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Ghisi Grütter 30. Disegno e immagine Modalità dell’abitare: il Novecento a Roma Via G. Albani, angolo Via S. Piccolomini: ai lati la doppia palazzina di Venturino Venturi del 1969 e, in fondo dietro l’albero, il “Villino Cecilia” di Luigi Pellegrin del 1958. 4 aprile 2017 Codice ISSN 2420-8442

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Ghisi Grütter

30. Disegno e immagine Modalità dell’abitare: il Novecento a Roma

Via G. Albani, angolo Via S. Piccolomini: ai lati la doppia palazzina di Venturino Venturi

del 1969 e, in fondo dietro l’albero, il “Villino Cecilia” di Luigi Pellegrin del 1958.

4 aprile 2017 Codice ISSN 2420-8442

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È appena uscito il libro curato da Alfredo Passeri “LA PALAZZI-NA ROMANA…irruente e sbadata”.1 Come spiega lo stessocuratore, il divertente titolo, tratto da una frase di una sua exstudentessa, sottolinea il fatto che lepalazzine romane autoriali di qualità, rap-presentano la loro forza (irruente) e la tra-sgressività (sbadata) nel susseguirsi mono-corde di incongrue volumetrie. AlfredoPasseri ormai si sta profilando come lo spe-cialista di questa tipologia edilizia: le hacensite, studiate, estimate. Ha portatoavanti una ricerca sul tema per quasi diecianni convogliandoci anche la didattica e letesi di laurea. Da questi lavori ha tratto ilsuo voluminosissimo libro “Palazzineromane - valutazioni economiche e fattibi-lità del progetto di conservazione,2 di cuiho avuto modo di parlare anche in“Ticonzero”.3

Il volume di cui ci occupiamo oggi, racco-glie contributi di architetti (ma ancheingegneri e scrittori) che hanno partecipa-to direttamente o indirettamente ai dueConvegni sul tema presso l’Accademia diSan Luca a Palazzo Carpegna nell’ottobredel 2013, e presso l’Università Roma Tre nelfebbraio del 2014, organizzate sempredallo stesso Passeri. Questa nuova avven-tura del mio infaticabile collega ha un

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MODALITÀ DELL’ABITARE: IL NOVECENTO A ROMAdi Ghisi Grütter

Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti,Casa Papanice, del 1966 in via

Giuseppe Marchi, foto Oscar Savio.

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duplice obiettivo: da un lato quella di ottenere il riconoscimen-to del valore della tipologia architettonica del Novecento,soprattutto romano, dall’altra, quella di rendere palese lanecessità di interventi di restauro e di ripristino.Il libro è suddiviso in tre parti: la prima affronta la palazzinacome forma simbolica (Paolo Portoghesi, Vieri Quilici, Giorgio

Piccinato, Giorgio Montefoschi, FrancoPurini, Mario Panizza, Paolo Micalizzi,Maria Grazia Bellisario); la seconda parte èpiù descrittiva, analizza e sperimenta alcu-ni casi di studio (Renato Giannini, SilviaSantini, Maurizio Ranzi, Vincenzo Codecà,Roberta Rinaldi, Daniele Micozzi, DilettaPassàro, Ghisi Grütter4); la terza invecepresenta alcune interpretazioni di palaz-zine insolite (Carlo Maltese, Maria NovellaTasselli, Alberto Raimondi, AlfredoPasseri).Cercherò qui di citare alcune delle relazio-ni che ho seguito meglio al Convegno (epresenti nel libro) e che sono comunque ame più vicine.La denominazione della palazzina romanaviene da “piccolo palazzo”, un palazzettogentilizio senza corte (Paolo Portoghesi) eper rintracciarne l’origine si deve risalireall’inizio del 700 quando, a PiazzaSant’Ignazio vengono costruite tre “caseper appartamenti” progettate da FilippoRaguzzini e destinate all’affitto (PaoloMicalizzi). All’epoca questa tipologia eramal vista dai romani che la soprannomina-

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Fotogrammi tratti da Il drammadella gelosia - Tutti i particolari incronaca di Ettore Scola del 1970:Amleto Di Meo (Hercules Cortes)abita nella Casa Papanice di PaoloPortoghesi e Vittorio Gigliotti, cor-teggia Adelaide (Monica Vitti).

