Giorgio Gaslini / Official Website - Spettacoli Gaslini/Minardi ...Gaslini/Minardi. La musica totale...
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6/6/2014 Gaslini/Minardi. La musica totale - Gazzetta di Parma
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Gaslini/Minardi. La musica totale Si racconta senza rimpianti: «Il jazz è un albero che può dare sempre fiorinuovi»04/06/2014 - 16:58
Giorgio Gaslini
di Gian Paolo Minardi
Incontrare Giorgio Gaslini nella sua accogliente casa di Borgotaro, quattro cani (salvati dal canile)
scodinzolanti che ti fanno festa sulla soglia, è occasione tanto piacevole per l’affabilità e la
disponibilità dell’uomo quanto arduo può apparire l’avvio di un’intervista, per lo spessore delle più
disparate esperienze musicali sedimentate dietro una vita straordinariamente operosa e che fanno
di lui un personaggio unico, proprio per l’intreccio di situazioni che rendono complesso il cammino.
Da dove cominciare? Per rompere il ghiaccio la prima domanda che viene è «perché Borgotaro?».
«Glielo spiego subito» dice Gaslini con quell’eloquio pacato e scorrevole, per nulla incrinato di vene
nostalgiche, che poi è il tono con cui guida la lunga conversazione, il tono di un uomo che ha alle
spalle un passato incredibile ma che, girata la boa degli ottant’anni, guarda al presente senza
rimpianti, con quella felicità che traspare dalle sue più recenti composizioni, una fioritura davvero
sorprendente, continuamente irrorata da idee. «A Milano alla fine degli anni sessanta non riuscivo
più a lavorare; sentivo di aver bisogno di silenzio, di spazio. Cercavo anche un posto dove dar vita
ad un laboratorio musicale. Senza esito la ricerca in Brianza, tramite un’inserzione sul ‘Corriere’, e
con la conseguente intermediazione di un personaggio del posto che scoprii poi essere il
fisarmonicista della vallata, rimasi conquistato da una singolare costruzione, nella zona di Gorro; si
E venti a Parma
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trattava dei resti di un monastero del cinquecento, un monastero povero, costruito dai frati con
materiali d’occasione. Disponevo di una certa cifra, frutto di quattro concerti che avevo tenuto alla
Piccola Scala e decisi di investire quei soldi in quell’impresa; che gestii da solo, senza architetto:
uno spazio di 30.000 metri, venti locali, addirittura un teatrino di cinquanta posti, quanti erano gli
abitanti di Gorro».
Per venticinque anni Gaslini ha vissuto in quello straordinario “retiro” dove ha avuto ospiti illustri,
da Max Roach a Ornette Coleman, partecipi di favolose sedute di improvvisazioni. Poi il mutamento
di situazioni ambientali che ha toccato tutta la nostra montagna indussero Gaslini a cedere quel
luogo di sogno per scendere a Borgotaro, nella deliziosa villetta liberty anni trenta in cui, insieme
alla moglie, l’attrice Simona Caucia, ha ridisegnato il luogo della sua vita, con quell’ordine
riconoscibile nella nitidezza degli spazi, dove libri, dischi, partiture scandiscono il senso di un
universo intensamente fervido. Da Borgotaro passiamo a Parma, al ricordo della rappresentazione
al Regio, nel 1968, della sua opera «Un quarto di vita». Gaslini ne parla con rinnovato entusiasmo,
nonostante le difficoltà che accompagnarono quella realizzazione: Luciano Damiani, grande
scenografo ma che non aveva esperienza di regìa, i due maestri sostituti subito svaniti: «Mi sono
trovato solo, senza assistenti, dodici ore al giorno al pianoforte, il protagonista Duilio Del Prete che
si ammala, Milly che non viene, sostituita dalla pur brava Daisy Lumini; l’unica persona che mi ha
sostenuto è stato il maestro Egaddi col suo coro. La ‘Gazzetta’ sparò nel titolo ‘Gaslini tra i
contestatori’, ma non c’era niente in questa storia che raccontava le vicende della gioventù di allora,
quella metropolitana di cui avevo registrato tanti aspetti, colto il malessere di quei giovani. Era il
primo esempio di opera popolare, con arie, brani sinfonici, recitativi; oltre alla musica avevo scritto
io il soggetto, il libretto, raccontando la vicenda di un cronista cui la direttrice del giornale aveva
commissionato di scrivere un articolo contro questi giovani, ma il giornalista capisce che hanno
ragione e scrive un ‘reportage a contrario’, dichiarando di non vendersi ma di cercare la verità, resa
drammatica dalla morte di un giovane. Insomma una storia che ha fatto incavolare tutti !». Dopo
una rappresentazione pomeridiana riservata ai giovani, che fu un successo, l’opera affrontò il
pubblico delle prime, con applausi dopo il primo atto poi freddezza e contrasti. Si trattava di un
esperimento nuovo verso cui Gaslini conserva la propria convinzione: «l’opera era in anticipo di
vent’anni» dice.
