva.L'elezione dell'umanità è già espressa nei primi due capitoli di Genesi. Dio pone l'uomo nel giardino.Abele, (Gn 4,4), Enoch (5,24), Noè (6,8) sono "presi" da Dio, trovano grazia ai suoi occhi. La sceltasovrana di Dio, che opera gratuitamente per amore e benevolenza, domina tutta la storia, dai patriarchifino a Mosè.

Di fronte alla schiavitù d'Egitto l'elezione assume toni più forti. La mano potente e vittoriosa diDio: libera, redime, riscatta, acquista, salva. Egli opera per fare del suo popolo la sua eredità gloriosa.L'ingresso nella terra e la sua occupazione, per quanto mai completata, è la continuazione dell'esodo.Dio stesso, fedele al suo giuramento, dona al suo popolo la terra promessa. Da quando inizia la

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monarchia, i re sono gli eletti (bahar ) di Dio. Rimangono tali pure quando deve rifiutarli e sostituirli, perché non hanno corrisposto alla missione loro affidata. I salmi 89 e 132 indicano Davide e il suocasato come eletti per sempre. L'elezione rimane, anche se Dio respinge un determinato "unto" per isuoi misfatti. Eletto (bahûr ) diviene ora Israele, la cui grandezza non è causa, ma effetto dell'elezionegratuita di Dio, al quale deve sempre obbedire, come popolo "consacrato", " santo", " particolarmente

 suo" (Dt 7,5; 14,2; Es 19,5-6). Ciò è confermato con l'elezione di Sion/Gerusalemme, destinata a unsolo culto, in un solo tempio, con un solo sacerdozio, così come c'è un solo Dio e una sola elezione.

6. Elezione nel post-esilio

Il crollo generale prodotto dalla caduta di Gerusalemme, la distruzione del tempio, la deportazionee l'esilio, sembrarono pregiudicare e dissolvere la permanenza dell'elezione. Tuttavia, un raggio disperanza e un'apertura al futuro permasero. Il Deutero-Isaia introduce un nuovo concetto: parlad'Israele in termini di "mio servo". Tutto il popolo ora appare investito dell'elezione e missione che giàera stata di Davide (Is 55,3). Israele/Giacobbe, servo/eletto è collegato ad Abramo/mio amico. Controquelli che ora temono la perdita dell'elezione, viene invece confermato: "Tu sei il mio servo, ti hoeletto, non ti ho rigettato" (41,9). Il  servo  dovrà rispondere con totale obbedienza, fedeltà esottomissione. Dovrà testimoniare tale elezione con la sua sofferenza, umiliazione e morte, che non

consentono interpretazioni vanagloriose. Il ritorno nella terra promessa e la ripresa della vita vengonoespressi con termini che ricordano gli inizi dell'elezione. Allora la nazione fu costituita dal potenteintervento divino che liberò il popolo dall'Egitto. Ora il piccolo resto è costituito dal ritorno alla terra ela ricostruzione. Nell'un caso e nell'altro è sempre Dio che opera. Vi è tuttavia, una grande differenza,

 poiché ora i salmi postesilici sottolineano che ciò che viene dato a Israele deve essere partecipato pureagli altri (Sal 47,8. 10; 135,4; 105,6. 43; 106,5).

Coloro che hanno veramente corrisposto all'elezione di Dio non sono gli israeliti in quanto tali, masolo i "servi del Signore", ossia quanti hanno veramente corrisposto ai favori divini. L'elezionedell'antico Israele ha dato scarsi frutti. Vero popolo di Dio sono solo quanti cercano Dio (Is 65,10). Iltempio e Gerusalemme vedono allargarsi smisuratamente i loro confini: "La mia casa sarà chiamatacasa di preghiera per tutti i popoli" (56,7). A Dio che elegge l'uomo, deve corrispondere l'uomo che

cerca  Dio, obbedendogli e osservando i suoi precetti7

. Per questo la tradizione sacerdotale si preoccupa seriamente della possibilità di veder rifiutata l'elezione. Sottolinea le continue infedeltàdell'intero popolo ed evidenzia, per contro, la fedeltà di Mosè e di Aronne. Sposta, quindi, la fededall'elezione generale del popolo verso la buona tenuta di un solo eletto. È quanto accenna pure Isaia,a proposito del "servo" di Dio (53,11) che, più tardi, il  Nuovo Testamento applicherà a Gesù, unico,vero e perfetto eletto di Dio.

La dottrina della grazia è iniziata, quindi, con una pluralità di termini dell' Antico Testamento, cheesprimono la relazione di fondo fra Dio e l'uomo. Dio guarda l'uomo e gli dona aiuto, soccorso,guarigione e salvezza. I vari termini indicano sempre la relazione di fondo che ha per oggetto i donigenerosi e i benefici gratuiti di Dio, che esercita sempre la sua misericordia sui peccati, le infedeltà e itradimenti dell'uomo. Il concetto di grazia dell' Antico Testamento prepara e sviluppa, dunque, tutti gli

elementi della concezione del Nuovo Testamento. Tutti i termini e concetti più pregnanti dell'ebraico,che trattavano della grazia, per mezzo della traduzione greca dei LXX, confluiranno nella parolacharis che diverrà determinate nel  Nuovo Testamento

8. Il Vangelo li prenderà e li farà confluire in unnome che è e rivela la realtà piena della grazia, come azione definitiva e risolutrice di Dio Padre: la

 persona, vita, morte e risurrezione del suo Figlio Gesù Cristo. Il dono definitivo di grazia, quindi, è la

 persona e l'evento di Gesù Cristo.

1DT, II, 38.2 DTBD, 519.3 B. G. Boschi,  Esodo, in  La Bibbia, ( Nuovissima versione dai testi originali), Cinisello Balsamo, 1991, I,

300.4 DT, II, 40.5 DTBD, 520-521; NDT, 594.

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6 DTBD, "Élection", 337-342.7 NDTB, "Elezione", 446-450.8 O.H. Pesch, "Grazia", ET, 444.

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4. GIUSTIZIA E GIUSTIFICAZIONE NELL'ANTICO TESTAMENTO

1. Giustizia e giustificazione

Il termine "giustificazione" ha assunto un notevole significato riguardo al tema della grazia,soprattutto col sorgere del cristianesimo riformato. Il suo problema, tuttavia, è sorto come aspettosoggettivo della redenzione, riguardo alla sua appropriazione da parte del singolo. Nella Scrittura,tuttavia, il termine reperibile è solo quello di  giustizia. La Bibbia ebraica, inoltre, ignora il suosignificato greco di conformità a una norma astratta e impersonale1. Essa, infatti presenta il termine

 sedaqah  che, sebbene tradotto con "giustizia", presenta un significato fondamentale profondamentediverso da quello inteso dalle lingue moderne e dal linguaggio comune. Nell' Antico Testamento,infatti, non si collega all'ordine giuridico o al rispetto delle leggi. Non si limita neppure al più ampiosenso etico-morale, che indica il rispetto delle esigenze e dei diritti altrui, né al senso religioso, cheindica rettitudine, perfezione, santità ecc. Ad esempio, le  sedaqot  (giustizie) magnificate nel canto diDebora (Gdc 5,11) non sono azioni giudiziarie, ma azioni salvifiche di Dio, che nella guerra ha agito afavore e in soccorso del suo popolo. Questo significato non è tardivo, né si limita a questo caso. Anchenelle profezie pre-esiliche nel loro insieme, infatti, tale famiglia di vocaboli non viene usata per

designare un rapporto dell'uomo verso una norma legale, ma riguarda il Dio del patto, che è semprefedele alla sua comunità. Probità del popolo e dono di salvezza di Dio formano un tutt'uno. Diconseguenza, il termine  giustizia, riferito all'uomo, indica l'osservanza integrale di tutti icomandamenti di Dio, mentre riferito alla comunità indica un atteggiamento leale, fedele, costruttivo esolidale nei suoi confronti.

Riguardo a Dio, invece, indica il suo essere e agire di perfetta integrità, assoluta santità e perfezione. Si manifesta, quindi, nell'ordine e armonia che egli fa splendere nella creazione, nella forzameravigliosa e nella delicatezza con cui regge e governa l'universo, infine e soprattutto, nellamisericordia e volontà di salvezza, che ispirano i suoi rapporti con l'uomo. La reale giustizia divinaappare nei suoi gesti salvifici e con essi viene identificata. La giustizia di Dio, quindi, viene intesanella prospettiva della misericordia. Per questo, creazione, sovranità divina e  sedaqah  vengonoaccostate strettamente nei salmi (5,9; 17,15; 22,32; 31,2; 33,5; 51,16; 71,2; 103,7; 119,40; 143, 1. 11),di modo che quelli che celebrano la giustizia di Dio, insistono nel sottolinearne la bontà e clemenza(Sal 7,18; 9,5; 96,13; 116,5; 129,3)2. Ciò si addice bene al contesto semitico, in cui la giustizia non ètanto l'atteggiamento passivo volto ad applicare imparzialmente la legge, ma l'impegno attivo delgiudice volto a tutelare, con un giudizio favorevole, il più debole, perseguitato e posto in difficoltà (Gr9,23; 11,20; 23,6). In tale contesto, di conseguenza, non vi è alcuna opposizione fra misericordia egiustizia. Nel Deuteroisaia il concetto di  sedeq/sedaqah  si tramuta in un elemento che abbraccial'intera azione divina della salvezza3.

L' Antico Testamento  applica anche all'uomo un concetto di giustizia scevro di ogni legalismo.Giustizia è soprattutto la fede, intesa come mezzo indispensabile per piacere a Dio. Ciò apparechiaramente in Abramo, che credette a Dio, in altri termini si affidò fiduciosamente alla promessa diDio, che glielo accreditò a giustizia (Gn 15,6). Il suo credere significa rinunciare a cercare in se stesso

appoggi e sicurezze, affidandosi totalmente al Signore. La sua giustizia, quindi, fu un atteggiamento didisponibilità alla comunione con lui. Abramo è giusto perché si apre alla comunione con Dio, che siripercuote pure sulla comunione con gli uomini. Egli instaura il giusto rapporto con Dio, non permezzo di un'azione legale o cultuale, ma perché crede e si affida alla fedeltà di Dio o, meglio ancora,al Dio fedele. I giusti, che il Signore cercava in Sodoma e Gomorra, erano persone solidali con tutte lealtre, che rinunciassero alla violenza. La giustizia, che il Signore esigeva dai re, doveva consentire al

 popolo d'Israele una condotta leale, fedele e solidale, confacente ai generosi doni divini ricevuti. Le prescrizioni e i decreti che Dio diede al suo popolo, erano giusti (Dt 4,8) perché garantivano la pace ela giustizia se venivano osservati.

Poiché tutto ciò era grazia di Dio e non merito o conquista d'Israele, la comunione con Dio, lafedeltà alla sua legge e la fedeltà alla comunità esigevano la grazia divina. Fede e giustizia, infatti,

sono correlative: giusto è colui che crede. Questo concetto ritorna con numerose sfumature nellediverse situazioni ed epoche storiche. Negli ultimi libri dell' Antico Testamento  si aggiunse, poi, unulteriore aspetto: la giustizia è sapienza messa in pratica. L'influsso greco si mostra già in Sap 8,7, ovedikaiosyne  unisce alla giustizia in senso stretto, le altre virtù cardinali: la prudenza, fortezza e

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temperanza. Sul termine dikaiosyne nella LXX vi è stato un acceso dibattito, per accertare quale fosseil suo senso genuino: quello greco o quello semitico/biblico? Poiché il termine venne usato pure pertradurre altri termini oltre a  sdq, quali 'emet , mispat , hesed  è prevalsa l'idea che esso abbia mantenutoil genuino significato biblico relativo alla salvezza4. In altri testi tardivi, giustizia è l'elemosina (Si3,30; Tb 12,8; 14,9), come compassione misericordiosa che diviene carità. È in Isaia 40-66, tuttavia,che la "giustizia di Dio" assume la portata più ampia, che anticipa il grande tema paolino. Essa indicasia la salvezza del popolo deportato e prigioniero, che la misericordia e fedeltà divina. Tale dono, oltrela liberazione, comporta il conferimento di beni celesti, come la pace e la gloria, a un popolo il cuimerito è solo quello di essere stato eletto da Dio (Is 45,22; 46,12; 51,1; 54,17; 56,1; 59,9). Giustificatosignifica glorificato (45,25). La giustizia di Dio è la manifestazione della sua misericordia e larealizzazione, come grazia e dono, delle sue promesse5.

Riassumendo i tratti fondamentali presenti nel termine ebraico sedeq/sedaqah, si può dire che esso:1) non appartiene ad alcuna categoria forense, di diritto o altro, ma abbraccia l'intero ambito di vitadegli israeliti, nei rapporti con Dio e col prossimo e può essere spiegato meglio con le categoriecultuali anziché giuridiche; 2) indica il concetto di un rapporto che può essere giustamente intesocome "patto" e tradotto come "fedeltà di comunità". Come, in conformità al patto, la giustizia di Dio simanifesta nella sua fedeltà d'amore, così il comportamento secondo giustizia, richiesto agli uomini, è

la fedeltà di tutta la comunità allo stesso patto. Il termine sedeq/sedaqah, quindi, esprime due valori osignificati in stretto e contemporaneo collegamento: la salvezza e il comportamento fedele secondo lagiustizia. Ciò rende inseparabile la  sedaqah umana da quella divina, perché la sedeq non è nell'uomo,ma l'uomo è nella  sedeq. Per la grazia l'uomo si trova accolto nella  sedeq, divina salvezza, e quindiimpegnato anche a vivere secondo essa, come comportamento conforme alla giustizia6. È interessantenotare che occasionalmente per tradurre  sedeq  furono usati pure termini come dikaioma, eleos  eelemosyne (Dt 6,25; 2Sm 19,25; Sal 23,5).

Le difficoltà d'interpretazione s'incontrano pure nell'uso rabbinico, che mostra la stessa duplicetendenza. Da un lato la sedaqah viene interpretata in modo estremamente riduttivo e unilaterale comeelemosina, beneficenza, opera buona, divenendo un termine quasi tecnico in questo senso. Dall'altroessa è ancora l'essenza di un comportamento gradito a Dio e viene intesa come comando, solo a partire

dalle esigenze del patto con Dio, insite in essa7

. Il  Nuovo Testamento, e in particolare i vangeli,mostrano alcuni dei tratti essenziali del modo tradizionale d'intendere la giustizia nell' Antico

Testamento.  Dikaios vi indica l'uomo onesto, pio e timorato di Dio, che vive secondo la volontà e icomandamenti divini, per cui è giusto (Lc 2,25; 23,50) come erano giusti nell'adempimento degliordinamenti divini i patriarchi (Mt 23,35) e i profeti (Mt 13,17; 23,29).

2. Giustificazione: piano e azione salvifica di Dio

Come si è visto, in tutto l' Antico Testamento traspare la percezione che l'uomo non può conquistareil favore divino con la propria giustizia e le proprie forze, ma solo con la fede di essere gradito a Dio.Ciò testimonia la misericordia divina e apre una via d'accesso al mistero della giustificazione. I Salmidescrivono bene un processo straordinario, perché invocano una giustizia, che non è un giusto giudizio

inteso come condanna per i peccati, ma come loro perdono (Sal 36,11; 51,16; 116,40). Ciò significache Dio manifeste la sua giustizia mediante benefici gratuiti, addirittura universali, che superano deltutto ciò che l'uomo potrebbe attendersi per giustizia. Nella Scrittura l'ambito della giustizia è molto

 più ampio di quello della legge. Essa riguarda il giusto atteggiamento e comportamento verso leesigenze di ogni essere. Ecco perché pretendere di avere diritti, di aver ragione o di sentirsi"giustificati" davanti al Dio infinitamente santo, è profondamente errato e ingiusto. L'unicoatteggiamento giusto è il riconoscimento del proprio peccato e dei propri limiti, lasciando a lui dimanifestare la sua giustizia (Sal 51,6; 130,3; 143,2). In questo modo, davanti al Dio infinitamentegiusto, l'uomo non ha nulla da temere, ma tutto da sperare. La Scrittura considera impossibile lagiustificazione dell'uomo davanti a Dio, ma suggerisce pure che Egli, avendoci creati per lacomunione con lui e conoscendo la nostra condizione di peccato, nel nome della sua santità, che è lasua stessa giustizia, non rinuncia a renderci capaci di divenire giusti o santi di fronte a lui.

L'errore e l'illusione dei capi e di molti membri del popolo nell' Antico Testamento, come dei fariseinel Nuovo, era di poter osservare integralmente la Legge, ritenendosi così giustificati (santi) davanti aDio. Era di considerare alla portata dell'uomo, della sua intelligenza e volontà la capacità di trattare

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Dio secondo le esigenze della sua infinita giustizia o santità. Era l'atteggiamento che Paologiustamente definì come perversione essenziale, ossia il "diritto di gloriarsi davanti a Dio" (Rm3,27).Esso fa dimenticare all'uomo che la fedele osservanza della Legge è essa stessa opera di Dio,realizzazione della sua grazia e della sua Parola8. La giustizia, quindi, è grazia di Dio, non conquistad'Israele, è dono divino estremamente generoso e non conquista umana. Il possesso della terra era ilsegno e simbolo di tale azione divina. Dio lo aveva dato gratuitamente al suo popolo, perché è fedelealle promesse che aveva fatto ai loro padri. Dio si rivolgeva al popolo peccatore e lo rendeva giusto,gli dava la giustizia donandogli la terra. Israele, quindi, è giustificato da Dio per pura grazia, per cuideve attuare al suo interno la stessa compassione, misericordia, fedeltà comunitaria verso tutti i poveri,umili e sofferenti (Am 2,6; 5,7. 12. 24; 6,12). Tale giustizia, che è dono divino, è la condizione per lacomunione con Dio, la pace e la prosperità anche economica, politica e sociale. Israele eGerusalemme, divenuti corrotti, saranno resi giusti dall'intervento risanatore di Dio (Is 1, 21-27).Poiché la giustizia viene da Dio solo, il popolo deve convertirsi a lui, ossia aprirsi a lui e accoglierne ildono cambiando vita.

 Nei profeti la giustificazione è il piano e l'azione salvifica di Dio, per tutti coloro che sono lontanidalla giustizia (Is 46,12). Nei Salmi essa equivale a quello che Dio realizza per l'uomo, nell'ambito sia

 personale che comunitario (Sal 9,9; 96,13; 98,9). La proclamazione che sovente troviamo in essi, di

"essere giusto", va interpretata come volontà di accogliere la giustizia divina, per cui giusto è sinonimodi credente (Sal 1,5-6; 32,11; 331,1). La letteratura sapienziale tende a identificare la giustizia con lasapienza. Gli sforzi dell'uomo per capire la realtà, il mondo e la storia sono vani, perché il senso ditutto ciò gli sfugge e solo Dio lo conosce. L'uomo deve imparare ad affidarsi a Dio e a ricevere da luitutto quello che gli dà (Qohelet ). Il libro della Sapienza  potrebbe riassumersi nella frase che"conoscere Dio è perfetta giustizia e riconoscere la sua potenza è radice d'immortalità" (15,3). Lasapienza dà la giustizia e questa conferisce la vita immortale e beata. L'ingiustizia è la forza al serviziodell'egoismo, mentre la giustizia è l'amore al servizio della vita. Poiché in Dio la giustizia è la potenzadel suo amore, che salva perdonando, la giustizia dell'uomo non può essere che amore e perdonoreciproco9.

1 GLNT, II, 1017 ss.

2 DTBD, "Justice", 636, 640-641.

3 W. Mann, "Giustizia", DT, I, 744.

4 Mann, "Giustizia", DT, I, 746-748.

5 DTBD, "Justice", 643.

6 Mann, "Giustizia", DT, I, 746.

7 Mann, "Giustizia", DT, I, 748-749.

8 DTBD, "Justification", 645-647.

9 A. Bonora, "Giustizia", NDTB, 714-722.

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5. LA GRAZIA NEL NUOVO TESTAMENTO

 Nell'Antico Testamento, come si è visto, la grazia è presente in forme diverse e con nomi vari,come evento, promessa e speranza. Dio gratuitamente e generosamente la dona e l'uomo liberamentela riceve e responsabilmente l'accoglie. La lettura cristiana dell'Antico Testamento, che Paolo proponenella lettera ai Galati e ai Romani, consiste nel riconoscere, nell'antica alleanza, le varie opere e i variaspetti della grazia. La venuta di Cristo mostra fin dove può giungere la benevolenza e generosità diDio, che ci dona il suo Figlio unico e prediletto (Rm 8,32). In tale dono attingiamo il verticedell'atteggiamento divino, che ha sempre unito amore, benevolenza, generosità, gratuità, misericordiae fedeltà. Assieme alla pace, la grazia costituisce l'augurio di quasi tutte le lettere apostoliche. Essaviene pure presentata come il dono per eccellenza, che compendia tutta l'azione divina per noi e tuttociò che ogni uomo può augurare ai fratelli. Per Giovanni, in Cristo ci sono pervenuti la grazia e laverità (1, 14) che ci hanno fatto conoscere che Dio è amore (1Gv 4,8). Per Paolo, ogni sua azione ègrazia (Tt 2,11; 3,4). Per i vangeli, Gesù è il dono supremo dell'amore e benevolenza del Padre (Mt21,37; 26,28). Ciò manifesta pienamente tutta la tenerezza, benevolenza e misericordia con cui Dio sidefiniva nell' Antico Testamento.

1. Termini e concetti 

I vocaboli della radice greca char   sono numerosi: charis = favore, benevolenza, ringraziamento,ricompensa; chárisma = dono dato per benevolenza; charixomai = fare un dono gratuito, un favore,

 perdonare; charitoo = colmare di grazia, rendere amabile. Il  Nuovo Testamento  usa 155 volte iltermine charis, di cui 100 volte in S. Paolo. In Gesù il concetto di grazia esprime l'amoroso chinarsisui poveri, malati, disperati, perduti (Mt 11,5.28; Mc 10,26; Lc 15), il perdono senza limiti dei peccati(Mt 18,21-34), la ricompensa nel Regno (Mt 20,1-16) il dono della vita nuova (Lc 13,6-8; 7,35-50;19,9). In Luca il termine indica il favore e compiacimento di Dio (1,30;2,40). Il saluto dell'Angelo neiconfronti di Maria, checharitomene (Lc 1,28) piena di grazia, o meglio "ricolmata di grazia", ha unaforza e un senso del tutto speciali, relativi alla sua missione e posizione nella storia della salvezza.

 Negli  Atti degli Apostoli,  charis  indica la forza che proviene da Dio o dal Cristo glorioso eaccompagna l'attività degli apostoli, dando successo alla missione (At 6,8; 11,23; 14,26; 15,40; 18,27).Gesù annunzia il vangelo e proclama il regno di Dio, che si compirà alla fine dei tempi col suo ritornoglorioso in cui manifesterà la sua giustizia. Esige, quindi, la trasformazione interiore (Lc 17,20; Mt20,28; Mc 8,31-33) che stabilisce una particolare relazione con Cristo.

La metanoia, che provoca in noi, ci fa staccare da tutto e tutti: denaro e beni (Mt 6,19-21; Mc10,17-27); diritti e onori (Mt 5,39-41; Mc 10,42-44); genitori, famiglia e parenti (Lc 14,26; Mt 10,34-39), per farci piccoli e poveri (Mt 5,3: 18,3-4) e renderci capaci di fare sempre e in tutto la volontà delPadre (Mc 3,35; Mt 7,21). Nel vangelo di Giovanni i beni portati da Cristo: vita, luce, spirito, ecc.,sono tutti doni della sua grazia1. Per Paolo charis è la sostanza dell'azione salvifica di Dio in GesùCristo e di tutte le conseguenze della sua attualizzazione. La parola grazia, oltre a indicare l'originedella salvezza, nella scelta libera di Dio, esprime anche che la salvezza è solo grazia, perché Dio hascelto di giustificare e salvare per grazia. Tale volontà non è astratta, ma si è manifestata in Cristo e

 pone il cristiano in comunione con Dio. Grazia è, quindi, la comunione con Dio in Cristo, ma anche laforza interiore che Cristo opera in noi, perché possiamo vincere il peccato e aprirci all'amore stesso diDio. Indica, dunque, sia la gratuita volontà salvifica di Dio in Cristo, sia la realtà della salvezzadonataci in Cristo, sia l'azione salvifica di Dio, con e per mezzo degli uomini.

La parola charis non appare mai pronunciata da Gesù, mentre nell'epistolario paolino, come si èdetto, ricorre 100 volte, contro le rimanenti 55 del Nuovo Testamento. Segna, quindi, il passaggio dalla"predicazione di Gesù al Cristo predicato" e sottolinea il problema fondamentale della cristologiamoderna2. Il termine esprime la sua continuità con l' Antico Testamento, compendiando la sollecitudinesalvifica di Dio verso l'uomo, dalla quale derivano tutti i doni. In questa prospettiva, la grazia non è

 più soltanto uno dei temi della teologia, insieme agli altri, ma il  tema, esprimendo la nuova situazioneannunciata dal vangelo, dell'uomo davanti a Dio e con Dio. Sotto quest'aspetto riguarda ogni singolo

tema della teologia. Divenne, infatti, un tema o trattato teologico specifico, non tanto in seguito alleaccentuazioni individualiste  della modernità, ma piuttosto per l'accentuazione personalizzante  diPaolo, che sta alle sue radici. Tale personalizzazione non è arbitraria, poiché esprime una necessitàintrinseca alla realtà stessa della grazia, che coinvolge pure il suo complesso e difficile rapporto fra

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volontà divina e libertà umana. Il Dono della grazia e della fede, infatti, avvengono in conformità conl'elezione, la giustificazione e la predestinazione.

2. Grazia come comunione con Cristo

 Nel  Nuovo Testamento Paolo è indubbiamente l'autore che ha trattato maggiormente i temi della

grazia, elezione, giustificazione e predestinazione. Essi ricorrono con grande frequenza nei suoi scrittie ne formano quasi l'ossatura. L'esperienza personale dell'Apostolo vi ritorna con insistenza, formandouna specie di biografia spirituale e teologica. Dio lo ha scelto fin dal seno materno (Gal 1,15, cf. Is49,1.6) e gli ha rivelato il Figlio (Gal 1,16), che si è inserito completamente nella sua vita e, con la suagrazia, gli ha dato accesso a ogni grazia (Rm 15,2), alla fede, all'apostolato (Rm 1,5) e lo ha reso suotestimone (1Co 15,8). Nel capo V della lettera ai Romani, Paolo spiega perché Cristo è al centro dellagrazia divina: nella sua morte, il Padre ci ha mostrato il suo amore per noi, che eravamo ancora

 peccatori (5,8). Con tale opera di salvezza ci ha  giustificati  (resi giusti) davanti a lui e ci ha apertol'accesso alla grazia della comunione vivificante con lui (5,2). Tale grazia è sovrabbondante (5,17) e furesa possibile dall'obbedienza del Nuovo Adamo (5,12-21). Comunicandoci la nuova vita, ossia la suastessa vita, ci ha pure liberato dalla legge, dal peccato e dalla morte. Questa sua esperienza personalePaolo l'estende a tutta l'umanità. Col termine "grazia" indica soprattutto il dono di sé, che il Padre

compie per mezzo di Cristo e che consente all'uomo di sperimentare la nuova vita come comunionecon Cristo e, in lui, avere pieno accesso al Padre.

