Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La ... · Casanova, incuriosito, li giudica...

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22/08/2016 Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La storia della mia vita | https://aispes.net/biblioteca/ilgiardinodeimagi/giacomocasanovaelamagiaoccultistieoccultismonelastoriadellamiavita/ 1/18 Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La storia della mia vita di Walter Catalano (hps://aispes.wordpress.com/chi‑siamo/gli‑autori/walter‑catalano/) Sono una particella dell’universo e come tale parlo all’aria, e immagino di rendere conto della mia aività come un maggiordomo rende conto al suo padrone prima di andarsene (Giacomo Casanova) Giacomo Casanova, nato a Venezia nel 1725 e morto a Dux in Boemia nel 1798, è uno fra i più famosi avventurieri di quell’avventuroso secolo XVIII° che produsse, nel bene e nel male, tui i frui della modernità. In sintonia con l’aeggiamento illuministico del suo tempo, questo ecleico personaggio – i cui principali meriti, secondo la sua stessa ammissione, furono di esser riuscito a fuggire dal carcere veneziano dei Piombi e di aver ferito in duello il conte Branicki, generalissimo del re di Polonia – passa più che altro per un libertino ed un epicureo, ultima incarnazione dell’archetipo di Don Giovanni (non è dunque casuale la sua ormai quasi accertata collaborazione con Lorenzo Da ponte per la stesura, nel 1787, del libreo dell’omonima opera di Mozart). In realtà questa categorizzazione, seppure non certo fuori luogo, manca di rendere pienamente conto della complessità e della ricchezza di sfacceature, spesso contraddiorie, proprie alla multiforme personalità casanoviana: fra l’altro egli fu fine leerato (anticipatore anche della moderna fantascienza con il suo romanzo Icosameron del 1788), arguto polemista, ecclesiastico e violinista mancato, matematico, giocatore d’azzardo disinvolto, agente segreto e bibliotecario, inquisito e inquisitore.

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Giacomo Casanova e la magia: occultisti e occultismo ne La storia dellamia vita

di Walter Catalano (h轏ps://aispes.wordpress.com/chi‑siamo/gli‑autori/walter‑catalano/)

Sono una particella dell’universo e come tale parlo all’aria, e immagino di rendere conto della mia a轏ività come un maggiordomo rende conto alsuo padrone prima di andarsene(Giacomo Casanova)

Giacomo Casanova, nato a Venezia nel 1725 e morto a Dux in Boemia nel 1798, è uno fra i più famosi avventurieri di quell’avventuroso secolo XVIII°che  produsse,  nel  bene  e  nel  male,  tu轏i  i  fru轏i  della  modernità.  In  sintonia  con  l’a轏eggiamento  illuministico  del  suo  tempo,  questo  ecle轏icopersonaggio – i cui principali meriti, secondo la sua stessa ammissione, furono di esser riuscito a fuggire dal carcere veneziano dei Piombi e di averferito  in  duello  il  conte  Branicki,  generalissimo  del  re  di  Polonia  –  passa  più  che  altro  per  un  libertino  ed  un  epicureo,  ultima  incarnazionedell’archetipo di Don Giovanni (non è dunque casuale la sua ormai quasi accertata collaborazione con Lorenzo Da ponte per la stesura, nel 1787, dellibre轏o dell’omonima opera di Mozart).

In  realtà  questa  categorizzazione,  seppure  non  certo  fuori  luogo,  manca  di  rendere  pienamente  conto  della  complessità  e  della  ricchezza  disfacce轏ature,  spesso  contraddi轏orie,  proprie  alla  multiforme  personalità  casanoviana:  fra  l’altro  egli  fu  fine  le轏erato  (anticipatore  anche  dellamoderna  fantascienza  con  il  suo  romanzo  Icosameron  del  1788),  arguto  polemista,  ecclesiastico  e  violinista  mancato,  matematico,  giocatored’azzardo disinvolto, agente segreto e bibliotecario, inquisito e inquisitore.

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Del resto lo stesso Cavaliere di Seingalt – secondo il fantasioso titolo che si era a轏ribuito – così si confessava:

Coltivare i piaceri dei sensi è stata per tu轏a la mia vita la mia principale occupazione, e non ne ho mai avuta altra più importante. Sentendomi natoper l’altro sesso, l’ho sempre amato e mi sono fa轏o amare per quanto possibile. Ho molto amato anche la buona tavola e insieme tu轏e le cose cheeccitano la curiosità[1].

Insieme all’eccitazione dei sensi è quindi la curiosità intelle轏uale la molla che spinse questo inquieto “sangue patrizio dei Grimani inseminato inuna povera fanciulla di Burano e legi轏imato da un gui轏o senza fortuna”[2] a darsi così tanto da fare in giro per l’Europa. E nel novero delle “coseche eccitano la curiosità” – secondo un cliché che fa del ‘700 non solo il secolo di Voltaire e di Diderot ma anche quello di Martinez de Pasqually, deSaint‑Martin,  Cagliostro,  Mesmer,  ecc.  –  non  poteva  mancare  nemmeno  la  pratica  delle  scienze  occulte  e  l’interesse  per  le  massonerie  e  leconfraternite esoteriche: sebbene preferisse non so轏olineare troppo la questione infa轏i, ed avesse anzi duramente a轏accato nel suo libello Soliloqued’un penseur,  del  1786, Cagliostro  e  Saint‑Germain  considerati  dei  volgari  ciarlatani, Casanova  praticò  abbondantemente  varie  forme di magia“teurgica” e mantica “cabalistica”. Ce ne dà testimonianza egli stesso nella sua opera maggiore, quella Histoire de ma vie che iniziò a scrivere nel1789 al castello di Dux in Boemia, dove sarebbe morto, e che narra e “mitologizza” le numerose avventure della sua vita dalla nascita fino al 1774,

anno dopo il quale “non aveva … più nulla di piacevole da raccontare, perché la fortuna lo aveva abbandonato…”[3]. In questo monumentale e

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anno dopo il quale “non aveva … più nulla di piacevole da raccontare, perché la fortuna lo aveva abbandonato…”[3]. In questo monumentale edivertentissimo florilegio di fughe e viaggi, amori e duelli, truffe ed evasioni; specchio di un’epoca e di un’anima, assolutamente veritiero nella suadeformazione prospe轏ica tesa ad esaltare e giustificare – ma senza vanagloria né ipocrisia – il protagonista, trovano spazio le descrizioni delle suenumerose  pratiche magiche  e  occultistiche[4]  –  spesso  apertamente  sminuite  e  deprezzate  dall’autore  come  un  semplice  gioco  o  un  espedientefraudolento per gabbare gli stolti – e, fra i tanti  incontri, si descrivono anche quelli da lui avuti con i due maggiori protagonisti del  ‘700 magico:Saint‑Germain e Cagliostro, futuri ogge轏i dei suoi strali polemici tardivamente volterriani.

Il primo dei due – il presunto Conte Tzarogy di Saint‑Germain, principe Racoczy, generale del Monferrato (1696‑1784), che Casanova chiamerà nelsuo  tardo  Soliloquio  di  un  pensatore  “il  nero  Saint‑Germain”  e  che  per  lui  non  era  “altri  che  il  violinista  italiano  Catalani”  –  sarà  uno  deicommensali di un pranzo presso la marchesa d’Urfé, appassionata di occultismo e prote轏rice di Casanova, a Parigi nel 1759.

Costui  anziché mangiare parlò dal principio  alla fine del pranzo –  commenta Casanova –  e  io  lo  ascoltai  con  estrema a轏enzione perché  era unparlatore straordinario. Si spacciava per fantastico in tu轏o, voleva stupire e ci riusciva. Aveva un tono autoritario, che però non riusciva sgradevole,perché era colto, parlava correntemente tu轏e le lingue ed era un valente musicista e un grande alchimista. Piacevole d’aspe轏o, sapeva conquistare ledonne,  dando  loro  cosmetici  per  abbellire  la  carnagione  e  lusingandole  con  la  promessa  non  di  farle  ringiovanire,  cosa  impossibile,  ma  diconservarle com’erano mediante un’acqua di cui faceva loro dono nonostante gli costasse molto. Quest’uomo bizzarro, che sembrava nato per essereil più sfrontato dei bugiardi, sosteneva con una grande faccia di bronzo di avere  trecento anni, di possedere  la medicina universale, di essere  ingrado di fare tu轏o quel che voleva con la natura, di essere capace di fondere i diamanti e di poterne ricavare uno enorme e di acqua purissima dauna dozzina di normali senza alcuna diminuzione di peso … Nonostante  le sue fanfaronate,  le sue sparate e  le sue evidenti bugie, non riuscii atrovarlo sfacciato, ma nemmeno rispe轏abile. Lo trovai sbalorditivo, mio malgrado, perché a sbalordirmi riuscì.

