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1 ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE «RUFINO DI CONCORDIA» in Pordenone DIOCESI DI CONCORDIA - PORDENONE F ACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO GIOBBE Dolore e sofferenza Studentessa: Donatella Zoccarato Relatore: prof. Stefano Vidus Rosin Portogruaro, 2012- 2013

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ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE

«RUFINO DI CONCORDIA» in Pordenone

DIOCESI DI CONCORDIA - PORDENONE

FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO

GIOBBE

Dolore e sofferenza

Studentessa: Donatella Zoccarato

Relatore: prof. Stefano Vidus Rosin

Portogruaro, 2012- 2013

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INTRODUZIONE

Credo fermamente che la bellezza della vita si possa assaporare anche da

un’esperienza difficile, se questa viene vissuta in pienezza e con lo sguardo in Dio.

Ho scelto il libro di Giobbe perché mi ha coinvolto personalmente in un periodo

importante della mia esistenza.

Dalla mia famiglia d’origine ho ricevuto un’educazione cristiana cattolica e

durante il percorso della mia vita ho apprezzato questo dono dedicando grande spazio

alla ricerca del divino, non solo a livello esistenziale ma anche a livello discorsivo –

razionale.

Fino a qualche anno fa vivevo in una condizione definibile come “assoluta

normalità” in una famiglia che, come tante, vive le sue variegate situazioni: eccomi

sposa e madre di tre figli, con un lavoro imprenditoriale ben avviato ma ecco che, quasi

all’improvviso, mi sono ritrovata a dover lottare con una malattia che progressivamente

si è svelata in tutta la sua malignità.

Il dolore è veramente sconfortante perché non fa più ragionare e desideri

veramente che Dio ti prenda con sé. Fu allora che mia figlia mi disse: «Mamma leggi

Giobbe!», io la guardai, non le dissi nulla, avevo ben altro da preoccuparmi, ad esempio

di come posizionarmi per aver meno dolore, altro che leggere. Con il passare dei giorni

la mia condizione peggiorava e il dolore con essa; mia figlia mi disse ancora «Mamma

leggi Giobbe!», me lo disse per tre volte (anche questo “tre volte”, in seguito, mi fece

meditare). Allorché mi decisi e, non certo senza difficoltà, mi decisi nel prendere la

Bibbia e cercai questo libro di Giobbe. Non terminai di leggerlo che già stavo vivendo

la sofferenza in maniera diversa: in modo positivo, persino gioioso. Potevo soffrire ed

insieme sperare, donare e gioire. Solo la Grazia della fede può donare serenità in

situazioni così difficili dal punto di vista umano. Solo Dio può mettere la Luce dove noi

vediamo solo buio.

Quello che è stupefacente, è che fu mia figlia, come strumento di Dio, a farmi

scoprire tutto questo. Il tempo che quotidianamente ho dedicato ai miei figli a parlare di

Dio, della fede, di Gesù, di Maria non era stato speso invano ed è stata proprio questa la

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mia prima vittoria sulla malattia. La seconda è, sempre per mano di Dio, la grazia di

vivere.

La sofferenza provoca sempre una reazione.

Ci sono persone che, loro malgrado, assistono alla morte di persone care, tanti

mostrano gli effetti devastanti della droga, tanti vedono bambini deformi o morti per

malnutrizione o violenza, c’è chi soffre la miseria, l’emarginazione o l’abbandono.

Queste realtà ci fanno soffrire e la domanda di Gesù «Perché Padre?» la

sentiamo viva dentro di noi, ci si chiede come mai Dio permette che persone innocenti

soffrano. Siamo uomini di poca fede, incapaci di vedere nelle nostre vite lo sguardo

d'amore di Dio, reputandogli solo atteggiamenti di giudizio e penitenza.

Questo atteggiamento lo vedo riferito a molti giovani d'oggi, che sembra non

riconoscano la differenza tra finzione e realtà. Sono circondati da una società arrivista,

che calpesta la debolezza a proprio vantaggio, aggressiva, basti pensare alla tipologia di

film violenti proposti quotidianamente, e superficiale, evidenziando solo la bellezza

esteriore. È questa povertà di valori, che purtroppo si fa sempre più strada, a dare il

senso della vita. Ma allora, in quest'ottica, la sofferenza che senso ha?

Ecco che il tema del dolore e della sofferenza, che ben descrive Giobbe, lo

vedrei collocato in modo appropriato a dei ragazzi frequentanti una scuola primaria di

secondo grado, nello specifico in una classe terza.

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LOCAZIONE NEL CANONE

Il Libro di Giobbe è il primo dei cinque Libri Sapienziali. Racconta la storia di

un protagonista immaginario con lo scopo di correggere il credo tradizionale (la

cosiddetta teoria della retribuzione), secondo cui Dio benedirebbe i giusti con benefici

e ricchezze e castigherebbe i peccatori con infermità, sofferenze e povertà. Dopo

l'esilio, la testimonianza dei Giudei fedeli a Dio, che tuttavia soffrivano di povertà e di

malattia, cominciò a contestare i luoghi comuni e a suscitare riflessioni sull'argomento.

