GIOBBE - Portogruarotesti paralleli, ed emerge in particolare nella parte in prosa del libro (1-2;...
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ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE
«RUFINO DI CONCORDIA» in Pordenone
DIOCESI DI CONCORDIA - PORDENONE
FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO
GIOBBE
Dolore e sofferenza
Studentessa: Donatella Zoccarato
Relatore: prof. Stefano Vidus Rosin
Portogruaro, 2012- 2013
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INTRODUZIONE
Credo fermamente che la bellezza della vita si possa assaporare anche da
un’esperienza difficile, se questa viene vissuta in pienezza e con lo sguardo in Dio.
Ho scelto il libro di Giobbe perché mi ha coinvolto personalmente in un periodo
importante della mia esistenza.
Dalla mia famiglia d’origine ho ricevuto un’educazione cristiana cattolica e
durante il percorso della mia vita ho apprezzato questo dono dedicando grande spazio
alla ricerca del divino, non solo a livello esistenziale ma anche a livello discorsivo –
razionale.
Fino a qualche anno fa vivevo in una condizione definibile come “assoluta
normalità” in una famiglia che, come tante, vive le sue variegate situazioni: eccomi
sposa e madre di tre figli, con un lavoro imprenditoriale ben avviato ma ecco che, quasi
all’improvviso, mi sono ritrovata a dover lottare con una malattia che progressivamente
si è svelata in tutta la sua malignità.
Il dolore è veramente sconfortante perché non fa più ragionare e desideri
veramente che Dio ti prenda con sé. Fu allora che mia figlia mi disse: «Mamma leggi
Giobbe!», io la guardai, non le dissi nulla, avevo ben altro da preoccuparmi, ad esempio
di come posizionarmi per aver meno dolore, altro che leggere. Con il passare dei giorni
la mia condizione peggiorava e il dolore con essa; mia figlia mi disse ancora «Mamma
leggi Giobbe!», me lo disse per tre volte (anche questo “tre volte”, in seguito, mi fece
meditare). Allorché mi decisi e, non certo senza difficoltà, mi decisi nel prendere la
Bibbia e cercai questo libro di Giobbe. Non terminai di leggerlo che già stavo vivendo
la sofferenza in maniera diversa: in modo positivo, persino gioioso. Potevo soffrire ed
insieme sperare, donare e gioire. Solo la Grazia della fede può donare serenità in
situazioni così difficili dal punto di vista umano. Solo Dio può mettere la Luce dove noi
vediamo solo buio.
Quello che è stupefacente, è che fu mia figlia, come strumento di Dio, a farmi
scoprire tutto questo. Il tempo che quotidianamente ho dedicato ai miei figli a parlare di
Dio, della fede, di Gesù, di Maria non era stato speso invano ed è stata proprio questa la
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mia prima vittoria sulla malattia. La seconda è, sempre per mano di Dio, la grazia di
vivere.
La sofferenza provoca sempre una reazione.
Ci sono persone che, loro malgrado, assistono alla morte di persone care, tanti
mostrano gli effetti devastanti della droga, tanti vedono bambini deformi o morti per
malnutrizione o violenza, c’è chi soffre la miseria, l’emarginazione o l’abbandono.
Queste realtà ci fanno soffrire e la domanda di Gesù «Perché Padre?» la
sentiamo viva dentro di noi, ci si chiede come mai Dio permette che persone innocenti
soffrano. Siamo uomini di poca fede, incapaci di vedere nelle nostre vite lo sguardo
d'amore di Dio, reputandogli solo atteggiamenti di giudizio e penitenza.
Questo atteggiamento lo vedo riferito a molti giovani d'oggi, che sembra non
riconoscano la differenza tra finzione e realtà. Sono circondati da una società arrivista,
che calpesta la debolezza a proprio vantaggio, aggressiva, basti pensare alla tipologia di
film violenti proposti quotidianamente, e superficiale, evidenziando solo la bellezza
esteriore. È questa povertà di valori, che purtroppo si fa sempre più strada, a dare il
senso della vita. Ma allora, in quest'ottica, la sofferenza che senso ha?
Ecco che il tema del dolore e della sofferenza, che ben descrive Giobbe, lo
vedrei collocato in modo appropriato a dei ragazzi frequentanti una scuola primaria di
secondo grado, nello specifico in una classe terza.
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LOCAZIONE NEL CANONE
Il Libro di Giobbe è il primo dei cinque Libri Sapienziali. Racconta la storia di
un protagonista immaginario con lo scopo di correggere il credo tradizionale (la
cosiddetta teoria della retribuzione), secondo cui Dio benedirebbe i giusti con benefici
e ricchezze e castigherebbe i peccatori con infermità, sofferenze e povertà. Dopo
l'esilio, la testimonianza dei Giudei fedeli a Dio, che tuttavia soffrivano di povertà e di
malattia, cominciò a contestare i luoghi comuni e a suscitare riflessioni sull'argomento.
L'inizio e la conclusione del Libro seguono la visione tradizionale sul significato
del dolore, presentando Giobbe come un giusto benedetto da Dio con ricchezze (Gb 1,1-
3; 42,7-17). La parte centrale, un'opera poetica di grande valore letterario, che
costituisce il corpo fondamentale del Libro, presenta la rivelazione sul significato del
dolore: mostra Giobbe che vive terribili sofferenze ed elenca una serie di
argomentazioni (Gb 3-31).