Questa comunione col Cristo è possibile mediante la potenza dello Spirito Santo, che ci è stato datogenerosamente, per agire nei credenti battezzati. Questo Spirito, che è insieme di Dio e di Cristo (Rm8,9), fa vivere e operare, nella vita del credente (1,5), il Cristo glorioso che lo libera dalla legge e dal

 peccato (2Co 3,18; Rm 6,18-23; Gal 4,21-31). Cristo, che agisce nel profondo dell'uomo, èespressione e dono della grazia e amore del Padre. Tale amore lo Spirito stesso lo effonde in noi (Rm5,5). Dio, che è causa di tutto in tutti (1Co 12,6), fa operare in noi tutti i carismi ordinari e straordinari

 per l'edificazione della comunità (1Co 14,12) e il bene della Chiesa (servizio, semplicità,consolazione, guida, misericordia, gioia ecc.) (Rm 12; 1Co 12). Tale grazia di Dio è data in vista dellarisposta nella fede. Fede e grazia formano un'unica realtà (Rm 4,16), che produce la giustificazione o

salvezza (Rm 3,28). L'uomo, però, può sia fare fruttificare la grazia ricevuta (1Co 15,10) che renderlainutile (2Co 6,1), spegnendo lo Spirito ricevuto (1Tes 5,19). Essendo stati salvati per mezzo dellagrazia e della fede (Ef 2,8), siamo in grado di superare la legge e vincere il peccato, dei quali nonsiamo più schiavi (Rm 6,14). La speranza di salvezza si fonda solo nello Spirito (Gal 5,5), senza ilquale nessuno può ottenere la liberazione dal peccato e dalla colpa (Rm 3,9), la giustificazione edivenire accetto a Dio. Tutto questo è puro dono (Rm 5,15.20; 11,6).

Esso avviene nella storia che, perciò, diviene storia della salvezza, il cui fine è il Regno, ossia lasovranità definitiva dell'amore di Dio su tutto e tutti, la gloria dei viventi e il completamento delcreato. L'universale volontà salvifica del Padre e l'azione redentrice del Cristo, applicate alla vitaumana per mezzo dello Spirito, si esprimono come doni di grazia inseriti nel tempo, che l'uomoapplica con impegno e fatica, in mezzo a difficoltà e tribolazioni, in un continuo cammino di

 perfezione. Esse si manifestano in molti modi. Le Chiese della Macedonia hanno ricevuto la graziadella generosità (2Co 8,1), quella di Filippi la grazia dell'apostolato (Fil 1,7; 2Tm 2,9). La varietà deicarismi rivela l'elezione che introduce nella salvezza (Gal 1,6; 2 Tm 1,9) e consacra a una missione(1Co 3,10; Gal 2,8). La gratuità totale dell'elezione (Rm 11,5) viene da Dio, prima di ogni sceltaumana (Rm 1,5; Gal 1,15) e segna tutta l'esistenza cristiana. Se dipendesse da qualche osservanza, nonsarebbe più dono né grazia (Rm 11,6). Il fatto che essa sia donata all'uomo, ancora nemico di Dio eincapace di sottrarsi al peccato, aumenta la gratuità e generosità dell'elezione. La grazia  sovrabbonda (Rm 5,12-21), perché Dio apre senza riserve i tesori inesauribili della sua generosità (Ef 1,7; 2,7) e lieffonde senza limiti (2Co 4,15; 9,14).

Dal momento che ci ha donato il Figlio "come potrebbe non elargirci ogni grazia?" (Rm 8,32). Perquesto la grazia è di una fecondità inesauribile e produce opere e frutti di ogni genere (1Co 15,10;1Ts1,3; 2Ts 1,11), in particolare di carità (Gal 5,6), "che Dio ha preparato in anticipo perché noi le

 producessimo" (Ef 2,10). Paolo annota con vigore che la grazia "fa di lui tutto ciò che è e fa in lui tuttociò che egli fa" (1Co 15,10)3. Poiché essa è un principio intimo e profondo di trasformazione e diazione, esige una costante collaborazione. Di qui il dovere di obbedirle (2Co 1,12) e corrisponderle

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(Rm 15,125; Fil 2,12). Essa, soprattutto, è nascita alla nuova esistenza (Gv 3,3) dello Spirito che vivenei figli di Dio (Rm 8,14-17). Il cristiano è "chiamato" (Gal 1,6) e "stabilito" (Rm 5,2) nella grazia,"vive sotto il suo regno" (5,21; 6,14), la vita nuova con Cristo Risorto (6,4.8.11.13). Paolo e Giovanniconcordano pienamente nel mostrare la Grazia di Cristo come dono della vita (Gv 5,26; 6,33; 17,2),sia di Cristo che dello Spirito Santo (Rm 6,14; 7,6). Per questo libera l'uomo dal peccato e gli portafrutti di santificazione (6,22; 7,4). Lo Spirito, dono di Dio per eccellenza, attesta in noi che la grazia cifa veramente figli di Dio (At 8,20; 11,17; Rm 8,16). Questa è la vera giustificazione operata dallagrazia (Rm 3,23), che ci rende al cospetto di Dio quel che Egli vuole da noi: figli davanti al loro Padre(Rm 8, 14-17; 1Gv 3,1). La gloria del cristiano sta nel non possedere nulla, ma di ricevere tutto, in

 particolare la giustizia (giustificazione) solo per grazia, nella quale soltanto, l'uomo riesce ad essere pienamente se stesso (Rm 4,2; 5,2; 2Co 12,9; Ef 1,6).

3. Teologia della grazia come scontro fra morte e vita

Gli innumerevoli spunti di Paolo consentono di abbozzare una specie di teologia della grazia,centrata sul tema dello scontro fra la morte e la vita. Male e decadenza ebbero origine dallatrasgressione di Adamo (Rm 5,18), che scatenò nel mondo la storia del peccato (5,12) e pose tuttal'umanità sotto il dominio della morte (5,17). Principio e fonte della vita è Cristo morto e risorto,

nuovo Adamo in cui tutti siamo vivificati (1Co 15,22). La vita cristiana, che è la vita nuova di Cristo ein Cristo, è redenzione dalla colpa e liberazione dalla condanna (Rm 8,1), dal potere malefico del

 peccato (6,22; 7,24), dalla legge che pesa senza aiutare (Gal 3,13) e dalla morte fisica. Tutto ciòavviene mediante la risurrezione (1Co 15). Vita di grazia o cristiana è soprattutto lo Spirito Santo cheabita in noi con la sua presenza personale, continua e attiva (Gal 4,6; 2Co 1,22; Rm 5,5; Ef 5,18; Col3,16), rendendoci templi vivi di Dio e dimore dello Spirito (1Co 3,16; 6,19). Essa è una relazioneintima e profonda con Cristo, che ci fa figli di Dio (Rm 8,14-17; Gal 4,4-7; Ef 1, 4-5), eredi con lui enuova creazione (Gal 6,15; 2Co 5,17), persone nuove (Ef 4,21-24; Col 3,9-10), rivestite di Cristo (Col3,27), rigenerate mediante il battesimo (Tt 3,5-7) per vivere la stessa vita di Cristo (Gal 2,20; Col 3,24)e divenire membra del suo corpo mistico (chiesa) di cui egli è il capo (Col 1,18; Ef 4,11-16).

Il cristiano vive nella e della carità, che è il primo dono e frutto dello Spirito Santo, superiore a tutti

i carismi (1Co 12,31; 13,13). Deve, quindi, amare tutti con lo stesso amore con cui amano Cristo e ilPadre. Caratteristica prima della grazia è la sua gratuità, che proviene dalla sovrana generosità delPadre. Egli ha donato agli uomini il suo stesso Figlio Unigenito, il prediletto (Rm 8,32). Con lui e inlui ha donato la giustizia (santità e carità), che trionfa su ogni egoismo e fa sovrabbondare la graziadove abbondò il peccato (Rm 5,15). Solo nella fede che viene dallo Spirito vi è speranza digiustificazione (Gal 5,5), anche se l'uomo può spegnere lo Spirito ricevuto (1Ts 5,19) e rendere inutilela grazia ricevuta (2Co 6,1).

4. S. Paolo: spunti significativi e predestinazione

S. Paolo sottolinea una serie di punti decisivi: 1) tutti sono giustificati gratuitamente per la grazia diCristo (Rm 3,21-31); 2) solo il libero dono della benevolenza di Dio assicura l'estensione della

 promessa a tutti gli uomini (Rm 4,2. 25); 3) la grazia non è solo in funzione del peccato ma, prima ditutto, di un dominio reale, nuovo, definitivo introdotto da Cristo, il cui fondamento è la nuova giustiziae il fine la vita eterna (Rm 5,15-21; 6,1); 4) morendo e vivendo con Cristo, non si è più sotto il poteredel peccato, ma della grazia, che è vita eterna e vince il potere della morte (Rm 6,12-23); 5) la grazia è

 potenza di Dio, che si oppone alla pretesa giudaica di auto-salvezza per mezzo delle opere e a quellagreca di auto-liberazione per mezzo della saggezza umana (2Co 1,12); cercare la giustizia mediante lalegge significa gettare via la grazia e vanificare la morte di Cristo, principio della grazia (Gal 2,21); 6)separarsi da Cristo e staccarsi dalla grazia significa precipitare nel baratro della propria ingiustizia eritornare schiavi del male (Gal 5,1-6); 7) per chi crede, tutta la vita diviene grazia (2Co 6,1-9; Rm 5,2);8) charisma è il dono personale dell'unico Spirito, che si diversifica nei singoli cristiani e va vissutonella preghiera e nell'obbedienza (Rm 12; 1Co 12); 9) la prontezza a soffrire per la fede e l'amore diCristo è un dono per la comunità (Fil 1,20); 10) il concetto di charis non è legato a dikaioo, ma a sozo 

che aggiunge all'idea di giustificazione quella di grazia come salvezza (Ef 2)4

.Paolo usa i verbi  proorizo  (Rm 8,29.30; 1Co 2,7; Ef 1,5.11) e  proginosko  (Rm 8,29; 11,2) col

significato di "predeterminare" e "determinare in anticipo". In 1Co 2,7, parla di una sapienza

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misteriosa e nascosta, che è l'intenzione eterna di Dio, ossia il suo disegno di salvare l'umanitàmediante la morte di Cristo. Predestina gli uomini a essere conformi all'immagine di Cristo e diveniremembri della famiglia divina. Dio opera secondo questo disegno, predeterminato a lode della gloriadivina (Ef 1,6.11), mediante la grazia concessa liberamente (Rm 3,24) per salvare i peccatori (Rm5,6.8). Lo realizza mediante la persona e l'opera di Cristo e l'annuncio del vangelo. In Dio non esiste

 parzialità, perché la sua grazia e salvezza sono apparse a tutti gli uomini (Tt 2,11). Paolo annunciacome Pietro che "Dio non vuole che alcuno perisca ma tutti abbiano modo di pentirsi" (2Pt 3,9),

 perché Dio è pieno d'amore e di grazia. È il Padre, che ci ha donato il Signore Gesù Cristo, a chiamaretutti a sé, per quanto peccatori. Ognuno, quindi, deve credere e sperare nella salvezza5.

5. Teologia della grazia in Giovanni e negli Apostoli

Gli stessi temi si ritrovano nel corpo giovanneo, che li esprime con termini e immagini diverse. Ilcristiano possiede fin d'ora la vita eterna, la cui pienezza si manifesterà alla risurrezione (Gv 5,24).Fonte unica di questa vita è Gesù che s'identifica con essa (Gv 14,6; 1Gv 5,12). Si può vivere solouniti con Cristo: acqua viva (Gv 4,10), pane vivo e di vita (Gv 6), luce di vita (8,12), vite dei tralci (Gv15). Tale vita divina nasce realmente da Dio (Gv 1,13; 1Gv3,9; 4,7; 5,1.18), viene dall'alto (Gv 3,3.7)e dallo Spirito (3,6.8) ed è una vera rigenerazione (1,12; 11,52; 1Gv 3,1-2; 5,2). Essa non ci fa solo

figli, ma realizza una vera immanenza fra Dio e noi (1Gv 4, 12-16), perché Padre, Figlio e SpiritoSanto venendo, rimangono con noi (Gv 7,38; 14,23). La partecipazione a questa vita, libero dono diCristo (Gv 5,21), è legata ad alcune condizioni: fede in Gesù Cristo, vero Figlio di Dio (Gv 1,12;20,31); amore verso tutti gli uomini (1Gv 3,14); battesimo necessario alla rinascita (Gv 3,5); eucaristia(Gv 6,53). L'affermazione che Dio ci ha fatto partecipi della sua natura divina si trova in 2Pt 1,3-46.

6. Grazia come comunione e inabitazione

Sintetizzando i molti elementi qui raccolti, potremo dire che il  Nuovo Testamento rivela la graziacome vita divina, nella comunione col Padre, Figlio e Spirito, che ci viene donata rendendolaeffettivamente nostra. Questo essere figli di Dio è un'unione che non sopprime né sminuisce latrascendente sovranità della Trinità, come non sopprime ma potenzia la nostra umanità. Questo puro

dono divino è presentato mediante concetti e immagini che ne sottolineano pure la stabilità o permanenza: vita nuova, figliolanza, inabitazione, sequela ecc. Esse indicano il nostro essere persempre in  e con Cristo, solidali con il suo destino. Per quanto presente fin da ora, essa è pure unarealtà escatologica, che si sviluppa verso una pienezza futura e tende verso il mondo della risurrezioneche ancora attendiamo. L'essere figli adottivi è una realtà globale che trasforma profondamente tutte ledimensioni del nostro essere, in senso trinitario e cristologico. La presenza di Dio, infatti, èchiaramente quella della Trinità nei suoi rapporti ad intra, che la costituiscono nella sua trascendenzaassoluta e nei suoi rapporti ad extra, nei quali la comunione delle Persone divine si rivela e si

 partecipa nel rapporto dialogale del Padre nello Spirito con il Figlio Gesù Cristo. La vita che Gesù ciha già donato e la cui pienezza sarà raggiunta nell'era escatologica è non solo pienamente umana mavera esistenza divina. La sequela è assimilazione al Figlio di Dio, che ci fa chiamare il Padre " Abbà",

 partecipare alla risurrezione e ricevere il suo Spirito filiale. La risposta della grazia alla presenza della

Trinità in noi è la fede, speranza e carità, nella piena comunione con Dio e il prossimo7.

7. Vita eterna, vedere Dio

Questo traguardo di vita vissuta come corrispondenza alla grazia divina, con l'aiuto della stessagrazia è detto vita eterna, che unisce i temi della  salvezza e del vedere Dio. Sotto questo aspetto, lavisione di Dio è uno dei temi più trattati nella Scrittura. Vedere il volto di Dio indica sovente labenevolenza di Dio che si mostra all'uomo. L'uomo non ha diritto di chiedere tale visione di Dio, maDio gratuitamente la concede in segno di speciale benevolenza e amicizia (Gn 16,12; 32,31; Es 24,10;Es 33,11,23; 34,5-10). Vedere Dio faccia a faccia significa incontrarlo, ma comporta pure la morte, seDio non salva. Vederlo senza morire, quindi, è il segno di grande benevolenza ed eccezionaleamicizia. Questo linguaggio dell' Antico Testamento  è entrato nel  Nuovo, ma senza spiegare in che

consista la visione di Dio. 1Co 13,12-18 dice che come Dio ci conosce pienamente e direttamente, cosìanche noi lo conosceremo nella vita eterna. Vedere indica, dunque, la pienezza dell'incontro di amore

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e amicizia con Dio e Cristo. A questi concetti la teologia ne aggiunge altri che li precisano, come la fruizione, la beatitudine e il gaudio.

1 A. Beni, "Grazia", NDT, 595.

2

 O.H. Pesch, "Grazia", ET, 444.3 J. Guillet, "Grazia", DTBD, 523.

4 H.H. Esser, "Grazia", DCBNT, 826-832; Tra le lettere cattoliche, le più vicine a questi spunti di Paolo sono

1Pt ed Eb.

5 W.A. Elwell, "Predestinazione", DDP, 522-528.

6 Beni, "Grazia", 596.

7 G. Manca, La grazia, Cinisello B. 1997, 64.

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6. ELEZIONE, GIUSTIZIA, GIUSTIFICAZIONE NEL NUOVO TESTAMENTO

1. Concetti e contenuti di "elezione"

Il tema dell'elezione conserva tutto il suo valore pure nel  Nuovo Testamento. L'annuncio profeticodel Deuteroisaia sul "mio servo", "mio eletto" (Is 42,1) a Gesù non è applicato direttamente moltevolte, ma lo è sempre in momenti solenni e decisivi quali il battesimo, la trasfigurazione e lacrocifissione. In essi ogni volta è evocata la figura del Servo (cf. Lc 9,35; 23,35). Per il Battista Gesù èl'eletto di Dio, il servo di cui Dio si compiace e su cui posa il suo Spirito. Gesù è il Figlio eletto (Lc9,35). Il titolo di "eletto di Dio" esalta il legame speciale che manifesta in Gesù non solo il Messia, mail termine di un'elezione particolare e unica, di Figlio di Dio1. Da tutta l'opera salvifica e redentrice, daAbramo in poi, l'unico a meritare pienamente tale titolo è soltanto Gesù. Da "ecco il mio eletto"vaticinato da Isaia si giunge a "ecco il mio eletto", pronunciato solennemente dal Padre, che rivela ilsegreto e il mistero di Gesù: egli è il suo Figlio, santificato fin dal seno materno (Lc 1,35), esistente

 prima della creazione del mondo (Gv 1,1-3) destinato a ricapitolare tutte le cose (Ef 1,4.10; 1Pt 1,20). Non solo è l 'unico vero eletto ma, senza di lui, non vi possono essere eletti né elezione. Egli è l'unica pietra eletta, viva, che sostiene l'intero edificio costruito da Dio, rendendo "pietre viventi" quanti

credono in lui (1Ptt 2,4.6). Senza pronunciare tale termine, Gesù, mostra la più chiara consapevolezzadella sua elezione.

Sa di venire-da e appartenere-a un altro mondo (Mc 1,38; Gv 8,14; 9, 23). Sa di avere un destinounico di "Figlio dell'uomo" e di realizzatore dell'opera di Dio (Gv 5,19; 9,4; 17,4). Sa che tutte leScritture riguardanti l'elezione d'Israele fanno capo a lui (Lc 24,27; Gv 5,46). Tale consapevolezzadetermina in lui la volontà di servire e di compiere, fino in fondo, il compito e le opere affidategli dalPadre (Gv 4,34). Per compierle, Gesù elegge coloro che vuole (Mc 3,13) e li raccoglie attorno a sé, performare il suo nuovo popolo. L'elezione compiuta da Gesù (Lc 6,13; Gv 6,70) viene dal Padre (Gv6,37; 17,2) sotto l'azione dello Spirito Santo (At 1,2). Dice Gesù: "non voi avete scelto me, ma io hoscelto voi" (Gv 15,16; Dt 7,6). All'inizio della Chiesa, dunque, come per l'antico Israele, vi èun'elezione divina. Gesù intende costruirla sui testimoni stabiliti da lui (At 10,41; 26,16). Così avverrà

 pure per Mattia (At 1,24) e Paolo (At 9,15). Tutti quelli che lo ascoltano, credono in lui e lo seguono,sono oggetto della sua elezione. Essere discepoli è frutto di una precisa e generosa elezione. La suamediazione rivela e mostra l'elezione gratuita e benevola del Padre.

La catena concreta di elezioni caratterizza tutta la vita della Chiesa degli inizi. Le elezioni ecclesiali per le varie missioni sanzionano le scelte di Dio conosciute attraverso lo Spirito Santo (6,3). I Dodiciimpongono le mani sui Sette (6,6). La Chiesa di Antiochia pone a parte Paolo e Barnaba, eletti dalloSpirito per la sua opera (13,1). La fede e l'accoglienza della Parola non derivano da saggezza o

 potenza umana, ma solo dalla scelta di Dio (1Co 1,26; At 15,7; 1Ts 1,4). Si costituisce, così, una"stirpe eletta" (1Pt 2,9). I credenti sono gli "eletti" (Rm 16,13; 2Tm 2,10; 1Pt 1,1). La Chiesa è l' Eletta ( Ekklèsia,  Eklekté, Gv 13; Ap 17,14) che, come nuovo popolo di Dio, è pienamente coscientedell'adempimento messianico, per cui sente trasferita su di sé la realtà dell'elezione, che avevacontrassegnato l'antico Israele come popolo di Dio. Se ne sente partecipe e portatrice. Per il suo intimo

rapporto con Cristo, spetta alla Chiesa, in quanto tale, l'insieme delle promesse e dei doni rivolti aIsraele come popolo eletto e privilegiato da Dio. Ora, il motivo dell'elezione consiste nell'accoglienzadi fede di Gesù Cristo come Signore, Salvatore, Figlio di Dio. A questa elezione, il Padre convoca,grazie al Figlio e nello Spirito, coloro che accolgono la parola, si convertono a lui, si pongono al suoservizio e attendono il Figlio. In questo modo li fa la sua Chiesa (1Ts 1,6-9).

2. L'elezione negli scritti di Paolo

La realtà dell'elezione riceve in S. Paolo particolare attenzione e profondità. Per gli esegetispecializzati negli scritti paolini, nella teologia di S. Paolo l'elezione e la predestinazione sono cosìfortemente intrecciate, da costituire quasi la struttura del suo pensiero, rendendo difficile analizzarli edelaborarli come temi separati. Collegate a concetti come chiamata, disegno, volontà, consiglio di Dio,

sono fortemente connesse con l'insieme della redenzione, la grazia e le altre realtà rivelate. Alcuni pensano che per capire la dottrina paolina su elezione e redenzione occorra muovere dalla dottrina suDio, Realtà Suprema, Padre, Figlio e Spirito Santo, che progetta, elegge, chiama e predestina. Paolodovette annunciare tutto ciò in comunità molto diverse dal punto di vista culturale e religioso. Per di

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 più esse erano pure influenzate dallo scetticismo filosofico, dalle mentalità idolatre e pagane, dasuperstizioni e idee sbagliate sugli dèi. Doveva, dunque, sottolineare le qualità di Dio a propositodell'elezione e predestinazione. Esse sono l'amore (Ef 1,4-5; 1Ts 1,4), la misericordia (Rm 9,16) lagrazia (Rm 11,5), la sapienza e scienza (Rm 11,33). Presenta, quindi, il Dio infinitamente amoroso emisericordioso che, per grazia, elegge e con la sua sapienza predestina. Ciò fa escludere in partenzaogni timore di arbitrio. Dio, perciò, concepisce e inserisce il suo piano di salvezza come parte estrumento di attuazione del suo progetto di amore per l'umanità.

Elezione e predestinazione, quindi, non sono fine a se stessi, ma strumenti di quel progettoelaborato dal profondo del suo amore e della sua eterna sapienza, che attua nel tempo e nella storia,mediante la sua grazia. Paolo non entra nei dettagli e non sviluppa per esteso questo progetto odisegno generale, che abbraccia tutto l'agire di Dio verso il creato e la storia. A lui interessaconsiderarlo nella prospettiva della redenzione. Questa finalizzazione alla redenzione, fa sì che Diofaccia concorrere tutte le cose al bene di coloro che ama e lo amano (Rm 8,28) e li chiami, facendoconoscere la sua multiforme sapienza attraverso la Chiesa (Ef 3,10). Tale disegno è imperscrutabile(1Co 2,16; Rm 11,33-35), ma Dio, che per mezzo dello Spirito Santo scruta le profondità divine (1Co2,10-11), lo ha rivelato ai credenti (2,12), così che abbiano gli stessi pensieri di Cristo (2,16). Dio,quindi, in tutta la sua multiforme sapienza, manifesta il suo pensiero, volontà, disegno, misteri divini

ed eterni, perché possano essere conosciuti mediante la Chiesa, corpo di Cristo (Ef 3,11).Per esprimere l'elezione Paolo usa il verbo eklego, il sostantivo ekloge  e l'aggettivo  ekletos. Il

verbo, già nella LXX, indica "scegliere", "scegliere per qualcuno" o "scegliere per sé" (1Co 1,27; Ef1,4). Non implica, tuttavia, il rigetto di chi non è scelto, ma aggiunge una sfumatura di gentilezza,favore e amore (1Co 1,27-28; Ef 1,4). Haireo assume invece il senso di scegliere, più che di prendereo mostrare una preferenza (2Ts 2,13; Fil 1,22). Il sostantivo ekloge significa "scelta" e "selezione".Viene applicato in At 9,15, per dire che Paolo è "un vaso di elezione" ed è usato quattro volte nellalettera ai Romani. In 9,11 è riferito a Esaù e Giacobbe e in 11,5-7 a un'elezione dei giudei credenti,salvati dalle nazioni incredule. In 11,28 indica la scelta secondo l'alleanza e la promessa. In 1Ts 1,4riguarda i singoli invitati alla gratitudine per la loro elezione. L'aggettivo ekletos significa "scelto" e"selezionato" (Rm 8,33; 16,13; Col 3,12; 1Tm 5,21; 2Tm 2,10; Tt 1,1). I credenti furono scelti in

Cristo, prima dei tempi eterni (2Tm 1,9), prima della fondazione del mondo (Ef 1,4) per l'adozione (Ef1,5), la conformità a Cristo (Rm 8,29), la salvezza dagli inganni dell'anticristo (2Ts 2,13) e la gloriaeterna (Rm 9,23). La fonte dell'elezione è sempre la grazia divina e mai la volontà umana (Ef 1,4; Rm9,11; 11,5)2.

Questi termini sono applicati all'elezione sia degli angeli (1Tm 5,21), che delle persone in gruppo(Rm 8,33; Ef 1,4; Col 3,12; 1Ts 1,4; 2Tm 2,10; Tt 1,1) o singole (Rm 16,13) e d'Israele. Riguardo alle

 persone, Paolo mostra le ragioni per cui nulla può separare da Dio gli eletti scelti, giustificati eglorificati in Cristo (Rm 8,28-39). Lo scopo della predestinazione è l'adozione nella famiglia divina(Ef 1,3-5). Sommando i vari elementi, appare che l'elezione indica l'atto di amore col quale,

dall'eternità, Dio ha scelto, in Cristo, delle persone perché siano sante e senza colpa, adottandole

nella sua famiglia secondo un disegno che comprende la loro chiamata, giustificazione, santificazione

e glorificazione. Nessuno potrà ostacolare questo piano che Dio porterà certamente a compimento.Quanto a Israele, la sua storia complessa è un mistero che sarà svelato solo nel futuro, quando tuttoIsraele sarà salvato (Rm 11,26). Per questo la sua elezione dura per sempre, anche se per ora vienemesso da parte.

3. Elezione: precisazioni e approfondimenti

L'uso di chiamare eletti  i cristiani, quindi, è in linea con tutto l' Antico Testamento  e con tuttal'iniziativa della gratuità, bontà e generosità divina. Il cristiano è eletto  perché oggetto della bontàdivina preveniente, gratuita e generosa (Gc 2,5; 1Co 1,27-31; At 15,7-11). Eletti, per i cristiani, èun'indicazione non solo teologica ma anche cristologica. Nella fede, il credente è unito all'operasalvifica del Figlio di Dio, di cui esprime la vita e attende il glorioso ritorno. Egli sa di essere salvato

 per grazia e che, alla fine, si salverà grazie alla fedeltà di Dio. Di qui l'esigenza di una vita di fede,continua vigilanza, instancabile perseveranza e buone opere, per essere trovati idonei e approvati alritorno del Signore. Soltanto così si potrà essere con lui per sempre (1Ts 4,17). Lo Spirito Santo è lamassima manifestazione del dono divino, che garantisce l'amore di Dio, lo manifesta e rende attivo in

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noi, rivelandoci e facendoci partecipi del mistero trinitario. Egli ricorda come le tre Persone operanonell'elezione: il Padre e la sua prescienza come causa; il Figlio e la sua redenzione come fine; loSpirito e la sua santificazione come strumento e modo (Ef 1,3-14; 1Ts 1,4-5; At 15,7-11.14). Dio,quindi, non discrimina nessuno, né pagani, né ebrei, ma concede a tutti lo Spirito Santo (At 15,8-11).Il termine "eletti di Dio" indica sia la sua scelta libera, gratuita e sovrana, che la nostra condizione

 personale (Mc 13,20.27; Rm 8,33). Per quanto, invece, riguarda i vari popoli, va ricordato chel'alleanza attuata con Noè e l'elezione d'Abramo furono una benedizione per tutte le nazioni.

