GIORNALINO PARROCCHIALE DI SONDALO, MONDADIZZA, LE … · 2020. 3. 29. · il coraggio di un amore...

31
GIORNALINO PARROCCHIALE DI SONDALO, MONDADIZZA, LE PRESE, FRONTALE N° 30 - MARZO 2020 in nsie m e I ammino C

Transcript of GIORNALINO PARROCCHIALE DI SONDALO, MONDADIZZA, LE … · 2020. 3. 29. · il coraggio di un amore...

  • GIORNALINO PARROCCHIALE DI SONDALO, MONDADIZZA, LE PRESE, FRONTALEN° 30 - MARZO 2020

    innsiemeI

    amminoC

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC 1amminoinnsiemeIC

    Per contattare la parrocchiaDon Giacomo FoliniTel. 0342.803228 - Cell. 339.5630579 E-mail: [email protected]

    COLLABORATORIDon Rocco Nesossi Cell. 338.3929928 - E-mail: [email protected] André Gbenouga Cell. 347.1876880 - E-mail: [email protected] Enzo CapitaniCell. 339.8192409 - E-mail: [email protected]

    INSIEME IN CAMMINORegistrazione del Tribunale di Sondrio n°401/2012 del Registro Stampa

    N° 30 - Marzo 2020Trimestrale delle parrocchie S. Maria Maggiore di Sondalo S. Giovanni Battista di MondadizzaS. Gottardo di Le PreseS. Lorenzo di Frontale

    Direttore responsabile Roberta CerviDirettore editoriale don Giacomo FoliniCoordinatrice del gruppo di redazione Angela CastelliSTAMPA: Tipografia Polaris - Sondrio

    Questo numero è stato stampato in 550 copie

    Per comunicare con noi: [email protected]

    Foto di copertina: Cristo prega nell’orto degli ulivi di Massimo BertolinaFoto retro: Madonna con bambino di Nadia AnziGli autori, di origine bormina, si sono trasferiti a Sondalo nel 2007. La passione per la pittura ad olio della signora Nadia nasce da ragazza ed è un approccio da autodidatta. Il figlio Massimo inizia utilizzando dapprima carboncino e ma-tite e solo da qualche anno, su insistenza della madre, si accosta alla pittura ad olio. Nonostante la madre sia stata il mentore del figlio col tempo hanno sviluppato due stili differenti.(Nel prossimo numero approfondiremo la conoscenza dei due artisti)

    Celebriamo la gioia della Risurrezione di Gesù

    Ci stiamo avvicinando a celebrare la Risurrezione di Gesù. È una gioia vera, profonda, basa-ta sulla certezza che Cristo risorto ormai non muore più, ma è vivo e operante nella Chiesa e nel mondo. Questa cer-tezza abita nel cuore di tutti noi credenti da quel mattino di Pasqua, quando le donne andarono al sepolcro di Gesù e gli angeli dissero loro:

    “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5). Queste parole sono come una pietra miliare nella storia; ma anche una “pie-tra d’inciampo” se non ci apriamo alla Buona Notizia, soprattutto se pensiamo che dia meno fastidio un Gesù morto che un Gesù vivo!

    Quante volte, nel nostro cammino quoti-diano, abbiamo bisogno di sentirci dire: Perché stai cercando tra i morti colui che è vivo?Quante volte noi cerchiamo la vita fra le cose morte, fra le cose che non posso-no dare vita, fra le cose che oggi sono e domani non saranno più, le cose che passano come il denaro, il successo, i ricordi del tempo passato...Ma non è facile essere aperti a Gesù. Non è scontato accettare la vita del Ri-sorto e la sua presenza in mezzo a noi.

    Il Vangelo però ci aiuta facendoci ve-dere diverse reazioni alla presenza di Gesù “vivo” sempre in mezzo a noi come Tommaso che pone una con-dizione alla fede: toccare le piaghe; come Maria Maddalena che piange e che si rende conto che è Gesù soltanto quando Lui la chiama per nome; come i discepoli di Emmaus che depressi e con sentimenti di sconfitta, si lasciano accompagnare da quel misterioso vian-dante... Storie diverse e cammini diversi. Quante volte, nella nostra vita, le di-sgrazie che ci colpiscono danno un for-te impulso alla nostra vita e ci aiutano a correggere la rotta. Sono le esperienze negative che ci formano, che ci plasma-no, che ci fanno reagire...

    “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5). Rieccola la domanda che ci fa superare la tentazione di guardare indietro, a ciò che è stato ieri e che ci spinge in avanti verso il futuro.

    GESÙ NON È NEL SEPOLCRO, È RISORTO! “Ieri” è la tomba di Gesù.

    “Oggi” è la risurrezione.

    E lo “Spirito Santo” è il nostro compa-gno di cammino di ogni giorno, dono di Dio, forza che ha fatto risorgere Gesù.

    Lasciamo che il silenzio dello Spirito Santo interrompa il frastono che ci cir-conda.Da soli non ce la possiamo fare, lascia-moci guidare!

    Angela Castelli

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC2 3amminoinnsiemeIC2 La voce del Vescovo Sommario

    1 Celebriamo la gioia della Risurrezione di Gesù

    La voce del Vescovo2 Preghiera al SS.

    Crocifisso di Como

    La voce del Papa4 “Mediterraneo

    frontiera di pace”

    La voce del parroco8 Lontani fisicamente,

    ma vicini nel Signore

    Vita parrocchiale10 Le veglie funebri

    nella cappella feriale di san Francesco

    Tempo di Quaresima11 Gesti e simboli

    Anno Domini MMXX14 Corona virus

    (Covid-19)

    Ricordo18 Ritornerai, prima o

    poi ritornerai!

    Esperienze21 Momenti di vita della

    Chiesa22 Un Vescovo

    valtellinese in Perù24 Compagni di viaggi 26 “Molti parlano dei

    poveri, ma pochi parlano con i poveri”

    L’intervista29 Un giovane

    impegnato e coinvolto nella Croce Rossa Italiana...

    Incontro34 Passione per uno

    sport minore

    Attività economiche36 Il distretto

    farmaceutico valtellinese

    La voce della storia39 Dalla miseria alla

    povertà dignitosa

    Anniversario42 Nozze di Ferro

    Un libro da leggere43 Il treno dei bambini

    Riconoscimento44 Adelina Della Bosca

    Iniziative parrocchiali46 Al nòs Presépi in

    “Opera”48 Stare accanto51 In Oratorio54 Un gruppo di noi…

    ad Assisi

    Riflessioni...56 ...sul nostro tempo

    57 Anagrafe: dal 01/12/2019 al 29/02/2020

    Preghiera al SS. Crocifisso di Como

    Santo e amato Crocifisso, riflesso della bontà di Dio e della sua fe-deltà verso di noi:Tu da secoli accompagni e sostieni il cammino di fede dei fratelli e sorelle di questa Città e di tutta la nostra Chiesa di Como, anche e soprattutto nei mo-menti di dolore e di prova.Tu, volto della Misericordia e della tene-rezza di Dio Padre, vieni in nostro aiuto!Tu conosci la nostra debolezza e con-tinui ad esserci vicino in questi mo-menti di trepidazione per la presenza devastante del “corona virus”, che ha sorpreso e sconvolto le nostre vite, le

    nostre abitudini, le nostre attività quo-tidiane.Sostieni quanti sono impegnati nell’af-frontare questo periodo di emergenza: tutto il personale medico, gli scienziati, i volontari e quanti si prodigano gene-rosamente al servizio dei malati e delle loro famiglie.Dona conforto ai sofferenti, soprattutto alle persone più esposte, gli anziani, le persone sole e quanti sono infettati dal virus. Sia vincente la generosità di coloro che sacrificano il loro tempo e le loro energie per sostenere quanti abbi-sognano di cure, di vicinanza e di ogni genere di aiuto.Fa’ che ciascuno di noi impari la lezio-ne che deriva da questo momento di smarrimento e di prova. A volte ci siamo creduti onnipotenti, a tal punto di cre-dere di poter fare a meno di te, Signore della nostra vita.Oggi ci scopriamo feriti, fragili e deboli, incapaci di trovare salvezza in noi stes-si o nelle risorse della tecnica. Fa’ che ci lasciamo salvare da te, che ci liberi dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento.Aiutaci a tornare a te con fiducia e a confidare nella tua divina potenza, che metti a servizio dell’amore. Tu ci doni sempre il tuo Spirito perché diveniamo uomini e donne di comunione, capaci di condividere la gioia e di sperimentare la fraternità, così da fare della carità una costante della vita di tutta la Chiesa, a imitazione di te, che ci hai amato e donato tutto te stesso per noi.Tu che vivi e regni nei secoli glorioso. Amen.

    + Oscar Cantoni, vescovo

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC4 5 La voce del papaLa voce del papa“Mediterraneo frontiera di pace”

    Omelia del Santo Padre Francesco in occasione dell’incon-tro di riflessione e spiritualità di Bari del 23 febbraio 2020 Gesù cita l’antica legge: «Occhio per occhio e dente per dente» (Mt 5,38; Es 21,24). Sappiamo che cosa voleva dire: a chi ti toglie qualcosa, tu toglierai la stessa cosa. Era in realtà un grande progresso, perché impediva ritorsioni peggiori: se uno ti ha fatto del male, lo ripagherai con la stessa misura, non potrai fargli di peggio. Chiudere le contese in pareggio era un passo avanti. Eppure Gesù va oltre, molto oltre: «Ma io vi dico di non opporvi al malvagio» (Mt 5,39). Ma come, Signore? Se qualcu-no pensa male di me, se qualcuno mi fa del male, non posso ripagarlo con la stessa moneta? “No”, dice Gesù: non-violenza, nessuna violenza.Possiamo pensare che l’insegnamento di Gesù persegua una strategia: alla fine il malvagio desisterà. Ma non è questo il motivo per cui Gesù chiede di amare anche chi ci fa del male. Qual è la ragione? Che il Padre, nostro Padre, ama sempre tutti, anche se non è ricambiato. Egli «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». E oggi, nella prima Lettura, ci dice: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo!» (Lv 19,2). Ossia: “Vivete come me, cercate quello che io cerco”. Gesù ha fatto così. Non ha puntato il dito contro quelli che l’hanno condannato ingiustamente e ucciso crudel-

    mente, ma ha aperto loro le braccia sulla croce. E ha perdonato chi gli ha messo i chiodi nei polsi (cfr Lc 23,33-34).Allora, se vogliamo essere discepoli di Cristo, se vogliamo dirci cristiani, questa è la via, non ce n’è un’altra. Amati da Dio, siamo chiamati ad amare; perdonati, a perdonare; toccati dall’amore, a dare amore senza aspettare che comincino gli altri; salvati gra-tuitamente, a non ricercare alcun utile nel bene che facciamo. E tu puoi dire: “Ma Gesù esagera! Dice persino: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44); parla così per destare l’attenzione, ma forse non intende veramente quello”. Invece sì, intende veramente quello. Gesù qui non parla per paradossi, non usa giri di parole. È diretto e chiaro. Cita la legge antica e solennemente dice: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici”. Sono parole volute, parole precise.Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. È la novità cristiana. È la differenza cristiana. Pregare e amare: ecco quello che dobbiamo fare; e non solo verso chi ci vuol bene, non solo verso gli amici, non solo verso il nostro popolo. Perché l’a-more di Gesù non conosce confini e barriere. Il Signore ci chiede il coraggio di un amore senza calcoli. Perché la misura di Gesù è l’amore senza misura. Quante volte abbiamo trascurato le sue richieste, comportandoci come tutti! Eppure il comando dell’a-more non è una semplice provocazione, sta al cuore del Vangelo. Sull’amore verso tutti non accettiamo scuse, non predichiamo comode prudenze. Il Signore non è stato prudente, non è sceso a compromessi, ci ha chiesto l’estremismo della carità. È l’unico estremismo cristiano lecito: l’estremismo dell’amore.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC6 7La voce del papaLa voce del papa