Il dialogo tra Dio e Satana (l'Avversario) è la sfida a conservare una fede
profonda e disinteressata anche nel dolore. Giobbe si lamenta con Dio, lo interpella sul
significato del dolore e gli confessa tenacemente la sua innocenza. Tre amici lo
riprendono, poiché pensano che le sofferenze siano causate da un peccato nascosto
commesso da Giobbe. Un quarto personaggio, Eliu, difende Dio davanti alle domande
di Giobbe.
I Libri Sapienziali manifestano la sapienza del popolo, invece il Libro di
Giobbe introduce il progetto divino nella letteratura sapienziale. Nella risposta a
Giobbe, Dio mette in chiaro che i suoi progetti sono lontani dalla comprensione umana
(Gb 38-42). Tutto ciò che possiamo fare è metterci con fiducia nelle sue mani.
In seguito il Libro della Sapienza introdurrà la luce della risurrezione. La vera
illuminazione, però, sul significato del dolore, si colloca nella cornice dell'amore che
dona la vita, amore vissuto da Gesù fino alla croce. Le nostre sofferenze hanno un
significato nella misura in cui le uniamo alla sofferenza salvifica di Cristo1.
1 La Bibbia, edizione italiana a cura di B. Maggioni e G. Vivaldelli, Àncora, Milano 2009, p. 103.
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DATAZIONE
Il libro di Giobbe presenta molti problemi, anche a causa dei numerosi hapax
legomena, per cui è difficile determinare il testo di singoli versetti; discussi sono poi la
datazione, l’autore e la provenienza. Non sono utili nemmeno le versioni antiche. Infatti
la versione greca dei LXX presenta un testo più breve di quello masoretico, è stato
trasmesso nei secoli con molte incertezze testuali: aggiunte, correzioni per addolcire
espressioni ritenute troppo audaci, lacune di vario genere. Per giustificare queste
discrepanze, si ipotizza che i traduttori della LXX avessero di fronte un testo ebraico
diverso dall’attuale. Il libro di Giobbe viene redatto dopo l’esilio babilonese, forse nel V
– IV secolo a.C. Si ipotizzano tre autori anonimi. L’autore principale ha probabilmente
usato un’antica parabola, adattata a un personaggio giusto, non ebreo: Giobbe infatti
viene da Uz.
STRUTTURA LETTERARIA
Gli studiosi concordano nell'individuare quattro modalità di formazione del libro,
che poggiano sul fondamento di un'antica tradizione:
1) Il dogma della retribuzione: il giusto, anche se per breve tempo, viene messo
alla prova, si mantiene fedele e già in questa vita sperimenterà il premio di Dio.
L'opera è stata probabilmente offerta da un racconto popolare appartenente alla
riflessione sapienziale diffusa nel vicino Oriente Antico le cui tracce si trovano in molti
testi paralleli, ed emerge in particolare nella parte in prosa del libro (1-2; 42). Questo
racconto ha una sua logica: Giobbe, uomo giusto, viene messo alla prova, ma resta
fedele al suo Dio fino alla fine. Dio di conseguenza lo premia moltiplicando i suoi averi,
i suoi figli e i suoi giorni.
2) Il secondo strato è costituito dal dibattito tra Giobbe e i tre amici (cc. 3-27; 29-
31). Lo scopo di questo inserimento è problematizzare la teoria della retribuzione
semplicisticamente formulata nei capitoli introduttivi e finale. L’autore che ha spezzato
in due tronconi il racconto in prosa inserendo questi dialoghi poetici non si è limitato
semplicemente a soppiantare il vecchio dogma della retribuzione, ma l'ha mantenuto
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perché in esso ha scoperto un valore di fede: la speranza cioè che alla fine il bene
trionferà. Giobbe, ricolmato di beni e di salute, diventa il simbolo della speranza del
credente.
3) Il terzo strato si trova nei cc. 32-37, nei quali compare un nuovo personaggio,
Eliu, che critica duramente sia i discorsi di Giobbe che quelli degli amici e introduce a
suo modo la risposta di Dio. Egli presenta Dio come giudice imparziale, per cui l’uomo
non può arrogarsi la pretesa di giudicarla.
4 )Un quarto strato si distingue nel c. 28, che contiene un inno alla sapienza,
anticipa la soluzione del dramma. Analogamente al coro delle antiche tragedie costituisce
un accompagnamento all'uscita degli amici e contesta la sapienza da loro esposta.
Nella struttura finale, il dolore di Giobbe ha un perché nascosto all’uomo.
1) Il libro può essere considerato a partire dalla sua forma attuale, canonica, con
diverse «teologie». Il prologo in prosa ha come tema la sofferenza considerata come prova
della fede, in linea con la tradizione biblica che ha il suo luogo paradigmatico in Abramo
che deve sacrificare il figlio Isacco (Gn 22), un racconto che presenta molti punti di
contatto con il testo di Giobbe.