In Gesù, alleanza e benedizione sono portate a compimento per tutti. Gentili e Giudei sonoriconciliati (Ef 2,14) ed eletti per formare quell'unico popolo che Dio si è acquistato (Ef 1,11.14).L'elezione, quindi, abbraccia tutti. Il suo rifiuto, tuttavia, è sempre tragicamente possibile, ma nonintacca l'universalità dell'elezione, perché essa non è un atto magico, né una passiva accettazione.Richiede, invece, un consenso positivo e una fede efficace (Gv 6,64; 13,11.15.17; 15,16). Senecessario, l'eletto deve portare, faticosamente, con sofferenza e a prezzo della propria vita,l'indispensabile testimonianza davanti a tutti. Il rifiuto riguarda, comunque, l'escatologia ossia gliultimi tempi. Per questa ragione non è ricaduto sugli ebrei, che "quanto all'elezione, sono amati acausa dei loro padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,28-29)3. Rimangonodella massima importanza, dunque, i pochi ma incisivi testi che sottolineano l'elezione in Cristo fin

dall'eternità (2Ts 2,13; Ef 1,4; 1Ptt 1,1s.20; 1Co 2,7; 15,49; 2Co 8,18; Rm 8,14. 29; Gal 4,4; Fil 3,21).Riassumendo questo aspetto, possiamo dire che i cristiani, grazie all'eterno amore di Dio, sindall'eternità, sono eletti in Cristo a essere figli santi e fedeli del Padre e lo divengono in Cristo, conCristo e per Cristo, come dice questa espressione dell'elezione che compendia tutta la salvezza4.

4. Giustizia e giustificazione

Come si è accennato, l' Antico Testamento  non parla di giustificazione, ma di giustizia di Dio edell'uomo. Il suo fondamento è la fedeltà a una relazione di comunione. Dio è fedele al suo patto. Noncosì Israele, la cui osservanza della legge doveva consistere nel vivere personalmente ecomunitariamente la fede nella volontà di Dio. Per questo il  Nuovo Testamento  sottolinea l'errorefondamentale commesso da farisei e dottori della Legge nell'interpretare il significato e il ruolo

dell'antica Legge. Essi credevano che bastasse osservarla minuziosamente e integralmente, nella sualettera, per ritenersi "giustificati" davanti a Dio. Ritenevano, quindi, che l'uomo potesse attingere alle proprie risorse per raggiungere Dio e presentarsi a Lui come esige e si attende da noi. Questoatteggiamento e dottrina sono denunciati anche da Paolo come suprema perversione del "diritto digloriarsi davanti a Dio" (Rm 3,27). Essi nascevano dall'errore di dissociare la Legge dalle promessedivine e dal dimenticare che l'osservanza, obbedienza e fedeltà alla Legge è pure essa opera di Dio eattuazione della sua Parola. Vero e unico giusto davanti a Dio, quindi, è soltanto Gesù Cristo (At3,14). Egli è l'unico ad essere, davanti al Padre, quello che Egli esattamente si attende: il Servoobbediente nel quale Egli può compiacersi (Is 42,1; Mt 3,17). Egli solo compì fino in fondo ognigiustizia (Mt 3,15), soffrì e morì perché Dio fosse pienamente glorificato (Gv 17,1-4).

Egli mostrò davanti a tutto il mondo che Dio, con tutta la sua grandezza, è degno di ogni sacrificio

e merita di essere amato sopra ogni cosa (Gv 14,30). Nella sua morte, che alcuni videro comeriprovazione (Is 53,4; Mt 27,43-46), Gesù trova, invece, la sua giustificazione. L'opera da lui compiuta(Gv 16,10)  è riconosciuta dal Padre, che lo risuscita e "giustifica" nel pieno possesso dello SpiritoSanto (1Tm 3,16). La sua risurrezione ha per fine la nostra giustificazione (Rm 4,25). Ciò che laLegge non poteva assolutamente attuare, anzi escludeva categoricamente, ci è stato dato dalla graziadel Padre che, nella Redenzione di Cristo, ce ne ha fatto dono (Rm 3,23). Nel Figlio, che per la suaobbedienza e giustizia ha meritato la giustificazione per tutti gli uomini, anche noi siamo divenutifigli. In Gesù Cristo Dio ci ha resi capaci: di avere l'atteggiamento giusto che Egli si attende da noi; ditrattarlo come merita; di rendergli la giustizia e gloria alla quale ha diritto. Questo significa esseregiustificati al suo cospetto. Dio, dunque, per pura gratuità, dona all'uomo la grazia di trovare, nel più

 profondo del suo essere, l'atteggiamento giusto da assumere verso di lui, come si addice realmente aisuoi figli (Rm 8,14-17; 1Gv 3,1). Questa trasformazione interiore non è qualcosa di magico, ma è

l'opera divina nel profondo del nostro essere (pensieri, parole, opere), che ci libera dall'orgoglio eamor proprio (Gv 7,18) e ci unisce a Cristo nella fede (Rm 3,28). Credendo in Cristo si diviene giusti esi entra nel mistero di Dio. Credere significa riconoscere in lui l'inviato del Padre, accogliere le sue

 parole, accettare di perdere tutto per il suo Regno. Guadagnare Cristo significa: ricevere da Lui la

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giustizia che viene da Dio e si fonda nella fede (Fil 3,8); riconoscere l'amore di Dio per noi;testimoniare che Egli è il vero e unico amore (1Gv 4,16)5.

5. Giustizia, giustificazione, salvezza

Recentemente alcuni esegeti hanno proposto un'interpretazione un po' diversa. Per alcuni i Giudei

non avrebbero sostenuto che le opere della Legge consentono la salvezza, ma soltanto che consentonodi rimanere in essa. Altri pensano che avrebbero identificato la salvezza col rimanere nel proprio stato

di popolo dell'alleanza con Dio, che possiede la Legge. Paolo, quindi, avrebbe opposto ai Giudei cheessi non hanno alcuno statuto nazionale di privilegio, ma che l'alleanza è aperta a tutti quanti credonoin Cristo, ponendosi in continuità con Abramo (Rm 4)6. Nella predicazione di Gesù, tuttavia, più chela giustificazione, è fondamentale il tema della giustizia. Matteo l'identifica col fare la volontà delPadre rivelata nella parola di Gesù (7,21.24.26). La via della giustizia annunciata da Gesù nel discorsodella montagna (Mt 5,6.10.20; 6,1.33) e sintetizzata nel comandamento dell'amore di Dio e del

 prossimo (Mt 22,37-40) è dunque credere e attuare la volontà del Padre. Gesù è giusto perché realizza pienamente il piano salvifico del Padre. Giustizia, dunque, è voler vivere come Cristo, in una famigliadi fratelli e sorelle che fanno la volontà del Padre (Mt 3,35).

Per Luca, Gesù è il giusto per eccellenza, come martire innocente che dona la sua vita per amore diDio e dei fratelli (Lc 23,47: At 3,14; 7,52; 22,14). Per Paolo, la giustizia appartiene propriamente aDio ed è la sua attività salvifica, misericordiosa e fedele per l'uomo, che si rivela e dona pienamentenel Cristo nostra salvezza (Rm 3,21-22). Essa è presente nel cristiano, perché è legata alla fede inCristo e si compirà pienamente alla fine dei tempi. Credere in Lui significa ricevere da Lui il donodello Spirito Santo. È in questo modo che i cristiani diventano "giustizia di Dio in Cristo" (2Co 5,21),

 persone nuove create "secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità" (Ef 3,24). Non sono solo"dichiarati" ma veramente "resi" giusti. La giustizia di Dio è la sua misericordia (Rm 3,25) che siesprime nell'efficace volontà di liberarli integralmente, perché vivano in piena comunione con Lui econ i fratelli, come membra di Cristo (1Co 12,27). La comunità è suo corpo e sua sposa (Ef 5,21-33).La giustizia è frutto dello Spirito e si esprime nell'amore, pace, gioia, longanimità, bontà, benevolenza,fiducia, mitezza, padronanza di sé, che sono i suoi frutti (Gal 5,13-25). Giustizia di Dio è il suo amore

liberatore, donatoci per mezzo di Cristo, nello Spirito, per fare di noi la nuova comunità d'amore conDio e i fratelli (Ef 2,14).

Ciò significa che solo Cristo dà all'uomo la capacità e la speranza di costruire un mondo piùgiusto7. In Rm 3,26 Paolo precisa come si realizzi nell'uomo l'azione salvifica (giustificazione) del Diogiusto e fedele: nella morte di Cristo il Padre si rivela, facendosi presente e operando come il Giustoche giustifica il credente. È la fede in Cristo, operante mediante l'agape  o carità (Gal 5,6), chegiustifica. Essa comporta l'adesione all'annuncio evangelico, la rinuncia a ogni pretesa di autosalvarsie la piena accettazione dell'iniziativa di grazia del Padre. Avviene sotto il segno della perfetta gratuitàdivina ed esclude la possibilità di ogni vanto e autoglorificazione (Rm 3,24; Ef 2,8; 1Co 1,31). Larealtà escatologica della giustificazione è veramente anticipata nel credente, mentre il suo compimentoè oggetto di speranza (Gal 5,5). La giustificazione ha pure il suo risvolto etico-morale, perché apre

all'uomo giustificato una nuova strada e nuove esigenze operative, proprie di chi è alleato ecollaboratore di Dio nell'opera della salvezza. La giustizia è la forza della nuova vita. Mentre Paoloespone come l'uomo possa diventare giusto davanti a Dio, Giacomo espone come i giustificatidebbano comportarsi esprimendo la loro adesione alla fede, mediante le opere concrete della grazia enon limitandosi alle sole espressioni verbali o intellettuali (Gc 2,14-26)8.

6. Visione riassuntiva

Riassumendo, si può dire che tutto il  Nuovo Testamento  parla dell'azione salvifica di Dio, chePaolo esprime ricorrendo al concetto di giustificazione. La grazia diviene allora la sintesi e l'essenzadell'evento che dona la giustizia o giustificazione (Rm 3,23). Del resto, pure Paolo usa l'espressione"opere della fede" (1Ts 1,3) che si può correttamente tradurre "opere derivanti dalla fede". In Paolo, lafede assume un'importanza unica perché richiede l'obbedienza (Rm 1,5) e l'attività. I credenti sonogiustificati in base alla fede, che non deriva da meriti umani, ma è dono della grazia di Dio, però sonogiudicati in base alle opere espresse dalla loro fede. Potremmo sintetizzare dicendo: i credenti sono

 giustificati dalla fede e giudicati sui suoi frutti. Le opere sono, così, la testimonianza viva e la

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dimostrazione visibile di una fede viva, reale e giustificante che esclude la fede morta (Gc 2,14-24). Inquesto modi i due aspetti della giustificazione espressi da Paolo e Giacomo si compongono e sicorrispondono9.

Poiché tutti senza eccezione, giudei e pagani vivono sotto la schiavitù del peccato, che è inevitabile perdizione (Rm 1,24-32; 3,4.10-18), la salvezza è necessaria. Poiché l'obbedienza alla legge non può

 procurarla, è subentrata la potenza universale di Gesù, la cui espiazione salva ogni credente dalgiudizio escatologico (Rm 3,22-26). Per questo, pretendere una propria giustizia basata sulle operedella legge diventa peccato (Gal 4,8-10; 5,1; 6,12-15; Rm 8,15; 9,32; 10,2; Fil 3,7-11). Cristo è la fine della legge e insieme il fine di essa, perché mira al compimento della legge come volontà di Dio, nellalegge dell'amore in cui operano e crescono i frutti dello Spirito Santo (Gal 5,22). Benché l'uomo abbiasempre infranto l'alleanza, Dio l'ha sempre rispettata e mantenuta. Per questo giustifica l'uomo,rendendolo giusto in base all'espiazione compiuta da Cristo, una volta per tutte, nella sua passione,morte e risurrezione10.

1 L. De Lorenzi, "Elezione", NDTB, 452.

2 "Choice, choose, chosen", EDOT 10101; "Elect, elected, election", Ib., 196.

3 J. Guillet, "Election", DTBD, 342-344.

4 De Lorenzi, "Elezione", 454-458.

5 J. Guillet, "Justification", DTBD, 647-649.

6 A.E. McGrath, "Giustificazione", DDP, 791.

7 A. Bonora, "Giustizia", NDTB, 722-726.

8 G. Barbaglio, "Giustificazione", NDTB, 1988-1991.

9 McGrath, "Giustificazione", 796.

10 O.H. Pesch, "Giustificazione", ET, 431-432.

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7. SANTITÀ E SANTIFICAZIONE NELL'ANTICO E NUOVO TESTAMENTO

1. Santità nell'Antico Testamento: da Dio alle istituzioni

La nozione biblica di santità è molto più ricca di quelle delle altre religioni e culture semitiche,essendo definita a partire dall'autorivelazione di Dio, sorgente e fondamento di ogni santità. NellaScrittura la santità è Dio stesso, quindi coinvolge il mistero di Dio e della sua comunicazione conl'uomo. Per questo la santità divina è inaccessibile all'uomo, a meno che Dio stesso non gli sveli la suagloria, il cui splendore è insostenibile dall'uomo, fragile "carne". La Scrittura esprime il mostrarsi dellagloria e santità divina, col termine "santificarsi" e con la descrizione di fatti ed eventi rivelativi:creazione, teofanie, protezioni miracolose, aiuti e liberazioni insperate, ma anche prove, castighi ecalamità (Nm 20,1-13; Ez 28,25). Tutte queste manifestazioni indicano il senso in cui Dio è santo. Lemaestose teofanie del Sinai (Es 28,25) mostrano la santità divina come una potenza terribile emisteriosa, che può annientare (1Sam 6,19) o benedire (2Sam 6,7-11) chi le si avvicina. Poichéesprime amore, misericordia e perdono (Os 11,9), non va confusa con la trascendenza o la colleradivina. A Isaia, Dio appare re di maestà infinita, creatore la cui gloria riempie tutta la terra, centro diun culto che solo i serafini possono rendere, pur non osando contemplarne il volto. Per questo l'uomo

non può guardarlo senza morire (Es 33,18-23; Is 6,1-5).Benché inaccessibile, egli colma la distanza che lo separa dall'uomo mostrandosi come il Santo

d'Israele, che con l'alleanza diviene gioia, forza, speranza, sostegno, salvezza e redenzione del suo popolo (Is 10,20; 17,7; 41,14-20). La santità divina, quindi, non si trincera dietro la sua trascendenza eseparazione, ma esprime tutta la ricchezza di vita, potenza, bontà, verità e amore che Dio è e possiede.

 Non è un attributo divino, ma l'essenza stessa di Dio. Per questo il suo stesso Nome è santo (Sal 33,21;Am 2,7; Es 3,14) e può giurare per la sua santità (Am 4,2). La Scrittura, quindi, considera sinonimi

 perfetti  Dio  e "il Santo" (Sal 71,22; Is 5,24; Ab 3,3), che esige che la sua santità sia riconosciuta emanifesta a tutti gli uomini, mediante il culto e l'obbedienza che gli spettano come unico e vero Dio.Lo si santifica (riconosce santo) con una liturgia ben celebrata di cui dà tutti i dettagli (Lv 1-7). Essane manifesta la gloria e maestà (Lv 9,6-23; 10,1; 1R 8,10; 1Sam 2,17; 3,11). Il culto, tuttavia, deveessere sincera espressione di piena obbedienza (Lv 22,31), fede profonda (Dt 20,12), lode personale(Sal 99,3-9) e giusto timore (Is 8,13). Le norme cultuali che mostrano la sua santità riguardano: a)luoghi, zone, aree, santuari, tempio; b)  persone, sacerdoti, leviti, primogeniti, nazirei, profeti ecc.; c)oggetti, offerte, vestiti, strumenti cultuali; d) riti, offerte, sacrifici, aspersioni, dedicazioni, unzioni; e)tempi, sabato, feste, anni giubilari.

Queste realtà costituivano "segni permanenti" della santità divina. I sacerdoti erano il segno delSignore che santifica il suo popolo chiamandolo al banchetto sacrificale di comunione (Lv 21,6-8). Il

 popolo invocava il perdono e il favore del Dio santo su di sé (Es 28,36-38). I nazirei s'impegnavanocon voto a una vita rigorosa, che indicava la potenza della santità divina a favore del e in mezzo al suo

 popolo (Gn 49,26; Nm 6,5-8; Gdc 13, 5-7; 1Sam 1,11). Luoghi e oggetti destinati al culto divinodivenivano segno e memoriale della santità di Dio. L'arca era il segno della presenza di Dio che

 parlava a Mosè e, per suo mezzo, a tutto il popolo (Es 25,10-22; 1Sam 6,20; Sal 99). Il tempio era il

segno della stabile presenza salvifica del Signore (Es 25,8; Sal 11,4; Ab 2,20), che dava benedizione(Sal 118,26), parola (50,8), aiuto (20,3) esaudimento delle preghiere (1Re 8,30-40). Sante erano leofferte sacrificali (Lv 6; 8,31; 14,13), l'altare e le suppellettili (Es 29,36). Quanto ai tempi, erano segni

 per rivivere la comunione col Dio vivo, il suo esodo salvifico, l'esperienza del suo amoremisericordioso (Is 61,10-11). Il sabato, in particolare, era il giorno del Signore, che santifica e fa

 partecipare al suo riposo (Is 58,13; Ez 20,12). Le feste rappresentavano l'oggi in cui il Signoreconvoca il popolo per rinnovare il memoriale dell'esodo e riattualizzarlo in una vita di fede in lui e difedeltà all'alleanza (Dt 29,3). Il giubileo era il tempo della "liberazione" di tutti gli abitanti del paese(Lv 25,10).

2. Santità: dalle istituzioni alle persone

Tutte queste realtà erano sante in proporzioni al rapporto più o meno stretto che avevano con Dio.La loro santità non era della stessa natura di quella di Dio, né qualcosa di spontaneo o automatico, mail risultato di una libera scelta o decisione divina. Lo stesso Sommo Sacerdote non poteva entrare nelSanto dei Santi che una volta all'anno e solo dopo purificazioni molto minuziose (Lv 16,1-16). Vi era,

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dunque, la santità infinita di Dio e la santità parziale, relativa delle realtà che dovevano manifestarla, pur velandola. Particolarmente importante era la condizione d'Israele, separato dalle nazioni per essereil popolo santo, sacerdotale, proprietà divina. Dio gli mostrava il suo incomprensibile amore, vivendoe camminando in mezzo ad esso (Es 33,12-17), manifestandosi a lui nella nube, nell'Arca, nel tempio onella sua gloria, che lo accompagnava pure nell'esilio (Ez 1,1-28). Questa presenza attiva conferiva al

 popolo una dignità che lo obbligava a una santità morale. Per santificarlo, Dio gli comunicava la sua Legge (Lv 22,31) che doveva preservarlo dalle abominazioni e degradazioni pagane. Questa è la forzache gli dava sicurezza (Is 41,14-20; 54, 1-5), speranza e lo rendeva invincibile (Is 60,9-14).

A questa scelta gratuita e generosa di Dio che lo voleva santo, Israele doveva corrisponderesantificandosi. Ciò comprendeva vari aspetti. Doveva  purificarsi  prima di assistere alle teofanie o

 partecipare agli atti di culto (Es 19,10-15). È Dio, comunque, che gli conferiva la purità, mediante isacrifici (Lv 17,11) o purificandone il cuore (Sal 51). I profeti insistevano che ciò che purifica èl'obbedienza a Dio, l'amore, la giustizia (Dt 6,4-9; Is 1,4-20), ossia la santità vissuta, la vita santa intutte le sue espressioni familiari, professionali, politiche, economiche, sociali ecc. (Lv 17-26),l'affrontare le difficoltà e sostenere le prove1. In tutto l' Antico Testamento infatti, il termine "santo" inmodo assoluto può essere detto soltanto di Dio. La sua estensione alle altre realtà: Israele, Sion,tempio, culto è frutto dell'amore divino e del mistero dell'alleanza, con cui Egli si comunica per la

salvezza del suo popolo. Quando Dio giura per la sua santità, giura per se stesso, perché la santità è ilmistero più intimo della sua essenza (Am 4,2; Ab 3,3). Per Osea tale santità è il suo stesso amore, di

 padre tenerissimo che insegna a camminare al suo figlioletto (11,1-4), o di sposo che perdona etrasforma la sua sposa per vivere in comunione con lei (2,16. 21-25). La santità coincide con l'amore ela perenne misericordia, che rinnova e trasforma continuamente l'amato, perché sia "verginalmentesanto" come dirà, più tardi, il Terzo Isaia (Is 62,4-5.12).

Isaia presenta l'assoluta santità divina attraverso il triplice "santo" (6,3). La sua "gloria" simanifesta come potenza d'amore che opera la salvezza. Egli apre al suo popolo la strada che conducealla comunione di vita con lui e a una partecipazione al suo essere. Dio si rivolge all'uomo peccatorecome amore che salva, perdonandolo e chiamandolo a una missione di salvezza. Per ottenere ciò, lasua santità è fuoco che purifica da ogni impurità, giudizio che contesta ogni infedeltà (10,16), grazia

che invita a fede, fiducia e speranza quanti si aprono a lui (30,15). Nel Secondo Isaia  vengonoaccentuati questi aspetti di Dio: realizzatore del nuovo esodo (43,3-5. 16-21) nella gioia e nella pace (55,5-12); creatore del suo popolo; sposo tenero che ama di amore sponsale (54,4-10) e offre sempremisericordia e perdono. In Ezechiele, Dio mostra la sua santità riconducendo il suo popolo nella suaterra (36,23-24). Questi aspetti della santità divina sono egualmente rintracciabili nella tradizioneorante e liturgica (Sal 99), in cui Dio è invocato ed esaltato perché perdona, purificando l'uomo daisuoi misfatti, dandogli un cuore e uno spirito nuovo e non privando il peccatore pentito del suo spiritodi santità (Sal 51,13). Il peccato è una ribellione che contrista il santo spirito del Signore (Ez 36.27).

Il termine santo, che definisce il mistero ineffabile della trascendenza divina, viene poi applicato aIsraele come "popolo del Signore": "Tu sei un popolo santo per il Signore Dio tuo" (Dt7,6; 14,2.21;26,19; 28,9). Tale santità si esprime come partecipazione alla vita, amore, vita e santità divina. Ciò è

frutto dell'elezione, che fa del popolo la "proprietà" di Dio. Essa è puro dono gratuito dell'amore e benevolenza (grazia) divina e della fedeltà alle sue promesse (Dt 7,6-7). Comporta, quindi, che Israelecammini sempre nelle vie del suo Dio, obbedendo a tutta la sua legge (Dt 26,17-19) di santità (Lv19,2)2.

3. Santità e santificazione nei vangeli

Il  Nuovo Testamento  ha accolto la nozione di santità dell' Antico Testamento, conferendole particolare ricchezza e profondità di significato, derivanti dalla fede pasquale della Chiesa edall'esperienza del Dio unico rivelatosi in Cristo: Padre, Figlio e Spirito Santo. La santità divinaacquista un carattere specificamente "personale", che dalla vita trinitaria si comunica agli uomini. IlDio tre volte santo d'Isaia si ritrova nell'inno liturgico dell'Apocalisse, unendo insieme santità divina eonnipotenza salvifica (Ap 4,8). Santità e onnipotenza di Dio s'illuminano a vicenda (Lc 1,49). Lacomunità apostolica ha assimilato contenuti e temi dell' Antico Testamento, presentando Dio comePadre santo (Gv 17,11), Creatore dell'universo e Giudice trascendente (Ap 4,8; 6,10), sottolineando lasantità del suo Nome (Lc 1,49), della sua Legge (Rm 7,12) e della sua Alleanza (Lc 1,72). La sua

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santità coinvolge e santifica gli angeli (Mc 8,38), i profeti e gli autori ispirati (Lc 1,70; Mc 6,20; Rm1,2). Santo è il suo tempio e la Gerusalemme celeste (1Co3,17; Ap 21,2). Il suo Spirito Santo èall'origine della nascita redentrice di Gesù (Mt 1,18; Lc 1,35) e della sua missione salvifica.L'effusione dello Spirito su Gesù, al suo battesimo, lo indica inviato da Dio, per formare l'umanitànuova, il popolo nuovo, libero dalle forze del male e del peccato. Gesù è il nuovo Mosè che, nella suacroce e risurrezione, attua il vero esodo (Lc 9,31) che rivela la gloria del Padre Santo (Gv 17,11).

Per questo, nel quarto vangelo la santità di Dio si manifesta pienamente nell'esaltazione del Figlio,ossia la sua morte in croce che "attira tutti a sé" (Gv 12,32) e la sua resurrezione. La santità di Dio, nel

 Nuovo Testamento, appartiene in modo totale a Gesù, "il Santo di Dio", perché è il Figlio unigenito delPadre (Lc 1,35), totalmente partecipe della sua vita. La santità di Dio è il suo immenso amore che sirivela in Cristo (Gv 13,1) che sacrifica la propria vita, perché tutti abbiano vita in abbondanza (Gv10,10). La sua santità investe i suoi eletti (1Pt 1,15) e si manifesta nell'avvento del suo Regno (Mt6,9). Nel  Nuovo Testamento Cristo è il Santo di Dio, la cui santità è strettamente legata al suo essereFiglio di Dio, alla sua concezione per opera dello Spirito Santo (Lc 1,35; Mt 1,18) e alla sua unzionenel battesimo del Battista (At 10,38; Lc 3,22). Vittorioso su tutti gli spiriti impuri è riconosciuto ancheda loro "Santo di Dio" (Mc 1,24; 3,11). Come "Santo di Dio" e "Figlio di Dio" possiede il suo SpiritoSanto, anzi ne è pieno (Lc 4,1), per cui lo dona, per vincere tutte le potenze del male (Mc 1,24; Lc

4,34) e lo manifesta con le sue opere e dottrina. Esse sono i segni inequivocabili della sua santità. InGiovanni l'espressione "Santo di Dio" sottolinea che Gesù possiede gli stessi attributi di Dio (Gv 6,69;Ap 3,7; 6,10), ha parole di vita eterna, rivela il Padre (6,68; 14,9), dona lo Spirito (1Gv 2,20). Davantia lui ci si sente peccatori come davanti a Dio. (Lc 5,8).

È pure Santo come il "Servo" di Dio (At 4,27.30), che porta a compimento la missione del servo,nell'obbedienza, sofferenza e offerta della propria vita, come sacrificio di salvezza e riconciliazione(At 3,14; 1Pt 1,18) a favore di tutti gli uomini (At 4, 10-12; Rm 3,21-24). Per questo Dio lo ha esaltato(Fil 2,9) e risuscitato secondo lo Spirito di santità (Rm 1,4). L'opera salvifica e santificatrice di Gesùraggiunge la sua pienezza nella risurrezione, nella quale è "costituito Figlio di Dio con potenza,secondo lo Spirito di santificazione" (Rm 1,4). Con la pienezza dello Spirito Santo riceve dal Padre la

 potenza di effonderlo, come fonte di ogni santificazione (Gv 7,37-39). Asceso alla destra del Padre

(Mc 16,19), può essere chiamato "il Santo", come il Padre (Ap 3,7; 6,10). Egli è colui che santifica icredenti in lui, perché li introduce nella propria vita divina (Eb 2,10-11). La sua santità è identica aquella del Padre (Gv 17,11), di cui condivide la potenza spirituale, la stessa misteriosa profondità e lemanifestazioni prodigiose. La sua santità lo spinge ad amare i suoi, fino a comunicare loro la gloriaricevuta dal Padre e a sacrificare la propria vita perché anch'essi siano santificati. È così che mostra lasua santità (Gv 17,19-24).

