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GIOVANNI FRANCESCO PICO DELLA MIRANDOLA OPUSAUREUM A CURA DI MAURIZIO BARRACANO EDIZIONI ARKTOS - CARMAGNOLA

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GIOVANNI FRANCESCO PICO DELLA MIRANDOLA

OPUSAUREUM

A CURA

DI

MAURIZIO BARRACANO

EDIZIONI ARKTOS - CARMAGNOLA

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GIOVANNI FRANCESCO PICO DELLA MIRANDOLA

OPUSAUREUM A CURA

DI MAURIZIO BARRACANO

EDIZIONI ARKTOS - CARMAGNOLA

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COLLANA DI STUDI ESOTERICI

a cura di

MAURIZIO BARRACANO - MASSIMO CANDELLERO

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P resentazione della

COLLANA DI STUDI ESOTERICI

Nel momento in cui si intraprende queste collana, che trat­terà di Esoterismo in maniera forse più ampia di quanto fino ad oggi si è fatto, volenti o nolenti si prende a fare "cultura". Ci è stato obiettato che la Scienza Esoterica, date le sue caratteristi­che metafisiche, ben poco si presta alla dialettica ed all'opinare, che sono metodi di conoscenza esclusivamente pertinenti al cam­po dello scibile profano (Lat. pro - Fano: fuori del Tempio), ma non dimentichiamo che, fatti salvi alcuni, una buona parte di coloro che sono approdati a queste Scienze proviene dal di fuori del Tempio, causa un richiamo che non facilmente è definibile subito. Anni fa, quando prendemmo a studiare ed a vivere questa Filosofia, lo facemmo spinti, più che da una certezza, da un dub­bio, un perché, che in seguito divenne ipotesi: dall'ipotesi si è pas­sati all'azione e forse in futuro potremo fare "Scienza". Per oggi, mentre ancora ci troviamo nel labirinto, ci limitiamo a studiare i trattati di coloro che, se l'ipotesi è valida, "qualcosa" banno rea­lizzato nel corso dei secoli. Più volte disapprovammo il modo di fare di alcuni Autori ed Editori moderni che prendevano di petto la trattatistica, lanciando sul mercato testi "per iniziati", senza spazio per chi incominciava a fare i primi passi, o perché spinto dalla precarietà di un certo modo di vivere, o perché presentiva, quasi intuiva, una realtà al di là della dialettica, al di là dei condi­zionamenti della psiche: metafisica e solare.

I primi studi che presenteremo in questa collana avranno a[r

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punto la caratteristica di essere "introduttivi" e, dato che ci si au­gurr, di essere letti non solamente da chi questa materia già cono­sce, saranno co"elati da un bagaglio abbastanza consistente di no­te e di riferimenti bibliografici per cui chi vo"à continuare la ricer­ca in altri sensi potrà farlo in modo sufficientemente scientifico.

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P R EF A ZIO N E

L'Opera che stiamo per presentare viene attribuita a Giovanni Francesco Pico della Mirandola. Questo nipote del grande Giovan­ni Pico fu indubbiamente un uomo di intelletto e cultura notevoli; nato intorno al 1469, si interessa di Filosofia e di Teologia, inizian­do i suoi studi a Ferrara. Molto scrive, soprattutto di Teologia, la­sciando viceversa un solo trattato sull'Alchimia. Questioni relative alla contea della Mirandola lo fecero più volte scontrare con il Fra­tello Ludovico fino alla espulsione dal castello di Mirandola, in cui viveva, nel 1500.

Nel Gennaio di undici anni dopo, aiutato da Papa Giulio Il, riprendette il castello, ma per poco. Infatti, alcuni mesi dopo, venne nuovamente scacciato ad opera, questa volta, della vedova del fratello (deceduto nel 15 10) e dei suoi figli.

La guerra continuerà fino alla sua uccisione, nella notte del 15 ottobre del 15 33, per mano del nipote Galeotti Il. Pur avendo vissuto un'esistenza particolarmente travagliata, ebbe occasione di compiere ripetuti viaggi e di approfondire gli studi in cui era versato, studi di cui ì principali sono raccolti nel II volume del-1' "Opera Omnia" di Giovanni Pico, Bologna 1496 e Basilea 1572, II voli. L' "Opus Aureum" si trova, viceversa, sia nella "Biblio­theca Chemica Curiosa" di J. Manget, Genevae 1702, voi. II, a pag. 558 e segg. - , che nel "Theatrum Chemicum", Argentora­ti 1659, voi. II, a pag. 312 e segg .. Il Ferguson, nella "Bibliotheca Chemica", (London, Holland Press 1906), cita questo lavoro, al-

L'Opera che stiamo per presentare viene attribuita a Giovanni Francesco Pico della Mirandola. Questo nipote del grande Giovan­ni Pico fu indubbiamente un uomo di intelletto e cultura notevoli;

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la pag. 203 del II voi., dicendo: "His only alchemica! work was this on gold. It was written so early as 1515 ... ". Abbiamo i ­noltre trovato nel V tomo del "Tresor de livres rares et precieux ou nouveau Dictionnaire bibliographique" di J. G. Graesse, a pag. 285, questo trattato citato in tre edizioni: Ven. 1586, in 4°, Ferr. V. Balduinus 1587, in 8° ; Ursell 1598, in 8° .

L'Opera che segue viene edita in apenura di questa coHana date le sue caratteristiche di solida impostazione e trattazione del tema dell'Ane Filosofale, caratteristiche che si prestano ad introdurre quanto in seguito tratteremo più ampiamente e spe­cificamente. E' bene comunque sottolineare che l'Alchimia non è "progenitrice" della chimica, o "chimica allo stato infantile", come molti ebbero e continuano a sostenere. Alchimia è " ... una Scienza e l'Arte di fare una polvere fermentativa, che trasmuta i metalli imperfetti in oro, e che serve da rimedio universale a tutti i mali naturali degli uomini, degli animali e delle piante", come scrisse il Pemety nel suo "Dictionnaire Myto-Hermetique", Paris Bauche ed., 1758, a pag. 17. Nello stesso luogo, ancora: "... impiega gli agenti della Natura, e imita le sue operazioni .... da una materia vile ed in piccola quantità fa una cosa molto preziosa ... ". Alchimia è essenzialmente cultura ed azione volte alla realizzazione del Sapere, del vero Sapere, che è integrazione del conoscente con il conosciuto, che è Essere. Cogliamo l'oc­casione per ringraziare il Prof. Guarrera che, per l'aiuto datoci nella traduzione del testo, ci ha permesso di proporre l' "Opus Aureum" in tutto rispetto di quel rigore filologico che ogni ope­ra di Filosofia Ermetica dovrebbe possedere. Scusandoci con il lettore se avrà occasione di notare delle asprezze di linguaggio, diremo che era preferibile rinunciare a delle pianificazioni del testo, piuttosto che depauperare, anche parzialmente, l'integrità del trattato.

M. BARRACANO

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I NDICE DELLE FIG URE

Figura I - Dopo la prefazione del "Trionfo Ermetico, o la Pietra Filosofale vittoriosa", Amsterdam 1699, si trova la prima illustrazione, che è un mirabile compendio di tutta la Filosofia Ermetica. Le corone rappresentano la signoria che si acquisisce dopo ogni operazione: dal "Fuoco naturale e segreto" che opera sulla Pie­tra, si passa alla volatilizzazione all'interno del Vaso; la prima corona precede la Circolazione simboleggia­ta dal Caduceo di Ermete; dopo questa operazione si consegue la duplice corona. Il simbolo del Solfo, con una fenice all'interno, prelude alla triplice coro­na, che sta a significare la perfezione del Magistero.

Figura II ·- Questa seconda figura si trova nel "Trattato dell'Ac­qua di Vita", Parigi 1646, e rappresenta il Vaso in cui avviene la circolazione della Quintessenza. Ricol­legandoci alla figura precedente si dirà che, subito dopo aver creata la Pietra, è in un Vaso simile che si compie non solo la prima sublimazione ma anche tut­ta quanta l'Opera.

Figura Hl - Questa ultima incisione si trova nel "Museum Herme­ticum ''; Francoforte, 1627, come la prima che ab­biamo riprodotto, rappresenta l'Opera Filosofale. Può essere interessante confrontare le due figure.

Nota: Per il lettore in difficoltà nell'interpretazione dei sim­boli aggiungiamo che, come nella presentazione, se­guendo i trattati che verranno proposti nella prosecu­zione della collana si troveranno parzialmente chiari­ti gli . "ermetismi"; è bene comunque aggiungere che il simbolo va inteso "sub specie interioritatis ", in un certo senso vivendolo nella sua accezione più profon­da, senza fuorvianti cerebralismi.

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L IBR O I.

Capitolo I.

L'ORO, NON SEMPRE, FIN DALL'INIZIO DEI PRIMI SECOLI DELLA SUA SCOPERT A, FU CONSIDERATO

PER ACCORDO T RA LE NAZIONI MISURA DELLE AL TRE COSE

•ome mai l'oro - che una volta veniva tanto stimato e ancor adesso dappertutto vediamo che di più viene stimato - abbia introdotto nelle menti umane una co­sì alta opinione di sè e, una volta introdottola, ve l'ab­bia mantenuta, spesso m1 metto a pensarlo - moglie - sì che vor· rei conoscerlo con maggiore esattezza discorrendone. Fin dalle sue origini infatti vedevo che di solito veniva ricercato con tanta cura, persino superflua, sì che meritatamente è stato detto dai primi autori di lingua latina che l'oro ha derivato il nome dal fatto che devia le menti umane ed una volta trovato viene custodito con tanto zelo che giustamente diede l'occasione ai Greci di sospettare, evidentemente, che il nome fosse derivato da apo to oreein (curare - proteggere, n.d.t ), poiché naturalmente si custodisce più di ogni altra cosa, e da ciò ha origine il vocabolo di - tesoro-. D'altra parte fone potendo sembrare utile, però in nessun modo necessario per la sua propria natura, ma solo per accordo 5

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tra i mortali, l'animo umano ne diveniva sempre più bramoso, co­me se certamente possedesse la verità. E tra l'altro si ricordava che l'oro non sempre era stato preferito alle altre cose, non solo ai me­talli, ma anche a quelle di altra natura, per consenso delle nazio­ni: infatti, per accordo espresso o tacito di tutti i tempi ciò avven­ne, sebbene io ritenga doverlo porre al di sopra di tutte le altre cose che non siano di metallo, pure non ne sono del tutto persua­so. Infatti, alle prime origini dell'uomo nessuna menzione è fatta dell'oro ed anzi vien riferito, dalle più antiche testimonianze scrit­te, che gli uomini trascorsero la vita per molti secoli senza l'oro; ma non mancano d1 quelli i quali scrissero che l'oro fu scoperto da Eaco poco prima dell'epoca d1 Troia; l'argento, mvece, da Indo re della Scizia; altri riferiscono che fu una scoperta di Toante Eaclio o di Erittonio: chi l'attribuisce al Sole; chi a Vulcano; chi a Criso. e di questa opinione fu convinto Ippocrate, cioè che l'oro fu chia­mato così, Crison (oro, n.d.t.) dallo scopritore. Conoscevo anche la tradizione per cui l'oro non fu usato in Furopa e molto meno esso venne fuso prima dei tempi del fenic10 Cadmo. Perché? - si chiede. Perché - rispondo - anche nel periodo di maggior pro�p,, ,. rà dei Greci non si potè ricavare da tutta la Grecia (lo riferisn · \ teneo) tanto oro quanto ne bastasse per indorare il capo della stJ tua di Apollo Amicleo. Tanta rarità di oro ed al tempo medesimo altrettanta stima di esso vi era presso il re Filippo ,che ,questi riteneva cosa ben fatta portare con sè una coppa d'oro, la quale era anche così piccola che la nascondeva sotto il guanciale - se è vero quanto ci tramandò nei suoi scritti Durio di Samo -; mi meraviglio però che questa abitudine di Filippo sia stata considerata eccessiva­mente sconveniente da Plinio, allorché seppe della coppa. Era tanto scarso presso i Greci quel metallo che era tenuto in sì gran conto al punto da vietare, per legge, di servirsene. Si è ap­preso facilmente dalla storia, che Lacedemone sia stata fondata ed accresciuta senza monete nè d'oro nè d'argento; che fosse decadu-6

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ta e si fosse corrotta allorquando, sotto Lisandro, aveva accettato il bottino d'oro dopo la sottomissione di Atene. Aggiungeva Pla­tone che Lisandro nelle sue leggi proibì che l'oro fosse posseduto da alcun privato cittadino: e lo stesso editto aveva promulgato ri­guardo all'arg�nto. Forse Lisandro aveva in mente che una volta ndla Grecia era rarissimo l'uso dell'argento e dell'oro e che questi di solito venivano usati soltanto nei templi, eccetto che nei tripodi e nelle statuette che per primi i re di Lidia, Gige e Creso, e poi i Tiranni Siciliani, dedicarono come ex voto. Successivamente, avendo i Focesi saccheggiato Delfi, quel metallo comincio in ogni modo a diffondersi; ma ciò non contribuiva a diminuire il valore dell'oro, poiché presso gli Ebrei, in periodo di abbondanza di quet metallo, fu inventato il bronzo, più robusto dell'oro se ci riferisce la verità Giuseppe nel settimo e nell'undecimo libro delle Antichi­tà. Mi veniva anche in mente che persino in Italia, nei suoi accam­pamenti Spartaco aveva vietato che qualcuno possedesse oro o argento. Dopo il corso tanto numeroso di secoli era rimasta l'ahitu<line presso non poche genti dell'Asia e dell'Africa di tenere, alcune l'oro in poco conto, altre in nessun conto; anche nell'India, che è ritenuta abbondantissima di oro; se ci riferiamo a quella parte che Alessandro il Macedone vinse, non c'era oro; tuttavia abbiamo appreso dagli scrittori Greci i quali narrano le sue impre­se, che dopo la distruzione di Berside, quello stesso re trovò tanto oro che a stento, per trasportarlo, bastarono trentamila muli!

Concludiamo dunque che gli uomini pur erano d'accordo di non stimare nulla più dell'oro, ma non risulta perché l'abbiano sta­bilito e non sempre fu confermato e stabile tale accordo, presso tutte le nazioni, per cui si è scelto l'oro come misu.-a di tutte le al­tre cose.

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Capitolo II.

PERCHE' L'ORO NON DEV'ESSERE VALUTATO TANTO - COME AVVIENE - PW' DELL'UTILITA' CHE

DERIVA DALLA NATURA DEL METALLO

Veramente ritenevo di scarsa importanza l'argomento del quale alcuni si avvalgono per persuadere gli uomini del volgo:

e cioè che l'oro è di grande utilità per i mortali. Infatti io stesso vi contrapponevo il ferro, senza il quale nemmeno l'agricoltura può esistere, arte necessaria non meno di quanto sia comune, e per di più - come afferma Senofonte - madre ed alimento di tutte le ar­ti, senza la quale l'arte edile non è abbastanza sostenuta nè quella nautica sufficientemente conservata, per non parlare di quella mi­litare, che sebbene nuoccia ad alcuni, pure non danneggia tutti: ci sostiene in questa affermazione quell'emistichio" ... e l'oro più no­civo del ferro ... ", e quell'altro detto non dissimile " ... il ferro du­rante la guerra più gradito dell'oro ... ". E press'a poco con questa argomentazione s'accordava quell'elogio " ... che l'oro fu bandito da tutte quelle comunità che sono ritenute ottime, anche perché trovato dannoso per l'esistenza ... ". Subito dopo, è da ricordarsi, pure l' antichità una volta ammirata e al tempo stesso disdegnata: perché prima ppssedette l'oro quando tentava di evitarlo con la favola di Mida, cui a nulla era servita la grande quantità di oro, solida ricchezza, raccolta per la vita.

Da allora in poi nello scambio delle merci non fu prevalente l'uso di valutare soprattutto con l'oro, tanto più che gli antichissi­mi re non coniavano nè l'oro nè l'argento, ma evidentemente il ra­me, del qual metallo si racconta che lo scopritore fosse Saturno, da cui fu istituito anche l'erario, notizia accolta da Cecilio Cipriano, benché altri scrivano che il primo a coniar moneta sia stato Giano, - coetaneo ed ospite di Saturno, - il quale impresse nelle monete la nave da cui era stato tr�sportato: anche presso i Romani il pri-

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mo conio fu in rame, allorquando fra i sette re di Roma per il primo Servio Tullio fece imprimere il conio nel rame; il pri­mo dei consoli che coniò nell'argento· fu Fabio: ben presto servì da conio anche l'oro.

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Capitolo III. PERCHE' L'ECCESSIVA ST IMA DELL'ORO NON DERIVA

DA LLA MEDICINA

Q ueste affermazioni in realtà venivano da me desunte dalla conoscenza medica, in polemica con me stesso, alcune tra le più comum da tempo dedotte dalla gioia, dal benessae derivato dall'equ librio corporeo, a mio vantagg io, anche dalla mia stessa conoscenza mi derivavano le obiezioni allorché per aver raccolto delle monete d oro quella gioia permane per tutto il tempo che dura la sen azione di sentirsi ricco, di poter cioè comprare, spen­dendo il denaro , quelle cose che ci piacciono, ma ciò deriva dal­l'immaginazione, dalla riflessione e dalla mente e non dall'equili­brio della salute corporea allorquando i grassi si trasformano o vengono espulsi in fece Aggiungasi che molte sono le cose che si dicono di gran giovamento al benessere del corpo umano ed anche, dai medici pm antichi, maggiormente considerate al mantenimento della salute ed a un conveniente rinvigorimento delle forze, delle qual sostanze più facilmente si può venire in possesso e con minore spesa. "Infatti per niente i metalli nutrono, così come è stato accertato presso i più antichi Peripatetici. Non possono in realta essere digeriti in modo che si mutino in carne ed in sangue". Ciò e stato anche confermato dall'esperienza di quelli che, colpiti dai turbmi delle gu rre, costretti ad errare per vaste regio­ni, nascondendosi m caverne sotterranee, ingerirono delle monete d'oro preparate a guisa di pillole, ben presto le defecarono con lo stesso peso e con lo stesso colore. E se per caso qualcosa andò perduta fu assorbita per effetto del calore corporeo, e ciò in real­tà poco; del resto arebbe stato un ottimo rimedio per restare in vi­ta, allorché Gerusalemme venne assediata, per quegli Ebrei che cercavano di sfugg ire all'Imperatore Tito, se fosse stato digerito l' oro, in modo da nutrire coloro che se ne erano cibati; infatti non

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sarebbero stati fatti a pezzi dagli avidissimi Assiri nè dagli Arabi per estrarre dai visceri degli uccisi l'oro che prima avevano mgoia­to; ed il numero di questi fu così grande che in una sola notte furono tagliati gli intestini a duemila uomini. Questo episodio ci fu narrato da Giuseppe e confermato da Egesippo.

Dunque a quei disgraziati venivano nascoste monete d'oro nel ventre, come in una cassa; non erano state ingoiate per togliere·la fame perché sarebbero state ormai assimilate da tutto il corpo e sarebbero state trasformate come tutti gli altri commestibili. Per­ché? Perché non emana odore l'oro e neanche con il sapore alimen­ta quelle emanazioni di gas che esalano dal corpo umano, chiama­te "flati" dai medici, mentre invece sono di sapore sgradevole tutti. i metalli, e di odore sulfureo, sicché non possono in alcun modo non esser nocivi a quelli che giacciono ammalati e a cui poco man­ca che stiano per esalare l'ultimo respiro.

Esiste un'affermazione di Alberto Magno piuttosto generaliz­zata "che il sapore e l'odore di tutti i metalli sono in ogni caso disgustosi, per quanto possa essere minimo l'odore"; infatti nell'o­ro esiste un minimo di odore sgradevole a causa della mescolanza, per quanto estremamente sottile, dello zolfo nella lega: vi sono pe­rò delle sostanze che giovano non solo all'olfatto, ma anche al gu­sto sia dei sani sia degli ammalati e che per di più sono considera­te di minor valore che l'oro.

Mi viene anche in mente che Plinio scrisse che in altri tempi veniva applicato dell'oro sulle ferite, ed ai fanciulletti contro 1 ve­leni perché nuocessero meno, ed aggiunge che a qualcuno fu di giovamento. Ricordo pure che dallo stesso Plinio (se ciò può esserci di grande pregiudizio) sono state scritte più lodi che vitupe­ri dell'oro; e sempre ancora lui, Plinio, ci ha lasciato scritto che nell'oro· c'è un certo veleno, ricordavo ancora che proprio da lui era stato tramandato l'interrogativo retorico "a chi serve da me­dicina l'oro se non a chi lo estrae?"

Se allora la medicina non escludeva l'oro, lo escluse certo in segu�to e ciò fu per sempre: questo è attribuito all'autorità di

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Plinio. Ciò afferma anche Varrone, uomo insigne pure di quel­l'epoca, particolarmente versato in quella materia. Dioscoride non fece alcun esperimento di medicina sull'oro. Ho detto che Diosco­ride visse al tempo di V arrone e fu della stessa opinione, secondo la tradizione di Suida, sebbene io sappia che vi sono di quelli che affermano piuttosto che Dioscoride appartiene all'epoca di Plinio, perché ne fa menzione Lenio Basso, ma preferirei che essi si fossero accorti che Dioscoride visse anche al tempo di Arrio, al quale dedica un volume di medicina elementare; intendo dire non di quell' Arrio che Catullo schernisce per la pronuncia, nè di quell' altro che, nemico acerrimo della nostra religione, scagliò accanitis­simamente bestemmie contro nostro Signore Gesù Cristo, ma di quello che fu anche Alessandrino e che da Cesare Augusto fu tenuto in grande onore dopo che ebbe conseguito la vittoria su Antonio e Cleopatra; ma sia che Dioscoride fosse più anziano di Plinio sia che fosse coetaneo, non importa dilungarci più oltre. Varrone certamente fu rovinato dalla proscrizione dei triumviri e lo stesso Dioscoride ebbe fama durante il triumvirato di Antonio; a partire da lui (da Dioscoride) il Lazio, regione barbara, apprese dalla Grecia l'arte medica ed anche noi siamo di quell'opinione; ma ciò potrebbe essere accaduto anche dopo poiché si fa menzione di Dioscoride in Plinio, sia che fosse anteriore o contemporaneo, oppure coetaneo. A qualunque secolo comunque sia appartenuto Dioscoride, molto egli lasciò scritto nei suoi capitoli sull'argento vivo, sul ra­me, sul ferro, sul piombo, usati come medicine, ma non sull'oro: e di esso appena ricorda, nel capitolo sull'idrargirio, che questo (l'i­drargirio) sarebbe nocivo qualora venisse ingerito salvo che si ingoi qualche truciolo di oro come antidoto - e ciò asserisce nel trattare di medicina. Mentre però tratta dei veleni, afferma che un buon antidoto contro l'aconito sia del vino puro nel quale sia stato im­merso dell'oro incandescente, aggiunge comunque che non è un ri­medio del tutto appropriato; molto più efficaci sono l'argento, il ferro e le scorie del ferro; la stessa affermazione riprende Paolo l' 12

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Egineta in un suo trattato sui veleni Galeno, molto più giovane di Dioscoride, trattando dell'efficacia dei medicamenti semplici e del­la composizione di essi non fa menzione affatto dell'oro contra­riamente a quanto ho fatto io. E non dimentico che Nicandrci di Colofone nel suo poema "Alixifarmaci" ha raccontato che l'oro e l'argento giovano, e ciò faccio, sia perché è un poeta, sia perché in Dioscoride e in Galeno non se ne parla, in modo da citarlo come legittimo testimonio in questa dissertazione, sia perché scrive che l'oro e l 'argento godono enoiemati zolerò (concetto impuro-confu­so, n. d. t. ), cioè reputazione piuttosto dubbia, e ciò mi pare che ba­sti. Inoltre quell'autore segnala che un liquido viene reso torbido dal metallo e viene assorbito : ma io tuttavia non affermo che l'oro abbia efficacia medicamentosa, ma quanta in esso - mi chiedo -può esservene se lo paragoniamo a tutti gli altri innumerevoli medi­camenti, nei quali può esistere la virtù di guarire e di far da antido­to ai veleni? La stessa cosa può dirsi. dell'argento. Quindi se non ag­giunge forza alla medicina non ne aggiunge neanche al benessere corporeo. Donde - mi chiedo - viene quella smania assai comune di ammucchiare attraverso infinite fatiche tanti vasi sia d'oro sia d' argento? Sembra infatti indice di nobiltà una mensa adorna di vasi per lo meno di argento. Ma Vitruvio nell'ottavo libro in cui _tratta delle acque, venéndo a parlare della calce dimostra che nel piombo c'è un, difetto a causa del quale nei tubi di quel metallo si inquina­no le acque, aggiunge però subito dopo che di solito evita il cattivo sapore d'argento : di conseguenza quelli che adornano le mense di vasi di argento , per l'integrità del sapore dell'acqua han preso l'abitudine di servirsi di vasi di terracotta. Certamente si acconten­tano di questi alcuni pr ìncipi della nostra epoca, dopo che ebbero usato per le loro mense quelli di argento, sia vasi che scodelle, e preferiscono per igiene che siano di terracotta importata dall'India, dall' Etiopia, dall'Egitto, ma se non si trovano scelgono quelli provenienti dalla Bitinia prusiaca, sebbene non siano di vera terracotta come ci racconta quell'Agatocle che perciò preferì i vasi di Samo a quelli di argento. Del resto il triumviro Antonio, che in

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tutti i suoi osceni desideri - come racconta Messalla - non si ser­viva d'altro che di oro, si dice che non avesse altro gusto che dell 'oro ; sembra però che disprezzasse l 'oro Poppea di Nerone, la quale faceva ricoprire d'oro gli zoccoli dei suoi quadrupedi più pregiati.

Non ignoro che i medici Arabi lasciarono scritto che l 'oro, sebbene non nutra, pure accarezza gli occhi ; aggiungo io : per la forza che deriva dall 'immaginazione, e tanto ne è stato esaltato da esser preso come misura del valore di tutte le cose? e non credo piuttosto che in ogni modo , per effetto della suggestione , acceleri i battiti del cuore?

C'è da concludere, come dicevamo prima, che sembrano vane le precedenti affermazioni di Nicandro.

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Capitolo IV.

LA NOBJLT A' DELL'ORO NON DERIVA MASSIMAMENTE DALLA POSSIBILITA' DI ESSERE ASSUNTO

COME BEVANDA

Questi argomenti credo di aver controbattuto non con pre­suntuose affermazioni, ma con la discussione, allorché si dice

che alcuni si servono dell'oro in bevanda per guarire ogni genere di malattie, per conservare la salute e per prolungare la vita compati­bilmente con le forze della natura. Mentre io però non affermo ciò, tuttavia assicuro che può essere argomento di discussione da parte di quelli che hanno la possibilita di contrapporre la loro esperienza; forse diranno di avere abbastanza prove di gente che propina l' oro e che non è esatto che venga bevuto, ma che se ne assuma una quantità polverizzata e della più pura unita ad un'es­senza già precedentemente designata.

In verità, sopra la stessa quintessenza dei corpi superiori, ( benché si siano combattute molte guerre tra i massimi condot­tieri della filosofia, 1 cui soldati ancora combattono e non si sa da quale parte stia la vittoria), certo non sono d'accordo i Platonici ed 1 filosofi della scuola Peripatetica, ed ancora discutono se il loro caposcuola preferisse quella quinta natura più che appro aria, e non ammesso, per ipotesi, che esista qualche sostanza dalle cinque nature e se in cielo · (essi dicono )- ciò non è concesso, non è neanche concesso sotto il cielo per quelle sostanze che sono costituite di elementi.

Però essi confessano di aver estratto l'oro potabile, dal mie­le, dallo zolfo, dal mercurio, dall'acqua distillata da una certa ter­ra (rimasta segreta) con l'aggiunta di un particolare rame purissi­mo, raffinato mediante numerose distillazioni, e di averne cos ì ri­cavata una essenza finissima ; tuttavia non ritengono di avere estrat­to la quinta essenza, che, se essi volessero metterla msieme dai

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componenti elementari, non potrebbero trovarcela, come afferma­no, e presto si può rispondere che essi scambiano l'apparenza con la sostanza, anche per il concorso di cause diverse; per cui le so­stanze mescolate e distillate possono dare effetti che anche altre sostanze potrebbero produrre. Quindi, se facilmente possiamo per­donare ai Peripatetici questa loro asserzione, perché essi non pro­nunciarono quell'altro dogma e cioè che gli animali non vivono di metalli? Ma in realtà per lasciare la polemica da concludere ai me­dici che tra loro · non sono d'accordo, così asseriscono - e se ne producono alcune prove ancor oggi - che si possa preparare l'oro potabile: ciò non significa che di per sè l'oro possa bersi ( 1 ) .

E' risaputo che di solito da essi l'oro veniva ridottò in cenere, o talvolta anche in calce, il che avviene in molti modi, sì che, se per caso qualcuno volesse ridurlo alla forma primitiva, non potrebbe in alcun modo, semmai a stento, essendone uscito l'umore; e se que­sto (l'umore) è stato estratto totalmente non resta più oro. Da A­ristotele e da Teofrasto infatti è stato affermato che in tutti i me­talli esiste questo umore liquido, sì che ne sono costituiti per loro stessa natura, la qual natura li differenzia nettamente dalle pietre. Perciò - essi aggiungono - non si può bere l'oro, ma quella parte di esso che fu oro e che è sciolta in liquido estraneo che abbia il potere di scioglierla, di attenuare la calce dell'oro, in modo da eli­minarla sì che si possa bere; la stessa cosa dimostrano per le gem­me, le quali non possono propriamente esser bevute. Nessuno però ignora che essi (Aristotele e Teofrasto), se sono stati ritenuti as­sertori di altri modi di liquefare l'oro, non sono stati altresì creduti oppositori; infatti affermarono che ciò poteva esser fatto con ac­que corrosive (2), aggiungendovi sale di vario genere o succhi acidi,

( 1 ) Vedere l a "Teinture de l'or o u l e veritable o r potable" d i Jean Rudolphe Glauber, (olly, editore a Parigi, 1 569.

