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I Pippo: …ho capito che lo dice Nietzsche: “Sono un nichilista radicale, ma non dispero ancora di trovare una via d’uscita, un pertugio attraverso il quale si possa arrivare a qualcosa” ii … però vi ricordo che, negli Eroici Furori iii , anche Bruno utilizza la metafora della fessura: noi possiamo solo spiare la verità, la completa visione della verità e la completa visione dell’amore ci conducono alla morte; Atteone vede a tutto tondo l’immagine di Diana, nuda, riflessa nell’acqua: per questo viene trasformato in cervo, da cacciatore è trasformato in preda e viene sbranato proprio dai suoi cani. In fondo, è morendo, o arrivando all’estremo opposto della vita da mortale che si scopre di stare morendo e in questo sapere che sfugge ai cani -come uno a cui, diagnosticata una malattia terminale, cambia la vita- colgo il mio senso, mi si apre la visione del tutto infinito di cui mi scopro parte. Alla fine scopro di desiderare ciò che sono e scopro ciò che sono solo a patto di diventarlo e dunque rinascere… insomma, sbircio dalla serratura i miei genitori per scoprire come vengono al mondo i bambini e lo capisco veramente solo quando sarò parte di una coppia che mette al mondo dei figli. È questo Eros: un destino che trasforma la visione o la teoria in prassi, continuamente. Per questo non possiamo trovargli un significato univoco: perché l’amore è ciò che dà significato, non ciò che ha significato! Anche Giampiero pensa che, per trovare una via di uscita dal nichilismo, dovremmo ripartire dalla traccia di Bruno, dall’eroico furore… Giampiero: …andiamo con calma: il fine ultimo degli ‘Eroici Furori’ di Bruno è quello di riformare il metodo della conoscenza, di trovare una nuova strada per raggiungerla ponendosi in polemica con i religiosi e i grammatici. Il nuovo sapere dovrà essere nettamente distinto da quello attuale dei sapienti, poiché questo manca di un fattore essenziale per il filosofo nolano: Eros, cioè quella tensione vissuta nell’esperienza dei contrari che tormenta, diletta e muove la ricerca di quest’uomo eroico che è il furioso. Mentre il sapiente vive nell’indifferenza, controlla le emozioni poiché conosce le leggi della vicissitudine, del moto e delle mutazioni, estraniandosi di fatto dal vincolo dell’Eros, il furioso vive dentro di sé tutte le passioni impossibili da controllare. È proprio questo, per Bruno, che conduce l’uomo alla ricerca di una sapienza autentica, una vera e propria caccia alla verità. Il furioso riesce allo stesso tempo a problematizzare il presente e si protende verso

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I

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Pippo: …ho capito che lo dice Nietzsche: “Sono un nichilista radicale, ma non

dispero ancora di trovare una via d’uscita, un pertugio attraverso il quale si possa

arrivare a qualcosa”ii… però vi ricordo che, negli Eroici Furoriiii, anche Bruno

utilizza la metafora della fessura: noi possiamo solo spiare la verità, la completa

visione della verità e la completa visione dell’amore ci conducono alla morte;

Atteone vede a tutto tondo l’immagine di Diana, nuda, riflessa nell’acqua: per

questo viene trasformato in cervo, da cacciatore è trasformato in preda e viene

sbranato proprio dai suoi cani. In fondo, è morendo, o arrivando all’estremo

opposto della vita da mortale che si scopre di stare morendo e in questo sapere che

sfugge ai cani -come uno a cui, diagnosticata una malattia terminale, cambia la

vita- colgo il mio senso, mi si apre la visione del tutto infinito di cui mi scopro

parte. Alla fine scopro di desiderare ciò che sono e scopro ciò che sono solo a patto

di diventarlo e dunque rinascere… insomma, sbircio dalla serratura i miei genitori

per scoprire come vengono al mondo i bambini e lo capisco veramente solo quando

sarò parte di una coppia che mette al mondo dei figli. È questo Eros: un destino che

trasforma la visione o la teoria in prassi, continuamente. Per questo non possiamo

trovargli un significato univoco: perché l’amore è ciò che dà significato, non ciò