Il suo sacrificio, a differenza di quelli dell' Antico Testamento, santifica i credenti in lui, nella verità(Gv 17,19), perché comunica loro la santità vera. Essi partecipano veramente alla vita di Cristo risorto,mediante la fede e il battesimo, che conferisce loro "l'unzione che viene dal Santo" (1Co 1,30; Ef 5,26;1Gv 2,20). Sono quindi "santi in Cristo" (1Co 1,2; Fil 1,1) per la presenza dello Spirito Santo in loro(1Co 3,16; Ef 2,22), battezzati nello Spirito Santo, come aveva predetto il Battista (Lc 3,16; At 1,5;

11,16). Il termine "Santo" riferito a Dio, designa soprattutto lo Spirito Santo, agente principale dellasantificazione, che colma le comunità con i suoi doni e carismi, con un'ampiezza e universalità assaimaggiore rispetto all' Antico Testamento. Questo perché la resurrezione di Cristo compie i tempimessianici (At 2,16-38).

4. Santità, santificazione e giustificazione in S. Paolo

Santità e santificazione sono considerate da Paolo con particolare attenzione e profondità. Eglisottolinea con forza che i cristiani sono santi e devono santificarsi, per il fatto che Dio è infinitamentesanto ed esige la santità. Le motivazioni per santificarsi sono soteriologiche, escatologiche ed etiche. Icredenti devono condurre una condotta pura e santa perché, salvati da Cristo, devono farsi trovareirreprensibili al suo ritorno. Non vi sono invece accenni cultuali. Sono innumerevoli i testi in cui Paolosi rivolge alle comunità cristiane chiamando "santi" i loro membri. In certi casi "santo" è il popolo diDio (1Co 3,17; Ef 2,21). La santità è, insieme, una condizione e un processo che coinvolge il credente,ad opera di una o più delle Persone divine (Rm 15,16; 1Co 1,2; 1Ts 5,23; Ef 5,26). Il verbo hagiazo,che indica il modo corretto di vivere, ha sempre una di loro come soggetto. Gli esegeti della Riforma

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hanno molto enfatizzato il tema della giustificazione. La loro precomprensione ha condizionato ilrapporto fra giustificazione e santificazione, dando luogo a due interpretazioni: a) la santificazione è laconseguenza della giustificazione; b) le due realtà e i due concetti vengono a sovrapporsi. Nel primocaso la santificazione non sarebbe altro che la conseguenza, lo sviluppo e l'attualizzazione dellagiustificazione.

A prova di ciò si adducono i testi in cui Paolo dice ai credenti di vivere in modo da piacere a Dio(1Ts 4,1-5,22), perché Egli vuole la loro santificazione (1Ts 4,3). Inoltre nella parenesi paolina la parteetica segue sempre quella dogmatica ed è motivata dalle esigenze escatologiche (essere irreprensibili

 per la venuta del Signore). I cristiani devono vivere in un'atmosfera permeata di santità. Viene puresottolineata la diversità che intercorre fra i termini di hagiosyne e hagiasmos. Il primo designa lo stato di santità, il secondo il processo attivo che porta ad essa. Paolo usa il primo per spiegare ai cristiani inche stato si trovano, mentre usa il secondo per invitarli a progredire nella vita gradita a Dio. Laseconda interpretazione vede la giustificazione e la santificazione come concetti sovrapposti, di cui ilsecondo avrebbe un valore più soteriologico che etico. Al di là di tali specificazioni, si sottolinea,tuttavia, che la concezione che Paolo ha della giustificazione e della santificazione è molto complessa,

 per cui la loro connessione diviene ancora più intricata e risente molto dei contesti in cui viene espostao applicata. Rimane quindi plausibile l'idea complessiva che la santificazione comprenda sia il trovarsi

in una condizione di santità che il dovere vivere in modo da crescere nella santità.Se si vuole ulteriormente specificare, si può dire che la giustificazione mette in evidenza la

situazione iniziale del credente come "conversione", ma comporta e contiene pure la vita in CristoGesù nostro Signore (Rm 6,23). La santificazione contiene il momento iniziale della conversione, macostituisce il fine cui il credente deve tendere, ossia la vita eterna (Rm 6,22-23). Si potrebbe pure direche la santificazione rappresenta il livello più alto della giustificazione. Questa idea si accorda beneall'esegesi abituale dei capitoli 6-8 della lettera ai Romani, che parlano della vita del credentegiustificato, in termini di santificazione. Il termine impurità, in questi casi, si oppone a  giustizia  edequivale a iniquità. Parlando di santificazione, Paolo esorta a un comportamento corretto in vista delritorno di Cristo e in Rm 6 e 1Ts 4 esprime la santificazione o perfezione dei credenti come processoin corso, operato da Dio mediante lo Spirito. Per questo esorta i singoli e le loro Chiese alla lotta

incessante, per mantenersi saldi in Cristo. Inoltre, propone santificazione e perfezione come mete da perseguire sempre (Rm 6,2.12; 2Co 9,27; Fil 1,6; 2,12-18; 3,12-15), perché saranno complete solo alritorno di Cristo (1Ts 3,13).

Quanto all'unione, in certi casi, del termine "Santo" a "Spirito", sembra che Paolo intenda dire checome lo Spirito, che realizza l'opera divina, è santo o al completo servizio di Dio, così il credente sisantifica nella piena dedicazione di sé a Dio3. L'aggettivo "Santo" indica che lo Spirito è la personadivina che realizza la santità divina del popolo della nuova alleanza. È lui che comunica la vita delPadre e del Figlio, effonde il loro amore nel cuore dei credenti, (Rm 5,5) conferendo loro lacondizione di figli (Rm 8,14). La sua presenza è permanente, perché i redenti sono templi suoi e diDio (1Co 6,11.20), in comunione con lui (2Co13,13). I credenti sono suoi testimoni e profeti (Lc 1,15;7,28), abilitati a testimoniare la santità di Dio con la loro fede, speranza, carità e carismi, distribuiti per

l'utilità comune (1Co 12,4-11). In questo modo la Chiesa si edifica nell'amore (Ef 4,15-16.30). Eglirende i credenti conformi a Cristo risorto (Rm 8,11) ed è garanzia e caparra della loro risurrezionefutura, che completerà la loro dignità di figli di Dio (Rm 8, 23; Fil3,20-21; 1 Gv 3,1-2). Poiché loSpirito compie tutto ciò nei credenti, coloro che si chiudono a lui e gli resistono rifiutano la salvezzache il Padre offre agli uomini (Eb 10,29). Questo è il peccato contro lo Spirito Santo di cui ha parlatoGesù (Mt 12,31).

5. Santità e Chiesa

Per quest'azione universale dello Spirito, che libera l'uomo dai suoi peccati (At 2,38-39; Gv 20,22-23) e lo inserisce nella comunità dei santificati dal "sangue dell'alleanza" (Eb 10,29), il termine"santi", da eccezionale che era nell' Antico Testamento  e riservato egli eletti dei tempi escatologici, ènel  Nuovo  applicato a tutti i cristiani. Dapprima i membri del piccolo gruppo della Pentecoste (At9,13; 1Co16,1; Ef 3,5), poi la comunità primitiva di Gerusalemme, i fratelli della Giudea (At 9,31-41)e infine tutti i fedeli (Rm 16,2; 2Co 1,1; 13,12). Lo Spirito li rende partecipi della santità divina, veranazione santa e sacerdozio regale. Ricolmandoli della presenza del Dio tre volte santo, li rende

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"tempio santo del Signore" (Ef 2,21), "edificio spirituale" (1Pt 2,5), "tempio del Dio vivente" (2Co6,16; 1Co 3, 16-17), "tempio dello Spirito" (1Co 6,19). Guidati da lui i cristiani, frutto della sua azionesantificatrice (Gal 5,22), rendono a Dio il vero culto, offrendosi a lui in Cristo, come sacrificio santo(Rm 12,12; 15,16; Fil 2,17). La loro santità, che deriva dall'elezione (Rm 1,7; 1Co 1,2), esige dirompere con il peccato e i costumi pagani (1Ts 4,3), operando secondo la santità che viene da Dio enon secondo la saggezza della carne (1Co 6,9; 2Co 1,12; Ef 4,30-5,1; Tt 3,4-7; Rm 6,19). Il cristiano,afferrato da Cristo, deve comunicare a tutte le sue sofferenze e alla sua morte, per giungere allarisurrezione (Fil 3,10-14).

Finora la santità lotta col peccato e i santi devono santificarsi per essere pronti al ritorno delSignore (1Ts 3,13; Ap 22,11), glorificato in mezzo ai suoi santi (2Ts1,10; 2,14)4. La Grazia delloSpirito è il fondamento etico-morale della nuova alleanza, in cui l'uomo è invitato a essere perfettocome il Padre celeste (Mt 5,48), imitatore di Dio come figlio carissimo (Ef 5,1), che ama con lo stessoamore di Cristo (Gv 13,34-35; 15,12-13; Rm 15,7; Ef 5,2; Fil 2,5). Ciò è impossibile all'uomo, ma è

 possibile a Dio (Mt 19,26; Mc 10,27; Lc 18,27), per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù (Eb 10,10).In questo modo, per il cristiano, l'amore, che si attua nell'offerta di sé per i fratelli, diviene la continuaepifania della divina santità salvifica e testimonia la risurrezione di Cristo, già attiva nella Chiesa (Gv13,35; Gal 5,6; 6,15). La Chiesa, comunità della nuova alleanza, è il popolo santo, sacerdotale, eletto e

chiamato a proclamare le meraviglie della santità divina (1Pt 2,9-10). È la famiglia dei santi (Rm 1,7;1Co 1,2), la sposa santa e immacolata, che Cristo col suo amore rende vergine e rinnova nella fede ecarità. La santità della Chiesa appare in tutti i suoi membri santi e immacolati (Ef 1,4), perché figli diDio ed eredi della risurrezione (Rm 6,4). La loro santità è dono di Dio, condizione attuata dalla suagrazia salvifica, apparsa in Cristo e posta in opera dallo Spirito Santo (1Co 6,11).

Per questo il battezzato, pur vivendo nel mondo, non è più di questo mondo (Gv 17,14) ecaratterizza la sua vita con le prove, la lotta, l'ascesi continua. I credenti, già santi ma non ancora deltutto, si santificano sempre più (2Co 7,1) nella docilità allo Spirito, che li apre all'amore del Santo cheli santifica. In questo modo lo Spirito Santo li unisce al Risorto, li trasfigura nella sua immaginegloriosa (2Co 3,18), li fa vivere in Cristo e Cristo in lui (Gal 2,20). La Chiesa, già raggiunta dallarisurrezione salvifica di Cristo (1Co 13,13; Rm 5,45) mediante il battesimo, con ogni eucaristia si

unisce sempre più strettamente al Risorto, si disseta al suo Spirito (1Co 12,13) e cresce nella speranzadella piena santità, allorché Dio sarà tutto in tutti (1Co 15,28). L'invocazione "Vieni Signore Gesù"(Ap 22,17) e l'ammonizione "il santo sia santificato ancora" (Ap 22,11) chiedono a Dio di potercrescere sempre nella carità operosa (Tt 3,8), nella testimonianza coerente della verità, della fraternitàe dell'amore, perché ogni nazione, razza, popolo e lingua, possa cantare il canto di Mosè e dell'Agnello"Tu solo sei Santo" (Ap 15,3)5.

1 J. De Vaulx, "Saint", DTBD, 1178-1181.

2 G. Odasso, "Santità", NDTB, 1419-1423.

3 S.E. Porter, "Santità, santificazione", DDP, 1390-1395.

4 De Vaulx, "Saint", 1182-1184.

5 Odasso, "Santità", 1424-1427.

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8. CENNI DI STORIA DEL DOGMA

La vita nuova, portata da Cristo, dovette confrontarsi con la tradizione religiosa dell'AnticoTestamento (ebraismo), la "pietà naturale" del paganesimo e la saggezza dei dotti, dando risposta ailoro interrogativi, affrontando incomprensioni e superando opposizioni ed errori. Il vangelo,annunciando la nuova situazione dell'uomo davanti a Dio, apriva prospettive fondamentali per lariflessione teologica: Dio che dà i suoi doni nella grazia, l'uomo che li accoglie nella fede. Nella graziae accoglienza si attuano la predestinazione, l'elezione e giustificazione, la figliolanza divina, laconformità a Cristo, la deificazione o santificazione, che conduce alla pienezza della santità. Uno dei

 primi problemi era di stabilire il rapporto in cui stanno tra loro grazia divina e libertà umana. Essoriguardava pure la redenzione, ossia il processo cosmico universale e il processo "educativo" (o

 paidéia) che ha per fine di portare l'uomo all'affinità con Dio, ossia riportarlo alla sua immagine.Riguardava pure la "ricapitolazione" (o anakephalaiosis) paolina di tutto in Cristo e in particolare la

 partecipazione (o méthexis) alla vita divina e divinizzazione (théiosis). I giudei cristiani, nel II secolo,sottolineavano soprattutto le nuove esigenze etiche1, la necessità delle opere accanto alla fede2, la fedee la carità come vincolo della Chiesa3.

1. Padri orientali e greciI Padri greci, contro il pessimismo gnostico e manicheo, muovendo dall'idea di partecipazione alla

natura divina (Pietro), della rinascita ad opera dello Spirito Santo (Giovanni) e dell'adozione (Paolo),svilupparono l'aspetto del Dio diventato uomo, perché gli uomini fossero divinizzati (Atanasio)4. Lavita nuova venne concepita come divinizzazione. I padri impegnati nella lotta contro la gnosi: Ireneo,Clemente Alessandrino, Origene intesero la divinizzazione come conformazione a Cristo, attuata dalloSpirito Santo, che non è solo l'ospite delle anime o della Chiesa, ma il principio della vita divina edell'unità interiore. Gli alessandrini Clemente e Origene sintetizzarono l'economia della grazia nelladeificazione  (theopoiesis) e nel nostro essere, per grazia, ciò che Cristo è per natura, come disse poiGiovanni Damasceno, ricapitolando tutti i loro insegnamenti5. La dottrina orientale della graziaraggiunse il suo maggiore sviluppo nelle controversie trinitarie e cristologiche dei secoli IV e V.Rigenerazione, adozione, dono dello Spirito Santo, sua presenza attiva nelle anime e nella chiesa,

 partecipazione in Cristo alla natura divina, vennero sostenute abitualmente.

I Padri orientali sostenevano la deificazione  (theiosis) o divinizzazione, come base per dimostrareche Cristo e lo Spirito, mediante la grazia, ci rendono veramente partecipi della natura divina. Sono,quindi, vero Dio perché, per poter divinizzare i cristiani, devono essere persone divine. La sintesi piùvigorosa è quella di Cirillo di Alessandria. Il Verbo si è fatto uomo per divinizzare gli uomini e hariempito di sé l'umanità intera. Il principio santificatore è lo Spirito Santo, che col battesimo ciassimila al mistero di Cristo, per morire e risorgere con lui. L'uomo, così, diventa figlio di Dio e

 partecipe della natura divina. Quest'impostazione rappresenta anche oggi il cuore del trattato sullagrazia nella teologia orientale. Lo Spirito Santo unisce tutti i fedeli tra loro e in Cristo, in modo daformare un tempio o un unico corpo che aspetta la risurrezione gloriosa, come coronamento dellasantificazione e divinizzazione6. I Padri orientali rimasero sempre fedeli alla loro presentazione della

grazia come stato di comunione con Dio.

2. Padri occidentali o latini

I Padri occidentali o latini, come Ilario e Ambrogio, a partire da Clemente Romano, cheevidenziava i frutti e benefici della grazia (vita immortale, splendore di giustizia, libertà nella verità,fede fiduciosa, purezza di santità)7, sottolinearono maggiormente l'aspetto dinamico e antropologicodella grazia. Le differenze d'impostazione e sistemazione cominciarono con la controversia pelagiana.Pelagio, agli inizi del V secolo, muovendo da una posizione naturalistica, che si risolveva nella pretesadi un'autonomia assoluta dell'uomo da Dio, negava che: 1) la volontà umana fosse stata indebolita dal

 peccato e fosse incline al male; 2) Adamo fosse in uno stato superiore a quello in cui si trovarono gliuomini dopo il peccato; 3) il soccorso della grazia interna fosse necessario per resistere al male e

operare il bene. Per contro asseriva che l'uomo, con la sua libera volontà, può attuare tutti i precettidivini e, di conseguenza, essere giusto davanti a Dio. I suoi seguaci (pelagiani), per incentivare neicristiani l'impegno morale, sostenevano un'etica naturalistica, che esaltava la capacità dell'uomo diconseguire la grazia con le proprie forze. Anch'essi, quindi, affermavano che tra lo stato dell'uomo

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 prima del peccato e quello dopo il peccato non vi è differenza sostanziale e che il peccato originalenon avrebbe tolto nulla di quanto l'uomo aveva prima, ma sarebbe stato solo un cattivo esempio. Laredenzione di Cristo, quindi, non avrebbe ridato nulla, ma solo riparato il cattivo esempio, per cuil'uomo poteva conquistare, con le sue sole forze, la vita eterna.

Contro Pelagio, Agostino oppose che: prima del peccato originale, c'era la grazia; dopo il peccato,

essa è necessaria per non peccare e perseverare nell'amicizia con Dio; la grazia non è opera dell'uomoma dono gratuito di Dio; Dio opera nella sfera della libera volontà senza intaccarla. Difese, quindi,l'assoluta necessità della grazia di Cristo che, nel giustificare l'uomo decaduto, gli rende la libertà,l'amore, il gusto del bene e della giustizia8. Approfondì, inoltre, tutti gli elementi della tradizionegreca: abitazione di Dio nei giusti, partecipazione alla natura divina, inserimento in Cristo. Impostò

 pure la tematica della grazia in rapporto all'agire morale dell'uomo. La sua preoccupazione didifenderne il primato, l'efficacia e la gratuità assoluta lo portò, tuttavia, a impostare nello stesso modoil tema della predestinazione, lasciando nell'ombra la volontà salvifica universale di Dio e non dandosufficiente rilievo alla libertà dell'uomo. Da ciò, in seguito, sarebbero derivati alcuni inconvenienti.

 Nel 418 il concilio di Cartagine condannò gli errori pelagiani e ribadì che la grazia che giustifical'uomo: 1) non solo rimette i peccati, ma è un soccorso che consente di evitarli; 2) non solo ci faconoscere ciò che dobbiamo fare o evitare, ma ci fa amare e osservare i comandamenti divini e ci

rende capaci di compiere azioni salutari; 3) non è data per renderci più facile, ma possibile, compiere i precetti divini. Ciò significa, quindi, la necessità assoluta della grazia. La condanna di Pelagio fuconfermata da Papa Zosimo (DS 225-230).

Sempre nel V secolo, prima in Africa (427), poi nel sud della Gallia (Francia) e altrove, alcuniteologi, fra cui Cassiano (430-435) e Vincenzo di Lerino (435) diffusero idee pelagiane attenuate,dette perciò  semipelagiane. Sostenevano la necessità della grazia per la giustificazione, ma non perl'inizio della fede, ponendone l'iniziativa nelle mani dell'uomo. Tentavano di conciliare le dottrine diAgostino e Pelagio, dicendo che, nell'opera della grazia, Dio e l'uomo collaborano come "cause

 parziali" (sinergetismo). Tali idee le fondavano sul principio delle volontà salvifica universale di Dio. Nel secolo VI, le loro dottrine furono combattute da Cesario di Arles (543), mentre il Concilio diOranges (529), confermato e approvato dal Papa Bonifacio II (531) (DS 373-375) le condannò. La

dottrina cattolica ribadì l'assoluta necessità della grazia divina per tutti gli atti con i quali l'uomo sidispone alla giustificazione. Come già detto, alcuni aspetti della teologia di Agostino finirono pergenerare alcune difficoltà tanto che, nella teologia carolingia, sorse una controversia sul suo pensieroriguardo alla predestinazione. Agostino, infatti, negli ultimi anni, preoccupato di difendere l'efficaciadella grazia e l'assoluta gratuità della predestinazione, lasciò in ombra la volontà salvifica universale enon diede sufficiente rilievo alla libertà dell'uomo. Al di là di queste lacune e di un certo rigorismo, lasua dottrina sulla grazia divenne la fonte della riflessione teologica occidentale9.

Va pure ricordato Leone Magno (V secolo), per la sua dottrina sulla grazia, come partecipazionealla figliolanza di Cristo. Raccogliendo il pensiero dei Padri latini, sottolineò la figliolanza comenuova nascita e nuova vita, ricevuta con la fede e il battesimo. La grazia è partecipazione alla vita diCristo, come il battesimo è partecipazione alla sua morte e risurrezione. La morte di Cristo, infatti, non

fu un evento puramente biologico, ma la libera decisione con cui prese su di sé la morte più ingiusta ecrudele, nell'obbedienza d'amore al Padre. L'effetto di ciò permane indelebile nella sua natura umana, per cui la sua risurrezione, operata da Dio, rimane la sua azione più perfetta. Essa è per sempresuperiore a ogni azione che un essere umano possa compiere sulla terra e ha impresso, nella naturaumana di Gesù, un'impronta che rimane incancellabile per tutta l'eternità. È l'impronta che pone lavolontà del padre, sempre e in tutto, al primo posto. La grazia del cristiano è la partecipazione a questagrazia di Cristo per cui, senza la sua incarnazione che rende cristiformi, la partecipazione alla naturadivina sarebbe impossibile.

È chiaro, quindi, già dai primi secoli e nei primi padri, che l'uomo diviene santo per la morteredentrice di Cristo, che ne cancella i peccati e lo rende giusto. Questa giustificazione è unrinnovamento interiore, che facendo abitare Dio nell'uomo, ci rende partecipi della vita divina e ciconferisce una nuova attività soprannaturale. Tale dottrina permase nei secoli che seguirono. Nella

riflessione successiva, soprattutto medievale, sorsero invece numerose questioni, centrate sullasantificazione dell'uomo, che attenuarono gradualmente il vigore della posizione agostiniana, centrata

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 prevalentemente sull'amore giustificante di Dio. Le successive polemiche restrinsero alquanto la prospettiva, rispetto alla ricchezza e complessità dei dati finora esaminati.

3. Controversie, eresie, decisioni conciliari

A notevole distanza di tempo da pelagiani e semipelagiani, le occasioni di maggior attrito sui temi

della grazia vennero dalle posizioni di Lutero, Calvino, Baio, Giansenio e i seguaci del razionalismo eimmanentismo. Con Lutero, Calvino e Zwinglio, tuttavia, il dibattito si poneva esattamente agliantipodi del pelagianesimo. Erano intercorse, nel frattempo, le scissioni nominalistiche, quelle fra fedee scienza, natura e soprannatura, la tensione fra teologia dotta e pietà monastica e popolare,l'abbandono della scolastica a favore dell'umanesimo ecc. Tutto questo contribuiva, da parte deiriformatori, a riformulare una nuova dottrina della grazia, che collocava la giustificazione dell'uomonella predestinazione assoluta di Dio (Calvino, Zwinglio) o nell'imputazione dei meriti di Cristo a unuomo che rimarrebbe, sempre e comunque, peccatore (Lutero). Ciò che la teologia medievale avevaelaborato sulla grazia creata e i suoi mezzi (sacramenti), in queste dottrine andava perduto. Essesostenevano che, dopo il peccato originale, la natura umana è completamente corrotta e soggetta allaconcupiscenza, la volontà radicalmente incapace di atti buoni, il libero arbitrio inesistente. L'uomo non

 può essere, né diventare, giusto davanti a Dio. La giustificazione è una semplice imputazione della

giustizia di Cristo.Contro tali errori, il Concilio di Trento definì la dottrina della Chiesa sulla realtà della grazia

interna,  santificante  (abituale), attuale  e  soprannaturale. Il decreto " De iustificatione" sottolineòdettagliatamente, dal punto di vista teologico, la gratuità assoluta della prima grazia e della

 perseveranza. Espose la preparazione, lo sviluppo e gli effetti dell'evento, nel quale l'uomo è risanatodal peccato e santificato da Dio. Nella sessione VI, ai capitoli 6 e 7, sancì che la grazia santificante ècausa formale della nostra santificazione, ossia che Dio produce nella nostra anima la giustizia,rinnovandoci e facendoci veramente santi (cap. 7). La grazia e la carità sono diffuse nel nostro cuore ead esso aderiscono, per opera dello Spirito Santo (can. 11). La grazia è una realtà soprannaturaleoperata da Dio nell'intimo dell'anima e la sua realtà è comprovata dai suoi effetti formali, ossia lafiliazione adottiva e il diritto alla vita eterna, che costituisce il merito. Sempre nella sessione VI,

capitolo 7, definì che la santificazione (o grazia santificante) ha come causa finale la gloria di Dio e diCristo e la vita eterna per l'uomo; causa efficiente è Dio che purifica e santifica; causa meritoria  èCristo con la sua redenzione; causa strumentale  è il sacramento del battesimo, causa formale  è lasantità e giustizia con cui Dio ci giustifica, rendendoci veramente santi10.

 Nel XVI secolo, il teologo Michele Baio (1513-1589), appellandosi a S. Agostino, insegnava chel'uomo decaduto, senza la grazia, è incapace di fare atti onesti, per cui necessariamente pecca in tuttele sue azioni, anche nel tendere alla virtù. Sosteneva, inoltre, che l'influsso salvifico di Dio era dovuto alla natura umana, quindi era puramente naturale. Anche riguardo alle sue dottrine la Chiesa dovettericonfermare la vera fede sulla grazia, condannando, nel 1567, 79 sue proposizioni. Nel secolo XVII, ilvescovo Giansenio (1638) sostenne una dottrina, sintetizzata in alcune tesi condannate nel 1653 (DS2001-20007) e, con maggior solennità, dalla Bolla Unigenitus del 1715. Questi gli errori principali: la

grazia ad Adamo era dovuta; le virtù dei pagani sono soltanto vizi; umanità e uomo, anche in stato digrazia, sono soggetti alla concupiscenza peccaminosa; è possibile peccare anche senza libertà interioredi scelta; Gesù è morto solo per gli eletti, mentre la massa rimane dannata. L'ultima affermazionecontraddiceva direttamente due verità fondamentali della Scrittura e della fede: 1) la volontà salvifica

universale di Dio, che vuole che tutti si salvino (1Tm 2,3-6); 2) l'universalità della Redenzione  diCristo, morto veramente per tutti (2Co 5,14).

La dottrina della Chiesa ribadiva di nuovo che: gli effetti principali della grazia sono lagiustificazione e il merito; la giustificazione è non solo l'effettiva liberazione dal peccato, ma anche lavera partecipazione alla natura e vita divina; il merito è il dono col quale Dio ci consente di crescerenella grazia e produrre frutti soprannaturali mediante le buone opere che la sua grazia consente diattuare. Precisava pure l'esigenza di amare Dio per se stesso e non solo come causa della propriafelicità11. La lotta contro le dottrine di Baio, Giansenio e Quesnel portò alla formazione del concetto dinatura pura, che considera la natura umana senza la grazia e senza le conseguenze del peccatooriginale. Esso, però, causava un certo estrinsecismo, contro il quale avevano già reagito, nella Spagnadel 1500, i grandi mistici (S. Teresa d'Avila e S. Giovanni della Croce) e, nella Francia del 1600, la

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scuola francese (de Bérulle, S. Francesco di Sales) e l'Oratorio, sottolineando una devozionecristocentrica.