Casanova  si  riferisce  qui  ad  un  secondo  incontro  avvenuto  qualche  anno  più  tardi,  intorno  al  1765  a  Tournai,  al  di  qua  della  Manica,  dovel’avventuriero italiano era riparato in fuga da Londra per oscure vicende pecuniarie. Scorti alcuni palafrenieri intenti a curare dei cavalli, Casanovadomanda notizie del padrone: “Il conte di Saint‑Germain, l’adepto – gli viene risposto – È qui da un mese ma non esce mai. Tu轏i vorrebbero farglivisita ma non riceve nessuno”.  Il veneziano  incuriosito gli  chiede subito udienza con un biglie轏o.  Il  conte  risponde dicendo che pur essendo  inisolamento completo è disposto a fare un’eccezione per la sua vecchia conoscenza: “Venga all’ora che preferisce … Non le offro di dividere il miopranzo perché quello che mangio non può andar bene a nessuno e a  lei meno che a ogni altro, se conserva  il  suo vecchio appetito” – aggiunge.Casanova va all’appuntamento e  il conte  lo riceve “con la barba lunga un pollice”, circondato da ampolle piene di  liquidi, alcune delle quali “indecantazione nella sabbia a calore naturale”.

Saint‑Germain dice di stare lavorando intorno ai colori e di voler aprire una fabbrica di cappelli nella provincia. Prescrive a Casanova una cura abase di pillole per “purgare le ghiandole” e guarire dalla sua mala轏ia (numerose sono le patologie di origine venerea che affliggono il Cavaliere diSeingalt nel corso delle avventure rievocate nelle sue memorie) ma questi preferisce prudenzialmente non acce轏are. Poi gli mostra il “suo archeo,che lui chiamava Atoétér” – l’agente universale degli alchimisti, il principio universale della vita secondo Paracelso – “un liquido bianco, contenutoin una piccola fiala simile a parecchie altre che si trovavano lì vicino, tu轏e turate con la cera”. Era lo spirito universale della natura: “lo provava ilfa轏o che, se si faceva un forellino con uno spillo nella cera, lo spirito sarebbe uscito subito dalla fiala”.

Casanova  prega  il  conte  di  dargli  una  dimostrazione  e  Saint‑Germain  lo  invita  a  provare  lui

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Casanova  prega  il  conte  di  dargli  una  dimostrazione  e  Saint‑Germain  lo  invita  a  provare  luistesso.  Il  veneziano prende una fiala  e  buca  la  cera  con uno  spillo:  il  recipiente  si  vuota  in  una轏imo.  “Eccezionale!  Ma  a  che  cosa  serve?”  –  domanda.  “Questo,  purtroppo,  non  possodirglielo”. Prima di salutare  l’ospite,  il conte – “da quell’esibizionista che era”, commenta acidoCasanova – gli chiede una moneta, vi pone sopra un granello nero, la me轏e su un carbone ardentesoffiandovi con una cannuccia. In meno di dieci minuti la moneta diventa incandescente e il contela  lascia  raffreddare  e  invita  Casanova  a  riprendersela:  è  diventata  d’oro.  L’italiano  dubita  –“sicuro che avesse fa轏o sparire la mia per sostituirla con quella d’oro” – e nota che, non sapendoprima  quale  sarebbe  stato  lo  scopo  finale  dell’esperimento  un  osservatore  non  avrebbe  potutoguardare abbastanza a轏entamente da accertarsi se la moneta d’argento non fosse stata sostituitaprima  di  finire  sul  carbone  ardente.  Il  conte  “con  una  risposta  che  gli  era  tipica”,  riba轏e  che“coloro  che  potevano dubitare  della  sua  scienza  non  erano degni  di  rivolgergli  la  parola”  e  locongeda. “Quella  fu  l’ultima volta che vidi quel celebre e abile  impostore … La sua moneta dadodici soldi, per altro, – amme轏e lo sce轏ico – era d’oro puro”[5].

Per  quanto  riguarda  il  conte  Alessandro  Cagliostro,  o  meglio  Giuseppe  Balsamo  (1743‑1795),Casanova lo ricorda – oltre che per essere “un bell’uomo ma … con una faccia patibolare” e peravergli raccomandato a Venezia nel 1778, dove “si faceva chiamare Pellegrini”, di “stare a轏ento anon me轏ere piede a Roma, e se mi avesse dato re轏a, non sarebbe morto nella fortezza di San Leo”–  rievocando  il  suo  primo  incontro  con  lui,  ancora  all’inizio  della  sua  carriera  con  la  moglieSerafina, in realtà Lorenza Feliciani, che lo avrebbe poi denunciato al Santo Uffizio nel 1789.

La vicenda si svolge in una locanda di Aix‑en‑Provence nel 1769, dove Casanova, ormai quarantaqua轏renne, si sta riprendendo dai postumi di unagrave pleurite contra轏a per aver preso freddo durante un incontro galante particolarmente faticoso – “purtroppo non avevo più l’età per prodezzedi quel genere”, amme轏e il vecchio sedu轏ore – durante il pranzo i convitati parlano di due misteriosi pellegrini italiani, un uomo ed un’incantevolegiovine轏a, appena giunti in albergo di ritorno a piedi da Santiago di Compostela. Casanova, incuriosito, li giudica a priori “devoti fanatici o grandiimbroglioni” e decide di far visita ai due compatrioti. La pellegrina “a轏irava l’a轏enzione per la sua giovanissima età, per  la sua bellezza che eraaccentuata da un velo di mestizia e anche per il crocefisso di metallo giallo, lungo sei pollici, che reggeva in mano”; il pellegrino invece “piccolo distatura e ben fa轏o…dimostrava cinque o sei anni più della moglie e…appariva un tipo piu轏osto baldanzoso, sfrontato e impertinente: insomma unvero e proprio delinquente, tu轏o il contrario della moglie che ostentava nobiltà, modestia, ingenuità e pudore”. I due parlano a stento francese eCasanova si rivolge loro in italiano: la donna dice di essere romana – “in verità non c’era bisogno che lo precisasse, giacchè il suo accento grazioso lodimostrava chiaramente” – mentre l’uomo, che dice di essere napoletano, parla invece con accento siciliano: “il suo passaporto, rilasciato a Roma,dichiarava che il suo nome era Balsamo, mentre la ragazza si chiamava Serafina Feliciani”. La coppia sostiene di essere sulla via di ritorno a Romadopo un pellegrinaggio, interamente a piedi e vivendo di elemosine dopo aver distribuito ai poveri tu轏o il loro denaro, fino a Santiago e a NostraSignora del Pilar: dovrebbero poi fare sosta a Torino per visitare la Sindone.

Casanova prende congedo dai due contento di aver visto “una così graziosa pellegrina”

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Il Conte di Saint Germain.

Casanova prende congedo dai due contento di aver visto “una così graziosa pellegrina”– “aveva un unico dife轏o:  le palpebre un po’ cispose che nuocevano alla dolcezza deisuoi begli occhi azzurri” – ma piu轏osto perplesso “circa la sua devozione”. L’indomaniperò  viene  invitato  a  pranzo  da  Balsamo  che  gli  confida  di  essere  un  disegnatore  apenna,  specializzato  in  chiaroscuro,  e  gli  mostra  alcuni  suoi  lavori  –  dei  ventagli“davvero belli” e la copia di un Rembrandt – lamentandosi però di fare la fame col suolavoro  non  ostante  la  sua  bravura.  “Mi  parve  uno  di  quei  geni  fannulloni  chepreferiscono la vita vagabonda alla vita laboriosa” – commenta.

