Ghiaioni e rupi di montagna - Orobievive

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Ghiaioni e rupi di montagna QUADERNI HABITAT 13

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Ghiaioni e rupi di montagna

Q U A D E R N I H A B I TAT

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Q U A D E R N I H A B I TAT

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I T O R I O

M U S E O F R I U L A N O D I S T O R I A N AT U R A L E · C O M U N E D I U D I N E

Ghiaioni e rupi di montagnaUna vita da pionieri tra le rocce

Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del TerritorioMuseo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

"Ghiaioni e rupi di montagna · Una vita da pionieri tra le rocce"a cura di Alessandro Minelli e Fabio Stoch

testi diPaolo Audisio · Lucio Bonato · Margherita Solari · Nicola Surian · Marcello Tomaselli

con la collaborazione diAlessandro Petraglia

illustrazioni diRoberto Zanella

progetto grafico diFurio Colman

foto diNevio Agostini 7, 40, 43/2, 49, 63/2, 121 · Archivio Museo Friulano di Storia Naturale 33, 35, 70, 86/2, 99 ·Archivio Naturmedia 32, 36, 71/2 · Archivio Naturmedia (Ferrari-Montanari) 34 · Archivio Naturmedia(Tomaselli) 29, 39, 41, 42, 43/3, 50, 51, 61, 64, 65, 67, 69/2, 71/1 · Paolo Audisio 26, 48, 56, 75, 77, 80,81/2, 89/1, 98, 106, 107, 110, 129, 132, 144 · Alberto Bianzan 59, 60, 73, 74, 128, 131 ·Alessandro Biscaccianti 82, 83 · Stefano Bossi 96, 111, 136 · Marco Cantonati 28 · Carlo Càssola 52 ·Carlo Corradini 8 · Ulderica Da Pozzo 58, 122 · Vitantonio Dell'Orto 16, 22, 44, 72, 112, 116, 117/2, 118,120, 124, 125, 126, 138 · Angelo Leandro Dreon 114/2 · Paolo Fontana 89/2, 89/3, 90, 101/1, 102 ·Governatori Gianluca 66, 81/1, 103/2, 104, 113, 134 · Luca Lapini 114/1, 127/1 · Andrea Liberto 94 ·Giuliano Mainardis 84, 101/2, 101/3, 103/1 · Riccardo Marchini 10, 18, 21, 43/1, 55, 62 ·Michele Mendi 78 · Giuseppe Muscio 13 · Pierluigi Nimis 30, 31 · Paolo Paolucci 127/2 ·Parodi Roberto 115, 123, 139 · Ivo Pecile 57, 79, 130, 135, 141 · Ermanno Quaggiotto 85, 86/1 ·Nicola Surian 11, 15, 19, 20, 24 · Elido Turco 6, 27, 76 · Augusto Vigna Taglianti 46, 54, 63/1, 63/3, 68,69/1, 88, 92, 109, 117/1, 137, 145, · Roberto Zucchini 133

©2006 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 24 7

In copertina: Alta Val Cimoliana (Prealpi Carniche, Friuli Venezia Giulia, foto Ulderica Da Pozzo)

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Paolo Audisio

Aspetti climatici e geomorfologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11Nicola Surian

Flora e vegetazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27Marcello Tomaselli

La vita animale delle rupi e dei ghiaioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73Paolo Audisio · Lucio Bonato

Invertebrati: parte tassonomica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85Paolo Audisio

Vertebrati: parte tassonomica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113Lucio Bonato

Aspetti di conservazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129Paolo Audisio · Lucio Bonato · Marcello Tomaselli