(2) L'estrazione dell'oro con le acque corrosive non è altro che l'estrazione del prin­cipio "io" o Sole 0 dopo specifica disciplina, con dei "sol,1enti". Sulle acque corrosive, sui loro pericoli, rimandiamo alla Introduzione alla Magia, ed. Medi­terranee, Roma 1971, pag. 62 ed in particolar modo al Il volume, pag. 140, do­ve si trova un saggio di lagla che tratta esaurientemente l'argomento.

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sì da aumentare forza all'oro per farlo uscire dalla sua sede, che gli è stata assegnata dalla riatura, in maniera da risultare assolutamen­te puro, atto a ristorare l'umana natura. Là do.ve si fa cenno alla natura dell'oro si dice anche che non è adatta alla nutrizione, e ciò in ogni caso è stato dedotto dalla teoria peripatetica ; se. invece si tratta di natura mista, allora essi (i Peripatetici) dicono che secon­do il loro giudizio non è più l'oro : è noto infatti che si propina un liquido, che a goccia a goccia è uscito da vasi di vetro, mentre per effetto del calore del fuoco i vapori portati in alto si tramutano in acqua, e vi mescolano altre sostanze che ricavano dall'esperienza di medicina; e se quello in verità sia bere l'oro o bere le gemme, per­ché non si dice che bevono gli escrementi quelli che bevono vino ricavato soltanto da una varia quantità di escrementi ingrassata a quello scopo? Ho difeso la causa di quelli che avrebbero voluto sottovalutare l'oro potabile e che invece io voglio rivalutare, ed in­fatti affermo con sicurezza che può giovare alla salute del nostro e dell'altrui corpo soprattutto perché mi risulta con certezza che Antonio ,nostro chirurgo, anni fa ad una matrona del foro Corne­lio, moribonda per la tisi, in pochi giorni ridiede la salute, liberan­dola dalla terribile malattia soltanto con l'oro potabile che aveva preparato seguendo le istruzioni di suo zio paterno Nicola, di cui parlerò nel terzo libro e della questione tratterò più ampiamente in. quei volumi scritti sui rimedi dei veleni e che ora sono già alle stampe. Ma sia che si tratti di oro solido, sia che si tratti di oro dato a bere per la salute, forse da ciò deriva tanta nobiltà nell'o­ro da provocare la fame e la rabbia per esso? Benché con una lib­bra di quel metallo in soluzione non' soltanto un re, ma un'intera regione possa esser medicata, pure fra milioni di uomini potrai tro­vare quindici persone che cercano l'oro potabile e di queste appe­na due che siano capaci di preparare la pozione aurea.

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Capitolo V.

PERCHE' LA PUREZZA E LA LUNG A DURA T A DELL'ORO NON SIANO PROPRIA MENTE LA CAUSA PER CUI VIENE

A PPREZZA TO TANT O DA G LI UOMINI

S e ormai si crede che la purezza attribuisca il magg10r valore all 'oro, tuttavia penso che in quella credenza vi sia errore :

infatti se qualcuno lo sporca, lo inumidisce di meno che tutti gli altri metalli, nondimeno inumidisce e contamina di zolfo quelli che hanno relazione con lui, poiché non solo quell'elemento (lo zolfo) è mescolato ad esso, ma ne costituisce la stessa sostanza, come ci ha lasciato scritto Alberto, che ne è convinto per espe­rienza e forse anche perché presso gli Egiziani Ermes derivo il nome di oro dallo zolfo. Ora io mi chiedo se è maggiore la purezza dell'Oro di quella del vetro; fu per questo che quel Principe Romano non esitò a provare se poteva essere frantumato ed avendo incominciato, quello resisteva ai colpi di martello, e prima si staccarono alcune particelle dall'oro; così venne preclusa la via a tutti i metalli nello scambio delle merci.

Però la lunga durata dell'oro è esaltata ! Ma basta pensare che le pietre durano di più e sono più ricercate quelle che non sentono la lima nè il fuoco, nè alcun tipo di scorie riescono a ridurre, nè macchiano di sp reo quelli che le manipolano, cose queste che non possono essere evitate se le maneggi a lungo. Può esser fuso l'oro ma non possono esser fuse le pietre; e ciò forse non è comune a tutti I metalli ? E tuttavia questi sono stati ritenuti adatti ad essere usati come monete a guisa di garanzia nello scambio delle merci, ed un tempo l'oro, in questo scambio, venne posposto prima al rame, poi all'argento e sembra che ne abbia diminuito il prestigio e l'utilità. Sappiamo infatti, e prima l'abbiamo riferito, che secondo la tradizione letteraria a Roma per primo fu coniato il rame da Servio Tullio e che dal popolo romano non fu usato come moneta

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l'argento prima della guerra contro Pirro, circa seicento anni dopo la fondazione dell'Urbe. Dal momento in cui sotto il consolato di Fabio vennero coniate monete di quel metallo, fino a quando fu usato anche l'oro, trascorsero più di sessanta anni ed il popolo romano, vinta Cartagine comandò anche alle altre nazioni di pagare tributi in argento e non in oro e non solo per la più lunga durata del metallo, ma perché l'uso di esso non generasse con­troversie : infatti il bronzo e l'argento coniati erano anche ritenuti di lunga durata presso quasi tutte le nazioni straniere.

Così i Galli transalpini indicarono con il nome comune di ar­gento la moneta coniata, stimata meno da Platone, principe dei fi­losofi, che anzi emanò una legge, per quella città che fondava, se­condo cui non ci si doveva servire di monete preziose, ma tali che fossero disprezzate da tutte le altre genti, sì che non dilagasse la frenesia di ammucchiar oro ed argento. E forse per questo fu cantato da Lirico che l 'oro è inutile e causa materiale di grandi ma­li.

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Capitolo VI.

LO SPLENDORE NON AUMENT A IL VA LORE DELL'ORO SULLE A LT RE COSE, SIA PERCHE' A LLET TI LA VISTA ,

SIA PERCHE' NON DIMINUISCA NE' SI A CCRESCA

Ma, alcuni dicono, che il dolce calor dell'oro diletta la vista. Pli­nio nega ciò, e allo splendore dell'oro antepone quello

dell'argento, che è più simile a quello del giorno e delle insegne militari, perché da lontano risplende più familiare. Nè l'oro, per la somiglianza con le stelle, ritiene sia preferito agli altri metalli, poiché nelle gemme ed in altre sostanze il colore non è fondamen­tale; tanto è vero che a molti piacque paragonare il colore dell'oro a quello dell' aurora e lo preferirono a tutti gli altri, ma ci furono altri che credettero fosse in causa il nome, dato che facilmente si poteva dedurre - e questa ipotesi non dispiacque a buoni autori -dalla lingua dei Sabini i quali chiamavano "ausum" un'azione ardita, da cui poi era derivato il termine "aurum" (oro) mutando semplicemente una lettera. Comunque stiano le cose, l'argento dilettava gli oc.chi di Plinio più dell'oro; su questo argomento, se ciò che scrisse lo sentiva veramente, non può essere rimproverato : è invece senza dubbio degno di riprensione quando ci racconta che l 'oro nel peso è superato dal piombo: lo contraddicono infatti gli esperimenti dei posteri : in realtà credette che l'oro pochissimo si consuma con l'uso, avrebbe potuto ricordare che con l'attrito delle dita la moneta e 1· ·anello d'oro si consumano e per quanto minimo sia il consumo non è cosa da nulla. Vi furono anche di quelli che credettero che l 'oro non subisse alcun danno dal fuoco, avvalendo­si dell'autorità di Aristotele nel terzo libro delle Meteor.e, la qual autorità o non è salda o non è stata giustamente interpretata ; ci si può convincere con esperimenti per cui diminuisce il peso dell'oro con un fuoco violento e soprattutto -prolungato. E' stato inoltre tramandato per iscritto, ed al nostro tempo se n'è avuta conferma,

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che l'oro si volatilizza posto sul fuoco e mescolato ad una certa polvere "della quale possono averne in abbondanza non solo i cittadini, ma anche i contadini e le loro donnette". E' stato scoperto ugualmente che da una piccola parte versata, ad uso degli uomini, può esser sottratto il color fulvo all'oro, .e che una volta estratto non possa più essere restituito, rimanendo il color aureo in quella polvere in cui era stato gettato perdendo lo splendido fulgore. Che possa esser ridotto in sottilissimi fili e che poi possa esser tessuto con la tela è qualità che ha in comune con l'argento.

Infine, per non dilungarmi troppo, dirò che non trovo argo­menti dalla solida base su cui possa appoggiarmi per scoprire vali­de ragioni a giustificare il desiderio che la gente ha dell'oro e la conseguente grandissima stima, che glielo fa ricercare con tanta avidità da non esitare a cacciarsi nei monti scavati o ad introdursi in profondissime caverne che chiamano pozzi, oppure si affaticano a raccogliere nei fiumi qualche piccolo frammento di esso; alcuni poi fecero vela verso le estreme regioni dell'India o verso i liti etio­pici per inoltrarsi nei deserti, o, seguendo la rotta di Zefiro, agli an­tipodi dell'aurora, e per giunta non per trovare l'oro "puro" allo stato naturale - obrizo, servendomi di un vocabolo greco, - o quello lavorato alla maniera dei Colofonii o della Lutezia dei Pari­gini, ma un rozzo minerale contenente poco oro; per cui non facil­mente si può capire come mai soddisfaccia l'uomo avido di cono­scere la natura di qualsiasi cosa. Chissà donde deriva tanta bramo­sìa benché non sia tanto diffuso l'uso dell'oro quanto il valore, tanto più che ormai la massima parte degli uomini lo prende a mi­sura di tutte le cose umane e voglia il cielo che non usi mai la stes­sa misura per le cose divine.

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Capitolo VII.

PERCHE' LA NOBILTA ' DELL'ORO NON DIPENDA SOPRA T TUT TO DA LLA LETTERA TURA SA CRA

e ertamente non dipenderà dalla letteratura sacra la stima del­I oro sebbene questa duri da tempo: mfatti benché leggiamo

nel e sacre scritture che m obbedienza alla divinità molti oggetti dedicati al culto nei templi dei Giudei erano fatti d'oro per le cer monie solenni, e ciò conoscemmo perché fu cantato dal Profeta . "verrà dato a lui l oro della Arabia", tuttavia dobbiamo ricordarci di quelli che indicammo su testimonianza di Giuseppe, per CUI ciò che era in rame veniva valutato più dell'oro, anche pe ché scrisse che tra il bottino di Davide vi si trovò quel vaso, fatto fabbricare d da Salomone, che si chiama 'il mare grande". [Si racconta anche che ] Esdra, al tempo di Serse, restituì ai custodi del tesoro, che appartenevano alla casta dei Sacerdoti, dei vasi di rame che valevano dodici talenti ed erano stimati migliori dell 'oro. Dobbiamo anche alla conoscenza del linguaggio mistico che la sapienza è simboleggiata nell'oro , !"eloquenza nell'argento e che il lume dell 'intelligenza è paragonato all'oro, anzi è più splendido di quell'oro che può esser considerato quasi sterco a paragone di quell'altro oro che di solito - come troviamo scritto - viene estratto in Arabia e così puro per sua natura e non attaccabile dal fuoco, per CUI è chiamato "àpiron", e cioè ininfiammabile, secon­do l'affermazione d" D 1odoro E queste notizie ancor adesso vengono attinte; e perché non parlare di quella tradizione secondo cui Dio, per sua bontà, - come attesta Crisostomo - ha mandato l'oro per disgrazia dell'umanità in molte cose che erano di uso comune presso tutte le genti? Ed ancora, che dire di quegli altri pas i delle sacre scntture in cui viene respinta e disprezzata la stima dell'oro, sia in quel 11asso del Profeta Osea là dove dice: "del proprio oro se ne fecero un idolo", e in quell'altro in cui l'Aposto-

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lo Pietro chiamò corruttibili l oro e l'a gento, e m quell'altro ancora in cui Giacobbe scrisse che l'oro aveva contratto la rugg:ne? E tutto ciò, naturalmente, doveva suscitare non scarsa meraviglia negli animi di coloro che sono equilibrati estimatori delle cose e jl('rtanto si chiedevano donde mai vemsse tanto bramosìa dell'oro poiché per la natura di esso l 'utihta ne e poc . o nulla; certamente non grande, poiché fra le altre cose e quelle che sono di oro, esistono qualità comuni a molte altre con cui l 'oro viene raffron­tato e da cui viene largamente superato.

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Capitolo VIII

PERCHE' IL VALORE DELL'ORO NON DIPENDA

DAL PRESTIGIO CHE CONFERISCE A CHI LO PORTA

I n verità chi è così sciocco da credere che coloro che acqui­stano l'oro cercano prestigio portandolo? Ci sono però

testimonianze, ma inconsistenti, secondo cui dall'oro che ancora non era stato sottoposto alla fiamma si soleva estrarre un unguen­to, l'uso del quale - per persuasione dei maghi - conferisce prestigio a quelli che sono incoronati di erba eliocrisa. A me sembra che di solito conferisca prestigio non il portar l'oro, ma il distribuirlo, ed in verità suscita invidia il possesso di tanti bei mucchi di monete d 'oro, sì che diffonde amore e benevolenza. Oltre a ciò, chi dei mortali di può dedicare assiduamente alle vane arti magiche in modo che sappia preparare quell'aureo unguento e che sia consapevole anche della sua efficacia? Tutte le volte che, in tempi passati o ai nostri tempi, qualcuno cerca l'oro a questo scopo, ammesso che lo trovi, quando mai coronato di erba eliocri­sa ed unto di oro "ininfiammabile" acquistò prestigio tra i popoli e non piuttosto si mise a mendicare per le sale dei re?

Da che cosa mai derivò una così grande cupidigia dell 'oro al punto che gli uomini spinti da nessuna causa evidente - tranne che non ci fosse stato un accordo tacito fra essi e non per questo me­no necessario e dannoso - hanno preferito l'oro stesso a tutte le altre cose? E non contenti delle sabbie d'oro dei fiumi o dell'oro delle caverne Dalmatiche o degli antri della Galizia o di quello cer­cato nei viaggi per mare fin dai tempi di Salomone, tentarono per­sino di fabbricarselo ; e per produrlo in casa spesso affrontarono sa­crifici non minori o più lievi di quanti ne avrebbero affrontato con i viaggi e i conflitti per procurarsi quello estrattivo.

Vediamo infatti non pochi darsi da fare non solo manualmen­te, per produrre oro mediante sostanze metalliche sottoposte al

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fuoco, e che intanto sono riusciti a scoprire innumerevoli sostan­ze composte; e non pochi altri cercando di interpretare le ricerche dei filosofi sono riusciti a produrre polvere d'oro o pietre auree co­me quelle che volgarmente vengono chiamate minerali e che in la­tino vengon dette metalliche; e per produrlo hanno anche usato sostanze vegetali, cioè derivate da erbe o piante, o sostanze anima­li, estratte da esseri animati, oppure hanno mescolato insieme so­stanze della stessa natura, o aerea o terrestre, donde trassero origi­ne sia i metalli, sia le piante, sia gli animali. Ho sentito dire che tra i viventi della nostra epoca esiste qualcuno che si vanta di aver let­to ottanta volumi su quell'arte e di aver inoltre consultato innu­merevoli schede sì da aver raggiunto un numero di circa trentaset­temila modi di comporre l'oro, e certamente non per procurarsi prestigio portandolo, ma per sua soddisfazione potendo comprarsi quelle cose che gli piacciono . . . tanto è l'accanimento degli uomini nel procurarsi l'oro senza alcuna causa, salvo quella fu tile del sem­plice e tacito consenso dei miseri mortali.

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L I B R O Il

Capitolo I.

CHE COSA E' L'ORO, CHE COSA E' L'ARGENTO E DA CHE COSA DERIVA IL NOME DELL'ARTE CON CUI

SI PRODUCE L'ORO

Il in qui si è discusso della stima dell'oro, ora si discute­rà dell'arte con cui si può produrre infatti suole esse­re controversa la questione, sia presso le persone col­te, sia presso le incolte, "se si possa produrre o no

l'oro", questione anche turbata da molte polemiche per toglier vigore alle quah o almeno per sopirle in generale, nei confronti di tutti . non per spiri to fazioso nè per cavilli m1 spinse un interesse non indifferente ; è interesse anche degli uomini che non c1 sia ambiguità, nell'affrontare questi argoment1. benché siano comuni e saltino agli occhi di tutti. "In primo luogo, dunque, indicherò il nome, quindi l'origine ed infine il potere dell'Arte" attraverso varie scuole di indirizzo lettçrario, diffondendomi in lungo e in largo. Dunque, l 'Arte di produrre l'oro presso i Greci è chiamata "Crisopea", dai Latini è denominata con lo stesso vocabolo ; mutando in realtà i metalli in generale, è chiamata "Chemia" dai Greci, seguendo i quah gli Arabi per lo più denominarono "Alchemia". Però i Greci definirono Chem1a quell'operazione

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preliminare per produrre l 'oro e l'argento. Infatti, ben­ché per mezzo di essa si producano altri metalli, pure ottenne il nome dai metalli più nobili s ì che in seguiro furono anche chia­mate "Argiropeia" e "Crisopeia". Ritennero alcuni che il nome Chemia fosse derivato da "umore'' e sembra che con essi concordi Hermolao il Barbaro, ma in realtà deriva da "fondere" e cioè dall' ultima operazione di quell'arte ed infatti la lettera greca H che presso i Latini viene di solito tradotta con la " E lunga" sembra suscitar controversie tra i giureconsulti perché la scambiano con l' "attitudine a fondere" : è noto che può esser chiamata arte dei metalli ed è appunto per questo çhe vengono chiamati "operai del metallo" coloro che sogliono prestare la loro opera lavorando l'oro e l 'argento, e li ritengono utili nelle leggi civili, e di ciò si tratterà qui appresso più diffusamente. Del comune nome di metallo, tanto più che ne comprende tanti, gli interpreti del diritto preferirono servirsi e con questo vocabolo, piacque anche ad essi indicare sia le monete di rame, sia le monete d'oro, come per esempio scrisse Ulpiano. Trascuro il fatto che alcuni ritengono la denominazione derivata da Alchimo, ma senza una vera ragione - come credo -, sebbene io ammiri Erasmo, uomo molto profondamente versato nelle lettere, che da qui ha pubblicato un dialogo il cui titolo è "Alchimistica". L'ammiro - ripeto - perché egli preferì seguire l 'accezione della lingua volgare e non ignorò l 'articolo "al" , presso gli Arabi frequentemente usato, e prefer ì non tener conto dell'a­spirazione di cui avrebbe dovuto tener conto, nel dimostrare se il vocabolo derivava da "fondere" o dalla "capacità di estrarre gli umori". Nè mi m�r.avigli� di meno, anzi di più, del fatto che in nessun modo si vuol pe-rdonare ad Erasmo di aver scritto quanto sopra sull'argomento e di.aver ripudiato il nome consueto ed infine di aver escogitato quell 'insolito vocabolo.

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Capitolo Il.

L'ORIG INE ED IL PROG RESSO DELL'A RTE STESSA

Vincenzo del Belgio fa risalire al progenitore della stirpe uma­na il principio dell'arte, che, attraverso vari intermediari

pervenne a non pochi altri fino ad un discepolo degli apostoli del Signore, dal quale egli confessa di aver molto imparato. Altri ritengono Ermete Trimegisto principe della conoscenza chimica, secondo quanto è scritto in alcune lapidi venute alla luce nella città di Ebron. Nè mancano quelli che scrissero essere stata rivelata per opera divina a un tal ebreo, ma soltanto cos ì in generale per costruire l'Arca dell'Alleanza. Io, per quanto ho potuto apprende­re dagli autori greci e latini, ho scoperto che quell'arte è assai antica, ma di poco prima della guerra di Troia giacchè fin dai tempi più antichi dei Greci se ne fa menzione indicandola nelle allegorie delle favole e nell'oscurità degli enigmi, così le mele d'oro desiderate da Euristeo vengono considerate da Michele Psello un comando ; così pure presso Suida il viaggio di Giasone verso i Colchi viene spiegato non come ricerca del vello d'oro di Frisso, ma di una cartapecora nella quale era descritta la maniera di produrre dell'oro e per questo si misero in viaggio gli Argonauti, benché non mi sfugga che Varrone attribuisca al vello del bestiame in generale, e Strabone in particolare a quello più irsuto degli ovini, la facoltà di farvi restare attaccati piccoli frammenti di oro dei fiumi. E in realtà sono d'accordo che si trattasse di una mem-

. brana, e non di un vello nè tanto meno pelli irsute di pecora, i più antichi scrittori greci, tra i quali Carace, Apollonia e, in seguito, l'interprete del viaggio in Colchide, Eustazio, il quale, nel narrare diffusamente gli esperimenti in merito fa presente a molti autori di ritenere che nella membrana del favoloso vello d'oro sta indicata la descrizione di produrre l'oro artificialmente. Così dicasi dell'agnel­lo di Atreo di cui parlano i tragediografi greci ed anche quelli latini

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di cui Cicerone fa menzione, ma si tratta di un ariete - Seneca non nomina un agnello - ; e comunque sia, agnello od ariete di Atreo, danno a credere ai lettori che vi fosse descritta la maniera di produrre l 'oro. Infatti Callistene di Olinto, discepolo e consangui­neo di Aristotele, lasciò scritto che le sostanze di Atreo e d1 Pelope fossero estratte dai metalli, altri invece, sull'esempio di Varrone, affermarono che quelle sost ,mze erano derivate da una pecora viva ; altri da una fiala d' argento, nella quale era intarsiata una figura in rilievo che rappresentava un agnello ed era come se ve lo contenes­se. Del resto, non ho sufficientemente approfondito attraverso gli autori grl'ci se l 'arte di produrre oro sia stata accolta per traman­darcela dai Persiani, dagli Egiziani o da altre nazioni che risiedono più vicine all'oriente. Tuttavia esiste una tradizione secondo cui tra i Persiani, Ostano, e tra i Tami di Egitto, Ermete. che scrisse l'opera Chemica, esercitassero l'arte d1 produrre oro, arte diffusa soprattutto in Egitto, sulla quale ingenti opere furono scntte fino al tempo di Diocleziano - ciò risulta da testimonianze dei Greci -nelle quali sono anche contenute le imprese di Diocleziano e di Massimiano -. Di tutto ciò è data una duplice interpretazione nelle "raccolte" di Suida.

Ho appreso anche che presso i Greci fosse particolarmente versato nell'arte chimica Democrito per averla appresa in oriente dai Persiani e dagli Indiani; mi riferisco a quel Democrito che Ippo­crate ammirò, che Timone lodò, che Platone non osò controbatte­re, che Celso chiamò giustamente uomo di grande fama. Da questi derivò la setta Democritea che fu anche nominata di Abdera. Tra gli interpreti del quale ,Michele Psello non solo ricorda Aristotele, ma scrive anche di aver rivelato i segreti di quell'arte. Infatti questi (Psello) dopo aver scritto opere di Retorica, di Storia, di Fisica, di Matematica, scrisse di Chimica e persino di Medicina, e dedicò tut­ti 1 suoi lavori all'imperatore Costantino. Anche Olimpiodoro, A­lessandrino e Platonico nonché interprete di Aristotele, scrisse ope­re di Chimica ; ne scrisse anche Eliodoro dedicandole all'imperato­re Teodosio, altres ì ne scrisse Stefano dedicandole a Cesare Era-

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elio'. ma non dimenticherò l 'Africano Cinesio Teofilo ed altri , tra cui Zosimo ed il filosofo Alessandro che su quell'arte compose ventotto volumi. Le istruzioni di tutti questi, di solito, si riferisco­no chiaramente a Democrito che fu attentissimo indagatore della natura, e grazie anche alla sua lunghissima età (infatti visse oltre cento anni) scoprì molte cose che però rimasero nascoste alla mag­gior parte dei letterati: infatti scriveva le istruzioni in forma pmt­tosto oscura, non perché voleva sembrare profondo nella scienza chimica, ma perché i suoi precetti fossero noti soltanto ai seguaci ed agli amici, ed ignoti alla gente volgare e per questo inventava nomi nuovi, sì che almeno a quelli che non riuscivano a tener die­tro il discorso restassero ignoti ; e a questo punto non posso non meravigliarmi che Ermolao Barbaro, uomo del resto benemeritò delle lettere, disprezzasse questa maniera di scrivere soltanto nella scuola Democritea o, che avendolo sentito dire, per malignità o per arroganza lo riferisse. Varrebbe la pena di rico 1 dare che fin · dai tempi di Omero diversi nomi venivano attribuiti ad una stessa cosa e che gli dèi si servivano di certi termini e gli uomini comuni di cer­ti altri e che la gente più in vista non usava gli stessi vocaboli del volgo ; certo non sarebbe stato facile ricordarsene, ma non dubito minimamente che egli (Democrito), lodatissimo e versatissimo in ogni genere di lettura, che fra l'altro era ritenuto uno dei più eccel­lenti filosofi, l 'abbia usato per tenere occulte le sue affermazioni, cosa che hanno fatto soprattutto i seguaci di Pitagora e quelli di Eraclito ; infatti molto spesso si servivano del silenzio e dei simbo­li i primi, d1 indovinelli i secondi, come ci fa sapere Platone. ed a quelli che chiedevano spiegazione degh enigmi rispondevano con altri enigmi. Anche Platone avvolse in frasi oscure le sue afferma­zioni, imitando i Palestinesi di Siria , l'abitudine dei quali - secon­do Geronimo - era di servirsi di parabole. A questo punto trascuro ogni altro argomento, pur avendone innumerevoli, perché potreb­be anche confutarli il Barbaro, se io non prendessi appiglio per mia difesa dal fatto che egli non avrebbe fatta quell 'affermazione o l'avrebbe ritrattata se si fosse ricordato che proprio lui (forse

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dimenticandosene) aveva scritto: "Inoltre in cos ì gran conto tenevano i principi segreti della loro filosofia i primi cultori di quella scienza che non vollero che quei princìpi fossero noti nè ai profani nè alla moltitudine e che potessero servirsene". Ma dopo che fu saccheggiata la Grecia e dopo la decadenza dell'Impero Romano, essendo stata desolata l'Italia dalle frequenti devastazioni delle genti barbare, allorché cominciarono a tornare in auge le lettere e ad essere coltivate dai Mori e dai popoli Arabi, anche in quella lingua cominciarono ad esser tradotti molti volumi di arte chimica, dai quali persino i Mori - massimamente quelli della regione Betica - compilarono dei libri e non badarono nè a fatiche nè a sacrifici. A partire da questo momento Avicenna, Rasi, Geber ed infine ·una numerosa schiera di filosofi arabi pubblicarono volumi di arte chimica; seguirono dopo qualche tempo Vincenzo, Alberto Magno ed altri moltissimi. E già stava venendo meno la fama di questa scienza, almeno per quanto attiene gli scritti, quando Arnaldo di Villanova nella Spagna più vicina, e in seguito Raimondo delle Baleari, sia con molte pubblicazioni, sia con nuove invenzioni, sia con pubblici esperimenti riportarono in auge gli studi di chimica che stavano per essere dimenticati, anzi li resero più illustri di quanto erano stati nei secoli precedenti ; e ciò tanto più che chiunque fosse un po' più istruito e versato nelle scienze meteorologiche, per averne discusso fra i Peripatetici, o un po' più curioso nell'indagare i misteri della natura, o pfuttosto desideroso di produrre l'oro ritenendo di non mancargliene l'occasione, si sarebbe dedicato alla scienza della trasmutazione dei metalli, sia apprendendola, sia insegnandola, sebbene pochi possiamo trovare tra i Neoterici, seguaci di Aristotele, che discutano di quell'arte, tranne Timone ; però possiamo trovare un gran numero di gente, forse più dell'ordinario, che tentò di confermare quella scienza mediante esperimenti. Tanto grande fu la moltitudine degli speri­mentatori "che quell'arte passò nelle mani di gente del tutto inesperta". Di conseguenza dovunque venivano ostentati concetti vuoti e inefficaci s ì che cominciò a dubitarsi se dovesse ritenersi 3 2

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vera arte o impostura la promessa di produrre oro artificialmente, dato che dalle vane promesse si vedeva recar danno ai patrimoni ; tra i danni non era difficile il passo al furto vero e proprio di monete. Per questa ragione ad un certo momento a Venezia - lo afferma Ermolao - venne vietato a chiunque di far esperimenti per produrre l'oro e per gli stessi motivi, tra quelli che sentenziano di morale secondo il rito cristiano � compilano norme sul compor­tamento lecito ed illecito, si accesero molte dispute sulla liceità Q

illiceità di quell'arte. Accadde ciò che di solito accade quando _persone disoneste professano una certa dottrina o disonèstamente trattano qualche affare che altri trattano onestamente ed accre­scono così il numero. Così una volta i retori profughi da Lace­domone, furono così espulsi da Roma: non solo i retori, ma anche i filosofi ed i medici. Si dubitò, perciò, non solo se dovesse esser considerato legittimo lo studio (della chimica), ma anche l'attività che presso i Grçci è chiamata "crisopeia" ; si dubitò inoltre se l'arte avesse sottratto forza alla natura nel produrre l'oro, e l'argomento interessò i sacerdoti ; se l'oro artificiale fosse utile o no riguardò i filosofi; i medici invece discussero se questo fosse adatto alla natura umana. Ci si chiese se l'arte avrebbe acquistato credito semplicemente, oppure se avrebbe dovuto esser provata mediante esperimenti dei quali non solo si sarebbero escussi testimoni auricolari, ma anche oculari sia tra i prìncipi che tra il volgo rozzo ed erudito. Di questi argomenti, però, e di altri pertinenti alla nostra trattazione discuterò in seguito, punto per punto.

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Capitolo III.