4. Sviluppi più recenti

Abbiamo pure ricordato il razionalismo e l'immanentismo che, negando ogni ordine soprannaturale,

negavano indirettamente pure la grazia12

. Il moralismo pedagogico dell'illuminismo e le dispute che loseguirono contribuirono a un certo estrinsecismo della dottrina della grazia, contro il quale, in tempi più recenti reagirono varie correnti spirituali quali la devozione a Cristo (D. Marmion, R. Guardini), lamistica della trinità (J. Alfaro), la dottrina dei misteri (O. Casel) e l'inabitazione dello Spirito Santo (H.Volk). Queste nuove impostazioni contribuirono ad allargare notevolmente le tematiche sulla grazia.Alcuni aspetti riguardanti la grazia vennero trattati anche nelle encicliche di Pio XII, comel'inabitazione della Trinità, nell'enciclica  Mystici Corporis (1943) e la soprannaturalità dell'ordine disalvezza, nell'enciclica  Humani Generis  (1950). Il Concilio Vaticano II , nella costituzioneSacrosanctum Concilium (1963) ha presentato la liturgia come fonte di ogni virtù e grazia, mentre ildecreto Perfectae Caritatis (1965) descrive i consigli evangelici come mezzo per raggiungere la carità

 perfetta. La grazia vi è sottolineata come libero dono di Dio, in forza del quale l'uomo diviene figlio diDio, tempio dello Spirito Santo, partecipe della vita e natura divina13. In risposta alle obiezioni della

cultura moderna, i teologi più recenti tendono a sottolineare che la grazia sostiene, anziché ledere, lalibertà umana. Accompagnando il cristiano nel suo cammino progressivo verso la pienezza e la

 perfezione, lo rende sempre più libero della vera libertà dei figli di Dio (Gv 8,36; Rm 8,21), quindi lofa sempre più capace di trasformare il mondo e di attuarvi i compiti e le responsabilità che il Signoregli affida14.

1  Did., 1-6; Barn., 18-21.

2  I Clem., 32-35.

3  Ignaz. Ef ., 14.

4 Oratio de Incarnatione, 54.

5  De fide orthodoxa, IV, 8.

6 A. Beni, G. Biffi, La grazia di Cristo, Torino 1974, 41.

7  Epist. Ad Cor., 35-46.

8 H. De Lubac, Agostinismo e teologia moderna, Bologna 1968.

9 Nel corso dei tempi vi furono diversi interventi per chiarire l'autorità della dottrina di Agostino ed evitare

esagerazioni o abusi del suo enorme prestigio, cf: Ep. "Apostolici verba" ad episcopos Galliarum, Maii 431 (DS

237); Ep. "Sicut rationis" ad Possessorem episc. Afrum., 13. Aug. 520 (DS 366); Bonifatius II Ep. "Per filium

nostrum" 25. Ian 531 (399), ai più recenti, cf Pius XI L. enc. "Ad salutem", 22. Apr 1930 che ricorda: "Augustini

loquentis auctoritas supremae ipsi Ecclesiae docentis auctoritati anteferatur" (AAS 22 (1930), 204). Cf A. Beni,

"Grazia", NDT, 598.

10 P. Parente, "Grazia", EC, VI, 1023-1026.

11 K. Rahner, H. Vorgrimler, "Merito", DDT, 385-386.

12 J. Van der Meersch, "Grace", DTC, VI, 2, 1570.

13 Beni, "Grazia", 599.

14 Beni, "Grazia", 605.

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9. CONVERSIONE, GIUSTIFICAZIONE, GRAZIA, DEIFICAZIONE, INABITAZIONE

1. Conversione e giustificazione

Il tema della giustificazione, fortemente enfatizzato dai teologi riformati, nella Chiesa cattolica nonha mai costituito il centro dei problemi relativi alla grazia. Rispetto ad esso il Concilio Vaticano II  hasottolineato maggiormente la santificazione e la santità. Ciò che conta, comunque, è porre Dio alcentro della vita e del pensiero umano e mettere ordine nella vita umana, riconoscendo che l'iniziativadi Dio è sovrana, viene prima e che l'azione umana è insufficiente senza la grazia. Questi aspettiappaiono chiaramente nell'impostazione sistematica del trattato sulla Grazia  esposta nel Catechismo

della Chiesa Cattolica. Iniziando con la  giustificazione  (nn. 1987-1995), pone la conversione come prima azione della grazia divina che opera la giustificazione. Mediante la conversione "l'uomo si volgeverso Dio e si allontana dal peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall'Alto" (n. 1989).Riconferma, quindi, che la giustificazione, secondo la definizione del Concilio di Trento: "non è soloremissione dei peccati" e ribadisce che è "anche  santificazione e rinnovamento dell'uomo interiore,attraverso l'accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l'uomo da ingiusto diviene giusto eda nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna (Tt 3,7)" (n. 1989)1.

La dottrina cattolica sottolinea chiaramente che lo  stato d'ingiustizia e inimicizia con Dio, propriodel peccatore, è causato dal peccato originale o dai peccati personali. Il passaggio allo stato di giustizia

e amicizia con Dio, quindi, comporta: 1) la remissione vera e propria dei peccati; 2) il rinnovamentointeriore dell'uomo, reso giusto, amico di Dio, erede della vita eterna e capace di merito. Il Catechismo

della Chiesa Cattolica cita S. Atanasio per sottolineare che con la giustificazione "entriamo a far partedella natura divina" e che "lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa presente2. La vocazione alla vitaeterna dipende interamente dall'iniziativa gratuita di Dio, poiché egli solo può rivelarsi e donarsi.Inoltre, è  soprannaturale  perché supera tutte le capacità di ogni creatura, quindi anche quelledell'intelligenza e della volontà dell'uomo (n. 1998).

2. Preparazione alla giustificazione

L'attenzione rivolta alla conversione, come prima azione della grazia e preparazione allagiustificazione, ci porta a riflettere sulla parola del vangelo che meglio esprime questa realtà: lametanoia. Possiamo sintetizzare i vari aspetti del capitolo 15 di Luca (le tre parabole dellamisericordia: pecora, dracma e figlio perduti) in questi punti. L'uomo deve compiere un lungo e arduocammino di distacco e di separazione dal peccato, per camminare verso Dio e Cristo. Tale camminocomporta un'avversione al peccato, una conversione a Dio e un incontro con Cristo, che dà laremissione dei peccati e la nuova vita. Il Concilio di Trento, nei capitoli 5,6,8 del decreto sullagiustificazione aveva chiarito bene che la grazia comincia il cammino verso la giustificazione,l'accompagna e lo sostiene. A sua volta, durante tutta la preparazione, l'uomo deve corrisponderle,facendo così la sua parte. La necessità della preparazione è fondata, non nell'essenza dellagiustificazione, ma nella natura umana che deve essere conscia di ciò che fa. Tale consapevolezza siha nell'adulto. Nel bambino si risveglia al momento in cui sa rendersi conto di ciò che i suoi genitori

hanno fatto sorgere in lui. È nel momento della decisione, positiva e consapevole, che lagiustificazione diviene da puramente donata, effettivamente accolta. Per questo è necessario che gliadulti, che fanno battezzare i bambini, siano consapevoli della necessità di tale accoglienza. Essidevono dare pure una fondata speranza di educare bene il bambino nella fede cristiana.

Paolo descrive la remissione dei peccati come una "raschiatura" a fondo, per cui essi non esistono più (Col 2,14). La descrive pure come un "lavaggio", che cancella definitivamente ogni macchia (1Co6, 9-11). Essa comporta, inoltre, un rinnovamento interiore profondo. "Mediante il lavacrorigeneratore e rinnovatore dello Spirito Santo" (Tt 3,5) l'uomo è generato di nuovo, rinasce (Gv 3,6),riceve una nuova vita: quella divina. La giustificazione ci trasforma talmente, da fare di noi nuovecreature (Gal 6,15; 2Co 5,17). Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica i nn. 1990-1995 a spiegarein che cosa consista e che cosa significhi la giustificazione. Essa: 1) separa l'uomo e ne purifica il

cuore dal peccato, liberandolo e guarendolo dalla sua schiavitù (n. 1990); 2) fa accogliere la giustiziadi Dio, ossia la rettitudine dell'amore divino, infondendo fede, speranza, carità e obbedienza allavolontà divina (n. 1991); 3) stabilisce la collaborazione fra la grazia di Dio e la libertà dell'uomo (n.1993); 4) implica la santificazione di tutto l'essere (n. 1995). Per questi motivi, essa è l'opera più

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eccellente dell'amore di Dio (n. 1994), dell'infinito amore e misericordia del Padre, meritataci dallaPassione del Figlio Gesù Cristo (n. 1992), affidata all'azione del maestro interiore che è lo SpiritoSanto (n. 1995). La giustificazione comporta l'adozione. Essa, nel linguaggio comune, significal'accoglienza e l'aggregazione di una persona estranea in una famiglia, con gli stessi diritti ai beni(eredità), propri dei figli naturali.

Essa presuppone la comunanza di natura (l'uomo non può adottare un animale). Dio, pertanto,adottandoci come figli, ci fa partecipi della sua stessa natura divina. Per questo, Scrittura e Tradizione parlano di deificazione, nella quale l'uomo, pur rimanendo uomo, partecipa alla natura divina. Paolotratta chiaramente dell'adozione in Rm 8,15-17, mentre Giovanni (1,12-13) dice che il Verbo "ha datoil potere di diventare figli di Dio" a coloro che "da Dio sono nati", ossia quanti credono in lui. Iltermine "generati da Dio" è ripetuto più volte nel  Nuovo Testamento: (1Gv 2,29; 3; 4,7; 5,1). Gesù èdetto primogenito fra molti fratelli (Rm 8,29) e di noi dice che siamo partecipi della natura divina (2Pt1,4) in senso reale. La nostra differenza dal Figlio Unigenito è che, mentre la sua generazione dalPadre è eterna, necessaria, increata e immanente, la nostra invece è nel tempo, libera, creata ed esterna.La vita divina, quindi, ci è comunicata in modo creato e la nostra deificazione è effetto di una liberagrazia, ma non della natura di Dio. Essa "ci conforma alla giustizia (santità) di Dio, il quale ci rendeinteriormente giusti con la potenza della sua misericordia" (n. 1992).

3. La grazia santificante

Approfondito l'argomento della giustificazione, passiamo ora a quello della grazia. Infatti lagiustificazione è opera della grazia di Dio, che viene definita come favore e soccorso gratuito che Dioci dà, perché rispondiamo al suo invito a diventare suoi figli adottivi e a partecipare alla sua naturadivina e alla sua vita eterna (n. 1996). Come si è detto per la giustificazione, anche la grazia è una

 partecipazione alla vita di Dio, che c'introduce nell'intimità della vita trinitaria, ci dà la vita delloSpirito, infonde in noi la carità e forma la Chiesa (n. 1997). Si tratta, dunque, di qualcosa d'intimo einteriore all'uomo, un dono creato da parte di Dio,  gratuito, ossia offerto per pura bontà, santificante,

 perché ha il potere di renderci veramente santi e di farci crescere nella nostra santificazione. Lagiustificazione, infatti, non sarebbe possibile senza l'infusione in noi di un principio soprannaturale,

creato da Dio stesso, che ci abiliti (renda capaci) a operare soprannaturalmente, da figli di Dio. Lagrazia santificante è, quindi, un dono che lo Spirito Santo effonde nei cuori e "inerisce" (dal latino in-

haerere ossia aderire e unirsi intimamente) alle nostre persone. Questo termine è già stato usato dalConcilio di Trento (DS 1561). Il Catechismo chiama la  grazia santificante o deificante, ricevuta nel

 battesimo, " grazia di Cristo" e la definisce dono gratuito che Dio ci fa della sua vita. Essa è infusanella nostra anima dallo Spirito Santo, per guarirci dal peccato e santificarci (n. 1999).

Si tratta di un dono abituale, di una disposizione stabile e soprannaturale a vivere con Dio e agire per amor suo, secondo la sua vocazione (n. 2000). Nell'operazione misteriosa della giustificazione,Dio imprime in noi l'immagine di se stesso, della sua intelligenza, volontà, verità, bontà e amore, inmodo da renderci capaci di conoscere e volere come Lui stesso conosce e vuole. La nuova naturaconferitaci ci abilita a conoscere e amare Dio come Egli stesso si conosce e si ama. La creazione attua

in noi la  somiglianza, la giustificazione attua l'immagine. Essa è creata, ma tale da rispecchiareveramente Dio. La grazia santificante può dirsi il traboccare della natura divina, che si riversa su di noie si comunica a noi, per renderci simili a Lui. Se il Figlio è l'immagine increata del Padre noi siamo lasua immagine creata, ma identica. Con la giustificazione, l'uomo, rimanendo uomo, comincia aconoscere e amare come Dio. Tutto questo si può pure esprimere con il termine  grazia creata. Lagiustificazione, tuttavia, significa molto di più, poiché oltre al dono creato, l'uomo riceve il donoincreato che consiste nell'inabitazione delle tre Persone divine nella nostra persona. Si tratta di unaloro presenza speciale: la Trinità stessa viene ad abitare nell'anima del giusto, facendo di essa il

 proprio tempio e la propria casa. Le Persone divine sono presenti tutt'e tre, anche se, nel parlarecomune, si attribuisce solo allo Spirito Santo quest'opera di amore.

4. L'inabitazione divina

In noi, Dio è presente con la sua stessa sostanza: "se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padremio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo presso di lui" (Gv 13,23). Le tre Persone divine abitanonell'anima di chi le ama. La loro presenza nell'anima dei giusti realizza le promesse e le profezie

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dell'Antico Testamento, riguardanti il cuore nuovo e lo spirito nuovo, lo Spirito divino in noi, lacapacità di custodire e attuare i decreti divini (Ez 36,26-28). La realizzazione ha superato di gran lungale antiche attese e immaginazioni. Nessuno avrebbe mai immaginato che lo Spirito di Dio potesseessere una persona divina e che sarebbe venuto ad abitare con il Padre e il Figlio nell'anima resa giustadalla grazia divina (santificante). Giustificazione, grazia santificante, inabitazione divina, sono grandimisteri rivelati, che superano la nostra comprensione. I teologi, tuttavia, hanno cercato di chiarirli inqualche modo. Per Vasquez-Galtier Dio rimarrebbe presente nell'anima del giusto per produrvi econservarvi la grazia santificante, permettendole di operare soprannaturalmente. Per altri Dio sarebbe

 presente come il conoscente nel conosciuto, poiché la grazia santificante rende l'uomo capace diconoscere e amare Dio come è in se stesso e ciò spiegherebbe perché la fede sia l'inizio della visioneintuitiva.

Più soddisfacente sembra l'esempio di Flick-Alszeghy, per i quali l'inabitazione, essendoessenzialmente l'amicizia fra l'uomo e Dio instaurata dalla giustificazione, richiederebbe unacomunione vitale, che rende necessaria la presenza di Dio nell'anima. Il Concilio di Trento ha espresso

 pure le cause della giustificazione; causa finale (o fine) è la gloria di Dio e di Cristo e la vita eterna;causa efficiente è lo stesso Dio misericordioso, che gratuitamente purifica e santifica; causa meritoria è Gesù Cristo con la sua passione, morte e risurrezione; causa strumentale è il battesimo o lavacro di

rigenerazione; causa formale è la giustizia (santità) di Dio con la quale siamo rinnovati, santificati eresi suoi figli (DS 1529). Riassumendo: la giustificazione che Cristo ci ha meritato e ci conferiscemediante il ministero della sua Chiesa è una rinascita spirituale, una nuova creazione, la deificazionedell'uomo, effetto di un'operazione misteriosa di Dio che, senza essere una generazione vera e propria,fa dell'uomo un figlio adottivo di Dio. Con essa Dio conferisce all'uomo una nuova natura, la graziasantificante e il nuovo agire da "figlio"3. Così espressa, essa specifica e approfondisce la definizionesintetica del Catechismo che abbiamo esaminato prima: "la grazia santificante è dono abituale,disposizione stabile e soprannaturale, che perfeziona la persona per renderla capace di vivere con Dioe di agire per amor suo" (n. 2000).

5. Virtù infuse, doni e frutti dello Spirito Santo

Per quanto riguarda le virtù infuse, i doni e i frutti dello Spirito Santo, appare utile seguirel'impostazione che il Concilio di Trento ha dato nel suo  Decreto sulla giustificazione al capitolo VII.Dopo la nozione della giustificazione, infatti, sottolinea che: "nella stessa giustificazione l'uomo, conla remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni, per mezzo di Gesù Cristo, nel quale èinnestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranzae la carità, non unisce perfettamente a Cristo, né rende vive le membra del suo corpo". In base a questeindicazioni, i trattati teologici avevano sviluppato la teologia delle "virtù infuse", nel contestod'assieme della giustificazione. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, invece, trattando lagiustificazione e la grazia all'inizio della vita morale, le ha spostate, assieme ai doni e ai frutti delloSpirito Santo, nel contesto delle tematiche morali, inserendole dopo  le virtù umane, all'interno dellostesso art. 7 (dedicato alle virtù), del capitolo I, dedicato alla " Dignità della persona umana" (nn.1812-1832). La grazia, invece, è stata trattata dopo, all'articolo 2 del terzo capitolo.

La successione che ne risulta, pertanto, non sembra la migliore per il tema della grazia egiustificazione, e forse neppure per la teologia morale, poiché pone in primo luogo le virtù umane (nn.1804-1809), mentre fa loro seguire quelle divine o teologali (nn. 1812-1829), relegando soltantoall'ultimo i doni e i frutti dello Spirito Santo (nn. 1830-1832). Per di più, i richiami alla grazia sonosolo pochi e brevi, mentre nessuno è fatto alla giustificazione. Sembrerebbe, quindi, teologicamente

 preferibile l'impostazione del Concilio tridentino, che rendeva più chiaro lo stretto collegamento cheintercorre fra giustificazione, grazia, virtù infuse, doni e frutti dello Spirito, esprimendo meglio il lorocarattere e, soprattutto i ruoli e funzioni svolti da ciascuno di essi, nel contesto della giustificazione,della grazia, della santificazione e dell'impegno etico/morale. È importante, quindi, sottolineare beneche la grazia non è l'unico dono né l'unica realtà infusa nella giustificazione ma che, assieme a questa ein forza di essa, Dio infonde pure le virtù teologali  (forze divine) ossia la fede, speranza e carità. I

teologi usano un esempio significativo per spiegarne il ruolo e la funzione. Dicono, infatti, che comel'intelligenza e la volontà sono le facoltà o principi indispensabili all'uomo per vivere, conoscere eagire umanamente, così le virtù teologali sono le facoltà o principi indispensabili al cristiano per agirecristianamente, ossia da figlio adottivo del Padre4.

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Questi principi o forze, pertanto, devono essere permanenti come la grazia e sono dette o definitecome virtù, secondo la classica definizione delle virtù come "abiti" (habitus). Sono dette pureteologali, perché riguardano specificamente Dio e la vita divina. Esse sono infuse da Dio (Gal 5,5) e

 permanenti, perché indispensabili. Devono, quindi, rimanere nei giustificati e di fatto vi "rimangono"(1Co 13,13; cf. 1Ts 1,3; 5,8) come fondamento di tutta la vita di grazia (Rm 5,1-5). Sono esse checonsentono di conoscere e comprendere il mistero di Cristo e conseguire il fine soprannaturale al qualeil Padre ci ha destinati. Per raggiungere il fine, tuttavia, occorre conoscerlo e per questo è necessaria lafede. Inoltre, non basta conoscerlo, ma occorre avere pure la ferma fiducia di raggiungerlo e perquesto è necessaria la speranza nell'aiuto di Dio. Infine, per raggiungerlo, bisogna soprattutto amarlo e

 per questo è necessaria la carità. Per queste ragioni si pensa che le virtù teologali, nel battesimo,vengano infuse assieme alla grazia. Lo stesso va detto dei "doni": sapienza, intelletto, consiglio,fortezza, scienza, pietà, timor di Dio, (Is 11,1-2; cf CCC 1830-1831) e dei "frutti" dello Spirito Santo:amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, continenza,castità (Gal 5,22-23; cf CCC n. 1832).

 Numerosi teologi, assieme a S. Tommaso, ritengono che anche le virtù cardinali, dette pure morali o umane, vengano infuse, dovendo servire a conseguire la pienezza di una vita non solo umana enaturale, ma anche e soprattutto cristiana e soprannaturale, come esige la santificazione dei credenti5.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, avendo posto virtù, doni e frutti alla base della vita morale, nesottolinea ripetutamente la funzione in essa. Le virtù teologali " fondano,  animano  e caratterizzano l'agire morale del cristiano" (n. 1813), in quanto sono la radice delle virtù umane. Inoltre, le rendonoidonee a far partecipare le facoltà dell'uomo alla vita divina (n. 1812). I doni, a loro volta, sorreggono la vita morale, rendendo i battezzati docili alle mozioni dello Spirito Santo (n. 1830). I  frutti, infine,sono le perfezioni che lo Spirito plasma nei giustificati, come primizie della gloria eterna (n. 1832).

1 DS, 1528.

2  S. Atanasio di Alessandria, Epistulae ad Serapionem, 1, 24; PG 26, 585B.

3 D. Grasso, Il messaggio di Cristo, Assisi 1968, 257.

4 Grasso, Il messaggio di Cristo, 254-256.

5 S. Th. 1,2, q. 63, a. 3.

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10. ESPOSIZIONE SISTEMATICA: TEMI E PROBLEMI DELLA GRAZIA

Come si è visto, nel corso dei secoli la Chiesa cattolica ha dovuto difendere più volte la sua dottrinada interpretazioni unilaterali ed estreme, da esagerazioni di aspetti giusti e da impostazioni pocoequilibrate o pregiudizievoli di problemi validi. Le conseguenti dispute hanno consentito, tuttavia, di

 precisare o approfondire meglio i contenuti autentici, di riordinarli secondo la loro importanza, dicollegare le verità relative alla grazia, giustificazione elezione e santificazione tra loro e con gli altritrattati teologici riguardanti la vita divina, la cristologia, la soteriologia, la protologia, l'antropologiasoprannaturale e l'escatologia. Rimane, inoltre, sempre viva, l'esigenza di esporre i diversi argomentinei modi più rispondenti alle esigenze dei credenti, di fronte alle difficoltà e agli interrogativi sollevatidalle diverse società e culture nei vari tempi e luoghi. In questo capitolo raccoglieremo ed esporremoquegli aspetti, utili pure per la fede e le esigenze spirituali della nostra epoca.

1. Giustificazione e grazia: assoluta gratuità e generosità

Il primo dato da cui muovere è l'assoluta gratuità  della grazia e della giustificazione, che Dioconcede, non in virtù dei meriti, capacità od opere buone dell'uomo, ma esclusivamente per laredenzione salvifica operata da Gesù Cristo. Essa, come si è visto, ha costituito in tutti i tempi, un

caposaldo fondamentale della dottrina della grazia, al quale altri argomenti si collegano. Il secondodato, sempre egualmente affermato, è l'assoluta necessità della grazia, perché l'uomo possa compieregli atti che lo dispongono alla giustificazione. Entrambe evidenziano come l'uomo, resosi peccatore enemico di Dio, non possa mai, con le sue sole forze, compiere azioni di tanto valore da meritare didiventare, da nemico, amico di Dio, suo figlio adottivo, partecipe della sua intima comunione divinaed erede dei suoi beni, della sua vita eterna e della sua gloria. Il terzo dato sempre affermato è lavolontà salvifica universale di Dio, che dona la salvezza e la giustificazione come grazia, ossia comedono benevolo, favore libero gratuito e generoso, offerto volentieri a tutti, senza eccezioni. Ognitentativo di restringere e mutare questi tre dati, base del mistero della grazia, ha sempre incontrato la

 più ferma opposizione della Chiesa, basata sulla volontà di Dio, che vuole veramente "che tutti gliuomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,3-4) e, di conseguenza, abbianotutti i mezzi necessari a conseguire la vita eterna e la salvezza.

Tale volontà non ammette eccezioni e non esclude nessuno, essendo fondata su un solo Dio, che èDio di tutti, e su un solo Mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, che ha immolato la sua vita pertutti, meritando  per   tutti e a  tutti la grazia della salvezza. Cristo, infatti, morendo sulla croce, hariconciliato col Padre e risanato l'umanità intera. Ha istituito come mezzi ordinari della grazia la

 predicazione e i sacramenti della Chiesa, senza escludere altri mezzi, con cui Dio può conferire la suagrazia e salvezza a quanti, non potendo essere raggiunti dai mezzi ordinari, non si oppongano alla suaazione. La volontà salvifica universale, come la grazia, in chi non l'accetta o la rifiuta ostinatamente,non produce automaticamente i suoi effetti. L'uomo, perciò, può riceverla solo se "sotto la mozionedella grazia, si volge verso Dio, si allontana dal peccato, accoglie il perdono e la giustizia dall'Alto"(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1989), dà il suo assenso di fede alla Parola divina e cooperanella carità alla mozione dello Spirito che lo previene e custodisce (n. 1993).

La giustificazione, mediante la potenza della misericordia divina e per i meriti di Cristo, rendel'uomo interiormente giusto (santo) e conforme alla giustizia (santità) di Dio, lo destina alla gloriadivina e alla vita eterna, (n. 1992). Mediante il battesimo, sacramento della fede, separa l'uomo dal

 peccato e lo libera dalla sua schiavitù, ne purifica e guarisce il cuore, lo riconcilia con Dio (n. 1990),v'infonde la fede, speranza, carità e obbedienza alla volontà divina (n. 1991). Per questo la Chiesaconsidera la giustificazione "l'opera più eccellente dell'amore di Dio", ancora maggiore dellacreazione del cielo e della terra. Questi, infatti, passeranno, mentre la salvezza e la giustificazionedegli eletti non passeranno mai1. La considera pure maggiore della creazione degli angeli nellagiustizia, perché manifesta maggiormente la misericordia divina (n. 1994). La giustificazione, per isuoi contenuti ed effetti, implica la santificazione  di tutto l'essere, sotto la guida del "maestro

interiore" che è lo Spirito Santo (n. 1995). Perché l'uomo si prepari alla giustificazione è

assolutamente necessaria la grazia interna. La  giustificazione viene dalla grazia, che è il favoregratuito di Dio, ma anche il suo soccorso, che ci dà per rispondere al suo invito, diventare suoi figliadottivi e partecipare alla sua natura e eterna (n. 1996). È, quindi partecipazione alla vita di Dio,

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ingresso nella sua vita trinitaria, condivisione del suo Spirito, che infonde in noi la carità fraterna eforma la sua Chiesa (n. 1997).

Questa chiamata alla vita eterna è soprannaturale. Superando le capacità dell'intelligenza e le forzedella volontà di ogni creatura, dipende solo dalla libera e gratuita iniziativa di Dio (n. 1998). Tuttoquesto è detto grazia santificante o deificante che è la fonte della nostra santificazione (n. 1999). Essa

consiste nel dono abituale, nella disposizione stabile e soprannaturale, che perfeziona l'uomo, lo rendecapace di vivere con Dio e di agire per suo amore. Ciò la distingue dalle  grazie attuali, che indicanogli interventi divini con i quali Dio agisce, sia all'inizio della conversione, che durante la nostrasantificazione (n. 2000). Per i teologi, esse consisterebbero nelle illuminazioni dell'intelligenza e nellemozioni della volontà, con le quali le nostra facoltà spirituali e umane vengono preparate e disposte ariconoscere, capire e mettere in atto le realtà divine. La grazia sarebbe come una nuova condizione,che fa vedere ogni cosa sotto un nuovo aspetto e in una nuova dimensione, quella di Dio e della suasalvezza. Per questo Paolo esortava i cristiani a  pregare di essere illuminati per conoscere  "a qualesperanza [Dio] li ha chiamati, quale ricchezza di gloria riserva la sua eredità fra i santi e quale sia lagrandezza sovrabbondante della sua potenza a favore di noi che crediamo" (Ef 1,18-19). Percomprendere tutto ciò è necessario che Dio illumini gli occhi della nostra intelligenza.