L'inizio e la conclusione del Libro seguono la visione tradizionale sul significato

del dolore, presentando Giobbe come un giusto benedetto da Dio con ricchezze (Gb 1,1-

3; 42,7-17). La parte centrale, un'opera poetica di grande valore letterario, che

costituisce il corpo fondamentale del Libro, presenta la rivelazione sul significato del

dolore: mostra Giobbe che vive terribili sofferenze ed elenca una serie di

argomentazioni (Gb 3-31).

Il dialogo tra Dio e Satana (l'Avversario) è la sfida a conservare una fede

profonda e disinteressata anche nel dolore. Giobbe si lamenta con Dio, lo interpella sul

significato del dolore e gli confessa tenacemente la sua innocenza. Tre amici lo

riprendono, poiché pensano che le sofferenze siano causate da un peccato nascosto

commesso da Giobbe. Un quarto personaggio, Eliu, difende Dio davanti alle domande

di Giobbe.

I Libri Sapienziali manifestano la sapienza del popolo, invece il Libro di

Giobbe introduce il progetto divino nella letteratura sapienziale. Nella risposta a

Giobbe, Dio mette in chiaro che i suoi progetti sono lontani dalla comprensione umana

(Gb 38-42). Tutto ciò che possiamo fare è metterci con fiducia nelle sue mani.

In seguito il Libro della Sapienza introdurrà la luce della risurrezione. La vera

illuminazione, però, sul significato del dolore, si colloca nella cornice dell'amore che

dona la vita, amore vissuto da Gesù fino alla croce. Le nostre sofferenze hanno un

significato nella misura in cui le uniamo alla sofferenza salvifica di Cristo1.

1 La Bibbia, edizione italiana a cura di B. Maggioni e G. Vivaldelli, Àncora, Milano 2009, p. 103.

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DATAZIONE

Il libro di Giobbe presenta molti problemi, anche a causa dei numerosi hapax

legomena, per cui è difficile determinare il testo di singoli versetti; discussi sono poi la

datazione, l’autore e la provenienza. Non sono utili nemmeno le versioni antiche. Infatti

la versione greca dei LXX presenta un testo più breve di quello masoretico, è stato

trasmesso nei secoli con molte incertezze testuali: aggiunte, correzioni per addolcire

espressioni ritenute troppo audaci, lacune di vario genere. Per giustificare queste

discrepanze, si ipotizza che i traduttori della LXX avessero di fronte un testo ebraico

diverso dall’attuale. Il libro di Giobbe viene redatto dopo l’esilio babilonese, forse nel V

– IV secolo a.C. Si ipotizzano tre autori anonimi. L’autore principale ha probabilmente

usato un’antica parabola, adattata a un personaggio giusto, non ebreo: Giobbe infatti

viene da Uz.

STRUTTURA LETTERARIA

Gli studiosi concordano nell'individuare quattro modalità di formazione del libro,

che poggiano sul fondamento di un'antica tradizione:

1) Il dogma della retribuzione: il giusto, anche se per breve tempo, viene messo

alla prova, si mantiene fedele e già in questa vita sperimenterà il premio di Dio.

L'opera è stata probabilmente offerta da un racconto popolare appartenente alla

riflessione sapienziale diffusa nel vicino Oriente Antico le cui tracce si trovano in molti

testi paralleli, ed emerge in particolare nella parte in prosa del libro (1-2; 42). Questo

racconto ha una sua logica: Giobbe, uomo giusto, viene messo alla prova, ma resta

fedele al suo Dio fino alla fine. Dio di conseguenza lo premia moltiplicando i suoi averi,

i suoi figli e i suoi giorni.

2) Il secondo strato è costituito dal dibattito tra Giobbe e i tre amici (cc. 3-27; 29-

31). Lo scopo di questo inserimento è problematizzare la teoria della retribuzione

semplicisticamente formulata nei capitoli introduttivi e finale. L’autore che ha spezzato

in due tronconi il racconto in prosa inserendo questi dialoghi poetici non si è limitato

semplicemente a soppiantare il vecchio dogma della retribuzione, ma l'ha mantenuto

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perché in esso ha scoperto un valore di fede: la speranza cioè che alla fine il bene

trionferà. Giobbe, ricolmato di beni e di salute, diventa il simbolo della speranza del

credente.

3) Il terzo strato si trova nei cc. 32-37, nei quali compare un nuovo personaggio,

Eliu, che critica duramente sia i discorsi di Giobbe che quelli degli amici e introduce a

suo modo la risposta di Dio. Egli presenta Dio come giudice imparziale, per cui l’uomo

non può arrogarsi la pretesa di giudicarla.

4 )Un quarto strato si distingue nel c. 28, che contiene un inno alla sapienza,

anticipa la soluzione del dramma. Analogamente al coro delle antiche tragedie costituisce

un accompagnamento all'uscita degli amici e contesta la sapienza da loro esposta.

Nella struttura finale, il dolore di Giobbe ha un perché nascosto all’uomo.

1) Il libro può essere considerato a partire dalla sua forma attuale, canonica, con

diverse «teologie». Il prologo in prosa ha come tema la sofferenza considerata come prova

della fede, in linea con la tradizione biblica che ha il suo luogo paradigmatico in Abramo

che deve sacrificare il figlio Isacco (Gn 22), un racconto che presenta molti punti di

contatto con il testo di Giobbe.