SE QUELLA STESSA A RTE E' LEG IT T IMA O NO. COME NE FA VORIRONO LA DIVULG AZIONE,

DISCUTENDONE, I PRINCIPA LI G IURIST I DI DIRIT TO CIVILE E CANONICO, G LI INTERPRET I, I TEOLOG I,

I T RA TTA T IST I

I i: rincipali legislatori ed interpreti delle leggi civili e canoni­

che della Chiesa e tutti quelli che si dedicarono ad estrarre, dalle leggi promulgate e dalle dottrine dei teologi, sintesi adatte alle questioni della coscienza, e così pure altri scrittori di varia letteratura, hanno ritrovato diverse notizie sul modo di produrre l'oro artificiale o per sentito dire o per averL raccolte dalle carte lasciate dai principali fondatori di quell'arte o dai commentatori successivi.

Presso Guglielmo, vescovo di Minate, nell'appendice a quella sua opera dal titolo "Specchio del Diritto" viene affermato che "è stabilito che l'arte di produr l'oro è legittima e vera, non­ché utile" ; quell'affermazione fu ribadita da Giovanni, da Oldra­do, da Nicola Palermitano e da altri. Di quel parere sono i giure­consulti e gli interpreti delle norme per effetto di quelle prime leg­gi dell'Imperatore Valentiniano, riportate nel codice di Giustinia­no, nelle quali si tratta dei fabbricatori di metalli, leggi che non so­no state rettamente intese dagh interpreti ordinari nè sufficiente­mente emendate da quelli posteriori e che in seguito esporremo in questo stesso volume quando faremo menzione degli esperimenti ; forse riuscì ad essere convincente Accursio Fiorentino, che scrisse commenti alle leggi civili, per quelli che lessero tali leggi che anche io ho letto e ne ho letto pure i commenti per quanto riguard , quel­l'arte; e non contento di aver sostenuto con zelo la legittimità di quell'arte (Accursio) ne espose i principi sottoscrivendoli con il proprio nome nè più e nè meno come aveva fatto nel commento

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alle pandette. Angelo Clavasino nella sua opera disprezza quell'ar­te ; non la vede di buon occhio tanto più che la combatte quell'au­tore ed uomo di prim'ordine che scrisse l 'opera intitolata "Rossel­la" e che riassume l'opera di Angelo, affermando che però ritiene dr non essere disprezzata (da Angelo) quell'ane, al punto da esser ritenuto colpevole chi la esercitasse. Ma impugnarono le argomen­tazioni del Clavasino e le controbatterono con estremo vigore at­traverso molti ragionamenti Giovanni il Ligure e Silvestro dell'ordi­ne dei Predicatori nei suoi libri di sintesi che vanno sotto il nome di "Titolo A". Tommaso Gaetano nei suoi estratti, là dove tratta di commenti di teologia, ci lasciò una sua sentenza che fra non molto riporterò. Ma i celebri teologi Albeno e Tommaso con la lo­ro testimonianza furono favorevoli a quell'ane, sebbene nel riferi­re la sentenza di Tommaso i commentatori siano piuttosto discor­danti fra loro ; ed io cercherò di metterli d'accordo in qualche mo­do quando riferirò quella sentenza.

Alberto Magno però, sebbene abbia scritto molto sul modo di trasmutare i metalli e ne abbia appreso l'ane, tra le molte ragioni ne afferma tre principali: in primo luogo che si sbagliano coloro che credono non potersi mutare la qualità dei metalli - ed attri­buisce ad Aristotele ciò che invece avrebbe dovuto attribuire ad A­vicenna - ; in secondo luogo che da quello medesimo (da Aristote­le) era stato affermato che fosse possibile, dopo la trasformazione, restituire al primitivo stato i metalli che, con l'aiuto di quell'ane e­rano stati trasformati ; in terzo luogo, conclude Albeno, dilungan­dosi ampiamente, che gli esperti nell'ane dei metalli progrediscono come gli espeni nell 'ane medica, seguendo più probabilmente le stesse vie attraverso le quali si purificano lo zolfo e l'argento vivo ed opportunamente se ne prepara la mescolanza, "dalle cui forze" - io uso le stesse sue parole - "si può ricavare ogni specie di me­tallo" ; egli scrive poi che mediante quella sostanza si può rendere solido l'argento vivo e quindi le diverse forme di metalli.

San Tommaso nella sua pane della "Somma Teologica", al volume secondo, afferma la veridicità della Chimica, mentre non l'

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aveva affermata nel secondo commentano delle sentenze teologi che: perciò apparve contraddittono in questa sua affermazione a molti, ma a suo tempo ciò apparirà con magg10r chiarezza quan­do cercherò di spiegare la sua affermaz10ne Per quanto riguarda il presente, il seguace di Tommaso, Silvestro, è del suo stesso pare­re: cioè che non può prodursi l'oro artificialmente; però non fu di quel parere Giovanm , ma Tommaso Gaetano nella sua "smtesi' e sprime questo parere . "che l'arte stessa fmché viene esercitata sen­za frode non è da ritenersi illecita, nè è da considerarsi peccato la vendita del prodotto di quell 'arte , se la vendita vien fatta invece del metallo naturale" . ma nel commento sopra la Somma Teologi­ca di San Tommaso scrive che quell'arte è pure possibile, aggiunge però che quell'arte o non è umana o è esclusivamente dei prìnc1pi , dopo che hanno consultato i sapienti ; ciò tuttavia non muta il po­tere di quell'arte, conclude acutamente come d1 solito fa nelle sue questioni Si meravigliano, però, non pochi del fatto che, mentre il Gaetano conferma la veridicità di quell'arte facendosi forte dell' autorità e del ragionamento di San Tommaso, la ritiene possibile per l'uomo. Di ciò convince la stessa affermazione di Tommaso (Gaetano) ; perché, se ammette quell'arte, non la considera possib i­le all'uomo? e perché soltanto i prìncipi dopo aver consultato i sa­pienti la possono esercitare? come se i prìncipi ed i sapienti non siano da considerare esseri umani? Anche se Platone nei vari modi di giovare alla repubblica affermò che i prìncipi dovevano dedicarsi alla filosofia ed i filosofi amministrare la repubblica. Forse con questo ragionamento si può difendere dalle accuse Gaetano, e cioè che sono rari i prìncipi che conoscono bene la natura e che quelli che si dedicano all'arte chimica in gran parte mancano delle ric­chezze dei prìncipi: di conseguenza, questi non possono fare espe­rimenti che richiedono grandi spese se non vengono aiutati dalle ricchezze dei prìncip1 A questa accusa era sfuggito tempo fa Gio­vanni Pico mio zio paterno, allorché al fratello Antonio che gh chiedeva se si poteva produrre l 'oro artificialmente, aveva risposto che era possibile ma cosa assai difficile Non c'è alcun dubbio che

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Sa Tommaso ne sua opera teologica, che non potè portare a termine perché soprawenne la morte, affermò essere ammissibile l'arte di r durre oro ' . to piu che per mezzo dell'arte potevano esser fat ose molt più imp rtant1 dell'oro - come diremo più in là in quest'opera - Lo stesso (San Tommaso) affermò, nel commen su di Severino riguardante la Trinità, che quell'ar-

era legittima ma subalterna a quella naturale ed alla fùosofia -come del resto c1 dicono gli scritto i più recenti -. Inoltre ho letto quel hb o d1 San Tommaso sull arte di produrre metalli, se il titolo n n sme usce : · . ma sembra però ritenuto autentico perché vi si fa menzione di Alberto che fu suo precettore e per il fatto che il libro è dedicato a Reginaldo al quale Tommaso ha dedicato -come risulta - anche altre opere Ho letto anche i commenti , Ile opinioni di Tommaso sulla produzione dell'oro e dell'argento : molti in realtà mi sembrano piuttosto ignoranti del termine "chi­mica" poiché andarono a pescare tutt'altro termine o piuttosto dalla loro prowista di istruzione, non so come acquisita, estrassero altro nome con cui sfuggire al nome di "alchmua' ritenendo di di­stinguersi cos ì dalla vii plebe affinché non fosse portata offesa a cio che avrebbero scritto, come prima abbiamo detto. Da Erasmo però fu scritto che è delitto capitale "se qualcuno - riferisco le sue stesse parole - esercita l'arte alchumistica senza il permesso del principe' . Moltissimi dedicati a quell'arte non aggiungono nulla di pm e molto meno quelli che sono soddisfatti d1 esperimenti conti­nui es1gon- pero dall'uomo dotto sapere chi sia. Infatti molti prìncipi non voglio affatto sottostare al loro superiore, molti a1 re e la maggior parte di essi allo stesso Pr· ncipe Romano, e quindi chiedono a quel prìncipe, chiunque egli sia, se per caso voglia con un suo editto privato"abrogare le leggi pubblicate attraverso I seco­li dai primi imperatori sui produttori di metallo. Infine insistono che è opportuno promulgare l'editto in tutte le provincie ed una volta che e stato promulgato di accoglierlo nella consuetudine e di confermarlo in modo che tutti gli altri vengano considerati anti­quati ed inutili ; esigono inoltre che sia fatta distinzione fra quel-

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l'arte e la chimica che contraffà l'oro e l 'argento, come ricorda Pa­pa Giovanni XXII. Ce lo ricorda anche Alligerio Etrusco: vi è quel­la trasformazione dei metalli fatta dagli ignoranti e dagli illetterati e vi è invece quell'altra di profonda dottrina, che si avvale di espe­rimenti sicuri, la quale produce certamente l 'oro e l'argento dai lo­ro costituenti essenziali o dai metalli meno perfetti : questa giusta­mente non può esser vietata nè dai dottori di teologia nè dagli in­terpreti dei canoni. Si è discusso per la definizione di una giusta legge, pokhè è da considerarsi ingiusta quella che prescinde da tut­to ciò che non è naturale e per la quale si proibisce, si mette al bando, si respinge quel che giova a moltissimi. Infatti non si può pretendere, confidando nella giustizia e nell'onestà, che qualcuno possa costringere, per comodità propria o altrui, delle schiere pre­parate ed istruite in modo da esser usate ad esclusivo vantaggio e comodo degli uomini : agli uomini infatti è dato potere conforme alla potestà divina e, se non è consono ad essa, abusa di quel nome. Tutto ciò di cui con vigore e chiarezza ho discusso viene definito, al di fuori di ogni controversia, dagli esperti delle sacre scritture, e non trascuro di dire che non è stata fatta menzione di quelli che hanno il loro diritto nelle leggi civili e che non vogliono esser sog­getti a norme o restrizioni di altro genere.

Queste cose Erasmo desiderava, anzi esigeva, senonché si cre­deva che lo facesse più per gioco che seriamente, ed avesse usato finzioni come in una favola per deridere coloro che erano desidero­si di produrre l'oro, ma ancor più coloro che credevano negli impo­stori, dei quali esiste una gran schiera che è tanto maggiore quanto più sanno che le leggi tacciono su essi, oppure restano inerti ; ci si sarebbe potuto attendere da lu i (da Erasmo) che in ogni modo sa­rebbe stata trattata la questione al fine di risolverla almeno con un' altra voce autorevole, dal momento che in quel libro, al quale Ac­cursio appose delle annotazioni e che è stato scritto per darne pub­blica lettura, i prìncipi apprendano chi sono i produttori di oro in modo da poter perseguire quelli che, esercitando privatamente, e­ventualmente fossero recalcitranti o che, quando siano conosciuti

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possano esercitare con ogni cautela. In realtà, l 'editto di Giovanni XXII è di quel genere, poiché non è stato recepito nei sette volumi di leggi vere e proprie come membro del corpo giuridico, ma ne è rimasto fuori, si dice anche che rimane nel vago ma che al tempo stesso non si oppone a quell 'arte : infatti quelli che vogliono avven­tatamente servirsi di quell'argomento possono essere avvertiti di andare più cauti fin dal principio e cioè nella rubrica dell'editto: in realtà vi sono norme sul reato di falso, ma io mi riferisco "all'ar­te, quella vera" che non può esser tacciata di falsità e quindi non può esser trascinata in tribunale, come ritengono Accursio, Gu­glielmo ed altri che ne seguirono l ' interpretazione, soprattutto in quel punto dove vien trattato il reato di falso: veramente quell' arte nè nella materia nè nella forma può essere accusata di falsità, non può quindi esser inflitta la pena di quel nome, come annotò Baldo nelle "usanze" dei feudi, là dove tratta delle "regalie": ma più apertamente, in seguito, riprende i mendaci, gli impostori ; ed il sermone pontificio si dirige verso i falsi artefici, quando vi si dice che "i poveri Alchimisti promettono ricchezze che non hanno e quindi dissimulano la loro falsità, allorché fingono che sia vero oro o argento ottenuti con sofistica trasmutazione, cosa che non è na­turale". Perciò essi (i falsificatori) sono costretti a riporre, per gli usi pubblici dei poveri, l'oro e l'argento veri, così come quelli falsi od ottenuti artificialmente, sia che vendano, sia che paghino debi­ti, poiché si sono procurati monete adulterine dello stesso oro non vero o - come si dice - "sofisticato" ; di conseguenza devono esse­re confiscati i loro beni e immediatamente debbono essere tradotti in carcere.

Questa è la sintesi di quell'editto promulgato sui falsi e non sui veri artifici per produrre l 'oro, ed io l'ho riportato più o meno con le stesse parole scritte nelle norme.

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Capitolo IV.

CHE COSA SI PENSA DELL'ARTE DI PRODUR L'ORO ARTIFICIALMENTE SECONDO LA FILOSOFIA NATURALE

Però non dipende dagli editti dei prìncipi, non dagli interpreti di leggi e di canoni, non da quelli che infarcirono i loro scritti

delle affermazioni altrui e stabilirono leggi morali, ma dai principi di filosofia naturale universale, se sia vera o no quell'arte che la natura promette in modo diverso e cioè se possa essere ottenuta la stessa forma, sostanza ed essenza ,per derivazione da diversi ele­menti primordiali. Derivò da qui la questione, se cambiando la forma cambiava anche la specie e se le due cose potessero scam­biarsi indifferentemente, poiché moltissimo discordavano fra loro i filosofi. In particolar modo la controversia sulla produzione di oro artificiale nacque dai volumi di meteorologia di Aristotele, tra le altre cose variamente trattate, e che certamente non emergono con chiarezza anche agli ingegni perspicaci sì che se ne possano trarre dogmi sicuri ed indiscutibili : pertanto vi furono di quelli che impugnarono quell 'arte, ma Avicenna li controbattè accanitissi­mamente, li controbatterono anche Geber e moltissimi altri, benché Avicenna neghi che possa essere mutata integralmente la specie, mentre però afferma che le forme possono esser ridotte ad una comune materia : ma in verità, per quanto riguarda Aristotele, all 'infuori di quanto sopra, non ne fece esatta menzione nemmeno in quei volumi che legittimamente a lui si attribuiscono; infatti alcuni non ricavano affermazioni favorevoli a quell'arte nell'ordine aristotelico ; tranne ciò, io dico che è cosa certa che nella trattazio­ne della meteorologia, anche se non diffusamente, trattò dei metalli affermando che la maggior parte di essi deriva da vapori umidi così come per lo più da quelli secchi sono generate le pietre, lo zolfo e la sandracca e sono paragonabili in qualche modo a quelli che non sono in terra nelle caverne, ma sono nelle più alte

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regioni dell'aere ed appunto perciò chiamati con voce greca "meteore" ; di là infatti afferma che dal soffio umido si formano le nubi e le piogge e dalla vampa secca si generano i venti , i lampi, i fulmini ed altri fenomeni del genere, sebbene tra essi non faccia distinzione, poiché all'infuori di questi non diede altri giudizi in quei libri, se non quello per cui nessuna disciplina può essere esposta con esattezza, tanto più che all'inizio egli asserisce di dubitare di qualsiasi cosa e quindi Alessandro, che ne fu il com­mentatore, ci insegna che sono difficilissimi da conoscere gli argomenti che Aristotele tratta nella sua •opera di meteorologia. Anche Olimpiodoro dice che sono difficilissimi da interpretare gli scritti di Aristotele, sì che in qualunque modo, volendolo, potresti essere d'accordo con i suoi dogmi e la stessa difficoltà ugualmente dipende dall'arte chimica; inoltre lo stesso Aristotele scrive di dubitare di essere un grande uomo nelle lettere e di trattare quasi in superficie quelle cose che a lui sembrava fossero percepibili in conformità alla loro stessa natura. Ma da Teofrasto si può ricavare quanto basta a comporre armonicamente la controversia. Infatti nel libro che ha scritto riguardo alle pietre tratta anche dei metalli ed afferma che tutto ciò che esiste perisce per la voracità del tempo, dipendendo ciò dall'acqua per i metalli, dalla terra per le pietre, donde quelle sue parole "acquosi sono i metalli, così pure l'argento e l'oro" ; e subito dopo aggiunse che di solito l 'oro veniva prodotto da esperti artefici. " Esiste anche una tradizione secondo cui era stato prodotto il cinabro dall'ateniese Callia, allorché era convinto di aver prodotto l'oro". E infatti se non avesse sperato che potesse essere estratto l'oro da una specie di sabbia rossastra, non si sarebbe dato alla ricerca. E' noto realmente che dall'arena chiamata "crisamo" di solito può prodursi l' oro press'a poco simile a quello che si estrae dalle .miniere ; la qual cosa appare molto chiaramente anche dalle leggi civili se vengono rettamente interpretate. Di questi argomenti più avanti nel nostro lavoro daremo chiarimenti ai meno esperti, perché se Callia ottenne ii cinabro e non l'oro, tuttavia, senza alcun dubbio, scopr ì il

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principio da cui produrre l 'oro. Poiché agli artefici esperti ri­sulta che nel cinabro stanno latenti gli elementi originali dell'oro e dell'argento, possiamo dedurre ciò anche dal condiscepolo Calli­stene, s ì che egli stesso, Teofrasto ed il precettore Aristotele sono dello stesso parere, e cioè che possono esser mutati in altri di na­tura diversa, benché ad essi lo stesso Callistene abbia assegnato una sola forma, la qual cosa facilmente ammise Galeno, soltanto che essa differisce dall'accidente e lo dimostra con non pochi ragiona­menti - se quel libro di Galeno deve ritenersi autentico e non apo­crifo -. Io, in verità, per poter convalidare questa affermazione, seguendo il ragionamento di Callistene, posso dire che con nume­rose esperienze egli fece sì che da uno stesso farmaco o da granuli diversi producesse ora l'oro, ora l 'argento: e parimenti avevo no­tato al tempo stesso che c'era dell'argento - lo avevo già rilevato più volte nello stesso farmaco - in quel che restava dalla separazio­ne dell'oro, liquido così acido che comunemente vien chiamato ac­qua solvente, mi risultava anche che c'era molto oro dopo aver compiuta quell'operazione con un certo rischio ; ma degli esperi­menti si dirà a suo tempo e con maggior diligenza.

Vincenzo Burgundo, colui che scrisse ponderosissimi volumi di quasi ogni genere di letteratura, allorché tratta della natura, afferma non tanto di aver conosciuta la vera arte di separar l 'oro, quanto quella di produrlo, spinto egli stesso dall'esperienza, aven­do notato che esso è commisto ad altri metalli. Moltissimi altri di­scutono non solo sul fatto che si può separare e ciò in realtà non può esser negato - ma sul fatto che possa essere estratto o anche prodotto, con ragionamenti derivati dall'armamentario filosofico. Veramente so che tra gli interpreti greci di Aristotele ci fu Miche­le Psello, che con molte argomentazioni asserì potersi produrre l' oro artificialmente da sostanze non auree, e di detta produzione in­dica - se ben ricordo - sei vie. Anche i più recenti commentatori interpretarono che potesse esser prodotto l'oro, come fra non mol­to io dimostrerò. Del resto molti altri peripatetici sembrano tende­re alla medesima opinione, cioè che l'oro possa esser prodotto arti-

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ficialmente sebbene chiamino in causa difficoltà e pericoli, tra i quali Timone, nell'ultima parte del terzo libro delle "meteore" di Aristotele. In non pochi il dubbio è accresciuto dal nome di spe­cie e di forma che con vari significati suole essere assunto dai fi­losofi, e per quanto riguarda il nostro argomento sull'arte di muta­re la specie han preso l'abitudine di esprimersi in tre maniere diver­se : vi sono infatti di quelli che dicono che non muta la specie, ma rimane singolare perché gli manca qualche cosa, che chiamano in­dividuo ed è completo di per sè nella sua specie, tanto più che al­cune cose si allontanano persino dai principi di quella specie ed an­che molto più in là non diversamente da certi esseri animati, la cui nascita non ha origine dal maschio e dalla femmina ma da altro es­sere che pure è nato ma non si può accertare nè con la vista nè con altri sensi: proprio per questo, quelle cose, che sono generate mediante il coito ed hanno origine anche da sostanze in corruzio­ne, si è preso a dubitare da parte dei filosofi se differiscano dalla specie anche minimamente; non pochi di questi come non ammet­tono che esistano principi precedenti. sia pure remoti, così , negano che ne esistano di prossimi ; e tali affermazioni mi ricordo di aver letto presso Galeno, sia che quel famoso Pergameo l'abbia raccon­tato da Ippocrate, sia qualcun altro dello stesso nome, allorché si afferma che possa nascere dall'uovo il pulcino non soltanto per la cova della gallina, ma anche per il calore delle mammelle di donna o per il moderato tepore di un fornelletto. Vi sono anche di quelli che credono di interpretare la questione con la sola operazione del­l 'arte ed altri invece attraverso un'operazione mista dell'arte e del­la natura e con tale distinzione compongono la controversia rite­nendo anche che da ciò derivi il mutamento della specie, e che, di conseguenza, possa mutarsi qualsiasi' cosa riguardo alla forma, fer­ma restando la materia e che in ciò minore è l 'aiuto dell'arte, non­ché della natura, e che, infine, nulla esiste di per sè che non possa esser trattato ed al servizio del quale l'arte non possa esser messa: e ciò minimamente ritengono assurdo dato che lo affermano e lo sostengono. Vi sono poi coloro che da quelle affermazioni (di Ari-

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statele) ritengono di dedurre che la materia possa mutare con la forma, in modo del tutto radicale, la qual cosa certamente da par­te dei filosofi non é ammissibile nè mediante la natura nè attraver­so l 'arte perché ciò è in potere soltanto della forza divina; perciò, quando dall 'argento o da un altro metallo qualsiasi si produce l'oro e lo si isola oppure - come preferiscono dire - se ne trae la specie, ritengono che la materia rimanga identica e che muti la forma, dal momento che quella materia, che prima era sotto forma di argen­to, si . trova sotto forma di oro: si dice dunque che muta soltanto la parte della specie, se la specie consiste nella materia e nella for­ma, come si apprende dalla scuola dei peripatetici e soprattutto da San Tommaso e da altri che sono ritenuti i più illustri tra i neote­rici, benché non manchino i filosofi i quali, quando dicono "spe­cie", vogliano intendere soltanto la "forma". Si può anche dire che nulla muti in assoluto, poiché una parte va via ed una parte si uni­sce nell'operazione di mutazione, proprio allorquando si allontana la forma occupata dalla sua stessa materia, e · ciò abbiamo sentito dire che è accaduto assai di frequente quando dai commestibili in­geriti si disperde la forma e la materia viene mutata per effetto del­la digestione.

Del resto presso i giureconsulti talvolta ho letto che la "spe­cie" è intesa in un senso diverso, allorché si scrive che non viene mutata la specie, se, per esempio, dallo stagno e dal piombo si pro­duce l'oro: in questo caso è chiaro che il "genere" vale la "specie", perché, appunto, soltanto una specie vi è in quei metalli come nel rame, nel piombo, nello stagno, nell'argento, mentre l 'oro è classi­ficato in una specie perfetta al cui originario grado di perfezione è possibile assurgere da parte degli altri metalli (3) . Perciò chi voglia

( 3) Le teorie sulla evoluzione dei metalli vengono organicamente esposte, in seguito, in un'opera di J.J. Becher (163S · 1682), I' "Oedipus Chimicus". Da un primo stato nelle miniere dello Zolfo e del Mercurio, si passa tramite la composizione dei due principi, mascolino e feminino, alla maturazione nella terra, fino alla com­pleta determinazione dello status metallico. Tutti i metalli, secondo questa teoria, che viene fatta risalire a Geber, restando sub terra terminerebbero la loro evolu­zione con il divenire oro, non intervenendo turbative all'Azione della Natura. Becher intende questa teoria in senso sia macrocosmico che microcosmico. Si ri­manda a questa opera per ulteriori approfondimenti.

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sostenere quanto sopra, sia attravers'o l 'etimologia greca, sia attraverso un valido ragionamento non può esser ripreso tanto da essere eliminato dalle scuole di filosofia. Si tramanda proprio questa opinione accettata da quel Callistene, cui abbiamo accen­nato poco prima, e se l 'accettiamo dobbiamo respingere quelli che attribuiscono a svariati pianeti le svariate forme dei metalli, e fra: essi Giovanni Versore e coloro che e�li seguì nell'esposizione delle teorie aristoteliche là dove egli manifestò quella stupidaggine che mille occhi rifiutarono, che duemila mani disapprovarono, e cioè che il ferro non può esser liquefatto, affermazione che risulta essere stata respinta persino dalla stessa esperienza degli astrologhi, allorché nello stesso tempo, con uno stesso farmaco - come prima raccontavamo - è capitato di produrre l'oro e l'argento benché talvolta possano essere originati dallo stesso seme e tal'altra da semi diversi, s ì che non possono sognare gli astrologhi, poiché in questa operazione influisce la congiunzione del sole e di Giove: può avvenire anche in un qualsiasi giorno per effetto di complicate raffigurazioni simboliche di quei pianeti. Ma benché la stupidità degli astrologhi sia stata una volta dimostrata da Giovanni Pico, mio zio paterno, e da me spesso, non voglio ulteriormente infierire contro di essa. Chi però vuol veder chiaramente l'opinione di Callistene, non difficilmente potrebbe rispondere ad Alberto che propone un'opinone contraria, tanto più che presso Giuseppe si trova una tradizione orale secondo cui il vetro può esser mutato in metallo e secondo la quale si dice che in Tolemaide esiste una grande quantità di arena vitrea di quel genere. Nè facilmente si è potuto apprendere se Galeno, nel suo trattato sul potere dei medicamenti semplici, accenni alla arena vitrea ed aurea e se si trovano insieme quelle sostanze che in maniera diretta od indiretta generano i metalli, e se sono di quella stessa natura e se facilmente possono mutar natura Poiché la presente questione dipende tutta dalla conoscenza della specie e della forma, prima si dovrà discute­re e stabilire le sottilissime distinzioni delle specie e delle forme. Ciò sarà opera oltremodo ardua e compito proprio della più alta

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filosofia : nessuno che non sia poco più che mediocremente dotto lo ignora. Lo so ben io attraverso la mia non breve opera prestata in processi, avendo trattato di questa materia di gran lunga più difficile di tutte le altre, soprattutto nell'esame dell'inconsistenza della dottrina delle genti e della verità della Disciplina Cristiana, nei teoremi che ho scritto sull'umana perfezione, e che se volessi qui ora riassumere, senz'altro uscirei fuori argomento. Infatti, il fiume Meandro, decantato dai poeti, non ha tanti avvolgimenti quante migliaia ne avrebbero le discussioni che da qui originereb­bero e che mai avrebbero fine per i giudizi umani. Pertanto met­tiamo da parte questi argomenti e rifacciamoci al comune buon senso : sarà sufficiente aver dimostrato che possa esser prodotto l'oro artificialmente, o almeno, per chi è desideroso di apprendere, che l'argomento è stato trattato dalle varie scuole filosofiche. Io, dal canto mio, per quanto le forze del mio ingegno me lo permet­teranno, in primo luogo mi sforzerò di render chiari quegli argo­menti che molti reputano scabrosi ed aspri: quindi riferirò gli esperimenti di cui mi sono reso edotto per poter scrivere quanto qui presente, almeno nelle sue linee essenziali e attraverso le ombre, non attraverso i colori, condurrò alla luce con proposizioni quanto più brevi possibile per portare a termine il lavoro. Fin qui infatti ho scritto quale sia il potere dell' arte, la mutazione della specie e non poche altre cose, sulle quali diversi autori in diversi modi hanno discusso.

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Capitolo V.

COME L'ORO PUO' ESSER PRODOTTO ARTIFICIALMENTE

A nessun uomo, che osservi attentamente la natura delle cose, sorge il dubbio che possano dall'uomo stesso esser mutati

quegli elementi che si trovano sotto il globo lunare coesistenti allo stato naturale puro : e neanche che possano esser rinnovate le pian­te e talora vari animali avendone favorita l'unione : non è possibile invece con la stessa facilità mutare i metalli. Vediamo talora che dall'aria può esser prodotto il fuoco e l'acqua, persino la terra da essi, con l'intervento dell'arte. Vediamo delle piante, mai prima vi­ste, venir generate artificialmente, e le loro nature venir mescolate e di conseguenza mutate. Vediamo anche con il solo mutamento di luogo, cioè dell'ambiente acqua e dell'ambiente aria, la tenera erba divenir pietra, che vien nominata "corallo". Videro molti e ce lo tramandarono per iscritto che dallo stillicidio di acqua lacustre pel­li e carne di animali furono mutate in pietra. Vidi io stesso delle pietre e delle fronde di olmo mutarsi in tufo. Leggiamo che venne­ro fuori delle api e dei calabroni dalla carne bovina ed equina sot­toposta alla lavorazione dell'uomo. Leggiamo anche, nella lettera­tura sacra, che esistevano pelli adatte a generare pecore notevoli per i colori svariati e, sempre dagli stessi scritti si apprende facil­mente, che dopo un corso di molti anni erano stati prodotti anima­li dai Magi Egiziani.