2) Nel dialogo poetico tra Giobbe e gli amici (3-27) viene ribadito il concetto
centrale della teologia della retribuzione: la tragedia esistenziale di Giobbe è la giusta
punizione per il suo peccato.
3) Nei discorsi di Eliu (32-33; 34-; 35; 36-37) il dolore è presentato in prospettiva
un po’ diversa, pedagogica: attraverso questo mezzo Dio educa giusti ed empi perché si
liberino dal loro limite e accolgano con amore.
4) Apparentemente Dio non risponde nei discorsi di Giobbe; lo mette invece davanti
alle meraviglie della natura. In realtà c’è una logica in questo modo di procedere: Dio
ripropone a Giobbe l'esperienza di un cosmo, ordinato fin nei più segreti dettagli, di cui
l'uomo non conosce i segreti, ma di cui può ammirare l'armonia. Una logica che l’uomo
non può comprendere. Giobbe quindi scopre che Dio non è riducibile ad uno schema
razionale, essendo legato alla sua logica infinita e trascendente2.
2 Cfr. A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, Leumann (To) 2008, pp.
60-62.
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Schema del contenuto del Libro:
I. Presentazione del protagonista nei capitoli 1 e 2; Prologo in prosa:
calamità di Giobbe
II. Soliloquio di apertura di Giobbe (cap. 3).
III. Dialoghi con i tre amici (capp. 4-27)
a. Primo ciclo di dialoghi (capp. 4-14)
b. Secondo ciclo di dialoghi (capp. 15-21)
c. Terzo ciclo di dialoghi (capp. 22-27)
IV. Monologhi (capp. 28-37)
a. Meditazione sull’inaccessibilità della sapienza (cap. 28)
b. Soliloquio conclusivo di Giobbe e giuramento (capp. 29-31
c. L’ ispirato discorso di Eliu (capp. 32-37)
V. Dialoghi con Dio (38,1-42,6)
a. Prima risposta di Dio dal turbine (38,140,2)
b. Prima replica di Giobbe (40,3-5)
c. Seconda risposta di Dio (40,6-41,34)
d. Seconda replica di Giobbe (42,1-6)
VI. Epilogo in prosa: reintegrazione di Giobbe (42,7-17)3.
3 DIZIONARIO DELLA BIBBIA, edizione italiana a cura di Pietro Capelli, Editore Zanichelli, Bologna 2003. P.
392.
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TRAMA DEL RACCONTO
Il libro di Giobbe è una meditazione sul mistero del dolore e lo scopo di evitare
che le nostre parole umane si sostituiscano a quelle divine. Il mistero del dolore rimane
sempre mistero, però alla luce della divina rivelazione del mistero cristiano esso diventa
accettabile e adorabile, poiché si rivela in colui che ci assicura una consolazione eterna.
«Se il tempo della sofferenza rimane sempre la stagione più lunga della vita umana sulla
terra, è pur vero che l’inverno più nevoso prepara la più rigogliosa primavera»4.
Il problema del male e della sofferenza pone da sempre per l’uomo una
domanda: «Perché?». Leggendo il libro di Giobbe non troviamo una chiara risposta, ma
un nuovo modo di metterci davanti al dramma della vita intraprendendo un cammino di
conversione, cioè la fede che accetta il mistero, che fiorisce nella speranza e gioia che
può coesistere con il dolore, suscitando un dialogo con Dio: la preghiera.
È la storia di un uomo pio duramente provato. Egli veniva presentato al popolo
come un esempio edificante di fedeltà a Dio nonostante le situazioni avverse. Tra le due
parti in prosa successivamente venne inserito un lungo dialogo poetico: una quarantina
di capitoli in versetti in cui viene sviluppato il tema per presentare il protagonista, prima
di arrivare alla resa incondizionata a Dio, la sua fedeltà.
L’intento dell’autore non è solo quello di dare una spiegazione alla sofferenza,
ma mettere in evidenza il valore assoluto della fede, una fede pura, da non porre più
domande a Dio. Una fede che tace e adora. Giobbe si preoccupa della purità interiore e
offriva olocausti di espiazione anche per le mancanze nascoste nelle piaghe della
coscienza. Ma ecco il drammatico cambiamento. Si insinua l’accusatore, «Satana»,
invidioso dell’amicizia divina che egli ha perduto e si intromette nell’intento di guastare
il rapporto tra Dio e Giobbe (Gb 1,17-19 e Gb 1,10-11) affermando che le parole di
benedizione di quest'ultimo si muterebbero in bestemmie, se solo fosse messo alla
prova togliendoli ciò che ha. Il Signore si fida di Giobbe ed egli è sicuro che Giobbe ne
uscirà integro (Gb 1,12).
4 A. M. CÀNOPI, Fammi sapere perché ..., EDB, Bologna 2008, p. 16.
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Le perdite sono sempre più gravi, viene alla luce quello che l’uomo ha realmente
nel cuore. Giobbe non accusa Dio per quanto gli è successo, accetta la propria
considerazione riconoscendo che quanto prima aveva non gli spettava di diritto. Ma
dopo l’attacco dall’esterno, c’è quello dall'interno. Il Signore è compiaciuto di Giobbe
perché ha superato la prova ed è rimasto saldo. L’accusatore lancia allora una sfida:
“tutto quello che l’uomo ha è pronto a darlo per la sua vita” (Gb 2,4-5). Satana non può
condurlo alla morte, perché la vita è in potere di Dio.