    Amate i vostri nemici. Oggi ci farà bene, durante la Messa e dopo, ripetere a noi stessi queste parole e applicarle alle perso-ne che ci trattano male, che ci danno fastidio, che fatichiamo ad accogliere, che ci tolgono serenità. Amate i vostri nemici. Ci farà bene porci anche delle domande: “Io, di che cosa mi preoccupo nella vita: dei nemici, di chi mi vuole male? O di amare?”. Non preoccuparti della cattiveria altrui, di chi pensa male di te. Inizia invece a disarmare il tuo cuore per amore di Gesù. Perché chi ama Dio non ha nemici nel cuore. Il culto a Dio è il contrario della cultura dell’odio. E la cultura dell’odio si combatte contrastando il culto del lamento. Quante volte ci lamentiamo per quello che non riceviamo, per quello che non va! Gesù sa che tante cose non vanno, che ci sarà sempre qualcuno che ci vorrà male, an-che qualcuno che ci perseguiterà. Ma ci chiede solo di pregare e amare. Ecco la rivoluzione di Gesù, la più grande della storia: dal nemico da odiare al nemico da amare, dal culto del lamento alla cultura del dono. Se siamo di Gesù, questo è il cammino! Non ce n’è un altro.È vero, ma tu puoi obiettare: “Comprendo la grandezza dell’idea-le, ma la vita è un’altra cosa! Se amo e perdono, non sopravvivo in questo mondo, dove prevale la logica della forza e sembra che ognuno pensi a sé”. Ma allora la logica di Gesù è perdente? È perdente agli occhi del mondo, ma vincente agli occhi di Dio. San Paolo ci ha detto nella seconda Lettura: «Nessuno si illuda, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio» (1 Cor 3,18-19). Dio vede oltre. Sa come si vince. Sa che il male si vince solo col bene. Ci ha salvati così: non con la spada, ma con

    la croce. Amare e perdonare è vivere da vincitori. Perderemo se difenderemo la fede con la forza. Il Signore ripeterebbe anche a noi le parole che disse a Pietro nel Getsemani: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11). Nei Getsemani di oggi, nel nostro mondo indifferente e ingiusto, dove sembra di assistere all’agonia della speranza, il cristiano non può fare come quei discepoli, che pri-ma impugnarono la spada e poi fuggirono. No, la soluzione non è sfoderare la spada contro qualcuno e nemmeno fuggire dai tempi che viviamo. La soluzione è la via di Gesù: l’amore attivo, l’amore umile, l’amore «fino alla fine» (Gv 13,1).Cari fratelli e sorelle, oggi Gesù, col suo amore senza limiti, alza l’asticella della nostra umanità. Alla fine possiamo chiederci: “E noi, ce la faremo?”. Se la meta fosse impossibile, il Signore non ci avrebbe chiesto di raggiungerla. Ma da soli è difficile; è una grazia che va chiesta. Chiedere a Dio la forza di amare, dirgli: “Signore, aiutami ad amare, insegnami a perdonare. Da solo non ci riesco, ho bisogno di Te”. E va chiesta anche la grazia di ve-dere gli altri non come ostacoli e complicazioni, ma come fratelli e sorelle da amare. Molto spesso chiediamo aiuti e grazie per noi, ma quanto poco chiediamo di saper amare! Non chiediamo abbastanza di saper vivere il cuore del Vangelo, di essere davvero cristiani. Ma «alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore» (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 57). Scegliamo oggi l’amore, anche se costa, anche se va controcorrente. Non lasciamoci condizionare dal pensiero comune, non accontentia-moci di mezze misure. Accogliamo la sfida di Gesù, la sfida della carità. Saremo veri cristiani e il mondo sarà più umano.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC8 9La voce del parrocoLa voce del parrocoLontani fisicamente, ma vicini nel Signore

    Carissimi,devo confessarvi che, nello scrivere questi pensieri per il nostro giornalino, sono diversi i sentimenti che abitano il mio cuore. Certo, non vi posso nascondere che il dover celebrare la messa senza popolo, per rispetto delle disposizioni normati-

    ve legate al diffondersi del Coronavirus, mi addolora e immagino che quel senso di smarrimento, di incertezza e di vuoto sia vissuto anche da voi. Ma credo anche che il dover vivere questo tempo forte dell’anno liturgico in una modalità del tutto nuova per tutti noi, senza la possi-bilità di incontrarci e vivere comunitariamente l’eucare-stia, di vivere le nostre con-suete attività di oratorio, di catechesi, gli incontri e le attività scolastiche, in pratica la nostra quotidianità, possa essere, in qualche modo, un insegnamento particolare.Mi spiego: molto spesso ci crediamo onnipotenti, cre-diamo che tutto ci sia dovu-to, che le opportunità che abbiamo di incontrarci, di stringere rapporti, di colti-vare amicizie e tutte le varie esperienze che ognuno ha in mente, siano solo delle si-tuazioni che scivolano via e non ci rendiamo conto della grande ricchezza che porta-

    no con sé. Pensiamo di farcela con le sole nostre forze e di fare a meno del Signore della nostra vita.

    Questo tempo particolare penso che ci possa servire a ritornare all’essenzialità, a riscoprirci bisognosi, a capire di essere dei sem-plici pellegrini. Questi giorni ci possono aiutare a ricuperare quel senso di fede che ci fa tornare alle sorgenti della vita nuova. Oggi, in questo particolare tempo in cui ci sentiamo fragili e deboli, rafforziamo la nostra preghiera e riscopriamo la fame dell’euca-restia. Nei momenti disponibili entriamo in chiesa e rivolgiamoci a Lui anche con la pratica della comunione spirituale che potete trovare sui libri di preghiera e che, come diceva San Giovanni Bosco, consiste in un ardente desiderio di ricevere Gesù nel vostro cuore. Non solo in chiesa, ma anche nelle nostre famiglie cerchiamo di coltivare la nostra amicizia con il Signore, magari con una preghiera tutti insieme, la sera, o in un momento più op-portuno, per ringraziarlo e mettere nelle sue mani le nostre vite, riconoscendolo come nostro Maestro. Suggerisco di riscoprire anche la preghiera del rosario, che tanto era cara ai nostri vecchi.Concludo queste semplici riflessioni, rivolgendomi al Signore e invitando anche voi a fare altrettanto, con l’ultima parte della bellissima supplica al Crocifisso rivolta per la prima volta da monsignor Vescovo domenica 8 marzo al termine della messa celebrata a porte chiuse e trasmessa in collegamento televisivo:

    Aiutaci a tornare a te con fiducia e a confidare nella tua divina potenza, che metti a servizio dell’amore. Tu ci doni sempre il tuo Spirito perché diveniamo uomini e donne di comunione, capaci di condividere la gioia e di sperimentare la fraternità, così da fare della carità una costante della vita di tutta la Chie-sa, a imitazione di te, che ci hai amato e donato tutto te stesso per noi. Tu che vivi e regni nei secoli glorioso. Amen.

    Sperando di riuscire ad essere sempre più imitatori di Cristo, proseguiamo allora questo nostro cammino quaresimale che ci porterà a celebrare – ad oggi non sappiamo ancora se nella gioia e nella solennità della liturgia o ancora come singoli, come fami-glie, come Chiese domestiche – la Pasqua, che è, in particolar modo, la festa della nostra speranza. Il Signore risorto ci aiuti a guarire dal virus dell’individualismo e della paura e orienti i nostri passi nella fiducia, correndo verso la meta della vita eterna.Auguri di cuore e buon cammino, nella speranza di ritrovarci pre-sto insieme per vivere, con una maggiore fede e una maggiore consapevolezza, l’eucarestia.Con la benedizione del Signore.

    don Giacomo

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC10 11Tempo di Quaresima Vita parrocchialeGesti e simboli

    Con il Mercoledì delle Ceneri, (purtroppo per l’emergenza Coronavirus la nostra Comunità Pastorale non l’ha potuto celebrare), la Chiesa è entrata in un tempo forte chiamato Quaresima. Un tempo favorevole per cambiare la propria vita, per convertirsi a Dio attraverso il digiuno, la preghiera più intensa e le opere di carità. Questo periodo terminerà con il Giovedì Santo con la Messa Crismale presieduta dal Vescovo nella chiesa cattedrale con la concelebrazione di tutti i sacerdoti della diocesi. In questa circostanza il Vescovo benedirà e consacrerà gli oli santi che serviranno per la celebrazione di alcuni sacramenti: quello degli infermi, del battesimo, dell’ordine e della cresima, quest’ultimo chiamato Crisma che è un olio profumato.La Quaresima è un vero e proprio percorso che ci prepara alla celebrazione del Triduo Pasquale cioè della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. È un percorso ricco di gesti e simboli.Il primo gesto che incontriamo nel Mercoledì delle Ceneri, è il sacramentale delle imposizioni delle ceneri sulla testa dei fedeli da parte del sacerdote accompagnate dalle parole: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” oppure quella proposta dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II: “Convertitevi e credete al Vangelo”; parole che danno un senso al gesto rice-vuto. Esse vengono imposte subito dopo l’ascolto della Parola di Dio e dell’omelia perché una vera conversione nasce sempre dall’accogliere nel nostro cuore la Parola di salvezza del Vangelo che abbiamo ascoltato. Le ceneri che per lunga tradizione si ricavano dalla combustione dei rami degli ulivi benedetti l’anno precedente nella Domenica delle Palme, simboleggiano nell’An-