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rono “piazza del guadagno”. Paolo Portoghesi ha introdotto il tema con un atteggiamentoestremamente positivo nei confronti di questa tipologia archi-tettonica residenziale dove il pieno, il fabbricato, diventa il sog-getto principale del tessuto urbano e non solo la logica conse-guenza del disegno delle strade. Con lo spirito dello storicoafferma l’importanza di conoscere la storia delle modalità del-l’abitare a Roma specialmente tra gli anni ’20 e ’70 delNovecento, per arrivare all’oggi, e pone il problema dell’attua-lità della palazzina e di come, eventualmente, modificarla.Alfredo Passeri scrive un saggio introduttivo all’inizio e unoconclusivo alla fine. Nel primo, oltre a definire gli obiettivi diconservazione e restauro del libro, traccia un profilo storicodella palazzina e ricorda ciò che scrisse Dario Barbieri «… lepalazzine sulle aree destinate ai villini delpiano regolatore del 1909. Lo scopo dichiaratoè quello di incrementare le costruzioni attra-verso un maggiore sfruttamento dell’area edi-ficabile, senza rinunciare completamente alverde e alle esigenze d’illuminazione, areazio-ne e decoro, riducendo inoltre i costi per servi-zi pubblici a carico del Comune. Rispetto allacatalogazione delle tipologie previste dalregolamento edilizio del 1912, la palazzinarappresenta un tipo intermedio tra il villino eil fabbricato intensivo: è caratterizzata da“vedute a prospetto su tutte le fronti”, distan-ze minime di 5.8 metri dai confini dei lotti vici-ni, possibile allineamento al filo stradale, trepiani oltre il rialzato e un’eventuale parzialesopraelevazione per rendere “armonico il pro-filo dell’edificio”».5 Il condominio, ricorda il

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Paolo Portoghesi e VittorioGigliotti, palazzina in Via Carini, del

1966 (oggi dell’AccademiaAmericana).

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curatore, istituito nella seconda metà dell’Ottocento, nacqueper armonizzare le condivisioni e le decisioni per valorizzare emantenere le parti comuni dei fabbricati. È la diretta conse-guenza dell’ibridazione tra fabbricato e villino, un’invenzioneper mitigare la forza manifesta di abitare in palazzoni popola-ri, dichiaratamente per i non-ricchi, e l’esclusività di risiedere inun villino signorile dichiaratamente per ricchi: «Questa genialeinvenzione è figlia del paternalismo, che ha generato per dav-vero modi diversi e nuovi dell’abitare, puntando tutto sul gra-

dimento dell’utenza, ma contemporanea-mente, alimentando il senso e la quintessen-za del privato».6

Mario Panizza ricorda la matrice socialedella palazzina nata per le esigenze di unaborghesia medio-alta che ambiva a unalloggio ampio e curato nei dettagli conuna bella vista su aree ancora verdi che siincuneavano nella periferia storica e conso-lidata. Anche Giorgio Montefoschi ribadiscelo status sociale delle palazzine descritte neisuoi romanzi (tutte nel quartiere Parioli-Salario) e l’importanza di quella classe bor-ghese colta, ormai sparita, sostituita daquella che abita le palazzine del SecondoDopoguerra (quartiere Fleming e lungo lavia Cassia). A mio avviso Montefoschi nonprende affatto in considerazione le zonemaggiormente ambite dalla borghesia colta(e dagli artisti) che sono state il centro stori-co, Trastevere e più tardi Testaccio: tuttezone di quartieri non residenziali, senzapalazzine, dove la vista dall’attico sui tetti di

Michelangiolo Antonioni,L’Avventura del 1960. Nel fotogram-ma sotto Renzo Ricci e Lea Massariin Via Silvio Piccolomini. Si vede trai due il “Villino Cecilia” di LuigiPellegin del 1958.