La moglie indispettita dal contegno di Giobbe paziente e fedele, dimostra quanto
sia vero che le persone giuste sono scomode per chi preferisce il compromesso e la
mediocrità.
Viene toccato l’intimo della persona, ma più della malattia, delle piaghe del
corpo, per Giobbe pesa la prova della solitudine.
Tre amici lo visitano e, la situazione appare loro più grave di quanto pensavano.
Rimangono accanto a lui per sette giorni, e nessuno gli rivolge la parola. Si instaura poi
un dialogo, gli amici cercano di offrire a Giobbe sofferente le risposte della tradizione,
poiché pensano che le sofferenze siano causate da un peccato nascosto da lui
commesso, ma egli vuole che sia Dio stesso ad offrire una risposta. La seconda parte, i
cap. 29-31 e 38-42, descrive il dialogo Giobbe e Dio. Il libro si rivela una ricerca del
vero volto di Dio attraverso l’esperienza del dolore (Gb 42,5). Un quarto personaggio,
Eliu, difende Dio davanti alle domande di Giobbe.
Giobbe è solo abbandonato dagli amici, proprio perché grida a Dio è
disprezzato, rimproverato, è ritenuto empio da quelli che si dicevano suoi amici. La
coscienza di Giobbe è dell’uomo che sente di portare un dolore sproporzionato alle
proprie forze.
È giunto il momento del vero discernimento; il tempo dell’umiltà e del sincero
pentimento (Gb 40,3-5). Giobbe è giunto a un retto concetto di Dio, a una coscienza di
Dio non più razionale, ma di uomo credente. Giobbe rimane fedele a Dio e viene
premiato.
Dio si rivela sopratutto nell’amore e nel dolore, che sono le due espressioni
universali della vita.
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PARALLELISMI BIBLICI
I due protagonisti sono soltanto comparse, eppure dominano tutta la scena. Il
primo è Dio: egli appare verso la fine del libro e si rivela come il bene, la vita, il vigore,
la bellezza. L'altro è Satana, l'accusatore, che si mostra esclusivamente all'inizio e si
rivela nella perfidia della sua intenzione, nella sua volontà di distruzione e di morte.
Come nella Genesi, anche qui il male entra nel mondo per l'azione di Satana, il
quale per gelosia cerca di corrompere l'uomo e di renderlo infedele a Dio. Ma con
Giobbe non riesce nell'intento: pur scatenandogli addosso ogni sorta di disgrazia, lo fa
giungere alle soglie della morte e sull'orlo della disperazione, ma non riesce a
dividerlo, a separarlo da Dio. E così, al termine del suo «giro sulla terra», sconfitto,
sparisce.
Tema centrale del libro non è dunque soltanto quello del male, al centro vi
sta piuttosto l'uomo impegnato nel suo duro combattimento contro le forze del male. E
qui, a differenza di quanto è avvenuto nell'Eden, egli esce vittorioso dalla prova e
riceve la benedizione divina.
Dio, fidandosi dell'uomo, ha permesso a Satana di mettere in atto le sue
macchinazioni. Dopo il prologo, sulla scena sembra dominare lui solo, che agisce in
modo occulto, senza manifestarsi, senza apparire: questo nascondersi fa parte della sua
strategia, quasi nell'intento che la responsabilità di quanto avviene non ricada su di lui,
ma su Dio medesimo.
Nello scontro tra Dio e Satana sembra di vedere più profondamente il senso e il
valore di questo libro ispirato che è certamente uno dei più grandi dell'intera Bibbia. È
vero che in esso non si parla dell'alleanza;è vero che non ha carattere storico, ma ciò
non diminuisce il suo valore, piuttosto conferisce un respiro di universalità al suo
insegnamento e lo ricollega ai primi capitoli della Genesi, in una rivelazione che parla a
tutta l'umanità.
Se certamente nel libro il problema del male non è secondario, tuttavia ci
sembra di dover riconoscere che in esso domina il senso della trascendenza divina.
A questa visione di un Dio trascendente si deve poi aggiungere la chiara affermazione
della sua unicità. Il male, infatti, non è un principio assoluto come Dio, nessun dualismo
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è consentito. Per sottoporre Giobbe alla prova, l'accusatore deve ricevere da Dio il
permesso; nella sua perversa intenzione di distruggere il disegno divino che elegge
l'uomo ad un'altissima dignità, Satana mette in atto tutto il suo potere, ma fallisce,
perché Giobbe, nonostante la prova, rimane fedele a Dio. Per questo, al termine del
libro, egli – figura di ogni uomo che resiste alla tentazione – sarà esaltato, benedetto
da Dio e colmato di ogni favore.
Tuttavia, la trascendenza di Dio esige che il rapporto tra Lui e l'uomo sia
rapporto di abbandono, fondato sulla fede e sull'umiltà. Se anche Dio ama in modo
particolare l'uomo e lo elegge, non lo trasferisce però in un piano diverso da quello
della creazione. La benedizione e l'approvazione di Dio comportano per Giobbe
benefici soltanto terrestri.