2) Nel dialogo poetico tra Giobbe e gli amici (3-27) viene ribadito il concetto

centrale della teologia della retribuzione: la tragedia esistenziale di Giobbe è la giusta

punizione per il suo peccato.

3) Nei discorsi di Eliu (32-33; 34-; 35; 36-37) il dolore è presentato in prospettiva

un po’ diversa, pedagogica: attraverso questo mezzo Dio educa giusti ed empi perché si

liberino dal loro limite e accolgano con amore.

4) Apparentemente Dio non risponde nei discorsi di Giobbe; lo mette invece davanti

alle meraviglie della natura. In realtà c’è una logica in questo modo di procedere: Dio

ripropone a Giobbe l'esperienza di un cosmo, ordinato fin nei più segreti dettagli, di cui

l'uomo non conosce i segreti, ma di cui può ammirare l'armonia. Una logica che l’uomo

non può comprendere. Giobbe quindi scopre che Dio non è riducibile ad uno schema

razionale, essendo legato alla sua logica infinita e trascendente2.

2 Cfr. A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, Leumann (To) 2008, pp.

60-62.

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Schema del contenuto del Libro:

I. Presentazione del protagonista nei capitoli 1 e 2; Prologo in prosa:

calamità di Giobbe

II. Soliloquio di apertura di Giobbe (cap. 3).

III. Dialoghi con i tre amici (capp. 4-27)

a. Primo ciclo di dialoghi (capp. 4-14)

b. Secondo ciclo di dialoghi (capp. 15-21)

c. Terzo ciclo di dialoghi (capp. 22-27)

IV. Monologhi (capp. 28-37)

a. Meditazione sull’inaccessibilità della sapienza (cap. 28)

b. Soliloquio conclusivo di Giobbe e giuramento (capp. 29-31

c. L’ ispirato discorso di Eliu (capp. 32-37)

V. Dialoghi con Dio (38,1-42,6)

a. Prima risposta di Dio dal turbine (38,140,2)

b. Prima replica di Giobbe (40,3-5)

c. Seconda risposta di Dio (40,6-41,34)

d. Seconda replica di Giobbe (42,1-6)

VI. Epilogo in prosa: reintegrazione di Giobbe (42,7-17)3.

3 DIZIONARIO DELLA BIBBIA, edizione italiana a cura di Pietro Capelli, Editore Zanichelli, Bologna 2003. P.

392.

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TRAMA DEL RACCONTO

Il libro di Giobbe è una meditazione sul mistero del dolore e lo scopo di evitare

che le nostre parole umane si sostituiscano a quelle divine. Il mistero del dolore rimane

sempre mistero, però alla luce della divina rivelazione del mistero cristiano esso diventa

accettabile e adorabile, poiché si rivela in colui che ci assicura una consolazione eterna.

«Se il tempo della sofferenza rimane sempre la stagione più lunga della vita umana sulla

terra, è pur vero che l’inverno più nevoso prepara la più rigogliosa primavera»4.

Il problema del male e della sofferenza pone da sempre per l’uomo una

domanda: «Perché?». Leggendo il libro di Giobbe non troviamo una chiara risposta, ma

un nuovo modo di metterci davanti al dramma della vita intraprendendo un cammino di

conversione, cioè la fede che accetta il mistero, che fiorisce nella speranza e gioia che

può coesistere con il dolore, suscitando un dialogo con Dio: la preghiera.

È la storia di un uomo pio duramente provato. Egli veniva presentato al popolo

come un esempio edificante di fedeltà a Dio nonostante le situazioni avverse. Tra le due

parti in prosa successivamente venne inserito un lungo dialogo poetico: una quarantina

di capitoli in versetti in cui viene sviluppato il tema per presentare il protagonista, prima

di arrivare alla resa incondizionata a Dio, la sua fedeltà.

L’intento dell’autore non è solo quello di dare una spiegazione alla sofferenza,

ma mettere in evidenza il valore assoluto della fede, una fede pura, da non porre più

domande a Dio. Una fede che tace e adora. Giobbe si preoccupa della purità interiore e

offriva olocausti di espiazione anche per le mancanze nascoste nelle piaghe della

coscienza. Ma ecco il drammatico cambiamento. Si insinua l’accusatore, «Satana»,

invidioso dell’amicizia divina che egli ha perduto e si intromette nell’intento di guastare

il rapporto tra Dio e Giobbe (Gb 1,17-19 e Gb 1,10-11) affermando che le parole di

benedizione di quest'ultimo si muterebbero in bestemmie, se solo fosse messo alla

prova togliendoli ciò che ha. Il Signore si fida di Giobbe ed egli è sicuro che Giobbe ne

uscirà integro (Gb 1,12).

4 A. M. CÀNOPI, Fammi sapere perché ..., EDB, Bologna 2008, p. 16.

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Le perdite sono sempre più gravi, viene alla luce quello che l’uomo ha realmente

nel cuore. Giobbe non accusa Dio per quanto gli è successo, accetta la propria

considerazione riconoscendo che quanto prima aveva non gli spettava di diritto. Ma

dopo l’attacco dall’esterno, c’è quello dall'interno. Il Signore è compiaciuto di Giobbe

perché ha superato la prova ed è rimasto saldo. L’accusatore lancia allora una sfida:

“tutto quello che l’uomo ha è pronto a darlo per la sua vita” (Gb 2,4-5). Satana non può

condurlo alla morte, perché la vita è in potere di Dio.

