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Spediz. in A.P, art. 2 Comma 20/c legge 662/96 Arezzo - Anno VIII n° 4/ 2004 Foto: A. Ferrini Fare Casa

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Foto: A. Ferrini

Fare Casa

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trimestrale -Anno VIII - Numero 4 - Dicembre 2004

REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel./fax 0575/582060

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo Orlandi

GRAFICA:Simone Pieri - Alessandro Bartolini

FOTO:Alessandro Ferrini, Massimo Schiavo, Francesca Bolla Ammannato

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:Luigi Verdi, Gianni Marmorini, Maria Teresa Abignente, Stefania Ermini, Pierluigi Ricci,Chiara Barlucchi, Wolfgang Fasser

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

Meravigliosa libertà6

Il sogno di Dio: fare casa

L'attenzione al risveglio

La Bibbia, un ponte fra Dio e l'uomo

Le nostre Veglie24

Per ogni giorno 4

La casa siamo noi 8

Con il cuore nudo 12

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Nel cuore dell'essere

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Primapagina3

Avvisi

Pubblicazioni

Una porta allargata ai bisogni del mondo.

www.romena.ite-mail: [email protected]

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28Graffiti

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Di quella sera ricordo il fuoco che abbrustoliva le salsicce, e il calore che mi avvampava. Non guardavo nessuno, solo le fiammelle, non so da dove mi partì la voce:“Ragazzi, sto male”. Era una delusione d’amore, una di quelle che, se ci ripensi poi, ti senti anche un po’ ridicolo. Ma la differenza fu il dirlo, senza rete, agli amici. Ci fu un silenzio pieno di stupore a corredo di quelle parole, e in quel silenzio io sentii la risposta, la stessa, da ciascuno di loro: ‘Bentornato a casa!’Non era importante il grido, era importante il luogo da cui proveniva la mia voce. È curioso. Magari fatichiamo anni per costruire un’immagine con cui farsi ammirare, e poi ci sentiamo abbracciati di amore quando, in un istante, ci lasciamo sfuggire quell'unico brandello di vuoto che non sappiamo riempire. E accade così perché quel vuoto non ci rappresenta ma ci completa. Bentornato a casa! mi dissero, senza dirlo, i miei amici. E la casa cui si riferivano non aveva nulla di solido, era quella parte di me che, per essere così esposta e così intima, riusciva a dialogare con loro: la mia casa era il posto in cui io mi facevo incontrare.Più cammino, nella vita, e più mi rendo conto che crescere non vuol dire migliorarsi ma accettarsi, che si matura non quando si conosce la propria forza, ma quando si ha il coraggio della propria purezza. Non è un caso se ad accogliervi è stato il nostro presepe. Il bambino che nasce nella mangiatoia è l’immagine che ho in mente quando penso al fare casa. Perché fare casa non vuol dire crearsi una specie di zona franca dalle tempeste del mondo, è invece co-struire uno spazio di consapevole precarietà, è farsi piccoli, ogni giorno, per inventarci una vita sempre nuova, non garantita tiepidamente dall’abitudine.Non è una sfida da poco. La casa cui tendiamo, anche come spazio fisico, è una casa che anestetizza, la cui protezione è spesso chiusura. Forse per questo non mi sono mai piaciute le case con i giardini troppo ordinati, con il parquet lucidato fino all’eccesso: mi fanno pensare a esistenze che non hanno in mente altro che una pulizia apparente, pronta all’uso per l’ospite, il quale magari ammirerà pure quest’ordine così ostentato, salvo viverlo con disagio. Non siamo fatti per questo. La molla della vita è caricata di continui cambiamenti, la casa di cui abbiamo bisogno deve poterci accogliere così come siamo, cioè sempre diversi. Guardate che non è un ragionamento astratto. Si fa casa concretamente in ogni istante, quando si mettono negli interstizi di ogni giornata quelle piccole grandi cose che ci rispecchiano. Si fa casa anche con un mazzo di fiori sul tavolo, si fa casa ascoltando la musica che amiamo di più. Si fa casa, se serve, trasformando la nostra vita, quando questa non ci assomiglia più. Per me, ad esempio, sempre così proiettato a realizzarmi esternamente, fare casa vuol dire saper anche accogliere un po’ di vuoto, di silenzio. Ogni mattina, da qualche anno, mi alzo per tempo e mi fermo quanto posso, con la musica come tappeto, un libro, qualche rigo della Bibbia. In questo spazio cerco di far risuonare la mia voce, perché non finisca per farsi sentire solo nei momenti di difficoltà. Ci riesco? Non lo so. Ma quando esco per andare al lavoro la giornata sembra aver già guadagnato un po' di strada. E' come avere un nocciolo d'oliva da rigirarsi in bocca, direbbe Erri De Luca. Come sentire addosso il profumo di me.Vivere, così, mi riesce più facile.

Massimo Orlandi

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Elisabetta della Trinità

“Al cuore del mio esistere

quotidiano, o Dio,

là tu sei.”

PER OGNI GIORNO di Luigi Verdi

Fuggire il presente è la malattia del nostro tempo. Il presente è invece l’unico “luogo” e il non viverlo ci rende superficiali, facilita una vita rituale, stimola la dispersione mentale e ci rende quasi assenti alla vita.Da un po' di anni, un po' tutti, ci siamo trovati senza terra sotto i piedi e senza casa.È sempre più difficile sentirci a casa: al lavoro, in una chiesa, in un gruppo, persino a casa nostra.Forse perché abbiamo perso i gesti che permet-tono ad ognuno, in ogni luogo, di fare casa.Cosa riporterà a casa il prodigo?Ci sentiamo perduti anche se abbiamo un tetto, una casa, un giardino e un focolare. Sentiamo che ciò che abbiamo costruito non è la terra promessa dove scorre latte e miele.Abbiamo creduto che dobbiamo essere fratelli perché così saremo salvati, ma in realtà lo dobbiamo essere perché ci siamo perduti e perché nessuno può tornare a fare casa da solo.Non v’è luogo di grazia per coloro che evitano il volto degli altri e non c’è gioia per coloro che passano in mezzo al rumore e non ascoltano la voce dell’altro.Ognuno ha diritto di sentirsi a casa, ma ogni realtà che viviamo è spesso casa per un uomo, esilio per un altro.La casa è il luogo delle urla di disperazione, delle urla di gioia, delle vite che si separano nell’enigma, degli errori, dei crolli, delle soli-tudini. Ma anche delle albe, dei presentimen-ti, degli incontri, dei bimbi che giocano, dei fuochi nelle case aperte, dei richiami a sera, nell’ansia che ogni uomo ha di amare.Fare casa è questa corresponsabilità con gli altri, senza dover sacrificare l’esistenza al-trui o la propria. Sacrificare l’esistenza è un controsenso, l’esistenza non è sacrificabile, deve crescere, è cercare una vita che sia più della vita.Fare casa è sentire che se umiltà e purezza non sono nel cuore non sono nella casa, e se non sono nella casa non saranno nella città. L’uomo

che durante il giorno ha costruito qualcosa, quando cala la notte ritorna al focolare: per es-sere benedetto dal dono del silenzio e, poi, dal dono del riposo.Fare casa sono tutte le cose che ho portato con amore per ornare la casa.Fare casa è essere contento di nuovo qui a sera senza sapere di cosa sarà fatto domani, ma sor-preso e grato di questo presente così piccolo eppure così profondamente grande.Fare casa è la mancanza che si fa sentire di sera, è sentire che ogni giorno è nuovo per il cuore, e che il cuore e l’amore sempre sono da ricominciare.Questa prospettiva di fare casa ha unificato la

mia vita, questa Romena di gente raccolta e sparsa mi ha spinto a non chiudermi e a capire che anche un altrove può essermi luogo. La fortezza di una casa è una grazia che va meritata ogni giorno, è il non ti amerò per sempre ma per ogni giorno, perché ogni giorno è un mi-racolo, ogni giorno è una sorpresa,

un sospiro, una gioia.Torniamo a creare case dove possiamo ter-minare il viaggio con gli occhi lucenti come all’inizio.Dove lo stupore duri più delle parole che lo raccontano.Dove ognuno esca da se stesso con le proprie forze e faccia risplendere il suo fondo segreto.Dove gli sguardi diventino gesti.Dove la delicatezza si apra in abbraccio.Dove possa tornare la luce che trema sui volti.

Le foglie degli alberi in questi giorni muoiono perché incalzate dalla vita, perché spinte in avanti dalla legge di una nuova nascita, della primavera che verrà.È lentamente che si fa l’amore, è lentamente che si fa il giardino, è lentamente che si parla e si ascolta, è lentamente che si cucina e si man-gia.Fare casa è trovare pace in tutto questo, la pace che arriva là dove si pianta l’amore.