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Roma – anche a costo di cinque piani discale a piedi – con grandi finestre tra lelibrerie strapiene, costituisce il massimodel godimento estetico. Oggi questo pia-cere è scemato a causa delle invasioni dimassa del turismo (unica vera risorsa eco-nomica della capitale), per i vari giubileiextra inventati per far fare i soldi alVaticano, per i rumori sempre crescenti(dai motori dell’aria condizionata, ai grup-pi frigo degli alberghi, alla movida nottur-na e così via) e per tutto il degrado dila-gante del centro storico, per cui molte per-sone lo abbandonano. Tornando agli autori del libro, Vieri Quilicie Giorgio Piccinato, testimoni dell’epocadel Dopoguerra e protagonisti in primapersona di molte battaglie architettoni-che, ci raccontano perché fossero così con-trari alle palazzine mentre il loro desiderioera quello di entrare nella modernità. CosìQuilici spiega che, mentre i politici e i gior-nalisti più prettamente impegnati (comead esempio Aldo Natoli e AntonioCederna) lanciavano anatemi contro lepalazzine quali tangibili esempi di specula-zione edilizia, gli architetti sensibili allacittà del moderno, rifiutavano quel model-lo abitativo perché individualista e separa-to dal pubblico che essa rappresentava.Quilici nel suo pezzo pone inoltre moltequestioni importanti e ricorda che nel

Fotogramma tratto da Caro Diario di Nanni Moretti del 1993;sulla sinistra si nota la Casa del Girasole in Viale Bruno

Buozzi di Luigi Moretti, del 1948, sotto la stessa palazzinafotografata da Gabriele Basilico.

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Dopoguerra il Nord Italia, astrattista e razionalista, era l’erededell’innovazione quale spirito del moderno con la nuova“Casabella” di Rogers, mentre a Roma veniva data alla luce la

zeviana Storia dell’Architetturamoderna e si tentava di pren-dere le distanze dall’ereditàfascista piacentiniana.Relativamente ad un’afferma-zione di Passeri che indica laprogettazione della palazzinacome “…terreno sperimentalesu cui gli architetti di avan-guardia poterono esercitarsi”,Vieri Quilici afferma che lapalazzina è a metà fra tradizio-ne e innovazione in una Roma“accomodante” sempre pro-pensa ai compromessi e in viadi modernizzazione, ma chenella sua costruzione materialenon è stata mai “moderna”. Franco Purini ricorda, nel suosaggio intitolato Le stagionidella palazzina, che la nascitadi questo tipo edilizio vennesancita nel P.R.G. del 1931, cheautorizzò la trasformazionedei precedenti villini in edificipiù articolati: un compromessotra la produzione edilizia seria-le e l’aspirazione a un edificiopiù personalizzato stilistica-

Luigi Pellegin e Luciana Menozzi,palazzina in via Bravetta n. 304, del1957; la foto mostra le condizioniattuali dell’edificio.

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mente. L’epiteto di “palazzinaro” poi è diventato il simbolo diirresponsabilità e di avidità, direi anche di approssimazione, diuna certa fascia di costruttori romani. Ettore Scola, nel suofamoso film del 1974, Ceravamo tanto amati, ne propone unaspietata caricatura facendolo interpretare dall’indimenticabileAldo Fabrizi.8

L’espansione dei quartieri frammentati delle palazzine dilagacontemporaneamente all’edilizia residenziale popolare che siconcretizzava in Tiburtino e Tuscolano negli anni ‘50 e, piùtardi, nel Laurentino 38 e in Corviale. Purini ricorda, inoltre,che il giudizio decisamente negativo sulla palazzina è statoformulato da Italo Insolera nel suo Roma moderna del 1962 –un testo fondamentale per comprendere le vicende di Romatra l’Ottocento e la metà del Novecento - accusata di essere ilprincipale elemento disgregatore della compagine urbana. La prima stagione della palazzina per Franco Purini va, sche-maticamente, dal 1931 alla finedella Seconda GuerraMondiale. Qui si ritrovano sia lepalazzine più “bloccate”(Enrico Del Debbio, VittorioBallio Morpurgo, PlinioMarconi) sia alcune più speri-mentali come quelle di GinoCapponi, e Pietro Aschieri. Laseconda fase va dalDopoguerra (1945) agli anni ’70e vede le palazzine diAdalberto Libera e Mario DeRenzi che interpretano in modooriginale le tematiche raziona-liste. Questo periodo raccoglie

Corviale, del 1975 di Mario Fiorentino(capogruppo), Piero M. Lugli, FedericoGorio, Michele Valori e Giulio Sterbini.