La fiducia di Dio nell'uomo e la sua vittoria nella prova subita non lo rendono
perciò degno di entrare nella vita divina. Siamo ancora ben lontani dal Nuovo
Testamento, dall'incarnazione del Verbo, venuto ad abitare sulla terra per educare gli
uomini ad abitare con Dio, come dice sant'Ireneo. Tuttavia questo libro importa,
anche oggi, una meditazione quanto mai profonda sui problemi fondamentali
della vita umana. Se i protagonisti sono Dio e l'accusatore, è pur vero che tanto Dio
quanto l'accusatore sono presenti solo in rapporto a Giobbe, ossia solo in rapporto
all'uomo. È per la sua rovina che l'accusatore entra in scena; è per la sua giustificazione
che Dio esce dal silenzio. La sconfitta dell'accusatore e la vittoria di Giobbe rinnovano,
dopo la caduta originale, la rivelazione che nell'uomo la creazione ha il suo
compimento, perché in lui Dio ha trovato la sua compiacenza: «Dio vide quanto
aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31).
In estrema sintesi: il libro di Giobbe è formato in massima parte dagli interventi
degli amici di Giobbe che vorrebbero difendere Dio e giustificare la rovina e il morbo di
Giobbe appellandosi a un suo peccato, anche se nascosto. In realtà sono proprio
questi amici che non parlano in nome di Dio: sono, come Satana, degli accusatori.
Infatti giustificare Dio diventava un condannare l'uomo.
Il vero senso del libro è dato naturalmente e necessariamente dall'intervento
finale di Dio. Gli amici avevano pensato a un castigo da parte di Dio per le colpe di
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Giobbe; alle parole degli amici replica sempre con forza Giobbe medesimo,
proclamando la propria innocenza e invocando il giudizio divino. Le parole di Dio
ci dicono che l'Eterno non è autore del male: non è da lui che proviene la rovina e il
male di Giobbe. Dio è il Creatore, tutte le sue opere manifestano la sua onnipotenza
creatrice di vita. Per questo se Satana ha colpito Giobbe di un gravissimo morbo,
l'azione di Dio si manifesta invece nella forza, nella bellezza e nella vita degli animali
creati. Un male terribile ha colpito Giobbe, ma Dio ha permesso questa prova proprio
perché si manifestasse più pura e più grande la sua innocenza.
Al termine Giobbe non è solo riabilitato, ma deve essere lui a ottenere per
gli amici il perdono di Dio
5.
5 Cfr. D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 2001, pp. 119-122.
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ANALISI DEI PERSONAGGI PRINCIPALI
GIOBBE
Giobbe è innanzitutto un uomo che sperimenta con forza il suo limite
creaturale. In ogni istante, anche di fronte alla disperazione più totale, egli cerca
Dio. Egli è anche la storia di un sofferente. Nella sua giustizia, che rivendicherà nei cc.
29-31, è confuso nei confronti di Dio: è innocente, eppure distrutto.
Non si sa dove fosse di preciso la terra di Uz, dove Giobbe viveva. La tendenza
odierna è quella di considerarla ai confini di Edom, in quanto alcune indicazioni del
libro sono ritenute edomite; ma sono molto più probabili le tradizioni che la collocano
nell'Hauran (Basan). Giobbe era un uomo molto benestante e di elevata posizione
sociale, ma il libro si preoccupa così tanto di sottolineare la sua posizione fra i Sapienti
da non dare dettagli precisi sul suo status; si possono, comunque, respingere senza
esitazione le leggende che ne fanno un re.
I TRE AMICI DI GIOBBE
I tre amici e Giobbe fondano in gran parte le loro opinioni sull'osservazione,
l'esperienza e la tradizione, benché in 4,17-5,7 Elifaz faccia brevemente riferimento a
rivelazioni notturne. A questo punto compare Eliu (capp. 32-37), per risolvere il
problema con la sua rivelazione "ispirata". Tuttavia egli non fa che ripetere le opinioni
degli amici, rivelandosi senza volerlo come un falso profeta (cfr 1 Re 22,13-23).
Finalmente Dio rompe il lungo silenzio divino e parla direttamente a Giobbe (capp. 38-
41).
6 Cfr. A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, Leumann (To) 2008, pp.
65-67.
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ELIFAZ
Figlio maggiore di Esaù e di Ada (Gen 36,4.10), padre di cinque capi di clan
edomiti (Teman, Omar, Zefo, Gatam, Kenaz) e, attraverso la sua concubina Timna,
padre di Amalek (36,11-12.15-16; 1Cr 1,35-36). È probabilmente il maggiore dei tre e
quindi il più saggio. Ha molta stima per Giobbe ed è molto addolorato per lui. È uno dei
tre amici di Giobbe venuti per consolarlo (Gb 2,11-13). I suoi tre discorsi difendono le
teorie tradizionali della retribuzione (la sofferenza è la punizione di un peccato)
contestate da Giobbe, il giusto sofferente. Elifaz dando per presupposta la profonda
pietà di Giobbe, lo esorta a sottomettersi a Dio.