che ha significato! Anche Giampiero pensa che, per trovare una via di uscita dal

nichilismo, dovremmo ripartire dalla traccia di Bruno, dall’eroico furore…

Giampiero: …andiamo con calma: il fine ultimo degli ‘Eroici Furori’ di Bruno è

quello di riformare il metodo della conoscenza, di trovare una nuova strada per

raggiungerla ponendosi in polemica con i religiosi e i grammatici. Il nuovo sapere

dovrà essere nettamente distinto da quello attuale dei sapienti, poiché questo manca

di un fattore essenziale per il filosofo nolano: Eros, cioè quella tensione vissuta

nell’esperienza dei contrari che tormenta, diletta e muove la ricerca di quest’uomo

eroico che è il furioso. Mentre il sapiente vive nell’indifferenza, controlla le

emozioni poiché conosce le leggi della vicissitudine, del moto e delle mutazioni,

estraniandosi di fatto dal vincolo dell’Eros, il furioso vive dentro di sé tutte le

passioni impossibili da controllare. È proprio questo, per Bruno, che conduce

l’uomo alla ricerca di una sapienza autentica, una vera e propria caccia alla verità.

Il furioso riesce allo stesso tempo a problematizzare il presente e si protende verso

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II

il futuro, ne deriva quindi un maggior dinamismo e una maggiore attività rispetto al

sapiente contemplativo.

Stefano: quindi, il furioso sarebbe un po’ come l’oltre-uomo di Nietzsche?

Giampiero: …non solo! Assodato che l’amore apra la strada verso la verità

assoluta, Bruno distingue due generi d’amore: quello eroico e quello brutale. Il

primo è di ispirazione divina, proteso all’infinito e al futuro, il secondo è più un

istinto animale chiaramente finalizzato al presente. Il furioso è colui che si eleva

sulla maggior parte degli uomini nello slancio del proprio intelletto animato da

amore-furore. Eppure, non credo che lo slancio verso la dimensione dell’eroe sia

un impulso irrazionale, tutt’altro… ascoltate: “è un’esperienza estrema di umanità

e una radicale riforma del concetto di ragione e razionalità in cui si fondono in

modi nuovi intelletto riformato e volontà sotto l’impulso vincolante dell’Amore”iv.

Proprio qui si colloca la figura dell’uomo eroe che si trova a metà strada tra l’uomo

e il divino, poiché unisce in sé sia l’elemento animale che quello intellettuale: un

po’ come nel sentimento tragico dei greci di cui parla Nietzschev. Il momento

ultimo della tensione, della ricerca, dell’eroe furioso è la contemplazione del

divino, il momento in cui di fronte agli occhi si mostra la nuda verità. Bruno per

descriverci questo passaggio si rifà al mito di Atteone: da questo punto di vista, ho

trovato l’interpretazione di Pippo molto efficace e suggestiva.

Stefano: Secondo me, ti ha colpito l’immagine del pensiero che si fa prassi,

dell’Eros che dà significato pur non avendone uno proprio. Allora è qui che

dobbiamo guardare: nelle vite dei due pensatori, proprio nel loro “eroismo”, nel

senso qui specifico del termine. Una caratteristica che accomuna fortemente le

biografie dei due filosofi è il sentirsi costantemente inattuali, o per dirla alla

maniera nicciana, “uomini che nascono postumi”. Giordano Bruno, così come

Socrate, non volle ritrattare le sue convinzioni, non scese a compromessi e preferì

portare avanti con determinazione il suo pensiero fino alla morte; tanto che, quando

l’8 febbraio del 1600 fu costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di

condanna a morte per rogo, si alzò e indirizzò ai giudici la storica frase: «Maiori

forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam»vi… certo, Nietzsche

è al contrario critico nei confronti del filosofo greco, ritenuto l’iniziatore

dell’intellettualismo occidentale che mortifica la parte dionisiaca della vita,

sacrificando tutti gli impulsi dell’essere umano a scapito degli ideali astratti di virtù