    Le veglie funebri nella cappella feriale di San Francesco

    A partire dal gennaio 2019 la Parrocchia di Santa Maria Mag-giore ha messo a disposizione, per la veglia dei defunti, la cappella feriale della chiesa di san Francesco. Nel corso dello scorso anno hanno utilizzato questa possibilità una decina di famiglie. Le valutazioni raccolte sono positive così che si può pensare che la Parrocchia sia venuta incontro ad un sentito e reale bisogno.Il sig. Giorgio Pancera, in occasione della scomparsa del papà, avvenuta lo scorso mese di gennaio, ci scrive in proposito: “Un particolare ringraziamento alla parrocchia e a don Giacomo che ha messo a disposizione la cappella della chiesa per ospitare il mio caro papà e permettere a tutta la comunità di accedere per l’ultimo saluto. Molto bella questa iniziativa in quanto l’ambien-te della casa di Dio, in questi momenti tristi e faticosi, aiuta ad alleviare e a supportare il dolore per la scomparsa del proprio caro. Il saluto dei sondalini sarà stato gradito a mio papà che, dopo le drammatiche sofferenze della malattia polmonare, ha scelto Sondalo per la vita della sua famiglia e non è più tornato al paese natale”.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC12 13Tempo di Quaresima Tempo di Quaresima tico Testamento, la fragilità della condizione umana, soggetta al peccato e alla morte; richiama il carattere limitato e passeggero della nostra esistenza terrena. “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”. Abramo quando “contrattava” con Dio per la salvezza delle città di Sodoma e Gomorra si esprimeva così: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere» (Gen 18,27). È chiaro il riferimento alla creazione di Adamo descritta nelle Genesi (Cfr. Gen 2,7). Le ceneri simboleg-giano anche la penitenza, il digiuno, la volontà di conversione da una via di peccato (Cfr. Lam 2,10). Anche nel Vangelo troviamo il riferimento alla cenere come segno di penitenza e conversione quando Gesù rimprovera due città (Cfr. Mt 11,21). Un digiuno e una penitenza che non devono essere disgiunte dalla carità, la vera conversione si apre sempre all’altro. Il pro-feta Isaia rimproverava quelle persone ipocrite che facevano consistere la loro devozione in pratiche esteriori, ma i loro cuori erano chiusi, induriti (Cfr. Is 58,5-7). Anche Gesù riprendendo Isaia ribadisce lo stesso concetto quando ai farisei e agli scribi legati troppo letteralmente a tradizioni umane a scapito della carità disse loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mc 7,6).Un segno visivo di questo tempo liturgico è il colore viola che si utilizza in Avvento, in Quaresima, nei funerali e nel sacramento della Riconciliazione: sta ad indicare la penitenza e l’attesa. Nella IV domenica di Quaresima chiamata Laetare=Rallegrati, possono essere indossati i colori liturgici rosacei per indicare l’approssi-marsi gioioso della Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.Durante la Quaresima non si recita il Gloria né si canta l’Alleluia perché manifestano una acclamazione di festa riservata alla Pa-squa.La durata della Quaresima è di 40 giorni. Nella Sacra Scrittura ricorre spesso questo numero simbolico. Qui voglio ricordare i quarant’anni di peregrinare nel deserto del popolo di Israele prima di giungere alla Terra Promessa e i quaranta giorni di Gesù nel deserto senza mangiare né bere tentato dal diavolo. Durante la Quaresima che è entrare spiritualmente con Gesù nel deserto per combattere con il suo aiuto il diavolo e le sue tentazioni, la carne con le sue inclinazioni peccaminose, il mondo con le sue seduzioni, il cristiano è chiamato a partecipare più intimamente alle sofferenze di Cristo per poi partecipare alla gloria della sua risurrezione. Attraverso questo cammino il Cristo purifica i fedeli dai propri peccati. Il modo ordinario che la Chiesa offre ai fedeli

    per questo cammino di purificazione e conversione sono il di-giuno e l’astinenza. Le norme da osservare per queste pratiche le possiamo trovare nel documento della CEI “Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza”.In Quaresima la preghiera si fa più intensa, il cristiano con l’a-stinenza e il digiuno, magari anche da frivoli svaghi, crea spazi di tempo che utilizza per una più intensa preghiera, per una più profonda relazione con il Signore nell’ascolto della Parola di Dio. In questo ambito per lunga tradizione la Chiesa invita i cristiani a praticare, generalmente nei venerdì, il pio esercizio della Via Crucis.La Quaresima è anche un tempo da dedicare all’amore verso i fratelli e alla conversione, al maggiore impegno di carità verso il prossimo, attraverso anche l’elemosina, magari utilizzando i soldi risparmiati dai digiuni e dalle astinenze. Anche questo, come ci dice la Sacra Scrittura è un modo per espiare i peccati. “L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati” (Sir 3,30).La Quaresima si apre alla Settimana Santa con la Domenica delle Palme nella quale la Chiesa celebra l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino quale Messia e Re figlio di Davide. In questa domenica troviamo il simbolo delle palme e degli ulivi. La palma è simbolo di trionfo, acclamazione e rega-lità e perciò rimanda alla risurrezione di Gesù. Il ramoscello di ulivo è invece simbolo della pace, ricorda la fine del diluvio e la colomba che portò a Noè un ramoscello di ulivo per annunciargli che la Terra e il Cie-lo si erano riconciliati. Per terminare questo articolo occorre dire che la Quaresima ha un carattere battesimale personale e comunita-rio. Il cristiano è chiamato a morire al peccato per risorgere con Cristo come creatura nuova, purificata dal peccato il quale ha sempre una dimensione comunitaria. Anche il peccato più nascosto incide negativamente sui membri della Chiesa. Il mio augurio, in questa Quare-sima, ormai giunta al termine è che ognuno di noi possa compiere questo cammino di purifi-cazione, di conversione perché giunti a Pasqua ciascuno possa risplendere della santità del Risorto, così da incidere positivamente su tutta la nostra Comunità Pastorale, su tutta la Chiesa.

    Don Rocco

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC14 15Anno Domini MMXX Anno Domini MMXX Corona virus (Covid-19)

    L’esigenza di dare testimonianza del tempo presente ci obbliga a stendere la cronaca sommaria di una Quaresima i cui ritmi sono stati scanditi dal verificarsi di una pubblica calamità – la diffusione di un virus – in origine proveniente dalla Cina e che poi si è propagato in gran parte del mondo con diversi gradi di intensità. Ci occu-peremo solo dell’ambito nostro, locale, per dar conto dei fatti maggiori e anche di qualche aspetto minore o addirittura fatuo.

    Ci scuserà il lettore dei decenni a venire, ma questa era la vita lombarda e sonda-lina al tempo dei fatti.

    I primi segni della novità i sondalini l’eb-bero domenica 23 febbraio alla Santa Messa delle 10.00: il Parroco, don Gia-como, era in pellegrinaggio sui luoghi francescani con i ragazzi delle scuole superiori. All’inizio del rito il celebrante, don Rocco, fece notare che le acqua-santiere erano state prosciugate e av-visò che non ci sarebbe stata la stretta di mano come segno di pace e l’ostia della Santa Comunione avrebbe dovuto essere obbligatoriamente ricevuta sulla mano. Misure igieniche che entravano nel novero di una serie di raccomanda-zioni che i responsabili della salute pub-blica stavano diffondendo. Al termine della celebrazione don Rocco recitò una supplica a San Rocco che, nel 1300, si era acquistato fama di santità assistendo gli appestati nei pressi di Piacenza.

    La circostanza concreta che muoveva gli avvenimenti era stato il verificarsi nel lodigiano e da qualche giorno, di nume-rosi casi di contagio, un focolaio, che doveva essere a tutti i costi arginato: si aggiunga che, nella zona, a Codogno, centro assunto ad improvvisa celebrità, vi è un importante Istituto Agrario fre-quentato anche da studenti valtellinesi, rientrati per la vacanza di carnevale e quindi… Le decisioni delle autorità, li-mitatrici dei movimenti e degli assem-bramenti di persone quali cause di possibile contagio, crearono uno scon-quasso generale: fu disposta la chiusura delle scuole, gran parte delle partite del

    campionato di calcio furono rinviate e via via furono emanati provvedimenti di annullamento di spettacoli teatrali e altro ancora.

    Sul versante religioso giunse, nel primo pomeriggio, la notizia della chiusura al pubblico del Duomo di Milano: non vi potevano accedere i turisti ma, d’inte-sa con le autorità civili, erano sospese anche le funzioni religiose. Le diocesi lombarde, Como compresa, adottarono misure drastiche : sospensione delle funzioni, apertura delle chiese per la sola preghiera personale, funerali in forma strettamente privata, sospensione delle riunioni, delle attività di catechesi e di quelle degli oratori. I sacerdoti erano te-nuti a celebrare messa ma senza fedeli. La prima funzione ad essere annullata in Parrocchia fu la messa vespertina delle 18.00. A seguire, non si tennero i riti del mercoledì delle Ceneri (26 febbraio) e quindi il segno penitenziale dell’imposi-zione delle Ceneri.

    La gente si apprestò a convivere con l’emergenza: i più apprensivi affollarono il supermercato Iperal (non si sa mai...), tutti si assoggettarono alla dittatura de-gli INFLUENCER. Il termine era allora in grande uso per indicare personaggi in grado, per la loro notorietà e/o prestigio di orientare le opinioni del pubblico alla radio, alla televisione, sui social (mezzi di uso individuale ed istantaneo, estra-nei all’esperienza di vita del cronista), sui giornali. Ebbero maggiori ascolti i telegiornali e i programmi informativi: apparvero scienziati di varia autorevo-lezza e con opinioni non sempre con-

    cordi, rappresentanti istituzionali, politici dalla prima alla quarta Repubblica, volti di notorietà televisiva deputati a recitare messaggi per l’ igiene e la sobrietà dei costumi.

    Nella domenica 1 marzo, prima di Qua-resima, non furono celebrate messe e altri riti: non siamo in grado di dire se vi siano stati dei precedenti e quando, ma certo è un avvenimento straordinario nella storia delle parrocchie. L’attesa dei fedeli, al pari di quella di tutti i cittadini, era che l’autorità civile potesse ema-nare disposizioni meno rigide almeno per la settimana a seguire, ma ciò non è avvenuto. I vescovi lombardi, riuniti a Caravaggio lunedì 2 marzo, hanno con-seguentemente disposto la continuazio-ne delle misure in atto fino a sabato 7 marzo.

    Fra i vari provvedimenti ebbe grande importanza la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado: con le possibilità di internet, agli studenti delle scuole medie e superiori giunsero compiti e indicazioni per lo studio da parte dei loro insegnanti: le elementari operarono in modo simile con criterio più artigianale. La perma-nenza a casa dei ragazzi sottopose i nonni a maggiore lavoro: questi dette-ro prova di tempra robusta. La noia di giornate sempre uguali fu provvidenzial-mente smossa dalle veementi polemiche divampate sui mezzi di comunicazione a riguardo delle modifiche al calendario del campionato di calcio.

    Il n. 10 del settimanale della Diocesi dedica ampio spazio alla sospensione dei riti religiosi. Tutte le disposizioni del

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC16 17Anno Domini MMXX Anno Domini MMXX

    vescovo Mons. Oscar Cantoni richiama-no l’attenzione al valore della preghiera individuale e di quella in famiglia, alla lettura della Parola e alle possibilità of-ferte dai mezzi di comunicazione, alla comunione spirituale. Nella parte più giornalistica, il direttore, don Angelo Riva, è chiamato a dare il meglio di sé per contenere le osservazioni di alcuni lettori.

    Nella prima settimana di marzo si diffuse la notizia di lavori in corso all’Ospedale per l’accoglienza di malati: posti letto pregiati aventi le caratteristiche della terapia intensiva. Nel frattempo si ebbe notizia di medici e infermieri esperti in tecniche di rianimazione che accet-tarono di ritornare temporaneamente in servizio per irrobustire gli organici: esempi importanti di sensibilità umana e professionale. Si ebbe notizia dell’ar-rivo di pazienti ma sorsero discussioni sulle modalità di accoglienza in quanto le cure d’emergenza avrebbero provo-

    cato la riduzione drastica dell’attività ordinaria.

    Domenica 8 marzo Nella notte un de-creto del Presidente del Consiglio limita drasticamente la possibilità di movimen-to in Lombardia e altre zone del centro nord Italia. L’allarme è generale e av-vertito a tutti i livelli: gli ospedali lom-bardi, in gran parte dedicati alla cura delle conseguenze del virus sono vicini al collasso.