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" Nulla è più prezioso quanto

la frugalità.La frugalità

significa: essere pronti

all'alba."Lao - Tzu

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MERAVIGLIOSA LIBERTÀ di Gianni Marmorini

Onestamente ho un po’ di difficoltà con questo tema, forse perché nonostante l’età, sento più che il bisogno di fare casa ancora quello di fare esperienze, di cresce-re, di conoscere, di viaggiare… Tutto quello che sa di ‘Sabato’ mi affascina in modo particolare, quello che profuma di ‘Domenica’ ancora lo sento un po’ lonta-no da me. Non è la prima volta che mi ritrovo in un gruppo che comincia a sentire il bisogno di fare casa, direi di mettere radici e comprendo bene l’esigenza e la giustezza di questo, ma sono un po’ spaventato perché le altre volte il sogno non è riuscito e, anche se forse ho imparato e ricevuto più da questi fallimenti che da tanti altri successi, non vorrei provare ancora quelle sensazioni. Quando mi avvicinai la prima volta a Romena, ricordo la sensazione: “Ma sarà davvero così?... Che sia vero davvero?”. Anni più tardi Gigi scriverà all’entrata: “Un piccolo posto dove Dio e l’uomo possono riposare insieme”. Un posto dove i viandanti possono fermarsi, incontrare altri viandanti, scambiarsi informazioni e riprendere ognuno il proprio cammino verso le proprie mete… Un Dio non troppo vestito perché nessuno può dirci chi è Dio… Essere accolti anche se sporchi, stanchi, infedeli mille volte ai propri ideali… A volte mi sembrava troppo bello per essere vero. “Entra, ti aspettavamo” detto a chiunque passasse davanti a quella porta. E arrivavano, accidenti se arrivavano e il bello è che continuano ad arrivare. Arrivano quelli che ci fanno cantare i mantra e abbracciare le piante, quelli che ci fanno camminare di notte sotto la pioggia, ascoltare ‘con le orecchie ritte’ gli animali del bosco e che ci fanno ballare che vi assicuro, c’è da vergo-gnarsi! E sono eventi non meno importanti di quando vengono a trovarci personaggi come l’Abbé Pierre o Luigi Ciotti, Paolo De Benedetti o tanti altri… Mi piace tanto questo caos, perché noi non conosciamo ciò di cui gli uomini hanno bisogno, fidarsi e rimanere larghi, molto larghi perché ciò che per me può essere stupido, e anche sbagliato, per un altro può essere la chiave della sua vita: Dio conosce infinite strade e infinite porte. Meravigliosa questa libertà. E in questa libertà ho visto ebrei e musulmani abbracciarsi nei corsi e non aver paura di stare nella Pieve durante la Messa della Domenica. Ma dove altro si è mai visto questo? Ho visto divorziati ed ex sacerdoti sentirsi a casa in questo mondo, omosessuali senza più paura, perché a Romena ogni creatura conta più della sua fede, del suo problema, dei nostri programmi e delle nostre idee. Non voglio che questo muoia. Vorrei tanto che tornassero i corsi di Yoga, di danza, di tea-

tro, di massaggi, sul gioco, sulla crisi o quell’assurda camminata da Assisi a Romena… Vorrei che la casa che costruiamo fosse un po’ pazza, non troppo secondo le regole. Vorrei sentire gente che ce l’ha con noi, che ci critica, dormirei sonni più tranquilli. Se tutti parlano bene di noi, mi dispiace, ma c’è qualcosa che non va. Vorrei che chiunque abbia fatto anche un solo corso si sentisse adatto per fare l’assistente, e che tale lo facessimo sentire, perché così è nata Romena e così è cresciuta. La sogno anch’io una casa, quella che ho incontrato quasi dieci anni fa! Un po’ come nella Bibbia: ho sentito dire che la realtà del Giardino dell’Eden non rappresenta l’inizio del mondo, ma la realtà del mondo a venire, la meta verso cui camminiamo. Costruiamo quello che siamo sempre stati, rendiamolo forte e gran-de. La nostra forza è sempre stata la spensieratezza, il nostro coraggio la passione e il metodo il gioco. Ogni corso un’avventura che poteva anche finire male e di qualcuno io porto ancora qualche cicatrice. Anche questo mi piaceva tanto e mi piace tanto: liberi di sbagliare, di non dover essere sempre all’altezza, di non riuscire, liberi di dire “Mi dispiace”. Quante volte abbiamo masticato questo amaro, ma “il successo” non è mai diventato il nostro dio e io credo che non lo diventerà mai. Abbiamo imparato a star bene anche se le cose non andavano bene e a star bene non perché le cose vanno bene, sappiamo di non sapere ciò che è giusto o ciò che è sbagliato, forse a volte compli-chiamo la vita di qualcuno invece di aiutarlo… Ma io credo che ci sia un po’ di magia a Romena, credo che non riusciremo a dimenticarci chi siamo, come siamo nati, credo che “la voce di silenzio sottile” ci voglia bene e che ogni tanto venga davvero a riposarsi da noi dopo tanti pontificali, riunioni, encicliche e dogmi. Credo che beva le nostre tisane e si sieda sul tappeto di quella Pieve e magari si addormenti sulle spalle di qualcuno di noi coccolato dai nostri canti. Sapete? Io credo che questo succeda davvero. Ho tradito mille volte e sicuramente non ho molto equilibrio psichico, per questo posso permettermi di dire tutto quello che penso e più che essere contento di noi, io credo che Dio quando volge lo sguardo su Romena si commuova e pianga lacrime di contentezza intima e profonda. Noi sappiamo fare bene una cosa sola: sappiamo abbracciare e in questo abbraccio sentiamo quella Mamma che si piega su di noi, ci porta alla sua guancia e ci dà un bacino sulle nostre ferite. Questo abbraccio con il bacio di Mamma è la mia casa.

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La tenerezza è grazia:

non forza niente,

non si indurisce per dovere e volontà,

non si impone,

non invade la vita degli altri,

non piagnucola,

non disserta,

non spiega.

Maurice Bellet

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La casa per un uomo è il suo modo di creare inti-mità con la gente che incontra, sono i colori con cui lui sa rivestire il proprio atteggiamento, è la sua capacità di mettere al posto giusto le cose che gli accadono.La casa in realtà è lui stesso: è tutta quella sfera vitale che gli ruota attorno ed insieme alla quale può sentirsi vero, autentico e senza maschere.Possiedo una bella abitazione, mi piace, la trovo giusta per me, ma la mia casa è un’altra. È fatta della gente che ho scelto e che riscelgo, perché mi permette di essere senza sforzo e senza finzioni. La costruisco – o la disfo – ogni giorno con lo stile e l’atteggiamento che so tenere nelle cose che compio. Ho anche notato – e credo che questo sia vero per tutti – che il mondo poi risponda in base a come lo tratti. Il nostro modo di fare casa, in fondo, non passa inosservato, anzi nel bene o nel male contagia e condiziona.Ogni giorno la mia casa è diversa: a volte il mio modo di vita mi piace, mi rassicura e mi protegge, mi sento adatto e giusto per il momento, a volte capita che non senta la terra sotto i piedi, non vorrei essere lì o con quelle per-sone e sento che la mia mente mi spinge al passato o al futuro. È per questo che penso che fare casa sia un’opera quotidiana, un impegno con se stessi, che non si possa esaurire in un momento. In questo cantiere sempre aperto mi piace pensare all’analogia con la casa / abitazione, quella fatta di mattoni. Tra tanti aspetti ce n’è uno che mi ha colpito particolarmente. Ho visto che oggi tutti gli architetti si preoccupano delle norme antisismiche ed ho cercato di fare altrettanto. Protegge dal ter-remoto un certo tipo di materiale che dicono sia elastico e nello stesso tempo resistente. Si usano anche delle bretelle speciali o dei cordoli che per-mettono, in caso di sisma, un maggiore dondolio, assicurando per questo, stabilità.Mi fa sorridere questa cosa : in fondo chi di noi non “abita” in zona sismica e chi di noi può sentirsi vaccinato da quei momenti che nella vita arrivano così, senza preavviso e ti fanno tremare da capo a piedi ? Forse bisognerebbe un po’ tutti mettersi “a

norma” e provare a fare i conti con quella fragilità profonda, senza aspettarsi tutto dalla fortuna o adattarsi al caso.Se l’elasticità è il primo ingrediente antisismico, sicuramente il lasciarsi dondolare è la dinamica che più ci protegge dal crollo. Elasticità vuol dire una mente aperta e versatile, che sa cambiare idea, che sa capire l’errore, che sa chiedere scusa. Elasticità è lasciare le difese, mollare gli alibi, che danno sì un gran senso di sicurezza, ma che in realtà ci mandano giù in un batter d’occhio.Sì perché poi nel momento della crisi si sta più attenti a non perdere la faccia, a regolare i conti con gli altri che a cercare di capire l’entità del

problema e a scorgere le soluzioni. E spesso ci ritroviamo a soffrire più per tutte le paranoie che ci facciamo che per il problema stesso. Si diventa poi tanto rigidi quando leghiamo quello che ci accade al-l’immagine e al valore che diamo a noi stessi. Per cui un rifiuto diventa un’offesa, un momento di difficoltà

degli altri diventa senso di colpa, un insuccesso diventa prova di incapacità e di incompetenza. Abbandonare le opinioni, i nostri diritti al rancore e alla rivalsa, cercare anche altri punti di vista, desiderare di capire : certo, tutto questo ci fa “tre-mare” di più, ma sarà la nostra salvezza. Credo che la stoffa di una persona si veda da come sa stare dentro alle crisi e alle prove.Bisogna staccare il “come vanno le cose” da quanto si pensa di valere e dal “come stiamo” con noi stessi, innanzitutto.La dinamica antisismica dice che più ti lasci don-dolare, più resisti in piedi e questo è come dire: più accetti la tua fragilità, più rimani con te, più cresci.La riprova che sei sulla buona strada e che stai costruendo bene si chiama umorismo. Se sei capace di sorridere, anche delle tue “capocciate”, delle figure che fai, delle cantonate che prendi e ti sai anche prendere un po’ in giro e sai sdrammatizzare, allora ti sentirai più leggero. Quella che sembra banalità è pulizia della mente, è filosofia di vita, è costruzione solida.