Casanova che si è offerto di comprargli un ventaglio. Balsamo lo prega di acce轏arlo inregalo  ma  di  fare  in  cambio  una  questua  a  tavola  a  favore  suo  e  della  moglie.  Ilveneziano  raccoglie  cinquanta  scudi  che  consegna  alla  giovane  donna:  osservandolaaggiunge  che  “non  aveva  assolutamente un  aspe轏o  libertino  e  anzi  si  comportava dapersona  riservata  e  per  bene”  e  nota  che  non  sa  scrivere:  “ne  dedussi…che  dovevaessere  di  origine  contadina”.  Il  giorno  seguente  la  ragazza  torna  nella  camera  delsedu轏ore  chiedendogli  delle  le轏ere  di  presentazione  per  Avignone:  Casanova  glieneconsegna due e a sera la fanciulla e Balsamo tornano nella sua camera mostrandogli lacopia  identica  e  indistinguibile  dall’originale  di  una  delle  le轏ere  da  lui  poco  primavergate, eseguita dal marito.

Non nascosi  all’uomo  tu轏a  la mia  ammirazione  e  gli  dissi  che poteva  indubbiamentetrarre  grandi  vantaggi  dalla  sua  abilità,  ma  che,  se  non  fosse  stato  ben  a轏ento,  essaavrebbe anche potuto costargli la vita.

Il giorno successivo la coppia parte. Casanova dice di averla incontrata di nuovo diecianni dopo a Venezia dove Balsamo si faceva chiamare “conte Pellegrini”: purtroppo il memorialista non giunse mai a scrivere quella parte dei suoiricordi e questo fa轏o ci priva di una testimonianza fondamentale e dire轏a della trasformazione cruciale del plebeo e ambiguo Giuseppe Balsamo nelcontroverso e affascinante conte di Cagliostro.

Lasciamo ora gli incontri con occultisti famosi per soffermarci sulle effe轏ive pratiche “magiche” in cui Casanova, spesso ostentando sce轏icismo eforzato disprezzo, nondimeno indulgeva.

Il primo conta轏o con le scienze arcane avviene assai presto, nel 1746; Casanova risiede ancora a Venezia, dopo soggiorni a Napoli e a Corfù, e siguadagna da vivere modestamente suonando  il violino a San Samuele. Ha però  la  fortuna di conoscere  il  senatore Ma轏eo Bragadin,  fratello delProcuratore di San Marco,  che diviene suo  intimo amico e prote轏ore – qualcuno  insinua  in cambio di prestazioni antifisiques. È proprio questopotente personaggio che induce il giovane Casanova ad un primo pericoloso bluff “occultistico”.

Un  giorno  il  signor  Bragadin  …  mi

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 (h轏ps://aispes.files.wordpress.com/2015/09/catalano_casanova_04.jpg)Un ritra轏o di Cagliostro.

Un  giorno  il  signor  Bragadin  …  midisse  che  per  essere  così  giovane  lasapevo  troppo  lunga  e  che  quindidovevo  possedere  qualche  virtùsoprannaturale.

Per non contraddire  il  suo anfitrione  ilragazzo  inventa  “una  cosa  stravagantee falsa”, cioè di possedere

una  formula  grazie  alla  quale  potevosapere  tu轏o  ciò  che  volevo  …  mibastava  trasformare  in  cifre  un  certoquesito  e  ricevevo  una  risposta  purecifrata. Il signor Bragadin spiegò che sitra轏ava  della  clavicola  di  Salomone,volgarmente chiamata cabala…

Quando  Casanova  aggiunge  di  averappreso  la  pratica,  mentre  eraprigioniero  dell’armata  di  Spagna,  daun  eremita  che  abitava  sul  monteCarpegna,  Bragadin  dice  che  nellaformula  deve  essere  stata  immessasicuramente  una  intelligenza  occulta“perché i numeri semplici non avevano

le  facoltà  razionali”. Casanova prosegue  a轏ribuendo  all’oracolo  cabalistico  il  suggerimento  che  lo  aveva  indo轏o  ad uscire  ad una  certa  ora,  trese轏imane prima, in modo da realizzare per la prima volta il fortunato incontro con il suo prote轏ore. Bragadin stupefa轏o vuole sperimentare subito ipoteri della  formula vergando  su un  foglio una domanda misteriosa  che  consegna  al preteso  cabalista.  “Non  ci  capii  nulla, ma non  importava:bisognava rispondere. Se la domanda era oscura al punto che non ci capivo niente, dovevo dare una risposta altre轏anto oscura. Risposi con qua轏roversi in cifre ordinarie che, dissi ostentando una completa indifferenza circa il loro significato, lui solo poteva interpretare”. Bragadin legge e rileggela risposta come fulminato: “I numeri sono soltanto il veicolo – esclama – la risposta non può venire che da un’intelligenza immortale”. Anche gliamici di Bragadin pongono domande e  tu轏i  restano  interde轏i dalle  risposte:  chiedono a Casanova di  insegnare  loro  la meravigliosa  formula.  Ilfurbone si dichiara disposto a  farlo  immediatamente: non crede minimamente all’ammonizione dell’eremita che,  rivelandogliela, aveva aggiuntoche se l’avesse insegnata a qualcuno prima di aver raggiunto cinquant’anni sarebbe morto improvvisamente in tre giorni. Nessuno naturalmente osapiù me轏ere a repentaglio la vita del generoso giovane: la sua preziosa amicizia sarebbe valsa la conoscenza segreta.

Divenni così  il gerofante di queste onestissime e amabilissime persone che però non potrei definire sagge, visto che tu轏e e tre erano infatuate di

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Divenni così  il gerofante di queste onestissime e amabilissime persone che però non potrei definire sagge, visto che tu轏e e tre erano infatuate diquelle che si chiamano scienze chimeriche … avendomi a loro disposizione pensavano di possedere la pietra filosofale e la medicina universale, dipoter parlare con le intelligenze elementari e … celesti … Credevano anche alla magia, cui davano lo specioso nome di fisica occulta.

Casanova confessa di non aver mai avuto difficoltà ad accontentare tu轏e le numerose richieste della combriccola di conoscere i segreti del passato,del presente e dell’avvenire: le risposte erano sempre a doppio senso,

uno dei quali, noto solo a me, non si lasciava interpretare che a fa轏o compiuto. La mia cabala, così, non sbagliava mai e capii quindi come era statofacile agli antichi sacerdoti pagani infinocchiare gli ignoranti e i creduloni.

La spiegazione appare fin troppo semplicistica e Casanova sicuramente non dice tu轏o quel che sa, come non rivela fino in fondo la natura realedelle sue relazioni con Bragadin e soci, a suo dire “scapoli” e

irriducibili  nemici  delle  donne,  cui  avevano  da  tempo  rinunciato.  A  loro  avviso,  questa  inimicizia  per  il  sesso  femminile  era  condizioneindispensabile per dialogare con le intelligenze elementari: una cosa escludeva l’altra.

Casanova non manca di notevole faccia tosta per giustificarsi di fronte ai suoi le轏ori per la sua condo轏a dichiaratamente fraudolenta:

Ero un giovano轏o che aveva bisogno di vivere bene e di godere tu轏i i piaceri che l’età esigeva … avrei forse dovuto … lasciar barbaramente espostiquei tre galantuomini agli inganni di qualche disonesto briccone che avrebbe potuto insinuarsi tra loro e condurli magari alla rovina, inducendoli ame轏ersi alla ricerca della pietra filosofale?

Meglio lui dunque che aveva almeno il senso della misura! Così in breve il giovane e bel violinista non ebbe più bisogno di esercitare la sua miseraprofessione: fu ado轏ato da Bragadin e o轏enne una discreta rendita, una casa, un domestico e una gondola. Dopo questo iniziale e notevole successoCasanova continuerà in varie occasioni e per tu轏a la sua vita a fare uso frequente della sua preziosa cabala – a quanto racconta, sempre in palese mamai riconosciuta fraudolenza: ad esempio a Parigi nel 1752 per la duchessa di Chartres che, con l’aiuto dell’oracolo, libera dai foruncoli divenendol’a轏razione  delle  signore  della  buona  società,  o  ad  Amsterdam  nel  1760,  dove  la  pratica  in  compagnia  di  una  bella  giovane  di  nome  Ester,azzeccando perfino alcune operazioni borsistiche e sventando un affare truffaldino, che avrebbe rovinato il ricco padre della ragazza, da parte diSaint‑Germain, poi denunciato agli Stati Generali dall’ambasciatore della corona di Francia e costre轏o alla fuga; o ancora a Parigi nel 1763, quandorestituisce  la  voce  perduta  a madame  du  Rumain  –  una  cantante  che  aveva  già  inutilmente  “tentato  con  tu轏i  i  rimedi  della  farmacopea”  perrecuperarla – grazie ad “un culto al Sole nascente in una camera che avesse almeno una finestra volta ad oriente” a base di salmi e bagni in onoredella Luna; statisticamente un po’ troppi colpi fortunati per uno che “tirava ad indovinare”.