2. Giustificazione, cooperazione, varie forme di grazia

Per Giovanni ciò che rende capaci di comprendere le realtà di Dio è opera dell'unzione dello Spirito(1Gv 2,20). A sua volta, essa muove la volontà, perché metta in pratica tutto ciò che lo Spirito ci hafatto conoscere, di modo che "è Dio che suscita in voi il volere e il fare per attuare il suo beneplacito"(Fil 2,13). Ciò avviene perché la giustificazione, come libera iniziativa di Dio, esige la cooperazione,che è la libera risposta dell'uomo. Entrambe richiedono le adeguate disposizioni interiori dell'uomo,che sono necessarie per poterla attuare (n. 2002). L'uomo può entrare in comunione soprannaturale conDio, solo in base al libero dono divino, al quale corrisponda in piena libertà. Dio, ispirando nell'uomola fiducia, speranza, carità, penitenza, lo dispone a essere perdonato dei suoi peccati e a ricevere lagiustificazione. Con l'esercizio di questi atti, in cui il primo posto spetta alla fede, come totale fiducia,abbandono a Dio, assenso alla sua Parola e alle sue promesse, l'uomo coopera alla sua salvezza. Tale

cooperazione umana  alla grazia divina deve poi esprimersi concretamente nelle opere della fede  edella carità. Ciò significa che se Dio giustifica l'uomo, gratuitamente e senza suo merito, esige tuttaviache egli cooperi ai suoi doni con atti di virtù, a cominciare da quelli di fede. Tale cooperazione è resa

 possibile solo dall'aiuto della  grazia attuale elevante, che designa tutti gli interventi divini (grazieattuali) sia all'inizio della conversione che nel corso della santificazione (n. 2000).

Come la preparazione ad accogliere la grazia è opera esclusiva della grazia, così lo è purel'indispensabile cooperazione alla giustificazione mediante la fede, perché è Dio stesso che porta acompimento nell'uomo quello che ha cominciato, esigendone, però la cooperazione (n. 2001). S.Agostino la sintetizza efficacemente così: "operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci  con la sua misericordia". Ci  previene  e ci  segue  per chiamarci,guarirci, santificarci, glorificarci2. La grazia, dono dello Spirito Santo che ci giustifica e santifica,

comprende pure tutti gli altri doni che Dio ci elargisce, per associarci alla sua opera. Tali doni sono le grazie sacramentali proprie di ciascun sacramento, le  grazie speciali dette anche carismi che hannocome fine il bene comune della Chiesa, rivelandola e accreditandola come popolo santo di Dio3 e le

 grazie di stato, che accompagnano l'esercizio della responsabilità della vita cristiana e dei ministeriecclesiali (nn. 2003-2004). Ciò introduce il problema della differente distribuzione della grazia. Nontutte le grazie sono eguali. L'ineguaglianza nella distribuzione della grazia rivela l'assolutatrascendenza di Dio4, che distribuisce i suoi doni in assoluta libertà, per la miglior realizzazione delsuo piano di salvezza e per il maggior bene dei singoli, della Chiesa e dell'umanità.

Ciò fa parte del mistero della salvezza, che supera la nostra intelligenza e ragione, ma è un misterodi amore e saggezza infinita, da accogliersi con fede, speranza e amore, nell'attesa che un giorno civenga svelato. È in questo contesto che diviene significativa la distinzione che avevamo accennato nelsecondo capitolo, fra  grazia sufficiente e  grazia efficace. Si era detto che essa è storicamente legataall'insieme dei problemi sorti fra la fine del 1500 e gli inizi del 1600, designati col nome di"controversia de auxiliis". I teologi del tempo distinsero la  grazia sufficiente  e la  grazia efficace  incomplicate disquisizioni dovute allo stato della teologia di quel tempo. Nel contesto di quanto

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abbiamo esposto qui sopra, e ricordando che Dio vuole la salvezza di tutti (volontà salvificauniversale), la  grazia sufficiente  è quella che Dio dona a tutti (e non soltanto ad alcuni), nel pienorispetto della loro libertà. Essa diviene pure  grazia efficace  se viene liberamente accolta,consentendole di produrre nel ricevente gli atti, effetti e frutti della salvezza. La distinzione mette in

 particolare luce il valore della preghiera, con la quale si esprime, nel modo migliore, il desiderio,l'attesa e la volontà di rendere efficaci i doni del Signore, accogliendoli, valorizzandoli e mettendoli inatto, confidando totalmente nel suo amore misericordioso, gratuito e generoso.

In breve, si può dire che la preghiera aiuta l'uomo a mantenersi nel clima della conversione,dell'obbedienza e della docilità al fascino della grazia e della salvezza. Esprime, inoltre, nel più altogrado, la libertà dell'uomo, che Dio stesso ha voluto e che sempre rispetta. Dio, infatti, previenel'uomo e prende per primo, nei suoi confronti, l'iniziativa salvifica, tuttavia lo fa rispettando sempre etotalmente la sua libertà. L'uomo è giustificato e si salva, quindi, solo se lo vuole, lo accetta e lochiede. Assieme a questo problema è stato sollevato, più volte, quello del rapporto fra la  prescienza divina e la salvezza del singolo. Esso si può porre in questi termini: se Dio conosce infallibilmentel'atto libero dell'uomo prima ancora che venga posto, quest'atto come può rimanere libero? Nessunodei diversi tentativi fatti per risolverlo ha dato risultati soddisfacenti. Oggi, a uno sguardo retrospettivoappare sempre più legato a quella cultura esasperatamente razionalistica, alla quale abbiamo accennato

 più volte. Appare pure più improntato, forse, a una certa curiosità intellettuale che alle esigenze di unagenuina comprensione. In definitiva, non è mai apparso essenziale per la fede. Certamente alcuni deitermini ed elementi che lo compongono appaiono insufficientemente chiariti o posti in modoimperfetto. Vediamone alcuni: quale è, realmente ed esattamente, il modo divino di conoscere; checosa significa, realmente ed esattamente, il tempo per Dio; qual è, realmente ed esattamente, larelazione che intercorre tra Dio, il tempo, la conoscenza divina e quella umana del tempo; qual è,realmente ed esattamente, il significato del "prima" o del "dopo" riguardo agli oggetti del suoconoscere e del suo modo di conoscere, ecc. Per questi problemi e altri ancora che, del resto, nonerano affatto essenziali e furono accantonati, non abbiamo elementi precisi e affidabili. Ricordiamo, a

 puro titolo di esempio, un falso problema sull'onnipotenza divina, che i non credenti si divertivano a proporre ai credenti, per metterli in imbarazzo o farsene gioco: può Dio creare un sasso così pesante danon poterlo sollevare?

3. Dinamismi della grazia, santificazione, perseveranza

Si è già detto che giustificazione e grazia non sono processi magici, né automatici. A sua volta, lavita nella grazia dell'uomo giustificato non è un facile idillio. Anzitutto l'uomo continua a muoversisempre nella luce della fede, che comporta anche le sue oscurità. Si trova, poi, nel continuo rischio o

 pericolo di perdere ciò che aveva acquisito, infine non può sottrarsi all'esigenza di crescere sempre,ossia tendere alla pienezza della santità che la sua santificazione esige. Ciò significa che la vita digrazia non è mai statica, ma intensamente dinamica, esigendo continua crescita e sviluppo. Essiavvengono con l'osservanza dei comandamenti divini, il compimento di opere buone, l'esercizio dellevirtù teologali, umane e dei doni dello Spirito Santo, la docilità alle ispirazioni divine e l'obbedienza al

 piano o progetto di vita che il Signore ha su di noi. Amare Dio significa fare la sua volontà. Inoltre,

non vi è solo l'impegno positivo, ma anche l'aspetto negativo, ossia la lotta spirituale contro ogni sortadi nemici, ostacoli e tentazioni che si oppongono al cammino del cristiano (1Pt 5,8). Senza il continuosoccorso della grazia divina, l'uomo soccomberebbe al male e al peccato. L'uomo da solo, senza l'aiutodi Dio, non può superare tutte le tentazioni e perseverare nella grazia ricevuta, può sempre peccare e

 perdere la giustificazione con il peccato mortale5 non, però, con quelli veniali. Solo la B.V. Maria ebbeil privilegio di essere preservata anche da ogni peccato veniale6.

D'altra parte, con l'aiuto di Dio tutto è possibile (Mt 6,13; 11,30; 26,41; Gv 15,4; 1Co 10; Fil 4,13;1Gv 5,3). Ciò vale pure per la  perseveranza nello stato di grazia, sia durante la vita che nella morte.Essa, asserì il Concilio di Trento, è "un gran dono di Dio" (DS 1566). L'aggettivo "grande" èinterpretato variamente dai teologi, ossia nel senso che: 1) nessun dono può essere maggiore delconseguimento della vita eterna; 2) la perseveranza finale è l'opzione decisiva per ogni uomo; 3) essa è

il massimo segno e dono di benevolenza del Signore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, sottolineache la grazia, appartenendo all'ordine soprannaturale, sfugge alla nostra esperienza e può essereconosciuta solo mediante la fede. Tuttavia, per capire se la grazia operi veramente in noi abbiamocome criterio di discernimento la parola stessa del Signore: "dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt

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7,20). Oltre all'impegno nelle buone opere, essa c'invita pure a ripetere la bellissima preghieracontenuta nella risposta di S. Giovanna d'Arco ai suoi giudici, come esorta il Catechismo della Chiesa

Cattolica: "Se non vi sono, Dio voglia mettermici; se vi sono Dio mi ci conservi" (n. 2005). Un'altra bellissima invocazione è quella dei cristiani d'Oriente: "Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbimisericordia di me e salvami".

1 S. Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 72, 3.

2 Id., De natura et gratia , 31; PL 44, 264.

3 K. Rahner, H. Vorgrimler, "Carisma", DDT, 87.

4 D. Grasso, Il messaggio di Cristo, Assisi 1968, 273.

5 Concilio di Trento, DS, 1555, 1573, 1619.

6 Id., DS, 1573.

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11. MERITO, SANTIFICAZIONE, DIVINIZZAZIONE, INABITAZIONE

Il Catechismo della Chiesa Cattolica conclude l'argomento della grazia e della santità cristiana, conquesta citazione del Concilio di Trento: "i figli della Santa Chiesa nostra madre sperano giustamente lagrazia della perseveranza finale e la ricompensa di Dio loro Padre, per le opere buone compiute con lasua grazia, in comunione con Gesù" (n. 2016). Conferma, quindi, lo stretto collegamento fra

 perseveranza, santificazione, buone opere, ricompensa e merito.

1. Giustificazione e merito

La dottrina del merito ha sempre avuto un posto particolare nella teologia della grazia, che ricordacome esso non vada inteso in senso strettamente giuridico e come nessuno possa vantare diritti davantia Dio. Il Concilio di Trento, trattandone, intese affermare che le opere dei figli di Dio sono buone,fanno crescere nella giustificazione e hanno una proporzione con l'aumento stesso della grazia e dellavita eterna1. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, per meglio chiarirlo, muove dal concetto deltermine, come retribuzione, dovuta da una comunità, all'azione meritevole di uno dei suoi membri.Così inteso si riferisce alla virtù della giustizia, in conformità al principio dell'eguaglianza, che ne è lanorma (n. 2006). Rimanendo sul terreno strettamente giuridico, quindi, è evidente che per la smisurata

diseguaglianza che intercorre fra Dio e l'uomo, non può esserci alcun merito nei confronti di Dio (n.2007). Di conseguenza, nella vita cristiana, il merito dell'uomo davanti a Dio deriva solo dal fatto che

 Dio, liberamente e gratuitamente, ha disposto di associare l'uomo all'opera della sua grazia (n. 2008).Sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio, dunque, è soltanto la carità di Cristo.

La grazia, unendoci a Cristo con amore attivo, assicura il carattere soprannaturale di ogni nostraazione e, di conseguenza, il suo merito davanti a Dio. Come i Santi, dobbiamo anche noi conservaresempre viva la coscienza che tutti i nostri meriti sono pura grazia (n. 2011). I meriti della vita digiustificazione e delle opere buone, quindi, vanno attribuiti anzitutto alla grazia di Dio, poi alla liberacollaborazione dell'uomo che, tuttavia, è anch'essa opera della grazia divina. Il merito dell'uomo,quindi, va tutto a Dio, dal momento che è originato e causato dai meriti di Cristo e dalle ispirazioni eaiuti dello Spirito Santo (n. 2008). Si tratta, comunque, di un vero merito, anche per l'uomo, a motivo

dell'adozione filiale, che ci rende veramente partecipi della natura divina e ci fa "coeredi" con Cristo,della promessa della vita eterna. La dignità di figli di Dio è talmente alta, da costituire una ragione dimerito del tutto valida per la persona giustificata, resa capace di compiere opere degne diconsiderazione da parte di Dio. Le azioni, fatte sotto l'influsso della  grazia attuale, conseguono una

 proporzione tra opera e premio, dando luogo a un vero diritto derivante dalla grazia, giustificazione e

amore gratuiti di Dio. Tali meriti e diritti sono doni gratuiti della bontà divina (n. 2009)2. Ciò chel'uomo non può assolutamente meritare, invece, è la giustificazione stessa, detta grazia prima o prima

 grazia santificante.

La ragione è che, l'ordine della grazia è iniziativa assoluta di Dio, per cui nessuno può meritare lagrazia che origina la prima conversione, il perdono e la giustificazione. In seguito, ossia una volta

 giustificati, sotto l'azione della grazia, ossia le mozioni dello Spirito Santo e della carità,  possiamo

meritare, per noi stessi e per gli altri, le grazie utili alla nostra santificazione, l'aumento della grazia,della fede, speranza e carità e la vita eterna. La vita eterna è il premio che Dio accorda al giustificato, per le opere buone compiute in stato di grazia. Pure i beni temporali possono essere meritati, secondo idisegni della sapienza e provvidenza divina. Tutti questi beni sono oggetto della preghiera cristiana,che provvede al nostro bisogno di grazia per le opere meritorie (n. 2010). Le condizioni per meritare,quindi sono: 1) lo stato di grazia; 2) la vita presente, prima della morte, o "stato di via"; 3) l'uso della

 propria libertà a favore di Dio e del suo progetto su di noi. Le opere devono essere buone e resesoprannaturali. Oltre all'esercizio della vita teologale, si cresce nella grazia e santificazione anche permezzo dei sacramenti, segni efficaci e veicoli della grazia, di cui tratta la teologia dei sacramenti.

2. Merito e buone opere

Per la Chiesa cattolica, le buone opere, frutto e segno della giustificazione, sono pure azioni con lequali l'uomo si guadagna la vita eterna. L' Antico Testamento riconosceva una retribuzione divina, chesi è evoluta da punizione a premio (Dt 27,9-26; 28,1-14; 15-68), da collettiva a individuale (Ez 18,1-29), da terrena a spirituale ultraterrena (Sir 11,14-28). Nel  Nuovo Testamento, i testi riguardanti le

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 buone opere sono numerosi, fra cui, particolarmente importanti: Mt 16,27; Rm 2,6 e Ap 2,23. Le operenon portano alcun guadagno a Dio ma, per il cristiano, un premio che corrisponde ad esse, ma il cuivalore è di gran lunga superiore. Nelle lettere ai Corinzi e ai Romani S. Paolo insiste sul fatto che le

 buone opere provengono dalla grazia. Ciò che la S. Scrittura chiamava "merces", il latino non cristianochiamava "meritum". Tertulliano preferì il secondo termine, che si diffuse ampiamente. Il medioevosviluppò il concetto distinguendo fra merito "de condigno" in base alla giustizia e "de congruo" in

 base all'equità.

Benché si trattasse solo di un'opinione di scuola, i protestanti la considerarono come dottrinacattolica, per cui il Concilio di Trento dovette chiarire pure questo punto. Disse, perciò, che l'uomodeve sempre fidarsi di Dio e di Cristo che, apprezzando l'uomo, vogliono che la vita eterna sia unrisultato della sua azione. Nel Concilio Vaticano II , invece, la dottrina del merito è appena accennata(LG 41, 49). La dottrina cattolica sottolinea, quindi, che: 1) alla fine di una vita buona, Dio dona aciascun cristiano la vita eterna e l'incontro con Lui; 2) in questa vita, Dio può comunicare graziediverse agli uomini3; 3) nella vita eterna Dio retribuisce ciascuno secondo la misura della suacollaborazione4; 4) nella vita eterna il rapporto fra le differenti grazie e la differente collaborazione adesse sulla terra determina la diversa profondità e intensità del rapporto con Dio. Il tema del merito, pernon essere frainteso, deve rimanere strettamente collegato agli altri temi della grazia e, in particolare,

alla giustificazione, santità e santificazione.La giustificazione cristiana rinnova radicalmente l'uomo, ma segue le leggi di ogni vita, esigendo di

essere non solo conservata (Mt 7,21; 10,22; 19,17; Gv 14,15; Gc 1,22) ma anche sviluppata eaccresciuta fino alla sua pienezza o perfezione. Questo processo o cammino è detto santificazione econsiste nel fare vivere il Cristo in noi (Fil 1,21) o, ancor meglio lasciarsi vivere da lui (Gal 2,10)come sue membra vive e vitali, testimoni credibili e sua piena immagine e somiglianza. In questocammino verso la perfezione, la grazia che accompagna il cristiano lo rende sempre più libero, dellalibertà dei figli di Dio (Gv 8,36; Rm 8,21) e sempre più fecondo nel realizzare i compiti che il Signoregli affida nel mondo. Ciò avviene mediante i mezzi abitualmente offerti a ogni battezzato: docileascolto della Parola, preghiera personale e comunitaria, sacramenti (in particolare penitenza edeucaristia), opere buone fatte per amore (Mt 6,1; 1Co 13,3). Questa è l'esistenza vissuta per Cristo, con

Cristo e in Cristo5

.

3. Santità e santificazione

Il Catechismo della Chiesa Cattolica inizia la sessione IV, dedicata alla santità cristiana, con duecitazioni di fondo. La prima, della Scrittura (Rm 8,28-30), ricorda i passaggi e gradi operati dalSignore a favore di coloro che lo amano: li conosce da sempre, li predestina alla conformità col suoFiglio, li chiama, giustifica e glorifica (n. 2012). La seconda, del Concilio Vaticano II , ( Lumen

Gentium, 40) ricorda che "tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vitacristiana e alla perfezione della carità". Sottolinea, quindi che "tutti sono chiamati alla santità", citandol'invito di Cristo: "siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Perraggiungere la perfezione, i fedeli usano le forze ricevute, secondo la misura del dono di Cristo,

consacrandosi alla gloria di Dio e al servizio del prossimo

6

 (n. 2013). Fine del progresso spirituale èl'unione sempre più intima e profonda con Cristo, che ci fa partecipare al suo mistero mediante isacramenti. L'unione viene detta "mistica" perché la partecipazione al mistero di Cristo ci fa

 partecipare al mistero della Santissima Trinità. Dio chiama tutti a quest'intima unione con Lui. Adalcuni concede pure delle grazie speciali o dei segni straordinari, che manifestino a tutti il donogratuito fatto a tutti (n. 2014). La santificazione, come cammino di perfezione, è impossibile senza ilcombattimento spirituale, il sacrificio, l'abnegazione dell'amor proprio e la rinuncia. Comporta, quindi,l'ascesi e la mortificazione, che conducono alla vita nella pace e alla gioia delle beatitudini (n. 2015).

La Scrittura sottolinea che Dio è il Santo per eccellenza. Questa santità è assoluta purezza morale elibertà da ogni difetto e debolezza. Per l'uomo, essa significa salvezza, purificazione e chiamata. Dio simanifesta Santo in queste azioni di salvezza. Non solo dà gli esempi della sua santità, ma santifical'uomo, perché anch'egli si santifichi, assumendo a suo modello Dio stesso. Il  Nuovo Testamento conserva il linguaggio dell'Antico, ma lo riempie di contenuti nuovi. Il Vangelo invita i credenti allastessa santità del padre celeste (Mt 5,48). Le lettere di S. Paolo mostrano che inabitazione, santità esantificazione sono intimamente collegate. Esse approfondiscono il messaggio cristiano secondo le tre

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dimensioni dell'Antico Testamento: Dio si santifica, santifica l'uomo, l'uomo deve santificarsi.Riassumendo, possiamo dire che: 1) il Padre mostra la sua santità operando nei cristiani; 2) Cristoattua la nostra santità mediante la sua offerta sacrificale sulla croce e i sacramenti; 3) Padre e Figlio ciinviano lo Spirito Santo per santificarci; 4) l'uomo deve ricevere il dono della santità, farne la basedella sua vita ed aumentarlo con il proprio impegno. La santità, quindi, è la partecipazione alla santitàdivina, che si mostra nella purezza di vita e nell'amore, misericordia e perdono per i fratelli e per inemici.

Il Dio Santo si mostra tale, rendendoci capaci di compiere le opere buone che lo fanno glorificaredagli uomini. Ciò avviene, in particolare, per la sua Chiesa, che Egli ama, santifica e rende pura nel

 battesimo (Ef 5,25-27) e nella comunione dei santi (coloro che da Dio sono resi tali). Fino a tutto ilMedioevo il termine usato al riguardo fu gratia gratum faciens che poi fu detta  grazia santificante. IlConcilio di Trento ribadì la dottrina biblica, che l'uomo nella giustificazione viene santificato e nel suocatechismo tridentino ha lasciato insieme "santità e giustizia". Il Concilio Vaticano II , nella  Lumen

Gentium ha dedicato il capo V alla vocazione universale alla santità, dicendo che Cristo, il Santo, hasantificato la sua Chiesa donandole lo Spirito Santo. Nella fede e nel battesimo, la partecipazione allanatura e alla figliolanza divina ci rendono santi (n. 40). Tale santità ci è data gratuitamente, senzanostro merito, per pura misericordia e come compito che c'impegna per tutta la vita. La santità di Dio,

Padre, Figlio e Spirito Santo è il suo essere più intimo, libero da ogni limite, debolezza e difetto, pienezza di ogni bene e perfezione. Essa è partecipata all'uomo e deve contrassegnare la vita delcristiano, come impegno prioritario su ogni altro.

Esso è possibile, poiché l'uomo è immagine di Dio e in relazione con lui. La decadenza del peccatooriginale, tuttavia, non ha soltanto intaccato le sue condizioni e limiti creaturali, ma lo ha pure gravatodelle sue conseguenze: debolezze, cattive inclinazioni, concupiscenza. La vita di santità, quindi,comporta un continuo e strenuo conflitto con l'uomo vecchio, ossia l'uomo decaduto e degradato.Quest'intimo conflitto il credente lo vive nella Chiesa, la cui santità, quindi, è assai più della somma disantità dei singoli cristiani. Infatti, in essa vive il Cristo, come suo capo e lo Spirito Santo, come suaanima. Sono essi i garanti della verità, certezza e santità vissuta in essa dai suoi membri. Per questo lasantità del singolo non può essere costituita pienamente, senza la Chiesa poiché, senza l'Eucaristia,

l'attività santificante di Cristo non sarebbe piena. Senza la Chiesa neppure l'opera dello Spirito è pienae neppure l'azione del Padre, fonte di ogni santità, può giungere pienamente all'uomo. Poiché la santitàdel corpo della Chiesa poggia sulle tre Persone divine, la santità dei credenti passa per il corpo di cuisono membra. Il modo migliore per aumentare la santità dell'intera Chiesa, quindi, è santificare sestessi. Si è santificati, quindi, dalla relazione con le tre Persone, in Cristo, nella sua Chiesa.

4. Inabitazione trinitaria, grazia increata, grazia creata

La dottrina dell'abitazione della Trinità in noi è specifica del  Nuovo Testamento, ma trova la sua preparazione nell' Antico Testamento, nella forma di presenza e abitazione di Dio in mezzo al suo popolo. Sotto questo aspetto ne ha assunto pure alcuni termini. Le immagini e istituzioni piùsignificative dell' Antico Testamento al riguardo sono diverse. In primo luogo abbiamo la colonna di

fuoco e nube (Es 13,21; 14,19-20; 14,24; 25-31; 40,34-38) e la tenda o tabernacolo (Es 25,8-9; 29,42-46; Es 28,42; 40,34; Nm 9,15-23) che accompagnarono il popolo di Dio durante l'esodo e il camminonel deserto verso la terra promessa. Raggiunta questa e attuato l'insediamento si ebbero il primotempio (2Sm 7,1-7; 3Re 8,3-4) e, dopo la sua distruzione, la promessa del nuovo tempio (Is 2,2; 56,7;60,7; Gr 33,18-21). Il Nuovo Testamento mostrò che il vero tempio inteso dal Signore non era più unedificio materiale, ma un tempio vivente, umano: Gesù di Nazaret (Mt 12,6; Gv 1,14; 2,19). Dopo dilui, pure i credenti in lui, i cristiani sono suo tempio e sua dimora (1Ts 4,8; Gal 4,6; Rm 5,5; 8,9; 1Co3,16-17; 6,19; 2Co 6,16; Ef 3,17; 4,12). Fu S. Agostino a distinguere, per la prima volta, l'abitazionedivina nella Chiesa e nelle persone. Più tardi S. Tommaso elaborò una bellissima formula: Dio è nelcristiano "sicut cognitum in cognoscente et sicut amatum in amante".

L'enciclica  Divinum illud munus  (1897) di Leone XII riprese un altro aspetto del pensieroagostiniano, quello delle due distinte presenze divine: a) una, ex creatione, in tutte le creature; b)l'altra, ex gratia, nei credenti battezzati. Dio ama, inviando lo Spirito Santo che viene in noi portandocon sé il Padre e il Figlio. Paolo e Giovanni non separano mai le due forme d'inabitazione nelle

 persone e nella Chiesa, poiché l'inabitazione nella Chiesa è strettamente legata a quella nelle persone e

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viceversa. È in questo modo che lo Spirito Santo opera nella comunità ecclesiale. L'inabitazione dellaTrinità, detta pure  presenza divinizzatrice  o  grazia increata, si capisce: a) distinguendoladall'onnipresenza divina creatrice in ogni cosa; b) cogliendola entro la teologia trinitaria delle missionidel Figlio e dello Spirito. Dio abita in noi rendendoci partecipi della sua vita divina di conoscenza eamore. Ciò lo attua donandoci la fede, la speranza e la carità, che sono, in sintesi, la grazia creata. Essa

 può dirsi, in altri termini, pure trasformazione o divinizzazione della nostra umanità. Questa realtà, chedipende continuamente dalla presenza della Trinità in noi, trasforma tutto l'uomo 7. La  grazia creata indica, invece, che l'uomo viene talmente trasformato dall'amore gratuito di Dio, da diventare

 partecipe della sua stessa natura divina.

Tale partecipazione è una perfezione immensamente più alta della natura umana ed è accidentale,ma non sostanziale. La trasformazione coinvolge due livelli fondamentali: a) la natura, che vienetrasformata dalla grazia  santificante  o  gratum faciens; b) l'intelligenza e la volontà che vengono

 potenziate dalle virtù teologali o infuse. L'uomo, quindi, viene trasformato totalmente nella sua unità.La grazia, sottolinea S. Tommaso, dona all'uomo un essere divino partecipato8. È dottrina delConcilio di Trento che la grazia creata è la trasformazione reale e permanente dell'uomo, dono e operadi Dio, per i meriti di Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo. La comunicazione di sé, che Dio faall'uomo, è insieme: dono offerto, abilitazione ad accoglierlo, orientamento ineliminabile a tale

accoglienza e all'unione perfetta nella visione beatifica. Il tutto in un dialogo che lascia sempre l'uomolibero di accettalo o rifiutarlo9. Poiché giustificazione, santità, vita nella grazia designano il nostroessere e vivere da figli di Dio, per l'azione dello Spirito Santo (Rm 8,14; Gal 5,16-18), dobbiamo pureapprofondire quest'aspetto. L'azione dello Spirito Santo non proviene dall'esterno, ma dall'interno delgiustificato, nel quale Egli abita e risiede abitualmente (1Co 3,16; 6,19; Rm 8, 9.11). La promessa diGesù ai suoi discepoli, infatti, è che lo Spirito rimane sempre con noi, abita e vive in noi (Gv 14,16-17).