LA CASA SIAMO NOI di Pierluigi Ricci

“Fare casa è un'opera quotidiana,

è un impegno con se stessi”

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(da Khorakanè di Fabrizio De Andrè)

Foto: F.Patellani

Poserò la testa sulla tua spallae farò un sogno di maree domani un fuoco di legna perché l’aria azzurra diventi casa

Chi sarà a raccontarechi sarà? Sarà chi rimane io seguirò questo migrareseguirò questa corrente di ali

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Possiamo scoprire il desiderio di Dio. Un de-siderio molto semplice, forse troppo semplice così che finisce per non interessarci molto.

Dio ha un sogno ed è fare casa. "Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”(Gv 14,23). Questo è il sogno di Dio. Nel Vangelo di Giovanni questo sogno è molto forte, perché l’idea della dimora, dello stare accompagna tutta la teologia di questo discepolo al femminile, nel senso che egli si sin-tonizza più con manifestazioni femminili che maschili. Del resto Giovanni introduce già nel Prologo, che è una riflessione teologica molto alta, questo sogno di Dio. “Venne ad abitare in mezzo a noi”, “Ha messo la sua tenda in mezzo a noi”, cioè ha fatto casa in mezzo a noi. Dio vuole riscattare questa dignità della storia, dell’umanità e della creazione che è l’essere casa: l’umanità e la creazione hanno una sola vocazione, diventare casa.

Tutti i gesti che Gesù compie sono gesti di casa: la moltiplicazione del pane è un gesto che permette di creare casa; il suo modo di sedersi in mezzo alle folle e parlare è un modo per creare casa. Il circolo è il segno della casa, di qualcuno che abita e che si incontra intorno a qualcuno o qualcosa come il cibo o un pozzo o un fuoco; in alcuni casi i discepoli fanno casa con Gesù intorno ad un infermo….sono tanti i motivi per fare casa.

In Gv 14, quando già il discorso tra i discepoli e le discepole si fa più intimo, troviamo un testo importantissimo: "Se qualcuno mi ama osserverà la mia parola e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Non dice. “Io vengo perché voi dovete essere perfetti, buoni, giusti”, viene con questa mentalità del fare casa, questa casa che poi a noi toccherebbe tenere aperta. Lui viene per incontrare e l’incontro è solo l’incontro, non è finalizzato a possedere qualcosa.

Quando noi diciamo “casa” parliamo di luoghi familiari: non chiamiamo casa un ufficio, una

scuola, neanche la chiesa; anche se diciamo “casa di Dio” nessuno considera la chiesa la sua casa. Nella casa non esistono gesti “ufficiali” come il sacrificio, l’offerta, l’olocausto, l’elemosina: nessuno fa l’elemosina a casa propria, perché siamo tutti familiari. Allora quando cerchiamo di ricostruire la casa nella nostra storia cerchiamo di fare gesti di familiarità…

La casa nella Bibbia si fa con poche cose: anche una pietra può diventare casa. Pensate a quel bellissimo testo di Genesi 28,22 quando Giacobbe vuole consacrare il luogo dove ha vis-suto un’esperienza forte di Dio: prende una pietra che diventa una stele e la unge. A partire da quel momento quel luogo si chiamerà “Betel”, cioè casa di Dio. La storia si trasfigura se noi facciamo gesti di familiarità e di casa.

La quotidianità è l’unico tempio che ha l’essere umano, è l’unica realtà dove può imparare ad amare e può amare davvero. Nel salmo 63, uno dei salmi che consideriamo più mistici perché è un cantico che esprime il desiderio umano di entrare nel mistero, troviamo l’immagine della persona che cammina con questa sete: “O Dio tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco”. Ebbene al versetto 7 scopriamo che il luogo di questo de-siderio è un luogo della vita quotidiana, di casa: il letto. (Noi magari avremmo detto il tempio, il santuario, forse un bel parco naturale…) “Nel mio letto di te mi ricordo, penso a te nelle veglie notturne. A te che sei stato il mio aiuto. Esulto di gioia all’ombra delle tue ali”. Quando il salmista canta questo salmo esprime tutta la forza della sua quotidianità: mi ricordo di te nel luogo che forse per noi è sacramentale in un altro senso, ma non così solenne come potremmo pensare. Questi luoghi sono familiari e umani, sono i nostri luoghi, in cui viviamo le nostre vite, le nostre rabbie, le nostre emozioni e sono dei santuari. La casa è fatta di cose quotidiane, del mio letto, del mio pane, della mia cucina e diventano gli unici luoghi necessari, veramente necessari, per cominciare a vivere pienamente.

IL SOGNO DI DIO:FARE CASA di Antonietta Potente *

* Tratto da: La religiosità della vita, edizioni Cipax - Antonietta Potente è teologa domenicana. Dal 1994 vive in Bolivia. Recentemente ha aperto la sua vita comunitaria a una esperienza di condivisione e di ricerca con famiglie di campesinos.

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Luigi Verdi

IL SOGNO DI DIO:FARE CASAAbita in mezzo a noicon la tua presenza leggera.Facci tremare davanti al tuo sguardo chiaro.

Tu hai portato poesia nel cuore dell’universohai riaperto le porte e risvegliato il palpito della primavera.Il tuo tocco amoroso benedice ogni povertà, tu l’affetto e l’avvenire, la forza e l’amore.

Nato come ogni uomo fremente di luce, ruvido di terra, mormorante d’acqua e di vento.Nato per ricordarci che ci vuole vita per amare la vita,nato in una notte di respiro su respiro,notte che si fece intima con il dono della tua nudità.

L’impossibile è giunto, un messaggio di sguardi, una promessa per tutti.Intorno gente, color della crosta del pane, che raccoglie legna e cura pecore.Umanità timorosa della calda realtà, del bene offerto.

In questa notte allena il nostro sguardo a non ritrarsi. Un’ansia di luce morda gli uomini che non sognano.

Natale 2004

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Può sembrare una triste storia quando un’as-senza brucia inaspettatamente ed il vuoto ad una tavola sembra reclamare un motivo ed una spiegazione. Può accadere a volte di sentire il ghigno beffardo del destino quando ci si ritrova nella casa creata e riempita da un unico sguardo... improvvisamente soli, senza quell’altra metà di colori, profumi e gesti d’amore.Ma voglio cominciare proprio da là, da quel posto vuoto. Si, perché mi sembra che proprio da là ci sia venuto un richiamo all’accoglienza, all’apertura, all’attenzione; un invito a diventare casa dal di dentro. Già durante tutto il periodo della malattia aveva-mo sentito quanto profondo e incoraggiante fosse il calore ed il sostegno che ci veniva dal lasciare “le porte aperte”, quanto respiro dava al nostro fiato, spezzato dall’angoscia, il sentirci accompagnati. Credo che mai come in quel periodo abbiamo fatto davvero “casa”, attorno a quel letto nel cuore della casa, in cui il dolore, ma anche la spe-ranza pulsava di continuo e ci disarmava. Con il cuore reso “nudo” dalla sofferenza abbiamo sperimentato la leggerezza di un amore che circolava. Semplicemente e li-beramente. E quest’amore che soffiava era come se ci sollevasse, ci facesse uscire dalle nostre corazze e levasse l’àncora delle nostre paure e ci spingesse lontano, oltre.

Questo credo sia il fare casa: un amore che scorre, che non si lascia paralizzare dallo sgomento, capace di regalare brividi di feli-cità anche nei momenti più terribili.Perché la casa è il posto dove l’amore non si vende e non si compra: si dà, gratis.Ed è un amore che crea amore, un amore

che dà la vita perché ama la vita, un amore che è già domani negli occhi dei bambini che crescono, nelle loro mani che afferrano, nelle loro voci che accarezzano. Un amore che s’impara a ricevere, a volte stupendosi della sua esagerata pienezza. Vicino a quel letto abbiamo capito che non ci si può sostituire all’altro, ma che gli si appar-tiene, come le radici di due alberi vicini che si intrecciano. In questo toccarsi così profondo il prendersi cura dell’altro significa anche ri-cevere, l’abbandonarsi nelle sue mani signi-fica esserne sostenuti e contemporaneamente

sostenere, diventa un miracolo di condivisione. Ma la casa è anche lo spazio privilegiato dove si deve creare la possibilità di continuare ad amare nonostante tutto, oltre tutto. Continuare nei figli che partono, negli ospiti che arri-vano, nelle urla e nelle porte sbattute degli adolescenti, nei

contrasti come nelle feste, nei piaceri come nei distacchi, nella musica e nei silenzi, nelle assenze… Continuare l’amore, cioè perpetuare un offrirsi ed un accogliere, un consegnarsi ed un attingere in un continuo e sempre nuovo respiro di vita. Perché appartenersi non vuol dire posseder-si, ma donarsi scambievolmente la libertà, anche se si trema di paura.Per questo deve essere un amore fattosi essenziale, spogliato da tutto ciò che lo ap-pesantisce…un amore nudo, appunto. Quando è così nella casa abita un amore che si lascia respirare, direi quasi contagioso, un amore che dà pace, in cui si sente e si tocca l’infinito: allora forse il sogno di Dio, di “fare casa” con l’uomo, è quello di farci vivere già qui sulla terra un anticipo di pa-radiso, un pezzetto di eternità.

