Giordano Bruno e la "Furiosa Commedia"

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    ca a putti». Ecco perché due lapidi, sotto il portico dePalazzo comunale, ricordano oggi questi due geni codiversi, accomunati dal destino dell’esule.

    Giordano Bruno conosceva e amava le opere detosco poeta: la Monarchia, libro messo all’indice che lese di nascosto a S. Domenico Maggiore, costituì undei riferimenti principali della sua concezione politice l’eco dellaCommediasi avverte con chiarezza in alcupagine molto suggestive. Nel secondo dialogo delle Cna de le Ceneri , una delle sue opere più famose, il Nolanracconta l’avventuroso viaggio compiuto insieme due amici londinesi John Florio e Matthew Gwinn, peraggiungere il palazzo di Lord Fulke Greville, ove sarprotagonista di un’accesa disputa sull’infinità dell’un

    verso con due pedanti di Oxford. Il viaggio lungo il Tamigi, per il tono utilizzato e per i numerosi riferimentiche attingono oltre che alla Commedia, al VI candell’ Eneide virgiliana, è rappresentato come una vera

    C’è un piccolo borgo, che dalle colline digrada

    verso il mare, in cui le memorie di Dante Ali-ghieri e di Giordano Bruno stanno una accan-

    to all’altra. Si tratta di Noli, un tempo florida Repubblica Marinara, ove entrambi fecero tappa, nel corso del loroperegrinare. Nel 1306 vi passò Dante, diretto in Francia,che rimase a tal punto colpito dalla sua posizione, ai piedidel Monte Ursino, da richiamarla all’inizio del Purgatorio:

    Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,montasi su in Bismantova e ’n Cacumecon esso i piè; ma qui convien ch’om voli.

    Nel 1576 fu la volta di Bruno trovare asilo all’om-bra della chiesa di San Paragorio, come egli stesso di-chiarò nel primo costituto del processo Veneto: «depo-sto l’abito, andai a Noli, territorio genoese, dove mitrattenni quattro o cinque mesi a insegnar la grammati-

    SPECIALE DANTE ALIGHIERI

    Nella pagina accanto: Paul Gustave Doré (1832-1883) , Purgatorio , Canto IV. Sotto da sinistra: le due lapidi che a Noli, nelportico del Palazzo comunale, ricordano i passaggi di Giordano Bruno e Dante Alighieri nella cittadina ligure

    GIORDANO BRUNO E‘LA FURIOSA COMMEDIA’

    Echi danteschi nelle opere del NolanoGUIDO DEL GIUDICE

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    propria discesa agl’inferi. La barca sgangherata che lacompagnia, vista l’ora tarda, decide di noleggiare scric-chiola sotto i colpi di remo di due anziani barcaioli, un deiquali «pareva il nocchier antico del tartareo regno».«Piaccia a Dio - esclama il Nolano - che questo non siiCaronte» . L’allegorica traversata dell’Acheronte si arre-sta bruscamente quando, con la scortesia tipica della ple-be inglese, che Bruno fustigò in più occasioni,i due arci-gni traghettatori sbarcano, in malo modo, i passeggerisulla sponda del fiume, in corrispondenza di un largo efangoso pantano. La descrizione assume i toni comicidella letteratura burlesca allorché il povero Bruno, fidan-do sulla sua esperienza di viaggiatore, prende il comandodel drappello e, piccolo com’è, rischia quasi di annegare:«Il Nolano, il quale ha studiato ed ha pratticato ne lescuole piú che noi, disse: - Mi par veder un porco passag-

    gio; però seguitate a me. - Ed ecco, non avea finito queldire, che vien piantato lui in quella fanga di sorte che nonpossea ritrarne fuora le gambe; e cossí, aggiutando l’unl’altro, vi dammo per mezzo, sperando che questo purga-torio durasse poco». Nell’interpretazione “tropologica”che Bruno aveva preannunciato nell’ Argomentodel dialogo, il pantano, la «buazza», come lui la chiama, corri-sponde dunque al purgatorio. Nel finale della stessa Cena, il filosofo richiamerà esplicitamente una sua operapurtroppo perduta: «A voi, Smitho, mandarò quel dialo-go del Nolano, che si chiama Purgatorio de l’inferno; e iv

    vedrai il frutto della redenzione». Quale fosse questopurgatorio e a quale redenzione egli si riferisse non ci èdato sapere, ma potremmo metaforicamente identificar-la nell’avventurosa peregrinatioattraverso l’ingannevolscienza del tempo, per arrivare alla dimora della veritàche, in questo caso, è una verità esclusivamente di ragio-ne, e non di fede. Dall’inferno del Tamigi, attraverso ilpantano del purgatorio, si giunge infine a quello chesembra un paradiso: «In conclusione, tandem laeta arvtenemus : ne parve essere ai campi Elisii, essendo arrivati la grande ed ordinaria strada». La piccola “commedia”del Nolano si rivela, però, più infernale che divina, per-

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    Sopra: Giovanni Di Paolo (1399-1482), Dante e Beatriceverso il cielo del Sole (1450 ca.), miniatura tratta dalla

    Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, Londra, British Library. A sinistra: Raffaello Sorbi (1844-1931), Dante e

    Beatrice (1903), collezione privata. A destra: frontespiziodella prima edizione de La cena de le ceneri (1584)

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    ché, risaliti sulla strada maestra, i tre compagni di avven-tura si accorgono di essere praticamente tornati al puntodi partenza: «ne ritrovammo poco piú o meno di vintiduipassi discosti da onde eravamo partiti per ritrovar gli bar-caroli, e vicino a la stanza del Nolano». Senza alcuna re-denzione ricomincia, dunque, il viaggio del filosofo nel

    tenebroso Averno dell’ignoranza. A mio avviso, però, l’influenza del modello dante-

    sco agisce a un livello più alto, in un altro dialogo del pe-riodo londinese: il De gl’heroici furori . Non a caso Brunoconfessa nell’ Argomento, che l’opera avrebbe dovutochiamarsi Cantica: «avevo pensato prima di donar a que-sto libro un titolo simile a quello di Salomone, il qualesotto la scorza d’amori ed affetti ordinarii contiene simil-mente divini ed eroici furori, come interpretano gli mi-stici e cabalisti dottori; volevo, per dirla, chiamarlo Can-tica». Se è vero che il riferimento dichiarato è al Canticode’ Cantici , non si può non avvertire la suggestione delgrande poema dantesco. Anche in questa cantica, comein quelle della Divina Commedia, il protagonista è l’auto-re stesso: lì un poeta-filosofo, qui un filosofo-poeta. Lìl’intercessione di Beatrice consente a Dante un percorsodi purificazione morale e religiosa che culminerà nella vi-sione dell’eterno. Qui, invece, è Diana che permette ad

    Atteone, rappresentazione autobiografica del filosofo, dicogliere il principio divino nell’unità del reale. La sostan-ziale differenza con l’esperienza del sommo poeta è ri-marcata dall’utilizzo, consueto in Bruno, di un mito dellatradizione classica, quello del cacciatore Atteone, che peraver sorpreso Diana nuda al bagno, viene tramutato dalladea in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. In questa “fu-riosa commedia”, Diana è tramite e fine stesso dell’espe-rienza mistica: come la luna illumina la notte con la sualuce riflessa, così la «Diana ignuda», rappresenta per ilfurioso a caccia della verità, la natura comprensibile incui si irradia lo splendore della natura superiore: «Questa

    verità è cercata come cosa inaccessibile, come oggettoinobiettabile, non sol che incompresibile.

    Però a nessun pare possibile de vedere il sole,l’universale Apolline e luce absoluta per specie supremaed eccellentissima; ma sí bene la sua ombra, la sua Dia-na, il mondo, l’universo, la natura che è nelle cose, la lu-ce che è nell’opacità della materia, cioè quella in quantosplende nelle tenebre». La Dea non introduce, dunque,il furioso alla contemplazione della divinità assoluta, mapermette di riconoscerne la potenza nella divinità co-

    municata, che è la Natura. Del resto, anche Beatricedopo aver presentato a Dante lo spettacolo dell’armonidell’universo, deve cedere il passo: servirà la mediaziomistica, rappresentata da San Bernardo, per arrivare al

    visione diretta della divina trinità, che resterà in ogni caso un’esperienza ineffabile:

    Nel suo profondo vidi che s’internalegato con amore in un volume,ciò che per l’universo si squaderna:

    sustanze e accidenti e lor costume,quasi conflati insieme, per tal modoche ciò ch’i’ dico è un semplice lume.

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    Siamo, dunque, al cospetto didue grandi mistici: un misticismoche, paradossalmente, assume inDante, letterato politicamente im-pegnato, un afflato intensamentereligioso e in Bruno, pensatore for-matosi nel grembo della Chiesa cat-tolica, gli accenti laici di un mate-rialismo panteisticamente diviniz-zato.

    Per entrambi si tratta di un viaggio metafisico-teologico, macon due teorie della rivelazione ra-

    dicalmente diverse: in una prevalla fede, nell’altra la filosofia. Si av

    verte, con chiarezza, la distanza chsepara il Medioevo dal Rinascimento: il poeta, pur consapevole dellasua grandezza e profondamentecritico nei confronti del poteretemporale della chiesa, depone l’orgoglio intellettuale ai piedi dellacroce; il filosofo, che a tutto ante-pone il messaggio pichiano di dignità della ragione, affida non allfede ma al furore, cioè a un’esperienza tutta intellettuale, il «di-squarto» del velo di Maya.

    Per entrambi, comunque, lacontemplazione del divino costitui-sce, nei limiti delle rispettive concezioni teologiche, il fine ultimo etrascendente dell’esperienza conoscitiva.

    Sopra: Girolamo Mazzola dettoil Parmigianino (1503-1540), Diana e

    Atteone (part. di affresco, 1524),Fontanellato, rocca Sanvitale.

    A destra: frontespizio della primaedizione del De gl’heroici furori (1585)