    La sospensione dei riti religiosi continua: la diocesi raccomanda che le chiese abbiano aspetto volto all’accoglienza: candele accese, disponibilità dei sus-sidi per la liturgia delle ore, indicazioni per le confessioni. Sono vietati i funerali (solo benedizione al cimitero): in paese la mortalità è a numeri normali ma i dati generali in Lombardia sono severi.

    Domenica 15 marzo, terza senza la messa domenicale Il Vescovo celebra dalla Basilica di Sant’Abbondio, in diret-ta su Espansione TV. Dalla Curia viene comunicato formalmente che le prime Comunioni e le Cresime saranno in au-tunno. Il Papa, all’Angelus, annuncia che tutte le celebrazioni pasquali avverran-no senza fedeli: manca ancora quasi un mese!

    NOTA DEL CRONISTA 22 MARZO 2020Quando ho cominciato credevo che una sola puntata bastasse. Mi sono sbaglia-to. Sappia il lettore che molto a malin-cuore debbo sforzarmi per una secon-da puntata che, con l’aiuto di Dio, vorrei fosse conclusiva. “Sperem”.

    Ero malato, morente e non avete potuto visitarmiQuesti momenti sono difficili per tutti, ma per tanti sono anche pieni di sof-ferenza fisica e morale, di angosciosa attesa e di dolore. Don Giusto Della Valle ci offre un breve pensiero che brilla davvero come un raggio di luce nelle tenebre.

    È il dramma di chi muore in questi giorni a causa del virus nel mondo intero senza poter ricevere la visita dei propri cari: muore da solo, alleviato dalla morfina.L’unica compagnia ai morenti è quella dei medici e degli infermieri occupa-tissimi nei reparti superaffollati. Nem-meno dopo la morte si può vedere la morte del proprio caro. Solamente le ceneri e un funerale sommesso.Si tratta di precauzioni giuste e motiva-te in una situazione straordinaria. Non poter accompagnare i propri cari alla morte lascia un senso di incompiuto, lascia un’angoscia mortale, l’angoscia di chi non può dare l’ultimo saluto su questa terra alla persona amata, di chi non può stringere la mano e ac-carezzare.Anche Gesù è morto solo e ha urlato “Dio mio, Dio mio perché mi hai ab-bandonato”. Prego perché le ultime parole dei morenti siano “A te Dio af-fido la mia vita, nelle tue braccia mi consegno”.

    Esprimo anch’io tutta la gratitudine ai medici, agli infermieri e a tutto il per-sonale ospedaliero: siete voi che ac-compagnate alla guarigione ma sono vostre anche le ultime parole che ac-compagnano i morenti.Che il Signore vi dia le parole e i ge-sti di accompagnamento perché siete voi il volto di Dio per i malati e i morenti in questo momento. E lo siete anche a nome nostro che vi sosteniamo con tanta stima e riconoscenza. Siete an-che l’orgoglio della nostra Lombardia e della nostra Italia.Cari famigliari che non avete potu-to accompagnare alla morte i vostri cari, che avete supplicato il personale ospedaliero per farvi entrare in came-ra, a voi manca questo passaggio che può lasciarvi in un’angoscia mortale tutta la vita oppure fidatevi di Dio, come un cieco che si lascia accom-pagnare nelle “valli oscure” della vita. E tutti con il telefono, con le preghiere e con le visite possibili, stringiamoci attorno a chi soffre, cuore a cuore.Chiediamo a Dio che questo flagello e tante miserie che affliggono l’uma-nità finiscano, chiediamo a Dio che illumini la mente degli scienziati e dei ricercatori, chiediamo a Dio infine che questa pandemia mondiale non faccia ulteriormente regredire l’umanità ver-so l’individualismo, la separatezza, i luoghi protetti per pochi ma ci renda fratelli capaci di affrontare insieme la prova e di trovare insieme vie d’uscita.Saluti cari

    Giusto Della Valle

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC18 19 RicordoRicordo

    Ritornerai, prima o poi ritornerai!

    Don Luciano Lanfranchi è nato a Semogo l’11 ottobre 1937 ed è morto a Morbegno il 4 dicembre 2019; è stato ordinato sacerdote il 23 giugno 1963. Noi lo ricordiamo perché è stato parroco della parrocchia di San Gottardo in Le Prese dal 1976 al 1990.

    Numerosi i lavori che ha fatto eseguire per la nostra chiesa. • Nel 1982, insieme al parroco della parrocchia di Frontale don

    Valerio Galli - lavori di ristrutturazione della chiesa della Madonna della Bior-

    ca a Grailé.

    • Nel 1984 ammodernamento della nostra chiesa di san Gottardo: - rimozione delle balaustre laterali e riutilizzo del marmo realiz-

    zando un sostegno della mensola del nuovo altare e un nuovo ambone,

    - tinteggiatura dell’esterno e dell’in-terno,

    - restauro delle due statue lignee di san Pietro e san Paolo che si tro-vavano sulla facciata esterna nelle nicchie in alto e che ora sono sull’al-tare maggiore ai lati di San Gottar-do,

    - lavori di ripulitura e argentatura dei tre lampadari,

    - acquisto nuovi banchi per la chiesa.

    • Nel 1987 insieme a Gelindo Sarmenti, Sergio Mazzetta ed Ezio Cappelletti è stato promotore di un “Comitato di paese” per la salvaguardia dei diritti di quei paesani che avevano subito danni in seguito all’alluvione del 18 luglio 1987.

    • Nel 1988 ha fatto tinteggiare le fac-ciate, rifatto il tetto e i serramenti della casa parrocchiale di Le Prese.

    Le informazioni che avete letto qui sopra sono state raccolte da Monica Cavazzi che ci propone, qui sotto, anche i suoi ricordi di un don che amava, magari a suo modo, i ragazzi.

    Don Luciano è stato il parroco che mi ha amministrato Comunione e Cresima. A quei tempi la prima Comunione si faceva in 3ª ele-mentare e la Cresima alle medie, comunemente in prima media, ma visto che a Le Prese dopo aver fatto la Cresima, i ragazzi non si facevano più vedere a catechismo, don Luciano aveva deciso di spostare il sacramento in terza media e noi del 1971 siamo stati i primi. Si occupava personalmente del catechismo e della preparazione alla Cresima attraverso un incontro a settimana, con tanto di compiti. L’aula di catechismo era in casa parrocchiale: c’era un tavolone grande attorno al quale stavamo seduti tutti e sette. Ricordo che la prima cosa che faceva don Luciano era controllare i compiti: passava dietro a ciascuno di noi e mentre leggeva il compito sul nostro quaderno, con la mano, ci dava dei gran pizzicotti sul braccio! Ho impresso nella mente questo episodio: un giorno, ci trovavamo sulle scale per entrare in casa

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC20 21parrocchiale, qualcuno di noi ha chiesto: “Chi ha il coraggio di controllare se il prete sotto la tonaca porta i pantaloni?” Un ragazzino di noi ha accettato la scommessa e, seguendo don Luciano, gli ha sollevato la tonaca. Lui più ve-loce di un fulmine è ruotato su se stesso e ha tirato uno schiaffo in faccia al ragazzino che per pochissimo non è caduto dalle scale! Don Luciano era un prete di altri tempi, erano altri tempi! Don Luciano non battezzava i figli dei non sposati, non voleva in Chiesa i divorziati, non ammetteva alla Cresima chi non andava a messa! Era severo, ma sapeva premiare chi partecipava alla vita comunitaria. Nello studio, in casa parrocchiale, aveva un armadio pieno di oggetti per noi ragazzini: dalle caramelle, ai libri, ai giocattoli. È stato il primo parroco a far fare il chierichetto anche alle bambine. Don Luciano amava pattinare sul ghiaccio e d’inverno, quando c’era il pattinaggio al

    Palazzetto a Sondalo, riempiva la macchina di ragazzini e partiva. Lo stesso faceva per portarci alle fiere. Don Luciano era un prete con cui potevi discutere di qualunque cosa, era sempre pronto a confrontarsi su qualsiasi tema e a quelli che si ritenevano superiori alla Chiesa e non volevano partecipare alla vita comunitaria ha sempre detto: “Ritornerai, prima o poi ritornerai!”.

    Monica Cavazzi

    EsperienzeRicordo

    Momenti di vita della Chiesa

    La rubrica “Esperienze” di questo numero riporta tre momenti di vita della Chiesa: un’ordinazione epi-scopale, l’avvio della missio-ne diocesana in Mozambico e la testimonianza di un valtel-linese, volontario dell’Opera San Francesco di Milano.

    L’Ordinazione episcopale è quella di Padre Giorgio Barbetta Manzocchi, prete dell’Operazione Mato Grosso in Perù, che è stato ordinato Vescovo l’11 febbraio 2020. Per l’occasione ha raggiunto la nazio-ne sudamericana un gruppo di suoi parenti ed amici di Ardenno e Berbenno: uno di loro, Daniele Manzocchi, ci ha trasmesso il pezzo che riportiamo. La nostra Parrocchia condivide con don Giacomo la gioia dell’evento. Il nuovo Vescovo sarà in Valtellina domenica 3 maggio, per celebrare, a Berbenno, una Santa Messa di ringraziamento.

    A fine gennaio ha formalmente preso inizio la missione diocesa-na in Mozambico con la presenza di un sacerdote, don Filippo Macchi, fino allo scorso dicembre vicario a Grosio. Lo hanno accompagnato il responsabile dell’Ufficio Missionario Diocesano, don Alberto Pini e don Alessandro Zubiani che, con don Filippo, ha condiviso tutto il percorso di formazione al sacerdozio. Don Alessandro ha trasmesso al giornalino il resoconto del viaggio.

    La terza esperienza è in forma anonima per richiesta dell’estenso-re: è un qualificato professionista valtellinese che presta servizio presso il centro di ascolto dell’Opera San Francesco di Milano: vi si reca una volta la settimana. La sua testimonianza è segno concreto di sensibilità e cultura verso la realtà dei poveri.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC22 23 EsperienzeEsperienzeUn Vescovo valtellinese in Perù

    Chi ha circa cinquant’anni sicuramente si ricorderà le “prove tecniche di trasmissione” a colori che la RAI programmava nei pomeriggi della metà degli anni 70. Sì, per quelli della mia generazione vedere i colori in TV non era cosa normale.Questa è la sensazione che ho avuto arrivando a Huari paese incastonato nelle Cordillera Blanca delle Ande Peruviane, a 3149 metri di altitudine; un’esplosione di colori dei fiori, delle case e soprattutto del tipico abbigliamento andino.Questo lungo viaggio per assistere all’ordinazione vescovile di Mons. Giorgio Barbetta, un padre (così in sud America chiamano i parroci) missionario dell’operazione Mato Grosso, rettore del seminario di Pomallucay, un Valtellinese, ma soprattutto un caro amico.In questa parte di mondo dove si cammina lentamente (ho prova-to a correre a 3000 mt s.l.m., ma credetemi è quasi impossibile), dove la povertà la tocchi con le mani e la senti col naso, dove sembra, per alcuni versi, di essere tornati indietro nel tempo, ho respirato la pace e la gioia di vivere in comunità.Io, mia moglie ed alcuni amici del Burbis (così viene chiamato il Padre Giorgio dai ragazzi dell’OMG e dai suoi amici) troviamo un paesino invaso da moltissime persone e completamente mo-

    bilitato per la preparazione della cerimonia; ci sembra naturale cercare di aiutare come possiamo.La sera stessa del nostro arrivo i seminaristi di Pom-mallucay presentano la Vi-spera (Viglia trad. letterale) un momento di preghiera e di riflessione.La mattina dopo Mons. Ivo Baldi Gaburri, Vescovo di Huari, celebra la messa con la consacrazione dei simboli Vescovili: la Mitra copricapo a due punte (dette cornua) che simboleggiano l’antico ed il nuovo testamento; il