CON IL CUORE NUDO di Maria Teresa Marra Abignente

“Appartenersi non vuol dire possedersi, ma donarsi

scambievolmente la libertà”

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L' uomo cerca le soluzioni per tutto,ma Dio non ci chiede di trovare soluzioni

perché Lui ce le ha.Quello che ci chiede è solo di amare,

ed è già molto se ci riusciamo.

Lui ne è talmente contentoche ci dà tutto il restocomprese le soluzionise ci servono ancora.

Giovanni Abignente

Foto: F. Bolla Ammannato

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L’ABC del “fare casa” forse non esiste, o almeno noi non si è ancora trovato, ma tre “A” che poi portano a una quarta possono invece “fare da bussola” nella quotidianità. Sì, perché il punto di partenza non può che essere la quotidianità, il proprio quotidiano: da quando si apre a quando si conclude per riaprirlo il giorno successivo, magari con tonalità diverse.Se è scontato che la giornata prenda il via con il risveglio, meno banale forse è come ciò avvenga. Può avvenire in tanti modi, ognuno ha il suo, quello che più gli si adatta. Avvertendo il risveglio come un momento di transito, visto che si passa dal sonno al risveglio appunto, dal buio alla luce, non ci sentiamo su-bito pronti, efficaci e attivi (meno male!) perciò si ha il bisogno di attraversare questa transizione gradualmente, prendersi il tempo necessario proprio per “riabitarsi”, entrare in contatto con sé, con l’altro e con l’ambiente, insomma con la creazione che si rinnova e di cui facciamo parte. Attendere un momento per partire di nuovo, e qui l’ascolto dell’atmosfera intorno o una riflessione oltre di noi ci aiutano a trovare quella nota che, facendosela rimbalzare interiormente per l’intera giornata, la colora.

È vero, l’orologio va avanti, non ci aspetta e con tutto quello che c’è da fare la mattina…Evitiamo allora il problema alzandoci presto, giocando d’anticipo e così ogni gesto necessario, impor-tante o semplicemente piacevole si può vivere serenamente apprezzandone anche il senso e la bellezza e trascurando almeno per un po’ la sua sola funzionalità. Un arco di tempo tutto nostro che non attende altro che di essere coltivato.Se il punto di partenza è un bisogno o un de-siderio poi alla fine diventa anche un piacere. I gesti del quotidiano, ordinari, i più semplici, che riempiono in tutti i sensi la giornata sono infatti proprio quelli che, a seconda di come sono vissuti, ci fanno stare più o meno bene: quanto ci mancano quando non siamo a casa! Senza dubbio, non è comunque così immediato o naturale “curare” ogni gesto, a volte bisogna

davvero impegnarsi ma già ponendo attenzione a ciò che compie, si riesce a “vivere” piuttosto che a “eseguire” solamente, e forse un giorno - si spera - la cura oltre che regolare diventerà a mano a mano, sempre più, anche uno stile personale. D’altra parte è esperienza comune che la gior-nata contenga spesso tanti momenti ripetitivi e abitudinari che a volte sembrano addirittura mo-notoni e come tali un po’ noiosi. Proprio questa allora diventa la nostra sfida o meglio un invito? Sì, perché la sfida chiama a combattere mentre l’invito ad accogliere. Eccoci dunque al punto: accogliere e lasciarsi accogliere, che poi vanno di pari passo. Questa è una delle chiavi per andare oltre, anche se non sempre è a portata di mano o la si trova. Anzi, l’accoglienza quotidiana pare quasi un’impresa che ha bisogno anch’essa di essere coltivata e che è perseguibile soltanto se a monte c’è apertura.In pratica sembra proprio che per fare una casa accogliente ci voglia, in poche parole, una casa senza spifferi, ma aperta. Aperta al qui e ora, all’imprevisto, a chi arriva, ma anche a chi ci sta intorno (che a volte è la difficoltà maggiore); in fin dei conti, aperta a mettersi continuamente in gioco per il ben-essere proprio e quello altrui. In questo senso, fare casa alla fine è un impegno quotidiano poiché la casa non esiste di per sé, va costruita giorno dopo giorno, con cura attenta e paziente fin (se non soprattutto) dalle piccole cose.Riuscendo, ma anche cercando, di vivere l’ordi-nario in questo modo, le probabilità di concludere la giornata in armonia sono senz’altro più elevate, anche se si è lavorato tanto, ci sono stati imprevi-sti, oppure qualcuno o qualcosa hanno intralciato la strada. La giornata ha avuto il suo senso perché, al di là di tutto, vissuta con uno slancio interiore e uno stato d’animo orientati almeno a trovarlo, e magari talvolta intercettato e sentito un po’.

La bussola indica soltanto la direzione poi bisogna camminare per raggiungere la mèta, ma è soprat-tutto con la strada fatta a piedi che si coglie anche quella bellezza a prima vista nascosta.

L'ATTENZIONE AL RISVEGLIO di Chiara Barlucchi e Wolfgang Fasser

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L'ATTENZIONE AL RISVEGLIO La pazienza è un albero: le radici sono molto amare ma i frutti dolcissimi.

Proverbio Tuareg

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Foto: E. Pieri

Spesso

non si accetta

che le persone

mettano i loro

dettagli per

fare casaAntonietta Potente

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Nel sud d'Italia, in Calabria dove il profumo del mare e quello della montagna si incontrano, un frate ha realizzato il suo sogno: un luogo dove l'uomo che passa possa far famiglia con l'uomo che trova.

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-“Gianni!”-“Ciao Stefania”-“Sei pronto per l’intervista telefonica?”Istanti di silenzio, poi una comune risata. “Gianni, non sono lì a percepire i colori, ad aspi-rare gli odori. Puoi descrivermi la Comunità Santa Maria delle Grazie ?”Profusioni di parole. Si intrecciano. Non vedo; ma sento la voce accogliente, calda, ardente di Gianni Novello che racconta la “sua” Comunità. Arrivato in Calabria dopo l’esperienza del novi-ziato a Taizé presso frère Roger Schultz, Gianni ha dato inizio ad un cammino, ha dato forza ad una speranza. Quella di costruire una “casa” di pace, con una porta allargata ai bisogni del mondo. Afferro nuovamente la voce appassionata di Gianni. Nello stesso momento in cui mi preparo ad immaginare, schiudo lentamente gli occhi e Gianni mi accompagna nella sua Comunità, luogo di preghiera e di accoglienza, a due 2 km da Rossano Calabro sulle pendici dell’altopiano della Sila. La sua descrizione incantata mi tiene sospesa tra cielo e terra, cullata dall’aria e dal mare: “Da quassù si vede il mare sai!” esclama Gianni, per tuffarmi nell’infinito. Sono entrata nella “sua casa”. Gianni ha dato voce di tenerezza a questo eremo

del 1500, creando casa e Comunità nel Natale del 1974, dopo che era stato abbandonato per qualche decennio. “Posso chiederti come è nato in te questo desi-derio di dare forma all’accoglienza?” La voce di Gianni rimanda a scorse memorie: “Sono stato uno dei primi frati cattolici a Taizé. Sentivo la necessità di vivere secondo le intui-zioni ricevute. Viverle concretamente, in mezzo alla gente. Cercavo un modo per unire idealità e fraternità. La mia aspirazione era di vivere la fede tenendo le porte aperte”. “Sai”- riprende con piglio veemente-“ero molto impegnato nei movimenti per la pace come del resto lo sono adesso. Ma in quegli anni, parlo del 1970, sentivo la necessità di offrire ai miei compagni di impegno un luogo dove rifocillarsi, in cui rifornirsi di energia spirituale. Perché il pericolo è che lottando strenuamente, ti esau-risci”. Chiedeva dunque una vita di Comunità, rispet-tosa delle differenze, pacifica, in cui il lavoro e l’economia fossero a misura d’uomo, con la loro preghiera. Un nuovo modo di concepire l’esistenza umana. Scelse il Sud, Gianni, come terreno carico di frutti abbondanti. “Ero molto innamorato del Sud. Sentivo che era più vicino alla maggioranza delle situazioni del