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139Margherita Solari

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

IndiceQuaderni habitat

6La macchiamediterranea

24Gli habitatitaliani

12I prati aridi

18I boschimontani diconifere

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

1Grotte efenomenocarsico

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

7Coste marinerocciose

14Laghettid’alta quota

15Le faggeteappenniniche

16Dominiopelagico

17Laghivulcanici

13Ghiaioni erupi dimontagna

20Le acquesotterranee

21Fiumi eboschi ripari

22Biocostruzionimarine

23Lagune,estuarie delta

19Praterie afanerogamemarine

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Rupi e ghiaioni montani e submontanisono habitat piuttosto inospitali e pian-te e animali non li colonizzano facil-mente. La povertà dei suoli, la strutturacompatta di rupi e pareti rocciose, lanatura incoerente di ghiaioni e macere-ti e le acclività spesso estreme, nonconsentono alla maggioranza dellepiante di fissarvi le loro radici. Fannoeccezione le casmofite (le piante adat-tate alla crescita su pareti verticali) e leglareofite (quelle dei ghiaioni e dellepietraie mobili). A loro volta, gli inverte-brati terrestri epigei (quelli che vivono inprevalenza sulla superficie del suolo)non trovano di norma significativequantità di suolo umificato, con suffi-ciente tenore idrico, e anche in questocaso solo pochi elementi specializzatisono in grado di sopravvivervi. Moltivertebrati tuttavia, in grande maggioranza rappresentati da uccelli, colonizzanostabilmente questi habitat, in particolare le pareti frastagliate delle gole e lespaccature delle rupi più scoscese, proprio per sfruttare la loro inaccessibilità,che li mette al riparo da buona parte dei potenziali predatori e disturbatori,soprattutto durante il periodo riproduttivo. Molti artropodi (in particolare lepi-dotteri, emitteri ed ortotteroidei) e alcuni vertebrati eterotermi, come i rettili, lifrequentano invece per sfruttare i livelli particolarmente alti di esposizione allaluce solare e di temperatura diurna dei substrati. Molti insetti fitofagi si sono poispecializzati nello svilupparsi proprio a spese di casmofite e glareofite, dandoorigine ad entomocenosi alquanto peculiari. Il risultato dell’interazione tra que-ste condizioni ambientali complesse e spesso estreme vede così la presenza inquesti habitat di un numero di specie di norma non molto alto, ma con cospi-cue percentuali di elementi specializzati, esclusivi o preferenziali.Molte di queste specie sono andate incontro, durante la loro recente storia

7IntroduzionePAOLO AUDISIO

Il Campanile di Val Montanaia (Prealpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)

Ghiaione con sassifraga a foglie opposte(Saxifraga oppositifolia)

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evolutiva, anche a marcati fenomeni di endemizzazione e di frazionamentodell’areale, contribuendo ad incrementare il loro stesso valore naturalistico econservazionistico. Un punto fondamentale per una corretta lettura e valuta-zione d’insieme di questi habitat è appunto costituito dal comprenderne il ruo-lo di insostituibili isole ecologiche, sia in chiave storico-biogeografica, sia inqualità di attuali serbatoi e corridoi floristici e faunistici.Durante i complessi cicli paleoclimatici del tardo Terziario e del Quaternario,infatti, le emersioni rocciose più significative delle aree montane e submontanedell’Europa centro-meridionale hanno spesso rappresentato, durante i picchiglaciali, importanti “isole” relativamente xerotermiche, dove un grande numerodi elementi faunistici e floristici termofili ha potuto sopravvivere, spesso diffe-renziandosi a livello specifico o sottospecifico, in un “mare” di habitat freddi einospitali, in gran parte coperti dai ghiacci o dalla tundra. Si tratta del ben notoeffetto nunatak, dal termine eschimese “nun[ae]ttak”, utilizzato in Groenlandiaper indicare le grandi rocce o le porzioni di picchi montuosi che si ergono al disopra delle calotte glaciali perenni. D’altra parte, soprattutto per quanto con-cerne gli insetti fitofagi e molti uccelli, pareti rocciose più o meno isolate, golerocciose e ghiaioni rappresentano attualmente, in molte aree, delle vere e pro-prie “ciambelle di salvataggio”. Infatti, in parte anche per “effetto siepe” (l’accu-mularsi di elementi floristici e faunistici a ridosso di ostacoli che emergono dalprofilo del paesaggio), vi si possono concentrare molte delle componenti più omeno xerofile delle originarie comunità di insetti e di uccelli, scacciate o distrut-