    Pastorale, bastone del buon pastore dal manico ricurvo per recuperare la pecorella smarrita e dalla base appuntita per scac-ciare il lupo; l’Anello episcopale, la spo-sa del Vescovo, il simbolo di fedeltà alla propria diocesi ed alla Chiesa; la Croce Pettorale che fa riconoscere il Vescovo ed è segno visibile e materiale del legame con Cristo.Coordinati da Padre Lorenzo Salinetti, missionario Polaggino e caro amico di Mons. Giorgio, noi, gli amici del futuro Vescovo, molto emozionati prepariamo la nostra Vispera, presentando alcuni punti salienti della sua vita.Martedì 11 febbraio nella Chiesa di Hua-ri, gremita di parroci, vescovi e fedeli, Mons. IVO Gaburri vescovo di Huari con Monsignor Héctor Miguel Cabrejos Vidarte arcivescovo di Trujillo, affian-cano il nunzio apostolico Monsignor Nicolas Girasoli che ha presieduto il rito. Seppur una cerimo-nia solenne e quindi un rito molto formale, il tut-to si è svolto in un clima famigliare, per usare le parole di Monsignor Gi-rasoli “si è sentito il calore di tutti stringersi attorno al nuovo Vescovo”.Monsignor Giorgio Bar-betta Manzocchi è ora Vescovo ausiliario della diocesi di Huari.

    Per valorizzare questo im-portante momento ripor-tiamo la lettera che Padre Giorgio ha inviato a don Marco e ai parrocchiani di Ardenno alcuni giorni pri-ma dell’ordinazione.

    “Cari …Caro don Marco e ardenne

    si tutti,

    vi ringrazio perché so che mi accompagnate.

    Forse sentite, come sento io, che sono un

    pulcino

    che stanno buttando giù da un tetto

    per vedere se riesce a volare.

    Tremo.Volete tremare con me?

    Per sentire ciò che sento io, basta provare a regalare,

    a fare qualcosa per Dio.

    Non si vede.Non si sente.Ti sembra di buttar via la vi

    ta.

    Io sento che è l’unica cosa che mi dà speranza.

    Salto.Spero che ci sia Lui che mi

    accoglie.

    Vi mando un abbraccio.Vostro P. Giorgio Barbetta

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC24 25 EsperienzeEsperienzeCompagni di viaggi

    Raccolgo volentieri l’invito a scri-vere, anche per il giornalino della mia parrocchia di origine, una bre-ve cronaca e alcuni pensieri sulla bella esperienza che ho potuto vivere accom-pagnando don Filippo in Mozambico dal 29 gennaio al 6 febbraio. Il motivo del viaggio è presto detto: l’a-micizia con don Filippo, mio compagno di ordinazione sacerdotale e anche quella con Padre Giorgio Giboli, mis-sionario combinano originario di Pian-tedo (quindi ora mio parrocchiano … in contumacia), che opera in Mozambico da 36 anni e che sta aiutando nella pos-sibilità di aprire in quella terra una nostra missione diocesana.

    Dopo parecchie ore di volo e qualche scalo (Addis Abeba e Maputo), siamo sbarcati a Nampula nel tardo pomerig-gio del 30 gennaio, dove siamo stati accolti da padre Giorgio e in casa dei comboniani da padre Davide. Il mattino seguente ci siamo spostati subito nel-la missione di Ribaue, dove abbiamo condiviso un po’ della vita e del servizio di padre Giboli: una Messa nello stu-dentato femminile gestito dalle suore il venerdì sera; sabato mattina Messa con Battesimi in una comunità (che abbiamo raggiunto con 30 km di pista sterrata) e poi visita ad un’altra parrocchia (altri 50 km … e quindi poi 80 al rientro … per un totale di 8 ore di montagne … russe); la domenica abbiamo vissuto il giorno

    della Candelora (celebrazione durata quasi 3 ore) e nel pomeriggio visita a delle suore poco lontano e con strada buona. Il lunedì abbiamo portato don Filippo nel centro catechistico dove si sta prepa-rando con lo studio della lingua e cultu-ra Macua e martedì ci siamo concessi una giornata più “turistica” all’isola di Mozambico, antica capitale dei coloni portoghesi, fortificata e con un mare fan-tastico. Dopo essere passati a salutare ancora don Filippo nel pomeriggio … abbiamo cenato insieme a padre Gior-gio e padre Davide, prima di fare i ba-gagli per il volo del mattino successivo: quasi 24 ore tra voli, scali e ritardi (e l’avvistamento delle prime mascherine sul volto degli asiatici all’aeroporto di Addis Abeba), la mattina del 6 febbraio alle 7.00 siamo arrivati a Malpensa.

    Pur essendo stato un viaggio molto velo-ce e per forza di cose limitato ad alcune esperienze, ci si porta a casa comunque qualcosa di prezioso.Anzitutto la bellezza di un territorio rigo-glioso (in questa stagione delle piogge) e vario: siamo stati in città (caotiche, ma con tutti i servizi delle nostre), cittadine, paesini di capanne sperduti, su mon-tagne abbastanza selvagge, al mare e siamo passati da strade principali invi-diabili (molto meglio delle nostre statali) a piste sterrate allucinanti (molto meglio la nostra strada per Taronno!). È anche e soprattutto la bellezza del-le persone che abbiamo incontrato: un popolo segnato da molti drammi (il colonialismo prima, la guerra civile poi, la povertà, la corruzione, le ingiustizie

    attuali), ma giovane, sorridente, pieno di vita. Anche Papa Francesco ha volu-to essere in Mozambico lo scorso anno per incoraggiare i processi di pace, di sviluppo, di crescita di questo popolo e la speranza è che gli sforzi di queste persone possano essere premiati.Mi sono portato a casa anche la dedizio-ne, la testimonianza di fede, la capacità di essere in comunione di tutti i nostri missionari, che abbiamo avuto la grazia di incontrare: fanno un lavoro grande, ma soprattutto bello, pieno di umanità, percepito dalla gente come l’annuncio di un modo nuovo di essere uomini e donne, che ci viene donato dal Vangelo, dall’incontro con il Signore nella Messa (quanta gioia, quanta passione, quanta cura, quanti km a piedi per andarci!).Infine, mi porto a casa il sorriso, la libertà del cuore, la disponibilità di don Filip-po a partire per questa nuova parte del

    suo servizio alla nostra Chiesa di Como: essere prete fidei donum in terra di mis-sione. Sono certo che farà del bene alla gente di laggiù, ma dopo questo viaggio sono certo che la sua esperienza farà bene soprattutto a noi qui in Italia e in occidente. Ci sono molte cose che diamo per scon-tate (la presenza dei sacerdoti, il numero delle messe, le pratiche della fede come un diritto che ci spetta…) e che invece laggiù sono percepite come un dono, che richiede un cammino, ma che poi si rivela una festa per l’incontro con il Signore che dà luce e senso nuovi alla vita. Sono partito pensando di fare una cosa bella accompagnando don Filippo e visitando padre Giorgio, ma devo dire che è molto di più ciò ho ricevuto dalla loro amicizia e dall’incontro con quella terra, quel popolo, quella Chiesa.

    don Alessandro Zubiani

    Da sinistra: Padre Giorgio Giboli,

    don Alberto Pini, don Filippo

    e don Alessandro

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC26 27 EsperienzeEsperienze“Molti parlano dei poveri, ma pochi parlano con i poveri”

    (Madre Teresa di Calcutta)

    Quando, molto tempo fa, ho letto questa affermazione, ho trovato che essa fotografava quasi perfettamente il por-tato della mia esperienza, perché spesso sentivo parlare (straparlare sarebbe forse il termine più appropriato) dei poveri e della povertà, ma non conoscevo nessuno che con i poveri ci parlasse o, perlomeno, che dicesse di farlo; e del resto non lo facevo neppure io.Mi sono trovato a farlo, e con una certa continuità, poco più di tre anni or sono, quando ho iniziato a prestare la mia opera di vo-lontario presso il centro di ascolto e di orientamento al lavoro dei Volontari Francescani a Milano. Non ho impiegato molto tempo a rendermi conto che i poveri, quelli in carne ed ossa, poco hanno a che fare con l’immagine stereotipata ed intrisa di buonismo che ci è trasmessa da testi come il libro Cuore. Per essere sinceri sino alla brutalità, i poveri sono quasi sempre ignoranti, spesso sgradevoli nell’aspetto, talora sono chiaramente dei bugiardi matricolati, non di rado appaiono persino indisponenti; e più sono poveri più sono ignoranti, sgradevoli, bugiardi ed indisponenti. Ce n’è abbastanza per capire perché non ci sia in giro molta gente che ha voglia di parlare con loro.

    Dopo questo impatto non proprio incoraggiante ho cominciato a chiedermi se le mie prime impressioni rispondessero davvero all’immagine che mi ero frettolosamente fatto di questi miei simili ed a chiedermi se anche dietro un panorama così desolante non si nascondesse una sostanza umana tale da lasciare un margine a quella esaltante componente dell’animo che si chiama speran-za. E queste righe vogliono essere un po’ il sunto delle riflessioni cui sono giunto attraverso la diuturna fatica maturata sul campo ed il costante confronto con i colleghi che hanno condiviso e condividono con me questa esperienza.Le persone (in gran parte immigrati, ma non sono rari gli italiani) che bussano alla porta di strutture come quella dei Volontari Francescani ci sottopongono quasi sempre, in prima battuta, un problema specifico; generalmente l’esigenza è quella di trovare

    un lavoro, ma talvolta si tratta di trovare un letto in cui dormire, di ottenere il duplicato di un documento smarrito, di avere il rilascio od il rinnovo del permesso di soggiorno. Nella maggior parte dei casi la loro condizione economica è quella di una precaria sopravvivenza ed è fin troppo facile cadere nel corto circuito mentale secondo cui i poveri sono ignoranti. Sul finire del secolo XIX, quando iniziava la riflessione sul sottosviluppo dei popoli soggetti al dominio coloniale, si affermò che la povertà derivava dal clima culturale, con evidente riferimento al fatto che tra africani e gli amerindi non era ancora nato un Adam Smith; facile ironiz-zare, come fu autorevolmente fatto, che ciò equivale a dire che la povertà deriva dalla pauvretè, ma resta il fatto che la bronzea legge antropologica per cui la povertà inchioda alla miseria e la miseria inchioda alla povertà è veramente difficile da spezzare. Ma le ristrettezze materiali non sono l’unico aspetto tragico della situazione del povero. Dover lottare quotidianamente per un tozzo di pane sempre aleatorio genera spesso un drammatico calo di autostima in chi vede, intorno a sé, un’ostentata opulenza da cui egli irrimediabilmente è escluso; e non c’è da stupirsi se chi vive questa condizione non sia molto ben disposto verso chi, come anche i volontari, egli vede come una parte di quel mondo. Que-sto senso di esclusione e di inadeguatezza si riflette anche nella natura dell’attesa che egli ripone nel volontariato; nella persona che gli sta di fronte egli vede qualcuno che dispone della bac-chetta magica per risolvere il suo problema immediato; e siccome così non è, può diventare anche indisponente.