La moglie indispettita dal contegno di Giobbe paziente e fedele, dimostra quanto

sia vero che le persone giuste sono scomode per chi preferisce il compromesso e la

mediocrità.

Viene toccato l’intimo della persona, ma più della malattia, delle piaghe del

corpo, per Giobbe pesa la prova della solitudine.

Tre amici lo visitano e, la situazione appare loro più grave di quanto pensavano.

Rimangono accanto a lui per sette giorni, e nessuno gli rivolge la parola. Si instaura poi

un dialogo, gli amici cercano di offrire a Giobbe sofferente le risposte della tradizione,

poiché pensano che le sofferenze siano causate da un peccato nascosto da lui

commesso, ma egli vuole che sia Dio stesso ad offrire una risposta. La seconda parte, i

cap. 29-31 e 38-42, descrive il dialogo Giobbe e Dio. Il libro si rivela una ricerca del

vero volto di Dio attraverso l’esperienza del dolore (Gb 42,5). Un quarto personaggio,

Eliu, difende Dio davanti alle domande di Giobbe.

Giobbe è solo abbandonato dagli amici, proprio perché grida a Dio è

disprezzato, rimproverato, è ritenuto empio da quelli che si dicevano suoi amici. La

coscienza di Giobbe è dell’uomo che sente di portare un dolore sproporzionato alle

proprie forze.

È giunto il momento del vero discernimento; il tempo dell’umiltà e del sincero

pentimento (Gb 40,3-5). Giobbe è giunto a un retto concetto di Dio, a una coscienza di

Dio non più razionale, ma di uomo credente. Giobbe rimane fedele a Dio e viene

premiato.

Dio si rivela sopratutto nell’amore e nel dolore, che sono le due espressioni

universali della vita.

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PARALLELISMI BIBLICI

I due protagonisti sono soltanto comparse, eppure dominano tutta la scena. Il

primo è Dio: egli appare verso la fine del libro e si rivela come il bene, la vita, il vigore,

la bellezza. L'altro è Satana, l'accusatore, che si mostra esclusivamente all'inizio e si

rivela nella perfidia della sua intenzione, nella sua volontà di distruzione e di morte.

Come nella Genesi, anche qui il male entra nel mondo per l'azione di Satana, il

quale per gelosia cerca di corrompere l'uomo e di renderlo infedele a Dio. Ma con

Giobbe non riesce nell'intento: pur scatenandogli addosso ogni sorta di disgrazia, lo fa

giungere alle soglie della morte e sull'orlo della disperazione, ma non riesce a

dividerlo, a separarlo da Dio. E così, al termine del suo «giro sulla terra», sconfitto,

sparisce.

Tema centrale del libro non è dunque soltanto quello del male, al centro vi

sta piuttosto l'uomo impegnato nel suo duro combattimento contro le forze del male. E

qui, a differenza di quanto è avvenuto nell'Eden, egli esce vittorioso dalla prova e

riceve la benedizione divina.

Dio, fidandosi dell'uomo, ha permesso a Satana di mettere in atto le sue

macchinazioni. Dopo il prologo, sulla scena sembra dominare lui solo, che agisce in

modo occulto, senza manifestarsi, senza apparire: questo nascondersi fa parte della sua

strategia, quasi nell'intento che la responsabilità di quanto avviene non ricada su di lui,

ma su Dio medesimo.

Nello scontro tra Dio e Satana sembra di vedere più profondamente il senso e il

valore di questo libro ispirato che è certamente uno dei più grandi dell'intera Bibbia. È

vero che in esso non si parla dell'alleanza;è vero che non ha carattere storico, ma ciò

non diminuisce il suo valore, piuttosto conferisce un respiro di universalità al suo

insegnamento e lo ricollega ai primi capitoli della Genesi, in una rivelazione che parla a

tutta l'umanità.

Se certamente nel libro il problema del male non è secondario, tuttavia ci

sembra di dover riconoscere che in esso domina il senso della trascendenza divina.

A questa visione di un Dio trascendente si deve poi aggiungere la chiara affermazione

della sua unicità. Il male, infatti, non è un principio assoluto come Dio, nessun dualismo

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è consentito. Per sottoporre Giobbe alla prova, l'accusatore deve ricevere da Dio il

permesso; nella sua perversa intenzione di distruggere il disegno divino che elegge

l'uomo ad un'altissima dignità, Satana mette in atto tutto il suo potere, ma fallisce,

perché Giobbe, nonostante la prova, rimane fedele a Dio. Per questo, al termine del

libro, egli – figura di ogni uomo che resiste alla tentazione – sarà esaltato, benedetto

da Dio e colmato di ogni favore.

Tuttavia, la trascendenza di Dio esige che il rapporto tra Lui e l'uomo sia

rapporto di abbandono, fondato sulla fede e sull'umiltà. Se anche Dio ama in modo

particolare l'uomo e lo elegge, non lo trasferisce però in un piano diverso da quello

della creazione. La benedizione e l'approvazione di Dio comportano per Giobbe

benefici soltanto terrestri.