Una porta

allargata

ai bisogni

del mondodi Stefania Ermini

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mondo. Avevo cercato un po’ in Puglia, in Basi-licata. Un giorno, in treno, trovai un giovane che mi dichiarava le sue difficoltà circa la fede. Mi comunicava la sua avversione per i preti, tranne che per uno: l’unico che sentiva più vicino al suo modo di concepire la fede era il vescovo di Rossano Calabro. Pensai che se un giovane mi parlava così bene di un vescovo, questo poteva diventare un punto di riferimento. Sono andato a parlarci e con lui ho iniziato il progetto della Comunità Santa Maria delle Grazie”.Provo ad accettare la mia impotenza nel vede-re, ad immergermi nel solco profondo di quel vivere semplicemente il quoti-diano. Gianni alimenta la mia immaginazione spiegandomi cosa avviene durante una giornata alla Comunità, come le persone qui condividono alcuni progetti, come l’uomo passa, è accolto, e silenziosamente riparte.“La giornata della comunità, nella quale vivono fisse tre persone, si dispiega attraverso i tre momenti fondamentali di preghiera. È la preghiera che diventa spazio. Diamo molta importanza anche al silenzio, perché poche parole sia-no incastonate in questo insieme di silenzio. Il mattino è dedicato al lavoro mentre il pomeriggio più all’attività comunitaria. Oltre alle tre persone che vivono fisse nella comunità, ce ne sono altre che pur non vivendo con noi, ne fanno parte. Con loro ci troviamo il sabato o la domenica o condividiamo qualche attività particolare” . “Inoltre - aggiunge - a Pasqua e in estate fac-ciamo degli incontri di approfondimento biblico o sulla pace. Da qualche anno poi dedichiamo una settimana al tema “Spirito, arte, pace” dando appuntamento in qualche altra regione fuori da Rossano. Cerchiamo di conciliare la dimensione spirituale, alla bellezza e all’arte. Chiamiamo questa settimana “Visitazione”. È ispirata al tema di Maria che si reca dalla cugina Elisabetta per comunicarle qualcosa di bello che le è capitato nella vita. Così questa settimana vuole avere come scopo quello di andare in una regione diversa ogni anno alla scoperta di segni di speranza”. Sento ancora accoglienza nel “fare casa” di Gianni: “L’accoglienza ti permette di vivere un

confronto, di vivere nella sincerità della vita. Noi non ci siamo specializzati a far casa con un tipo di persone piuttosto che con un altro. Il fare casa è aprirsi alle persone che incontriamo lungo il cammino della vita. Fare casa vuol dire fare amicizia, ad esempio con la persona che incontri a fare la spesa. Fare casa vuol dire fare solidarietà con una persona che ti confida la sua vita. Fare casa vuol dire accogliere l’immigrato che bussa alla tua porta. Far casa vuol dire sentire che c’è uno spazio d’ascolto nella famiglia”.Occorre dunque dilatare lo sguardo sino ad ab-bracciare le esigenze dell’intera famiglia umana.

“Nella società è l’urgenza da imparare nuovamente” riprende Gianni “pena l’inaridimento di sentimenti, di emozioni. Noto sempre di più come i bambini piccoli e i giovani hanno bisogno di sentire che la loro famiglia non è chiusa nelle mura di quattro per-sone, ma che queste persone ap-partengono a mondi moltiplicati, che fanno casa con tanti altri.Riscoprire la famiglia personale, ma anche la famiglia comunita-ria che ha uno sguardo su valori forti”.Inno concreto alla vita, cantato ogni giorno nell’accogliere la vita

nascente, nell’accarezzare la vita ferita, nell’ac-compagnare la vita agonizzante, nel dare sorriso e dignità al mondo. Ecco il messaggio lanciato dalla Comunità Santa Maria.La voce delicata di Gianni mi ha aperto la porta alla “sua” Comunità, mi ha fatto accomodare, distendere, ascoltare. “Hai bisogno di nient’altro?” mi sussurra Gianni. “No. Grazie del tempo che mi hai dedicato” rispondo. Lo spazio, la distanza. Tutto è stato colmato dalla sua voce sottile. Riapro gli occhi. Sento ancora il profumo del mare, sospesa tra aria e terra. Sento ancora il profumo di una “casa” di pace, con una porta allargata ai bisogni del mondo, dove l’uomo che passa fa famiglia con l’uomo che trova.

Una porta

allargata

ai bisogni

del mondo

Fraternità monastica S. Maria delle Grazie

Contrada Santa Maria delle Grazie 8,

Rossano Calabro (CS)

Tel. O983- 521204

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Dio ha bisogno del nostro ascoltoQuando noi ascoltiamo la Parola di Dio dobbiamo tener presente che sì un discorso fatto all’uomo perché l’uomo segua la volontà di Dio, esegua i precetti, realizzi veramente in sé l’immagine e la somiglianza. Ma, nello stesso tempo, il parlare è un bisogno di Dio. È un bisogno di Dio per consolidare, consentitemi questo paradosso, il suo Io attraverso il rapporto col Tu. Quindi la Scrittura rappresenta, in un certo senso, un ponte in due direzioni: da una parte Dio parla all’uomo perché l’uomo lo ascolti. Ma dall’altra Dio parla all’uomo perché ha bisogno di essere ascoltato. Bisogno non nel senso “Vorrei che gli uomini fossero buoni”, no: ha bisogno che ci siano delle orecchie attraverso le quali Lui sa che c’è un Tu. Ecco perché spesso nella Bibbia c’è l’espressione: “Ascolta”; non è solo un comando, è un bisogno di Dio. La Scrittura quindi è la doppia strada, una strada a doppio senso, tra l’uomo e Dio, di cui hanno bisogno sia l’uomo che Dio. E vorrei ricorrere anche ad un’altra immagine. La Bibbia, dicono sia gli ebrei che i cristiani, è opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è un uccello, una colom-ba che vola: io immagino i voli dello spirito Santo come una colomba che vola da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio. Come l’arcobaleno dopo il diluvio.

La Bibbia, un ponte fra Dio e l’uomo

Il lume accende la Bibbia e l’anziano prof che la sfoglia.Anche la pieve sembra aver voglia di ascoltarlo, e gli offre il suo silenzio e la sua attenzione. Paolo De Benedetti, uno dei massimi esperti italiani di Antico Testamento, docente in varie università italiane, è venuto a Romena per parlarci di alcuni tra i libri meno frequentati della Bibbia, il Qohèlet e il Cantico dei Cantici. Quelli che seguono sono solo alcuni degli spunti che De Bene-detti ci ha regalato nei tre giorni di corso.

L’interpretazione della BibbiaI Maestri d’Israele dicevano che “Ogni parola della Scrittura ha settanta sensi” e che se un discepolo intelligente spiega la Scrittura, quello che trova, le cose nuove che dice davanti al suo maestro sono come "rivelazione di Dio sul Monte Sinai". Ecco perché i fondamentalisti, secondo me, sono i distruttori della Bibbia. Qualche volta anche i traduttori della Bibbia sono distruttori della Bibbia perché certe volte cancellano delle possibilità che ci sono nel testo originale.

Le domande senza rispostaLa Bibbia è piena di domande. Ma due tipi di domande: domande che noi facciamo alla Scrittura, cioè a Dio, indirettamente, e domande che Dio fa a noi. I cristiani spesso sono sospinti dalle loro autorità a postulare che ogni domanda debba avere una risposta. Non è così. C’è una bellissima storia tramandata in cui si racconta di un pagano che dice ad un maestro ebreo: “Io mi faccio ebreo, ma prima voglio sapere come è fatto il vostro paradiso, per vedere se mi va bene”. Allora il maestro gli risponde: “Va bene, ti condurrò a vedere il paradiso, ma in sogno perché per adesso non possiamo andare in paradiso”. Si danno appuntamento in sogno e il maestro lo ac-compagna in un bosco. a un certo punto arrivano ad una capanna dove trovano un vecchio con una

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lunga barba che al lume di una lucerna studia un grosso libro. E l’ebreo dice al pagano: “Questi è il nostro più grande maestro dopo Mosè, Rabbi Akiwa. Ed è in paradiso”. Replica il pagano: “Il suo paradiso consiste nello studiare un libro?”. “Sì – risponde il maestro ebreo - ma adesso ca-pisce quello che studia”.

La storia dipende da noiL’intervento di Dio nella Storia è impercettibile. Tutti quelli che dicono “Qui c’è il dito di Dio” si sbagliano. Quelli che dicono “Dio lo vuole” si sbagliano. La presenza nella storia di Dio è impercettibile. Qualche volta si può, a poste-riori, dire: “Forse qui è intervenuto Dio”. Ma nessuno potrà mai dimostrarlo. Questo è uno dei nostri grandi problemi. A volte ci si chiede: “Ma Dio è passivo di fronte alle grandi tragedie dell’umanità?”. Io rispondo con una frase del Talmud: “Insegna alla tua lingua a dire non so”. La presenza di Dio è un’assenza. Del resto, per i cristiani Dio si è incarnato, si è fatto uomo, era carne e ossa, toccabile, anche da risorto, ma in che modo è presente per i cristiani, gli anglicani, gli ortodossi? Nell’Eucarestia, cioè in qualche cosa che è silenzio, quasi assenza, inazione. La storia è lasciata alle nostre mani e lo si vede. Lo si vede.

Consolare DioAl cuore della Bibbia io trovo le tre parole di Isaia 40,1 “Nachamù, nachamù, ammì”, nella loro doppia possibile traduzione: “Consolate, consolate il mio popolo”, e “Consolatemi, consolatemi, o mio popolo.Questa seconda interpretazione “Consolatemi, consolatemi, o mio popolo” viene dagli antichi maestri d’Israele che già pensavano ad un bisogno di Dio, che già pensavano che l’uomo colmi un desiderio di Dio. Del resto Dio nella Bibbia è anche chiamato “Hadoresh/Dio che cerca”. Noi cerchiamo Dio e Dio cerca noi, quasi un gioco a nascondino. E chi è che consola Dio? Non credo che Dio si senta consolato da una messa pontificale, o da cose del genere, non lo credo proprio. ecco, io credo… qualche teologo si è scandalizzato di quello che sto per dire, io credo di consolare Dio se do qualcosa a un povero con un sorriso, ma anche se raccolgo un cane abbandonato, se verso un po’ d’acqua su una pianta che ha le foglie appassite.. Anche questo è consolare Dio perché qualunque cosa facciamo

non dipende dalla sua grandezza, ma dal lievito che ci mettiamo dentro.