    Che fare allora? La risposta, come tutte quelle che si ispirano al messaggio evan-gelico, è di una semplicità disarmante (anche se ciò non significa che sia facile tradurla in un’azione concreta): se si vuole parlare con il povero bisogna anzitutto ascoltarlo, bisogna ridargli quella voce che, nei fatti, gli viene spesso negata al pari del pane. Rac-contandosi egli avrà modo di trovare non di fronte, ma accanto a lui, un altro essere umano che, come lui, non ha in tasca la soluzione dei problemi ma che è disposto ad accompagnarlo per un pezzo di strada. E questo è già un primo passo del cammino che può portarlo ad acquisire una maggior fiducia nei suoi mezzi ed alla consapevolezza che l’esito della sua ricerca non dipende da un inesistente taumaturgo ma anche, e soprattutto, da lui.Non sempre sono riuscito ad attenermi a questa regola. Troppo spesso mi lascio vincere dalla tentazione del predicozzo morali-stico (“Non è così che ci si comporta” “Devi fare anche tu la tua

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC28 29 L’intervistaEsperienzeparte”) o del pezzo didascalico (“Devi sapere che…” “Le cose non stanno come tu credi”), Ma quando ho saputo respingere la tentazione ho avuto spesso la gioia di scoprire che dietro quelle frasi pronunciate in un italiano approssimativo, quegli abiti di-messi e quegli atteggiamenti irritanti si nascondevano ricchezza umana, conoscenza del mondo e cultura (se per cultura si intende il possesso di un saldo sistema di concetti e di valori). Mi si dirà: “Ma questa è solo mistica, bisogna pure che qualcuno richiami l’interlocutore al suo dovere di aiutarsi se vuole essere aiutato”. No; tutto quello che il volontario deve fare è stimolare il racconto con poche domande opportunamente calibrate.

    Certo, ci sono casi apparentemente disperati, che porterebbero a fare il possibile per “condire” con quattro parole, al solo fine di allontanarla, una persona per la quale non si intravvedono concrete possibilità. E di poter dedicare il proprio tempo a casi in cui l’esito positivo sembra più probabile. Ma anche se le 99 pecorelle, a differenza di quelle della parabola, non sono del tutto al sicuro sul monte, il buon pastore deve trovare anche il tempo di cercare la pecorella smarrita. Recentemente mi è accaduto di ricevere la domanda di iscrizione alla scuola di italiano per stra-nieri (alla quale il centro di ascolto fornisce il servizio di segreteria) presentata da un giovane senegalese praticamente analfabeta: non sapeva una parola di italiano e masticava a malapena un po’ di francese, non sapeva né leggere né scrivere. Eppure questo ignorante nel senso letterale del termine veniva da tre anni passati girando l’Europa ed arrangiandosi, se sono riuscito a capire bene il suo racconto, con lavoretti saltuari; e giunto nel nostro paese il suo primo obiettivo è stato quello di imparare l’italiano. Non so se Kahled entrerà nel numero di quelli che “ce l’hanno fatta”. La razionalità mi porta a credere di no, le condizioni di partenza non lasciano molto spazio all’ottimismo. Che impari l’italiano non dipende da me, ma dal talento dei colleghi che si occupano di questo servizio, oltre che da lui. Ma se riuscirà ad acquisire questo indispensabile strumento e sarà in condizione di cercarsi un lavoro io e i miei colleghi gli dedicheremo la stessa attenzione che riserviamo a quelli che in confronto a lui, ultimo tra gli ultimi, possono esser classificati, per rubare l’espressione ad un anziano collega, tra i penultimi. Dopotutto la posizione in classifica di tutti, anche di ciascuno di noi, dipendono da chi, la classifica, la stila. E chissà che qualcuno non collochi, con serena convinzione, uno di noi all’ultimo posto.

    ***

    Un giovane impegnato e coinvolto nella Croce Rossa Italiana...a cura di Orsola Genovese

    Sono Raffaele Sambrizzi e da poco mi sono trasferito a Mon-dadizza nella casa del mio bisnonno. La mia infanzia l’ho trascorsa a Sondalo partecipando alle attività parrocchiali, ai grest e ai campi estivi fino a divenire animatore. Sono stati anni formativi e di crescita in un ambiente sano e costruttivo insieme a Don Feliciano.

    Il tuo sogno nel cassetto?Un sogno nato nel 2009: ero in terza media quando un istruttore della C.R.I. è venuto a scuola ad insegnarci le nozioni base del primo soccorso e poi ero ispirato anche dall’opera della mia vicina di casa Rosanna Pozzi che vedevo spesso indossare fieramente la divisa dei Volontari del Soccorso della Croce Rossa, soprattutto nell’assistenza sanitaria durante la Novena della Madonna di Tira-no. In quell’anno ho iniziato a frequentare il corso d’accesso per i Volontari a Bormio. Ho avuto così modo di apprezzare le attività della Croce Rossa che vanno ben oltre l’aspetto sanitario, l’unico spesso noto alla maggior parte delle persone. Infatti essa è molto attiva in ambito sanitario, dove effettua formazione ed educazio-ne, trasporti sanitari, trasporto in regime di emergenza-urgenza convenzionandosi con il Sistema Sanitario Na-zionale e Regio-nale. Ma oltre a questo ci sono innumerevoli at-tività a livello di protezione civi-le, di diffusione e studio del Diritto Internazionale Umanitario, di at-tività sociali e at-tività dei giovani per i giovani rivol-te all’educazione

    RCP Piazza Garibaldi

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC30 31 L’intervistaL’intervistaalla salute, per sensibilizzarli a stili di vita sana e affrontando tematiche importanti per il loro sviluppo. Terminato il corso, nella primavera del 2010, si è aperta la possibilità di creare in Alta Valle con alcuni giovani under 32 che avevano fatto il corso con me, il Gruppo Pionieri di Bormio. Sono stato nominato responsabile del gruppo, impegno importante, vista l’allora natura giuridica pubblica di Croce Rossa. Come giovani ci occupavamo di realiz-zare attività di animazione per bambini e persone diversamente abili (molto significativa è stata la collaborazione con la Casa Alloggio Socio Sanitaria “La Sorgente” di Valdisotto). Per le attività di protezione civile spesso ci veniva chiesto il montaggio delle tende pneumatiche per assistenze e manifestazioni soprattutto in montagna. Terminato il corso d’accesso per Volontari e quello per “Operatore Trasporto Infermi”, ho fatto la prima esperienza come lavoratore dipendente, accompagnando pazienti dell’Alta Valle, per la dialisi presso la struttura di Bormio. È stata un’espe-rienza significativa, in quanto il tempo trascorso con il paziente, rispetto al servizio emergenza-urgenza, è maggiore e si creano legami molto forti, un aspetto che ora mi manca molto, perché tale trasporto oggi non è più affidato alla C.R.I.

    Dopo questo percorso formativo hai cambiato attività?Nel novembre 2010, terminato il corso formativo di “Operatore Servizi Emergenza Sanitaria” di 120 ore e con il superamento dell’esame di Certificazione Regionale per Soccorritori Esecuto-ri, ho ottenuto l’abilitazione ad effettuare servizio di emergenza urgenza in ambulanza, attività che da dieci anni svolgo regolar-mene.

    Il settore giovanile però ti è rimasto nel cuoreOltre al servizio ambulanza ho continuato nel settore giovani dove ho lavorato sia a livello locale sia provinciale. La Croce Rossa in questi anni si è trasformata da ente pubblico a ente privato, eli-minando le vecchie componenti volontaristiche passando da sei a tre settori: Volontari C.R.I., Corpo Militare e Infermiere Volontarie (le ultime due sono rimaste immutate in quanto Ausiliarie delle Forze Armate). I giovani hanno lasciato le attività di animazione e protezione civile a favore dell’attività formativa. Viene promossa la cittadinanza attiva: i ragazzi si formano per sviluppare cono-scenze appropriate e formare quindi altri giovani, la cosiddetta “Peer Education” ovvero educazione tra pari. I giovani volontari, nella nostra provincia, in questi anni, sono stati impegnati con coetanei in due campagne della Croce Rossa molto importanti: “Educazione sessuale e malattie Sessualmente Trasmissibili” ed

    “Educazione sicurezza stradale”. Per preparare i volontari alla for-mazione abbiamo ospitato in provincia due campi nazionali della durata di quattro giorni con docenti e volontari provenienti da tutta Italia, conoscendo realtà al di fuori dalla nostra: esperienza molto interessante ed educativa. I volontari, in queste occasioni, dopo una adeguata formazione, che è la base fondamentale, e superati gli esami di idoneità, possono effettuare attività di do-cenza. Significativo è stato il Campo Giovani 2015 “La Valle delle Meraviglie” organizzato dalla C.R.I. e dal Ministero dell’istruzione dell’Università e della Ricerca, a Madonna dei Monti. Insieme ad un collega, nostalgico come me degli oratori e dei campi estivi, ho organizzato un campo nella struttura della parrocchia, con venti ragazzi dai 14 ai 20 anni, provenienti da tutta Italia, il più lontano era di Gallipoli (vedi foto sotto). È stata una settimana tosta, in quanto responsabile del progetto. Abbiamo presentato ai ragazzi la C.R.I. unendo il tutto ad attività ludiche ed escursioni tra Val Zebrù e Val Viola. È stata una soddisfazione immensa, in quanto oggi trovo tanti di questi ragazzi in C.R.I., a dimostrazione di quanto la nostra passione che ci ha spinto e guidati in quei giorni insieme, sia riuscita a coinvolgerli e guidarli nella loro vita.

    È bello sentire questo tuo coinvolgimento e infatti sei andato oltre…Nel dicembre 2015 ho deciso di intraprendere la carriera profes-sionale di autista soccorritore, diventando dipendente della C.R.I. lavorando a tempo pieno (38 h settimanali) sulle ambulanze. Con-trariamente a ciò che spesso si pensa, l’attività principa-le non è quella di autista, ma di soccorritore. In-fatti la maggior parte dei mezzi di soccorso non ha l’equipaggio sa-nitario (medici e/o infermieri) ma solo soccorritori (MSB mezzo di soccor-so di base). In casi gravi, insieme all’in-vio del MSB può es-sere inviato un mez-

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC32 33 L’intervistaL’intervista zo di soccorso avanzato con sanitari a bordo (su ambulanza, auto o eli-cottero). Dal 2017 sono anche docente abilitato alla formazione per cor-si di abilitazione all’uso del defibrillatore semi-automatico esterno (DAE) alla popolazio-ne, per formare i soc-corritori, aggiornarli, prepararli e abilitarli per operare nel si-stema di emergenza-urgenza. Importante in ambito formativo è

    stato il Progetto Sperimen-tale “Anticipando la Buona Scuola” di AREU, quando gli

    istruttori regionali della C.R.I. hanno formato sul primo soccorso e abilitato all’uso del DAE tutti i ragazzi delle classi quarte delle scuole secondarie di secondo grado della provincia di Sondrio negli anni 2017/18. In questi giorni ho intrapreso un’altra scelta importante riguardo il mio futuro; ho infatti accettato una nuova proposta di lavoro che mi porterà a lavorare a Bergamo nella Sala Operativa Regionale Emergenza Urgenza delle Alpi in qualità di Tecnico di Centrale. Questa centrale gestisce infatti le richieste di soccorso delle provincie di Bergamo, Brescia e Sondrio, dalla ricezione della chiamata dal cittadino fino all’ospedalizzazione del paziente. Una scelta difficile che mi porterà lontano da casa, ma sarà stimolante e molto formativa.