Nel 1750 a Lione il preteso cabalista era finalmente entrato a far parte di una loggia massonica dove aveva presumibilmente ricevuto insegnamentimeno superficiali in campo esoterico di quelli da lui sempre pubblicamente ammessi; ma, seguendo il flusso delle sue memorie, è il 1748 l’anno chevede  Casanova  più  dire轏amente  calato  nel  ruolo  di  mago.  L’avventuriero  si  trova  a  Mantova  dove  conosce  per  caso  all’Opera  un’eccentricopersonaggio, certo Capitani, che sostiene di possedere  il coltello con cui San Pietro  tagliò  l’orecchio a Malco e grazie ad esso di poter scoprire e

disso轏erare un mitico tesoro nascosto nella cantina di un conoscente di Cesena, nelle terre della Chiesa. Quel che gli manca è solo un mago capace

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disso轏erare un mitico tesoro nascosto nella cantina di un conoscente di Cesena, nelle terre della Chiesa. Quel che gli manca è solo un mago capacedi individuare il punto esa轏o in cui cercare. Casanova, fiutato l’affare, si presenta come mago e come prova dichiara al diffidente personaggio cheuno spirito elementale ai suoi ordini gli svelerà a mezzano轏e le virtù miracolose del coltello e gli rivelerà dov’è nascosto il tesoro: per il giorno dopopotrà dare prova a Capitani della veridicità delle sue affermazioni.

Infa轏i  il  giorno  seguente  è  in  grado  di  riferire  una  fantasiosa  storia  –  in  base  alla  quale  il  tesoro  sarebbe  appartenuto  addiri轏ura  a Matilde  diCanossa e si  troverebbe sepolto da sei secoli a circa trenta metri so轏o terra presidiato da se轏e spiriti guardiani – e di mostrare anche un curiosoreperto –  in realtà da lui fabbricato facendo bollire una suola di stivale sfregata poi con la sabbia – un falso fodero per  il magico coltello,  foderosenza il quale le virtù meravigliose di questo non avrebbero potuto manifestarsi. Convinto e rassicurato, il cercatore di tesori stipula un contra轏ocon  il preteso mago e  invia poi Casanova,  accompagnato dal proprio figlio  con un anticipo di mille  scudi,  sul  luogo delle  ricerche a Casena:  lafa轏oria di un ricco contadino di nome Giorgio Francia. L’avventuriero adocchia subito Genoveffa, la bella contadino轏a figlia maggiore del padronedi casa. I cercatori si accordano di dividere il tesoro in qua轏ro parti: una per il conoscente di Mantova, una per il contadino e due per il mago.

Casanova  chiede  l’assistenza di  una  cucitrice  vergine  tra  i  14  e  i  18  anni,  fidatissima  e  capace  di  serbare  il  segreto  per  evitare  ogni  rischio  conl’Inquisizione: si tra轏erà ovviamente dell’avvenente Genoveffa. Inoltre avverte che prenderà alloggio in casa del contadino, mangerà due volte algiorno, berrà solo sangiovese e cioccolata a colazione e, nel caso non dovesse riuscire nell’operazione, pagherà  tu轏e  le spese. Si  informa poi deimotivi in base ai quali Francia aveva dedo轏o di possedere un tesoro in casa: una tradizione che si tramanda di padre in figlio da o轏o generazioni –gli viene risposto – inoltre si sentono grandi colpi so轏oterra per tu轏a la no轏e e la porta della cantina si apre e si chiude da sola ogni tre o qua轏rominuti “certo ad opera dei demoni che durante la no轏e vediamo aggirarsi per la campagna so轏o forma di fiamme piramidali”. Casanova rassicurail contadino che, dati  i  fenomeni, possono stare sicuri che  il  tesoro c’è davvero e consiglia di non chiudere mai a chiave  la porta che si apre e sichiude: in caso contrario ci sarebbe un terremoto e si formerebbe un cratere “perché gli spiriti vogliono sempre entrare e uscire liberamente per farele loro faccende”.

Il contadino conferma che un do轏o chiamato da suo padre quarant’anni prima aveva de轏o esa轏amente le stesse cose: grazie a quell’uomo già lafamiglia stava per recuperare il tesoro ma l’Inquisizione gli dava la caccia ed il padre dove轏e farlo fuggire prima di aver completato l’operazione.“Mi dica di grazia – chiede Francia – perché la magia non può opporsi all’Inquisizione?” – “Perché i monaci hanno al loro servizio più diavoli dinoi” – risponde Casanova informandosi poi dell’onorario richiesto al padre dal do轏o fuggiasco: circa duemila scudi.

Il  mago  comincia  ad  organizzare  i  preparativi  della  cerimonia  magica:  ciascun  partecipante  avrebbe  cenato  a  turno  con  lui,  in  ordine  di  età;Genoveffa – che dovrà nel  fra轏empo cucire con utensili nuovi comprati  senza  tirare sul prezzo  la veste di  tela bianca per  il grande scongiuro –avrebbe dormito sempre nell’anticamera vicino al le轏o di Casanova dove ci sarebbe stata una vasca da bagno in cui questi avrebbe lavato, mezz’oraprima di me轏ersi a tavola, il convitato di turno, il quale avrebbe dovuto essere a digiuno. È tu轏a una scusa per approfi轏arsi della ragazza quandosarà  arrivato  il  suo  turno di  essere  lavata:  nel  giro di  un paio di  no轏i Genoveffa passerà dire轏amente dall’anticamera  al  le轏o di Casanova,  chetu轏avia, per non tradirsi, la serberà vergine per la no轏e della “grande operazione magica”.

Nel  fra轏empo  il  sedicente mago  indaga sui misteriosi  fenomeni descri轏i dal  contadino: ogni  tre o qua轏ro minuti  sente effe轏ivamente  il  rumore

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Nel  fra轏empo  il  sedicente mago  indaga sui misteriosi  fenomeni descri轏i dal  contadino: ogni  tre o qua轏ro minuti  sente effe轏ivamente  il  rumoredella porta della cantina che si apre e chiude da sola ed i colpi provenienti da so轏oterra a gruppi di tre o qua轏ro al minuto ad intervalli regolari, “intu轏o simili al rumore di un grosso pestello ba轏uto con forza in un mortaio di bronzo”. Con le pistole pronte ed una lanterna in mano prova la porta:non  c’è  causa  fisica  apparente  del  fenomeno,  eppure  la  vede  coi  suoi  stessi  occhi  aprirsi  lentamente  e  dopo  qualche  secondo  richiudersi  conviolenza;  “pensai  tra me  e me  che  dovesse  esserci  so轏o  qualche  imbroglio”.  Dal  balcone  vede  poi  in  cortile  “un  andirivieni  di  ombre.  Potevabenissimo tra轏arsi di masse d’aria umide e dense”. Quanto alle fiamme piramidali volteggianti per la campagna, non si tra轏ava che di fuochi fatui,fenomeno ben noto allo scaltro avventuriero che però preferisce lasciar “credere ai … compagni che fossero gli spiriti di guardia al tesoro”.

(h轏ps://aispes.files.wordpress.com/2015/09/catalano_casanova_05.jpg)

Giunge finalmente la luna piena e la no轏e del rituale, ma lasciamo la parola a Casanova stesso:

Dovevo  indurre gli gnomi a portare  il  tesoro alla superfice della  terra, nel punto  in cui  li avrei a轏ra轏i con  i miei scongiuri. Sapevo bene che

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Dovevo  indurre gli gnomi a portare  il  tesoro alla superfice della  terra, nel punto  in cui  li avrei a轏ra轏i con  i miei scongiuri. Sapevo bene chel’operazione non sarebbe riuscita, ma sapevo anche che sarei stato capace di spiegare per bene i motivi del mancato successo … Feci lavorareGenoveffa  tu轏o  il giorno per cucire  in cerchio  trenta  fogli di carta su cui dipinsi  in nero  le轏ere e figure spaventose.  Il  cerchio, che chiamavocerchio massimo, misurava tre passi di diametro. Mi ero poi fabbricato una sorta di sce轏ro con il legno d’ulivo … Tolsi gli abiti di tu轏i i giorni eindossai la grande co轏a che era stata toccata solo dalle mani pure dell’innocente Genoveffa. Mi sciolsi i capelli, che caddero fin sulle spalle, mimisi in capo la corona a se轏e punte; mi caricai sulle spalle il cerchio massimo; presi in mano lo sce轏ro e con l’altra impugnai il coltello con cuiSan Pietro aveva tagliato un orecchio a Malco. Scesi quindi in cortile, stesi per terra il cerchio, gli girai intorno tre volte e vi saltai dentro.