te altrove dalla massiccia colonizzazione antropica di ambienti aperti come pra-ti e praterie aride, magredi e radure xeriche. Inoltre, alla base di alte rupi e tor-rioni rocciosi non è infrequente trovare percolamenti e ambienti igropetrici (pic-cole sorgenti anche temporanee che bagnano con un velo d’acqua le rocce cir-costanti), che possono sostenere limitate ma significative fitocenosi ed ento-mocenosi igrofile e mesofile. Queste condizioni possono così innalzare forte-mente la locale diversità animale e vegetale in questi ambienti ecotonali. Ento-mologi, ornitologi, erpetologi e botanici sanno infatti bene che un’alta rupe iso-lata e un associato ghiaione, o una gola rocciosa che delimita un tratto di stret-ta valle fluviale, spesso storicamente risparmiati dall’intervento antropico per-ché di difficile accesso e sfruttamento, possono localmente ospitare un nume-ro sorprendentemente alto di specie, anche quando la matrice ambientale cheli circonda risenta di una forte influenza antropica.Rupi e ghiaioni montani rappresentano dunque degli habitat “difficili”, ma digrande interesse per il naturalista e soggetti frequentemente a significativiimpatti antropici diretti ed indiretti (ad esempio cave di materiale per l’edilizia,discariche abusive, aperture e sbancamenti di strade lungo gole rocciose epresso passi e crinali montani, fissaggio di reti di contenimento di materialeroccioso lungo strade e presso centri abitati montani, freeclimbing incontrolla-to), che meritano di essere attentamente discussi ed analizzati.L’obiettivo di questo volume è fornire una panoramica sugli elementi floristici efaunistici di maggior interesse che in Italia popolano rupi e ghiaioni montani esubmontani, con un occhio particolare anche al ruolo di questi habitat nelle retiecologiche nazionali, alle specifiche problematiche relative alla loro gestione econservazione e alle criticità e minacce che ne mettono in pericolo la qualitàbiologica e la realtà geomorfologica e paesaggistica. Per una necessaria sceltaeditoriale, sono stati di seguito presi in considerazione prevalentemente i popo-lamenti animali e vegetali e i relativi habitat rupestri e di ghiaioni individuabili apartire dall’orizzonte montano superiore verso le quote più elevate (in Italiagrossolanamente tra 1000-1300 m e 2500-2800 m), quindi in buona parte al disopra del limite degli alberi, o intercalati a livello dell’orizzonte montano supe-riore stesso. Sono state dunque escluse dalla trattazione le rupi isolate dellebasse quote, ovviamente quelle litoranee, già trattate nel Quaderno Habitat“Coste marine rocciose”, e anche tutti i magredi, i macereti e i ghiaioni nonstrettamente montani, che pure rappresentano habitat peculiari e di notevoleinteresse naturalistico. Tuttavia, sono stati almeno parzialmente consideratialcuni ambienti di interfaccia montano/submontani, le falesie submontane neisettori a quote relativamente più elevate delle gole fluviali, ed è stata dedicatauna specifica scheda alle stesse gole fluviali, indipendentemente dalle loroquote, per sottolinearne la grande rilevanza naturalistica e il significativo ruolonella conservazione di un mosaico ambientale di habitat naturali.

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Il Gruppo del Capolago nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)

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Ghiaioni e rupi fanno parte di quelleforme che maggiormente attraggonolo sguardo e, talvolta, l’interesse,quando ci si trova in un ambientemontano. Sono forme che possonoessere colte e riconosciute con facilitàperché ben esposte, ossia prive divegetazione o con scarsa coperturavegetale; allo stesso tempo, sono for-me che per dimensioni e pendenzepossono destare impressione e, diconseguenza, suscitare una certaattrazione. Sono anche tra i luoghi dipiù difficile accesso per l’uomo: ighiaioni richiedono attenzione al cam-minatore, ma le rupi richiedono, molto spesso, la capacità di arrampicarsi o dipercorrere delle vie attrezzate (ferrate).Nell’ambiente montano, ghiaioni e rupi si rinvengono un po’ dovunque, anchese alcuni settori della montagna sono sicuramente privilegiati per la frequenzadi queste forme. In una generica regione montuosa, possono essere presentisia a quote relativamente basse, sia a quote molto elevate. In generale, però, èproprio alle quote più alte che le rupi ed i ghiaioni sono più diffusi.Ghiaioni e rupi sono forme che spesso si trovano associate: al di sotto di unaripida parete rocciosa è frequente osservare la presenza di un accumulo didetriti; non si tratta di una semplice associazione spaziale, ma anche geneti-ca, perché il ghiaione è il risultato dello smantellamento della parete sovra-stante. La rupe è una tipica forma d’erosione, risultato dell’asportazione del-la roccia in seguito a vari processi, mentre il ghiaione è una tipica formad’accumulo che deriva dal deposito del materiale. La presenza contempora-nea di ghiaioni e rupi non può essere ovviamente considerata una regola,perché il detrito può essere rimosso da un corso d’acqua che scorre allabase della parete oppure perché la parete può essere costituita da rocce chenon si disgregano in elementi grossolani e quindi non consentono la forma-zione di un ghiaione.