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una vasta gamma di sperimentazioni: dalla riscopertadelle composizioni De Stijl all’organicismo wrightiano(Bruno Zevi, Luigi Pellegrin). Il risultato si concretizzain una serie di edifici proiettati verso l’esterno conbalconi sporgenti, ampie vetrate, sbalzi volumetrici(Ugo Luccichenti, Luigi Moretti, Mario Ridolfi, PietroBarucci, Mario Fiorentino, Ludovico Quaroni,Venturino Ventura ecc. ecc.). Franco Purini sottolineacome in alcuni casi sia evidente un rapporto fra le articome, ad esempio, la fenditura della palazzina dettaIl Girasole di Luigi Moretti rimanda ai tagli delle teledi Lucio Fontana. Nella palazzina Astrea invece, sem-pre di Moretti, Purini ravvede nelle due pareti apertediagonalmente in corrispondenza della facciata su viaJenner un torso umano con delle ali spiegate quasi aricordare gli angeli della Roma Barocca.9 VenturinoVentura nei suoi progetti palesa la sua simpatia perl’Espressionismo mentre Paolo Portoghesi si ispira allamusica (le canne d’organo nelle chiese?) e riscopre ilcolore come elemento formale.10

Il terzo periodo ingloba fino metà della decade suc-cessiva e presenta elementi brutalisti e postmoderni,come alcuni edifici di Giovanni Rebecchini, FrancescoBerarducci e Capolei-Cavalli. La quarta e ultima sta-gione è relativa agli ultimi due decenni. La palazzinaè in forte declino, gli spazi interni e il taglio deglialloggi si adattano a famiglie sempre meno numero-se. I materiali diventano ecologici e sostenibili. Gliesempi sono dati dalle palazzine di Andrea Giunti eStefano Cordeschi a Tor Bella Monaca, ma anche dallostudio Transit11 al Portonaccio o dall’insolitoPalazzetto bianco di Paola Rossi che ha degli alloggi

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Palazzetto bianco di Paola Rossi e MaurizioFagioli del 1991.

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molto piccoli, quasi un residence per vacanzeestive [n.d.r.]. Sempre secondo Purini le modalità del viverborghese romano sono protagoniste dellaletteratura contemporanea: il villino dell’ini-zio del romanzo Gli indifferenti di AlbertoMoravia del 1929, gli interni protetti de Ilpasticciaccio brutto di Via Merulana di CarloEmilio Gadda del 1946, ma anche i romanzipariolini di Giorgio Montefoschi. L’abitareromano del Novecento, inoltre, è presenteanche in molti film italiani degli anni ‘50/70:basti pensare alla scena finale de I dolciinganni del 1960 di Alberto Lattuada, peral-tro architetto, o l’atrio che appare nel film IlTigre di Dino Risi del 1967, progettato daVenturino Ventura per la palazzina di viaFlaminia. E per me parlare di architettura ecinema è un vero “invito a nozze”!12

Nel suo saggio conclusivo Alfredo Passeri esa-mina le palazzine abbastanza recenti e menonote di tre architetti o romani o che comun-que hanno vissuto e costruito a Roma e sono:Claudio Dall’Olio (unico romano dei tre 1920-2008), Giuseppe Perugini (nato a BuenosAires 1914-1995) e Venturino Ventura (nato aFirenze 1910-1991) che diventa anche sociodell’impresa di costruzioni oltre che progetti-sta e direttore del cantiere (ma non c’è unconflitto d’interessi?). Più rigoroso e menogeneroso sul piano estetico Dall’Olio è pro-gettista di alcune palazzine a Nettuno, all’Eur

Stefano Cordeschi, palazzine a Tor Bella Monaca, del 1999.

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e in Via Bodio, tutte zone di recente espansione neglianni ‘60, mentre Perugini, più impegnato in altri tipi diarchitettura, ne realizza due o tre di cui vorrei ricorda-re quella in via San Pancrazio detta Villino Borzi del1948 con i balconi così particolari e suggestivi. Di note-vole vivacità sono le palazzine di Ventura di cui vorreicitarne tre: quella in via Bruxelles del 1968, quella inVia Piccolomini del 1969 e quella in via Gomenizza del1961. Questo architetto è stato tacciato di “professioni-smo” per un lungo periodo e solo da poco rivalutato.Passeri parla di un linguaggio “trasgressivo”, a mio

Giuseppe Perugini, Villino Borzi a SanPancrazio, del 1948.