Il senso dell’aldilàI personaggi più antichi della Bibbia non sape-vano dell’altra vita. Abramo, Isacco e Giacobbe morivano sazi di anni in serena vecchiezza e la loro sopravvivenza erano i discendenti. Per noi questo no, non ci basta. Io credo che la fede nell’altra vita, che matura lentamente nella Bibbia, sia una necessità di Dio perché Dio in quanto assente e silente non ci è stato vicino, anche se ci è sempre vicino, ma non ci è stato vicino in modo efficace e visibile infinite volte. Ha lasciato che morissero i nostri figli, ha lasciato che si compisse un’ingiustizia… E allora l’altra vita risponde a due esigenze: ristabilire la giustizia di chi non l’ha avuta, e consentire a Dio di spiegarci perché si è comportato così. Se non ci fosse l’altra vita Dio rimarrebbe in grave debito verso di noi. E questo significa che uno di noi può anche dire “Non mi importa della resurrezione”. Ma importa a Dio.

Un piccolo spazio per il dolore di un amico perché mentre “si oscura il sole, la luce, la luna e le stelle” riesco a vedere che tanti amici gli sono vicini.E “mentre si abbassa il rumore della mola e si af-fievolisce il cinguettio degli uccelli” arrivi al suo cuore e a quello di sua sorella, come un silenzio sottile, il nostro “vi vogliamo bene”.

La morte del gatto Orso detto Orsone

Gianni Marmorini

Paolo De Benedetti

La morte ha chiuso la casa dei bambini,nessuno chiama più: Martino! Puppa!Nuvole! Pentolino! Ed anche tu Orsone,gatto tenero ed immensocon voce di neonato, sei partito, non scendi più dal viale incontro a noi,non ti stringi a Miciotti, per lenirel’abbandono di Pappa, morta dopo giorni di inedia in mezzo al prato. E tutre giorni in mezzo al prato l’aspettavi,ed ora sei con lei, non più con noi.Gli occhi tuoi pien d’amore, le tue orecchieubbidienti, che vedono? che ascoltano?Che il Cielo, così amaro qui per noi,sia dolce a te lassù, sia dolce a tuttevoi piccole creature, date e tolte come i figli di Giobbe. Dov’è, o mortela tua vittoria?È ancora qui, su questapiccola cuccia vuota, in questo pratodeserto, dentro al nostro cuore, sempre.

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Ogni domenica, alle 6 del pomeriggio, padre Giovanni apriva il Vangelo e il cuore dei tanti presenti alla sua messa, nella piccola chiesa delle Stinche. I pie-di, dietro all’altare, gli occhiali appena calati, si immergeva nelle Scritture e estraeva perle di rara bellezza. Una meraviglia per chi era presente. Ma per fortuna qualcuno, allora, pensò anche a noi. “Non so perché mi venne l’idea di regi-strare le sue omelie – ricorda Consalvo Fontani - ma sentivo che dovevo farlo perchè quello che ascoltavo non doveva andare perduto”. Così le parole di padre Giovanni vivono anche oggi, con la stessa portata profe-tica. “Nel cuore dell’essere” il libro che le raccoglie, è la nuova pubblicazione che la Fraternità di Romena dedica a padre Vannucci a vent'anni dalla sua scomparsa. La nostra Fraternità si sente profondamente vi-cina all'esperienza spiri-tuale di questo monaco, amico di David Turoldo, di don Milani, di Padre

Nuova pubblicazione della fraternità

Balducci, che sintetizzò la sua espe-rienza spirituale nella piccola comunità delle Stinche, nel cuore del Chianti, dove offriva un'accoglienza libera e aperta affinché ciascuno potesse cercare di camminare verso se stesso e in questo modo, incontrare Dio.Dopo la biografia ‘Custode della luce’, che abbiamo presentato a giugno, “Nel cuore dell’essere” è un incontro diretto con le parole e le intuizioni di padre Giovanni. Quella che presentiamo è una edizione rivista e ampliata (ci sono sei omelie inedite), rispetto alla prima edizione Mondadori del 1998 (da tempo esaurita). I testi, amorevolmente curati da Elena Berlanda, si riferiscono ad alcune tra le pagine più belle dei Vangeli e ce ne offrono una lettura innovativa, stimolante, aperta. Nella pagina a fian-co ve ne offriamo un piccolo assaggio, tratto dall'omelia “Il cristianesimo è un

invito alla gioia”. "Nel cuore dell'essere" potrà da oggi essere ri-chiesto alla Fraternità o in libreria. Buona lettura.

Edizioni Romena

In vendita a Romena e nelle librerie da Natale

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Giovanni Vannucci

La parola di Cristo è vera oggi,

ma sarà più vera domani.

Prediche alle Stinche

Prefazione di Carlo Molari

Giovanni VannucciNel cuore dell'essere

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Giovanni Vannucci

Nel cuore dell’essereNel cuore dell’essere

ROMENA

Noi dobbiamo ritrovare il senso della gioia. Perché cosa ci attende nel no-stro cammino religioso? Ci attende

la piena e totale fioritura del nostro essere personale: in noi ci sono numerose forze germinali, allo stato di seme, che devono cre-scere, devono svilupparsi. E quando avverrà l’incontro nostro con il Figlio dell’Uomo, con lo Sposo che viene, sarà un incontro che verrà determinato dalla fioritura di tutto il nostro essere. Ma non aspirate voi a più bellezza? Le piccole bellezze che riusciamo a costruire ci lasciano insoddisfatti e vogliamo andare oltre, a una bellezza più piena, più completa, più perfetta, più totale, che ci soddisfi piena-mente! Ma non aspirate voi a una vita sempre più viva, più intensa, più ardente, più forte? Ma non aspiriamo noi a una libertà sem-pre più piena? Non aspiriamo noi a un avvicinamento degli uomini con sempre più rispetto, più attenzione, più venerazione? Non aspiriamo noi a un amore sempre più sconfinato? Come ci stancano i piccoli amori! I piccoli amori egoistici! Chiusi in noi stessi, chiusi nel piccolo ambiente familiare che abbiamo costruito con tanta pazienza, chiusi anche nelle nostre piccole Chiese. In noi c’è una pulsione che ci porta a un amore che abbracci tutto il creato, e tutti gli uomini, e tutte le creature.

Vedete, in noi ci sono queste pulsioni, e lavo-rare cristianamente nel nostro essere, essere svegli, pronti, con le lampade accese, come ci dice Cristo, significa portare avanti queste energie che sono in noi. Quindi non dobbiamo aver paura. Un cristiano che ha paura della vita non è un cristiano. Un cristiano che ha paura della bellezza non è un cristiano. Un cristiano che ha paura della libertà non è un cristiano. Un cristiano che ha paura del-l’amore e limita il suo amore non può essere un cristiano. Cristo ci dice: Io sono venuto

a portarvi la vita perché abbiate una vita più abbondante. Mi direte: allora dobbiamo cambiare il mondo? Dobbiamo cambiare noi, noi stessi, perché ognuno di noi è chiamato a dischiudersi nell’infinita pienezza di vita che è Dio. E il nostro incontro sarà un incontro di gioia, come l’albero quando fiorisce; quel-la gioia che proviamo quando riusciamo a rompere dei limiti nella nostra coscienza che ci impediscono di essere più liberi, più veri; quella gioia che proviamo quando il nostro cuore si dischiude a un amore più vasto e

più sconfinato e cominciamo a guardare gli altri uomini senza fermarci alle etichette che han-no, o di partito, o di religione, o di razza, o di altre cose del genere, e vediamo, nell’altro, l’uomo. E il nostro cuore esulta per avere incontrato un uomo. Proviamo una gioia immensa. Non è così quando riusciamo a perdonare, per esempio? Cioè a non sentire più l'altro, ostile, nemico, avversario, o malefico? Quando riusciamo a superare queste limitazioni che ci vengo-

no dalla limitatezza della nostra natura, noi proviamo una gioia immensa. E queste aper-ture di coscienza sono l’incontro con lo Sposo, cioè con quella pienezza di vita che Cristo ci ha portato e che continuamente è pronto a darci. Solo che noi rimaniamo tranquilli, chiusi nel nostro piccolo bozzolo.

Allora mi sembra che le parole di Cristo, che vi ho letto, siano un invito alla gioia. Se noi cristiani sentissimo il cristianesimo come partecipazione gioiosa, aperta, amorosa, a tutte le manifestazioni della vita, saremmo una presenza positiva nell’esistenza, e ci libereremmo da tutte quelle paure, da tutti quegli spaventi, da tutte quelle moralizzazioni dei nostri atti che ci rendono deboli, inerti, pavidi, nell’esistenza.

23Giovanni Vannucci

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Ringraziamo gli amici di L'Aquila, S. Benedetto del Tronto, Tolentino, Milano, Genova, Rovereto,

Padova, Napoli, Rossano Calabro, Valdarno e Firenze.

Ci ha emozionato la loro accoglienza e il loro calore.Da gennaio ripartiamo per incontrare tutti gli altri.

Vi aspettiamo!