Ecco però che, inaspe轏atamente, poco dopo l’inizio del rituale, si scatena una forte tempesta.

Sapevo che si tra轏ava di un fenomeno naturale e non avevo la minima ragione di meravigliarmene. Ciononostante, avvertivo un principio dipaura che mi faceva rimpiangere di non trovarmi in camera mia … Le sae轏e che mi scoppiavano tu轏o intorno mi gelavano il sangue. In preda alterrore come ero, mi convinsi che se i fulmini non mi colpivano era perché non potevano entrare nel cerchio e così non osavo uscirne per correreal sicuro … Il mio sistema nervoso, che credevo a prova di bomba, era a pezzi. Dove轏i riconoscere che esisteva un Dio vendicatore che mi avevaa轏eso al varco per punirmi di tu轏e le mie scellerataggini e per me轏er fine alla mia incredulità annientandomi.

Un solenne acquazzone pone fine ai terrori del sedicente mago: nel giro di un quarto d’ora di nuovo la luna piena brilla in un cielo terso. Casanovatorna in camera e, rifiutando le a轏enzioni di Genoveffa, crolla in un sonno profondo. Al risveglio, il giorno dopo, prova un senso di disgusto per lesue macchinazioni e non sente più la minima a轏razione per la bella contadina:

Per una sorta di superstizione conclusi che lo stato di innocenza di quella ragazza era prote轏o dal cielo e che sarei morto se avessi osato a轏entarvi.

Decide di partire precipitosamente, trovando ancora giustificazioni razionali al suo agire: qualche contadino potrebbe averlo visto nel cerchio e averpensato  che  l’uragano  fosse  stato  provocato  dalle  sue  magie  denunciandolo  poi  all’Inquisizione.  Si  congeda  dunque  dai  suoi  compagnigiustificando il suo ritiro dall’operazione con la scusa di un pa轏o concluso coi se轏e spiriti guardiani del tesoro; lascia a Francia e a Capitani unapergamena con tu轏e le informazioni avute dagli stessi spiriti sul tesoro – “sepolto alla profondità di diciasse轏e tese e mezzo … Consta di diamanti,rubini, smeraldi e centomila  libbre di polvere d’oro…” – si  fa prome轏ere che  lo avrebbero aspe轏ato per  il  recupero finale e  fa bruciare corona ecerchio ma conservare gli altri ogge轏i in a轏esa del suo ritorno.

Genoveffa è inconsolabile e Casanova le prome轏e che si rifarà vivo presto e “per scrupolo di coscienza, ritenni doveroso dirle che non essendo lasua verginità più necessaria per l’estrazione del tesoro, era libera di sposarsi se le si fosse presentata l’occasione”. Prima di andarsene l’avventurieroriesce comunque a vendere al figlio di Capitani il falso fodero del magico coltello per cinquecento scudi romani.

Come  si  evince  da  questa  pi轏oresca  vicenda,  la  conclamata  incredulità  truffaldina  di  Casanova  resta  sempre  profondamente  ambigua  econtraddi轏oria: un fondo di non de轏o emerge evidente nei suoi racconti e  l’a轏enzione rivolta alle coincidenze  improbabili e certi particolari chedenotano una le轏ura ed una conoscenza tu轏’altro che superficiale almeno del De Occulta Philosophia di Agrippa, oltre che dei grimoire dozzinali,

convergono  a  smentire  molte  smargiassate  volterriane  e  a  sbugiardare  l’ostentazione  sprezzante  di  sicurezza  e  controllo  del  libertino,

 

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convergono  a  smentire  molte  smargiassate  volterriane  e  a  sbugiardare  l’ostentazione  sprezzante  di  sicurezza  e  controllo  del  libertino,confermandolo assai più incline alla “superstizione” di quanto egli tenesse ad apparire.

Non sarà un caso che, quando sarà rinchiuso nel carcere dei Piombi – dal quale riuscirà ad evadere nel modo audace e mirabolante da lui più voltedescri轏o – le accuse, reali o pretestuose che fossero, da parte degli inquisitori di stato furono proprio quelle di eresia e stregoneria.

Nel  1755  Casanova  è  tornato  a  Venezia  da  due  anni  e  si  dile轏a  tra  complicati  maneggi  amatori  e  polemiche  le轏erarie  negli  ambienti  teatraliveneziani. Riceve  la visita di un conoscente, un certo Manuzzi,  in realtà spia degli  inquisitori di stato (lavoro, sia de轏o per  inciso, che Casanovastesso svolgerà, senza ufficiale contra轏o, nel 1776 per poter sopravvivere nella ci轏à natale dopo 18 anni di esilio), che notando “diversi libri sparsiqua e là” si sofferma su

alcuni manoscri轏i di magia. Divertito dal suo stupore, gli mostrai quelli che insegnavano a conoscere gli spiriti elementari. Come il le轏ore può benimmaginare, disprezzavo quei libri, però li avevo.

Il  le轏ore  immagina  anche  ben  altro.  Con  la  scusa  di  aver  trovato  un  acquirente  che  offriva  mille  zecchini  per  i  libri,  ma  che  voleva  primacontrollarne l’autenticità, Manuzzi si appropria per qualche giorno dei volumi: si tra轏ava de “La clavicola di Salomone, il Zecor ben[6], un Picatrix eun Libro planetario contenente ampie istruzioni sulle ore propizie per fare i profumi e gli scongiuri per evocare demoni d’ogni grado”. In realtà ildelatore “li aveva portati al segretario degli inquisitori … costoro erano venuti a sapere che ero un insigne stregone”, contemporaneamente anche laSignora Memmo, madre di alcuni conoscenti di Casanova – tu轏i massoni e progressisti –

essendosi messa in testa che incitavo i suoi figli all’ateismo, si raccomandò al vecchio cavaliere Antonio Mocenigo, zio di Bragadin, che ce l’avevacon me perché diceva che con la mia cabala gli avevo sedo轏o il nipote. La cosa era di competenza del Sant’Uffizio, ma siccome era difficile farmirinchiudere nelle carceri dell’Inquisizione ecclesiastica, la signora Memmo e il cavaliere decisero di so轏oporre la faccenda agli inquisitori di stato.

Le testimonianze contro Casanova si accumulano presso gli investigatori: fra le altre accuse c’è quella

di credere solo nel demonio. Gli accusatori sostenevano che quando perdevo al gioco,  invece di bestemmiare Dio come facevano tu轏i  i credenti,scagliavo le mie maledizioni al diavolo. Ero anche accusato di mangiare di grasso tu轏i i giorni e si diceva che c’erano buoni motivi per ritenermimassone.

Secondo  il  tribunale  “la  giovane  contessa  Bonafede  era  impazzita  a  causa  dei  filtri  amorosi  che  le  avevo  somministrato:  era  ancora  ricoverataall’ospedale e nel delirio non mancava mai di fare il mio nome coprendomi di maledizioni” (in realtà, secondo il sedu轏ore, era impazzita perchéegli non aveva più accondisceso alle sue brame amorose).

Il 25 luglio del 1755 Casanova viene arrestato. Resta però rinchiuso ai Piombi per meno di un anno: dopo la sua rocambolesca fuga ripara a Parigi,qui, nel 1757, conosce  la sua  futura prote轏rice e sovvenzionatrice,  la marchesa Adelaide Marie‑Thérèse d’Urfé, altro personaggio affascinato dalmondo della magia e dell’occulto.