    Come vedi l’esperienza di soccorritore?È una scelta che richiede coscienza e responsabilità, in quanto è un’attività impegnativa, sia da dipendente che da volontario. Bisogna mettere impegno per il percorso formativo, per l’aggiornamento costante ed obbliga-torio, per i turni e inoltre nel garantire costantemente la propria disponibilità. Di contro riuscire ad aiutare il prossimo, anche soltanto con una parola di conforto, è indubbiamente la retribuzione più grande, anche se spesso ti trovi davanti a situazioni pesanti per la bru-

    talità degli scenari, perché entri nella vita delle persone, magari anziane, sole o con disturbi psichici, spesso vittime dell’abban-dono e del menefreghismo, caratteristiche della società d’oggi. In ogni situazione bisogna riuscire ad “entrare in punta di piedi” nella vita di queste persone, che forse conosci anche, senza essere invadenti, creando un contatto, un’empatia, senza crea-re contrasti o muri ... a volte è proprio difficile. Il nostro compito come soccorritori è quello di essere “i cinque sensi” della centrale operativa. Tramite protocolli chiari e ben definiti effettuiamo una valutazione del paziente e siamo preparati all’uso dei presidi di immobilizzazione e trasporto, per gestire pazienti traumatizzati o non, fino all’ospedalizzazione. Questo lavoro è principalmente di attesa e, quando esci con i mezzi, non sai mai cosa trovi, fino all’arrivo sul posto. Tanto impegno, ma soprattutto tante emozioni. A volte subentra l’amarezza quando ci troviamo impotenti davanti al destino, altre volte, nel tornare a casa, ti senti felice perché hai fatto qualcosa per migliorare la vita di qualcuno.

    L’opera umana

    più bella

    è di essere utili

    al prossimo.Sofocle

    CROCE ROSSAFondatore della Croce Rossa fu Henry Dunant che durante il suo soggiorno per lavoro in Italia, nel 1859, assistette ad uno degli eventi più drammatici della storia dell’indipendenza d’Italia, la battaglia di Solferino tra l’esercito franco-piemontese e quello austriaco. Rimase impressionato dal numero dei morti e dalla disorganizzazione delle forze militari nel recupero e cura dei feriti e perciò decise di prestare aiuto nei soccorsi.Così nacque in lui il progetto di costituire associazioni di volontari per offrire soc-corso ai feriti in caso di conflitti. Assieme a quattro cittadini svizzeri a Ginevra, nel 1863, fondò il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Oggi il movimento è costituito dal Comitato Internazionale della Croce Rossa con sede a Ginevra, dalla Federazione Internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e dalle 192 Società Nazionali (la più grande organizzazione umanitaria del Mondo).La sua missione umanitaria consiste nel proteggere la vita e la dignità delle vittime dei conflitti armati e ridurre la sofferenza umana tramite la diffusione dei principi umanitari e del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) ed è una delle poche organizzazioni ad avere accesso, portando aiuto umanitario, alle zone di guerra e di conflitto, instaurando dialogo con gli Stati e visitando prigionieri di guerra o politici. È stata insignita per tre volte del premio Nobel per la pace perseguendo ancora oggi i sette Principi Fondamentali: Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontarietà, Unità e Universalità applicandoli anche nelle attività nel campo della salute, del sociale, dell’emergenza, dei giovani e dello sviluppo.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC34 35IncontroIncontroPassione per uno sport minorea cura di Carlo Zubiani

    Incontro brevemente Giorgio Amedeo Pancera in occasione del-la morte di suo padre, nostro vicino di casa garbato e sensibile. Anche i ragazzi lo ricordano per i suggerimenti dispensati nelle varie aeree sportive del paese e per le conversazioni che ogni tanto intavolava con loro. L’incontro è occasione per una breve rivisitazione del passato sportivo di Giorgio.

    Giorgio, sondalino di nascita, ricorda la sua infanzia sondalinaLa mia famiglia venne a Sondalo, come tante altre, al seguito del papà, origine contadina della bassa pianura padana, ammalato di TBC: dopo le cure in sanatorio e la guarigione, l’inserimento nel paese fu ottimo e non vi fu più ritorno a San Benedetto Po, dove era nato nel 1931. Io e mio fratello Andrea siamo cresciuti a Sondalo. La mia infanzia, i miei compagni di scuola e gli amici con cui tutt’ora ho ottimi rapporti sono Sondalini.

    Da dove viene la passione per il tennis tavolo?Il papà era appassionato di sport minori, in particolare il tennis tavolo, fu prima giocatore e successi-vamente allenatore.

    Gli inizi?Nei primissimi anni 80 mio padre fondò la Società Sportiva Tennis Tavolo Sondalo, inizialmente presente nelle competizioni del CSI per poi affiliarsi alla federazione del settore (FITeT). Inizialmente le sedi per gli allenamenti furono gli storici Bar Rio e Luce dotati di tavolo. Successivamente ci spostammo all’o-ratorio con una sala a nostra completa disposizione corredata da due campi di gara: quando poi il Comune edificò il palazzetto dello sport traslocammo definitivamente al-lenandoci nella palestra principale.

    Dove si pratica il tennis tavolo a livello agonistico in Italia?E’ presente in tutta Italia ma spiccano per tesserati e alto livello le regioni Lombardia, Toscana e Sicilia.

    A quale esperienza/risultato sei particolarmente legato?Di competizioni ne ho fatte innumerevoli, tra tornei individuali e campionati a squadre, ma quelle a cui sono particolarmente legato sono: primo classificato al torneo nazionale di Padova, convocazione in nazionale CSI per Europei in Francia, titolo Ita-liano CSI a VITERBO.

    Quali gli insegnamenti dell’attività sportiva?I più importanti sono quelli di mio papà che mi ha insegnato i valori veri della vita, fatti di sacrificio per otte-nere qualcosa di importante, dove nessuno ti regala niente anche nell’ambiente competi-tivo e meritocratico del tennis tavolo. Dal suo esempio ho im-parato l’impegno quotidiano, il sudare ogni giorno in palestra e su questo ho costruito la mia carriera sportiva che mi ha por-tato a girare l’Italia e l’Europa e diventare il n. 40 assoluto in Italia.

    Il gruppo tennis tavolo in oratorio

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC36 37 Attività economicheAttività economicheIl distretto farmaceutico valtellinesea cura di Carlo Zubiani (terza parte)

    DA SOCIETÀ BIEFFE A BAXTER

    L’acquisizione del gruppo Bieffe da parte di Baxter fu comu-nicata a inizio aprile 1997, ma dovette attendere il via libero definitivo delle autorità del mercato e della concorrenza europee. L’interesse della Baxter era quello di favorire la propria strategia di innovazione tecnologica utilizzando quanto sviluppato da Bieffe con il Clear Flex. Da considerare inoltre il vantaggio competitivo offerto dai bassi costi di produzione di Bieffe e dal portafoglio clienti, inclusi circa duemila pazienti in terapia di dialisi domici-liare.A partire da inizio 1998 i tecnici Baxter studiarono a fondo la tecnologia Clear Flex per migliorare ulteriormente il prodotto e la macchina che forma, riempie e salda la sacca. Fu così sviluppato il prodotto Viaflo: sacca Clear Flex da 50 a 1000 ml per infusione, migliorata nel disegno e nel tipo di valvola di deflusso. Durante lo sviluppo del prodotto i tecnici migliorarono anche il film e ag-giornarono di conseguenza. Questo lavoro comportò la costruzione a Campocologno di macchine Clear Flex per Viaflo, il potenziamento delle linee di produzione del film a S. Vittore (Svizzera) e la sostituzione delle macchine esistenti negli stabilimenti europei del gruppo (Spagna, Inghilterra, Irlanda, Polonia) che stanno tuttora fornendo ospedali di tutta Europa e oltre, inclusi gli Stati Uniti d’America.Gli stabilimenti Bieffe in Italia, Svizzera, Spagna e Tunisia sono tutti diventati stabilimenti Baxter e godono di importanti investimenti per adeguare la capacità produttiva e garantire alti standard qualitativi , di sicurezza e di sostenibilità.Tra gli investimenti più significativi realizzati a Grosotto ci sono gli impianti di automazione della produzione Clear Flex e la recente centrale a Biomassa che ha consentito di eliminare l’utilizzo del combustibile a basso tenore di zolfo (BTZ) per la produzione del vapore necessario.Questo ha comportato importanti iniziative nella formazione del personale e nella Ricerca applicata. Solo a Grosotto è stato at-

    tivato un importante polo di ricerca con l’impiego di circa 50 giovani laureati provenienti da tutta Italia, ora ricollocati in altre sedi europee a seguito di una riorganizzazione del settore.Grosotto ha continuato a garantire la produzione Clear Flex per tutti i formati superiori al litro, destinati soprattutto all’Urologia e alla Dialisi. È l’unico stabilimento del gruppo a produrre in Eu-ropa le soluzioni in flacone di vetro per infusione e nutrizione. Grazie alla professionalità dimostrata e agli impianti altamente automatizzati, negli anni sono stati trasferiti a Grosotto prodotti in flacone di vetro da altri stabilimenti del gruppo non più competitivi. Con l’integrazione di Grosotto nella struttura della multinazionale sono state centralizzate tutte le funzioni non strettamente legate all’attività di stabilimento.Dopo l’acquisizione da parte di Baxter del gruppo Gambro, a fine 2016 lo stabilimento di Sondalo è stato incorporato nella Bieffe di Grosotto e da inizio 2018 i due stabilimenti sono unificati anche dal punto di vista di gestione, con un’unica struttura organizzativa che copre tutte le funzioni. Questo favorisce sinergie e ottimizza-zione delle risorse e dei costi. Dal punto di vista occupazionale i dipendenti sono circa 700, oltre all’indotto su imprese di manu-tenzione, impiantistica e logistica.A distanza di quasi cinquant’anni il cerchio si è chiuso...