11Aspetti climatici e geomorfologiciNICOLA SURIAN

Val Masino (Lombardia)

Rupi e ghiaioni sono forme generalmentepresenti in stretta associazione (Lastoni diFormin, Dolomiti Ampezzane, Veneto)

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La formazione e l’evoluzione di una rupe e di un ghiaione dipendono da variaspetti geologici e geomorfologici. I diversi tipi di rocce che costituiscono le mon-tagne italiane e la grande varietà di processi che possono agire sulle rocce (pro-cessi gravitativi, fluviali, glaciali, ecc.) hanno determinato la formazione di un’am-pia gamma di pareti rocciose, di svariate dimensioni e forme, e di accumuli detri-tici con differenti caratteristiche morfologiche e granulometriche. Non si puòcomunque non ricordare che parte delle forme presenti nel nostro territorio han-no un’origine antropica. Pareti rocciose o accumuli detritici sono anche il risultatodell’azione dell’uomo: si pensi, ad esempio, a grandi sbancamenti derivanti dal-l’attività estrattiva o a quelli effettuati per la costruzione di vie di comunicazione.Per concludere, una piccola precisazione terminologica: ghiaioni e rupi sonodue termini di larghissimo uso, ma non trovano una corrispondenza biunivocanella terminologia geomorfologica. Si vedrà ad esempio come i ghiaioni piùclassici sono quelli che in geomorfologia vengono chiamati coni detritici o fal-de detritiche, mentre altri tipi di ghiaioni sono associati a forme diverse, comeaccumuli di frana e depositi glaciali.

■ Climatologia

Il clima dei ghiaioni e delle rupi monta-ne presenta, ovviamente, gli elementitipici di quello di montagna, ai qualiperò si sommano peculiarità che deri-vano da fattori geografici locali e dal-l’esposizione diretta della roccia o delmateriale detritico ai raggi solari.Elementi che caratterizzano il clima dimontagna sono le temperature pro-gressivamente più basse (dalle quoteinferiori verso quelle più elevate), leprecipitazioni relativamente abbon-danti, che assumono carattere nevo-so al crescere della quota, e la forteradiazione solare che aumenta pro-gressivamente d’intensità a mano amano che si sale di quota. In altreparole agisce il fattore altitudine, invirtù del fatto che l’atmosfera diviene sempre più rarefatta salendo rispettoal livello del mare.A questa struttura generale del clima è necessario sovrapporre, per passaread un esame più dettagliato del clima di una parete rocciosa o di una faldadetritica, gli effetti delle condizioni geografiche locali, in particolare quellidovuti all’esposizione dei versanti. Ad esempio, nel caso di valli con direzioneEst-Ovest è particolarmente evidente la differenza di illuminazione del versan-te esposto a Sud rispetto a quello esposto a Nord. Per versanti molto ripidiquesta differenza può essere consistente. Il versante esposto a Nord riceve iraggi solari per un numero di ore minore rispetto al versante opposto, e ci pos-sono anche essere porzioni del versante che risultano prive d’illuminazioneper l’intera giornata, soprattutto durante l’inverno, quando i raggi solari hannominore inclinazione.Infine si deve considerare il fatto che i ghiaioni e le rupi presentano unacopertura vegetale estremamente ridotta, se non completamente assente econ scarso tenore di umidità. Ciò comporta una bassa capacità termica edun’elevata esposizione ai venti di queste superfici. A causa della bassa capa-cità termica si verificano un rapido riscaldamento durante il giorno e unaltrettanto rapido raffreddamento durante la notte, anche perché l’aria inmontagna è più rarefatta e quindi con un minore contenuto di vapore acqueo.Come in un ambiente desertico si hanno, quindi, consistenti differenze di