Il  nipote  della  marchesa,  il  conte  La  Tour  d’Auvergne,  era  guarito  da  una  sciatica  alla  coscia  grazie  all’applicazione,  fa轏a  quasi  per  gioco  da

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Il  nipote  della  marchesa,  il  conte  La  Tour  d’Auvergne,  era  guarito  da  una  sciatica  alla  coscia  grazie  all’applicazione,  fa轏a  quasi  per  gioco  daCasanova, di una mistura a base di nitro, fiore di zolfo, mercurio e urina fresca del paziente, con la quale l’improvvisato taumaturgo aveva tracciatosulla parte malata una stella di Salomone pronunciando una formula di cinque parole – secondo Casanova del tu轏o inventate. La voce del miracolosi era sparsa per Parigi e  la vecchia zia del conte “famosa per  la sua competenza nelle scienze magiche e nota anche come grande alchimista …donna  intelligente,  ricchissima  e  unica  padrona  delle  sue  ricchezze”,  aveva  subito  voluto  incontrare  l’apparentemente  rilu轏ante  Casanova  cheribadisce anche in questa occasione di aborrire “la reputazione di mago”.

La marchesa, “una bella donna, benchè avanti con gli anni”, mostra all’avventuriero la sua biblioteca e si vanta di possedere già la pietra filosofale edi essere molto esperta in tu轏e le grandi operazioni. “Il suo autore preferito era Paracelso, che secondo lei, non era stato né uomo né donna e si eradisgraziatamente avvelenato ingerendo una dose eccessiva di panacea”. La padrona di casa lascia consultare al suo ospite un piccolo manoscri轏o“che conteneva la spiegazione chiarissima, in francese, della grande opera”, puntualizzando che il testo era invece cifrato e “solo lei possedeva lachiave del cifrario”, e gli regala una copia della Steganografia dell’abate Tritemio.

Dopo la biblioteca il visitatore viene introdo轏o nel laboratorio: gli viene mostrata una sostanza che si trova sul fuoco da quindici anni – grazie ad unmarchingegno che rifornisce automaticamente di carbone il fuoco, eliminando le ceneri di scarto – e che dovrà restarci per altri cinque: una polveredi proiezione “a轏a a trasformare in un minuto qualsiasi metallo in oro”. Altre meraviglie presenti sono il mercurio calcinato; l’albero di Diana diTaliamed – un “vegetale metallico” composto “facendo cristallizzare insieme argento, mercurio e spirito di nitro” ‑; un barile di “platino del Pinto”(il platino,  scoperto nel Rio Pinto  in Giamaica  era  stato  introdo轏o  in Europa  solo nei primi  anni  ’40 del  ‘700)  che  fondeva  solo  con  lo  specchioustorio; un athanor in funzione da quindici anni; e un “commento di Raimondo Lullo che spiegava ciò che aveva scri轏o Arnaldo di Villanova dopoRuggero Bacone e Geber, i quali, sempre secondo lei, non erano morti”.

I due disce轏ano a  lungo di Agrippa  e di Polifilo, di  tartaro  e di polvere di proiezione, di pentacoli  e di Geni planetari. Casanova mostra  comesempre una competenza eccessiva in materia per rendersi credibile al le轏ore come furbesco improvvisatore e casuale orecchiante:

Ho  disegnato  sulla  coscia  del  signor  di  La  Tour  d’Auvergne  il  pentacolo  di  Salomone  nell’ora  di  Venere  –  spiega  ad  esempio  alla  sua  versatainterlocutrice – e l’operazione non sarebbe riuscita se non avessi cominciato con Anael, che è il Genio di quel pianeta … Si deve passare a Mercurio,da Mercurio alla Luna, dalla Luna a Giove e da Giove al Sole. Come vede è  il ciclo magico secondo il sistema di Zoroastro. Salto solo Saturno eMarte che la scienza esclude da questa operazione

Vedo che lei ha molta familiarità con le ore – commenta la marchesa – Altrimenti non si potrebbe far nulla in magia, perché non si ha il tempo di farcalcoli. Ma non è difficile. Basta un mese per impratichirsi. Più difficile è il culto, perché è complicato. Ma ci si arriva…

Si scambiano poi il giuramento segreto dei Rosacroce.

Da quel momento in poi la marchesa d’Urfé riterrà Casanova “un vero iniziato so轏o le sembianze di un uomo qualunque”; l’avventuriero le rivela ilnome del suo Genio, Paralis, e la raggira con la solita cabala – che però gli perme轏e di decifrare davvero, grazie a non meglio precisati calcoli, lachiave segreta del manoscri轏o sulla Grande Opera in possesso della marchesa e noto solo a lei.

Andandomene quel giorno – confessa Casanova – portai via con me il suo animo, il suo cuore, la sua intelligenza e quel poco di buon senso che le

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Andandomene quel giorno – confessa Casanova – portai via con me il suo animo, il suo cuore, la sua intelligenza e quel poco di buon senso che lerimaneva … ne abusai tu轏e le volte che potei.

L’anziana nobildonna a轏ribuisce al suo prote轏o poteri sovrumani e si convince con il passare del tempo che

mediante  una  operazione  che  doveva  essermi  nota  avrei  potuto  farla  entrare  so轏o  forma  di  spirito  nel  corpo  di  un  bimbo  maschio  natodall’accoppiamento filosofico tra un immortale e una mortale o di un mortale con un essere femminile di natura divina. Secondando le folli  ideedella signora non ritenevo di ingannarla, perché ormai lei era fa轏a così e non sarei mai riuscito a farle cambiare parere. Se, da uomo onesto, le avesside轏o che le sue idee erano assurde, non mi avrebbe creduto … non potevo che divertirmi continuando a farmi giudicare il più gran Rosacroce el’uomo più potente del mondo da una signora legata alle maggiori case di Francia e ricchissima per il suo patrimonio liquido più ancora che per leo轏antamila lire di rendita provenienti da varie terre e da palazzi che possedeva a Parigi. Sapevo, senz’ombra di dubbio che in caso di bisogno nonmi avrebbe potuto rifiutare nulla…

La d’Urfé si è messa in testa di voler diventare un uomo e a轏ribuisce a Casanova il potere di operare quella trasformazione: insiste ripetutamente edalla fine, durante un ennesimo incontro, il veneziano è “costre轏o” ad amme轏ere di poter compiere il miracolo, ma, per schermirsi, precisa di nonvoler procedere all’operazione perché questa provocherebbe la morte di lei. Questo avvertimento non scompone la marchesa che afferma di esserepronta e di sapere già anche che dovrà morire dello stesso veleno che uccise Paracelso – il quale però non o轏enne l’ipostasi non essendo “né uomoné donna, mentre bisogna essere perfe轏amente l’uno o l’altra”. Casanova allora aggiunge che non si può preparare quel veleno se non si dispone diuna salamandra, ma la marchesa imperterrita è convinta di possederlo già nel suo laboratorio: “mi manca solo il bimbo dotato del verbo maschilericevuto da una creatura  immortale. So che  tu轏o dipende da  lei e non credo che una malintesa pietà per questa mia vecchia carcassa  le  tolga  ilcoraggio necessario”. L’avventuriero, non a caso figlio di a轏ori, finge di piangere guardando malinconicamente fuori della finestra, poi con un coupde théatre da professionista, prende la spada ed abbandona precipitosamente la camera sospirando.

Per sua fortuna importanti affari “finanziari e diplomatici” allontanano per qualche tempo Casanova da Parigi:  la minacciata operazione magicaviene per il momento accantonata. Nel 1759 è di nuovo di ritorno nella capitale francese e, arrestato per una le轏era di cambio non pagata, vieneliberato per  intervento della marchesa  che  lo  rifornisce  come  sempre di  denaro. Viene poi  invitato da  lei  ad un pranzo  in  compagnia di  Saint‑Germain: la marchesa porta al collo una grossa calamita perché spera che un giorno o l’altro questa possa a轏irare un fulmine “e con quel sistema leisarebbe ascesa al cielo”. Poiché Saint‑Germain si vanta di poter conferire ad una calamita una forza mille volte maggiore di quella che le danno ifisici, Casanova, con fare gelido, scomme轏e ventimila scudi che il conte non sarebbe riuscito nemmeno a raddoppiare la forza della calamita che lasignora portava al collo. La marchesa però interviene per impedire la scommessa convinta che il mago Saint‑Germain avrebbe sicuramente sconfi轏oil mago Casanova. Anche quest’ultimo, seppur a malincuore, rinnova le sue manifestazioni di invidia e ammirazione per il rivale: “In vita mia nonho mai conosciuto un impostore più abile e più seducente”.