La fiducia di Dio nell'uomo e la sua vittoria nella prova subita non lo rendono

perciò degno di entrare nella vita divina. Siamo ancora ben lontani dal Nuovo

Testamento, dall'incarnazione del Verbo, venuto ad abitare sulla terra per educare gli

uomini ad abitare con Dio, come dice sant'Ireneo. Tuttavia questo libro importa,

anche oggi, una meditazione quanto mai profonda sui problemi fondamentali

della vita umana. Se i protagonisti sono Dio e l'accusatore, è pur vero che tanto Dio

quanto l'accusatore sono presenti solo in rapporto a Giobbe, ossia solo in rapporto

all'uomo. È per la sua rovina che l'accusatore entra in scena; è per la sua giustificazione

che Dio esce dal silenzio. La sconfitta dell'accusatore e la vittoria di Giobbe rinnovano,

dopo la caduta originale, la rivelazione che nell'uomo la creazione ha il suo

compimento, perché in lui Dio ha trovato la sua compiacenza: «Dio vide quanto

aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31).

In estrema sintesi: il libro di Giobbe è formato in massima parte dagli interventi

degli amici di Giobbe che vorrebbero difendere Dio e giustificare la rovina e il morbo di

Giobbe appellandosi a un suo peccato, anche se nascosto. In realtà sono proprio

questi amici che non parlano in nome di Dio: sono, come Satana, degli accusatori.

Infatti giustificare Dio diventava un condannare l'uomo.

Il vero senso del libro è dato naturalmente e necessariamente dall'intervento

finale di Dio. Gli amici avevano pensato a un castigo da parte di Dio per le colpe di

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Giobbe; alle parole degli amici replica sempre con forza Giobbe medesimo,

proclamando la propria innocenza e invocando il giudizio divino. Le parole di Dio

ci dicono che l'Eterno non è autore del male: non è da lui che proviene la rovina e il

male di Giobbe. Dio è il Creatore, tutte le sue opere manifestano la sua onnipotenza

creatrice di vita. Per questo se Satana ha colpito Giobbe di un gravissimo morbo,

l'azione di Dio si manifesta invece nella forza, nella bellezza e nella vita degli animali

creati. Un male terribile ha colpito Giobbe, ma Dio ha permesso questa prova proprio

perché si manifestasse più pura e più grande la sua innocenza.

Al termine Giobbe non è solo riabilitato, ma deve essere lui a ottenere per

gli amici il perdono di Dio

5.

5 Cfr. D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 2001, pp. 119-122.

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ANALISI DEI PERSONAGGI PRINCIPALI

GIOBBE

Giobbe è innanzitutto un uomo che sperimenta con forza il suo limite

creaturale. In ogni istante, anche di fronte alla disperazione più totale, egli cerca

Dio. Egli è anche la storia di un sofferente. Nella sua giustizia, che rivendicherà nei cc.

29-31, è confuso nei confronti di Dio: è innocente, eppure distrutto.

Non si sa dove fosse di preciso la terra di Uz, dove Giobbe viveva. La tendenza

odierna è quella di considerarla ai confini di Edom, in quanto alcune indicazioni del

libro sono ritenute edomite; ma sono molto più probabili le tradizioni che la collocano

nell'Hauran (Basan). Giobbe era un uomo molto benestante e di elevata posizione

sociale, ma il libro si preoccupa così tanto di sottolineare la sua posizione fra i Sapienti

da non dare dettagli precisi sul suo status; si possono, comunque, respingere senza

esitazione le leggende che ne fanno un re.

I TRE AMICI DI GIOBBE

I tre amici e Giobbe fondano in gran parte le loro opinioni sull'osservazione,

l'esperienza e la tradizione, benché in 4,17-5,7 Elifaz faccia brevemente riferimento a

rivelazioni notturne. A questo punto compare Eliu (capp. 32-37), per risolvere il

problema con la sua rivelazione "ispirata". Tuttavia egli non fa che ripetere le opinioni

degli amici, rivelandosi senza volerlo come un falso profeta (cfr 1 Re 22,13-23).

Finalmente Dio rompe il lungo silenzio divino e parla direttamente a Giobbe (capp. 38-

41).

6 Cfr. A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, Leumann (To) 2008, pp.

65-67.

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ELIFAZ

Figlio maggiore di Esaù e di Ada (Gen 36,4.10), padre di cinque capi di clan

edomiti (Teman, Omar, Zefo, Gatam, Kenaz) e, attraverso la sua concubina Timna,

padre di Amalek (36,11-12.15-16; 1Cr 1,35-36). È probabilmente il maggiore dei tre e

quindi il più saggio. Ha molta stima per Giobbe ed è molto addolorato per lui. È uno dei

tre amici di Giobbe venuti per consolarlo (Gb 2,11-13). I suoi tre discorsi difendono le

teorie tradizionali della retribuzione (la sofferenza è la punizione di un peccato)

contestate da Giobbe, il giusto sofferente. Elifaz dando per presupposta la profonda

pietà di Giobbe, lo esorta a sottomettersi a Dio.