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III

e perfezione morale… però il filosofico furore protratto fino alla fine, a me sembra

avere molto in comune con la follia -la sola capace di scorgere la verità oltre la

volontà di verità- che Nietzsche ha cercato di maneggiare fino alla fine: pochi

uomini hanno combattuto più eroicamente contro la malattia e il dolore, cercando

di capire se stessi attraverso la sofferenzavii, anche se la follia infine avrà la

meglio… ecco, in un certo senso, come Nietzsche, anche Bruno spicca «un folle

volo» - ma verso la sapienza, non verso la follia; anzi, verso la sapienza attraverso

la follia, come si chiarirà negli Eroici Furori. E Nietzsche? Non è folle dire a

qualcuno che è malato e che la malattia (il “nichilismo”) costituisce

contemporaneamente anche la cura stessa? Per Nietzsche, solo dichiarando la

morte di Dio e di tutti i valori, l’uomo potrà dare avvio ad una rinascita di un nuovo

mondo, nel quale fondare nuovi valori. Un’analogia, se vogliamo, col Concilio

degli Dei convocato da Zeus nello “Spaccio della bestia trionfante” al fine di

rovesciare tutti i valori corrotti dalla “macchia del mondo” (cristianesimo) e

dall’angelo pernicioso (Lutero); mi sembra questo lo spunto più interessante

suggerito da Pippo: la caccia destinata all’inversione dei ruoli, proprio come la

malattia che è anche cura, il nichilismo!

Sara: …si, ma perchè la critica di Nietzsche al razionalismo socratico ti crea

problemi, Stefano? Bruno, certo, doveva ammirare Socrate per questa capacità di

non allontanare il calice della sua morte, di non tentennare, come nemmeno lui farà

sul rogo… e qui c’è il nesso con Nietzsche, nel giudizio su Cristo: “tristo mago”,

così Bruno lo definisce. Una figura che nella filosofia del Nolano viene

radicalmente svalutata; in Cristo, la chiesa cristiana sostiene si siano fuse insieme

due realtà, una divina, l’altra umana. Un Dio che si è fatto uomo, dunque, e che

allo stesso tempo, pur divenendo mortale, conserva la sua natura divina. Bruno

contrasta fermamente questo dogma cristiano, che sarà poi causa di una delle tante

accuse di eresia che lo condussero al rogo, poiché la sua filosofia prevede

l’impossibilità per qualunque ente finito di presentarsi come una rappresentazione

dell’infinito o addirittura una mediazione tra finito e infinito: solo l’universo, un

tutto infinito, può essere l’immagine dell’infinito divino. Così come l’uomo non

può farsi dio, passando da finito in infinito, anche dio non può farsi uomo:

un’unione -e dunque una mediazione- tra l’infinito e il finito, altrettanto mostruosa

e impossibile come quelle unioni tra natura umana e animale che sono i centauri

della mitologia classica. Egli nega dunque che Cristo sia realmente figlio di Dio e

lo accusa, inoltre, di non aver saputo morire, poiché in punto di morte ha invocato

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IV

la misericordia del suo Dio-padre, a differenza invece dello stesso Bruno che,

quando sul rogo i suoi confortatori gli propongono l’immagine del Nazareno, gira

la faccia, per far capire che, con lui, Cristo non ha nulla in comune: perché

contrariamente a quanto egli fece in croce, Bruno sul punto di morire non ha

invocato né supplicato l’aiuto e la pietà di alcun dio, fiero e felice nel sacrificare la

sua vita in nome di qualcosa che trascende la sua singolarità, per cui vale

assolutamente la pena morire: la Verità. Non una verità astratta e intellettuale, ma

una verità che è vita, e la vita -qui c’è Socrate!- è tale solo se si fa verità, per sé e

per gli altri. Chi afferma questo, afferma la vita…

Guido: …chi afferma questo è l’oltre-uomo! Non c’entra l’eroe: il termine

eroico, in Bruno, sta ad indicare in modo esplicito l’eros; furore rimanda inoltre a

furioso, cioè colui che è abitato dalla pazzia, dalla follia. Ricordate il discorso di

Lisia nel Fedro di Platone: chi affiderebbe la propria vita ad un pazzo d’amore?