Fra i molti aneddoti cara轏eristici della singolare relazione fra Casanova e la d’Urfé ce n’è un altro particolarmente divertente in cui la taumaturgiaparacelsiana ha un ruolo del  tu轏o secondario rispe轏o all’astuzia e alla  lascivia dell’avventuriero  italiano. Questi ha preso a cuore  la sorte di unafanciulla che minaccia il suicidio se non riuscirà ad abortire, chiede pertanto consiglio alla marchesa su un metodo abortivo assolutamente sicuro.

Questa risponde senza esitazioni che  l’Aroph di Paracelso è un rimedio  infallibile:  si  tra轏a di un unguento di zafferano  in polvere, mirra e altri

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Questa risponde senza esitazioni che  l’Aroph di Paracelso è un rimedio  infallibile:  si  tra轏a di un unguento di zafferano  in polvere, mirra e altriingredienti e miele come veicolo. Casanova pur ridendo della rice轏a “assurda a lume di un po’ di buonsenso”, si risolve a consigliare l’intruglio allasua prote轏a aggiungendo però agli  ingredienti una significativa variante: “dello  sperma che non avesse perduto nemmeno per un  istante  il  suocalore naturale”; la convince poi che “in assenza del suo uomo, le ci sarebbe voluto un amico che potesse rimanere con lei senza suscitare sospe轏i,per amministrarglielo tre o qua轏ro volte al giorno”.

Ovviamente si offre volontario e, dopo qualche esitazione, la bella giovane acce轏a le “applicazioni” che ovviamente non sortiranno l’effe轏o volutoanche se alla fine, grazie agli abili maneggi dell’intraprendente prote轏ore, la sfortunata ragazza troverà perfino un marito consenziente salvando siail bambino che l’onore: tu轏o è bene quel che finisce bene.

Più a轏inente al nostro tema è la serie dei numerosi riti celebrati da Casanova per la Marchesa d’Urfé fra i quali in particolare quello riguardante uninsolito scambio di missive, svoltosi ad Aquisgrana, fra la nobildonna e Selenis, uno spirito lunare. Così  l’avventuriero ci descrive il climax dellaparadossale vicenda:

Nel giorno fissato sulla base della luna condussi la marchesa a cena in una villa con giardino fuori ci轏à, dove, in una stanza al pianterreno, avevopreparato tu轏o quello che era necessario alla cerimonia. Avevo in tasca la le轏era che doveva scendere dalla luna in risposta a quella che la marchesaaveva preparato con cura e che dovevamo spedire a destinazione. A qualche passo dalla stanza della cerimonia avevo  fa轏o me轏ere una grandevasca piena d’acqua tiepida mescolata ad essenze che piacciono all’astro delle no轏i e in cui io e la marchesa dovevamo tuffarci insieme … Dopo averbruciato  gli  aromi  e  sparso  le  essenze  tipiche  del  culto  di  Selenis,  recitammo  le  preghiere misteriose  e  ci  spogliammo  completamente.  Quinditenendo la le轏era nascosta nella mano sinistra, con la destra guidai, con estrema gravità, la marchesa presso il bordo della vasca dove si trovava unacoppa  d’alabastro  piena  di  spirito  di  ginepro  cui  diedi  fuoco,  pronunciando  parole  cabalistiche  di  cui  io  stesso  ignoravo  il  significato  e  checomunque lei ripetè consegnandomi la  le轏era indirizzata a Selenis. Bruciai  la  le轏era alla fiamma del ginepro su cui  la  luna splendeva in pieno equella credulona di una d’Urfé mi assicurò che seguendo i raggi dell’astro aveva visto salire in cielo i cara轏eri da lei vergati. Entrammo quindi nellavasca e dieci minuti dopo la  le轏era che tenevo nascosta nella mano e che era scri轏a in cerchio e  in cara轏eri d’argento su una carta verde lucida,apparve sulla superficie dell’acqua.

Nella  le轏era di Selenis  la marchesa apprende che  la  sua “ipostasi” deve essere differita ancora fino all’anno seguente  (in  realtà  il mago cerca diritardare il pericoloso rito trasformativo che potrebbe costargli la fiducia della sua prote轏rice) e impone alla nobildonna di aiutare alcune signore(che Casanova vuole beneficare a spese della “credulona”).

Nel 1763 a Marsiglia, però, Casanova non è più in grado di temporeggiare ed il rito di “rigenerazione” in qualche modo deve compiersi:

I  riti  lunari  ebbero fine  il  sabato,  e  così  feci  in modo  che  l’oracolo fissasse  il  grande momento per  il martedì,  nelle  ore del  Sole,  di Venere  e diMercurio che nel sistema planetario dei maghi si succedono come nell’immaginazione di Tolomeo. Per l’esa轏ezza quelle ore corrispondevano allanona, alla decima e all’undicesima ora di quel giorno, poiché essendo martedì, la prima ora sarebbe stata quella di Marte. E poiché eravamo ai primidi maggio e  le ore perciò erano di  sessantacinque minuti,  il  le轏ore, pur  sapendo poco di magia, può calcolare  facilmente che  l’operazione sullamarchesa d’Urfé doveva svolgersi tra le due e mezza e le sei meno cinque.Casanova  avrebbe,  in  base  all’oracolo,  dovuto  fecondare  Séramis  (nome  RosaCroce  della  marchesa)  due  giorni  dopo  la  fine  dei  riti  e

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Casanova  avrebbe,  in  base  all’oracolo,  dovuto  fecondare  Séramis  (nome  RosaCroce  della  marchesa)  due  giorni  dopo  la  fine  dei  riti  e“un’affascinante Ondina” sarebbe comparsa a purificare i due celebranti (si tra轏ava in realtà di Marcolina, amante di Casanova in quel tempo). Conla solita faccia tosta il mago confessa di aver preso le dovute precauzioni per non fare bru轏a figura:

La marchesa era bella, ma era vecchia: mi sarebbe anche potuto capitare di non farcela, tanto più che ormai trento轏enne, mi accorgevo di esserespesso  sogge轏o a  siffa轏o  inconveniente. Per questo avevo pensato a procurarmi un aiuto  e  la bella Ondina  che dovevo o轏enere dalla Luna eraovviamente Marcolina che, facendomi il bagno, mi avrebbe certo dato la forza rigeneratrice che mi era necessaria.

Un  vero  e  proprio  rito  di  magia  sexualis,  dunque.  All’ora  convenuta  Marcolina,  tenuta  fino  ad  allora  nascosta  nell’armadio  della  camera  diCasanova, fa il suo fantomatico ingresso come Ondina nella sala del rito: consegna un foglio bianco alla marchesa che capisce di dover consultarel’oracolo. Casanova  traccia  la piramide di numeri  e  la marchesa  la  interpreta:  “Quel  che è  scri轏o nell’acqua non può esser  le轏o che nell’acqua”.Immerge il foglio nella vasca da bagno e legge “in cara轏eri più bianchi della carta: ‘Sono muto ma non sordo. Esco dal Rodano per farle il bagno.L’ora di Oromasis è giunta’”. Oromasis, il re delle salamandre, sarebbe stato il testimone dell’unione fra il mago e la sua discepola che, fecondatadal Verbo del Sole, avrebbe partorito un’altra sé stessa mutata di sesso e sarebbe poi morta. I due celebranti si spogliano e prendono posto nellavasca,  sempre assistiti dall’Ondina. Casanova  si unisce allora a Séramis “ammirando  le bellezze di Marcolina,  che non avevo mai guardato  contanta a轏enzione come quella volta” – confessa il grande amatore – “Tu轏avia la marchesa, tenera, amorevole, curata e niente affa轏o disgustosa, nonmi spiacque”.

L’operazione viene ripetuta più tardi nell’ora di Venere:

il  secondo assalto … doveva essere  il più duro, perché  l’ora era di  sessantacinque minuti. Entrai  in  lizza e  sfaticai mezz’ora … La marchesa miasciugava la fronte dal sudore che mi colava dai capelli mescolato alla pomata e alla cipria e l’Ondina, accarezzandomi con sapienza, rianimava ciòche il vecchio corpo che ero obbligato a toccare distruggeva, ma la natura si rifiutava di assecondare i miei sforzi di chiudere in bellezza.