Inoltre, mi chiedo, che cosa impedisce che la forma di una co­sa, la quale è chiamata con termine corrente "sostanziale", che ab­bia origine da diversi principi ed anche da genere differente, possa esser trasmutata in "materia"? Non ci dà una prova evidentissima di ciò tutti i giorni la forma del fuoco? Non il calore dico, come l' opinione non provata e respinta di Alessandro di Afrodisia che ha generato ambiguità, ma la vera forma che dalla sostanza e dalla specie stessa è derivata : certamente questa forma altro fuoco emet-

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te in altro fuoco della stessa specie e quindi in materia. Anche il sole con le sue emanazioni diverse non solo nel genere ma anche nella specie, attraverso la ripercussione dei raggi solari, che non so­no elementari, ma ritenuti di origine celeste, produce cose diverse. Molte cose sublunari veramente con il fuoco s'infiammano, ardono e si mutano. Se ciò avviene sulla superficie della terra, perché non può accadere dovunque? cioè nelle caverne sotterranee e nell'aria pura? Mi si dirà forse che la forma dell'oro è più perfetta della for­ma del fuoco, ma mi oppongo se non dispiace, e non senza ragio­ne : proprio perché il fuoco non è elemento semplice a tal punto che v1 possa anteporre l'oro che è composto di elementi. Infatti nessun elemento puro può essere intaccato, come si apprende dal­la scuola aristotelica: il fuoco però se persiste, persisterebbe di per sè se non gli mancassero gli alimenti, perché non è più puro dell' oro? Che c'è dunque, per l'uso dei mortali, di più adatto su cui po­ter discutere come elemento da contrapporre' Chi per quanto po­co esperto non sa che tutte le genti hanno bisogno del fuoco? Chi ignora che il fuoco, benché sia cosa naturale e necessaria, possa es­ser prodo to m molti modi.? Per esempio, in modo naturale, dalla folgore nell'aria e dal riflesso dei raggi solari, in modo artificiale, dall'attrito di corpi solidi, da esche varie ignee che tra tutte le for­me sublunari hanno moltissime meravigliose proprietà, come narra nel libro del fuoco Teofrasto, libro che tra le mète della mia gio­ventù mi ero proposto di tradurre e tradussi dal Greco in Latino, ma non portai a termine perché l'esemplare era mutilo e semilace­ro. E' certo però che tutti i popoli hanno bisogno del fuoco.

Vi sono state però molte popolazioni, come prima scrissi, e risulta che ve ne siano attualmente, che non si servono dell'oro e così anche di nessuna moneta sia d'oro sia d'argento. Come ad e­sèmpio gli Spartani furono un tempo ; s ì che ad essi non era in al­cun modo concesso (di possedere oro) per le leggi di Licurgo, che allontanò i cittadini dalla città, lasciando Sparta, come egli cantò in versi, nuda durante le guerre e malgrado ciò essa fu e venne considerata città principale della Grecia. Però se qualcuno mi con-

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testa che preferisce l'oro al fuoco, io affermerò che le forme dell ' oro sono ricavate più perfette dal grembo della natura per mezzo dell'arte, così come leggiamo nelle sacre scrittore che furono for­giate in materia con l 'arte misteriosa dei maghi, ai quali sembra sia familiare la natura, infatti l'anima è sensibile e superiore ad ogni specie di oro. Pertanto Agostino ammette che le forme superiori in ogni sostanza corporale possono essere prodotte con mezzi na­turali, anche Tommaso aderisce a quella autorevole affermazione e, servendosi di un analogo ragionamento nel secondo volume della seconda parte della Summa Teologica, che l'oro "vero" può esser prodotto artificialmente, e, se è vero, è anche lecito venderlo.

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Capitolo VI.

VIENE ESPOSTO IL PARERE DI SAN TOMMASO D'AQUINO SULLA PRODUZIONE DELL'ORO

Ma ci viene incontro a proposito l 'opinione di San Tommaso, così come gli interpreti ce l 'hanno riportata e noi la dichiaria­

mo, infatti egli nel secondo Commentario delle sentenze dei Padri della Chiesa sembra che disapprovi quell'arte e che l'approvi poi nella Summa Teologica. Perciò egli è ritenuto contraddittorio da alcuni, altri tentano di conciliare sensi diversi, ma i più non lo fe­cero abbastanza. In che modo io vi riuscirò, i lettori lo giudiche­ranno. Dunque certamente, in primo luogo, non son d'accordo con Giovanni Ligure che esclude la forma dell'oro possa derivare dall 'arte e ciò a causa della sua purtzza: di conseguenza non am­mette l'arte di produrre oro. Invece Tommaso - come dissi -ammette una forma più perfetta, cioè un'anima sensibile. In ciò i Maghi si dimostrarono riproduttori della natura con i propri mezzi. Nè io mi meraviglio che gli artefici non sappiano trovare sostanze che agiscano appropriatamente e reagiscano adeguatamente, poi­ché non ignorano che per ciò "Sono necessari il calore, l'umore e molti vapori di cui la natura di solito si serve nel trasmutare i me­talli. Aggiungiamo che "da giovane Tommaso sembra negare cose che costantemente affermò dopo molto tempo, cioè mentre porta­va a termine la Summa Teologica come ultima attestazione delle sue opinioni". Nè mi meraviglio - cosa di cui si meraviglia il Ligu­re Silvestro e con lui Pietro Gomate - che San Tommaso nel Com­mentario Secondo tratti delle arti imperfette e nella Somma Teolo­gica delle arti perfette e che a queste attribuisse potere ed a quelle no. Infatti vi si trattava l'arte di produrre e non gli artifici, dei qua­li sia l'arte che la natura si senwno e per mezzo dei quali si può pervenire alla perfezione, e che possono essere esercitati dagli spi­riti incorporei o da quegli uomini che sono naturalmente, o in mo-

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do soprannaturale, dotti. Ma la varietà dei ministri non esclude l'arte nè diminuisce

colui che si oppone con le sue forze a quelle della natura ed anzi l'aiuta e la supera : infatti, sebbene spesso i filosofi abbiano consi­derato difetto di natura la resistente lentezza della materia, tutta­via ritengono che questa ultima sia retta da una mente intelligen­te e separata che sbaglia molto più spesso - essi .confessano - di quanto non faccia l'arte, quando non solo si introduce come occa­sione della resistenza della materia, ma anche quando vengono tra­scurate le regole di far le cose secondo la prescrizione di un giusto principio, del qual principio l'uomo se si serve, non abusandone, può errare tanto quanto la stessa natura e se intervengono errori li pu6 correggere.

Dunque poiché la natura somministra all'arte le stesse sostan­ze e la stessa arte attende alla natura, esse giovano a se stesse e in qualche modo ai scambiano servizi vicendevolmente ; si può talvol­ta per mezzo dell'abilità dell'arte con l'aiuto della natura fare qual­che cosa che la natura fa da sè sola ed anche soprattutto quando si agisce con maggior insistenza nella trasmutazione della materia sublunare, come ad esempio dello stesso oro di cui stiamo discu­tendo. Che cosa impedisce agli uomini di dare agli altri metalli la forma di quello, con l'aiuto del sole e del fuoco? . La qual for­ma la natura, servendosi soltanto del sole, nelle nascoste sedi della terra ottenne ugualmente : sia quando dallo zolfo e dall'argento vi­vo ottiene l'oro - come ritennero Democrito e molti altri, come a me si mostrò in molteplici esperimenti - sia quando esso si può ottenere anche da altri vapori che siano più puri o ritenuti tali, o quanto meno estratti da essi e mescolati in un'unica natura, sia da una certa acqua sconosciuta, che Teofrasto citò ma non espresse, ma che potrebbe essere quella che si dice scoperta da Democrito, chiamata liscivia, a cui è stata mescolata della calce (4), non dico

(4) La calce rappresenta uno stato che possono avere tutti i corpi, una volta ridotti

.! ...

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quella calce che Alberto disapprovò : infatti è diversa da quella ci­tata da Democrito, tanto è vero che "lixa" anticamente stava ad indicare acqua, donde deriva anche il "lixa" (il vivandiere) presso l'esercito, termine che a sua volta deriva da "elixa caro", cioè car­ne lessa (che il vivandiere cuoce). Infatti con quel termine simboli­camente Democrito indicò l'argento vivo, o il metallo sciolto in quell'acqua che si può dire materia prima dei metalli - cosa in cui sono d'accordo anche i peripatetici il cui capo scuola affermò che "anche quella è acqua" -. Sia che si tratti di oro prodotto da quel­le sostanze sia da sostanze di altro genere che la natura ha nascosto nei più intimi recessi della terra, non servendosi delle medesime so­stanze, gli uomini otterranno sempre lo stesso risultato? e potran­no imitare il calore del sole nella misura in cui la natura lo ha per­messo? Ciò nonostante io lo ritengo per nulla necessario. Nè sono tanto da ascoltare i filosofi che credono e vanno ripetendo che l 'o­ro può esser generato soltanto dal calore del sole, come se il calore del sole non sia la causa universale delle cose che vengono generate nel meccanismo sublunare, e vi vengono anche corrotte, e quel ca­lore medesimo diffonde le sue emanazioni, tanto nelle spelonche e nelle caverne sotterranee, quanto nelle pianure terrestri , come se non ci sia fuoco nelle nascoste cavità terrestri, da cui possa essere eccitato il vapore dello zolfo, ritenuto parente e derivato dell'oro ; e quel fuoco ci manifestano non solo l 'Etna di Sicilia e le vicine i­sole, ma lo vediamo anche in molti monti dell'Europa e persino nell'Appennino. Del resto coloro che sostengono apertamente l 'ar­te danno forme appropriate alla comune materia dei metalli, re­spinte le forme primitive e ciò ottengono non soltanto con la for-

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i n polveri finissime, per azione del fuoco o d i certe acque corrosive. Praticamen· te si elimina l'ac;ua o umido elementare, intendendo con questo il principio "storico" in senso ato, dell' individuo.

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za di acque corrosive (5), ma anche con il potere di sali di diverso genere (6) o con la potenza di oli di diversa preparazione (7), op­pure, persino con l'oro stesso, allorché sia stato preparato con e­strema raffinatezza dell'arte per la propagazione dello stesso gene­re (8), a cui sono stati mescolati frattanto i noti elementi primor­diali dell 'oro medesimo; in tal modo si danno da fare a trasmutar metalli e pietre e tentano di combinar polveri con le quali possano produrre molto oro da una piccola quantità, cui venne attribuito il nome di "elisir" (9), dai filosofi arabi ed i latini chiamarono medi-cina seguendo l'esempio dei greci dai quali risulta esser chiamato ....... , e di quel nome più spesso si è servito Psello.

(S ) Vedere la nota (2).

(6) Il Sale è la materia dei corpi : il " fisso" per eccellenza. Si considerano general­mente tre tipi di sali: vetriolico, marino e nitroso, (a volte se ne aggiunge un quar­to : quello tartarico). Il sale base è il sale marino, che forma il nitroso, il quale o­rigina il tartarico che a sua volta, cotto e digerito, genera il vetriolico. In Alchimia, si intende anche per sale un composto di terra solforosa e di acqua mercuriale: uomo cabalisticamente viene fatto derivare da Humus, da cui la terra di cui sopra ; il mercurio quale vitalità, sommato alla terra solforosa, la materia in putrefazio­ne, crea il sale. Sale base, viceversa, è il solo corpo, che con solfo e mercurio, Anima e spirito, forma la triade filosofica.

(7) Olio sta ad intendere la materia quando prende sia il colore che la vischiosità o­leosa, nella prima operazione dell'opera; la putrefazione che prelude al "nero, ne­rissimo''.

(8) E' una metodologia " Regale". Il principio oro 0 , può in effetti essere preparato data una progressiva depurazione dei metalli dalle "lebbre".

(9) Elisir, dall'Arabo Al-iksir, che significa Pietra Filosofale.

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Capitolo VII.

COME MAI L'ORO PRODOT TO ART IFICIALMENTE POSSA RISULT ARE PIU' PERFETTO DI

QUELLO EST RAT TIVO

O r dunque in tali modi si van facendo esperimenti per estrarre la forma dal seno stesso della natura, forma che certamente

si potè trovare ed estrarre nell 'Asturia e nella Galizia o anche da parte di altri cercatori d'oro e d 'argento, sia a quelli che agivano in superficie sia a coloro che agivano altrove, fu facile congetturare che venivano generati da luoghi remoti, mentre li raccoglievano, senza trascurare che sono chiamati Ermo, Tago, Pattalo i fiumi che vengono esplorati alla ricerca dell'oro, così come altri letti di altri fiumi ed anche i lidi del mar Atlantico per raccogliervi fra le pietruzze di vari colori i granellini di oro, ricerca che non solo fu fatta di proposito ma che diede frutti insperati e dovuti al caso an­che a quelli che cercavano altro, almeno stando a quello che dico­no. Ma in realtà moltissimi dei mortali tra i più sapienti affermano che, per divina provvidenza spesso occulta ma che agisce giusta­mente, son riusciti a trasmutare i metalli. Ho sentito dire che ven­ne prodotto dell'argento mentre s; preparava una medicina per un cavallo mescolandovi dell'argento vivo e fra l'altro varie sostanze. Io stesso vidi produrre dell'argento e dell'oro, mentre non si spera­va di produrre nè l'uno nè l'altro. Ho letto anche che l'arte di pro­durre l'oro sia stata tramandata fin dai tempi antichi per rivela­zione di spiriti superni, non ho letto però che l'arte fosse pratica­ta ai miei tempi, anzi l 'ho vista praticare e quando si tratta di espe­rimenti mi sento in grado di giudicare con cognizione di causa ; che talvolta l'oro possa esser stato prodotto per intervento di demoni malvagi, come sospetto, mi meraviglio, poiché è stato tramandato per iscrritto che una volta i demoni rivelavano in sogno rimedi me­dicamentosi in templi diversi, cosa che mi ricordo di aver trattato

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piu ttosto diffusamente mentre confutavo delle affermazioni super­stiziose - soprattutto nei libri che scrissi su lla precognizione ed an­che nei commentari ai miei " Inni" -, ma purtroppo esistono anco­ra molte prescrizioni delle quali si servono i medici e che sono sta­te tramandate dall'antichità per tale superstizione, tanto più che sono state tramandate come efficaci, per iscritto, alla posterità. Dal momento che fu incendiato il tempio di Esculapio si racconta che Ippocrate abbia fermato sulla carta le prescrizioni mediche at­tingendole in tranquillità dalla memoria: possono infatti i demoni dare rimedi efficaci - benché non sia il caso di appurare se ciò av­venga -; ma gli uomini possono servirsi di quelli veramente çffica­ci, dopochè l'efficacia è stata provata, nori perché è stata affer­mata dalla rivelazione demoniaca, ma perché l'effetto stesso si è rivelato utile per sua propria natura, ed in questo caso a Dio è da attribuire l'efficacia come a Colui che è la fonte prima di ogni veri­tà e l'autore di ogni bene, tanto più che Dio sa trarre il bene dalle cattive azioni degli uomini e dei demoni, tanto grande e tanto inef­fabile è la sua bontà alla quale infine dobbiamo il fatto che esistia­mo, che ci muoviamo, che viviamo, cosa che deve essere accettata e che è stata imparata attraverso l'autorità ed il ragionamento di Paolo Apostolo grazie alle preghiere. Non mi pare vero, dunque, - come altrove affermo - che l'arte di produrre oro s ia stata rive­lata da demoni maligni, e mi persuade abbastanza il ragionamento secondo cu i (il demonio) l'avrebbe rivelata soltanto agli uomini malvagi o almeno a quelli che riteneva fossero nutriti di malvagità; infatti la giustizia divina non permette che quegli uomini diffon­dano il veleno del loro animo congiunto alla potenza per la perdi­zione del genere umano. Questo ragionamento sembra metterci al riparo da esperimenti i cu i risu ltati sono verosimili, allorché qualcuno procura ai suoi seguaci non poco oro per i suoi giochi o­sceni : e di questi argomenti ho già trattato nel triplice dialogo dal titolo "La strega". Pertanto affermo che è stato raccolto da spiri­ti buoni se qualcosa è stato rivelato di vero su lla s ingolare arte, per effetto di qualche privilegio, ma più facilmente ciò è da attribuire 56

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alla dòttrina ed alla loro esperienza. Collegando sostanze diverse attraverso svanatl esperimenti,

gli esperti dell'arte poterono conoscere molte cose: infatti non in un sol luogo o in un sol modo la natura produce l'oro. Alberto vi­de - come egli stesso scrive - dell'oro puro nelle sabbie fluviali, sentì dire che l 'oro impuro è derivato da pietre in cui è commisto, a guisa di vene, ed aggiunge subito dopo che l'oro nato tra le sab­bie è migliore, e del fenomeno afferma due cause: la prima, perché maggiore è la purezza dello zolfo mescolato alle sabbie calde e secche e più frequentemente, quel che c'è di sporco e di terreo nell'argento vivo lo rende più sottile con l'attrito, mentre il lavaggio frequente del fiume lo rende più puro; la seconda causa è attribuita all'otturazione dei forellini quando il calore occluso in fondo alle rive si autoalimenta e cuoce la sostanza aurea renden­dola più nobile. Queste cose (Alberto) affermò là dove fece menzione dei luoghi in cui vengono generati i metalli (10).

Io già ho detto di aver raccolto dell'oro lungo il corso dei fiu­mi e d.i averlo conservato pulitissimo ed appena mescolato a picco­le scorie. Appunto per questo ritenevo l'oro purissimo, ma è stato affermato che con rischio se ne può ottenere molto misto ad ar­gento. Lo stesso Alberto, descrivendo la natura dell'oro, afferma di aver trovato una pepita che superava il peso di molte libbre. E­gli usò l'espressione "cento marche" che con definizione straniera indica otto once, ma quelli che stimarono la pepita, la valutarono ben ottocento once. Narra, inoltre, che in Germania, ai suoi tempi, venne trovato in montagna dell 'oro che, mentre veniva riscaldato, si consumava meno degli altri e per la novità andò dicendo che era di minor valore : di ciò, come causa di maggiore purezza, non av� va fatto cenno Plinio che aveva citato per estero numerose raccolte di oro dalle scorie dei fiumi, come il Tago in Spagna, il Po in Italia,

(10) Questo passo pottebbe essere di sprone al "Sequere Naturam".

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l 'Ebro in Tracia, il Pattolo in Asia, il Gange in India e ci aveva fat­to sapere che nessuna qualità di oro risultava assolutamente perfet­ta come quella lisciata e pulita dal corso stesso (delle acque).

Plinio non omise di parlare delle buche dei pozzi, dei precipi­zi montani, nè dei canali di ogni specie ove nella ghiaia marmorea aderisce l'oro diffondendosi come attraverso le vene. Perciò, sia da quelli che vanno cercando l'oro nelle caverne dei monti, sulle rive dei fiumi e sui lidi marini, sia da quelli che lo trovarono per caso mentre cercavano altro, possono esser informati gli artefici e pos­sono esser informati gli artefici e possono approfondire la natura del metallo, e quindi imitarne il calore che l'ha generato, ora con fuoco a guisa di esca naturale, ora lento, ora violento ( 1 1 ) ed in tal modo esperimentano le forze dell'arte congiunte con quelle della natura e finalmente, dopo molti esperimenti, come dall 'involucro che l 'ha generato estraggono il feto dell'oro vero, nè più nè meno come fa l'ostetrica; e ciò spesso fa l'arte per tentativi, non solo -come si dice - imitando la natura, ma addirittura perfezionandola. A questo punto, per non sembrare che· vi sia discordanza fra quelli che dicono di averlo già fatto - ed io non nego di averlo visto - e quelli che dicono possa esser fatto dall'arte con l'aiuto della natu­ra, ottenendo un oro più perfetto di quello naturale, ma certo dal colore più accentuato, ce ne persuade l'autorità di Alberto e ce lo dimostrò facendo un esperimento davanti a molti, cosa che anche ci è stata tramandata dagli scritti del filosofo Psello, il quale inse­gnò a produrre artificialmente dell'oro più perfetto estraendolo da granelli, score e frammenti del fiume Pattalo, e per servirmi delle sue parole "perfettamente somigliante all'oro, estratto esclusiva­mente da granelli". Del resto anche in quell'oro che si estrae dalla profondità della terra si trova qualche impurità benché sia stimato

( 1 1 ) Sul fuoco, di cui sarebbe necessario parlare a lungo, rimandiamo all'opera di Hu· ginus a Barma "Saturnia Regna in aurea Saccula conversa", da noi curata ed edita da Arthos (Carmagnola).

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più prezioso dell 'altro e ciò non solo ci è stato tramandato da Pli­nio, ma anche da Alberto e da Diodoro, come ho scritto all'inizio. Lo affermarono prima le sacre scritture, secondo la cui testimo­nianza abbiamo appreso che l 'oro dell'India è più pregiato di ogni altro, e se vi si trova qualche impurità per opera della natura per­ché non si deve ammettere che ce ne possa essere per opera dell' arte? La qual arte non solo supera quella meno perfetta, m'a anche con la forza e l'aiuto della natura, emulandola, spesso supera la na­tura stessa - come prima ho affermato - e ce ne accorgiamo dai colori, dai sapori e da altre molte qualità. Giustamente è stato scritto nella sacra Genesi che nella terra di Chavilah, al capitolo LXX - ma nell'edizione divulgata sta scritto "Evilat" - che gli an­tichi affermano essere in India, si trova un oro che è il migliore di quella terra se stiamo alla traduzione latina di "kalòn" (migliore) LXX. Gli interpreti tradussero dal testo ebraico che talvolta può essere interpretato "buono" o "bello", se non si preferisce ammet­tere che non è nè buono, nè bello l 'oro che si trova in altre provin­ce. Qual è la causa secondo cui l 'oro per l'eccellenza ivi vien chia­mato buon oro? e se altrove non fosse buono l'oro o se non fosse apprezzato per quella bontà per cui vale ad Evilat?, ma non si può dubitare che possa esser chian1ato ottimo per confronto, e non si può negare che - sempre per confronto - possa ugualmente esser detto buono, purché nella sostanza del suo genere ci si riferisca a quella parte che non è fornita di bont.à.. "Dunque in natura ci è ne­cessario porre una distinzione nell'oro", distinzione nella specie, nel grado, disti�one che giustamente non si può negare nè nell'ar­te stessa se si confronta l'arte con l'arte, nè nell'arte quando la si confronta con la natura. Ci viene a proposito la testimonianza di Plinio che chiama eccellente l'oro che Caio Cesare fece produrre dal pigmento aurifero - argomento dì cui altrove più ampiamente ci è stata tramandata memoria dal medesimo autore - ed aggiunge che in genere nell 'oro esiste una quantità variabile di argento, ora la decima, ora la nona, altrove l 'ottava o la quinta parte, propor­zione quest'ultima che costituiste l'elettro, antidoto per il vele-

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no: per tutte le cause sopra esposte si possono fare molte distinzio­ni dell.'oro. Si aggiunga che anche in altri metalli si trova l'oro allo stato p iù o meno puro. Persino in corpi non metallici si trova del-1' oro - secondo la testimonianza di Alberto - "ne fu trovato at­torno alla radice dei capelli che stavano per crescere nel cranio U7 mano". "Ne fu trovato anche nei ventricoli delle pernici" ai miei tempi, sia che esse l'abbiano inghiottito in granellini mentre appa­riva alla superficie della terrà , sia che fosse stato generato da un potere occulto nei cibi già deglutiti, potere comunicato da elemen­ti d'oro derivati dalla terra. Soprattutto nei monti Masi alcune er­be possiedono questo alto potere, giacché non lontano dal lago Fu­cino dalla parte del campo Albano vanno a branchi quelle pernici, che io ho visto con i miei occhi in quei luoghi, non senza meravi­glia, allorché ero appena arruolato nel servizio militare ancor giovi­netto. Allora ne ignoravo la causa nè la cercavo, e fino ad oggi for­se mi resta incomprensibile benché io congetturi che essa dipenda da alcuni elementi auriferi, perché nulla vieta che così come è oc­culto nelle cavità della terra l'oro possa talora esser trovato sulla su perficie della terra e che possa esservi nelle erbe stesse e nelle radici una certa forza che - così come ho detto - non può negar­si. (se non protervamente) sia produttrice di oro: simile fenomeno si è osservato negli animali quadrupedi: infatti, uomini degni di fe­de riferiscono di aver visto, sui monti di Creta, degli stambecchi i cui denti avevano dei riflessi di color aureo. soprattutto dalla par­te donde spuntano dalle gengive e brucano delle erbe, la fama del­le quali è diffusa in Ida, a Creta. Tralascio di parlare della natura di quell'oro che la Grecia chiama "obrizon ", così come piacque ad Isidoro ed ai suoi seguaci che dicono esser latino vocabolo perché deriva da "obradio" (abbaglio) dato che abbaglia con il suo splen­dore. Nè è inv�rosimile che il vocabolo sia stato tratto da Plinio che parlò dell' esistenza di quest'oro che rosseggia per il colore si­mile al fuoco e che ch iamano "obrizo", ma quell i che conoscono bene la lingua greca, tra i qual i Ermolao, uomo della nostra età, pensano piuttosto che sia un vocabolo formato alla maniera greca 60

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e che vuol dire tenero, molle, delicato, oppure, come mi sembra di ricordare, forse, "eurizo ", "perché germinato da un ottimo seme, come se si riproduca da una legittima radice, sia che si tratti di oro prodotto dalla natura, sia di quello preparato dall'arte che ha supe­rato la natura. Gli Ebrei lo considerano "obrizo", e gli interpreti dissero di averlo trovato nei Settanta, ( 12), ora nome di luogo, ora verbo che in latino conviene tradurre "purissimo", tanto più che propriamente non disdegnarono chiamarlo purissimo e forse si tratta di quello stesso che anticamente si chiamò "apyron", secondo l'autore Diodoro, che viene estratto dalle caverne arabi­che, che neanche il fuoco può liquefare, dal colore così splendente che rende più splendide le pietre preziose che vengono incastonate in quell'oro, come già ho dimostrato prima in quel luogo del Salmo "e gli sarà dato l'oro di Arabia". Infatti al di sopra degli altri significati attribuiti a quel metallo sta la "superiorità", forse perché attraverso essa, con la mente si ascende al supremo vertice della sapienza come risulta indicato dal mistico nome nel vocabolo di "oro" (13).

Così la natura in vari modi produce l'oro, l'arte pure, talora con l'aiuto della natura, talora in gara con essa, vittoriosa con il suo stesso intervento, suole produrne in diverse maniere; si sba­gliano però moltissimi i quali ritengono che il potere dell'arte non è pari a quello della natura; ci sono poi coloro che credono il pote­re dell'arte così al disotto di quello della natura da non reputarlo degno del nome di natura, che pertanto primeggia in modo assolu­to; ma vi è una certa natura fornita di conoscenza, come è abitudi-

(12) Scnanta traduttori, narra la leggenda, relegati in una isola egizia, tradussero la

Bibbia in Greco; una volta terminati i rispcnivi lavori si scopri che le traduzioni risultavano identiche (111 scc. L C.).

( 1 3) Il mistico nome di cui si parla potrebbe essere Criso, dal greco Crisos, che signi­fica oro. Di qui per cabala fonetica si è considerato derivante Cristo, (vedere il Mistero delle Cancdrali, di Fulcanelli, cd. Mediterranee, Roma 1972, a pag. 68).

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con cui regge la natura, muta e priva di una ragione mterna, e di­spone di essa reggendola e moderandola, e così mentre la imita, talvolta la emula e tal'altra la supera. Aggiungasi che tra le lodi ri­volte alla natura vi è quella secondo cui essa qualche volta simula l'arte: così come quando delle figure si trovano per effetto natura­le scavate nel marmo : così come nella gemma di Policrate e in molti altri casi si è scoperto : anche un ingegnoso Poeta riferì che la natura eresse un arco ad imitazione dell'arte per mezzo di quel carme, verso la cui fine si legge: "Un antro lavorato con arte come un nascondiglio per uomini; nessuna cosa per sua natura era riuscita ad imitare l'arte dovuta all'ingegno. Infatti la natura aveva ricavato un arco . . . naturale.. . dalla viva pomice e dal cedevole tufo. ".

Sul potere dell'arte aggiungo ancora qualche parola: in que­sto passo ce n'è abbastanza per dedurre che si devono acquietare quelli che si affannano a dimostrare che l'arte di produrre l'oro a nulla approda se non a sforzi vani, tanto più che essi lottano senza un valido ragionamento; e come ragionamento da contrapporre, per affermare che l'oro può esser prodotto, basti dire che è valido l'aiuto della natura, con il concorso della diligenza, per superare la muta natura.

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Capitolo VIII. G ENERALMENTE L'ORO ART IFICIALE SI PUO' PRODURRE

IN CINQUE MODI. ANCHE IN QUESTO CASO COME IN MOLT ISSIMI ALT RI LO ZELO DELL'ARTE SUPERA

LA NATURA MESSA AL BANDO

L'arte di produr l'oro artificialmente vince la natura e la vince con l'aiuto della natura stessa dopo averla messa al bando per

mezzo dell'arte. Non solo nello splendore - come già affermai -ma anche nella celerità di preparazione, cosa che sarà manifesta durante la descrizione degli esperimenti. Supera anche in questo: che giunge allo scopo con molti metodi; infatti cinque sono in ge­nerale i metodi di produrre l'oro per mezzo dell'arte.

Il primo consiste nell'estrarre metallo da metallo (14), come quando dal rame si estrae l'argento, cosa che mi ricordo di aver vi-

(14) I metalli rappresentano uno stato mercuriale nelle operazioni del magistero. se ne contano essenzialmente sette e corrispondono inoltre ai pianeti :

Mercurio Mercurio Saturno Piombo Nero Giove Stagno Grigio Luna Argento Bianco Venere Rame Zafferano Marte Ferro Ruggine chiaro Sole Oro Rosso

Sui "pianeti"" o "centri sottili" ·è bene leggere attentamente il saggio di "Leo" che si trova nel II voi.. pagg. 187-197, della " Introduzione alla Magia" del Gruppo di UR, Ed. Mediterranee. Roma, 1971. Inoltre sarebbe bene vedere l'Ovum Philosophorum, contenuto nel libro di John Dee, "La Monade geroglifica '", che presenteremo prossimamente. Confron­tare inoltre i metalli con i Cakras, (letteralmente: ruote o dischi) che designano i centri della corporeità occulta nello Yoga.