E il Gaslini di oggi? E’ l’approdo di un lungo percorso che aveva trovato avvio negli anni cinquanta
con l’esperienza del “piano solo” , formula inedita verso la quale lo aveva incoraggiato il grande
Oscar Peterson: una lunga arcata costellata di successi, tournées in ottanta paesi, tutta l’Asia,
l’America, il Metropolitan, Chicago, il festival di New Orleans; poi Mosca, la Cina, ogni tappa segnata
anche da curiosi episodi che Gaslini ama rievocare con divertita sagacia, come la presenza di quel
grosso texano che dopo il successo al Metropolitan, mettendogli confidenzialmente la robusta
mano sulla spalla ( “Oh, George…”) gli propone di stipendiarlo per quattro anni… Episodi toccanti
anche, come quello legato alla sua tournée in Birmania quando a Rangoon, affascinato, tra la
confusione di un party all’Ambasciata, dalla sottile poesia di un’arpa birmana toccata da una
giovane suonatrice decide di farla ascoltare in Italia superando, con la sua determinazione, tutti gli
ostacoli: poiché, gli dicono le autorità locali, dalla Birmania le donne possono uscire dal paese solo
sposandosi oppure venendo ingaggiate come cuoche, ecco che Gaslini, con la complicità di un
amico milanese gestore di un noto locale riesce a far assumere la fanciulla, la quale invece
susciterà straordinario successo in alcune prestigiose sale da concerto; non meno avventuroso il
trasferimento dello strumento, quell’arpa birmana che Gaslini conserva gelosamente nel suo
studio. Da quell’esperienza è nato uno dei brani più suggestivi, quella «Myanmar Suite» in cui si
riverberano gli echi raffinati di quella cultura orientale che è una delle tante componenti che
confluiscono entro il magico crogiolo del compositore; nel segno di quella libertà che possiamo
riconoscere come la cifra più autentica e più originale del nostro musicista, su un fondale di
esperienze sconfinato. Tra queste il jazz, naturalmente, ma sganciato da ogni formula: «un
linguaggio quello del jazz che è un albero dalle tante radici che può dare fiori nuovi e stupefacenti.
Io suonavo la mia musica» commenta Gaslini, riportando così il nostro discorso a quell’idea di
«musica totale» che aveva evocato già negli anni cinquanta e che si poi definirà in un volume,
«Musica totale» appunto, concetto che non sfuggì allo scetticismo di chi viaggiava lungo altri
percorsi, quando le strade del comporre sembravano recisamente separate da un muro: quel muro
che è una presenza ricorrente, quasi un emblema, nelle estrose divagazioni pittoriche di Gaslini,
simbolo di tante chiusure e stimolo per la sua creatività. Gaslini in effetti quelle strade separate la
aveva percorse in quegli anni caldi che vedevano protagonisti giovani ardimentosamente
intraprendenti come Berio, Nono, Boulez, Stockhausen, Maderna, con alcuni dei quali, Berio,
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Canino, Fellegara, Castiglioni e pure con Claudio Abbado, aveva diviso gli anni di studio, ma con
altro spirito. «Avevo scelto di non andare a Darmstadt – dice- perché sentivo l’esigenza di non venir
chiuso entro reticolati», sospinto da quella naturale vocazione, da quell’irrefrenabile estro che lo
avrebbe portato a esiti di rara freschezza, quelli che possiamo osservare oggi, arricchiti da una
felice creatività dove tutte le strade percorse sembrano impalpabilmente fondersi, senza sfridi e
senza furbesca ambiguità . Concorda con me sull’ambivalenza del termine “contaminazione”, una
specie di “passe par tout” con cui si continuano a giustificare tante offerte improprie: «Convergenza
piuttosto», propone, precisazione che ci consente di mettere a fuoco un profilo più aderente di
Gaslini, pensando come la pur dominante esperienza jazzistica sia andata sublimandosi, insieme
alle tante altre che hanno lo impegnato, da quelle del cinema (le colonne sonore per Antonioni),
alla danza, mai disgiunte da un confronto con la realtà nella tante sfaccettature esistenziali; in uno
stile che, come è stato felicemente sintetizzato, è «al di sopra di qualsiasi riserva critica». Insomma,
sembra di poter riconoscere, quasi come risarcimento di certe occhiate superciliose, come il senso
di quella «musica totale» abbia trovato nell’ultima produzione del nostro compositore un autentico
riscatto. Totalità che si libera da quella musica felice, inventiva, che Gaslini va distillando con mano
ferma sui pentagrammi ordinati sul suo candido tavolo di lavoro. Musiche che nascono dall’incanto
della natura, osservata nella sua più delicata presenza, come in quella deliziosa, poetica raccolta
pianistica dei «Fiori», vero e proprio erbario musicale, ma anche dalla stupefazione di fronte
all’immanenza del paesaggio, quell’ ampio fiato del Gange che si prolunga nell’avvincente «Largo»
per orchestra; ma poi vi sono le sollecitazioni della pittura, i provocanti ‘décollages’ di Rotella come
le più inquietanti, misteriose operazioni di Beuys; senza trascurare il gioco, quello stimolo ludico
che può offrirgli un carillon (non aveva del resto il battito del metronomo di Mälzel suggerito a
Beethoven l’ “Allegretto scherzoso” dell’Ottava sinfonia? ) o venir suggerito dal fascino combinatorio
delle carte da gioco, da lui stesso dipinte; senza trascurare, ovviamente, lo stimolo, quello che ha
sempre agito su tanti musicisti, da Vivaldi, a Mozart, a Brahms, a Stravinsky, innescato dai caratteri
di un particolare strumento, come il flauto, il clarinetto, per i quali sono nati fragranti Concerti, ma
anche strumenti meno consueti, come, appunto, la seducente arpa birmana. Uno spettro
amplissimo, davvero ‘totale’, in cui si decantano, come ha annotato Quirino Principe, non solo
«l’incantesimo e l’estasi» ma pure «l’ironia e il divertimento», a dire della ricchezza di un ritratto.
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