BILDAD
Suchita, altro amico di Giobbe, venuto ad assisterlo e a confortarlo nella
sulla prova (Gb 2,11). Nel ciclo dei discorsi egli prende la parola per secondo con tre
distinti interventi (capp. Gb 8,1-22; 18,1-21; 25,1-14), i tre discorsi che rivolge
costituiscono una critica. Il significato del nome è oscuro, ma potrebbe riferirsi al re
di Edom Bedad (Gen 36,36). Il nome è composto con l'elemento teoforico dad
(dall'omonimo dio edomita). È meno garbato di Elifaz, fa un crudele quadro della
situazione di Giobbe: l’umanità si divide in due gruppi, i malvagi e i giusti; i primi Dio
li distrugge, gli altri li benedice. Bildad deduce questo dalla tradizione delle precedenti
generazioni.
ZOFAR
Altro amico di Giobbe accorsi a offrirgli consolazione e consiglio sua prova (Gb
2,11;11,1;20,1). Probabilmente il più giovane dei tre. Zofar è di Naama. Egli non si
appella all’esperienza personale come Elifaz o alla tradizione come Bildad, ma la sua
autorità è la sua stessa sapienza. Il consiglio a Giobbe, a causa della mancanza di
comprensione e perspicacia, provoca il rimprovero di Dio (Gb 42,7-9), costituiscono una
severa critica che vale a Zofar il biasimo di Jahweh (Gb 42,7-9).
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ELIU
Il giovane amico di Giobbe, figlio di Baracheel, un buzíta della tribù di Ram
(Giob. 32:2, 4--6; 34:1; 35:1; 36A). El iu fa quattro discorsi il cui intervento di fronte
a Giobbe precede immediatamente i discorsi pronunciati da Dio in mezzo al
turbine (Gb 32-37), in cui appare come arbitro che tenta di conciliare le opinioni
divergenti di Giobbe e dei suoi amici, difendendo la tesi che la sofferenza è un
avvertimento e un mezzo per operare il risanamento morale; non è bene per l'uomo
approfondire di più questo problema; deve rassegnarsi e riconoscere la grandezza e la
sapienza divina, rivelate dalle meraviglie della natura.
La sua apparizione alla fine della storia rappresenta un piccolo mistero, non
essendo egli incluso nella lista di amici il cui dialogo con Giobbe costituisce buona
parte del libro. I discorsi di Eliù, con il loro forte accento sulla sovranità divina, servono
sia a introdurre la rivelazione di Dio (Giob. 38) sia a creare un'atmosfera di attesa.
Alcuni studiosi considerano i discorsi di Eliu come interpolazioni intese a
fornire una risposta più esauriente al libro di Giobbe. La valutazione di tali discorsi
dipende dall'interpretazione complessiva del libro.
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CONCLUSIONE
Tra i libri della Sacra Scrittura, il libro di Giobbe è certamente uno di quelli che
suscita maggiore difficoltà per la profondità dell'argomento che tratta e la richiesta di
uno sguardo di verità sulla propria fede. Proprio per questo il suo messaggio diventa
alimento per la vita spirituale e fa penetrare più profondamente nel mistero di Dio,
dell’uomo e del male.
Gli scritti antichi stabiliscono un perfetto accordo tra bene spirituale e bene
fisico, lunghezza della vita, ricchezza, numero dei figli e altro ancora, ma quanto più ci
si avvicina al cristianesimo tanto più tale sintonia si dimostra effimera. E' richiesta una
conversione, un cambiamento di atteggiamento: il libro sacro esige una fede per cui
l’uomo non chiede conto a Dio di quello che fa, ma si rimette totalmente a lui;
certamente l’azione di Dio non potrà essere contraria alla giustizia e al bene 7.
L’uomo, creatura di Dio, non può comprendere pienamente il disegno e il
mistero divino, deve tuttavia rimanerne fedele, credere nel Padre che gli ha dato la vita:
è questo il principale insegnamento di Giobbe. Dio non è giudice ma è misericordia,
risponderà al male con l'amore, dando Suo figlio. Il dono del Padre avviene con una
«Parola fatta carne», con l’incarnazione del Verbo, assumendo la natura umana e
distruggendo in se stesso il male 8.
Il cristianesimo non elimina la sofferenza, ma fa cambiare prospettiva. In Cristo,
risorto dalla morte, l’uomo impara ad accettare il dolore e anche ad amarlo, perché è la
via che si configura a Cristo 9.
7 Cfr. D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 2001, p. 9.
8 Idem, p. 9.
9Idem, p. 10.
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Come Gesù, il vero cristiano rimane in preghiera nel suo Getsémani e invoca:
«Padre se è possibile, passi da me questo calice ....». E se Dio tace, ancora con Gesù
egli prosegue dicendo: «Non la mia, ma la tua volontà si compia». Neppure il Figlio di
Dio ha ricevuto risposta; anch’egli ha accettato la morte 10
. Dio vuole da Gesù la piena
accettazione della morte di croce. E così avviene nella Chiesa. Il modo di agire di Dio
non può essere giudicato dall’uomo.
Ogni libro della Sacra Scrittura, in quanto libro ispirato, è Parola di Dio, è Verbo
di Dio e, quindi, parla direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente
del Cristo: prepara alla venuta Cristo, lo annuncia. E questo è vero in particolare per il
libro di Giobbe, che nella passione del protagonista annuncia la passione di Gesù.