Vedere gli "yòga sutra 's" di Patanjali e, per un ulteriore approfondimento, l'ope­ra sul tantrismo "Lo yoga della Potenza", di J. Evo/a, ed. Mediterranee, Roma, a

pag. 187.

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sto. Infatti si trovano nascosti assai spesso i metalli l'uno dentro l' altro, soprattutto l'argento nell'oro. Al contrario puo avvenire che si trovi l'oro nascosto nell'argento, talvolta vie, 1 e coperta dal piom­bo e dal rame una certa quantità del metallo più prezioso Il secondo metodo sta nel preparare l'oro mediante una com­posizione di sostanze metalliche, alle quali dal volgo viene attri­buito il nome di minerali, secondo l'usanza della lingua barbarica. Infatti in quelle sostanze metalliche si trovano gli elementi origina­ri dell'oro, principalmente nell'argento vivo e nello zolfo che non è stato sottoposto al fuoco, cosà che io non nego di aver visto. Un terzo metodo è quello di estrarre l'oro dai seme dell'oro, e per seme io intendo la forza prolifica: è questa infatti nascosta in qualunque cosa creata ed ha la virtù di propagarsi. Una quarta maniera è quella di preparare l'oro in modo da renderlo più puro, 'però ciò non si può ottenere senza il seme dell' oro(l 5) e senza quegli altri principf che sono atti a generare (16) . Grandissimo in questa direzione fu lo sforzo dell'ingegno dei filo­sofi, notevole l'attività, ammirevole l'abilità, con cui scelgono le parti di sostanza per preparare l'oro e l'argento, le separano quin­di ottenendone molte di diversa natura nella proporzione rispon­dente agli elementi ed al cielo ( 17) , sia quando preparano la quin­tessenza, secondo l'uso dei peripatetici, sia quando ottengono una (15) Semenza, latu sensu, significa il solfo filosofale. Strictu sensu, indica il mercurio

o il magistero al bianco. �ement1; dell'oro, .che poi nella terra filosoficaa doe� le stagioni (Nero inverno; bianca primavera; gialla estate e rosso autunno) à ongine al suo proprio frutto, non � altro che il principio solare che si riflette nella natura lunare o ente storico, che a sua volta alimenta la vita sulla terra, o corpo fisico. Agiungiamo che seminare wol dire cuocere, continuare il regime del fuoco.

(16) I due principi di cui il Nostro parla sono: il mascolino solfo e la femmina acqua mercuriale.

(17) "Cielo" � usato qui in senso filosofico. Vedere nota (14).

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grandissima fiamma, come fanno i platonici ; uniscono allora i semi dell'oro e dell'argento vivo a quel modo in cui in cielo sono con­giunte le sostanze sublunari, come gli elementi (si uniscono) per cause universali, o come per cause particolari si propagano per mezzo dei semi : così essi si servono di quelle forze naturali e dei semi dei metalli ( 18) e delle sostanze metalliche, dan_do luogo ad u­na abbondante prolificazione di oro e di argento. "Questo quarto metodo viene chiamato generale e produttore di grandi effetti, mentre gli altri tre, prima indicati, sono detti metodi particola­ri "( 19).

Il quinto metodo consiste nel disgregare, prima, la forma me­no nobile del metallo e di ricomporla, poi, in materia metallica dalla forma più adatta.

Riepilogando : col primo metodo si ottiene un gran guadagno; col secondo, il guadagno è minimo; mediocre, col terzo; col quinto è molto grande; ma con il quarto si ottiene il massimo.

Nè c'è da meravigliarsi su quanto ho detto prima, e cioè che l'arte, con l'intervento della natura, supera la natura stessa, tanto più che nel preparare l'oro si ottengono anche altre sostanze, di conseguenza vediamo che veramente l'arte sopravanza la natura con il di lei aiuto: così, nell'acqua, nell'olio, nel sale prodotti arti­ficialmente (20), si trovano meravigliosi poteri per grazia di Dio -ciò è noto -, poteri che spesso non sono superati nell'acqua, nell'

(18) Mercurio.

(19) Vedere nota (8).

(20) L'acqua è il mercurio, o principio umido femminile; l'olio è la materia durante la putrefazione filosofica; il sale "prodotto artificialmente" è la materia sostanzia­le dei corpi e, nello stesso tempo, la risultante delle corporizzazioni nei "coagula" : è la radice e la prima materia dei metalli filosofali. Rimandiamo alla nota (6) cd al­lo studio di Blaisc de Vigenerc, il "Traicté d11 Feu et du Sei", Parigi, 1618. Il simbolo del sale è O , che rappresenta anche il "coagula", e ci richiama al fallo.

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olio e nel sale che la natura produce. Pertanto "si sbagliano di gros­so quelli che credono l'arte non possa aspirare alle mete raggiunte dalla natura", e ciò proprio perché l'oro estrattivo è da ritenersi più puro e più perfetto - ciascuno lo crede fidando nel proprio in­gegno - se viene confrontato con quello prodotto artificialmente.

Con questo non è che si voglia affermare che le forze della natura siano sottoposte alle forze dell'arte spontaneamente, e a suo sfavore, ma che l'arte, fidando nei doni della natura, possa -diciamo - paragonarsi alla natura nuda e inerte -come poco fa ho affermato - e dal confronto risulta talora che l 'arte sia superiore o, almeno, lo sembri. Niente meraviglia dunque, purché l'arte col privilegio della natura non sia fraudolenta - ciò che ho già detto -e se non lo è merita il nome di seconda natura : non mi riferisco alla natura inerte, ma a quella intelligente, attiva e produttiva. E ciò l'osserviamo nelle case, nei vestiti , in ogni comodità della vita, per cui ogni cosa sarebbe rozza ed imperfetta se non intervenisse l'arte dell'ingegno umano, cioè della parte migliore della natura. E se non fosse venuto in aiuto quel nobilissimo strumento degli esse­-ri umani, con l'attività del quale ogni cosa é stata fatta, gli uomi­ni ancora si nasconderebbero nelle caverne e nelle grotte monta­ne, e passarono molti secoli prima che abitassero in casette costrui­te di mattoni, nè trascorsero poche settimane prima che dalle ca­sette passassero ai palazzi ; così quelli che si coprivano di fronde di alberi o di rozze pelli di animali non senza l'arte poterono vestirsi di lane lavorate o di panni ottenuti con la lana ; e cos ì pure quelli che si cibavano di erbe crude, di latte di animali selvatici, di carne sanguinolenta, poterono nutrirsi, con l'aiuto di quell 'arte, di cibi preparati in modo da giovare alla salute e da soddisfare giustamen­te il palato.

Dunque, se passi in rassegna tutte queste cose, ti accorgi che l'arte perfetta, cioè la sapiente natura dell'uomo, supera di gran lunga la natura inerte che ad essa è sottomessa. A tutto ciò si può aggiungere che non c'è da meravigliarsi che l'arte, con l'aiuto della natura, alcune cose le compie in cento anni, altre in pochi giorni

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ed altre infine in poche ore : così la medicina, la pittura, l'arte mi­litare sono state accresciute e confermate ; così la filosofia ha ac­quistato forza, e asservita per lunghissimo tempo alla teologia, pri­ma fidando nell'ingegno dell 'uomo alla contemplazione della natu­ra, poi confermata dall'esperienza si diede ad indagare le forze e i poteri delle sostanze sublunari, delle erbe, delle piante, delle rocce, degli esseri animati, la conoscenza delle quali cose suscitò la mera­viglia del genere umano e lo spinse a considerare i segreti della divi­na provvidenza. Molte cose, con l'avanzar dei secoli, sono state sperimentate per mezzo dell'arte, cose che prima non erano mai state viste e che a stento poterono esser credute. Gli antichi un tempo si meravigliavano di una forza produttiva esistente in non poche sorgenti, poiché osservando il flusso continuo dei rivoli d'ac­qua, dopo lungo tempo, si accorsero che l'irrigazione ininterrotta comunicava alle erbe ed alle piante la stessa natura delle rocce di provenienza. Me ne son meravigliato anch'io, non solo per averlo letto, ma anche per averlo visto una volta, ai confin� di Italia, at­traversando la Valtellina dalle rive del Lago Lario alle Alpi Reti­che : ma la meraviglia diminuì quando vidi non solo delle selci al­lineate a schiere, ma anche fronde di olmi mutate in tufo calcareo dalla irrigazione durata anni ed anni, e mi colpì lo sguardo il fatto che in quella sostanza tufacea si erano anche mutati il ferro, l'ar­gento e l 'oro mescolari alle acque. Aggiungansi le meravigliose, pe­culiari doti delle acque stesse, composte pochi secoli fa, di cui una divora il ferro, un'altra il rame, un'altra ancora l 'oro, ed un'altra, infine, comuma l'argento ; per non parlare di quella diffusa e notis­sima che separa l 'argento dall'oro, là dove la natura ne è stata pro­diga, cose di cui parla il Poeta nel quindicesimo libro del XXI volu­me di "Storia Naturale", ed aggiungerò che non c'è nulla da mera­vigl iarsi, se non per il modo paradossale con cui prende il lettore per un imbecille ; infatti egli racconto : "ho visto un'acqua che si può bere - come credo (lo dice lui stesso) - senza alcun danno", in cui è stato versato soltanto dell'argento vivo che, venuto a galla, lascia nell'acqua una forza che non si trova neanche nelle più forti

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acque corrosive. Ma oltre che sul sale, che l'acqua sia di fiume sia di pozzo riesce a sciogliere, l 'acqua stessa non ha potere solvente, cosa che del resto i "Chemisti" hanno profondamente investigato con l 'aiuto dell'arte. E chi praticò quell'arte la portò ad alte vette con l'attenta osservazione e tenne come tin principio teologico il fa,tto che, essendo la natura inerte, o assente, oppure come alluci­nata che vede attravverso una grata, la si può riportare, con meravi­gliosa palingenesi, in breve tempo allo stato di natura perfetta, sen­za un miracolo nuovo della suprema potestà, ma se questa vi si ag­giunge, non v'è dubbio che ciò possa esser ottenuto anche dagli in­gegni più ostinati, e la ritiene in eterno chi vide tale palingenesi con i propri occhi, e cioè si è potuto vedere u_n corpo più grosso es­ser retto da uno più sottile, oppure, addirittura, da uno spirito più sottile, così come maggior forza può esservi in uno spirito sottilis­simo e tenuissimo anziché in un corpo di gran mole ; ed altri esem­pi del genere potrebbero essere portati.

Si metta, se lo si può, del sale di alluminio o di quel sale che trasuda dai mattoni cotti, diecimila volte superiore, su di una lami­na di argento, di poco peso, affinché si sciolga in acqua, (questo) non si 'Scioglierà assolutamente neanche se fosse coperto da tale quantità (d'acqua per diecimila anni. Si metta un'oncia appena di vapori sottili "che saranno emanati da quel preparato ed una quantità d'argento", pari a quella che era di forma solida, questo assumerà la natura di umore fluido, e ciò avverrà, non natural­mente, ma per effetto dell'arte che agisce sulla natura, non solo, ma con l'intervento non di un ingegno incostante, bensì di uno sal­do e fermo nel volere continuare : operazione questa che per la va­rietà di effetti non può esser condotta a termine da inesperti, ben­sì da esperti, come avvenne in passato a dotti scrittori, quali Sene­ca, Plinio, Vitruvio, allorché parlando dell'acqua dello Stige, dis­sero che questa, non per intervento dell'arte, ma della n_atura, ora corrodeva, ora congelava, ora assottigliava le cose : contrarie del tutto però sono queste qualità e non coerenti, che derivano dall'

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"olio" (21), (cioè dall'acqua precedentemente ottenuta) dal quale gli stessi metalli vengono intimamente penetrati, sgretolati, consu­mati, liquefatti ed internamente ed esternamente colorati.

Parlerò anche della preparazione del sale che supera quello e­stratto dal mare, dalle miniere, dalle arene, conosciuto fin dall 'an­tichità, con il quale preparato artificialmente si potrà - come ho detto - salare qualsiasi cosa : e questo si ottiene con quelle sostan­ze che in nessun modo sembrano potersi bruciare e da quelle così calde da contrastare il fuoco come soprattutto lo zolfo che io stes­so - non lo nego - talvolta appena estratto ho visto non venire at­taccato dalla fiamma e di uno splendore così fulgido e biancheg­giante che nulla vi si può paragonare, come quello che, raccontano i Greci, nella narrazione delle imprese di Alessandro Magno, veniva mandato di solito alle prime sacerdotesse dell'oracolo di Ammone : ne fu anche preparato pochi giorni fa per mio ordine - e tu lo sai, moglie mia - di un così bell'aspetto e di un tal soave gusto, est�at­to da una specie di erba che è stata raccolta principalmente dai miei pascoli nei possedimenti di Ferrara e dal territorio di Manto­va ; infatti allorché alcuni pastori, non miei dipendenti, mi portaro­no di quell'erba come tributo, della quale cibatosi il bestiame am­malato subito veniva guarito, pensai che la causa della salute fosse nel gusto di quell'erba e che ciò derivasse dal fatto che il Po, di so­lito costretto dagli argini a hon inondare i campi circonvicini, ci fornisce una quantità non disprezzabile di sale montano e marino più bello e più gradito al gusto, anche perché contiene sostanze metalliche - se la mia ipotesi non è errata -, più adatto e per così dire più penetrante, con un potere essiccante ed urente che, messo a disposizione dell'arte, in breve tempo, al primo impeto, disinte­gra qualsiasi forma di metallo, disgregata la quale, si può ottenere altro metallo con l 'opera dell'�rte e l'aiuto della natura. Benché qualcuno abbia detto che la natura, sebbene inerte, sia retta da un'

(21) Vedere nota (7).

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intelligenza che non commette errore, al contrario non potrebbe portare aiuto, nell'intraprendere qualche cosa, quando interviene, se non affiancata da una mente ben istruita nelle arti umane e rin­saldata dall'esercizio: allora s ì che si vedrebbero risultati maggiori di quelli che troviamo scritti quando. si dice che si producono, per mescolanza, con l 'arte dell'uomo in pochi giorni, metalli che la na­tura non produrrebbe se non dopo un corso di molti anni. Pertan­to Michele Psello, trattando in poche picc?le schede di quell 'arte, che egli aveva intrapresa sottoponendola ad un esame equilibrato della filosofia, si meraviglia che sia stata fornita da Strabone una forza naturale capace di trasmutare una certa acqua di fonte, non si meraviglia che siano state mutate dall'una all'altra diverse forme di metalli, con l'intervento dell'arte, e di esse ne enumera molte. Ed aggiunge - come egli pensa - che nessuno abbia costretto quella forza che aveva trovato se non a fini onesti e non in altri affari.

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Capitolo . IX.

NON E' NECESSA RIO CHE COLUI CHE E' ESPERTO NELL'A RTE DI PRODURRE ORO ABBIA A CQUISITO UNA COG NIZIONE PROFONDA ED A STRUSA DELLE

SOTTIG LIEZZE DELLA FILOSOFIA

N on devono essere ascoltati quelli che dicono che è necessa­rio, nel produrre l'oro, conoscere la proporzione degli ele­

menti e delle qualità che prime risultano da essi : infatti ci sono di quelli che così van cianciando, poiché nulla ci sarebbe noto di quello che la natur:a produce se prima ci fosse necessario aver ap­preso quali sono gli elementi primordiali : infatti a quel punto non afferrano i sensi nè penetra la ragione, se non attraverso un certo numero di incerte congetture, moltissimo ed in ogni parte va­cillanti.

Nemmeno necessita all'artefice esperto nella produzione del­l'oro uno stuàio profondo nell 'indagine delle cause astruse, gli ba­sta rivelarsi buon amministratore del proprio ingegno nell'osserva­re la natura nell 'atto di generare e di emanare una qualsiasi cosa, come le viene comandato dall 'alto dei cieli.- Così l'ostetrica non cerca di conoscere la natura, che del resto ignora, del feto, bensì dà aiuto alla donna che sta per dare alla luce un feto : così l'agricol­tore rimane in attesa per conoscere la qualità dell'orzo e del fru­mento, dopo che ha affidato i semi di quei cereali alla terra e li ha erpicati e concimati e non invano aspetta il premio alla sua fatica, e cioè tutto il frutto a guisa di numerosa, esuberante prole ; lo stes­so avviene quando egli (l'agricoltore) attende all 'innesto : non c<r nosce quale sia la natura dell'uno e dell 'altro albero che innesta, non quale forma prender-à nell'attecchire, non in qual modo il li­bro aderirà al libro, nè cerca di indagare curiosamente, ma con cu­nei adatti e con lo sguardo assiduo osserva le gemme nascenti da dove sbocceranno fiori e frutti. E che dire dell'uomo che soltanto

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da un seme deriva la sua prole? - come scrisse Aristotele -. Ma non sempre tuttavia da un solo seme, infatti fra cento, fra mille radunati insieme appena uno, quando non sia stato reso ineffica­ce, o più d'uno come anche si crede; tuttavia l 'uomo stesso ignora la natura del suo seme ed è ignota anche ai filosofi e persino ai me­dici che disputano accanitamente tra loro da lungo tempo se esso è derivato dall'alimentazione superflua o dal cervello, oppure da tutto il corpo o, infine, da altra origine. Si discute anche se sia e­messo dal solo maschio o se dalle femmine venga secreto alcunché di natura femminile. Pur essendo incerte queste cose e spesso igno­rate dall'uomo, non viene meno tuttavia la sua stirpe, e se il suo se­me sia prolifico lo apprende appropriatamente se la moglie non è sterile, ma devono concorrere in misura uguale sia l'uomo attivo sia la moglie passiva, perché necessariamente si produca l'effetto e venga concepito l 'infante, secondo l'ordine stesso della natura, che poi a suo tempo viene alla luce.

Non diversamente avviene "nell'arte di produrre l 'oro (22), di tutti quei mezzi veramente molto eccellenti che operano insieme", come si può constatare ; ma non sarà necessario che gli artefici co­noscano tutti i generi e !e specie delle sostanze metalliche che il volgo chiama minerali : a stento li conosce la natura stessa che li produce e che nelle caverne della terra ne nasconde i principi origi­nari, tanta è la loro diversità, tanto ampio e profondamente inson­dabile è il loro numero ; è sufficiente che (l'artefice) conosca a fon­do le qualità più note avendone fatto esperimento, basta conosce­re i principi dei mutamenti. Con ciò non si vuole negare che sono da ritenere artefici più sapienti quelli che hanno esplorato la natu­ra delle cause efficienti e che hanno appreso con sicurezza a dare la forma propria all'oro estratto dalla materia comune degli elementi,

(22) l i maschio è il principio fisso, solfo, mentre la femmina è il principio volatile o mercurio.

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oppure anche, allorché la stessa materia comune è occupata dalla forma meno nobile del metallo, che abbiano almeno appreso a fa­vorirlo ed a moderarlo nella fuoriuscita dalla sede in cui è costret­to. E ' anche opportuno che abbiano imparato con sicurezza a tro­var la via per estrarlo ed anche quella, ancor più nobile, per ricol­locarlo nella propria sede, cosa che hanno saputo fare solo quei primi pochi "che seppero esser nascosto nei metalli un principio femminile atto alla moltiplicazione" : la qual cosa, si sa, scrisse A­ristotele nel secondo libro sulla generazione degli animali, mentre indica la prolificita della femmina delle cose naturali, e ci riferisce di averla trovata non nel fuoco o in altro potere simile, bensì in quel calore che è nel grembo femminile e in ogni sost_;l�za spumeg­giante, che chiama "spirito" nel quale si trova una natura corri­spondente in proporzione a quella degli elementi stellari. Piacque ad Aristotele sqivere in greco : "C'è in tutte le cose, soprattutto nello sperma, un principio generatore per il quale appunto si crea­no i principi generatori femminili, e in quei semi c 'è un dòlce ca­lore ; ma ciò non deriva da un fuoco, bensì quasi da una forza insi­ta, che si sprigiona dentro il seme come un soffio spumeggiante, come il soffio nascosto nella natura, messo in moto dal movimento deg�i astri ". Frase che in latino venne tradott� in vari modi.

Per tutto quanto sopra gli artefici sapienti, con molto studio e diligenza, fecero in modo di entrare in possesso di questa natura, estrattala dai metalli. Molti dei peripatetici "la chiamarono quinta essenza" poiché la considerarono una causa generale, allo stesso modo in cui il cielo è considerato una causa generale. Si diedero anche da fare per ridurre in polvere la materia terrosa come cotta nella calce e di là fecero derivare diversi generi di sale e di olio di un certo potere e costrinsero la materia fluida a tramutarsi in ac­qua: dalla parte più pura ricavarono vapori sottilissimi emulando il potere dell'aria e del fuoco.

Ma per conoscere a fondo tutto ciò non è necessario - come dissi - conoscere tutti gli artifici, pertanto per mezzo di una poe­sia ci siamo accostati agli inizi degli enigmi e questa sarà per te sen-

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za emgrn1. "Chi i germi delle cose e le cause misteriosamente nascoste nel principio (della natura) tiene in pugno, colui sarà il supre­mo e l'ottimo fra gli artefici; ma non necessita che tutto egli sappia, e nemmeno a te, perché voli il primo nel più alto dei cieli, tratto ad alti voli dalle ali rigonfie, ma piuttosto., scen­dendo subito alle grandi viscere della madre, striscia per terra a guardare i talami, la prole ed i n ipoti dello zolfo, nella cali­gine cieca dell'argen to vivo. "Ti basta, credimi, tener salde le forz.e vicine ed otterranei u­no solo da due che ,erano alla n ascita. " Potrai così osservare quel che seguirà, da ciò. Ma per quanto

concerne a proposito della presente discussione, basta non ignora­re gli artifici di cui abbiamo parlato, basta tener segreta ogni cosa e non divulgare i pesi, che re�tino ignoti, nè la varietà dei vasi con cui si fanno i preparativi e dei quali il maestro ha esperienza, otte­nuta con l'aiuto della natura, avendo di tutto ciò trattato Alberto, quando fece menzione dei luoghi dove si generano i metalli; ben­ché ancor giovani, quelli che li trovarono in grande quantità ne prepararono dei vasi con l'aiuto della natura e con l'industria, nella città nella quale tentarono gli esperimenti, trovarono il calore moderato o le fiamme violente ed il tempo adatto a sottoporvi il fuoco o a ritrarvelo: veri e propri "ricettacoli di vetro o di argilla ", preparati con lavoro appropriato, per i quali certamente viene a proposito il materiale novello, trovato nelle caverne della terra, dove si nascose fin dai tempi antichi.

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Capitolo X.

NEL NOST RO SECOLO PUO' PRODURSI L'ORO PIU' FA CILMENTE CHE NEI SECOLI PRECEDENT I :

CIO' CONT RO IL PA RERE DEI DENIG RA T ORI DELL'A RTE; CONT RO IL PA RERE DI NON POCHI EG REG I SCRITTORI CHE NEG ANO, ERRONEA MENTE, POTERSI PREPA RARE

DA L CINABRO, DA LL'A RG ENT O VIVO E DA MOLTE A LT RE SOSTANZE

P er questi motivi dunque al tempo nostro può esser prepara­to l 'oro più facilmente che ai tempi antichi: infatti quelli

compivano l'operazione più semplicemente, anche a causa delle sostanze di cui si servivano e delle quali ora pochi si servono, ser­vendosi la maggior parte di moltissime altre; anche perché,gli anti­chi usavano certe sostanze metalliche delle quali i nostri · artefici non conoscono neppur il nome, ciò infatti anche a causa della pa­rola "ocra", poiché molti credono di averla ed invece si sbagliano di gran lunga. Ma io non dubito di aver trovato al.meno tre sostan­ze alle quali possa competere quel nome: la Pirite, per chi la cono­sce, che è anche chiamata - come alcuni credono - più comune­mente "Marcassi te" ; la sandracca credo non sia conosciuta, ed è quella che mi è st:l'ta portata da Venezia e che vien chiamata "zol­fo rosso"; il Cinabro - come tu dici - che non si ritiene sia com­posta di Argento vivo e di Zolfo, come afferma Bucasi l'Arabo, che però differisce dal vero cinabro quanto il leone dalla scimmia : vi è infatti qualche somiglianza nel colore, ma nessuna nella sostanza, e ciò a suo tempo verrà dimostrato.

Qualcuno aggiungerà la "crisocolla" decantata dagli antichi artefici e dai maestri nell'arte di produr l'oro, ma intendo parlare di quella "crisocolla" che si trova allo stato naturale e non di quel­la che Plinio insegnò a produrre (anzi sarebbe meglio dire "accen­nò" a produrre), e neanche di quella che indicò Galeno. Chiunque

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ne può produrre ; nondimeno io ne ho portata molta da pesi lon­tani e ne è stata trovata anche in Italia.

Molte sostanze metalliche, di cui non si servirono gli antichi, vennero fuori dalle caverne della terra ; e ritengo che anche oggi se ne servano pochi, e ciò fu riferito da testimoni attendibili, per comporre mescolanze di varie sostanze metalliche che hanno colo­ri e sapori diversi, ed ottengono da esse effetti vari indicando gli accidenti in luogo della sostanza, poiché in realtà con esse ne pro­ducono una quantità maggiore che vendono a minor prezzo e ciò affermo non solo perché anticamente un decreto dei Romani vieta­va l'accesso alle miniere italiche.

Appunto perché da più pani si importano sostanze e più fre­quentemente vengono usate per ottenere il massimo rendimento, nascono più metalli e ne vengono composti - come dissi - più di prima, che l 'antichità non conosceva, come ad esempio l 'ottone che, come dicono quelli che lo producono, è fatto con poca fatica: ed in nessun posto si fa menzione di esso nè si dice che con l 'attri­to appare di color verde-azzurro, mentre l 'ottone è di color cenere chiara, e la superficie è verde, con riflessi di zaffiro, e cangiante, di colori e potere diversi dallo zolfo che veniva chiamato "apiro", e cioè che non è stato provato dal fuoco.

Ma al di là di questa conoscenza, forse, gli antichi non pro­gredirono. Si può vedere lo stesso "apiro" del colore fulgido come l'elettro, oppure bianco, cinereo, verde, biondo, nero e rosso a tal punto da gareggiare con il color fiamma della sinopia.

Trascuro altre cose, per le quali non esistono vocaboli nè greci nè latini, e che ritengo di minima importanza in questa trattazione. Presso Aristotele, non sconsideratamente nè seriamen­te, si può trovare citati l 'uno dopo l'altro i termini "sandracca", "ocra", "minio", "incenso" e, poco dopo, "cinabro" che si estrae da una certa pietra, non quel cinabro che si compone dall'argento vivo e che fu ottenuto dallo zolfo da parte dell 'inventore Bucasi l'Arabo ; e nemmeno quella che si racconta che cresca dopo una

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lotta tra elefanti e draghi in India (2 3 ), ma di quella che viene estratta dalle cave�e della terra, quindi importata dall'Africa, ed' ai miei tempi, che io sappia, fu vista in Italia due volte; si crede che sia stata vista anche al tempo di Augusto, e ce lo lasciarono scritto Dioscoride e Vitruvio, l'uno trattando di medicina che veni­va usata quale medicamento, l'altro disse che veniva adoperata per dipingere gli oggetti di metallo. Vi sono di quelli che affermano an­che trovarsi nelle miniere di metallo mista ad esso - così Teofra­sto - sotto il nome di "crisocolla", "verderame", "ocra", "mi­nio", "sandracca", e che la crisocolla ed il verderame sono ghiaio­si, l'ocra ed il minio terrosi, ma la sandracca e "l'arrenito" (con questo nome egli cita quello che gli altri chiamano "arsenico") so­no in polvere, e che complessivamente non differiscono fra essi. Non bisogna dimenticare che non si trova da queste parti come raccontano certi scrittori poco degni. di fede, tra cui alcuni dal no­me celebre, che descrissero, .tra ·le altre cose, l'ocra.

In primo luogo Teofrasto ci insegna che l'ocra non differisce per nulla dall'�,rsenico, ma Plinio - diversamente trattando di altre cose diffusissimamente, cita la crisocolla, lo zolfo ed il cinabro ed affermò anche che lo stesso minio, ché i Greci chiamano "milton", si chiama invece cinaqro, ma che questo nome viene spesso rifiu­tato, ma certamente ora si trova "milton" ora "cinabro" presso A­ristotele, Teofrasto e Galeno il quale ultimo cita il milton di Lem­no, cioè quella terra che contrasta i veleni, di cui ventimila picco­le zolle dice di aver ricevuto segnate dal Sacerdote, allorché appro­dò all'isola di Lemno; ma a parte ciò, certamente sono considerati diversi il cinabro e il milton, presso molti scrittori di scienze natu­rali, dei quali alcuni lo c.hiamano "cinnabar" ed altri "cinnabax" ; e di esso ne indica due specie Teofrasto: una estratta allo stato na­turale in Spagna ed in Colchide, un'altra preparata artificialmente,

(23) Vedere più sotto dove il simbolo viene chiarito.