Socrate rovescia l’assunto in favore della divina maniaviii e così fa pure Nietzsche a

proposito della follia, in uno dei frammenti de La volontà di potenza: “Volontà,

ecco un’ ipotesi che non mi spiega più nulla; per chi conosce (il folle) non c’è

volere”ix. Però sono d’accordo con te, Stefano: il furioso e l’oltre-uomo conducono

a verità destabilizzanti, al caos. Nietzsche annuncia al mondo intero la fine di una

millenaria menzogna: Dio, il simbolo di quel “mondo vero”, con il quale l’uomo ha

posto il senso dell’essere al di là dell’essere stesso. Nemmeno più la scienza può

costituire un’ancora di salvezza, ora che anch’essa si è manifestata per quella che è:

una dottrina che illegittimamente pretende di dare interpretazioni oggettive di una

realtà caotica e senza senso, interpretazioni che in realtà si configurano come

appannaggio di bisogni tipicamente umani quali la tranquillità, l’armonia, le

certezzex. Eppure, nasce a questo punto la necessità per l’uomo di evolversi, di

superarsi: l’uomo è qualcosa che deve essere superato! Solo in questo modo si può

lasciar spazio all’avvento di un individuo superiore, capace di vivere a pieno

regime in un contesto esistenziale i cui pilastri portanti sono lo spirito dionisiaco,

che si esplica nella totale accettazione della vita e dell’eterno ritorno, e la

concezione “sdivinizzata” della realtà; insomma di un oltre–uomo capace davvero

di rendere divina la realtà. “Nel secolo da lui divinato”, non recita così l’iscrizione

a Campo de’ fiori? anche Bruno auspicava col suo progetto di “renovatio mundi” la

costruzione di un nuovo codice etico, lo stesso che avrebbe dovuto guidare

l’esistenza dell’uomo eroico, capace come Atteone di congiungersi e diventare

tutt’uno con la natura. Se per Bruno la natura e Dio sono realtà comunque date e

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V

precostituite, è anche vero che l’uomo, dotato di intelletto e mano (riprendendo

Anassagora) - pur sottoposto, come tutti gli altri enti, al ciclo infinito della

vicissitudine - può tuttavia lasciare un segno della sua presenza nel mondoxi. È nel

creare, non nel desiderare, l’essenza del furioso che ama il ciclo infinito in cui

indiarsixii: in questo si concentra la vera superiorità, il lato divino di quest’essere

“extra-umano”. Non a caso Nietzsche in “Così parlò Zarathustra” fa coincidere la

nascita del superuomo con l’accettazione e quindi il dominio dell’infinita

circolarità temporale, simboleggiata nell’opera dal serpente nero che cerca di

soffocare il pastore, quando quest’ultimo trova il coraggio di staccargli la testa

diventando “Non più pastore, non più uomo, un trasformato, un circonfuso di luce,

che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!”xiii.

Pippo: ma certo! è nella concezione del tempo la chiave interpretativa dei due:

alla “visione lineare del tempo” sostituiscono una “visione ciclica delle cose”.

Bruno ci parla di ruota del tempo e circolo universale e Nietzsche di eterno

ritorno, inteso come drastica riduzione del tempo lineare della storia al tempo

ciclico della natura: Nietzsche capisce che il senso lineare del tempo contiene un

passaggio che impedisce alla volontà di potenza di avere effettivamente il dominio

sull'intera realtà: il passato, così come è inteso in un concetto lineare del tempo, è

immutabile, il passato non può essere modificato e sottoposto all'azione della

volontà… per questo, il tempo non può avere una finalità! non può avere una

direzione: contraddirebbe la legge del caos… anche il tempo deve essere periodico,

ovvero ritornare sui suoi passi! Il superuomo deve volere “l'eterno ritorno

dell'eguale” perché il tempo non sfugga alla sua potenza ed egli non abbia

giustificazioni del tipo “questo non lo posso fare”xiv. C’è un passo poi, de “La cena

delle Ceneri” di Bruno, che sembra Zarathustra… “E noi medesimi e le cose nostre

andiamo e vegnamo, passiamo e ritorniamo, e non è cosa nostra che non si faccia

aliena e non è cosa aliena che non si faccia nostra.”xv…

Sara: Straordinaria somiglianza… Nulla e Infinito, Nietzsche e Bruno… separati

da 300 lunghi anni di storia, ma uniti dallo stesso progetto riformatore, davvero

profeti della filosofia, annunciatori della verità per troppo tempo sottomessa al

sapere dogmatico e alla religione, che costringono l’uomo al “capo chino” e lo

inducono a condurre una vita all’insegna dell’ozio e della passività. Notate come

entrambi si schierino radicalmente anche contro la riforma luterana e al grande

esempio cui Lutero si ispira, Paolo? Se Paolo esorta a seguire lo spirito, fonte di