BILDAD

Suchita, altro amico di Giobbe, venuto ad assisterlo e a confortarlo nella

sulla prova (Gb 2,11). Nel ciclo dei discorsi egli prende la parola per secondo con tre

distinti interventi (capp. Gb 8,1-22; 18,1-21; 25,1-14), i tre discorsi che rivolge

costituiscono una critica. Il significato del nome è oscuro, ma potrebbe riferirsi al re

di Edom Bedad (Gen 36,36). Il nome è composto con l'elemento teoforico dad

(dall'omonimo dio edomita). È meno garbato di Elifaz, fa un crudele quadro della

situazione di Giobbe: l’umanità si divide in due gruppi, i malvagi e i giusti; i primi Dio

li distrugge, gli altri li benedice. Bildad deduce questo dalla tradizione delle precedenti

generazioni.

ZOFAR

Altro amico di Giobbe accorsi a offrirgli consolazione e consiglio sua prova (Gb

2,11;11,1;20,1). Probabilmente il più giovane dei tre. Zofar è di Naama. Egli non si

appella all’esperienza personale come Elifaz o alla tradizione come Bildad, ma la sua

autorità è la sua stessa sapienza. Il consiglio a Giobbe, a causa della mancanza di

comprensione e perspicacia, provoca il rimprovero di Dio (Gb 42,7-9), costituiscono una

severa critica che vale a Zofar il biasimo di Jahweh (Gb 42,7-9).

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ELIU

Il giovane amico di Giobbe, figlio di Baracheel, un buzíta della tribù di Ram

(Giob. 32:2, 4--6; 34:1; 35:1; 36A). El iu fa quattro discorsi il cui intervento di fronte

a Giobbe precede immediatamente i discorsi pronunciati da Dio in mezzo al

turbine (Gb 32-37), in cui appare come arbitro che tenta di conciliare le opinioni

divergenti di Giobbe e dei suoi amici, difendendo la tesi che la sofferenza è un

avvertimento e un mezzo per operare il risanamento morale; non è bene per l'uomo

approfondire di più questo problema; deve rassegnarsi e riconoscere la grandezza e la

sapienza divina, rivelate dalle meraviglie della natura.

La sua apparizione alla fine della storia rappresenta un piccolo mistero, non

essendo egli incluso nella lista di amici il cui dialogo con Giobbe costituisce buona

parte del libro. I discorsi di Eliù, con il loro forte accento sulla sovranità divina, servono

sia a introdurre la rivelazione di Dio (Giob. 38) sia a creare un'atmosfera di attesa.

Alcuni studiosi considerano i discorsi di Eliu come interpolazioni intese a

fornire una risposta più esauriente al libro di Giobbe. La valutazione di tali discorsi

dipende dall'interpretazione complessiva del libro.

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CONCLUSIONE

Tra i libri della Sacra Scrittura, il libro di Giobbe è certamente uno di quelli che

suscita maggiore difficoltà per la profondità dell'argomento che tratta e la richiesta di

uno sguardo di verità sulla propria fede. Proprio per questo il suo messaggio diventa

alimento per la vita spirituale e fa penetrare più profondamente nel mistero di Dio,

dell’uomo e del male.

Gli scritti antichi stabiliscono un perfetto accordo tra bene spirituale e bene

fisico, lunghezza della vita, ricchezza, numero dei figli e altro ancora, ma quanto più ci

si avvicina al cristianesimo tanto più tale sintonia si dimostra effimera. E' richiesta una

conversione, un cambiamento di atteggiamento: il libro sacro esige una fede per cui

l’uomo non chiede conto a Dio di quello che fa, ma si rimette totalmente a lui;

certamente l’azione di Dio non potrà essere contraria alla giustizia e al bene 7.

L’uomo, creatura di Dio, non può comprendere pienamente il disegno e il

mistero divino, deve tuttavia rimanerne fedele, credere nel Padre che gli ha dato la vita:

è questo il principale insegnamento di Giobbe. Dio non è giudice ma è misericordia,

risponderà al male con l'amore, dando Suo figlio. Il dono del Padre avviene con una

«Parola fatta carne», con l’incarnazione del Verbo, assumendo la natura umana e

distruggendo in se stesso il male 8.

Il cristianesimo non elimina la sofferenza, ma fa cambiare prospettiva. In Cristo,

risorto dalla morte, l’uomo impara ad accettare il dolore e anche ad amarlo, perché è la

via che si configura a Cristo 9.

7 Cfr. D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 2001, p. 9.

8 Idem, p. 9.

9Idem, p. 10.

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Come Gesù, il vero cristiano rimane in preghiera nel suo Getsémani e invoca:

«Padre se è possibile, passi da me questo calice ....». E se Dio tace, ancora con Gesù

egli prosegue dicendo: «Non la mia, ma la tua volontà si compia». Neppure il Figlio di

Dio ha ricevuto risposta; anch’egli ha accettato la morte 10

. Dio vuole da Gesù la piena

accettazione della morte di croce. E così avviene nella Chiesa. Il modo di agire di Dio

non può essere giudicato dall’uomo.

Ogni libro della Sacra Scrittura, in quanto libro ispirato, è Parola di Dio, è Verbo

di Dio e, quindi, parla direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente

del Cristo: prepara alla venuta Cristo, lo annuncia. E questo è vero in particolare per il

libro di Giobbe, che nella passione del protagonista annuncia la passione di Gesù.