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30

06.00 12.00 18.00

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10

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-10ORE DEL GIORNO

TE

MP

ER

ATU

RA

(°C

)

sudest

ovestnord

1Schema relativo all’andamentodella temperatura dell’aria e di superficirocciose diversamente orientate

2Andamento della temperaturadella superficie rocciosa e dell’ariaa 3050 m di quota nelle Alpi

3Numero dei cicli di gelo-disgeloin funzione della quota, nel Pic du Midide Bigorre (blu) e nel versante italianodelle Alpi Occidentali (rosso)

temperaturadell'aria

temperaturadell'aria

temperatura dellasuperficie rocciosa

3000

m

2000

1000

0100 200 300 CICLI

1

3

2

ORE DEL GIORNO

TE

MP

ER

ATU

RA

(°C

)25

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06.00 12.00 18.00 00.00

Ghiaioni di origine glaciale nel Monte Canin(Alpi Giulie, Friuli Venezia Giulia)

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15temperatura fra il giorno e la notte. L’elevata esposizione ai venti non ha pro-babilmente molta rilevanza ai fini dei processi geomorfologici che interessa-no rupi e ghiaioni, ma può essere un fattore climatico importante dal punto divista ecologico.Un fenomeno climatico di particolare interesse per comprendere l’evoluzionedelle pareti rocciose è quello dei cicli di gelo e disgelo, che hanno notevoleinfluenza sui processi di disgregazione della roccia. Questi cicli, che rappre-sentano il periodico passaggio della temperatura del suolo o della roccia attra-verso il valore critico di 0°C, dipendono dall’altitudine e dalle condizioni locali(esposizione del versante ed esposizione diretta o meno della roccia).Per quanto riguarda l’altitudine, la frequenza di questi cicli aumenta pas-sando a quote via via più elevate, ma solo fino ad una certa quota, adesempio attorno a 2000-2200 m s.l.m. nelle Alpi occidentali, oltre la quale icicli diminuiscono perché le temperature sono più basse e quindi il disgeloavviene meno frequentemente. Le condizioni locali possono causare sia unnumero minore che maggiore di cicli. Ad esempio su un versante rivolto aNord, che rimane gelato per un periodo di tempo più lungo rispetto ad unversante con diversa esposizione, i cicli di gelo e disgelo possono esseremeno frequenti, mentre possono essere molto più frequenti su una pareterocciosa molto esposta che si riscalda e si raffredda velocemente nel vol-gere delle ventiquattr’ore.

■ Idrologia

Nonostante le Alpi e l’Appennino siano caratterizzati da precipitazioni rela-tivamente elevate, nello specifico le rupi ed i ghiaioni, per ragioni differenti,sono elementi con quasi totale assenza di acqua superficiale. Sulle rupil’acqua non può accumularsi a causa della loro elevata inclinazione. Local-mente ci possono essere piccole zone con presenza d’acqua, in corrispon-denza di discontinuità delle pareti rocciose, ad esempio sulle cenge, oppu-re delle emergenze d’acqua, nel caso siano presenti formazioni rocciose adiversa permeabilità. Sui ghiaioni l’assenza di acqua è dovuta all’elevatapermeabilità di questi accumuli. Le falde detritiche sono costituite da mate-riale grossolano, da centimetrico a metrico, che favorisce l’infiltrazione del-l’acqua meteorica nel sottosuolo impedendo quindi che si formi una circo-lazione idrica superficiale, ma anche l’accumulo di acqua nei livelli pocoprofondi del sottosuolo. Un po’ diversa è la situazione nel caso di depositidi frana o di depositi glaciali, cioè di quei ghiaioni in cui il materiale grosso-lano si accompagna ad una certa percentuale di materiale più fine (sabbia,limo, argilla). In questi casi si può riscontrare presenza di acqua tanto insuperficie che nel primo sottosuolo.