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Angelo Di Castro, via N. Fabriziangolo Via Calandrelli, la prospet-

tiva del 1963 e la palazzina oggi.

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A destra Claudio Dall’Olio, palazzi-na doppia in Via Bodio, del 1962, sotto Giorgio Calza Bini, palazzinadoppia in via Dandolo, del 1953.

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avviso, il suo linguaggio - che possiamo definire un po’sovrabbondante - piace a un tipo di borghesia che amamostrare il suo status. Certamente non minimalista. La palaz-zina doppia in Via Piccolomini, tra le sue più eleganti, presen-za una ricchezza di materiali, il legno a vista e i parapetti divetro (per chi ha una coppia di filippini che li tiene quotidia-namente puliti) hanno una loro eleganza e sono progettatein tutti i dettagli. Non sapevo che questa palazzina fosse diVentura, mi è capitato spesso di passarci lì davanti e sonosempre rimasta colpita dalla dalla qualità dei suoi dettagliarchitettonici. All’angolo tra via Bruxelles e via Salaria si trovala sua palazzina del 1978, costruita al posto del Villino Vallinodi Luigi Moretti cui Ventura s’ispira per i prospetti. Per quan-

Venturino Ventura, palazzina doppiain Via Piccolomini, del 1969.

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to cerco di rivalutarla, mi è molto difficile farmela piacere per ilsuo fare a pugni con il contesto richiamando a sé l’attenzione eper il suo evidente “épater le bourgeois”. Così riporta Passeririprendendolo da un sito on line: «Il rapporto con l’elementonaturale emerge nelle forme curvilinee, nella morbidezza dellepareti perimetrali e nell’ampia finestratura che mette in comu-nicazione lo spazio costruito con l’ambiente e la luce esterna. Asottolineate questa stretta relazione nell’angolo, all’interno diuna sorta di vaso, un cipresso (non più esistente) passava oltreun foro del solaio al terzo piano. Un primo esempio di boschet-to verticale?!».13 Anche in Via Gomenizza le case sono due esat-tamene identiche, come abbiamo già visto in Via Piccolomini,slittate tra loro per seguire il lotto. I balconi ottagonali e gliascensori a vista forniscono una facciata suggestiva e piuttostomovimentata alle palazzine; anche verso l’interno, il prospettoè articolato presentando ogni stanza un balconcino quadratodi 1 mt x 1 mt. In questo progetto troviamo sia il ferro sia ilcemento armato. Le possibilità di quest’ultimo sono spinte al

Venturino Ventura, sopra le piantedi progetto dell’attico della palazzina in via Gomenizza del1961, di lato l’ingresso in una fotoattuale.

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massimo: l’androne coperto è retto da robusti pilastri che sibiforcano ad albero, in modo tale da rendere esplicita la mìme-si nei confronti della natura.Vorrei chiudere qui questo breve excursus sul volume in esamecon un ringraziamento personale ad Alfredo Passeri per avermistimolato un’ennesima volta con il suo libro, spingendomi adandare a vedere e fotografare edifici che non conoscevo o di cuisapevo molto poco.

Venturino Ventura, palazzina in Via Gomenizza, del 1961, foto del

2017.

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NOTE

1 LA PALAZZINA ROMANA…irruente e sbadata, dei MerangoliEditrice, Roma 2016, pp. 263.

2 PALAZZINE ROMANE. VALUTAZIONI ECONOMICHE E FATTIBILITÀ,Aracne editore, Roma 2013, pp. 1210. Il libro raccoglie vari contributi,schedature di sessanta palazzine romane, tesine e tesi di laurea, conun vasto repertorio iconografico reperito prevalentemente dagli stu-denti negli Uffici Comunali di Roma – come lo stesso Alfredo Passeriscrive nella prefazione – quindi disegni tecnici “di massima”, elabora-ti grafici indispensabili per ottenere la licenza di costruzione.

3 Ghisi Grütter, 10 Alfredo Passeri. Palazzine Romane. Valutazionieconomiche e fattibilità in “Ticonzero”, novembre 2013.