IMOLA 19 Gennaio - ore 21 Convento dei Cappuccini

PESARO 20 Gennaio - ore 21 Pieve S. Stefano Candelara

GROSSETO 15 Febbraio - ore 21 Parr. S. Maria GorettiRispescia

LIVORNO 16 Febbraio - ore 21 Chiesa di S. CaterinaPiazza Domenicani

ROMA 2 Marzo - ore 21Piccole Sorelle

Via Acque SalvieTre fontane - EUR

SIENA 9 Marzo - ore 21 Parrocchia - Piazza MarconiSovicille

AREZZO 16 Marzo - ore 21 Parrocchia di Saione

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• In alcune librerie: distribuite da Città Nuova e Messaggero di Padova.

• Oppure le puoi richiedere a Romena con le seguenti modalità:

- Tel. o fax 0575 582060 - per e-mail: [email protected]• La spedizione avverrà tramite pacco postale. • Il pagamento: C/C Postale n° 38366340

intestato a: Fraternità di Romena - OnlusVia Romena n. 1 - 52015 Pratovecchio (AR)specificando nella causale: contributo libri

Le pubblicazioni della Fraternità di Romena

Giovanni Vannucci

Massimo Orlandi

custode della luce

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Un libro su Giovanni Vannucci, che ha percorso gli anni della sua esistenza cercando continuamente di aprire domande e di ribaltarle, come fa la vanga nella zolla, per rendere la sua terra, e la nostra, più fertile.Massimo Orlandi ci guida attraverso il suo cammino di libertà. Il pensiero di padre Giovanni ha ispirato fin dall’inizio la nostra Fraternità.

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18-20 Febbraio 2005 Corso di Nadav Crivelli

- Iscrizioni a Romena -

I gruppi

1° venerdì del mese c/o Associazione Armonia ore 20,30 Resp. Paolo Lott 335 - 7725635Rovereto

AVV

ISI

La profezia nella Bibbia

Resp. Francesca Abignente 333 - 1252602Napoli

Resp. Lucia Giannetti 347 - 0841565Valdarno

29 gennaio - ore 21 - Chiesina Compiobbi Resp. Silvia Bertelli 333 - 7502092Firenze

Resp. Marco Sbragi 328 - 3119498 - Ricci Andrea 329 - 9018357 ultimo venerdì del meseArezzo

mercatino 12 e 19 dicembre

In alcune città sono nati i gruppi di incontro. Se Romena è la casa che ci ha fatto incontrare, ora è la nostra casa che diventa il luogo dell'incontro, del "fare casa".

Un mercatino vero in cui si

possono trovare solo piccoli

doni, oggetti artigianali, pensieri.

Un modo per liberare il regalo

dalla catena del consumismo

e restituirlo a una dimensione

più semplice e più spontanea.

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“Quello che la piccola Momo sapeva fare come nessun altro era ascoltare. Non è niente di straordinario, dirà qualche lettore. Chiunque sa ascoltare. Ebbene, è un errore…” Così scrive Michael Ende nelle prime pagine di Momo, uno dei suoi romanzi più famosi. Anche a noi di Romena piacerebbe condividere, almeno un po’, il dono di Momo. Anche perché tante persone, specie la domenica, vengono a Romena proprio cercando questo: una persona, un amico che sappia ascoltare, e a cui poter affidare un disagio, un dolore, un momento comunque delicato. Sino a oggi abbiamo cercato di rispondere con spontaneità a questo desiderio. Ma ci rendiamo conto che è necessario impegnarci di più.

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PROSSIMO NUMERO : il giornale in uscita a MARZO approfondirà il tema: “I FIGLI”. Inviateci lettere, idee, articoli (termine ultimo: 28 Febbraio 2005), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO : se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo sul c.c.p allegato.CASSA COMUNE : è composta dai vostri c.c.p. più offerte libere. La cassa sarà utilizzata per continuare a realizzare il giornale e ampliarne la diffusione (in carceri, istituti, associazioni, gruppi, ecc.)PASSAPAROLA : se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, o se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci.SEGRETERIA : l’ orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 18 alle 20, sabato e domenica quando vuoi.

Domenica 19 dicembre, ore 16presentazione del nuovo libro pubblicato dalla Fraternità

Nel cuore dell'esseredi Giovanni Vannucci

Giovanni Vannucci

Nel cuore dell’essereNel cuore dell’essere

ROMENA

Ogni domenica c'è chi ti ascolta

Ogni domenica, oltre a Gigi, anche altri amici saranno presenti se vi andrà di raccontarci quello che vi sta acca-dendo: si alterneranno don Gianni Marmorini, Wolfgang Fasser, Pierluigi ‘Pigi’ Ricci e Maria Teresa Abignente. Saranno con noi tutto il pomeriggio di ogni domenica.

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are casa in questo giardino, com’è difficile… Mentre i miei bimbi giocano con i loro amici, che bello, posso conquistarmi una panchina ed in silenzio scrivere sms

agli amici corsisti ! Ma sigh!il cellulare si scarica dopo un'ultima ben accetta telefonata. Ok.tutto bene, il libro di sorella Maria avrà il suo giusto momento d’attenzione. Comincio a leggere il capitolo “la pace”, quando subito giunge una si-gnora: -signorina c’è posto per me e mio marito? - ma certo, venga!

Di lì a poco giugono altre coppie attempate.Parlano sereni delle loro piccole quotidianità, ridono delle semplici battute.Che bellezza!schiette voci, oneste, uomini e donne che hanno passato insieme la vita. Ormai sulla panchina siamo in 5, io ho un’angolino, un'estremità fredda. Dopo 10 minuti eccomi chiusa in macchina, un CD per coccolarmi l’anima, non sono le zanzare che mi hanno fatto alzare, solo il mio disagio, il mio sentirmi sola accanto a quelle vite che ancora camminano a braccetto. Intanto, la lettura scorre al capitolo “silenzio, solitudine, raccoglimento”.Cara sorella Maria hai pronunciato belle parole su questi argomenti, e con la mente torno ai pochi giorni passati all’eremo di Campello. È stato facile sentirsi a casa lì, dopo appena poche ore, ma qui....... Ognuno ha un posto: i bimbi piccoli sullo scivolo, i più grandi corrono dietro al pallone, splendidi adolescenti con tutta la vita addosso ruzzano tra sè, giovani coppie stanche e fiere dei loro bimbi che giocano, gli anziani che parlano del tempo, dei ricordi, dei nipoti. Ed io? Mamme con cui parlare? Almeno 10 in questa piazza, gli voglio bene, ma avrò tutto l’inverno per ascoltarle, a volte parole sincere altre volte inutili e tronfie di sicurezze! Era facile eh domenica a Romena!? Lì era casa. Cento volti a cui sorridere, guance da baciare, braccia da stringere, occhi lucidi in cui affondare i miei per sentirsi un’unica cosa. Mentre scrivo il nodo aumenta, ma arriva anche la consapevolezza che c’è un'unica via. Me lo son detto più volte in questi ultimi 5 anni: con i miei bimbi potrei andare dovunque, e ricominciare sarebbe ugualmente bello e doloroso come lo è stato farlo qui. Perchè la tenda l’ho ripiantata da sola dentro di me ed ho apparecchiato la tavola della mia vita con amici nuovi, una nuova fede più viva e calda, nuove speranze, nuovi viaggi. Per tovaglia il mare, per candela la luna. Silentium sacrum, care Brigitte e Daniela Maria, avete ragione, l’ho capito meglio stasera. “La solitudine sola dà ristoro perché nella solitudine troviamo Dio e l’essere in comunione con gli altri". Troviamo casa.

olevo ringraziarvi per l’ospitalità data al video dell’ultima intervista di Tiziano Terzani, e per l’ospitaltà generosa che Romena offre a chi passa (e io, qualche volta, passo).La risata squillante e la spontaneità fiorentina di Anam hanno trovato una cornice meravi-

gliosa, naturale e commovente tra le mura antiche della vostra Pieve. Meravigliosa in quanto lo è l’edificio stesso. Naturale in quanto le immagini di Terzani - che aveva scelto la semplicità della natura e la distanza dal baccano del mondo, pur soffiandovi pensieri di pace - risaltavano spontaneamente incorniciate, come lui avrebbe desiderato credo, nell’ambiente essenziale della chiesa, commovente per l’entusiasmo tranquillo delle persone, nella loro eterogeneità assorta e attenta, con i loro cani e i loro bambini, nel loro gioioso esserci, in un giorno di pioggia e sole, in un mondo di pioggia e sole. A presto e ancora grazie!

F

Monica

V

Paola

GR

AFF

ITI

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pomeriggio inoltrato ed è ormai buio quando ri-torno a casa dopo una giornata di lavoro. Le mie figlie non sono ancora rientrate, una è a danza e

l’altra a fare i compiti dalla nonna. Sono stanca e vorrei tanto potermi stendere su un divano a non fare niente per un’oretta o due, ma non si può. Tra poco più di un’ora appunto le ragazze torneranno: avranno fame e mi chiederanno: “Cosa c’è a cena?”. Già, perché solo la sera ci si riunisce intorno al tavolo, si mangia e si chiacchiera insieme, si “fa casa” una volta al giorno durante la settimana. Sono stanca sì, ma come spesso mi succede quando sono stanca o nervosa decido di fare qualcosa che mi piaccia, che dia calore. Farò il pane. E così mi rimbocco le maniche e mi metto ad impastare. Fare il pane mi tira sempre su di morale, mi dà l’idea della creazione, della nascita del focolare. Vivo quasi come un miracolo l’unione della farina con l’acqua, un po’ di olio e sale e quella polvere magica, “il lievito”, che ha il potere di far cambiare consistenza a tutti gli altri elementi. Si aspetta. Come nella vita, come per una nascita. Nel frattempo cucino e apparecchio mentre la casa è ormai calda e lo stereo fa suonare il mio cd preferito. Ecco, la pasta è raddoppiata, il lievito in silenzio ha fatto il suo lavoro (a volte penso che anche tante cose della vita accadono così, in punta di piedi, quasi in silenzio, ma non per questo sono meno importanti). Di nuovo affondo le mani nella pasta: che forma gli darò? Ho deciso, una bella ciambella! La infilo nel forno già caldo e lascio che il calore la faccia dorare. Il calore è quello che ci fa dare il meglio di noi, che ci fa sentire meno soli, che ci fa tornare a sperare. Il calore di un sorriso o di un abbraccio che ti avvolge tondo, come la mia ciambella che ormai ha la crosta croccante e un profumo disarmante. Un rumore alla porta: “Ciao, siamo tornate! Che cos’è questo profumo?” “Mamma, hai fatto il pane?”