Il libro di Giobbe è importante per l’universalità del suo insegnamento11
.
10 Cfr. D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 2001, p. 11.
11 Idem, pp. 24,25.
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MESSAGGIO DEL LIBRO
Dio accetta il linguaggio della disperazione di un sofferente che dubita di Lui,
se questi, pur nell'abisso, continua a tenersi saldamente attaccato a Lui. Il dolore è per
tutte le teologie il banco di prova della fede in Dio. La sofferenza di Giobbe può essere
letta, oltre che in termini personali, anche a livello collettivo: esprime cioè il dramma
degli uomini del suo tempo. Si può istituire infatti un parallelismo tra Giobbe e la vita
del popolo a Gerusalemme (V sec. a.C.): nella parte in prosa Giobbe è presentato come
un patriarca, ricco di beni i e di figli.
In ciò Giobbe diventa la parabola del popolo ebraico che vive in un'epoca di
sconvolgimenti, dovuti al fatto che Israele non esisteva più come nazione; il regno e il
tempio non sussistevano più. Con essi era sparita anche l'idea, fino allora ovvia, che
Dio fosse la guida, il sostegno e la garanzia di tutto.
La sofferenza provoca un ripensamento dell’idea tradizionale di Dio e invoca
un approccio meno «dogmatico» e più aderente a ciò che emerge dalla storia.
Giobbe protesta piuttosto contro l'affermazione degli amici che fanno di questo dolore il
luogo dell'accusa Giobbe, considerandolo un prevaricatore che Dio punisce in ragione
della gravità dei suoi peccati.
La sofferenza non dipende dai peccati. È il peccatore che provvede al proprio
castigo, la disgrazia presuppone sempre il peccato, Giobbe respinge con forza le loro
tesi.
Alcuni atteggiamenti condizionano la felicità del credente: l'umiltà, la stabilità
nella fede la conversione, la preghiera. Il discorso degli amici è falsato
dall'interpretazione che essi danno della sua sofferenza. Affermano a priori la
colpevolezza di Giobbe proprio perché interpretano falsamente la prova cui egli è
sottoposto.
Dio, sfidato, si trasforma in sfidante, facendo intuire all’uomo Giobbe che la
logica del Signore è ben più autentica di quella limitata della creatura. Alla fine il male
resta sempre senza risposta, ma apre a Giobbe il volto di Dio, che nella creazione
mostra le tracce del suo progetto trascendente, eppure affidabile e buono.
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Il libro di Giobbe si trasforma allora in una grande catechesi sulla necessità della
fede pura. Il problema centrale del libro non è il male di vivere, ma piuttosto la
possibilità della fede e le sue condizioni nonostante l'assurdo della vita. Contro il
razionalismo etico del dogma della retribuzione e contro il razionalismo teologico
degli amici, Giobbe ribadisce che è necessario «temere Dio per nulla» (1,9), cioè
credere gratuitamente, senza guadagnarci nulla, senza poter sperimentare ad ogni passo
il prezzo della virtù, accedendo in questo modo ad una dimensione veramente
sapienziale dell'esistenza che non considera la virtù merce di scambio.
Giobbe è considerato una vetta della letteratura universale e in questo senso
diventa il prototipo di un atteggiamento di fronte alla vita. Il Cristo mediatore, siglando
nel suo sangue la nuova alleanza, convincerà definitivamente l'uomo che, nel momento
in cui è prostrato e quasi schiacciato dalla sofferenza, Dio non è «altrove», ma si offre
qui e ora al dialogo e alla comunione12
.
12 Cfr. A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, leumann (To) 2008, pp.
57-70.
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PROGETTAZIONE DI UNA AZIONE D’AULA ALL’INTERNO DI UNA UNITÀ DI
APPRENDIMENTO
Il libro di Giobbe può diventare uno strumento efficace per affrontare con gli
studenti argomenti relativi all’aspetto della fede, non tanto da un punto di vista
catechistico, ma per far capire come essa sia stata in ogni tempo un aspetto
fondamentale dell'umanità. Da sempre l'uomo ha cercato nella religione le risposte sul
senso profondo della vita, soprattutto per quanto riguarda il dolore e la sofferenza ad
ogni livello: fisico, mentale e spirituale. E tale sete di risposte non sembra placarsi
nemmeno ai giorni nostri.
C’è un bellissimo passo sulla solitudine di Giobbe che può essere di stimolo per
invogliare gli alunni a relazionarsi in maniera più vera, propria ed autentica (dobbiamo
pensare a quanti i giovani oggi si sentono soli, basti considerare il fenomeno dei social
network). Il significato ultimo di questo lavoro è il desiderio di penetrare il mistero
dell’uomo e il mistero di Dio, la fede, la religione.
Lo schema ha diverse parti, soprattutto per quel che riguarda i discorsi e la
risposta di Dio nella parte finale, perché, anche se nella prima parte del testo sembra che
Dio lasci Giobbe solo, in realtà non lo abbandona mai, ed è proprio questo il significato
principale: la costante presenza di Dio. (Gb 2,7-10) Giobbe dice alla moglie che, come
accettiamo da Dio il bene, dobbiamo accettarne anche il male.