4 Non parlerò qui del mio intervento al Convegno perché è stato giàpubblicato in forma di articolo in “Ticonzero” con il titolo n.12. Lepalazzine “minori” di Luigi Pellegrin. Cercherò invece di prendere inconsiderazione gli edifici meno noti o comunque non inseriti nei mieiprecedenti articoli.

5 Dario Barbieri, Per la grande Roma. Formazione e sviluppo dellegrandi città moderne, SEIA, Roma-Milano s.d. (ca 1927/30).

6 Alfredo Passeri, in LA PALAZZINA ROMANA…irruente e sbadata,dei Merangoli, Roma 2017, p. 28.

7 Basti ricordare la scena sul terrazzo de I dolci inganni di AlbertoLattuada del 1960, con Catherine Spaak e Christian Marquand (archi-tetto nel film).

8 Gianni (Vittorio Gassman), Nicola (Stefano Satta Flores) e Antonio(Nino Manfredi), dopo aver militato nelle file partigiane e aver con-

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Venturino Ventura, sopra palazzinain Via Luciani, del 1961,sotto, palazzina in Via Salaria angolo via Bruxelles, del 1978.

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Sopra studio Valle, palazzina in ViaCirconvallazione Clodia s.d. (dopo il

P.R.G. del 1962sotto Luigi Moretti, Palazzina San

Maurizio in via L. Romei, del 1962.)

diviso gli ideali politici si disperdono: Antonio fa il portantino al SanCamillo, Gianni diventa avvocato e Nicola va a insegnare in una scuo-la a Nocera Inferiore, si sposa e lotta per un cinema che trasformi lasocietà. Luciana (Stefania Sandrelli) è la ragazza che Antonio scopree che Gianni prima gli strappa e poi abbandona per entrare, tramiteil matrimonio con la figlia (Giovanna Ralli), nella famiglia di uncostruttore edile (il palazzinaro Aldo Fabrizi) senza alcuna coscienzasociale. Occasionalmente, ma sempre più raramente, i tre s’incontra-no. Dopo molti anni, quando gli eroi sono stati abbondantementeridimensionati dal tempo e da vicissitudini varie, hanno modo di esa-minarsi in occasione di un incontro imprevisto al quale prende parteanche Luciana.

9 Cfr. Franco Purini, Le stagioni della palazzina, in La PALAZZINAROMANA…irruente e sbadata, dei Merangoli Editrice, Roma 2016, acura di Alfredo Passeri, pp. 61/74.

10 Una visione critica e dissacratoria degli utenti di un certo tipo dipalazzine romane ce la fornisce sempre Ettore Scola (Age & Scarpellisceneggiatori) ne Il dramma della gelosia del 1970, dove Adelaide, lafioraia del Verano Monica Vitti, sempre in dubbio tra l’amore perNello, il pizzettaro Giancarlo Giannini, e Oreste, l’operaio comunistaMarcello Mastroianni, lasca entrambi per fidanzarsi con Ambleto, ilricco macellaio Hercules Cortes, che, guarda caso, abita proprio nellapalazzina Papanice di Paolo Portoghesi. Adelaide chiede cosa sianotutte quelle canne e il macellaio risponde: «è una precisa qualificazio-ne geometrica, così ce stava scritto sul progetto della casa”…».

11 Studio Transit è un gruppo operativo in architettura, urbanistica edesign fondato a Roma nel 1972 da Gianni Ascarelli, MaurizioMacciocchi, Evaristo Nicolao e Danilo Parisio.

12 Sul rapporto tra la palazzina romana e il cinema vedere NicolòSardo, Una borghese piccola piccola, in AAVV, Il disegno della palaz-

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zina romana, Kappa, Roma 2008, a cura di Carlo Mezzetti, pp.205/216e da cui ho tratto alcuni fotogrammi.

13 Alfredo Passeri, La Nobile professione in La PALAZZINA ROMA-NA…irruente e sbadata, dei Merangoli, Roma 2016, a cura di AlfredoPasseri, pp. 235/236.

NB. Le immagini e i disegni sono presi prevalentemente da AAVV, Ildisegno della palazzina romana, Kappa, Roma 2008, a cura di CarloMezzetti, o sono mie fotografie.

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Monaco e Luccichenti, sopra palaz-zina in via Fatelli Ruspoli, del 1946,di lato palazzina in viale CarloEvangelisti, del 1959.