Il libro di Giobbe è importante per l’universalità del suo insegnamento11

.

10 Cfr. D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 2001, p. 11.

11 Idem, pp. 24,25.

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MESSAGGIO DEL LIBRO

Dio accetta il linguaggio della disperazione di un sofferente che dubita di Lui,

se questi, pur nell'abisso, continua a tenersi saldamente attaccato a Lui. Il dolore è per

tutte le teologie il banco di prova della fede in Dio. La sofferenza di Giobbe può essere

letta, oltre che in termini personali, anche a livello collettivo: esprime cioè il dramma

degli uomini del suo tempo. Si può istituire infatti un parallelismo tra Giobbe e la vita

del popolo a Gerusalemme (V sec. a.C.): nella parte in prosa Giobbe è presentato come

un patriarca, ricco di beni i e di figli.

In ciò Giobbe diventa la parabola del popolo ebraico che vive in un'epoca di

sconvolgimenti, dovuti al fatto che Israele non esisteva più come nazione; il regno e il

tempio non sussistevano più. Con essi era sparita anche l'idea, fino allora ovvia, che

Dio fosse la guida, il sostegno e la garanzia di tutto.

La sofferenza provoca un ripensamento dell’idea tradizionale di Dio e invoca

un approccio meno «dogmatico» e più aderente a ciò che emerge dalla storia.

Giobbe protesta piuttosto contro l'affermazione degli amici che fanno di questo dolore il

luogo dell'accusa Giobbe, considerandolo un prevaricatore che Dio punisce in ragione

della gravità dei suoi peccati.

La sofferenza non dipende dai peccati. È il peccatore che provvede al proprio

castigo, la disgrazia presuppone sempre il peccato, Giobbe respinge con forza le loro

tesi.

Alcuni atteggiamenti condizionano la felicità del credente: l'umiltà, la stabilità

nella fede la conversione, la preghiera. Il discorso degli amici è falsato

dall'interpretazione che essi danno della sua sofferenza. Affermano a priori la

colpevolezza di Giobbe proprio perché interpretano falsamente la prova cui egli è

sottoposto.

Dio, sfidato, si trasforma in sfidante, facendo intuire all’uomo Giobbe che la

logica del Signore è ben più autentica di quella limitata della creatura. Alla fine il male

resta sempre senza risposta, ma apre a Giobbe il volto di Dio, che nella creazione

mostra le tracce del suo progetto trascendente, eppure affidabile e buono.

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Il libro di Giobbe si trasforma allora in una grande catechesi sulla necessità della

fede pura. Il problema centrale del libro non è il male di vivere, ma piuttosto la

possibilità della fede e le sue condizioni nonostante l'assurdo della vita. Contro il

razionalismo etico del dogma della retribuzione e contro il razionalismo teologico

degli amici, Giobbe ribadisce che è necessario «temere Dio per nulla» (1,9), cioè

credere gratuitamente, senza guadagnarci nulla, senza poter sperimentare ad ogni passo

il prezzo della virtù, accedendo in questo modo ad una dimensione veramente

sapienziale dell'esistenza che non considera la virtù merce di scambio.

Giobbe è considerato una vetta della letteratura universale e in questo senso

diventa il prototipo di un atteggiamento di fronte alla vita. Il Cristo mediatore, siglando

nel suo sangue la nuova alleanza, convincerà definitivamente l'uomo che, nel momento

in cui è prostrato e quasi schiacciato dalla sofferenza, Dio non è «altrove», ma si offre

qui e ora al dialogo e alla comunione12

.

12 Cfr. A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, leumann (To) 2008, pp.

57-70.

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PROGETTAZIONE DI UNA AZIONE D’AULA ALL’INTERNO DI UNA UNITÀ DI

APPRENDIMENTO

Il libro di Giobbe può diventare uno strumento efficace per affrontare con gli

studenti argomenti relativi all’aspetto della fede, non tanto da un punto di vista

catechistico, ma per far capire come essa sia stata in ogni tempo un aspetto

fondamentale dell'umanità. Da sempre l'uomo ha cercato nella religione le risposte sul

senso profondo della vita, soprattutto per quanto riguarda il dolore e la sofferenza ad

ogni livello: fisico, mentale e spirituale. E tale sete di risposte non sembra placarsi

nemmeno ai giorni nostri.

C’è un bellissimo passo sulla solitudine di Giobbe che può essere di stimolo per

invogliare gli alunni a relazionarsi in maniera più vera, propria ed autentica (dobbiamo

pensare a quanti i giovani oggi si sentono soli, basti considerare il fenomeno dei social

network). Il significato ultimo di questo lavoro è il desiderio di penetrare il mistero

dell’uomo e il mistero di Dio, la fede, la religione.

Lo schema ha diverse parti, soprattutto per quel che riguarda i discorsi e la

risposta di Dio nella parte finale, perché, anche se nella prima parte del testo sembra che

Dio lasci Giobbe solo, in realtà non lo abbandona mai, ed è proprio questo il significato

principale: la costante presenza di Dio. (Gb 2,7-10) Giobbe dice alla moglie che, come

accettiamo da Dio il bene, dobbiamo accettarne anche il male.