    CONCLUSIONI Dal punto di vista insediativo gli stabilimenti originari di Sondalo e Grosotto occupano aree abbastanza marginali per ubicazione, pregio paesistico ed eventualmente agricolo. Le aziende sorte in tempi successivi hanno trovato spazio in zone artigianali indivi-duate dai Comuni nei piani regolatori: le difficoltà insediative sono comunque state presenti per lungo tempo anche a causa della

    Lo stabilimento di Grosotto, la cui costruzione è stata iniziata dalla Bieffe a metà degli anni 1970, sorge su un’area di 70.000 mq di cui circa 30.000 coperti. Il fabbricato bianco a destra è la centrale a biomassa recentemente fatta costruire dalla Baxter per la produzione del vapore. La scelta ha anche il significato morale dell’impiego di una fonte rinnovabile e reperibile in loco.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC38 39 La voce della storiaAttività economiche rigidità degli strumenti urbanistici generali e attuativi (a Sondalo, Piano per gli Insediamenti Produttivi).Il fattore di localizzazione principale è già stato indicato nella disponibilità d’acqua. Lo stabilimento di Mondadizza è stato a lungo servito dall’acquedotto comunale: in tempi successivi è stato anche scavato un pozzo. L’acqua a Grosotto è, da sempre, fornita da due pozzi.Le attività farmaceutiche che abbiamo cercato di descrivere nel loro sviluppo sono assai importanti per l’occupazione. Negli anni è anche notevolmente cresciuta la specializzazione degli addetti e la necessità di qualificazioni elevate: le aziende multinazionali sono molto attente alle esigenze di formazione degli operatori. Sono rilevanti le attività di trasporto originate dagli stabilimenti soprattutto per il trasferimento dei prodotti finiti verso i grandi centri di smistamento: Medolla nel reggiano e Monselice nel basso padovano. I centri locali di produzione hanno magazzini efficienti, ma di capacità limitata: per ciascuno degli stabilimenti di Sondalo e Grosotto i materiali in entrata comportano l’arrivo di sei mezzi pesanti al giorno, in uscita ne necessitano almeno 17. L’importanza economica del settore va ben oltre il dato degli occupati: stabilimenti di questa importanza sono assai significativi per le attività costruttive e manutentive, edili ed impiantistiche. Le attività ricettive devono soddisfare esigenze di soggiorno di operatori e visitatori qualificati. Vi è inoltre un beneficio indiretto non quantificabile: la diffusione in tutto il mondo dei prodotti ha un significato enorme per la co-noscenza della Valtellina con ripercussioni favorevoli anche su altri settori dell’economia locale.

    Dalla miseria alla povertà dignitosa

    La prima metà del 1800 è stato uno dei periodi più critici per l’econo-mia valtellinese. Questa situazio-ne ha dato origine ad inchieste, studi e discussioni sviluppati negli ambienti di notabili e intellettuali valtellinesi resi-denti a Milano. Sono personaggi com-petenti di notevole levatura morale, proprietari terrieri e profondi conosci-tori delle condizioni e della mentalità della loro gente, che avevano a cuore. Gli studi e i dibattiti si svolgono a Mila-no perché la Valtellina era socialmente arretrata. Milano era il centro culturale più avanzato d’Italia e il luogo dove si stava formando una classe borghe-se istruita, centro di diffusione della stampa mediante la quale si stava avviando un lento ini-zio di opinioni e dove vengono pubblicati gli studi e le ricerche più importanti sulla Valtellina. Rilevanti, tra gli altri, sono gli scritti di Francesco Visconti Venosta e Luigi Torelli. Venosta pubblica nel 1844 “Sulla sta-tistica intorno alla Valtellina” da cui risulta che su un totale di 91.453

    abitanti solo 11.803 non si occupano di agricoltura (nobili, professionisti ecclesiastici, commercianti, artigiani) “persone la maggior parte estranee” (forestieri stabiliti nel paese). Ne con-segue che 81.650 abitanti sono oc-cupati esclusivamente in agricoltura con metodi di lavoro che duravano da secoli. Rileva come l’eccessivo disboscamento praticato dai comuni fosse causa di slavine e frane e la flot-tazione dei tronchi dirottati nelle acque dell’Adda provocassero allagamenti e danni sbattendo contro gli argini e i ponti. Luigi Torelli (che sarà nominato go-vernatore della Valtellina e poi Mini-stro dell’Agricoltura nel Regno d’Italia) pubblica nel 1845 “Sulla condizione presente della Valtellina”; concorda con il Visconti ed osserva la pericolo-sità nell’incremento della monocoltura della vite poiché per un’economia for-te occorrono coltivazioni agricole va-riate. Infatti quando nel 1852 i vigneti vengono invasi dalla peronospera e

    nell’ultimo decennio del secolo dalla filos-sera, l’economia del-la Valle subirà un crol-lo che intensificherà l’emigrazione. Questi studi costituiscono la base per la fondazione della “Società agraria valtellinese” che ave-va come scopo il mi-glioramento dell’agri-coltura e denunciava le cause dell’arretratezza. A cura della stessa vie-

    Anno 1999 inaugurazione a

    Tovo S. Agata del nuovo stabilimento

    Haemopharm dovuto all’iniziativa di Paolo

    Gobbi Frattini che continua la tradizione

    familiare iniziata dal padre Renzo nel

    1960.

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC40 41 La voce della storiaLa voce della storiane pubblicato nel 1858 l’“Almanacco Valtellinese” con di-vulgazioni culturali, statistiche, notizie e discussioni sull’eco-nomia della Valtellina. Quando il principe Massimiliano d’Asbur-go, in visita ufficiale, attraversa la Valle rima-ne impressionato per le miserevoli condizioni della gente ed incarica un suo alto funzionario, Stefano Jacini, di svolgere una indagi-ne sulle cause di tale situazione. Nell’a-gosto 1858 Jacini pubblica “Sulle con-dizioni economiche della provincia di Sondrio”. Concorda su molti punti col Venosta e col Torelli. Fa anche rile-vare come la posizione marginale del nostro territorio, la montuosità, il clima, l’isolamento e l’asservimento secolare avessero determinato uno stato di arre-tratezza rispetto alle altre provincie lom-barde. Mette soprattutto in evidenza la prima causa della miseria dovuta all’ec-cessiva e assurda tassazione, ai dazi con la conseguente mancanza di dena-ro, l’assenza di crediti, il frazionamento dei terreni, le alte spese per i passaggi della proprietà, la mancanza di istruzio-ne, la scarsa capacità imprenditoriale, i danni del disboscamento, il supera-mento dei contratti a livello e infine gli impoverimenti causati dai precedenti governi grigionese e napoleonico. Conclude che, oltre all’agricoltura e all’allevamento, occorrono migliori tec-niche produttive con scambi di prodotti

    concorrenziali che privilegiano il commercio, il lavoro e il gua-dagno. La situazione di Sondalo segue l’andamento politico ed econo-mico provinciale. Nelle zone montane, come la nostra, si mantiene un grande fraziona-mento della proprietà con un forte attaccamento e amore per la terra che assicurava la stabilità, ma anche l’inva-riabilità economica, che ha, come conseguenza, una

    stentata sopravvivenza con un faticoso lavoro a forza di braccia e con scarse attrezzature. (Vedi foto battitura del gra-no saraceno col correggiato).

    Nella media e bassa Valle erano diffu-si i contratti a livello. Proprietari terrieri stipulavano contratti agrari di lunga du-rata con un compenso fisso annuale in natura al netto delle spese. Il possesso era condizionato dalla rendita. I conta-dini avevano l’illusione della proprietà ed i padroni la certezza della rendita che, essendo fissa, non permetteva variazioni di colture.

    QUANDO NOI SIAMO DIVENTATI ITALIANICon la pace di Villafranca dell’11 luglio 1859 la Lombardia viene annessa al Re-gno Sardo-Piemontese che prenderà formalmente il nome di Regno d’Italia il 17 marzo 1861 con la proclamazione (a Torino) di Vittorio Emanuele II a Re d’I-talia e viene dato l’appellativo di Italiani alla popolazione. L’unità d’Italia non si compirà nel 1861, ma solo dopo la se-conda guerra d’indipedenza del 1866, la presa di Roma del 1870 e la “grande guerra” del 1915-1918. Il compito di in-serire la Valtellina nel nuovo Stato ita-liano viene affidato nel dicembre 1859, sempre a Torino, all’avvocato Luigi To-relli, patriota tiranese con la carica di governatore. Nel breve periodo della sua attività, in una situazione economi-ca disastrosa, egli dimostra di avere, oltre a una profonda cultura umanistica, anche conoscenze tecniche, un’apertu-ra mentale moderna e notevoli capacità amministrative. Ottiene di abbassare le tasse del 28% e l’erogazione di un credito fondiario per i Comuni. Diffonde miglioramenti in agricoltura, nuove tecniche come la solforazione per la cura della crittoga-mia della vite e lo stanziamento di una somma per creare vivai di piante resi-nose da distribuire gratis ai Comuni e ai privati per favorire il rimboschimento. Introduce una riforma nei contratti agri-coli con l’avvio dell’affrancamento dei contratti a livello e sostituisce le 46 unità di misure, allora in uso, con il sistema metrico decimale. Nella provincia vengono creati 26 nuovi uffici postali, (prima erano solo due) e

    due nuove linee telegrafiche. L’ufficio postale di Sondalo viene aperto nell’a-gosto 1860.Una delle prime lettere spedite da Son-dalo (vedi foto) è affrancata con un fran-cobollo del Regno Sardo Piemontese, annullato a mano e viene recapitata a Sondrio in due giorni. Per quanto ri-guarda l’istruzione elementare entra in vigore nel 1860 la Legge Casati che istituisce l’obbligo scolastico. Il sostegno delle autorità locali, l’im-pegno educativo dei sacerdoti anche all’interno delle istituzioni scolastiche e l’alta frequenza degli alunni (soste-nuta grazie all’impegno delle famiglie) faranno sì che la Valtellina, ad inizio del 1900, sia prima in Italia, a livello di sco-larizzazione popolare con uno scolaro ogni sei abitanti.

    Leandra Pozzi

    BIBLIOGRAFIA: - Editoria, Cultura e Società

    Banca Popolare di Sondrio- Storia di Valtellina e Valchiavenna - Jaca Book- Sintesi di storia della Valtellina Medio Alta

    Museo Etnografico Tiranese

  • amminoinnsiemeIC amminoin

    nsiemeIC42 43 Un libro da leggereAnniversarioIl treno dei bambinidi Viola Ardone - Einaudi

    Anno 1946. Gli Italiani, impoveriti e umiliati al termine della guerra, trovano la voglia e il coraggio di ripartire e pongono le basi di quello che sarà il “miracolo economico” degli anni ’60, cui seguirà lo sviluppo sociale degli anni ’70. In una situazione così tragica, da dove riescono a trarre la forza per tutto questo?La storia raccontata in questo libro ci suggerisce una importante risposta: l’energia che spinge gli Italiani a non arrendersi allo sfacelo che li circonda, a guardare al futuro con fiducia, è la forza dei loro sogni, o, se vogliamo chiamarli con una parola più nobile, dei loro ide-ali, sia personali che collettivi.I sogni collettivi sono legati alle iniziati-ve della politica, che a quel tempo era ancora generalmente considerata e vis-suta come un generoso servizio per il bene del proprio paese. E allora ecco che dei gruppi di donne, attiviste del Partito Comunista, stimate nelle proprie comunità anche grazie alla loro parte-cipazione alla lotta partigiana, riescono a organizzare e realizzare un progetto impegnativo. Offrono a tanti bambini, provenienti dalle zone più povere e ar-retrate del Sud Italia, la possibilità di un soggiorno in zone agricole del Centro-nord, dove sono accolti in famiglie non certo ricche, ma che possono assicu-rare cibo, vestiti, abitazioni confortevo-li, una regolare frequenza scolastica e

    spesso anche sicurezza e affetto, cose raramente garantite tutte insieme negli ambienti di provenienza.È una piccola e sconosciuta pagina di storia, che illumina quel periodo del dopoguerra, in cui nel nostro paese era universalmente chiaro che il progresso, per essere davvero tale, deve coinvol-gere tutti, a partire dai più fragili, che vanno aiutati e non ignorati o emargi-nati. Perché un progresso che lascia indietro i più deboli è come un gigante coi piedi d’argilla, che crolla al primo piccolo urto.In questa storia collettiva si inserisce quella personale del protagonista, Amerigo, un simpaticissimo e in