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non dall 'argento vivo e dallo zolfo, ma da una sabbia rossiccia, che novanta anni prima aveva scoperta l'Ateniese Calli a, men tre spera-va da essa di estrarre dell'oro. In ciò si troverà in errore non una sola volta, ma più volte, Plinio infatti insegna - seguendo l 'auto­rità di Teofrasto - che il minio, invece del cinabro, è stato prepa­rato da Callia, poiché Teofrasto fa assoluta distinzione tra l'uno e l'altro, tanto è vero che ora parla di minio, ora di cinabro. Inoltre (Plinio) scrive che il cinabro è granuloso, Teofrasto, invece, sotto forma di pietra, o, meglio, come scrive nella sua lingua, "simile alla pietra", cosa che prima Aristotele aveva detto in queste paro­le: "nato dalla stessa pietra può dirsi in tutto simile al cinabro". I­noltre il minio, che Dioscoride chiama "amenio", Plinio ci insegna che nasce ad Efeso, ma di ciò nessun accenno è fatto nelle testi­monianze di Teofrasto: scrive infatti Teofrasto che ad Efeso il cinaQro è prodotto artificialmente o, meglio, per usare le sue paro­le, "con la lavorazione" ; per quanto riguarda invece la nascita spontanea del cinabro in Spagna ed in Colchide, riferisco la sua e­spressione "nato da c:e stesso". Dunque del cinabro artificiale indi­cò il luogo di produ. ne in Efeso, di quello naturale la Spagna e la Colchide : del minio vero, però, e non di quello che si produce dal piombo e che gareggia, nel colore, con il minio naturale, l'estra­zione avviene a grandissima profondità della terra e ne indica diver­si luoghi. In conclusione indica due generi di minio : uno estrattivo e l'altro artificiale, donde le sue parole "vi è dunque il miltoh che nasce da solo e quello tecnico". A ciò Teofrasto aggiunse che il ci­nabro è solido e per lo più sotto forma di pietra, - cosa che io stesso posso testimoniare e che posso porre in evidenza sotto gli occhi dei contestatori -. Insegna inoltre che il milton, . ovverossia il minio, è preferibile all'ocra, specie di terra naturale, in quel passo in cui Ermolao - ce ne meravigliamo - avesse consultato il Corollario di Dioscoride, avrebbe corretto gli errori di Plinio in quell'edizione riveduta che pubblicò in di lui difesa. Del resto, lo stesso Teofrasto cita due modi di ottenere il cinabro, mentre nessuna menzione fa del sangue dei draghi e degli elefanti, che

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Plinio cita sotto il nome di cinabro e che Dioscoride aveva scoper­to differente dal vero cinabro, che - come credo - Bucasi o qualcun altro dei più antichi cercò di imitare ma non vi riuscì, Qttenendone il colore parzialmente ed in modo imperfetto: infatti il cinabro artificiale rivela all'esterno il suo color rosso, mentre quello naturale irradia dall'interno uno splendore più acceso che maggiormente assomiglia al colore del sangue, ed è forse per questo che sorse l'opinione del cinabro originato dal sangue sparso nella lotta fra draghì ed elefanti, sia questa realtà o leggenda .

Aggiungasi che il cinabro naturale (24) quando si brucia alla fiamma diviene più lucente e più puro di quello artificiale che inve­ce si offusca e brucia senza più nulla restare. In quello naturale, poi, restano tracce nelle quali si vedon.o brillare g,ranellini di argen­to vivo, in quello artificiale quasi delle pagliuzze di idrargirio (25): infatti io non avrei fatto distinzione tra l'argento vivo e l'idrargirio, come usa Plinio, che considera questo artificiale e quello naturale, e contrariamente a Dioscoride lo chiar:ia con quel nome, ed affer­ma quello artificiale tratto dal mini, . : ; :.:ui la natura produce due qualità e pende dalle volte delle caverne ove si trova l'argento quando le gocce pendenti si solidificano, oppure si estrae dalle mi­niere che lo producono da solo.

Pertanto - come a me sembra - Plinio é incappato in un grosso errore, biasimato anche da altri, quando distingue due gene­ri, uno quando ritiene che quello defluisca da una pietra, che egli chiama "vomica", sempre liquido, veleno per tutte le cose, l'altro

(24) Drago è il mercurio, il volatile che combatte contro il fisso : l'elefante; deve diven· tare fisso a sua volta e, tramite lo schiacciamento da parte dell'elefante ormai ca· davere, questa fissazione awiene. Il sangue che sgorga dalle ferite del drago era il cinabro o mercurio sublimato, purificato e fissato al rosso. L'India rappresenta " il paese da cui nasce il Sole".

(25) Idrargirio, dal Greco Hydrargirios - mercurio, che, a sua volta deriva da Hydr -acqua e da Argyros - argento, da cui acqua argentea o argento liquido.

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quando crede derivi da altre sostanze, ma presso Dioscoride ed altri scrittori di chiara fama, idrargirio è la stessa cosa che argento vivo, invece per Plinio non lo è. I Greci lo chiamarono "acqua argentea", dal colore dell'acqua e dalla fluidìtà del liquido, i Latini, per lo stesso ·motivo, lo nominarono "argento vivo". Sembra invece che non sia abbastanza chiaro ciò a Plinio quando si serve del nome "idrargirio", per dire che è usato nell'indoratura dell'argento, infatti solo allora afferma che non differisce dal­l'argento vivo e che se ne servono soltanto i fabbr:i quanqo rendo­no dorati i vasi di puro argento. Del medesimo si servivano - e·chi lo può negare ? - quelli che menziona Vitruvio nel libro settimo: scrive questi, infatti, che gli artefici producono 'l'argento vivo dai frammenti di marmo che raccolgono allorché si sedimenta il fumo del fuoco, susdtato dal vapore ; e chi dubita che anche essi se ne servano? E non solo lo estraggono dal marmo, ma anche dal minio e da tutti i metalli.

Anche in questo gli antichi sono superati dai posteri, infatti ora da ogni genere di metallo si estrae con facilità l 'argento vivo, o l'idrargirio, comunque lo si voglia chiamare ; e non solo dai metalli, ma anche da moltissime sostanze metalliche, sì che per essi còsti­tuisce motivo di meraviglia il fatto che Galeno, tanto versato nelle lettere e tanto dedito agli esperimenti, abbia affermato che, se'con· do lui, l'idrargirio non nasce, ma si produce : infatti egli ne parla quando tratta del potere dei medicamenti semplici, e queste sono le sue parole "non è (l'idrargirio) un farmaco che si trova allo sta­to naturale, bensì bisogna prepararlo": quindi non è rra quei far­maci che nascono spontaneamente, bensì di quelli che vengono confezionati.

Passando ad altro argomento, nè presso Vincenzo, nè presso Alberto - che primi, dopo i Greci e gli Arabi, tra gli uomini dòtti fecero menzione di diversi modi di produrre l'oro e l'argento -, ci è dato di leggere una così numerosa quanto vasta congerie di so­stanze che servono ai produttori di quei metalli. Almeno otto, se ho ben contato, sono i generi derivati dalla natura dei metalli -

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come riferisce nei suoi scritti Alberto -:-- e tra questi generi, il sale, l'atramento, l 'allume, l'arsenico, nel quale sta chiuso il pigmento dell'oro e che perciò dovrebbe chiamarsi "auro pigmento" (26) ; così infatti chiama Vitruvio quello che i Greci indicano con il no­me di arsenico e che si fStrae nel Ponto. Dioscoride, uomo di quel secolo, dice che non è altrettanto buono e che è un po' più pallido del colore vero dell'oro, e che è di prima qualità quello che nasce nella Misia dell'Ellesponto : tanto vale chiamarli con lo stesso nome sia l'auropigmento sia l'arsenico come, dopo Yitruvio, fecero Celso e Plinio, e che è di color bianco lo affermarono i medici Arabi e Latini e lo stesso Alberto, ma non mancarono di quelli che dissero che è di un colore medio (tra l'argento e l'oro). Ci sono poi di quelli che interpretarono eh� quello di cui parla Alberto non è lo stesso, per cui rifiutano il senso, ma non rifiutano la di lui autorità. A queste sostanze aggiunge la Marcassite ed il nitro tuchio, benché queste non siano naturali, bensì artificiali. La marcassite in realtà fu nota agli antichi, ma ora non se ne trova - come già è stato det­to -tranne quella che Dioscoride e Galeno chiamarono pirite, e si racconta - per averlo appreso da Democrito - che ve ne è di quel­la color d'oro, d'argento, di rame, e persino di stagno e di piombo: la pirite che contiene rame sembra sia indicata tra i medicinali. Ci sono di quelli che scambiano il "tuchio" per il cadmio. In ultimo Alberto citò l'elettro, che, se è naturale, è da considerare un metal­lo, se viene prodotto artificialmente non dev'essere elencato fra quelle sostanze che si estraggono da profondissime caverne.

Ora, le sostanze, che i minatori portano alla luce, adatte alla preparazione dell'oro, sono tante che non si potrebbero esaminare in breve spazio di tempo. · Fatta eccezione per quel genere di arse­nico bianco, il cui nome fecero derivare dal cristallo e chiamarono anche "tutia", sebbene ancora alcuni Greci lo citino con tal nome,

( 26) Arsenico deriva dal Greco Arsenicon - orpimento giallo -, che sign ifica anche maschio, mascolino.

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e che anticamente si chiamava cadmio, esistono molte qualità di marcassite, delle quali per sfortuna non mi ricordo, ed anche molte qualità di ottone - come prima ho raccontato -, ignote agli anti­chi, ed anche molte varietà di zolfo. Aggiungi ancora molte quali­tà di talco e di antimonio - minerali mai citati dagli antichi -sebbene alcuni abbiano azzardato l'ipotesi che venissero indica­ti sotto il nome di "stibio" (27) ; .senza l'avallo - come credo -dell'autorità di qualche uomo illustre, e senza una valida ragione. Vi sono inoltre molte specie di allume che, senza l'appoggio di una voce autorevole nè di diretta esperienza, gli antichi tramandarono tra quelle usate per la preparazione dell'oro (28) .

Ora affido allo scritto l'esperienza che mi è toccata di com­piere pochi giorni fa. e cioè che è apparso ai miei occhi il cinabro ferruginoso, del quale presso gli antichi non v'è alcun cenno nè cre­do venisse usato; tuttavia questo non è stato trovato da me nè da me è stato cercato - lo confermo -; infatti chi è quello che trova senza aver cercato? ed in verità chi è quello che cerca nella natura ciò di cui non ha mai sentito parlare? Certamente l'ho trovato do­po molte congetture sul cinabro se in qualche modo può conside­rarsi una sostanza metallica; il suo peso è notevole, il colore all'in­terno è nero ed appena all'esterno cinereo e se si raschia rimane tale, . ma se si brucia evidenzia il color rosso; inoltre lo zolfo che c'è in esso in parte fuoriesce emettendo prima una fiamma azzur­rognola, poi vien fuori quella parte che vi è di argento vivo, rimane quella parte di zolfo che resiste alla fiamma, ma se si immerge nei liquidi vapori delle acque corrosive avviene il contrario: infatti quest'ultima parte di zolfo con grande impeto si scioglie nell'ac-

(27) Lo Stibium venne poi chiamato nel Medioevo antimonio. Vedere il " Regno di Sa­turno cambiato in secolo d'oro" di Hyginus a Banna, Arthos, Cannagnola 1 979, proposizione XXVIII nota n. 4.

(28) Nome che è stato talvolta dato al sale dei Filosofi.

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qua, tanto è lontana dal resistere al liquido igneo, ma resiste la parte dell'argento vivo, che per nulla consunta sedimenta candida sul fondo del vaso. Ho descritto una cosa meravigliosa che - come presumo - non conobbero gli antichi ché - già lo dissi - essi stes­si preparavano l'oro benché si servissero di poche sostanze. Inoltre per calcinazione - mi servo delle parole di Alberto -, per sublima­zione, per distillazione e con altri procedimenti, dei quali nessuno degli antichi produttori dell'oro si serviva o non ne dava spiegazier ne, ottengono molti risultati gli artefici del nostro tempo.

Inoltre da essi - secondo quell'autore (Alberto) - viene dato il nome di elisir (lo stesso nome è stato dato dagli scrittori arabi ed i latini, avendolo preso in prestito, lo usano per la medicina) prer prio perché da esso sono così profondamente penetrate le primiti­ve specie dei metalli che le corrompe a tal punto che, rimasta solo più la comune materia e non la propria, risulta una specie diversa di metallo per effetto dell'azione dell'arte.

Egli stesso (Alberto), parlando dei vasi degli artefici, dice che si può tingere del color dell'oro qualsivoglia metallo e - per riferi­re le sue stesse parole - anzi più bello, se si tratta di elisir puro, nel produrre il quale nessun errore ha commesso l'artefice : proprio per questo, coloro che affermano ostinatamente che esiste una forma soltanto nei metalli, possono guardare con maggior rispetto quest' arte, ma quella forma però non rimane del tutto indifesa da colui che vi vuole trovare più forme, non contento di quelle che Alberto ammise. Infatti egli rispose con ragionamenti opposti, ammetten­do che non le riteneva perfette, ma appena abbozzate nella mate­ria prima delle sostanze generabili e corruttibili.

Ora queste sostanze più sottili è il caso di esaminare più este­samente di quanto sin qui è stato fatto non solo perché si sappia che esistono più vie per dedicarsi a quell'arte, ma perché le possa­no percorrere più artefici di quanto non sia stato fatto in passato; anche perché siano invogliati quelli che hanno visto la loro fede nell'arte aurifera venir meno senza nessuna valida ragione e la ri­prendano a giusto titolo anche se l'hanno abbandonata da lungo

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tempo. Si potrebbero infatti da essi imparare tutte quelle cose cbe �o detto e che l'oro può esser prodotto non in un solo modo, ma in molti altri e più facilmente di quanto sia stato fatto nei secoli precedenti ; infatti molti si potrebbero impadronire di quelle co­gnizioni che erano già note e che via via con l 'uso hanno accresciu­to l'attività dell'arte, ianto più che ad essa si dedicarono tanti illu­stri ingegni che le giovarono con la loro operosità: perciò debbono giustamente smetterla con le loro importune calunnie i denigratori dell:f professione Chimica, solo perché essi non sono tra quelli che sono in possesso delle cause più sottili della natura nè capaci di rendersi conto delle ragioni che i filosofi con molta acutezza inda­garono, i quali (denigratori), nondimeno non possono non ammet­tere che ogni cosa ha, come modell.9, l'improqta della bontà divina che vi effonde le sue doti che, l'arte può corroborare in modo da generare altre cose simili all'originaria.

Nè si possond negare esperienze piuttosto simili: come una piccola quantità di fer;mento del grano fatta lievitare eleva in alto un'ingente massa di farina; come il magnete allontanandosi trasci­na con sè il ferro ; come la remora arresta navigli di gran mole ; co­me una piccola quantità di aere infetto può scatenare un'immane pestilenza nella quale muoiono migliaia di uomini; così esistono sostanze il cui stesso contatto . - come ho già detto - ha la virtù ed il potere di mutare e di ricondurre allo stato primiero altre cose, fenomeno a cui nessuno dei mortali �crederebbe se non lo avesse constatato prima mediante i suoi sensi; chi negherebbe che si pos­sono mutare i metalli, quando i sensi vi acconsentono e la ragione non si oppone? pensa qualcuno, che con il suo studio, con la sua fatica, l'uomo può . imparare perché una nave di gran mole sia trat­ç�nuta immobile da un minuscolo pe�ciolino? perché un gran muc­chio di farina sia fatta lievitare ·da una piccola quantità di fermen­to? perché da un minimo soffio di sostanza odorosa abbondante­mente profuma tutta la casa ed emanano fragranza le vesti?per­ché il ferro senza alcun meccanismo venga trascinato e sia tenuto sospeso in aria alla presenza del magnete ? perché un tenue ed invi-

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sibile vapore abbia il potere di infettare intere regioni con gli abi­tanti e di apportarvi pestilenze? Pur essendosi discusso molto a lungo delle qualità prime, intermedie, proprie, supreme, ime, igno­te, sulla detta conoscenza di queste qualità i filosofi son giunti alla seguente conclusione : "quante teste vi sono, altrettanti pareri differenti leggiamo". Nondimeno, se serve ad acquetare gli animi, proprio in questi giorni è stato fatto un esperimento sulla base del principio che esiste nelle cose di mutua attrazione o repulsione - i Greci la chiamano "simpatia" - di natura incomprensibile, esperi­mento che qui descrivo : "con una piccola quantità di succo di una o più erbe, l 'argento fluido diventa immobile e indurisce : invece l' idrargirio con la sola potenza del fuoco diventa poco consistente e si tramuta in oro e argento". Sia che questo si faccia con piccolis­simi grumi di sali di alluminio, sia con olio od acqua di diverso ge­nere, sia con altre sostanze ignote alla massa degli uomini, tuttavia l'arte, si è diffusa ed è andata accrescendosi la sua considerazione. Per mezzo di quell'arte non si trascura nulla ; nè gli elementi nè le sostanze composte, ed infatti si fanno composizioni o scomposi­zioni di elementi, si accoppia, si separa e si sowerte tutto ciò che si può trattare, per variare, per rinnovare, per portare a termine il compito che l'arte si è prefissa, usando tutto quel che si trova adat­to allo scopo sia nelle viscere, sia sulla superficie della terra.

Fu discussa fra i Teologi la questione: "il potere della creazio­ne, cioè di produrre qualche cosa dal nulla, è un potere esclusivo di Dio, oppure è stato anche da Lui comunicato alla cosa creata, per­ché possa creare a sua volta?" Sull'una e sull'altra opinione venne­ro espressi i seguenti pareri : "quando si tratta della creazione, non v'è alcun dubbio che nessun potere è maggiore di quello, per cui qualche cosa prima perde la forma e poi la riprende, che nè alla natura, nè all'arte è stato mai comunicato", infatti "ciò che si dice venga fatto dalla natura in cento anni, l'arte fa in mezz'ora e, spesso nella centesima parte di un'ora".

lo vidi, per avermelo mostrato un amico più di una volta, in meno della decima parte di un'ora venir disgregato un metallo, in

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maniera tale che lo zolfo andò in alto e l 'idrargirio rimase in basso: vidi anche la forma primitiva eliminata e subito venir imposta una nuova forma, e cioè quella dell'oro, ottenuta cori l'abilità dell'arte e non per effetto della sola natura, cioè quando la natura è stata destituita con l'intervento dell'arte ; gli antichi non riuscirono in ciò, come si può desumere dagli antichi testi, ma era necessaria una più lunga seduta ; i posteri invece imitarono e addirittura emularo­no la natura la quale, giorno dopo giorno, con la massima celerità tramuta in limpido sangue e quindi in carne il cibo, sia con la di­gestione, sia in altri modi, cos ì come vari sono i pareri tramandati fin dall'antichità sulla nutrizione. Così or ora io ho esposto un solo modo ed eccellente di trasmutare i metalli in oro: degli altri ho già trattato nelle precedenti argomentazioni, per cui non conviene af­fatto ripeterli.

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L I 8 R O lii.

Capitolo I.

I PRIMJ ESPERIMENTI DI PRODUZIONE D.l:!.1..L'ORO

PER MEZZO DELL'ARTE CHIMICA

Il el primo libro ho trattato della stima d i cui gode l 'o­ro, mostra.11110 cht' non se ne trova la causa. per cui c-; si possa effica\.'.ementt persuadere cht' tantn vak I ' on Ja servirsene come misura di Lutte le altre cosl

Nd s1:condo, esposte k vartt' opinioni di autori \-t.:1s,t r 1 m scienze diverse, le sottoposi al vaglio dei principi filosofici, appog­giandomi anche ai teologi ed ho concluso cht' "l 'oro può esser pro­dotto artificialmente."

Nel ten.o, che ho tra le mani. trattando degli esperimenti an­tichi e recenti, cercherò di dimostrare che l 'oro è stato già prodot­to in altri tempi e se ne produce ancon, adesso ; aggiungerò ancora alcuni avvenimenti salutari sul modo dì usarlo. in maniera che per effetto dell'abuso non perda nulla del suo valore.

E' un fatto assai ceno, e sempre costantemente confermar<, dal pubblico consenso, che l 'oro sia stato prodotto di quando in quando con l 'arte e l 'operosità degli uomini e per risalire ai più antichi, la tradizione considera il primo uomo (Adamo) ·- secondo Vincenzo il Belga -- maestro in quell'arte è ciò l 'ho detto ali ' mi·-

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zio - e attraverso i suoi discendenti, tramite Mosè, agli Apo­stoli Domenicani, fino ai suoi tempi (di Vincenzo). Si racconta anche da parte dei Greci - ed io l 'ho già detto - che gli Argonauti navigarono verso la Colchide non, come raccontano i poemi, per portar via dal re Eta in patria il vello aureo di Frisso rubato da Gia­sone, ma un libro composto di fogli in pelle di ariete, da cui si po­teva conoscere in qual modo per mezzo dell 'arte chimica si produ­cesse l 'oro. Perciò non ingiustamente 'dagli antichi il vello di Frisso venne chiamato "pelle d'oro" per la possibilità di produrre l 'oro attraverso la conoscenza di esso. Ciò si può facilmente apprendere dalle divulgazioni di libri poco diffusi, infatti presso Suida secondo le sue testimonianze, quell'elemento è largamente affidato alla po­sterità ; ciò pure in poche ed oscure parole nel secondo libro delle Argonautiche di Apollonio, dove in versi è detto che il vello di Frisso venne fatto diventare ·d'oro da Mercurio. In quel passo il narratore greco scrive che la pelle dell'ariete divenne d'oro al con­tatto della pelle di Mercurio, la qual cosa più espressamente po­trebbe risultare favorevole all'arte chimica; le parole tradotte infat­ti suonano così: "al contatto di Ermete la pelle dell 'ariete divenne d'oro". Veramente Carace, in modo assai egregio, lui che era famo­so non tanto nella storia quanto nella filosofia, ci tramandò che la pelle per la quale intrapresero la navigazione gli Argonauti non era da considerare quella di un ariete vivo, bensì un metodo per la confezione dell'oro, "la membrana" - come egli la chiama - "e­stratta", e cioè la membrana tratta fuori; la stessa cosa dice Eusta­zio nella Geografia di Dionisio Libico; e ciò perché presso i Greci era diventato proverbiale il vello d'oro, quando si voleva dire che qualcuno produceva cose preziose da cose di nessun valore. Anche sotto il velo delle favole gli scrittori antichi lasciarono scritta l'af­fermazione dogmatica che il metodo della confezione dell'oro era racchiuso in una membrana di ariete che veniva custodita nel pa­lazzo del re Eta, e ne vollero indicare anche il modo: il titolo era "Il Metodo", l 'autore "Dragone Mercurio", com'è noto assai a quelli che professano l 'arte chimica "l'argento vivo è indicato con

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il nome di mercurio, ma con lo stesso vocabolo si indica pure il dragone". Perciò si dice che l'oro sia stato prodotto dal contatto di Mercurio e si volle che un dragone assai vigile fosse posto a guardia della pelle aurea.

Si legge anche, nei versi di Orfeo sul ratto del vello d'oro, che ai piedi dell'albero dal quale pendeva il vello d'oro c'era un prato in cui, essendoci dell'argento vivo, molte cose si crede venissero tramutate in quello, e ciò si vedeva apertamente. Non solo le pian­te e gli ortaggi, ma anche il "calcanto", cioè "l'atramento", non il "calacanto", ossia anche la "salacanta", per distinguere il vocabolo delle erbe da quello dei metalli. Così gli antichi, non in un passo soltanto, indicarono con il nome di vello d'oro, non la pelle favolo­sa, ma un libro in cui si insegna l'arte di produrre l'oro. E non si è lontani dal vero nell'affermare l'antichità dell'arte "crisopeia", cioè di produrre l'oro, tanto più che ci sono dei composti dalla for­mula scritta, noti sotto il nome di pelle d'oro, di agnello o ariete d'oro. Da ciò quell'affermazione del poeta Ovidio secondo cui è derivato il nome corrispondente di albero d'oro, poiché da quell' albero si ricavano dei frutti che danno risultati come i composti descritti, che ci si attende, e qua e là si può osservare che si stacca­no delle pellicine quasi invisibili d 'oro.

Non mancano di quelli che raccontarono che le ricchezze di Tantalo furono prodotte con le composizioni chimiche descritte nelle pelli dell'agnello:perciò si estese in lungo ed in largo il regno del figlio di Pelope e dei Pelopidi, sì che non sembrò assurdo che Tieste chiedesse l'agnello, secondo nato, di Pelope, e cioè la com­posizione per produrre l'oro tracciata sulla pelle di agnello che se­gretamente aveva avuto il primogenito Atreo e che Tieste aveva e­storto alla moglie del fratello che egli aveva stuprata, fatto da cui erano esplosi gli odi di quella sanguinosissima antica tragedia.

Si ricordarono di ciò, sebbene apparisse sotto un velo oscuro, gli antichissimi poeti ed anche Cicerone, Seneca e Papirio. Più su anche da me è stato raccontato - appoggiandomi all'autorità di r:allistene - che le ricchezze dei Pelopidi non consistevano in pelli

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di pecore o in rendite, bensì in metalli , altrimenti per la loro remota vecchiezza sarebbero andate in malora.

Non starò a dilungarmi sul fatto che quell'arte dai Greci e dai Frigi fu tramandata alle altre popolazioni e che fu soprattutto coltivata dagli Egiziani assai dediti allo studio della scienza, presso i quali "al tempo di Diocleziano, l'arte di produrre l'oro era diffusa tanto quanto quella di coltivare i campi" e si racconta che lo fosse ancora al tempo di Costantino, sviluppatasi sotto la sua protezio­ne; inoltre a quel tempo Michele Psello scrisse in lingua greca un e­legante libretto sul modo di produrre l'oro.

Qualcuno forse a questo punto dirà: perché non esiste più quell 'arte che un tempo si dice fosse così diffusa? Dirò io - met­tendo da parte moltissimi argomenti per rispondere - perché non esiste più l'arte di tingere le vesti di porpora diffusa una volta, non solo a Tiro, ma anche a Sidone ed esaltata su tutta la faccia della terra? In nessun posto oggi esiste più quell'arte, nè si conosce quel­l'ostrica dal cui sangue era ricavato il colore dagli artefici: la mate­ria per preparar l'oro è ancora a portata di mano e l'abilità esiste in più luoghi anche se in Egitto è scomparsa da lungo tempo: del resto neanche nel Lazio mancava prima la via per produrre dell'o­ro, come resta testimonianza di Plinio nel trentatreesimo libro del­la "Storia Naturale", il quale insegnò una maniera di produrre l'o­ro, e cioè dall' "auropigmento", che veniva in Siria dai pittori e­stratto quasi alla superficie della terra ed è del color dell'oro. Caio - egli racconta - ordinò di cuocerne una grande quantità e ne pro­dusse, senza difficoltà, dell'oro eccellente ; ma ne estrasse una così piccola quantità di rimetterci addirittura. Plinio ci fece sapere che solo dall'auropigmento poteva esser prodotto l'oro artificiale, e di ciò forse potè essere testimonio oculare: era vissuto infatti al tem­po dei primi imperatori e non solo al tempo di Caio, ma giunse an­che al tempo di Claudio, che regnò dopo di Caio, ed anche fino al tempo di Vespasiano. Militò sotto l'imperatore Germanico e ne tramandò le imprese; egli stesso dice di aver visto il figlio di lui, Claudio, - che dal fratello Germanico venne sostituito nel princi-

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pato al nipote Caio, - e seduta vicino a lui Messalina, durante i pubblici spettacoli, e che scrisse, al tempo di Nerone, - e ce lo conferma Plinio il Giovane - la "Storia Naturale" che dedicò a Ve­spasiano.

Come dicevo - Caio riportò danno (nella produzione dell '� ro ), forse perché ne ricavò una quantità minore di quella che sa­rebbe stata necessaria per compensare la maggiore spesa sostenu­ta per trasportare, via mare, a Roma, l'auropigmento; forse ne a­vrebbe tratto guadagno se fosse riuscito a trasportarne quanto se ,ne può trovare in Carmania - come scrisse Onesicrito - o se fosse riuscito a scaldare di quello della regione scitica occupata dagli E­giziani, alla quale ( regione) fece tanta paura Diocleziano, di cui ho già parlato. Si trovano testimqnianze scritte dei Greci, secondo cui Diocleziano inflisse cru deli ed inumani supplizi agli Egiziani per timore che essi , grazie alla loro arte di produrre l'oro, nella quale e­rano molto esperti, osassero ribellarsi dopo aver ristorato le loro ricchezze: perciò ordinò di trovare e di bruciare tutti i libri che trattassero dell'arte chimica. Ciò si pu ò trovare confermato presso Suida nel 'decimo libro delle sue " Raccolte".

Dopo Diocleziano fu tanta la frenesia di produrre l'oro, non dall'auropigmento, ma dalla sabbia aurifera, che ciò veniva fatto pubblicamente da tutti quelli che conoscevano quell'arte; e poiché furono venduti all'imperatore dei sassolini dorati, per questo moti­vo furono pubblicate nel codice giustinianeo le due prime leggi che vanno sotto il titolo " I produttori di metallo". Questa sabbia fu dai Greci chiamata "crisamo", dagli Spagnoli e dai Latini "balux" e ciò appare frequentemente nelle leggi civili e negli scritti di Pli ­nio, per non parlare delle ridicole locuzioni di Accursio per indica­re queste voci : "balaca" e<' crisamo".

Un illustre uomo del nostro tempo, erudito in ogni scibile, ri­tiene che si debba leggere "crisamon" e non "crisamo" e che con questo nome si debba intendere il vaso nel quale si fonde l'oro. Ma il nome di quel vaso è "crisale" - la stessa cosa afferma Plauto -ed in tre modi diversi viene pronunziato; però, senza alcun dubbio,

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si deve leggere "crisamon'', quando sta ad indicare la sabbia auri­fera che tuttavia non veniva scavata, ma veniva raccolta sulle spiag­ge marine e da essa con mescolanze div erse si preparava l'oro.

Le due prime leggi trattano di questa (della sabbia aurifera), le altre riguardano le miniere, sia per la serie degli attributi sia per la diversità della gabella, ossia del canone, - come lo chiama la legge - come si può facilmente comprendere. Infatti i chimici do­vevano all'erario dell'imperatore pochi granellini d'oro, ed invece i minatori la decima parte.