Anche nella mia esperienza personale ho sperimentato il rifiuto di alcune mie

scelte di fede da parte di un membro della mia famiglia, a dimostrazione del fatto che

anche al giorno d'oggi l'essere ancorati saldamente a Dio può portare a divisioni anche

nelle relazioni più strette.

In un'altra occasione ero in ospedale e mi sono sentita dire da una infermiera

professionale che non comprendeva la mia lucidità sulla malattia, guardandomi

esterrefatta, come fossi una pazza. Un’altra ancora mi disse: «ma come fa a mantenere

quella calma e non impazzire o preoccuparsi un po’ di più?». Nella parete che avevo alle

spalle del letto, a circa due metri e mezzo di altezza, alla mia destra c’era a un

crocifisso e, con molta naturalezza e serenità le dissi: «Vede quel crocifisso? noi siamo

un tutt’uno». L'infermiera restò sbalordita. In quel preciso momento mi resi conto di

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quanto grande fosse la grazia che mi fu donata di avere la fede. Quando uscii dalla

malattia andai a Illeggio (UD) a vedere una mostra sul tema "L’aldilà, l’ultimo mistero"

e, davanti a un’immagine di San Tommaso che toccava la ferita di Gesù (Incredulità di

San Tommaso, c. 1621, Giovanni Francesco Barbieri detto Guecino) mi emozionai

tantissimo, pensando a quanto sono fortunata credere nel Signore senza averlo visto.

Giobbe comincia a lamentarsi nei confronti di Dio (Gb 3,1-6), non è più la

persona sicura di prima, a un certo punto entrano in scena i suoi tre amici che in qualche

modo cercano di fargli capire che lui stesso era la causa del suo male (non

dimentichiamo che per gli ebrei le disgrazie erano castighi di Dio), la loro convinzione è

che Giobbe abbia commesso qualche peccato per cui merita di patire le sofferenze che

lo hanno assalito, e che in fondo non era così puro come dimostrava di essere.

Giobbe però rimane fedele a Dio e viene premiato: Dio infatti gli restituisce

quanto gli era stato tolto. (Gb 42,10-17).

Ho pensato quindi di trattare queste parti del libro di Giobbe: Gb 2,7-10; Gb 3,1-

6; Gb 42,10-17, in una classe terza della scuola secondaria di primo grado.

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SVOLGIMENTO IN CLASSE

- Lettura di alcune parti del libro di Giobbe, invito a leggerlo possibilmente tutto.

- Inquadrare storicamente il testo di Giobbe e indicarne il principale messaggio

teologico.

- Interessare, invitare i ragazzi a una ricerca, attraverso i personaggi, del proprio

modo di porsi davanti alla vita. Ogni alunno, leggendo attentamente il testo, vive

delle emozioni legate a delle realtà che può avere vissuto o sta vivendo:

relazioni, sofferenza, insicurezza, lutto, bisogno di approvazione sociale,

solitudine, etc. Attraverso anche la visione di qualche spezzone audiovisivo, sia

esso film o testimonianze di esperienze vissute, il ragazzo può essere aiutato a

prendere coscienza di quali sono le virtù o le difficoltà che racchiude in sé.

ITALIANO

- Affrontare argomenti presi anche da quotidiani, riviste o libri che riguardino

l’amicizia.

STORIA DELL’ARTE – DISCIPLINA ARTISTICA

- L’alunno può rappresentare i versetti che più gli hanno mosso delle forti

emozioni, oppure cercare una rappresentazione dove emotivamente egli più si

rispecchia.

STORIA

- Il tema della sofferenza è presente in ogni epoca. Nel periodo scolastico si

potrebbero ricordare la shoa o la soppressione degli indiani d’America, oppure

interessare l’alunno a fare una ricerca di eventi eclatanti sulla sofferenza che

molti popoli hanno vissuto o che tuttora stanno vivendo: fame, povertà di

relazione, genocidi, poteri dittatoriali etc.

DIRITTO

- Il diritto alla vita, alla libertà intesa nella forma totalizzante, il diritto di scegliere

liberamente la cura per la propria salute sia esso tradizionale o alternativa: oggi

c’è molto imbarazzo nel proporre nuove forme di cura, a causa di interessi

economici.

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BIBLIOGRAFIA

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Penna, Edizioni Borla, Roma 1995.

DIZIONARIO BIBLICO GBU, a cura di Rinaldo Diprose, Edizioni GBU 2008.

DIZIONARIO COMMENTARIO BIBLICO, Queriniana, a cura di Antonio Bonora, Romeo

Cavedo, Felice Maistrello, Brescia 1973.

IL DIZIONARIO DELLA BIBBIA, Edizione italiana, a cura di Pietro Capelli, Editore

Zanichelli, Bologna 2003.

B. STUDI

D. BARSOTTI, Meditazione sul libro di Giobbe, Editrice Queriniana, Brescia 2001.

A. M. CÀNOPI, Fammi sapere perché ..., EDB, Bologna 2008.

A. BONORA-M. PRIOTTO, Libri sapienziali e altri scritti, Logos 4, Elledici, leumann (To)

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