Anche nella mia esperienza personale ho sperimentato il rifiuto di alcune mie
scelte di fede da parte di un membro della mia famiglia, a dimostrazione del fatto che
anche al giorno d'oggi l'essere ancorati saldamente a Dio può portare a divisioni anche
nelle relazioni più strette.
In un'altra occasione ero in ospedale e mi sono sentita dire da una infermiera
professionale che non comprendeva la mia lucidità sulla malattia, guardandomi
esterrefatta, come fossi una pazza. Un’altra ancora mi disse: «ma come fa a mantenere
quella calma e non impazzire o preoccuparsi un po’ di più?». Nella parete che avevo alle
spalle del letto, a circa due metri e mezzo di altezza, alla mia destra c’era a un
crocifisso e, con molta naturalezza e serenità le dissi: «Vede quel crocifisso? noi siamo
un tutt’uno». L'infermiera restò sbalordita. In quel preciso momento mi resi conto di
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quanto grande fosse la grazia che mi fu donata di avere la fede. Quando uscii dalla
malattia andai a Illeggio (UD) a vedere una mostra sul tema "L’aldilà, l’ultimo mistero"
e, davanti a un’immagine di San Tommaso che toccava la ferita di Gesù (Incredulità di
San Tommaso, c. 1621, Giovanni Francesco Barbieri detto Guecino) mi emozionai
tantissimo, pensando a quanto sono fortunata credere nel Signore senza averlo visto.
Giobbe comincia a lamentarsi nei confronti di Dio (Gb 3,1-6), non è più la
persona sicura di prima, a un certo punto entrano in scena i suoi tre amici che in qualche
modo cercano di fargli capire che lui stesso era la causa del suo male (non
dimentichiamo che per gli ebrei le disgrazie erano castighi di Dio), la loro convinzione è
che Giobbe abbia commesso qualche peccato per cui merita di patire le sofferenze che
lo hanno assalito, e che in fondo non era così puro come dimostrava di essere.
Giobbe però rimane fedele a Dio e viene premiato: Dio infatti gli restituisce
quanto gli era stato tolto. (Gb 42,10-17).
Ho pensato quindi di trattare queste parti del libro di Giobbe: Gb 2,7-10; Gb 3,1-
6; Gb 42,10-17, in una classe terza della scuola secondaria di primo grado.
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SVOLGIMENTO IN CLASSE
- Lettura di alcune parti del libro di Giobbe, invito a leggerlo possibilmente tutto.
- Inquadrare storicamente il testo di Giobbe e indicarne il principale messaggio
teologico.
- Interessare, invitare i ragazzi a una ricerca, attraverso i personaggi, del proprio
modo di porsi davanti alla vita. Ogni alunno, leggendo attentamente il testo, vive
delle emozioni legate a delle realtà che può avere vissuto o sta vivendo:
relazioni, sofferenza, insicurezza, lutto, bisogno di approvazione sociale,
solitudine, etc. Attraverso anche la visione di qualche spezzone audiovisivo, sia
esso film o testimonianze di esperienze vissute, il ragazzo può essere aiutato a
prendere coscienza di quali sono le virtù o le difficoltà che racchiude in sé.
ITALIANO
- Affrontare argomenti presi anche da quotidiani, riviste o libri che riguardino
l’amicizia.
STORIA DELL’ARTE – DISCIPLINA ARTISTICA
- L’alunno può rappresentare i versetti che più gli hanno mosso delle forti
emozioni, oppure cercare una rappresentazione dove emotivamente egli più si
rispecchia.
STORIA
- Il tema della sofferenza è presente in ogni epoca. Nel periodo scolastico si
potrebbero ricordare la shoa o la soppressione degli indiani d’America, oppure
interessare l’alunno a fare una ricerca di eventi eclatanti sulla sofferenza che
molti popoli hanno vissuto o che tuttora stanno vivendo: fame, povertà di
relazione, genocidi, poteri dittatoriali etc.
DIRITTO
- Il diritto alla vita, alla libertà intesa nella forma totalizzante, il diritto di scegliere
liberamente la cura per la propria salute sia esso tradizionale o alternativa: oggi
c’è molto imbarazzo nel proporre nuove forme di cura, a causa di interessi
economici.
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BIBLIOGRAFIA
A. FONTI
LA BIBBIA DI GERUSALEMME, Edizioni Dehoniane, Bologna 2009.
La Bibbia, Edizione italiana a cura di B. Maggioni e G. Vivaldelli, Àncora, Milano 2009.
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Penna, Edizioni Borla, Roma 1995.
DIZIONARIO BIBLICO GBU, a cura di Rinaldo Diprose, Edizioni GBU 2008.
DIZIONARIO COMMENTARIO BIBLICO, Queriniana, a cura di Antonio Bonora, Romeo
Cavedo, Felice Maistrello, Brescia 1973.
IL DIZIONARIO DELLA BIBBIA, Edizione italiana, a cura di Pietro Capelli, Editore
Zanichelli, Bologna 2003.
B. STUDI
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A. M. CÀNOPI, Fammi sapere perché ..., EDB, Bologna 2008.
A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, leumann (To)
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