Quel modo di produrre l'oro chimicamente, primo fra sette, ce lo tramandò Psello che insegnò anche a distinguere l'arena dei lidi e del fondo marino, che si dice aurea dal colore e da alcuni è chiamata arena aurifera, secondo le sue parole "vi è una sabbia lun­go le rive del mare, chiamata aurea per il color dell'oro, e perciò le è rimasto il nome di aurifera".

Anche Galeno, quando tratta del potere dei medicamenti semplici, venendo a parlare della terra, fa menzione della "crisiti­de" e della " argiritide", e subito dopo accenna alla sabbia aurifera, e per il suo aspetto ricorda che c'erano di quelli che pensavano di far guadagno dalla quantità e che in essa stessa c'era mescolata del­la "baluce" da distinguere dal "crisamon" ; ed anche secondo Pli­nio vi sono in quella sabbia mescolati dei piccoli frammenti di oro detti "baluchi". Sebbene il "crisamo" consti di minutissimi granel­li, pure essi non sono di oro, bensì del color dell'oro, da cui si può estrarre l'oro dopo lunga cottura e mescolanze varie. Altri non pochi metodi venivano enumerati dai "metallari" al tempo degli imperatori romani, ma Psello insegnò ad estrarre l'oro dalla sabbia in cinque o sei modi diversi, come ci lasciò scritto. Infatti egli ci la­sciò numerose attestazioni che ciò faceva spinto da una forza "o­nesta" che lo costringeva, e perciò le sue parole: "ero signoreggia­to da una forza che agiva in me come uno spirito tirannico".

Ad avvalorare ciò sta la testimonianza di Alberto con i suoi esperimenti, che aveva appreso dalla lettura e che si era dedicato alla produzione di oro artificiale affermando che era vera e legft-

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tima la divulgazione che quello (Psello) ne aveva fatto - che anzi era riuscito ad eguagliarlo - e ciascuno era da ritenere esperto nella propria arte. E ciò non tanto per averlo appreso dagli altri, ma perché ciascuno si era fatta da sè una .certa esperienza. Infatti, descrivendo l'argento vivo, disse che era della stessa sostanza ma­teriale di tutti i metalli, ma che aveva il potere dello zolfo corrosi­vo e che bruciandolo avrebbe generato l'oro e l'argento a guisa del­l'umore mestruale delle donne (29); si nasconde quando incomin­cia a mutar specie, e prirha si coagula in granuli, quindi comincia ad apparire e dopo si trasmuta.

Ciò Alberto vide non nelle spelonche, nascosti recessi della natura, infatti egli riferisce di non esser mai penetrato laggiù con la schiera dei minatori, ma a casa e sotto una guida soprannaturale, e non standosene in ozio a guardare le rovinose frane dei monti : nè egli fu così insensato e stordito da voler restare immerso a lun­go in un profondo baratro, senza speranza di luce e con poca del ritorno, per esser testimonio del connubio fra l'idrargirio e lo zol­fo, che forse si celebra ogni cento anni, e per conoscere in qual modo ciò • avviene nelle alcove sotterranee (30). Vi è anche la testimonianza del filosofo Arnaldo, nonché illustre medico, secondo un esperimento tramandato per iscritto, nelle testi­monianze legali, tra le appendici di Guglielmo, che ottenne il riconoscimento di essere un ricercatore, ...,.. lo scrisse infatti lo stesso Arnaldo - che ivi esprime alti e meravigliati elogi : le ver­ghette d'oro, che quello (Guglielmo) produsse, vennero mandate a

(29) Menstruum, da Cesare della Riviera, nel suo "Mondo magico degli Heroi", Arthos, Carmagnola 1 978, a pag. 21 viene considerato un acrostico : MENsura STRUctu­rae Verae Magiae. Accenniamo ad un'altra possibile interpretazione cabalistica: MENtem STRUO ossia costruisco la mente, termine che, a sua volta, nello stesso modo, viene derivato da Meus ENS, mio ente.

(30) Sarebbe bene prestare attenzione a questa frase.

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Roma per ogni controllo, infatti si legge nel titolo della "causa" che quello era stato incriminato di falso. Certamente, allora, non sarà stata tralasciata la prova dell'acqua (corrosiva), che separa l'oro dall'argento, per provare che si trattava di oro puro, efficace argomento in ogni caso, se a quel tempo veniva usato; ma certa­mente non sarà mancata la prova del fuoco, poiché se si sottopone alla fiamma sette volte, quello artificiale si dissolve, come ci narra Alberto, che fu molto più antico di Arnaldo. Senza tacere di Raimondo delle Baleari, illustre per le sue molte opere, e per venire agli uomini del nostro tempo porterò come testimonio Alberto di Colonia pure appartenente all'ordine dei Minori. Questi, infatti, avendo scritto un volume sulla quinta essenza delle specie sublunari, nel quale anche insegna in quanti modi si possa estrarre dalle singole cose, aggiunse che egli poteva mostrare, purché lo avesse voluto, con le sue teorie che avrebbe fatto pervenire al lettore, come in un batter d'occhio i metalli imperfetti si sarebbero mutati in argento ed in oro, e tutto ciò avrebbe rivelato in maniera intelligibile, quando era rinchiuso nel carcere vecchio, contestando altres ì che a nessuno mai degli uomini Evangelici - come egli dice - l'avrebbe manifestato ; con quel nome infatti egli chiamava gli uomini sottoposti all'ordine istituito da San Francesco, affinché per istigazione del demonio non si dedicassero alle operazioni di alchimia. Però nessuno dei filosofi nei suoi libri scoprì la verità perché egli l'aveva rivestita di parole incomprensibili, proprio per non dare la possibilità ad alcuno di raggiungere quell'arcano potere che è nell'arte chimica, se non attraverso una vita del tutto santa e dedita ad altissima contemplazione, in modo che la sua mente fosse congiunta a quella divina, cosa che affermava essere concessa solo a pochissimi.

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Capitolo II.

G LI ESPERIMENT I TENT A T I A L NOST RO TEMPO PER PRODURRE L'ORO, T RA CUI MOLT I INSIG NI

DERIVANTI DA LL'A RTE CHIMICA

E' cosa assai certa, non solo per averlo sentito dire, ma anche

per averlo visto molti dei viventi, fra cui io stesso, che al mio tempo è stata attuata la conversione dei metalli in modo artificiale, assai spesso dell'oro e dell 'argento, e non soltanto con un compo­sto, ma con più di essi. Non solo sono spinto a confermarlo per mezzo dei volumi da me non molto tempo fa letti e dedicati al Pontefice Leone Massimo, che sembrano indicare quell 'arte vera ; tanto è vero che lo confermano anche gli esperimenti, come fa un altro autore che scrisse un libro in versi che inizia così :

"Per produr l'oro, con le deboli forze nostre, l 'arte cercammo

"e dopo lunghe, pazienti, ricerche ora in pugno l 'abbiamo . . . . " Egli aveva poi concluso quell 'arte crisopeia dicendo di se stesso in versi :

" ..... . Così come novello Giasone "ho strappato il segreto del vello aureo alla fertile Colchide . . " Infatti, ai poeti è facile render vero ciò che è verosimile , tan-

to più che egli, secondo l'uso dei poeti, pensò bene a scrivere di se stesso in fondo al primo volume, quando fece menzione delle por­te di corno e di avorio. Anche molti degli storici, non sono in que­sto caso da ritenersi validi testimoni oculari, come egli a me sem­bra, poiché lasciò scritto nel suo volume di gran mole tre o quattro modi di fermare l'argento vivo per produrre l'oro, modi che ora qui appresso descriverò.

Riferirò il primo a me assai noto per averne prima sentito par­lare e poi per averlo visto.

Mor ì alcuni anni or sono Nicolò di Mirandola, sacerdote dell ·

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ordine dei minori, vecchio a noi noto e dalla vita integra, immune da ogni scelleratezza, molto amante dell'astinenza e della solitudi­ne, il quale da vivo e da morto fu ritenuto dai suoi compagni di grande santità e partecipe delle rivelazioni divine alcune delle qua­li tu, moglie mia, facilmente potresti ricordarti per �vermene ac­cennato per lettera, mentre io ero in Germania, come ad esempio la predizione della guerra che sotto il pontificato del Papa Giulio sarebbe stata dichiara a Venezia. Quest'uomo a Bologna produsse artificialmente dell 'argento, a Carpi dell'oro alla presenza di molte persone; ne produsse anche a Gerusalemme, dove per motivi ine­renti alla sua qualità di religioso dimorò per volontà del direttore del suo ordine, così come egli mi raccontò di persona, e vive anco­ra colui che controllò quell'oro. Me lo raccontò anche non molto tempo fa un certo Antonio di Mirandola, nipote per parte del fra­tello, il quale spontaneamente ed ingenuamente mi confessò che suo zio era esperto nell'arte di produrre l'oro, e mi mostrò anche un libro s·critto di proprio pugno dallo zio su diversi argomenti quali : in che modo aveva operato, la testimonianza del socio, due esperimenti per la produzione di oro ; il tutto diligentemente anno­tato però con l 'intercalare di termini oscuri per dissimulare le sue argomentazioni.

Inoltre, fra i mortali del nostro tempo, vi fu un certo Apolli­nare, sacerdote dal buon nome dell'ordine dei predicatori, il quale non esitò a confessare agli amici che egli con sicurezza cono­sceva venti modi almeno di produrre l'oro vero. Nè mancarono di quelli che, dello stesso ordine sacerdotale, dopo aver assolto gior­nalmente ai loro doveri di religiosi, si dedicavano a quelle attività per le quali maggiore era la loro inclinazione, e fra l'altro scopriro­no nuovi modi di trasmutare i metalli, convinti, non senza motivo, che ciò fosse utile per la vita di tutti i giorni, più di quanto non fosse, giorno per giorno, accanirsi in dispute letterarie e filosofi­che, e ritenevano che ciò fosse più consono alla filosofia ed alla medicina, che prima avevano professato. Avev:mo letto in Aristo­tele che una cosa è la generazione ed altra è la corruzione, ma che

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ciò non avveniva universalmente bensì particolarmente: avevano anche letto che gli elementi si mescolano e che le composizioni ri­sultanti sono mutate dagli elementi medesimi. Notavano che Dio nulla aveva fatto invano ed avevano appreso con sicurezza che l'uo­mo era stato designato principe della natura inferiore "con l'inge­gno del quale, per mezzo della natura, poteva esser fatto ciò che la natura mai avrebbe fatto spontaneamente" a condiz ione che essa fosse stata messa da parte dall'ingegno dell 'uomo; e se ciò era evi­dente nella potatura degli alberi, nella pittura, nella medicina, in o­gni comodità della vita, perché non doveva esser possibile a propo­sito dei metalli, anche se questi sono legati e commisti fra di loro in grande quantità, sì che spesso l'uno è nascosto nell'altro? Ave­vano capito che ciò era compito degli ingegni più svegli, quello di indagare la natura, e che non ci si deve accontentare di conoscere solo e in generale le cose della natura, nè si deve attendere che la natura ci dia notizia di sè spontaneamente, e che di là dove essa è nascosta subito ci appaia ai nostri sensi. Le trattazioni a carattere enciclopedico sooo vaghe ed incerte e quelli che si dedicano ad es­se sono soliti tenere per verità ciò che invece è frutto della loro immaginazione, mentre invece è chiaro, e dal pubblico consenso può esser confermato, che dall'arte chimica può derivare per la so­cietà umana "un grande ed eccellente guadagno, con cui, in modi molteplici, si può venire incontro ai b isogni dei mortali": ciò tanto più che sono stati scoperti moltissimi rimedi contro le ferite e le malattie, confezionati con diversi generi di olio, mediante l'arte che volgarmente è chiamata degli Alchimisti, ed al parere dei cul­tori di essa ricorrono quei medici ai quali viene richiesta una gran­de quantità di quell'olio salubre, non solo, ma anche moltissimi a­lessifarmaci che vengono prodotti per mescolanza di numerose so­stanze attraverso lunga cottura e che sanno preparare sia gli uomi­ni rozzi sia quelli eruditi. Essi producono infine l'oro, la cui abbon­danza arrecò talvolta sollievo all'estrema indigenza dei poveri.

Ma mi sembra di essermi troppo allontanato dall'argomento degli esperimenti, perciò vi ritorno.

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Dunque, a Roma, m un pubblico tempio s1 vedeva 'icritto un epitaffio con caratteri d 'oro estratto dal piombo. e non so se quel­la scritta sia stata rimossa a causa delle recenti rovine. Anche a Ve­nezia vi fu, pochi anni fa, un tale che con la testimonianza pubbli­ca di moltissimi nobili uommr "da una piccolissima quantità che non superava quella di un chicco di grano" produsse una grande quantità di oro dall'argento vivo.

Vi fu anche nel territorio di mia giurisdizione un tale che. alla presenza di tre testimoni, da una quantità di argento vivo uguale ad un granellino di frumento ottenne un'oncia di prege­volissimo argento, ed avendo io parlato con uno di quelli che aveva assistito all'esperimento udii dire da lui che aveva osservato con molta attenzione l 'operazione e che la "medicina" ottenuta dalla trasmutazione era di color cinerino.

Vengo ora all'esperimento che svelò il segreto ai miei occhi, e vive ancor oggi l 'uomo, mio conoscente ed amico, che più di ses­santa volte con le sue proprie mani alla mia presenza ottenne oro ed argento da sostanze metalliche ; nè egli segu ì solo una via, ben­sì molte. L'osservai anche mentre preparava l 'acqua metallica, nel­la quale non metteva nè le sostanze originarie dell 'argento, nè del­l'oro, nè dello zolfo e neppure dell 'idrargirio e tuttavia da essa mentre otteneva dell 'oro, ottenne inaspettatamente anche dell 'ar­gento, ma non in quantità tale che valesse la pena di ripetere l 'o­perazione, infatti ·era minore il guadagno della spesa.

Vidi anche - come ho raccontato all 'inizio della mia opera -assai spesso venir fuori dell'oro e dell 'argento dai loro granellini fusi e in quelli dell' argento vi era non poco oro ; vidi anche con la forza delle acque (corrosive) trarre fuori dal rame dell 'argento, sebbene in minima quantità. Ed è questa - come già dissi - una maniera di produrre l 'oro e l'argento, ma non è tra le migliori, poiché viene estratto da metalli meno perfetti e non da veri metalli dai quali si ricava maggior util ità : è ciò vero, perché m'è toccato di sperimentarlo più volte.

Vi è pure un'altra persona, che ritengo ancora viva, perché

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non mi risulta sia passata al regno dei più, la quale tutte le volte che vuole dai suoi piccoli forni ottiene dell'oro l.On poca spesa ed in pochi giorni, s ì che poi Io vende ai pubblici laboratori come oro purissimo, e spinto· a quell'arte non dal bisogno ma dal desiderio di conoscere la natura, sebbene fosse già fornito di molte ricchezze. ora , grazie a quell'arte, le sue ricchezze sono moltissime.

Vive anche al giorno d'oggi - se non è morto solo da quakhl: giorno -- un uomo cui non mancano beni sufficienti a condurre un tenore di vita di persona quasi d'alto rango, dalle cui mani vi.di tra­,;formarc il rame in argento ed in oro con un certo estratto non so se di erbe o di piante dopo averlo sottoposto a fuoco fortissimo.

Non rrascurerò di riferire ciò che mi narrò un povero, avendo­lo avuto rivelato durante il sonno ed avendolo poi esperimentato di sua mano. Mentre egli era in grande ansia perché non sapeva a chi rivolr;ersi per sfamarsi, infatti era assillato dal dover chiedere carità per i viveri, dai debiti e dal gran numero dei figli, si addor­mentò e vide in sogno un abitante celeste, di quelli iscritti nel cata­logo dei santi, il quale per mezzo di enigmi gli insegnò l 'arte di produrre l 'oro e quindi gli indicò una certa acqua di cui servirsi per fabbricar dell'oro: usandola infatti riusc ì a produrre dell'oro, ma in piccola quantità sufficiente a lui per i bisogni della famiglia on­de procurarsi da mangiare: e dal ferro ottenne l'oro due volte, dal­l'auropigmento tre o quattro volte, e per averlo sperimentato mi fece sapere chiaramente che " l'arte di produrre l'oro non è menzo­gnera, bens ì verace". per questa ragione avuti da lui rivelati bene­volmente quegli enigmi, li espressi in versi esametri, dei quali non pochi ho citato nell'introduzione e nella conclusione, là dove dissi negli stessi versi chi sia il vero ricco.

Vidi pure un'altra persona che trasmutò l'argento vivo, in due modi, in argento vero cui era misto dell'oro e che dal cinabro con l'a�iunta di alcune sostanze, escluso l'argento e l 'oro, ottenne del­l'oro con dell'argento ; vidi anche dal cinabro puro, mescolato a un certo olio semplicemente, ottenere (ma fu cosa di poco conto) del­l'oro e dell'argento ; vidi spesso l'idrargirio, che era estratto dal

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piombo e dal rame, trasformarsi in argento ed in oro. Infine, proprio pochi giorni fa, ho visto con gli occhi ed ho

toccato con mano dell'oro che era stato prodotto alla mia presenza dall'argento nello spazio di tre ore, senza che fosse stato prima mu­tato l'argento in argento vivo o in acqua, e cioè direttamente dalla materia prima del metallo; e questo dico perché si convincano, per mezzo di questa esperienza, coloro che disprezzano l'arte di tra­smutare i metalli e la catunniano, negando che ciò possa avvenire se prima non viene ridotto in materia comune quel metallo che si vuole trasmutare.

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Capitolo III.

AVVERTIMENTO PER QUELLI CHE IMPRUDENTEMENTE DISPREZZANO G LI ESPERT I NELLA PRODUZIONE

DELL'ORO, A I QUA LI PIU' CHE A G LI A LTRI A T TENT I OSSERVA TORI DELLA NA TURA , COMPETE

L'A PPELLA T IVO DI FILOSOFI

R itengo che questi esempi siano sufficientemente confortati dalla ragione e dall'autorità di molti, avendoli sperimentati

io ed altri, e che possano in parte soddisfarti, tanto più che io so trattarsi di cose certissime adatte a rimuovere le tenebre dell'intel­letto di molti ; e non ho potuto fare a meno di scrivere queste cose, non tanto per ammonire te quanto quelli che imprudentemente sputarono sentenze su ciò che non conoscevano. Pertanto crederò di aver fatto cosa utile con !a mia opera, se riuscirò a far s{ che co­storo, da me avvertiti, _impareranno a non discutere accanitamente su cose che ignorano e, infine, a non affermare che siano impossi­bili a farsi cose che da essi non possono esser fatte, ciò che è assai sconveniente e detestabile, e a non trattare come rei di crimine o come sospetti di demenza, mormorandolo qua e là, coloro che giu­stamente esercitano l'arte di produrre l'oro o che sono ritenuti de­gli esperti, "e che è cosa degna di commiserazione, non meno che di scherno, affermare che è opera di un demonio maligno ciò che invece è da attribuire a Dio, autore di ogni verità, agli spiriti beni· gni, alla natura, all'arte ed all'attività dell'uomo".

Chi però potrebbe mettere in dubbio, se tiriamo in ballo il potere e l 'astuzia del demonio, gli esperimenti di qulalcuno, non i­nesperto delle qualità sublimi, compiuti con l'arte chimica? Anche chi non ignora la letteratura potrebbe rintuzzare i denigratori di quell'arte facendo sorgere dubbi sul parto della madre da cui essi stessi sono nati; tanto più che un malvagio demonio mutato, non in forma di Anfitriorie, ma di marito o di qualsivoglia altro uomo

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potrebbe possedere la madre ingannata e darle la possibilità di con­cepire figli Nota è infatti la storia della concezione di Alessandro il Macedone, del re Seleuco e, dopo lungo tempo, di Merlino; mol­te interpretazioni anche ne es" stono presso i nostri teologi, i più antichi ed i neoterici, che ci lasciarono scritte storie di demoni in­cubi e succubi, e della loro malvagità e dei loro inganni, sì che per essi la salute acquistata per mezzo dell'arte medica fu calunniosa­mente attribuita ad opera di demoni, dato che il demonio poteva esservi implicato nel propinare invisibili rimedi alle malattie o alle ferite o altre innumerevoli sosta ze che gli altri hanno ricordato, ed io stesso n quei dia ogh dal ù lo ' La Strega", ossia "La burla dei demoni", per non parlare delle "ricette' di Ippocrate, princi­pe dei m dici, delle quali Apollo, falsa divmita dei gentili, fu dagli antichi ritenuto autore e divulgatore in gran quantità attraverso gh oracoli, poiché le aveva ottenute dai demoni. Quelle ricette aveva sottratto Ippocrate dal tempio di Esculapio, dopo che era stato in­cendiato, - come ho gia raccontato secondo una certa tradizione orale - ricette che ancora ai nostri giorni vengono usate poiche so­no state ritenute efficaci. Essendo Dio l'ottimo e massimo prima­rio autore della verità, i denigratori dell'arte di produrre oro, che sputano sentenze dopo scarse investigazioni, imparino ad esser rim­proverati dall'autorità di Aristotele che afferma: "Quei giurecon­sulti che giudicano senza aver consultato a fondo tutta la legisla­zione, sappiano di esser considerati e rimproverati come incivili". Sappiano di essere condannati anche dall'autorità di Anneo, il qua­le considerava con scherno l'imperatore Claudio che giudicava una controversia soltanto ascoltando una parte, e talvolta nè l'una nè l'a tra. Si abituino pertanto all'idea che possa esser prodotto l'oro, per mezzo dell'esperienza e senza la conoscenza delle raffinatezze letterarie; ma sappiano che non può essere un esperto professioni­sta dell'arte chimica, in tutto e per tutto, chi non abbia approfon­dito la scienza della natura e non abbia tentato di persona quegli esperimenti che molti, dopo un primo approccio, trascurano, op­pure dopo averli compiuti non cercano una conferma, mentre il

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vantaggio degli esperimenti sta nella loro ripetizione (31). Per filosofo io intendo colui che abbia letto o ascoltata la

lettura di alcuni libri di filosofia e che non sia del tutto ignorante dei mutamenti delle erbe, delle piante, dei metalli, delle pietre e dei loro poteri e delle loro mescolanze. Competera l 'appellativo di filosofo a colui il quale conosce i principi generali della natura, poi quelh delle parti sublunari, e che abbia approfondito la forza dei germi sotterranei . Da qui potrà apprendere con la sua intelligenza l'attrazione e la repulsione delle cose inferiori, e quindi la nascita e la morte; potrà così trovare motivo di ammirazione per la div·na maestà, la quale non solo ha concesso all'uomo di conoscere le co­se chiuse e nascoste nelle viscere della terra, ma anche di servirse­ne per la casa come dono ed aiuto della natura: pertanto di molti nomi si possono servire i mortali sia per i beni del corpo sia per quelli esterni.

E chi, affrontando questi argomenti, riuscirebbe a tenere a bada i garruli dissertatori su quanto corpo ha l'ombra del corpo, e quanta verità esiste nelle mutevoli operazioni desultorie (3 2) . Infatti, se alle parole precedono i fatti, se è meglio fare cose grandi anziché parlarne, allora veramente compete il nome di filo­sofo a quell'uomo, anzi di "filosofo eccellente" (33). E non è forse

( 3 1) La ripetizione è indispensabile al magistero, un po' un repetita iuvant, infatti sen­za ripetizioni non si concreta nulla della nostra ane. Ad es. : si parla io linguaggio alchemico di coobazioni, da coobare che, in latino medioevale,sigoifica ripetere. La coobazione è una ridistillazione usata per stabilizzare ed accrescere i risultati ottenuti.

(32) Con operazioni desultorie l'Autore intende, facendo un parallelo con il desultor, che era un cavallerizzo che nei circhi saltava da un cavallo all'altro, significare quelle operazioni di spostamento della coscienza da un pianeta all'altro o da un metallo all'altro, che è lo stesso.

(33) Un detto ermetico, in effetti, è questo: "post laborem scieotia".

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da considerare un equilibrato estimatore delle cose colui che di­mostra ogni cosa e la pone sotto gli occhi di chi, o fidando nei po­teri della propria immaginazione, o per le vie comuni della facoltà dialettica, o per concezioni metafisiche, credeva di saperne qualche cosa, non con certezza, ma sempre nel dubbio, occupato sempre in argomenti appresi per tradizione?

A quest'ultimo certamente sta bene l'appellativo di sofista, ma a quello gli antichi avrebbero attribuito il nome di sapiente, senza l'opposizione dei Peripatetici, i cui dogmi vengono inter­pretati a senso secondo il quale poi si affannano a fornirne le loro prove. Quel senso, invece, che gli esperti dell'arte chimica disprez­zano, lo sbandierano sotto gli occhi dell'avversario recalcitrante, e da esso si preparano la vittoria. In conclusione, non affrettatamen­te, nè senza ragione, si è propensi a dire che dai Greci erano consi­derati uomini sapienti quelli del primo stampo, e le loro dichiara­zioni lo confermano.

Presso gli Arabi gli strumenti di quell'arte, persino la melma, di cui son soliti servirsi i professionisti della chimica, sono stati do­nati a titolo di sapienza, tanto è vero che si conobbero artefici rozzi ed artefici esperti, che, come ho detto, furono istruiti da quelli che esercitavano le arti organiche e strumentali: lo attesta il fatto noto - e chi non lo sa? - che gli uomini ormai da molti secoli avevano stabilito di misurare con l 'oro tutte le cose esterne di cui ci serviamo, che i Peripatetici chiamano "beni", gli stoici "comodità", e poiché l 'oro è apprezzato più del proprio corpo, una non piccola parte dei mortali si espone ai rischi della morte pur di acquistare dell'oro, per non parlare di quegli empi, che dimentichi di se stessi, pospongono la propria anima all'oro, di cui certamente abusano i malvagi e di cui rettamente si servono gli onesti e di buoni costumi, come se per essi questo sia un dono rarissimo mandato dall'alto dei cieli, che ritengono la più grande delle grazie inviate da Dio, e poiché c iò per Sua Grazia può accade­re, conviene non invidiare nessuno dei mortali per quanto possa essere ricco, per guarito possa èssere potentissimo.

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Capitolo IV.

SE VERAMENTE COMPETE L'APPELLATIVO DI RICCO A QUALCUNO PER CAUSE ESTERNE, A BUON DIRITTO

COMPETE AGLI ESPERTI NELLA PRODUZIONE DELL'ORO PER MEZZO DELL'ARTE CHIMICA

e ertamente vi fu presso gli antichi qualcuno che fosse ricco, e perché lo si possa chiamar "ricco" è non piccola questione

mai trattata dai filosofi, dagli oratori o dai poeti, come colui che disse a Crasso : "e perché tu solo hai il diritto d'esser chiamato ric­co?". Anche in altri modi, che la filosofia non contempla, si può chiamar qualcuno ricco: ricco di terre, ricco per gli interessi del denaro messo da parte ; ricco di una bella e variopinta veste ; ricco di oro ; e chi crederebbe che non lo furono davvero?

Ma chi dicesse "veramente ricco colui che soprattutto è ben istruito nella religione di Cristo, che inoltre goda di buona salute del corpo e della mente, e che infine sia fornito del potere di pro­durre oro e argento" a nessuno sembrer�bbe da rimproverare.

Infatti chi manca del tutto di buoni principi dell'animo è assai povero, tanto è lontano dall'essere ricco, nè giustamente è de­gno di quell'appellativo chi" è travagliato dalle miserie del corpo, alla stessa maniera colui che è sempre bisognoso della salute tanto desiderata, così come chi non è al sicuro dai pericoli della guerra, chi sempre dipende dalla volontà dei principi, chi dedito alla mer­catura ambulante ha sempre paura dei ladrì o del mare in tempe­sta, e colui che attende ai lavori della campagna assai spesso teme le intemperie nocive ai frutti, e colui che si dà a guadagni disonesti o a cattive azioni per scopo di guadagno, proprio perché dagli uo­mini onesti sentono dirne male o perché sono presi dal rimorso di coscienza ; se in qualche modo tutti questi possono esser considera­ti tra i ricchi, per il fatto che le ricchezze procurate dagli avi posso­no essere strappate con molta facilità, nessuno ignora che spesso

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tutto può mutare, come del resto, spesso, i regni ed i principati : infatti quando Cartagine fu vinta fu visto mendicare un tozzo di pane. Ma a chi possiede quell 'arte, che è nell 'animo di un uomo sa­no, chi la potrà togliere finché quegli vivrà? Chi glielo vieterà, do­vunque si trovi, purché non gli manchi il fuoco? Certo non gli mancheranno i liquori e le polveri senza le quali non si potrà pre­parare l 'oro.

Certamente con molte migliaia di Germani i prìncipi della Pannonia e con un lavoro di molti mesi scavano profondissime caverne nei monti da cui trarranno l 'oro ; con un lavoro di tre anni, approntano una gran flotta i re di Spagna, quando dai porti betici e lusitani salpano per l'Atlantico verso l'India, solcanto i flutti alla ricerca di regioni ignote feraci di oro ; mentre chi è padrone di quell 'arte, lo prepara con minor dispendio e con maggior lucro, in pochi giorni a casa sua o in un bugigattolo, più spesso con l 'ausilio di servitori, con gli occhi agli enigmi sulla produzione dell'oro e dell'argento, che prima ho citato e che mi piacque esprimere nei versi seguenti :

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"Ricco non direi chi terre possiede nè chi vesti dipinte esibisce, o in sontuosi palazzi dimora o imperando su regni potente; non considero ricco chi affida una nave al di là di A tlante nell 'oceano sbattuta dai venti per tornarne con l 'oro degl'Indi. Vero ricco è colui che dal cielo molte riceve grazie dall 'Eterno che i suoi voti asseconda com 'è desiderio dei comuni mortali, quando la fede retta dall 'alto lume divino, gode anche nel corpo e nell 'anima sani, insuperabili doni. Quanto più si può dire se aggiungo

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gli agi, tanto ambiti da tutti disprezzati però da Crisippo. Ma gran parte del genere umano mentre accumula oro ed argento la ritengo davvero in miseria quando altrui la considera ricca, sol perché del possesso di un 'arca si gloria, eh 'è piena sia dell 'uno che dell 'altro metallo prezioso. Questo ricco, a suo modo, profonde la più parte di quelle ricchezze come mezzo di acquisto di regni, per riaverle più tardi accresciute poiché il prestito è fatto ad usura, nuova fonte così di guadagno. Quel tesoro però non è esente dagli assalti del fisco del re nè al situro da ladri rapaci, nè dall 'onde marine in tempesta nè dai tristi saccheggi di guerra. Ma per me sarà sempre il più ricco chi col fuoco degli alti camini per sè !:oro produce e l 'argento sufficienti per vitto di un secolo. La sua arte sia esente da inganni e da forze maligne e da frodi, sia modesta la spesa a produrli sia scarso il dispendio del tempo. Quel guadagno, in tal modo o ttenuto, nessun re, nessun ladro o nemico mai sottrar gli potrà, dalla mente ricavando il segreto, nè il mare incemente attrarre potrà fra i suoi gorghi che eròdon le spiagge. 107

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Di sè sicuro e del sapere suo egli tutto ciò che vorrà in oro biondo potrà mutare, perché quell 'arte appresa porterà sempre dentro se stesso. "

Come appare chiaramente, per quanto riguarda le ricchezze ottenute dall'esterno, chi le possiede può aver tutto, ma chi pos­siede l'arte di produrre l'oro vanterà di aver in petto quel famoso vaso di Pandora, di cui narra l'antica favola, e non avrà motivo di ostentare quel suo "corno di Amaltea".