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VI

vita e di pace, abbandonando tutto ciò che risulta legato al corpo, le cui passioni

carnali condurrebbero l’uomo alla morte, fisica e interiore, allora capiamo perché

Nietzsche si schiera contro il cristianesimo che oppone i valori del cielo a quelli

della terra. Così, esso è la religione dei deboli, dei vinti: non certo la religione di

Nietzsche e Bruno, che invece invitano l’uomo a vivere la propria vita sulla Terra,

conducendo una vita attiva, operosa, segnata da un nuovo equilibrio di mente e

corpo! Una rivalutazione dell’uomo e della sua vita sulla terra, dunque, quella che

attuano i due filosofi che non va letta però in chiave prettamente umanistica,

anzi… entrambi si schierano fortemente contro antropo-geocentrismo e

antropomorfismo, entrambi contro quella caratteristica tipicamente umana di non

saper vivere senza certezze: nello spaventoso vuoto di senso che può essere il Nulla

come l’Infinito, si può preferire una fede angusta, prigionieri di pregiudizi umani,

troppo umani… come Copernico, che non osa andare oltre, abituato come noi a

vivere in città recintate, applica uno schema mentale antropomorfico, una coazione

a ripetere (gli idola…), continua a pensare l’universo chiuso e invece è un pluri-

verso infinito… Ma vi ricordate quella recita scolastica de La Cena delle Ceneri?

…sentite se quello che dice Zarathustra alla sua ombra, non sembra adatto proprio

a Copernico e a quelli come lui: “Agli irrequieti come te finisce per sembrare

dimora felice anche una prigione. Hai mai visto come dormono i delinquenti

incarcerati? Dormono tranquilli, godono della loro nuova sicurezza. Guardati dal

diventare alla fine prigioniero di una fede angusta! Ormai per te è una tentazione e

una seduzione tutto ciò che è ristretto e solido. Tu hai perso la meta: o, come potrai

consolarti e compensarti di questa perdita? Con essa tu hai perduto anche la strada!

Povero vagabondo, sognatore, stanca farfalla!” xvi… per questo, ciò che accomuna i

due sulla posizione antiluterana è il disprezzo per una dottrina, che predicando la

predestinazione e la salvezza per sola fede, proietta gli uomini verso una visione

oziosa e passiva della vita, fondata su un’illusoria speranza e una pecorosa

rassegnazione. Una religione dell’umiltà, della speranza e del pentimento, che tiene

gli uomini fermamente “ancorati al proprio passato”, come origine del peccato,

distogliendoli dalla possibilità di riscattarsi in un futuro sereno in cui non vi sia più

alcun ostacolo al libero pensiero e alla ricerca filosofica. E invece… sentite

Zarathustra: “Il futuro e ciò che sta in remota lontananza sia la causa del tuo oggi:

nel tuo amico devi amare il superuomo come causa di te. Amici, non l’amore del

prossimo vi consiglio: io vi consiglio l’amore del remoto”xvii. Se Cristo ci ha

insegnato ad amare il prossimo, la concezione del tempo dilatato in un eterno e

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VII

remoto ruotare, può fondare, per noi giovani, se non una religione, un significato

nuovo per il futuro… Perché diciamocelo, oggi il futuro non è più quello di una volta…

Guido: ah ah, bella questa! Sai che è proprio quello che dice Galimberti nel libro

che sto leggendo? parla del rapporto dei giovani con il Nichilismo, definendolo un

ospite inquietante e spiega come il futuro non sia più percepito come promessa ma

come minaccia. Da ciò la crisi: la psiche è sana quando è aperta al futuro. “Il futuro

chiude le sue porte o si apre per presentarsi come incertezza, inquietudine,

precarietà, insicurezza; si spegne ogni iniziativa, scemano le energie vitali, si

svuotano le speranze, dominano la demotivazione e l’impotenza. La crisi attacca i

fondamenti stessi della nostra civiltà”xviii.