■ Geomorfologia

Rupi. Una rupe può essere definita come una parete rocciosa subverticale ocon pendenza molto elevata. L’aspetto di una rupe può essere molto omoge-neo ma anche molto irregolare, in relazione soprattutto alle caratteristiche del-le rocce che la costituiscono. Su rocce molto resistenti e con una strutturacompatta, come ad esempio i graniti del Monte Bianco o le quarzodioriti e letonaliti dell’Adamello, si possono formare delle pareti molto uniformi. In pre-senza invece di rocce stratificate o di alternanza di rocce con differente gradodi resistenza ai processi erosivi si formano di norma dei versanti più irregolari,come i tipici versanti a gradinata della regione dolomitica.La formazione di una rupe dipende da particolari condizioni geologiche e davari fenomeni e processi che agiscono con tempi e modalità diverse. L’esisten-za di particolari condizioni geologiche, e più precisamente la presenza di certetipologie di rocce, sono un prerequisito fondamentale affinché si formi una ripi-da parete rocciosa. Le rocce che potenzialmente possono dar luogo a rupisono le “rocce dure”, cosiddette in geomorfologia per la loro maggiore resi-stenza nei confronti dei processi erosivi rispetto alle “rocce tenere”. Questi ter-mini, dure e tenere, sono relativi, ma generalmente nelle montagne italiane sicomportano come rocce dure calcari, dolomie, arenarie, graniti, gneiss. Nel-l’Appennino, ad esempio, le rupi non sono presenti dove affiorano formazioniargillose o sabbiose, mentre si ritrovano in corrispondenza di arenarie, di flysch

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Parete rocciosa interessata da una frana recente

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17(formazione di roccia stratificata costi-tuita da alternanze di materiali più resi-stenti e di materiali più facilmente ero-dibili), di rocce ofiolitiche (basalti, gab-bri, ecc.) e di rocce calcaree. Pareti chesi sviluppano su rocce ofiolitiche siritrovano nell’Appennino Ligure-Emilia-no, mentre un bell’esempio su roccecalcaree è rappresentato dalla Pietra diBismantova, nell’Appennino Reggiano.Un secondo fattore geologico impor-tante è la giacitura delle rocce, ossiacome queste sono disposte nello spa-zio. Le rocce possono essere varia-mente inclinate, da suborizzontali asubverticali, e questa inclinazione puòessere concorde o meno con l’inclina-zione del versante. Condizioni favore-voli per la formazione di rupi sono legiaciture suborizzontali, con alternanzadi rocce dure e tenere, e le giaciture areggipoggio. Esempi del primo tiposono molto frequenti nella regione dolomitica dove rocce calcaree o dolomiti-che si alternano a rocce più facilmente erodibili come le marne. Dove ci sonoqueste alternanze di rocce dure e tenere i processi erosivi agiscono in modoselettivo con la formazione di versanti a gradinata dove a tratti molto ripidi, incorrispondenza delle rocce dure, si alternano tratti a più debole pendenza.Passando ad esaminare i processi che determinano l’evoluzione di un versan-te e la formazione di una rupe, un processo molto importante nell’ambientemontano è quello della gelivazione, che dipende dai cicli di gelo e disgelo, cuisi è già fatto cenno. Durante il disgelo l’acqua penetra più o meno profonda-mente all’interno della roccia, mentre con il congelamento, in seguito ad unaumento di volume, si produce un incremento di pressione da parte del ghiac-cio, che tende ad allargare i pori e le fessure della roccia stessa. La frantuma-zione della roccia dipende quindi non solo dalle variazioni di temperatura, maanche dal grado di umidità della roccia e dal suo stato di fratturazione. I fram-menti prodotti dalla gelivazione cadono, per gravità, lungo la parete e vannoad accumularsi ai piedi di questa. Si tratta di un fenomeno che agisce con unacerta continuità, ma è difficilmente apprezzabile dall’occhio umano, in quantoi frammenti che si staccano dalla parete sono di dimensioni relativamente pic-cole. Ben diversa è invece la situazione in cui, occasionalmente, la parete roc-

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Evoluzione di una parete per fenomeni diribaltamento.