Il modo di questa "abitazione" è discusso dai teologi. Il punto fermo è, comunque, che la Trinità,ossia le tre Persone divine, abita nelle persone dei giusti, non solo con la  presenza d'immensità di cuisi è parlato, ossia la presenza di Dio in tutte le creature che egli crea, conserva e muove, ma con una

 presenza personale straordinaria e diversa, di amore. Con essa, come si è visto, Dio si comunica al

credente, trasformandolo interiormente, rendendolo suo figlio, partecipe della sua stessa natura divina.Fin dagli inizi i teologi si sono chiesti se questa presenza sia diretta o indiretta, ossia per mezzo diun'altra realtà. La teologia orientale ha seguito il principio di Massimo il Confessore (662), sviluppato

 poi da Gregorio Palamas (1359), distinguendo in Dio la sua "essenza" incomunicabile e le sue"energie" (dynameis). Queste sarebbero le manifestazioni increate della sua essenza e distinte da essa.

 Nel credente non abiterebbe l'essenza divina, ma le energie divinizzanti di questa, che divinizzanol'uomo. La teologia occidentale ritiene che la grazia santificante significhi che la Trinità è presente nelcristiano come grazia increata  e con i suoi doni interiori che costituiscono i doni creati o effettisoprannaturali prodotti nell'anima dalla presenza divina. I teologi discutono pure su quale grazia,increata o creata, preceda l'altra.

5. Divinizzazione del cristiano: fine e significato

Quanto alle tre Persone divine, si ritiene che ciascuna agisca nel credente secondo il propriospecifico personale. Il Padre opera come principio e fonte della Divinità o colui che genera il Figlio espira lo Spirito Santo. Il Figlio opera come "tu" generato dal Padre e unico principio, col Padre, dellaspirazione e processione dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo opera come "noi" del Padre e del Figlio,legame di amore che li unisce, loro dono scambievole e reciproco. Abitando nel cristiano lega e unisceal Padre e al Figlio e conferisce la grazia creata o santificante, che rende figli adottivi del Padre,fratelli di Cristo e partecipi della vita eterna. Mediante lo Spirito partecipiamo della natura divina (2Pt1,4) che costituisce la nostra divinizzazione. Su come intendere questa si hanno, di nuovo, due diverseinterpretazioni fra la tradizione orientale e occidentale. La prima la intende come assimilazione a Dio e

 partecipazione alla sua incorruttibilità e immortalità, pur senza divenire come Dio e il suo Verbo. S.Atanasio identifica la divinizzazione con la filiazione adottiva10. Didimo il Cieco e S. Gregorio di

 Nissa la legano ai sacramenti, soprattutto l'Eucaristia11

. S. Giovanni Crisostomo era contrario a usarequesto termine, che non si trova nella Scrittura. Cirillo di Alessandria sottolineò fortementel'Eucaristia nel processo di divinizzazione progressiva del cristiano12.

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S. Massimo il Confessore descrisse la divinizzazione come opera dell'Incarnazione, donoassolutamente gratuito e incommensurabile rispetto all'ordine della creazione. Per lui divinizzazione eIncarnazione sono solo due facce dell'identico mistero. Per S. Giovanni Damasceno la divinizzazioneha due tappe. La prima, più radicale, è l'Incarnazione o assunzione della natura umana da parte delVerbo, la seconda è l'attuazione di questa in noi, per mezzo del battesimo, l'Eucaristia e la vitavirtuosa13. La tradizione occidentale pose l'accento sulla santificazione come raggiungimento dellasantità, parlando assai meno di divinizzazione, intesa come somiglianza con Dio, e assai più di  grazia

 santificante  vista come causa di divinizzazione o deificazione. Queste differenze, che non indicanoopposizione, ma complementarità, dipendono dal fatto che gli orientali hanno sottolineatomaggiormente l'Incarnazione come restituzione della somiglianza con Dio, perduta per la colpa diAdamo. Gli occidentali, invece, hanno sottolineano maggiormente l'Incarnazione come redenzione

dell'umanità peccatrice  e sua santificazione mediante la grazia. I due termini deificatio  e deificari,tuttavia, si trovano pure in S. Ilario di Poitiers e S. Agostino, che già scriveva: "Dio ti vuol fare dio,non per natura come è lui che ti ha generato, ma per dono e adozione"14.

A differenza degli orientali, egli mise al centro della grazia il dogma della redenzione, anzichédell'Incarnazione, sottolineando maggiormente la guarigione del peccatore, pur senza misconoscernel'aspetto divinizzante. Nel Medioevo, S. Bernardo vide la divinizzazione come trasformazione

dell'anima in Dio, mediante l'accordo perfetto, la conformità tra volontà della sostanza umana evolontà della sostanza divina, ad opera della carità. In particolare sottolineò che, essendo Dio carità,divenire ciò che è lui significa divenire carità15. Nel secolo XIII i teologi occidentali guardaronosoprattutto al mezzo col quale l'uomo è divinizzato o deificato. Per S. Tommaso la divinizzazioneconsisteva nella  partecipazione per similitudine  alla natura stessa di Dio, che sussiste nel misterodell'unica sostanza in tre Persone. Essa ci deifica comunicandoci il consorzio della natura divina16. Ladottrina della divinizzazione raggiunse il suo vertice con S. Massimo il Confessore per l'Oriente e conS. Tommaso d'Aquino per l'Occidente. Al Concilio di Trento si discusse sulla giustificazione. Dopo ilconcilio l'attenzione si spostò sul rapporto fra grazia e libero arbitrio, nel secolo XVII sullacontroversia irrisolta de auxiliis e poi sul rapporto fra natura e soprannaturale (Baio) e sul

 predestinazionismo (Giansenio).

La divinizzazione del cristiano, nel suo profondo, esprime la risposta a tutte le aspirazionidell'uomo, espresse o inespresse e segna il vertice massimo della sua dignità e nobiltà: partecipare allastessa natura, vita, opera, felicità eterna di Dio, essere suo figlio in senso reale e non metaforico. Ilcristianesimo, quindi, pur essendo la religione e il progetto di vita che più esige dall'uomo, è purequello che lo esalta maggiormente e gli conferisce la massima dignità17.

1 G. Manca, La grazia, Cinisello B. 1997, 255-257.

2 Concilio di Trento, DS, 1546.

3 Al riguardo occorre chiarire che gli uomini non sono tutti uguali in se stessi, ma solo di fronte alla legge.

Questa differenza è essenziale e decisiva. Solo l'invidia del bene altrui impedisce di capire e accettare questo

 punto.

4 Occorre, quindi, distinguere bene fra la distribuzione di doni di grazia diversi in questa vita e la valutazione

della loro valorizzazione nel g iudizio finale.

5 A. Beni, "Grazia", NDT, 605.

6  Ibid .

7 Manca, La grazia, 67.

8 S. Th. I-II, 110,2, ad 2.

9 Manca, La grazia, 86-88, 96, 106.

10 S. Atanasio,  De Incarnatione Verbi, n. 14, PG 25,111;  De decretis Nicaenae Synodi, n. 14, PG 25, 361-

364; Discorso contro gli ariani, n. 19, PG 26, 361-364.

11 Oratio catechetica, n. 36, 2, PG 45, 92; n. 37, ib., 93-97.

12  In Johannem, 6, 54, PG 73, 577-580; Epist . 45, PG 73, 228-237.

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13  De fide orthodoxa, IV, 9-13, PG 94, 1117-1153.

14 Sermo 166, 4, PL 38, 909.

15  In Cantica, 61, 1, PL 183, 1071; Id ., 83, 3, Ib., 1182, 1184; Id ., 82, 8, Ib., 183, 1181.

16 S. Th. I-II, 112, ad 1.

17 "Lo Spirito Santo e la divinizzazione del cristiano", in La Civiltà Cattolica, 1998, IV, 13-15.

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12. PROPOSTE DI SINTESI, PRESENTAZIONI SISTEMATICHE, COLLEGAMENTI,

La ricchezza e complessità degli argomenti che si raccolgono sotto l'antico e tradizionale titolo di"Grazia" ha fatto emergere più volte l'esigenza di sintesi o presentazioni sistematiche, rese semprealquanto difficili dalla necessità dei diversi collegamenti con le altre verità dottrinali. Essa, infatti,riveste tale centralità ed importanza, da esigere relazioni con quasi tutti gli argomenti della fedecristiana e i trattati teologici che intendono approfondirli, quali: protologia, antropologia, cristologia,soteriologia, pneumatologia, ecclesiologia, escatologia ecc. In senso più ampio, riguarda pure i diversiambiti maggiori della teologia: sistematica, sacramentaria, morale, spirituale e pastorale. Icollegamenti dovrebbero evitare il pericolo, sempre incombente, di trattare in modo esclusivo i suoicontenuti, isolandoli dagli altri, oppure legandoli eccessivamente soltanto all'uno o l'altro di essi. Ciò

 porta all'impressione che essa sia solo una parte della sacramentaria (Catechismo  del Concilio diTrento) oppure riguardi solo la vita morale (Catechismo della Chiesa cattolica). Presentiamo, quindi,alcuni tentativi o proposte più recenti di sintesi, di presentazione sistematica e di collegamento, che

 potrebbero stimolare ulteriormente la ricerca e la riflessione sul nostro tema.

1. Sintesi e collegamenti per il tema della grazia

Fra i tentativi di sintesi e di collegamento esaminiamo, ad esempio, quello del Nuovo Dizionario diTeologia

1. Esso articola il tema della grazia nelle seguenti sezioni: 1) Piano divino; 2) Cristoorientamento di tutta la vita; 3) Incontro personale con Cristo e nostra incorporazione a lui; 4)Elementi costitutivi della nostra incorporazione a Cristo; 5) Conseguenze della grazia giustificante.Come si vede, si tratta di un'ampia articolazione dei vari temi della teologia. Come inizio pone il

 Piano divino  di cui sottolinea le grandi linee. Dio non si è limitato a creare l'uomo, spirito finito,incarnato, in comunione, ma fin dagli inizi, da tutta l'eternità, ha concepito, in modo assolutamentelibero e gratuito, il grandioso disegno di elevarlo a trascorrere la sua eternità, in comunione con Lui,vivendo la sua stessa vita e felicità. Questo piano soprannaturale di salvezza abbraccia tutto e tutti,tempo e storia e ha come punto finale la pienezza del Regno di Dio. Il secondo aspetto della sintesi èdato dal collegamento cristologico, espresso nella sezione di Cristo orientamento di tutta la vita.L'autore sottolinea qui come fin dagli inizi, ossia da tutta l'eternità, il Padre ha predestinato il Figlio adessere il primogenito di tutta la creazione, perché tutti partecipino alla sua gloria. Per questo ci hascelto e predestinato ad essere suoi figli adottivi, in Cristo, con assoluta gratuità e infallibile efficacia.L'efficacia resta condizionata dalla nostra risposta, ossia alla condizione che non ci opponiamoostinatamente al dono divino e rifiutiamo di essere salvati.

Il terzo aspetto è trattato nella terza sezione dedicata all'incontro personale con Cristo e alla nostra

incorporazione a lui. Qui si sottolinea come il Figlio di Dio, con la sua: a) Incarnazione in GesùCristo, si sia fatto via, verità e vita per tutti gli uomini; b) Passione e immolazione sulla croce, siadivenuto il Redentore di tutta l'umanità; c) Risurrezione, abbia vinto il male, il peccato e la morte e ciabbia uniti intimamente a sé; d) Parola, Spirito, Sacramenti e Chiesa, ci abbia costituiti membra delsuo Corpo che è la Chiesa, ossia sue membra, nell'una e sola "mistica persona". In lui e nella suaChiesa siamo veramente uno in tutti e tutti in uno. Ciò porta a vedere la grazia nella prospettiva degli

elementi costitutivi della nostra incorporazione a Cristo. La quarta sezione approfondisce, quindi, inquesta prospettiva, l'unione e incorporazione a Cristo, la giustificazione, l'abitazione dello Spirito edelle persone divine in ogni credente e nella Chiesa e la divinizzazione. Vi si sottolinea come esseavvengono solitamente nel battesimo, in cui Cristo ci rende veramente giusti, cristificandoci edeificandoci. Tale incorporazione è il frutto di due realtà: il dono increato o inabitazione divina in noi,e il dono creato o grazia santificante creata, che opera nel credente una vera rigenerazione che si puòconsiderare una nuova nascita e nuova creazione.

La quinta ed ultima sezione è dedicata ad approfondire le conseguenze della grazia giustificante.Vi si nota come i nostri peccati e la condizione di nemici di Dio siano cancellati, come Dio ci riconcilicon sé, facendoci veri figli adottivi, eredi della sua vita e gloria eterna, concittadini del cielo, suoifamiliari, destinati a vivere nella sua comunione intima e destinatari di un amore di benevolenza e di

una compiacenza senza confini. Incorporandoci a Cristo, lo Spirito c'incorpora pure alla comunità-comunione della Chiesa sua sposa, suo popolo divino destinato a glorificare il Padre e servire i fratelli,costruendo fin d'ora il suo Regno finale. È in questo ampio contesto di realtà teologiche che l'autoreritiene si debbano sempre inserire, sviluppare e collegare tra loro gli argomenti riguardanti la grazia, la

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giustificazione, la predestinazione, la santificazione, la conversione e la divinizzazione. In essotroverebbero pure la migliore comprensione tutte le distinzioni e i problemi che abbiamo esposto nei

 precedenti capitoli, riguardo al trattato sulla grazia.

2. Proposta di presentazione sistematica

Per la presentazione sistematica appare pure interessante quanto propone il  Dizionario diTeologia

2, volto a collegare organicamente i diversi argomenti teologici connessi alla grazia. In primoluogo pone le seguenti "verità di rivelazione": 1) l'uomo come spirito incarnato, creatura dell'amoredivino, totalmente dipendente dal suo Creatore; 2) l'uomo nel suo esistere naturale in qualità di"immagine" (imago) che fa di lui una " persona", che  può  e deve  dare la sua risposta libera econsapevole alla Parola d'amore che Dio gli rivolge; 3) l'uomo chiamato fin dagli inizi a un'esistenzasoprannaturale che lo rende " somiglianza" (similitudo) con Dio (comunione personale, alleanza); 4) ilrifiuto opposto dall'uomo alla comunione e alleanza, che è divenuto la radice ed essenza di tutti i

 peccati; 5) la sua accettazione obbediente, che gli apre la via all'amicizia, all'adozione filiale, allacomunione divina, alla trasfigurazione e beatitudine, alla partecipazione alla vita eterna e alla gloriadivina. Come si vede, questa impostazione è fortemente antropologica, ponendo continuamente l'uomoal centro del dramma di obbedienza/disobbedienza, accettazione/rifiuto. Essa dovrebbe spiegare

meglio le ragioni per cui la grazia deve considerare e coinvolgere tutti gli aspetti della vita umana,nella prospettiva di Dio e del suo progetto di gratuita benevolenza, amore e salvezza.

L' Antico Testamento  e la speranza escatologica vengono assunti per mostrare come: a) tutta lacreazione sia grazia in senso lato; b) la grazia supponga e perfezioni la natura; c) la forza divina sidispieghi e manifesti proprio nella fragilità e debolezza umana. È guardando all'esistenza storicadell'uomo che la grazia mostra meglio la sua relazione  tra Dio e l'uomo. In questo modo,

 predestinazione ab aeterno  e  giustificazione  appaiono gli stadi più importanti del processo in cuiemerge il mistero di grazia e libertà. L'impegno per il Regno di Dio fa emergere la lotta fra lo spirito ela carne, la fede e il mondo sottolineando, così, pure la necessità della perseveranza. Nella prospettivadella grazia il principio fondamentale è la libera, gratuita ed eterna decisione di amore di Dio, che laattua nella elezione, vocazione, conferimento della grazia abituale ( sanante, elevante, santificante). È

 pure l'amore divino che la porta a compimento in noi, guidandoci e sostenendoci per tutta la vita con lesue  grazie attuali. Sempre nella prospettiva della grazia, la giustificazione è, insieme, cancellazionedella colpa e nascita soprannaturale da Dio, che ci fa suoi figli, nuove creature in Cristo, partecipi dellasua "pienezza" (santità, santificazione, divinizzazione), membri del suo corpo mistico (Chiesa).

In questa nuova condizione l'uomo può meritare  ossia compiere le opere e portare i frutti cheCristo esige e che meritano la ricompensa divina. La necessità della grazia non elimina la capacitàdell'uomo di compiere opere naturalmente buone che, pur non essendo meritorie, sono importanti per

 preparare alla ricezione della grazia. Scopo delle operazioni della grazia è il Regno di Dio non solonei singoli ma pure nella totalità del mondo.

3. Presentazione sistematica e collegamenti

L' Enciclopedia teologica  propone una sistemazione del trattato e dei suoi collegamenti, partendosia dal nucleo centrale della dottrina della grazia, che da una particolare attenzione alla condizioneumana presente e futura. Essa sottolinea l'esasperato atteggiamento di autorealizzazione dell'uomo edella cultura contemporanea, come maggiore stimolo a dare una nuova sistemazione alle tematichedella grazia. Indica, quindi, i seguenti due compiti come particolarmente importanti: 1) mantenereirremovibile il nucleo di verità proprio della concezione della  grazia interiore, ossia l'invisibilità eincalcolabilità dell'amore di Dio nelle strutture del mondo; 2) distinguere tale nucleo da tutte lemediazioni simboliche, sociali, politiche ecc., che la grazia possa assumere.

Questa impostazione porta con sé la seguente serie di conseguenze e condizioni riguardanti lateologia della grazia: a) va sviluppata come sintesi, nucleo intimo e prospettiva dominate dell'interarealtà del vangelo e della riflessione teologica, rinnovando e riattualizzando i problemi sollevati da S.

Agostino in poi; b) deve superare le impostazioni che disgiungono, pongono in concorrenza ocontrappongono grazia e libertà, per elaborare visioni che valorizzino sinergicamente l'azione divina equella umana; c) esige un rilettura critica delle concezioni di libertà che, in maniera palese, occulta osurrettizia, tendono a sottrarsi al senso realistico del limite, che il messaggio della fede richiede; d)

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deve tematizzare la storicità della grazia divina sia nel suo accadere nell'evento di Cristo, che nellacomunicazione di esso nell'evento della Chiesa; e) richiede un approfondimento e un'elaborazioneriflessiva della  grazia esteriore  o esterna, come mediazione mondana della grazia, che la fedeidentifica negli eventi storici e negli avvenimenti mondani (interpersonali, sociali, politici ecc.) comeofferte dell'amore divino; f) deve esprimere tutto il carattere paradossale della grazia, ossia il suo"tutt'altro", che si esplica nelle umiliazioni, sofferenze e insuccessi della vita, nell'interruzione delleattese e delle esigenze vitali dell'uomo, nel fallimento di tutte le speranze immanenti e intramondane;g) deve aumentare l'orientamento al futuro, come vero inizio attuale della vita eterna3.

4. Collegamenti trasversali

Come si vede, si tratta di criteri e proposte diverse, volte a impostare la teologia della grazia inmodo da valorizzarne la dottrina come prospettiva globale di molti, se non tutti, i temi teologici. I

 problemi che sollevano sono molti. Riguardo alla fede: valorizzerebbero adeguatamente l'attocomplessivo di accoglienza dell'azione salvifica di Dio, come accoglienza che trasforma la vita?Riguardo alla dottrina trinitaria e alla teologia della creazione: diverrebbero coerentemente motivocentrale e dominante? Il confronto col tema e la visione extrateologica della libertà introdurrebbe inmodo appropriato il tema irrinunciabile del peccato? Una prospettiva teologica rigorosamente

antropologica sarebbe egualmente legittima ed appropriata? Quanto la riflessione sulla storicità dellagrazia deve divenire più acuta nella cristologia, soteriologia, ecclesiologia, dottrina dei sacramenti edella predicazione? La grazia orientata al futuro deve divenire il punto sistematico di partenzadell'escatologia cristiana, come dottrina del compimento del dono di grazia che ci è dato qui e ora?Questi e altri problemi potranno movimentare la riflessione sulla grazia e sugli altri temi connessi,nella ricerca e riflessione teologica del presente e del futuro.

1 A. Beni, "Grazia", NDT, 599-604.

2 J. Auer, "Grazia", DT, III, 51-55.

3 O.H. Pesch, "Grazia", ET, 447-448.

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13. TEMATICHE VARIE DELLA GRAZIA

Esaminiamo in questo capitolo un insieme di temi, prospettive e problemi riguardanti la grazia, che

finora ebbero minore sviluppo, ma che potrebbero essere ulteriormente elaborati e che, comunque, è

interessante conoscere.

1. Presenza divina e grazia come dialogo di comunione

Una recente proposta indica nel modello dialogico un elemento valido per capire la grazia come

rapporto di Dio con l'uomo, in termini di presenza, appello, chiamata, risposta e accoglienza. Essa

considera la presenza della Trinità in noi, una chiamata permanente all'unione con le persone divine,

che sostengono e portano a compimento in noi la nostra stessa risposta. In questo dialogo di

comunione la chiamata è la presenza della Trinità come Tu assoluto, che si dona nel dono che siamo

noi stessi, come creature e figli, invitandoci in modo permanente ad accoglierla liberamente. La

centralità della categoria intersoggettiva del dono viene compresa attraverso le categorie bibliche di

verità, inabitazione, appartenenza, santità e figliolanza divina. La grazia, nell'aspetto creato e increato,

è partecipazione alla grazia dell'incarnazione del Verbo e quindi al rapporto unico e divino che lega

Padre e Figlio nello Spirito. Il Padre si autocomunica pienamente al Figlio, che perciò è la sua perfetta

immagine e ne condivide in pienezza la divinità. Ma siccome il Figlio assume la sua umanità nell'unitàdella propria persona, il Padre si comunica totalmente a lui, anche come uomo. Questa

autocomunicazione a Gesù è la grazia increata di Cristo e coincide con l'Incarnazione stessa.

Essa divinizza l'umanità di Cristo, la quale sussiste come umanità del Verbo. Tale divinizzazione è

la grazia creata di Cristo. L'Incarnazione è il farsi uomo del Figlio di Dio e la corrispettiva

divinizzazione della sua umanità, attraverso la sua intera esistenza, che culmina nella morte-

risurrezione. La grazia creata in noi è trascendente e immanente. Trascendente perché ripercussione

della presenza e autodonazione di Dio nello Spirito, che ci fa partecipare alla figliolanza divina in

Cristo. Immanente in quanto perfezionamento massimo e sopracreaturale della nostra umanità, alla

vita trinitaria di conoscenza e amore, e tende alla visione beatifica di Dio di cui è un anticipo1.

L'inabitazione è la Trinità che ci chiama a far parte del suo mondo trinitario attraverso la nostra unione

con Cristo. Questa accoglienza elevante ci è offerta sempre, poiché in Cristo il Padre ha accolto tutto ilmondo umano e lo ha chiamato a far parte della propria vita divina. Non vi è nulla, quindi, della nostra

esistenza che non sia influenzato da questa presenza e che non sia continuamente chiamato ad

armonizzarsi alla volontà del Padre, vivendo da figli. Noi veniamo divinizzati, perché Dio ci accoglie

nel suo mondo personale e non viceversa. La concezione biblica dell'inabitazione evoca la presenza di

Dio nel suo tempio, che diventa sua appartenenza esclusiva e perciò santo2.

2. Grazia, libertà, liberazione

Un'altra prospettiva, molto sentita nella seconda metà del secolo XX e tuttora significativa,

riguarda la libertà offerta all'uomo, nella grazia intesa come partecipazione alla vita divina di Cristo e,

quindi, realizzazione somma della nostra umanità e comunione. Dio Padre, attraverso la redenzione di

Cristo e il dono dello Spirito Santo, ci libera dal peccato, dalla morte, dall'estraneità e dallairrealizzabilità della legge divina. Ci rende liberi, in modo permanente, nella fede e nell'amore vissuti

nella speranza. La verità della grazia, nel  Nuovo Testamento, ci ricorda, anzitutto, la sua esperienza

liberante. L'esperienza della grazia come liberazione è totalmente permeata dalla gioia di essere amati

in modo imprevisto, al di là di ogni merito e di ogni attesa. In Luca, le parabole della misericordia

esprimono al massimo la grazia liberatrice e la gioia della libertà. L'amore di Cristo fino alla morte

rivela pienamente la sua misericordia liberante, che ci trasforma col dono dello Spirito. La nostra

libertà è la partecipazione a quella di Gesù. Essere liberi è tornare alla casa paterna ove il Padre ci

attende e dove libertà, figliolanza divina e fraternità coincidono. La liberazione comincia con la

conversione e prosegue fino alla piena libertà dei figli di Dio, nella risurrezione.

Il primato della libertà che appartiene a Dio in Cristo, è fondante per la nostra stessa libertà. Il

dinamismo originario della libertà verso Dio, che la filosofia e la teologia cattolica hanno sempre

riconosciuto, s'incarna nell'esigenza di essere, di verità e di trascendenza, condotti ed elevati dalla

grazia, al termine sopracreaturale di Dio in se stesso. La nostra libertà è sempre un dono, una

vocazione a trovare Dio e ad accoglierlo, per poter accogliere gli altri e l'intero cosmo, nella

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condivisione, oblazione, espiazione, perdono, rischio per gli altri e scelta per la comunione, che sono

l'identità distintiva e le grandi chances  del cristiano. La grazia presuppone la libertà che libera,

sostiene e porta a compimento. Presuppone un soggetto libero chiamato a rispondere di se stesso e a

realizzarsi nell'amore. Essa libera la libertà in due modi: a) ridonando all'uomo le capacità indebolite

dal peccato (grazia sanante o medicinale); b) elevando le sue possibilità a un livello assai superiore a

quello puramente creaturale (grazia elevante). Come ciò avvenga può essere un interessante tema di

ricerca e dibattito teologico3.

3. Trascendenza e immanenza della grazia

Per trascendenza  s'intende il carattere propriamente divino, l'autocomunicazione della Trinità e la

 partecipazione alla divinità di Cristo. Per immanenza  s'intende la capacità della grazia di perfezione

l'uomo in modo intrinseco. La tensione fra i due aspetti costituisce il mistero della grazia o del

soprannaturale, che non fa parte della natura creaturale dell'uomo, ma, tuttavia, corrisponde alle attese

 più profonde e costitutive del suo essere. Dio non ci rende partecipi solo della sua natura,

trasformando la nostra, ma ci eleva alla stessa vita delle Persone divine. Le caratteristiche dell'uomo,

inteso come autocoscienza, autopossesso e alterità permetterebbero forse di cogliere meglio la

trascendenza e l'immanenza della grazia rispetto a questa dimensione umana. Le persone scoprono di

essere reciprocamente delle libertà che, nel mutuo rispetto, riconoscono la propria assoluta einviolabile dignità. La persona umana aspira a godere di un rapporto interpersonale sommo che, però,

 può realizzarsi solo con le Persone divine. La grazia realizza in modo definitivo e ultimo la tendenza

della persona a un rapporto io-tu di amore con Dio. Risultato importante della riflessione sulla grazia

dovrebbe essere pure l'attenzione alla presenza salvifica della Trinità nel cuore di ogni persona e di

ogni cultura4.