Paola

È

Gioia

a un po’ pensavo a questo tema: fare casa.Mi piace vivere nello spirito di accoglienza, nell’incontro con l’altro, nel rapporto che si instaura, in questo realizzare l’oggi, perché lo sento mio, vitale, vero.

Il Signore della vita e della storia ci chiede di vivere i nostri rapporti “facendo casa”: con Lui, con loro, con noi vivi e presenti, …con i vicini, con i lontani… “vivere è incontrarsi…”.Ora ho invece da vivere un tempo di sosta, di pausa, di inattività, di silenzio e di solitudine. Per una banale caduta passo pomeriggi interi su di un divano con il braccio al collo e la gamba stesa, in un silenzio grande… con la ricchezza di sperimentare il limite, il dipendere, il non riuscire, l’inattività, ma al tempo stesso il dono di incontri più profondi, di riflessioni, di momenti forti di preghiera, sen-tendo la gioia di una Presenza viva, affettuosa, tenera. Questo ora è il mio tempo opportuno, è il mio prepararmi ai nuovi incontri con gli amici, le loro Storie, il nostro voler crescere nella Vita. Ora io sento che non solo voglio “fare casa” nello stare con gli altri, ma desidero, cerco e spero, con l’aiuto dello Spirito, di poter “essere casa” per coloro che mi incontrano.“Rendici attenti Signore agli incontri che oggi faremo”.Essere casa perciò: avere cuore e mente attenti, accogliere, aprire l’anima senza risparmi, essere terra nuova sulla quale si può riposare, ci si può incontrare… Forse è un sogno troppo grande…forse è una sponda irraggiungibile? Sono certa che l’Amore che vive in me, questo mi chiede, mi indica ora…nel momento più fermo, appesantita dal gesso.Grazie, Signore, perché riempi il mio cuore di sogni grandi, fai volare la mia volontà e la mia mente… Cercherò di essere casa dovunque tu vorrai che io sia.

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hi per prima mi ha aiutato a comprendere davvero quello che per me significa”fare casa” è stata mia figlia. Era un periodo in cui mi affan-navo e mi dannavo per trovare un luogo dove far crescere Anna in

modo dignitoso e fare “famiglia”, nonostante la nostra situazione sui “generis”: una casa appunto. Poi un bel giorno lei, con la sinteticità e la schiettezza propria dei bambini, mi disse: “Se sei così triste non mi vuoi veramente bene”. Mi fece comprendere che “casa” per lei ero io. Era il mio cuore aperto, privo di affanni e di preoccupazioni; erano le mie braccia accoglienti e il mio sorriso bello, pieno sereno; erano le mie risate leggere e io che ballavo con lei. Sì, divenire casa…un luogo dove si entra quando si è stanchi, disillusi e affamati di calore, di cibo per il cuore e di coccole; quando si è assetati di semplicità e di leggerezza e si ha il desiderio di riassaporare il “profumo” di cose buone e di terra. E quando si diviene casa, per una strana alchimia, si è sempre pieni.

are “Casa” o “casa”? La differenza passa per una semplice maiuscola. La “casa”, con “c” minuscola, a indicare un qualsiasi edificio dove abitano insieme delle persone: monolocale o villa

non fa differenza. Edifici anonimi uguali tra loro. La “Casa”, con la “C” maiuscola, sono due persone che si vogliono bene, che si incontrano, si abbracciano. Può essere per una vita o per un’ora; dentro ad un monolocale, dentro ad una villa, fuori in strada su un mar-ciapiede. Questa Casa non sarà mai anonima, non sarà copiata, non sarà uguale a nessun’ altra… sarà semplicemente di quelle due persone uniche e irripetibili come il loro incontro.

Mariel la

Monica

F

C

i viene in mente un famoso quadro di Van Gogh, “I mangiatori di patate” e penso che questo rappresenti per me le sensazioni legate al tema “fare casa”.

Lì, sulla tela, vedo delle figure umane che, anche se stilizzate in pen-nellate rapide e corpose, rappresentano la quotidianità di tutti i giorni. Sono sedute intorno ad una tavola, La tavola. Non importa che abiti abbiano indosso e neanche il colore delle loro mani, sporche dal lavoro dei campi. Sono sedute insieme a condividere un pasto, ma anche sen-sazioni ed emozioni…Questo è per me il fare casa: essere insieme, aprirsi agli altri e alla propria famiglia, condividere ciò che di bello o brutto abbiamo vissuto…E so che non è sempre facile…Ieri sera parlavamo con un nostro caro amico. Lui ha avuto dei brutti problemi di salute e ora teme le analisi che dovrà fare tra qualche giorno. È difficile “tirarlo su”, è difficile mettersi nei suoi panni, per quanto gli vogliamo bene. Ma siamo lì, con lui, intorno ad un tavolo…e, anche se in silenzio, lo ascoltiamo, lo abbracciamo virtualmente, partecipiamo alle sue emozioni. Anche questo è fare casa… Spesso cantiamo alla S.Messa “Dove due o tre sono uniti nel mio nome…”, senza badare troppo alle parole e al significato di quest’espressione. Se due o tre sono uniti nel Suo nome, anche qui si sta facendo casa… Dunque, siano mangiatori di patate, sia un abbraccio ad un amico, sia il pregare insieme, tutto questo è condividere e dunque fare casa.

M

Emanuela

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Per darci una manoLa nostra associazione è giuridicamente ri-conosciuta come ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa d’Utilità Sociale), per questo chi vuole dare un contributo può beneficiare delle agevolazioni fiscali previste contenute nel decreto legislativo 460 /1997.Il versamento può essere effettuato tra-mite:- C/C Postale n. conto 38366340 intestato a: Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo - Bonifico bancario su C/C n. 3260 c/o Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (BPEL) Filiale di Pratovecchio codice ABI 5390 CAB 71590 intestato a Fraternità di Romena Via Romena 1 52015 Pratovecchio - Arezzo, specificando nella causale “Offerta Progetto Romena”

FRATERNITA’ DI ROMENA - ONLUS -

oco prima che tu mi lasciassi ascoltam-mo in TV la notizia di un sequestro di brillanti avvenuto sulla frontiera con la

Svizzera, almeno mi sembra. Era stata un’opera-zione della guardia di finanza per una notevole quantità di brillanti contrabbandati, migliaia e non era nemmeno chiaro chi ne fosse il proprietario. Che saggio che eri, tesoro! E nessuno di noi voleva ammetterlo, rifiutavamo di accettare che tu, il nostro piccolino, avessi una profondità di pensiero che da parte nostra ci sognavamo; che tu avessi superato le nostre piccole vedute da borghesucci piccini, piccini, abbarbicati ai piccoli averi e gelosi delle piccole conquiste economiche cui attribuire importanza di priorità nella gamma dei valori: l’avere per l’avere! Radicati nella convinzione che ognuno vale per ciò che ha e che potrebbe fare con quello che ha, ma che non farà mai, perché poi dovrebbe rinunciare a una parte almeno di quell’avere!Bellissima la tua osservazione:“Ora vedi, mamma, tutti quei brillanti vanno a finire in fondo a un caveau, ci resteranno anni e non serviranno più a niente e a nessuno. Invece pensa a quanti ragazzi potrebbero fare contenti: uno solo di quei brillanti basterebbe e un giovane lo darebbe alla propria ragazza e così …! Lì den-tro a che servono, a che serviranno mai?”Io non volli ammettere l’esattezza del tuo ragio-namento; ci passai sopra, perché in realtà non sapevo come replicare! E non c’era da replicare, c’era solo da riconoscere la validità del tuo pen-siero, ma io anche quella volta non lo feci, non riuscii a farlo!Ma quanta ragione hai sempre avuto! Che valore possono avere gli oggetti se non servono a dare gioia alle persone? a trasmettere un messaggio d’amore, a parlare un linguaggio d’amore? A che servono le ricchezze chiuse dentro le Banche, i soldi che, celati dietro numeri nei libretti di risparmio, nessuno vedrà mai nemmeno con-cretizzati in carta, carta-moneta? se resteranno sempre null’altro che numeri?

Rober ta

Un corso a Romena per i giovanissimi. A settem-bre 2004 si è svolto il primo corso per ragazzi e ragazze dai 16 ai 22 anni. A partire da aprile 2005 i corsi ripartiranno.

Corsi per i giovaniPer Roberto

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Casa si fa con il calore,non nel pensare la stessa cosa.

Antonietta Potente