Stefano: ma io non lo sento proprio il bisogno di una nuova religione! Semmai,

l’amore del remoto dovrebbe fondare un’etica della responsabilità verso il futuro e

i giovani: noi siamo abbastanza “inguaiati” e molto lo dobbiamo alla generazione

precedente, ma la prima cosa da fondare è la relazione con chi ci succederà: non

voglio che dicano lo stesso di noi: voglio che pensino che li abbiamo amati e

rispettati… Non lo facciamo se non rimettiamo al centro il merito, come dice

Bruno, se non operiamo per la trasformazione e per ribaltare ciò che c’è di storto, i

valori rovesciati! come nello Spaccio o nella Genealogia… A cominciare dal

rapporto con la natura o, se volete, dalla possibilità di lasciare certamente un segno,

ma non un’impronta ecologica così pesante da sostenere in futuro: ci vuole un

modello di sviluppo diversamente sostenibile!

Guido: è proprio ciò a cui mi riferivo… una nuova etica. Sentite il rimprovero di

Zarathustra, prima del brano che Sara ci ha letto:“Tu sei la mia ombra... Il pericolo

che tu corri non è piccolo, spirito libero e pellegrino! Tu hai avuto una cattiva

giornata: guarda che non ti tocchi una sera ancora peggiore!”xix. L’ombra non ce la

fa ad andare oltre, ma noi sì!… all’etica del viandante commentata da Galimberti,

“l’andare che salva se stesso, cancellando la meta, inaugura una visione del mondo

radicalmente diversa da quella dischiusa dalla prospettiva della meta che cancella

l’andare. I giovani d’oggi, al pari del viandante, recalcitrano ad ogni schema di

progressione, dicono sì al mondo, e non a una sua rappresentazione

tranquillizzante. Si tratta della capacità di disertare le prospettive finalistiche per

abitare il mondo nella casualità della sua innocenza”xx…ma vi ricordate quando

Mary ci raccontò di aver preso di proposito un autobus che non sapeva dove

andava? …

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VIII

Sara: ehm, posso ricucirti l’ombra, come fa Wendy con Peter Pan?

Guido: sfotti pure, intanto Peter Pan aveva capito tutto e cercava di rimanere

giovane, di diventare fanciulli come dice Nietzsche… eppoi Zarathustra divorzia

dall’ombra, le consiglia di trovare riparo nella sua caverna visto che ha bisogno di

una casa, di sicurezza… invece lui… leggi, Sara, appena prima del Meriggio…

Sara: “...ma adesso io voglio di nuovo fuggire. Già sento come un’ombra sopra

di me. Voglio correre solo, perché di nuovo si faccia luce intorno a me. Per me io

debbo ancora essere allegro e in gamba. Questa sera da me si ballerà!” Uhm…

questa credo sia l’ombra del passato consolidato, la tradizione, gli altri del passato,

per cui si richiede una capacità di stare da soli con sé stessi, che poi è la

condizione per comprendersi: guardarsi dentro crearsi un buio interiore, e trovare

noi la nostra prospettiva, un pertugio, una fessura, come dicevano Pippo e Giampiero

all’inizio…

Giampiero: …è il buio che circonda anche il poeta furioso Tansillo, cantore

dell’amore nelle poesie disperate presenti negli “Eroici furori ”…

Guido: …è la lanterna in frantumi de La gaia scienza: “Avete sentito di

quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino … (…).Cerco

dio! Cerco dio!…(…). A quel punto il folle uomo tacque, e gettò a terra la sua

lanterna che andò in frantumi e si spense”xxi. La follia di cui parlavamo io e

Stefano, simile all’eroico furore: permette di affrontare il buio, la sera, il

declinare… in altre parole, la crisi…

Stefano: quindi “stasera da me si ballerà”, vuol dire: “vai a cambiarti: stasera

discoteca!”

Guido: io penserei a qualcos’altro… andiamo a prepararci… bagagli leggeri e lo

stretto necessario: si parte!

Pippo: destinazione?

Guido: se ti dicessi che non lo so di preciso?

Sara: perfetto! Nowhere… per forza devo citarti l’isola che non c’è di Peter Pan!

Giampiero: beh, almeno la prima tappa la conosciamo…

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IX

Guido: ???

Pippo: forse ho capito…

Giampiero: scommettiamo?

Pippo: che domande… prima tappa: Faenza!

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Page 10: campodeifioriurbani.files.wordpress.com · Anche Giampiero pensa che, per trovare una via di uscita dal nichilismo, dovremmo ripartire dalla traccia di Bruno, dall’ eroico furore…

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