4. Concupiscenza

 Nel  Nuovo Testamento, concupiscenza (epithymia) significa un desiderio vivo e forte, che spinge

l'uomo a peccare e lo conduce alla morte. Per Paolo questa epithymia  è proibita da Dio, che le

contrappone una epithymia  (desiderio vivo e forte) positiva, che viene dallo Spirito, che vive

nell'uomo e lo conduce alla vita. Per Giacomo la concupiscenza viene permessa da Dio, come prova, per farci conquistare la pazienza. Per Giovanni essa è l'attrazione del mondo, inteso come il grande

avversario che si oppone a Dio. Per Paolo l'uomo, seguendo lo Spirito la può vincere e vivere. Per

Giovanni chi, per l'amore al Padre, resiste agli stimoli del mondo, vivrà. La grande battaglia, quindi, è

dentro l'uomo, combattuto fra la tendenza al male e la collaborazione agli inviti dello Spirito. Nel 397,

S. Agostino usò per questa realtà il termine di " peccato originale" e più tardi S. Tommaso ne indicò le

due componenti: la mancanza della giustizia originale, che viene cancellata dal battesimo e il

disordine nelle forze dell'anima, che permane pure dopo il battesimo. Il Concilio di Trento inserì la

concupiscenza nel decreto sul peccato originale, come sfondo della dottrina sulla giustificazione.

Sottolineò che la libertà dell'uomo non scomparve, ma rimase danneggiata e indebolita.

Il battesimo cancella i peccati, ma non la concupiscenza che, però, non può arrecarci alcun danno,

se noi non acconsentiamo. Con l'aiuto della grazia possiamo sempre vincerla. Essa, quindi non vaconfusa col peccato, anche se può condurre ad esso. Nei testi del Concilio Vaticano II   il termine

concupiscenza ricorre una sola volta5, ma il suo contenuto si trova in alcuni passi

6. Ciò che conta è che

la persona umana è scissa e divisa in se stessa, perché l'abuso della libertà ne ha oscurato il cuore e la

mente. Come inclinazione al male non viene da Dio, ma dall'errato rapporto che l'uomo stabilì con lui.

L'uomo, benché rinnovato completamente in Cristo, deve sempre lottare contro il male e con la

concupiscenza che ha, in ciascuno, ampie radici. La sua origine risiede nel peccato originale

(peccatum originale originans), ma le sue radici affondano pure nei difetti e peccati delle generazioni

che ci hanno preceduto, dei nostri antenati e dei vari ambienti (persone, gruppi, strutture, istituzioni

ecc.). Infine, essa è pure la conseguenza dei peccati personali di ognuno. Ogni peccato, infatti, oltre

alla colpa in sé, comporta pure un danno alla nostra natura e un peggioramento dei nostri difetti.

Tutto questo, però, può essere vinto dalla grazia e dalla collaborazione personale ad essa.

Comportando uno sforzo continuo, ci sprona a conoscerci pienamente, a sviluppare la nostra libertà e a

chiedere l'aiuto degli altri. Senza tutto questo, ci rimane facile fallire. La potenza vittoriosa della

grazia, nei suoi confronti, deriva dalla benevolenza divina che accompagna continuamente il dono

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della grazia, dalla nostra partecipazione alla natura e santità divina, dal legame fra la nostra grazia e

quella degli altri (Chiesa, comunione dei santi). La nostra forza contro di essa viene dalle fede e dalla

grazia, per cui una lotta puramente razionale o naturale contro di essa non può avere alcun successo.

5. Volontà salvifica universale

 Nella Scrittura, il tema della volontà divina di salvezza universale appare assai complesso. L' AnticoTestamento mostra, al riguardo, atteggiamenti che oscillano fra il particolarismo e l'universalismo. Il

disegno divino s'inserisce nella storia umana, mediante l'elezione e la separazione d'Israele, tuttavia

mira sempre alla salvezza di tutta l'umanità. I libri storici (Giudici,  I-II   Samuele,  I-II   Re,  I-II  

Cronache) mostrano Israele come depositario di valori grandi ed essenziali: la conoscenza dell'unico

vero Dio, il culto autentico, l'alleanza, le promesse e le speranze di salvezza. Per questo patrimonio

religioso, spirituale e morale, le nazioni rappresentano un'abituale minaccia politica e un pericolo

religioso e culturale. D'altra parte, già da allora, Dio appare pure come il Signore di tutti gli uomini,

quindi anche delle nazioni, portatrici di valori umani che non sono altro che i suoi doni. Esse, perciò,

non vanno disprezzate, anche se non beneficiano di tutti i doni divini d'Israele. I profeti

 preannunciano, invece, qualcosa di diverso, che apparirà alla fine dei tempi, riguardo al giudizio e alla

salvezza divina (Is 3-21; Ger 46-51; Ez 25-32). La salvezza finale, quindi, non si limiterà solo a

Israele, perché la conversione finale delle nazioni dovrà ricostruire l'unità originaria infranta dal peccato. Nell'ultimo giorno, Dio riformerà un unico popolo, che ritroverà l'universale unità delle

origini (Zac 14; Dan 7; Is 42; 66). Mentre la Legge ha dato un certo esclusivismo a Israele, la profezia

ha ricollegato la salvezza alle grandi prospettive universali, del mistero delle origini.

Pure il giudaismo postesilico è rimasto oscillante tra esclusivismo e proselitismo. Il giudaismo

alessandrino tradusse la Bibbia in greco e pure in greco scrisse il libro della Sapienza. Ciò sembra

mostrare la consapevolezza d'Israele della sua vocazione di popolo testimone e missionario7. Nel

 Nuovo Testamento, i vangeli presentano Gesù che, dapprima, cercò di convertire Israele per farne il

missionario del Regno, in una prospettiva di totale universalità. Il suo popolo, però, rifiutò lui e il suo

disegno. Gesù, allora, versò il suo sangue "per una moltitudine" (Mt 26,28) aprendo l'ingresso del

Regno a tutti gli uomini. Dopo la sua risurrezione gloriosa, affidò ai suoi Apostoli la missione

universale di annunciare il vangelo a ogni creatura (Mc 16,15), fare discepoli in tutte le nazioni (Mt28,19), testimoniare fino agli estremi confini della terra (Atti 1.8). Il mistero dell'unità universale si

realizza, fin d'ora, nella sua Chiesa, nell'attesa della sua pienezza nei cieli. L' Apocalisse  presenta il

giudizio sull'umanità peccatrice, che per la sua ostilità a Cristo va alla rovina, e la nuova umanità

salvata dal sangue dell'Agnello. Mostra, quindi, un numero immenso di persone, che affluisce da tutte

le nazioni, razze, popoli, lingue (7,9-17), per abitare per sempre nella nuova Gerusalemme (21,24).

Offre, dunque, una visione di speranza in cui tutto il genere umano, redento, ritrova la sua piena unità.

Queste verità, la Chiesa le ha accuratamente conservate anche se, nelle varie epoche, le ha espresse

secondo le diverse esigenze della dottrina. Recentemente, il Concilio Vaticano II  le ha specificamente

riproposte in alcuni testi più significativi. In  Lumen Gentium ne ha trattato tre volte. La prima, nel

capitolo I, sul mistero della Chiesa, a proposito della missione e opera del Figlio, sottolineando che

tutti gli uomini sono redenti da Cristo, chiamati all'unità fra di loro (1Co 5,7), mediante l'unione conlui, luce del mondo8. La seconda volta ne ha trattato nel capitolo II, dedicato al popolo di Dio, riguardo

alla nuova alleanza e al nuovo popolo, strumenti di salvezza per tutta l'umanità9. La terza volta, nello

stesso capitolo, ne ha trattato nel paragrafo dedicato all'universalità dell'unico popolo di Dio, citando

espressamente "tutte le nazioni della terra" e "tutti i fedeli sparsi per il mondo". Ha poi concluso in

questo modo: "Tutti gli uomini sono dunque chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio, che

 prima segna e promuove (praesignat et promovet) la pace universale e alla quale in vario modo

appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli

uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza"10

.

La dichiarazione Nostra Aetate, sulle relazioni con le religioni non cristiane, ricorda che Cristo, per

il suo grande amore per tutti gli uomini, "si è volontariamente sottomesso alla sua Passione e Morte a

causa dei peccati di tutti gli uomini affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza"11

. Il decreto  Ad

Gentes, sull'attività missionaria della Chiesa, ricorda il "piano universale  di Dio per la  salvezza del

 genere umano", la volontà di Dio che "tutti gli uomini siano salvi" e che l'opera salvifica di Cristo vale

 per tutti12

. Il decreto Dignitatis Humanae, sulla libertà religiosa, sottolinea la necessità che il Vangelo

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raggiunga sia l'intero universo che ogni uomo13

. Il Concilio ha confermato, quindi, che tutti possono

ottenere la salvezza e Dio pone a loro disposizione tutti i mezzi necessari (grazia e obbedienza alla

 propria coscienza). Non si è pronunciato, invece, sul valore delle religioni non cristiane come mezzo

salvifico, pur riconoscendo in esse elementi buoni e veri provenienti dalla luce di Cristo. Di questo

trattano alcuni recenti documenti della Commissione Teologica Internazionale14

  e della

Congregazione per la Dottrina della Fede15

1 G. Manca, La grazia, Cinisello B. 1997, 111, 113-115.

2 Y.M. Congar, Il mistero del tempio, Torino 1963.

3 Manca, La grazia, 181-183; 247; 260-262.

4 Manca, La grazia, 268-269; 274-278.

5  Presbyterorum Ordinis 13.

6  Lumen Gentium 36; Gaudium et Spes, 13.

7 J. Pierron, P. Grelot, "Nazioni", DTBD, 749-754.

8  Lumen Gentium 3.

9  Lumen Gentium 9.

10  Lumen Gentium 13.

11  Nostra Aetate 4.

12  Ad Gentes 3, 7.

13  Dignitatis Humanae 13.

14  Fede e inculturazione (1988); Il cristianesimo e le religioni (1996).

15  Dominus Jesus: Dichiarazione circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (2000.

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  1

14. LA "DICHIARAZIONE CONGIUNTA" SULLA DOTTRINA DELLA GIUSTIFICAZIONE

1. Significato e carattere generale del documento

Il 31 ottobre 1999 ad Augsburg, da parte della  Federazione Luterana Mondiale  e del  Pontificio

Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani è stata firmata solennemente la " Dichiarazione

congiunta sulla dottrina della giustificazione" (DG), che raccoglie il lavoro preparato dagli specialisti,

in trent'anni di dialogo teologico ed ecumenico1. Le si accompagna una " Dichiarazione ufficiale

comune della Federazione Luterana Mondiale e della Chiesa Cattolica" che ribadisce i contenuti del

n. 41, che: 1) esiste un consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione; 2)

l'insegnamento presentato nella  Dichiarazione  non sottostà alle reciproche condanne del XVI secolo

che, quindi, oggi non si applicano più né a cattolici né a luterani. Rimangono aperte altre questioni che

saranno ulteriormente esaminate e sulle quali si ha un consenso differenziato. L'aggiunta dell' Allegato 

e della  Dichiarazione ufficiale comune si deve al fatto che, nel 1997, vi fu un confronto sulle residue

obiezioni e si decise di chiarire le questioni controverse in un documento dal titolo " Allegato". La

 Dichiarazione ufficiale comune  sottolinea che tale  Allegato  "rafforza ulteriormente il consenso

raggiunto nella Dichiarazione congiunta". Le conferme e l'approvazione del  Documento, dell' Allegato 

e della Dichiarazione ufficiale comune furono sottoscritte dalla Federazione Luterana Mondiale, dallaCongregazione per la dottrina della fede, dal  Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei

Cristiani e ricevettero l'assenso del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II.

Il documento indica che cattolici e luterani possono dare una testimonianza comune di ciò che è per

loro il fulcro della fede. Applicando la distinzione ecumenica tra verità della fede e formule con cui

vengono espresse2, mostra che le spiegazioni cattolica e luterana della dottrina della giustificazione

non si escludono necessariamente a vicenda. La stessa verità può essere espressa nell'ambito di

tradizioni differenti, in formulazioni diverse, senza che ciò implichi diversità di fede, poiché possono

risultare complementari. Questa è una pietra miliare, anche se non ancora il termine, del cammino.

Rimangono alcune questioni che la Dichiarazione non ha ancora chiarito: il  simul iustus et peccator , il

significato criteriologico della dottrina della giustificazione, lo studio biblico più approfondito delle

questioni dogmatiche riguardanti il ministero della successione apostolica nella Chiesa, il ministero

 petrino, peculiare del Vescovo di Roma, l'unità visibile della Chiesa, gli elementi necessari all'unità

della Chiesa e in essa della diversità e libertà, la visione comune dell'ecumenismo, la necessità di

tradurre interrogativi e risposte di allora in un linguaggio comprensibile per l'uomo di oggi.

L'ecumenismo, dialogo nella carità e nella verità, in 40 anni ha raggiunto convergenze mai ottenute in

450 anni3.

2. Struttura, metodo, contenuti generali

Il documento consta di quarantaquattro paragrafi suddivisi in una  Premessa  e cinque parti che

trattano: 1) Il messaggio biblico della giustificazione; 2) la giustificazione come problema ecumenico;

3) la comune comprensione della giustificazione; 4) la spiegazione della comune comprensione della

giustificazione; 5) l'importanza e la portata del consenso raggiunto. Lo accompagnano: 1) le " Fonti per

la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, che elenca i documenti elaborati indiversi dialoghi fra luterani e cattolici; 2) la  Dichiarazione ufficiale comune della Federazione

 Luterana Mondiale e della Chiesa Cattolica con l'impegno a continuare ad approfondire lo studio dei

fondamenti biblici e a cercare un'ulteriore comune comprensione della dottrina della giustificazione

anche al di là di quanto trattato nella  Dichiarazione; 3) l' Allegato  con alcune delucidazioni sul

documento. Il metodo consiste nell'esporre la fede comune in ciascuna delle verità esaminate e

spiegare i diversi approcci e accentuazioni tradizionalmente seguiti dalle due parti. Dei contenuti

 presentiamo qui, più diffusamente, la  Premessa e la Quinta parte, riguardante l'importanza e la portata

del consenso raggiunto e sintetizziamo i punti salienti delle altre parti.

 La Premessa  richiama i principali punti del messaggio biblico sull'azione di Dio, che giustifica

l'umanità decaduta e analizza il problema ecumenico della dottrina della giustificazione, per le due

Chiese. Per la Riforma luterana del XVI secolo la dottrina della giustificazione ebbe un'importanzafondamentale, essendo considerata l'articolo primo e fondamentale, che governa e giudica tutti gli altri

aspetti della dottrina cristiana. Fu sostenuta contro gli accenti diversi della teologia e della Chiesa

cattolica romana e divenne il punto centrale di tutte le polemiche, con uno scambio di condanne

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  2

dottrinali valide fino ad ora e causa di separazione delle Chiese (n.1). Per la tradizione luterana la

giustificazione ha conservato tale valore (n.2). I documenti del dialogo consentono un bilancio, una

sintesi e la possibilità di potersi esprimere in modo vincolante sull'argomento (nn.3-4). La

 Dichiarazione enuncia una comprensione comune della giustificazione operata dalla grazia di Dio per

mezzo della fede in Cristo. Non contiene tutto ciò che ogni Chiesa insegna al riguardo, ma esprime il

consenso sulle verità fondamentali, mostrando che elaborazioni diverse non causano più condanne

dottrinali (n.5). Non sconfessa il passato delle Chiese, ma mostra i nuovi modi di valutarlo e gli

sviluppi che esigono di esaminare da nuove angolature le questioni che dividono e le condanne (n.6).

 Nelle altre parti il documento considera le componenti fondamentali della comune comprensione

della Giustificazione. Sotto i titoli espressi in linguaggio più tecnico, si trovano i temi più importanti:

1) incapacità e peccato dell'uomo davanti alla giustificazione; 2) giustificazione come perdono dei

 peccati e azione che rende giusti; 3) giustificazione mediante la fede e la grazia; 4) l'essere peccatore

del giustificato; 5) la legge e il Vangelo; 6) la certezza della Salvezza; 7) le buone opere del

giustificato. Vi influiscono sempre le tre verità fondamentali sulle quali si è raggiunto il consenso: 1)

la giustificazione è un dono libero e gratuito, effuso dalla Trinità, centrato su Cristo incarnato, morto e

risorto, col quale lo Spirito Santo ci pone in relazione; 2) noi la riceviamo col dono della fede, per

mezzo dello Spirito Santo, attraverso la parola e la vita sacramentale, nella comunità dei credenti; 3) la

giustificazione è al centro del messaggio evangelico, in unità organica con tutte le verità della fede,con particolare carattere trinitario e cristocentrico. Passando alle singole parti, possiamo notare che la

 prima parte riguarda il messaggio biblico della giustificazione nell'Antico e Nuovo Testamento,

sottolineando il modo comune di ascolto della Parola, che ha condotto alle nuove valutazioni.

3. Contenuti delle varie parti

Si sottolinea, quindi che, nella Scrittura, la buona novella e i temi della giustizia e della

giustificazione sono rappresentati ed espressi in diversi modi, che vengono elencati (nn. 8-12). La

seconda parte espone la giustificazione come problema ecumenico. Riconosce che le interpretazioni e

applicazioni contraddittorie del XVI secolo furono una causa primaria di divisione e che i recenti studi

 biblici hanno consentito una significativa convergenza, che consente un consenso su verità

fondamentali della dottrina della giustificazione (n.13). La terza parte, sulla comune comprensionedella giustificazione elenca i comuni fondamenti e presupposti teologici della giustificazione: l'opera

di Dio Uno e Trino, l'invio del Figlio, l'Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, l'assoluta gratuità

della salvezza e della grazia, la chiamata universale alla salvezza, il dono della fede, l'azione dello

Spirito nella comunità, mediante la Parola e i Sacramenti, la nuova vita dovuta alla misericordia divina

che fa nuove tutte le cose. La dottrina della giustificazione, quindi, ha una relazione essenziale con

tutte le verità della fede connesse tra loro (nn.14-18)4. La quarta parte, che contiene la spiegazione

della comune comprensione della giustificazione, presenta una struttura alquanto diversa dalle altre.

 Nei vari paragrafi, riguardanti le specifiche questioni, dapprima indica quello che "insieme

confessano" cattolici e luterani, poi dedica due paragrafi successivi a spiegare che cosa intendono sia i

cattolici che i luterani "quando sottolineano che". Si tratta quindi di un chiarimento delle "intenzioni".

Tenuto conto di ciò ci limiteremo a sintetizzare solo la prima parte, ossia gli "Insiemeconfessiamo". Essi dicono, nell'ordine, che: 1) riguardo all'incapacità e peccato dall'uomo di fronte

alla giustificazione (4.1), l'uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio.

La giustificazione avviene soltanto per opera della sua grazia, Dio non gli imputa più il peccato e fa

agire in lui un amore attivo per opera dello Spirito Santo. Questi aspetti sono connessi (n.19); 2)

riguardo alla giustificazione come perdono dei peccati e azione che rende giusti  (4.2), Dio perdona

 per grazia il peccato dell'uomo e, nel contempo, lo libera durante la sua vita dal potere assoggettante

del peccato, donandogli la vita nuova in Cristo (n.20); 3) riguardo alla giustificazione mediante le fede

e per grazia (4.3), il peccatore viene giustificato mediante la fede nell'azione salvifica di Dio in Cristo

e questa salvezza gli viene donata dallo Spirito Santo nel battesimo, fondamento di tutta la sua vita

cristiana (n.25); 4) riguardo all'essere peccatore del giustificato  (4.4), nel battesimo lo Spirito Santo

unisce l'uomo a Cristo, lo giustifica ed effettivamente lo rinnova; l'uomo non può mai fare a meno

della grazia incondizionatamente giustificante, non è svincolato dal dominio che esercita su di lui il peccato, non può esimersi dal combattimento contro l'opposizione a Dio che proviene dalla

concupiscenza, deve chiedere ogni giorno perdono a Dio, è continuamente chiamato alla conversione e

 penitenza (n.28); 5) riguardo alla Legge e il Vangelo  (4.5), l'uomo viene giustificato nella fede nel

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Vangelo, e i comandamenti di Dio rimangono in vigore, Cristo esprime la volontà di Dio che, per il

giustificato, è norma del suo agire (n.31); riguardo alla certezza della salvezza  (4.6), i credenti

 possono fare affidamento sulla misericordia, le promesse efficaci di Dio, la sua grazia nella Parola e

nel sacramento ed essere certi di questa grazia (n. 34); 6) riguardo alle buone opere del giustificato 

(4.7), le buone opere e la vita cristiana nella fede e nell'amore, sono le conseguenze e il frutto della

giustificazione e il dovere da assolvere dal cristiano (n.37).

La quinta parte spiega l'importanza del consenso raggiunto. Essa sottolinea che la dottrina esposta

nella  Dichiarazione  mostra l'esistenza di un consenso tra luterani e cattolici su verità fondamentali

della dottrina della giustificazione, che rende accettabili le differenze di linguaggio, degli sviluppi

teologici e delle accentuazioni particolari (n.40). Si pone, quindi, in continuità con l'essenziale

comprensione della giustificazione formulata nel XVI secolo, al di là degli influssi politici, sociali,

intellettuali, filosofici e teologici, che condizionavano entrambe le parti e portarono a eccessive

reazioni teologiche ed esagerata diffidenza. Inoltre le sue espressioni non cadono sotto le precedenti

reciproche condanne (n.41), che non erano infondate, ma avevano la serietà e il "significato di salutari

avvertimenti" di cui tenere conto (n.42). Il consenso raggiunto deve avere effetti e riscontri nella vita e

insegnamento delle Chiese. Infatti, la giustificazione ha avuto pure un peso nella disputa verificatasi

nella cristianità d'Occidente con le altre Comunioni originate dalla Riforma (Anglicani, e Alleanza

Mondiale delle Chiese Riformate). Si ricordano pure le questioni che richiedono ancora unachiarificazione, per le quali l'accordo raggiunto offre una solida base: relazione fra Parola di Dio e

insegnamento della Chiesa, ecclesiologia, autorità e unità della Chiesa, ministero dei sacramenti,

relazione fra giustificazione ed etica sociale  (n.43). Il passo compiuto è decisivo per il superamento

della divisione e consente, con l'opera dello Spirito Santo, un avanzamento verso l'unità visibile (n.44).

4. Contenuti dell'Allegato e implicazioni pastorali

L' Allegato  consta di quattro paragrafi. Il primo ribadisce la cessata applicazione delle passate

condanne. Il secondo si suddivide in cinque sottoparagrafi, distinti con le lettere da  A  ad  E . Non

aggiunge contenuti particolari, ma ribadisce e sottolinea il significato di alcune espressioni contenute

nei vari paragrafi della DG. Riporta interi brani, dai nn. 15, 16, 22, 25, 27, 28, 29, 30, 38, 39, senza

seguire, però, il loro ordine numerico. Dopo aver ripetuto tale e quale DG 15, A) ribadisce DG 22, con brani di DG 28, 29, 30 per dire che la giustificazione è insieme perdono dei peccati e vero

conferimento della filiazione divina, che però non elimina nell'uomo la possibilità di peccare. Il

sottoparagrafo B), che cita DG 30 e 28, tratta della differenza di significato, per luterani e cattolici,

della concupiscenza. Per i primi è "desiderio egoistico dell'essere umano che, alla luce della Legge

spiritualmente intesa, è considerato peccato". Per i cattolici è "una inclinazione che permane negli

esseri umani perfino dopo il battesimo, che proviene dal peccato e spinge al peccato". I luterani

 possono riconoscere che il "desiderio può diventare il varco attraverso il quale il peccato assale". Il

sottoparagrafo C) ribadisce DG 15-16 che la giustificazione avviene solo per mezzo della grazia, DG

25 che la persona è giustificata indipendentemente dalle opere e che l'opera della grazia non esclude

l'azione umana.

Il sottoparagrafo D) ribadisce DG 25 e 27, che la grazia proviene sempre dall'opera salvifica ecreatrice di Dio e DG 38 e 39 riguardo alla preservazione della grazia. Il sottoparagrafo E) ribadisce

che per mezzo della giustificazione siamo incondizionatamente condotti alla comunione con Dio, che

comprende la promessa della vita eterna e che i giustificati saranno giudicati anche in base alle loro

opere. Il terzo paragrafo ribadisce DG 18, che la dottrina della giustificazione è criterio irrinunciabile

che orienta a Cristo tutta la dottrina e prassi della Chiesa. Il quarto paragrafo sottolinea che la risposta

della Chiesa cattolica non intende mettere in dubbio l'autorità dei Sinodi luterani o della  Federazione

 Luterana Mondiale che hanno iniziato e portano avanti un dialogo come interlocutori con uguali diritti

e che rispettano i reciproci processi volti a raggiungere decisioni dottrinali.

Riguardo alle implicazioni pastorali del Documento se ne sottolineano tre. La prima è che il

superamento in termini così positivi di uno dei maggiori ostacoli, consente un generale atteggiamento

di maggiore comprensione e apprezzamento reciproco. La seconda è che i risultati conseguiti

 potrebbero spronare a un accresciuto impegno sul cammino dell'unità visibile. La terza è che i risultati

conseguiti sono soprattutto opera della grazia dello Spirito Santo, per cui invita a testimoniare, sempre

 più uniti, i grandi valori comuni della fede in Cristo e dell'opera delle Persone divine per la salvezza

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  4

umana, davanti ai falsi valori del materialismo e della secolarizzazione e ai ripiegamenti e

disperazione di quanti ne sono preda.

1 E.I. Cassidy, La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione: progressi, implicazioni, limiti,

in L'Osservatore Romano, 20.1.2000, VIII.

2  Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, Città del Vaticano 1993.

3  W. Kasper,  La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, in  L'Osservatore Romano,

20.1.2000, 6.

4  Ciò rivaluta l'analogia fidei, particolarmente importante nella dottrina cattolica che il Catechismo della

Chiesa Cattolica, così espone: "per 'analogia della fede' intendiamo la coesione delle verità della fede tra loro e

nella totalità del progetto della Rivelazione" (n. 114).

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DCF  Dizionario critico di filosofia, Milano 1971

DDP  Dizionario di Paolo e delle sue lettere, Cinisello B. 1999

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DI  Dizionario delle idee, Firenze 1977

DS  Enchiridion Symbolorum, Freiburg i.B. Roma 1976

DT  Dizionario Teologico, 3 vv., Brescia 1969

DTAT  Dizionario teologico dell'Antico Testamento, 2 vv., Torino 1978-1982

DTBB  Dizionario di teologia biblica (Bauer), Brescia 1979

DTBD Vocabulaire de Théologie Biblique (Dufour), Paris 1970

DTC  Dictionnaire de Théologie Catholique, 15 vv., Paris 1930-1972

DTI  Dizionario teologico interdisciplinare, 3 vv., Torino 1977

EC  Enciclopedia Cattolica, 11 vv., Città del Vaticano 1948-1954

EDOT  Expository Dictionary of Biblical Words, New York 1985

EGF  Enciclopedia Garzanti di filosofia, Milano 1988

ET  Enciclopedia Teologica, Brescia 1989

GDR Grande Dizionario delle Religioni, Assisi-Casale M. 1988

GLNT Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia 1965 ss.

IBNC  L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Pont. Com. Bib. 15.4.1993

MS  Mysterium Salutis, 11 vv., Brescia 1965 ss.

 NDT  Nuovo dizionario di teologia, Milano 1982 

 NDTB  Nuovo dizionario di teologia biblica, Milano 1989

SM Sacramentum Mundi, 5 vv., Brescia 1975