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Capitolo V.

L'ORO PURCHE' NON SIA FALSO (INFATTI QUESTO SEMBRA NON LECITO VENDERLO) SE E' PRODOTTO IN MODO CHE SIA PURO E DI

CONDIZIONE NON PEGGIORE DI QUELLO USATO IN MEDICINA, SPESSO RISULTA MIGLIORE DI

QUELLO NATIVO O FOSSILE.

G iova anche molto ai mortali avendo potere medicinale, purché sia di aiuto agl i ammalati ed ai sani, anche se si tratta di quel­l'oro che, come è noto a tutti quelli che sono esperti di letteratu­ra, viene prodotto artificialmente, a condizione che sia oro vero; infatti anche d i questo ve ne sono d iverse qualità e specie di uso comune come quell'oro che, come tutti sanno, viene estratto con arte dalle caverne della terra o viene raccolto dalle sabbie dei fiu­mi, il quale oro a sua volta ha quelle qualità e quell'uso dell'oro medesimo che viene estratto dall e miniere mescolato ai metalli: infatti fu disapprovato il parere di quelli che volevano conciliare le diverse opinioni ammettendo che l 'una specie di oro poteva esser prodotta con l 'arte e che l 'altra no. Infatti mai una natura corporea manca delle sue qualità, ossia proprietà, o, meglio ancora, doti, e non possiamo conoscere l 'es­senza di alcuna se, abolite quelle doti, seguiamo la natura. Perciò Aristotele ritenne che, per conoscere quale fosse l'essenza, specie della natura, ci fossero di aiuto quelle stesse condizioni - le quali benché molte e varie egl i chiama con un solo vocabolo "coinciden­ti", cioè "accidenti" . Dunque, se l'oro prodotto con l 'arte possie­de la stessa essenza, possiederà le stesse qualità dell'oro naturale, e qu indi avrà il suo valore, per cui sarà lecito stimarlo e venderlo. Chiamammo accidenti tutto ciò che può esser conosciuto da­gli esperti, non qualcuna di quelle qualità o moltissime, perché se ne manca anche una soltanto all 'integrità, g iustamente può sor-

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gere il sospetto di falsità; benché quelli che_discutono di moralità sostengano che l'oro e l'argento non genuini - che sono chiamati col nome di "sofisticati" - lecitamente possono esser venduti a l lo stesso prezzo che è stato sostenuto per la loro confezione ; nondi­meno, poiché alcuni lo mostrano apertamente ed altri lo tengono chiuso in ripostigli segreti, ritengo che sia cosa molto pericoJosa: perciò io a tutti i costi non sarei del loro parere dal momento che i meno prudenti, e di questi ve n'è gran parte tra i mortali, potreb­bero restare apertamente delusi. Aggiungasi che in questo modo si potrebbero indicare, agli uomini fraudolenti, i sentieri per la confe­zione furtiva di monete d 'oro falso, o anche di argento non genui­no che viene detto "sofisticato". Infatti, benché siano diversi gli incarichi di chi produce e di chi conia i metalli e diverse vengano ritenute le rispettive arti, vi sono di quelli che preparano l'una e l'altra cosa: poiché la seconda segue la prima. Ciononostante, gli impostori ritengono di aver trovato una via più facile all 'inganno, giacche, avendo ormai il metallo falso, tentano con una lega sca­dente di deteriorare quello genuino: infatti non manca mai agli uo­mini malvagi l'occasione di operare cattive azioni.

Forse per questo motivo Alberto Magno, pur avendo lasciato ai posteri l'arte di mutar metalli come vera, la considerò come fos­se falsa, perché per mezzo di es�a moltissimi artefici non solo i­mitano i colori sia dell'oro sia deìl 'argento, magari ritenendo di a­ver dato un colore più fulvo all'oro e più pallido e bianco all'ar­gento di quanto ordinariamente siano quei metalli, e di ciò vanno fieri dicendosi artisti perfetti, ma anche ingannano apertamente i compratori.

Può esser constatato dagli uomini accorti se si tratti di oro vero, benché prodotto con l 'arte e non nativo, e si può dimostra­re che quello non genuino non è nè falso nè sofisticato ; infatti, me­scolato ai cibi alessifarmaci ed ai decotti di acque, non si compor­ta diversamente da quello che si dice estratto,.dai recessi tenebrosi della terra, ed è anche molto più utile a sapersi che questo viene contrassegnato con la nota dei prìncipi, e cioè R.P., cosa che mol-

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ti ignorano: ma io cercherò di spiegare il motivo di ciò. Conobbi infatti alcuni che avevano imparato a preparar l'oro,

tuttavia essi rifiutavano di insegnare qu,ell'arte ai parenti ed agli amici, perché non ne abusassero, temendo che l'oro non genuino superasse la natura o dell 'argento vivo o di qualsiasi altra cosa che sia ritenuta nociva quando ce ne cibiamo. Forse essi avevano sentito dire che quella frase: "Mescolò una quantità letale di ar­gento vivo, affinché il potere fosse raddoppiato e procurasse una rapida morte". Facilmente, avevano letto i libri di coloro che ave­vano affermato le proprietà dell'oro nativo, e cioè che principal­mente mette allegria, inoltre contrasta la lebbra, cose che non si trovano nell'oro artificiale; quelle qualità non ammise Timone nel suo trattato sulla meteorologia, mentre invece ammise erronea­mente che nella confezione dell'oro sono da ricercare le immagini degli astri . Io libererò da ogni timore quelli che sono tormenta­ti da questo sospetto: infatti, se si tratta di oro vero, anche se è prodotto artificialmente, possiede la vera essenza dell'oro, cosa che è conseguente a tutti gli accidenti che, secondo natura, derivano da essa, come prima ho dimostrato, perciò arrecherà letizia, purché siano parti di oro, e contrasterà la lebbra, se ciò è pertinente all'o­ro.

Ma si dirà forse che nell'oro prodotto artificialmente c'entra­no l'argento vivo e molte altre sostanze velenose; però, anche nelle viscere della terra - obietto io - possono essere prodotte le mede­sime sostanze, e quindi - aggiungerò - ci sono molteplici modi d.i produrre l'oro e non uno soltanto. Aggiungerò - ci sono moltepli­ci modi di produrre l'oro e non uno soltanto. Aggiungerò, infine, che se durante l'operazione ci si serve di semi avvelenati, _il risul­tato non dipenderà dall'essenza bensì dagli strumenti usati duran­te la trasmutazione: perciò c'è anche da dire che l 'argento vivo, al­lorché è stato ridotto in argento solido oppure in oro, quando in­S()mma non è più argento vivo, perde le proprietà letali, come se queste fossero nascoste dentro: ciò rese noto Alberto con la sua acuta intelligenza dimostrando che queste vi si rapprendono den-

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tro per il freddo e l'umidità. Infatti dice che sebbene non superi i l secondo grado di freddo e di umidità, tuttavia afferma che per questo è nocivo; eppure ci sono di quelli che sostengono, piutto­sto, che l'argento non è di natura fredda, bensì calda e per ottene­re conferma di ciò più facilmente si affannano ad osservare non poche altre qualità. Per non parlare delle numerose trasmutazioni per cui "si dice che, per effetto del fuoco, vengono espulse le qua­lità venefiche e che quindi assume un'altra forma ed un'altra natu­ra", cosa che accade evidentemente anche nelle spelonche sotter­ranee, quando lo zolfo, il rame e l'argento vivo si mescolano per formare la sostanza dell'oro. E questo oro era considerato molto salutare anche da quelli che sono contrari all'arte, benché le so­stanze da cui è derivato prima che maturasse e acquistasse una nuova natura, anche da essi, siano ritenute nocive.

Se mi si dirà che questo ha in sè, per effetto della natura, qualche cosa di medicamentoso che l'oro preparato con l'arte non possiede, risponderò : - chi mai può consultare la stessa natura mentre prepara l'oro? Chi può conoscere tutti i modi di produrre della natura, in modo da apprendere minuziosamente quali fattori contrastano e quali annullano, oppure siano liberi da ogni intral­cio, oppure intervengano con l'emissione di veleni, ovvero, infi­ne quali aspetti potranno assumere nella sostanza, durante o alla conclusione della trasmutazione? E ciò si può confermare con l'e­sempio di animali che si cibano senza alcun danno di cose che ad altri sono mortali al primo morso, a causa della digestione o della capacità di assimilazione che è diversa e deriva dalla natura dell'a­nimale. E potremmo ripetutamente servirci di esempi di sostanze velenose che, mescolate e cotte con altre sostanze, riescono salu­tari come è stato accertato in numerosissimi antidoti specifici · ·ontro il morso di animali ; e, al contrario, esistono sostanze che da ;alutari diventano perniciose senza che dal di fuori vi sia stato aggiunto alcunché di velenoso. Si può citare l'esempio dell'uovo di gallina, che, crudo, in molti suscita la nausea, se appena cotto si prende a bere è ottimamente salutare, se invece sarà stato fatto in-

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durire fino in fondo, a fuoco eccessivo, viene annoverato fra i cibi più nocivi. La varietà della natura risulta, così come le proprietà diverse che ne derivano, non tanto dalle varie mescolanze, ma piut­tosto dalla cottura o eccessiva o minima. Perciò, non potendosi di­stinguere l 'oro artificiale da quello naturale, per mezzo della cono­scenza umana, nè può essere diversamente, nè si può dire che è del­la stessa specie se diversi sono gli accidenti, che conducono alla conoscenza distinta della sostanza - ripeto: non potendosi distin­guere - si deve concludere che non c'è pericolo nè causa alcuna di pericolo. Dunque, l'oro, sia che tu lo metta nella pentola in cottu­ra, sia che lo gratti o lo batti oppure lo riduci in sottilissime lami­ne, ovvero lo immergi nell 'acqua bollente al massimo, puoi distin­guerlo e stabilire se è stato estratto dalle viscere della terra, oppu­re se è stato c6nfezionato dall'arte dell'uomo? Aggiungasi che assai anticamente, di tanto in tanto venne prodotto l'oro e che l 'ane non era conosciuta da molti, anzi da ogni parte con il consenso di tutte le genti era disapprovata e disprezzata, sì che, mentre era vi­vo, nessuno osava vantarsi di possedere quell 'arte o di aver letto su di essa circa ottocento volumi, in cui si trovano oltre trentaset­temila istruzioni con cui si potè - come ho detto - produrre l'oro, e ciò è stato confermato anche dagli esperimenti.

Quali ragioni od argomentazioni hai tu per distinguere l'oro artificiale da quello naturale? Non il segnale o il marchio a fuoco che anticamente o ai tempi nostri contrassegnava l'oro con l'em­blema dei principi, per distinguerlo quando perveniva alle pubbli­che officine; non il colore, ·infatti la pietra di paragone, come un arbitro onorario, tra due colori uguali non dà causa vinta a nessu­no dei due; non il peso, poiché la bilancia non pende nè da una pane nè dall 'altra durante l'esame ; non la malleabilità nè la flessi­bilità, perché l'uno e l 'altro sono mal leabili e flessibili; non gli ef­fetti medicamentosi, infatti, assunto in pillola o in pozione, non potresti in alcun modo distinguere se ha avuto un effetto minore questo o quello: poicI:ié venendo assunti con altre sostanze, nel ca­so di effetti diversi, questi potrebbero essere attribuiti alla diversi-

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tà delle sostanze o alla diversa costituzione del paziente ; infatti non mancherà l'occasione di prescrivere ora l'uno ora l'altro, a seconda che si sia rivelato più efficace sia in relazione alla quan­tità delle sostanze usat , sia m relazione alla diversità. Perciò, se non sai distinguere l'oro vero da quello ottenuto con l'intervento dell arte, sarà meglio non prescriverlo come medicinale. Dunque, o è da onsiderare tutto nocivo, se c'è qualcosa di insalubre, poi­ché non si ha un mezzo valido per distmguerlo, o tutto salutare, se viene stabilito che l'oro naturale e tale, oppure conviene restare in dubbio per tutti e due se non si riesce a far distinzione nè con la pietra hdia, nè con la pesatura, nè con l'acqua che viene chiama­ta ' separatrice", p01che separa l'oro dall'argento · in conclusione non puoi escludere un danno nè dall'uno nè dall 'altro.

Però, se quello è considerato salubre, quando invece e con­trassegnato dal marchio dei principi e delle repubbliche per uso di chi compra e di chi vende si deve considerare insalubre. Infatti in questo si trova mescolato del rame che la pietra eraclia indica con la colorazione. Vi sono mescolate molte altre cose ed in quello prodotto anche un sale assai acre, l'ammoniaca, che erro­neamente è chiamato arenario, talvolta vi è anche del nitro che con l'argento vivo forma il nitrato d'argento, nocivo, il cui nome deriva da ciò che va in alto dopo la cottura ed il veleno si riduce; chi ignora infatti "quanto nuocciono allo stomaco la ruggine e le scorie del rame? '. Ed oltre a quella anche altre sostanze che ven­gono considerate perniciose che sono usate dagli argentieri e da­gli orafi per dare splendore alle monete d'oro: infatti colorano l'o­ro che per sua natura è pallido per farlo splendere e bnllare.

Dell'azione salutare dell'oro ho detto molto: ora dirò delle modalità dell'arte e respingerò la falsa opinione del volgo.

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Capitolo VI.

AVVERTIMENTI RIPETUTI A QUELLI CHE INTRAPRENDONO L'ATTMTA' CHE RIGUARDA LA

PRODUZIONE DELL'ORO PER MEZZO DELL'ARTE CHIMICA . SOLUZIONE DI QUELLA DIFFUSA QUEST IONE

SECONDO CUI MOLT ISSIMI DI QUELLI CHE SI DEDICANO A LL'A RTE AURIFERA SONO POVERI.

Vorrei ammonire quelli che cercano l'oro per mezzo dell ar­te" a non dedicarsi ad espenmenti che superano le loro forze,

a non trascurare attività più sicure, a non aspettarsi grandi ricchez­ze a non aspirare a principati e regni, illusi da vana speranza". In­fatti, come Dio non permette che tutti gli uommi di bassa - come il volgo dice - fortuna, che aspirano alla gloria o esercitano il com­mercio, s1 impadroniscano di un principato o di un regno o che sia­no inondati di enormi ricchezze, così anche non vuole che quelli che si dedicano allo studio delle lettere uguaglino o superino la gloria degli antichi. E capire perché ciò avvenga è cosa talmente difficile e rara, giacché "Dio distribuisce i suoi doni secondo il suo arbitrio e non secondo il nostro".

Ma se penseranno di far cosa inutile o nociva quelli che pre­parano l'oro e cercano di trasmutare i metalli, se nulla di più per sè si sono ripromessi, avranno "edificato castelli in aria" - come dice il proverb10 -, e facilmente comprenderanno di essersi sba­gliati e d1 esse si illusi, perché da loro sarà derivata tanta fraudo­lenta malvagità quanta da uomini e spiriti malvagi. Mi ricordo che un tempo ci fu un tale che veniva ammonito da un amico il quale gli diceva che un oracolo divino l'aveva informato che non avrebbe dovuto intraprendere l'arte di produrre l'oro, qualora se ne fosse servito per la sua superbia o per far del male a qualcuno, ma che gli sarebbe stato concesso se, una volta appresa, l'avesse utilizza­ta per il bene dell'anima e del corpo. Conobbi un altro che affer-

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mò di aver ottenuto, una volta, dall'argento instabile, che è chia­mato vivo, dell'argento vero e solido, manipolando succhi e foglie di erbe, e che poi lo avesse venduto a degli esperti nell'arte di sag­giare i metalli; aggiunse anche di aver tentato invano, servendosi delle stesse foglie di cui si era servito una volta, di produrre dell'al­tro argento, ma per quanto avesse provato non c'era più riuscito.

Co11obbi ancora un altro, che si trova tutt'ora tra i vivi, cui riuscì per quindici volte circa di produrre dell'oro e dell'argento per mezzo dell'arte, ma smise quell'arte quando ebbe in sogno la profezia di un congiunto che gli mostrò come ciò fosse difetto di una mente ingrata, cosa che abbiamo anche appresa da un detto degli apostoli "nè chi pianta nè chi irriga mangia qualche cosa se il raccolto non glielo dà Dio".

Un'altra persona mi rifer ì di aver prodotto una volta una gran quantità di oro dall'argento, la seconda volta usando le stesse cose ne fece pure, ma sempre in minor quantità, sì che gliene derivò un danno maggiore del guadagno. Gli venne in mente poi, per rifarsi

del danno, di servirsi non di argento ma di rame, da cui avrebbe tentato di ricavare un metallo di maggior pregio ; ed infatti vi ten­tò, fermo nelle sue salde ipotesi, ed essendo l'esperimento iniziato a tal punto che gli dava a sperar bene, poiché tutto si era svolto in modo meraviglioso, pure non ottenne nulla. Così talvolta vani sono i risultati, anche per l 'intrecciarsi di varie cause, e di tal con­dizione che si può apertamente conoscere che gli impedimenti de­rivano da altro che non dai poteri dell'uomo.

La stessa cosa affermò di aver saputo da un amico, un tale che aveva compiuto lo stesso esperimento, infatti avendo ottenuto dell'ottimo argento dal cinabro, spesse volte poi, insistendo in quel lavoro con maggior diligenza non aveva ottenuto alcun risultato, mentre invece il risultato gli veniva confermato dalla ragione. In­fatti in quelle sostanze che vengono estratte dalle caverne della terra, ti sono assolutamente necessari i mostri allorquando vedi dei parti abortivi.

Ne parla nelle questioni naturali Anneo Seneca: come nei no-

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stri corpi, cosf nella natura gli umori spesso concepiscono un di­fetto o per un colpo o per scuotimento del terreno, o per invec­chiamento, o per il freddo, o per il caldo, e la natura stessa si cor­rompe; per non parlare del fuoco, o in eccesso o in difetto, e per inesperienza dell'artefice o negligenza; non dico poi dei molteplici commenti del demonio maligno: "benché tutte quelle cose che tu desideri, anche ti derivino da un voto, non ti verrà incontro l 'aiu­to di Dio, e perderai il lavoro fatto, cui aggiungerai la disgrazia del tempo speso", cose tutte che ricorderò pure nei miei enigmi, ma che cercherò di mettere in versi pur tenendomi lontano dall'ambi­guità degli enigmi:

"Benché natura segua il perpetuo suo corso, se non viene deviato dalla mano o dall 'intelligenza dell 'artefi-

ce essa pure è assuefatta a generare moltissimi mostri talora oppressa dal calore dei fuochi "rosso minio" talora per troppo difetto di esso, come molto frigida vecchia madre suole gestare nelle sue viscere il parto e suole, per artifici, esser condotta per sentieri diversi ed

impervi la mente stanca troppo ed intenta al duro travaglio, ed allontana la mano dall'apertura vaginale verso il retto, così tuttavia invano tenterai di fare tutte queste cose se prima non voglia l'Onnipotente, senza cui son sempre vani tutti gli inizi della natura e dell 'arte, nè in alcun modo o la vita o le forze possono esistere. Talora un cattivo demonio si intromette e tutto sconvolge se non lo frena l 'Olimpo: infatti ricordo, ricordo di aver mutato in bionde nere

sostanze sconvolto l 'ordine della natura, e già il metallo risplendere sotto gli occhi, cosa non falsa, rilucente e la fiamma sollevare in aria la calce vittoriosa con piccola vampa, gonfiata di scarso vapore

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disparve in alto svanita in un soffio leggero. Stavo meravigliato a gu11dùrla e levavo gli occhi al cielo quando una luce mi illumino la mente dissipando la caligine poiché il segno della croce aveva scacciato gli scherni del ne"ro demonio e l'esperimento si rinnovò con il primitivo vigore; tanto onore fu dato e tanta potenza al nostro re che derivò il genere umano da un alto ceppo, ,:he, se si attenesse alle origini, se assecondasse gli inizi

più solerte tu ti mostreresti verso te stesso, e di entrambi i metalli

dell 'Illiria, più di quanto le caverne di R oma ti avevano dato più di quanto negli antri della Galizia ne aveva scavato l 'abi­

tante delle Asturie più di quello del re Frigio ora ne potresti ammirare di oro. " Pertanto, non inutilmente - come prima dissi - ripeterò, ed

infatti gli ignoranti non possono abbastanza venir istruiti, nè gli o­stinati superfluamente avvertiti. Non inutilmente lo dico e lo ripeto; i denigratori d1 quest'arte non potranno accumulare calun­nie. Infatti in nessun modo chi è accorto si opporrà all 'agricoltura o alla medicina sol perché è andato perduto il raccolto del campo o per il fatto che gli ammalati muoiono, poiché non solo a causa dell'arte, ma anche della narura ciò senz'altro dipende, principal­mente perché così Dio ha stabilito; allo stesso modo non si aborri­rà l'arte di produrre oro ed argenw sol perché vani sono i risultati talvolta o meno abbondanti. Infatti i precetti dcl i 'arte non sono eterni nè confermati favorevolmente per tutti. Perché dunque non si insulta l'antichissima e necessaria arte dell'agricoltura quando il reddito talora è nullo? Perché non si respinge la non meno utile professione di medicare i corpi umani, allorquando non giova ? Ebbene, come si sa, spc:sso possono esser frustrati gli effetti che ci si attendeva per diverse cause, avendo ciò forse appreso dall 'eser­cizio dell'arte, secondo lo scrittore Cornelio.

Come infatti egli dice, l'agricoltura promette gli alimenti ai corpi sani, così la medicina promette agli ammalati la salute. Non

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fornisce gli alimenti - dice - nè la salute, bensì li promet te: e ciò fa molto prudentemente a causa dei risultati che talvolta sono vani: non diversamente chi esercita l'arte chimica promette l'oro e l'argento. Forse egli ha più fiducia nel produrre l'oro di quanta ne ahbia Ippocrate nel ridare la buona salute, secondo il cui parere I' esperimento è pieno di pericoli. Benché non sempre giovino gli un­guenti che l'antichità affermò come validi, nè i medicamenti sem­plici diano i risultati che sembrano promettere, nè servano i colle­gi dei medici, che assistono sempre l'ammalato, perché non muoia, tuttavia sempre essi promettono la salute.

Aggiungasi che è solo di pochi raggiungere quel sublime tra­guardo di produrre grandi quantità di oro con piccola spesa. Infat­ti è concesso ciò a pochissimi come dono particolare di Dio, pro­prio perché moltissimo interessa che si produca molto oro con molto guadagno. Infatti ne produsse poco chi disse : "Ne ho pro­dotto tanto quanto basta a scopo di ricerca scientifica, perché si sappia che è vero che i metalli si possono mutare l 'uno nell 'altro". Per arricchirsi non si ottengono grandi risultati, sebbene si possa preparare l'oro in seicento modi : vi sono infatti quelli che a sten­to riescono a sopportare la spesa ; vi sono altri che ne ricavano danno ; vi sono infine di quelli che non hanno sempre lo stesso ri­sultato, ma degli alti e dei bassi, sì che non è facile risolvere la que-­stione che i più si pqngono, e cioè: "come mai assai spesso siano indigenti quelli che affermano prontamente di essere in grado di produrre l 'oro.".

Infatti, o producono poco oro o, se ne producono molto, lo fanno con grandissima spesa, o variano gli esperimenti sì che quel­lo che ne vien fuori non risponde sempre alla medesima qualità ; o li assilla l a paura dei prìncipi potenti ed avarissimi; o gli manca un luogo adatto ; o non lo assistono i congiunti o i servitori ; per non parlare : della leggerezza e della stolta credulità di molti, con­giunte all'inesperienza ; dell'astuta malvagità degli artefici fraudo­lenti, cause tutte per le quali giustamente si potrebbero scagliare calunnie a valanga su quell'arte. Ma che c'è da meravigliarsi, se dai

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piccoli forni spesso non deriva guadagno ma piuttosto danno, se anche ciò può capitale con le miniere sia al nostro tempo sia in passato. Da ciò deriva quel falso rimprovero di Demetrio Falereo ver­so i cercatori di oro nelle caverne della terra, poiché trascuravano i segni manifesti per quelli incerti e non sufficientemente edotti di ciò che cercavano, perdettero tutto quel che possedevano. Comun­que ti sarà favorevole tutto ciò che avrai preparato con gran zelo, con grandi spese, che avrai desiderato con tutte le tue forze "pur­ché ti sia propizio il volere divino, altrimenti avrai faticato inva­no". E' lecito vedere questo stesso nell'opera della natura nel con­cepimento dei mortali, allorché per le varie condizioni della sterili­tà della femmina, per l'inuti lità del seme maschile, e per molte al­tre cause può accadere che avvenga un aborto, ma oltre a ciò è ne­cessaria la ferma volontà divina perché venga alla luce l'infante che si nascondeva nell'utero. Quanto più, ciò è dato di vedere nei risul­tati di quell'arte. Insomma, non vi è alcuna arte che rimanga fissa ed immobile sempre alle medesime congetture; ma nessuna è tanto certa, tanto salda da non esser soggetta in gran parte alla mutazione della materia e del tutto sottoposta alla divina volontà. E se quest'arte ti favorirà nella produzione dell'oro, bada che ciò non sia effetto di un animo superbo, senza che mai ti venga il timore: "se ciò ti è concesso come un beneficio oppure come una pena". Pensa spesso a quel detto di Sant'Agostino, vero non meno di quanto sia elegante: "Ciò che Dio molte volte nega quando è ben disposto, concede poi quando è adirato ". Perciò, prima di tutto ringraziate Iddio, c iò che potete fare in abbondanza; quindi accettate con tutta modestia questo celeste dono e di conseguenza servitevene santamente e piamente, in ono­re e gloria della Santissima Trin ità che è una sola cosa con Dio, e per l'utilità vostra e degl i altri uomini. fine 1 20

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B I_ B L I O G R A F I A

Testi di cui si parla dell'Autore e della sua opera: Baumer, "Bibliotbeca Cbemica", Gicsscn 1 782, pag. 87. Olaus Borrichius, "Conspectus Scriptorum Cbemicorum Celebrio­rum", cap 50. Questa opera si trova anche nel "Bibliotheca Chemica Curio­sa", di J . Manget, Genevae 1702, pag. 48, voi I. Lenglet Dufresnoy, "Histoire de la Pbilosopbie Hermetique", Paris 1742, voi. I, pagg. 270; 471. Voi. III, pagg. 5 1 ; 7 3 ; 267. J ohn Ferguson, "B,bliotbeca Cbemica ", London 1906 (2A ediz. , 1954), voi. II, pagg. 202; 203 ; 204. J . G. T. Graesse, "Tresor de J,vres rares et precieux ou nouveau Dictionnaire bibliograpbique", (a noi solo conosciuta un'edi­zione fatta a Milano nel 1950), tomo IV, pag. 285. Michael Maier, "Symbola Aureae Mensae Duodecim Nationum ", Francofurti 1617, Libro XII, cap. 36, pagg. 6 16; 6 17; 618.

Testi in cui viene riportato l'originale latino dell' "Opus Aureum": J acob Manget, "Bibliotbeca Cbemica Cunosa", Gcnevae 1702, voi . Il, pag. 5 58 e seguenti. 12 1

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"Theatrum Chemicum", Argentorati 1659, voi. II, pag. 312 e s� guenti.

Testi che esclusivamente trattano dell'Opera di Giovanni Francesco Pico:

nel II voi. dell ' "Opera omnia" di Giovanni Pico della Mirandola, sono esclusivamente trattate le opere del Nostro. L'edizione è quella di Basilea, del 1572; 1573, ed é stata riprodotta ana­staticamente a Torino, dalla "Bottega di Erasmo".

Sempre ad opera della stessa Editrice abbiamo l'anastatica del­l'opera di Giovanni Francesco Pico, in due volumi, Basilea 1572.

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I N D I C E

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Presentazione della collana

Prefazione Libro I Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo ca.,itolo Capitolo Capitolo Capitolo Libro I I Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo Cap itolo Capitolo Capitolo Libro III Capitolo ù.pitolo Capitolo Capitolo Capitolo Capitolo

I II III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . ........ . . . . IV V VI . .. .. . . . . . . . .. .. ... ... . . . . . . . . . . . . . VII VIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

I II III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . IV V VI . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . .. . . . . . . . . . . . . VII VIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . IX . . . . . . . . .. . . . . .. . . .. .. ... . .. .. .. . .. . X

I II III ....... ........... ................. . IV V VI ....•...... •.•.•. . . . ....•...•.... . .

Bibliografia . . . . . . . . . . ... . . . . . . . .... .... ... . . . . . . . . . . . ......... ... .

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