In qualche modo anche  la  seconda operazione giunge  al  termine, ma  comincia  la  terza ora,  sacra  a Mercurio,  ed  è  solo grazie  alle  sapienti  articortigianesche di Marcolina – “divenuta,  tu轏o ad un tra轏o lesbica” – che Casanova riesce di nuovo a  trovarsi “non senza  la  folgore ma senza  laforza di farla scoppiare”. Simulando “una vera e propria agonia accompagnata da convulsioni che terminarono in una specie di deliquio”, il magopone finalmente termine al rituale. I contendenti, stremati, possono finalmente concedersi il meritato riposo:

Séramis,  ispirata dal  suo Genio,  si  tolse  la  collana  e  la mise  al  collo della  bella  fanciulla  che,  dopo  averle dato un bacio  alla fiorentina,  fuggì  anascondersi nell’armadio.

Più tardi la vecchia Séramis chiede a Casanova di sposarla:

Potrà essere il tutore del mio bambino che sarà suo figlio: lei potrà così conservare tu轏i i miei beni ed entrare in possesso di ciò che devo ereditare… Se non sarà lei ad occuparsi di me il prossimo febbraio, quando rinascerò uomo, chi mi proteggerà? Sarò dichiarato bastardo e mi toglieranno leo轏antamila lire di rendita che invece lei può conservarmi … Dentro di me mi sento già un uomo. Glielo confesso, sono innamorato dell’Ondina e

voglio sapere se potrò andare a le轏o con lei fra qua轏ordici o quindici anni. Se Oromasis lo vuole, lo può…

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voglio sapere se potrò andare a le轏o con lei fra qua轏ordici o quindici anni. Se Oromasis lo vuole, lo può…

Casanova risponde dicendo che sarà l’oracolo a illuminarli e guidarli sempre e che per quanto riguardava lui, non avrebbe mai permesso che suofiglio fosse dichiarato bastardo:

A queste parole la marchesa si sentì rassicurata e … si tranquillizzò … Se il le轏ore pensa che, come uomo d’onore, avrei dovuto disingannarla, sisbaglia, perché era impossibile.

Dopo averla indo轏a a partire per Lione – continuando per conto proprio un semplice rito individuale nell’ora della luna – il cavaliere di Seingalt, dinuovo  temporanemente  libero,  parte  per  nuovi  avventurosi  vagabondaggi. Qualche  tempo dopo  viene  informato  per  le轏era  che  la marchesa  èmorta avvelenata da una dose troppo forte

di un  liquore che  lei chiamava medicina universale.  Inoltre … era stato trovato un testamento  insensato, con cui  la marchesa, convinta di essereincinta, lasciava tu轏i i suoi averi al primo figlio o figlia che avesse partorito”

In realtà quest’affermazione è una delle più grosse fro轏ole raccontate da Casanova e resta tu轏ora inspiegata ed imbarazzante per i casanovisti: lamarchesa d’Urfé, infa轏i, morì solo nel 1775 – ben dieci anni dopo la data riportata nell’Histoire de ma vie – lasciando un testamento perfe轏amenteragionevole  in  favore del  legi轏imo nipote,  e pare  che  il  cavaliere di  Seingalt,  come a轏estano delle  le轏ere  ritrovate,  lo  sapesse benissimo.  “Fossivenuto a sapere che la mia buona signora d’Urfé era morta o rinsavita per me avrebbe avuto lo stesso effe轏o” – confessa l’avventuriero in un altropasso delle sue memorie: l’ipotesi più probabile è che la vecchia avesse ormai mangiato la foglia, dopo il mancato ingravidamento conseguente alrito di magia  sessuale, abbandonando finalmente  il  suo prote轏o al destino che  lo a轏endeva:  l’orgoglioso  intrigante preferiva considerarla mortapiu轏osto che amme轏ere il naufragio definitivo dei suoi magici maneggi.

Con questo episodio terminano le esperienze più esplicitamente occultistiche narrate nella Storia della mia vita.

Anche limitandoci solo agli aneddoti, presumibilmente abbelliti e rimaneggiati, riportati dalla sua testimonianza, Giacomo Casanova si conferma,in  ultima  analisi,  come  una  figura  perfe轏amente  inserita  in  quella  galleria  di  personaggi  se轏ecenteschi  a metà  strada  fra  impostura  e  candore,sce轏icismo e credulità, modernità illuminata e ombroso vecchio mondo, razionalismo e magia, che vede fra i suoi esponenti più celebrati – almenoin  questo  ruolo  –  Saint‑Germain  e  Cagliostro.  Le  apparenti  antitesi  emergono  come  complementarità  effe轏ive  forse  utili  a  tracciare  una  nuovamappa di quell’Illuminismo la cui immagine ci è probabilmente sempre stata tramandata in modo forzato e incompleto. Come i grandi anticipatoriGiordano Bruno e Isaac Newton – se non ci limitiamo ad estrapolare le intuizioni più geniali di alcune loro opere ma li ricollochiamo globalmentenel loro contesto storico, tornano ad apparirci anche come maghi e alchimisti – così gli uomini del “secolo della ragione” finiscono per assomigliarecomplessivamente più al rilu轏ante e reticente Casanova e ai suoi sodali ambigui che agli illuminati philosophes.

A differenza di Cagliostro però Casanova sopravvive, dissimula e bara sempre sapientemente: pavoneggiandosi per la sue visite frequenti ed i suoipassati rapporti amichevoli con Voltaire e Rousseau; sminuendo e sdrammatizzando le sue pratiche irrazionali (meglio apparire un truffatore cheun  credulone);  ostentando  una  quanto  mai  forzata  fedeltà  al  cristianesimo  e  alla  chiesa  ca轏olica  ma  contemporaneamente,  ancora  nel  1797,

inneggiando alla Rivoluzione francese (“Viva la Repubblica ! È impossibile che un corpo senza testa comme轏a pazzie”); e riesce a morire in età, per

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inneggiando alla Rivoluzione francese (“Viva la Repubblica ! È impossibile che un corpo senza testa comme轏a pazzie”); e riesce a morire in età, perl’epoca, acce轏abilmente tarda – se轏antatrè anni – dopo essersi assicurato un impiego dignitoso come bibliotecario nel castello di Dux in Boemia peril  conte  di Waldstein,  dove  forse  non  felicemente ma  almeno  tranquillamente,  può  dedicarsi  alla  le轏eratura  e  alla matematica,  sue  passioni  disempre, e all’edificazione  le轏eraria del suo mito. Valgano  in chiusura  le sue stesse considerazioni conclusive su sé stesso, ad un tempo sincere eingannevoli come sempre: “Vizio non è sinonimo di deli轏o, perché si può essere viziosi senza essere criminali. Tale sono stato io durante tu轏a lamia  vita  e  anzi  oso  dire  che  sono  stato  spesso  virtuoso  proprio  nel  momento  stesso  in  cui  ero  vizioso,  perché  se  è  vero  che  ogni  vizio  ènecessariamente opposto alla virtù, è anche vero che esso non nuoce all’armonia universale. I miei vizi del resto sono sempre stati a mio carico, adeccezione dei casi in cui mi sono servito delle arti della seduzione, ma la seduzione non è mai stata l’elemento cara轏erizzante della mia natura, dalmomento che ho sempre sedo轏o senza sapere di farlo ed essendo a mia volta sedo轏o”.

Note

[1] Tu轏e le citazioni sono tra轏e da Giacomo Casanova, Storia della mia vita, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, Mondadori, Milano 1983‑84‑89, vol. I‑II‑III.

[2] Piero Chiara, prefazione a Giacomo Casanova, Le轏ere a un maggiordomo, Edizioni Studio Tesi, Trieste 1985, pag. XV.

[3] Piero Chiara, cit., pag. IX.

[4] Nella monumentale bibliografia casanoviana pochi sono gli studi dedicati espressamente a questo aspe轏o minore delle sue molteplici a轏ività:una delle poche eccezioni – purtroppo ormai introvabile – è il testo tedesco di B. Marr, Casanova als Kabbalist, del 1913.

[5] Sui rapporti fra Casanova e Saint‑Germain esiste un capitolo, Une enigme historique: Casanova et Saint‑Germain, in Edoardo Maynial, Casanovaet son temps, 1910.

[6] Cioè il Sefer ha‑Zohar, il “Libro dello splendore”, classico della Kabbala ebraica.

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