Versante a gradinata con pareti e cornici doveaffiorano le testate dei banchi più duri.

Una rupe nell’Appennino Ligure-Piemontese (Monte Vallassa)

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masse che hanno contribuito a modellare i versanti di queste valli. Nei periodicon clima più caldo (periodi interglaciali), come quello attuale cominciato circa10.000 anni fa, le valli sono state soggette invece all’azione dei corsi d’acqua.I versanti delle valli alpine sono quindi il risultato dell’azione di più processi,glaciali, fluviali, gravitativi, che hanno agito in tempi diversi, talvolta separata-mente, talvolta in modo congiunto. Ecco allora che alcune valli trasversali del-le Alpi, che presentano versanti molto ripidi, possono essere definite deicanyon, anche se in realtà non sono solo delle gole fluviali, ma anche il fruttodell’esarazione glaciale.Il fatto che le montagne italiane siano molto varie sotto l’aspetto geologico(tipo di roccia, tettonica) e geomorfologico (processi geomorfologici) fa sì chesiano presenti differenti tipi di rupi. Numerose pareti rocciose dell’arco alpinosono indubbiamente molto conosciute e famose, mentre forse lo sono un po’meno quelle dell’Appennino, della Sicilia e della Sardegna. Ad esempio, perquanto riguarda l’Appennino, delle pareti di notevoli dimensioni si trovano nelGran Sasso e nella Majella: nel primo caso si può ricordare il versante Nord delMonte Camicia, con i suoi 1200 m di parete rocciosa e il Monte Porrara nelcaso della Majella. La Sardegna, pur non avendo montagne molto alte - simantengono infatti sempre al di sotto dei 2000 m di quota - è anch’essa riccadi interessanti pareti rocciose: nelle rocce calcaree del Supramonte sono infat-ti presenti vari canyon (“cordula” in sardo), ma anche rilievi, come Punta Cara-bidda o Punta Cusidore, con pareti rocciose di dimensioni ragguardevoli.

1918 ciosa subisce improvvisamente il distacco di un grande volume di materiale. Inquesto caso si parla di un fenomeno di frana vero e proprio. Su pareti roccio-se subverticali o molto inclinate i tipi di frana più comuni sono i crolli ed i ribal-tamenti. Nei crolli il materiale roccioso che si stacca dalla parete percorre par-te del suo tragitto in aria prima di cadere nuovamente sul versante o alla basedi questo. Nelle frane di ribaltamento, invece, l’ammasso roccioso compie unmovimento di rotazione rispetto ad un punto basale. L’effetto prodotto da unafrana dipende dal volume di roccia coinvolta, ma è certamente più evidente epercepibile rispetto al distacco di singoli frammenti o di blocchi di roccia. Visi-vamente, una parete rocciosa interessata di recente da una frana si presentapiù “fresca”, ossia con un colore diverso rispetto ad altre pareti il cui coloreoriginario è stato modificato dai processi di alterazione.L’evoluzione di una ripida parete rocciosa su una scala temporale più lunga,cioè migliaia, centinaia di migliaia o milioni di anni, dipende però, oltre che daiprocessi appena descritti (gelivazione, caduta del detrito, frane vere e proprie),da altri fenomeni e processi. La tettonica, ad esempio, è responsabile delladeformazione e del sollevamento delle rocce: rappresenta quindi il fenomenoprimario, e imprescindibile, affinché si creino dei dislivelli e quindi un rilievomontuoso al cui interno possono formarsi delle pareti rocciose. I rilievi che sioriginano grazie all’attività tettonica sono quindi modellati da vari processi:gravitativi, glaciali, fluviali, ecc. Le valli alpine, ad esempio, sono state percor-se ripetutamente da imponenti masse di ghiaccio nel corso del Pleistocene,

Valle di evidente origine glaciale con pareti subverticali (Val Gardena, Trentino Alto Adige) Ripida parete rocciosa “fasciata”, alla base, da una falda detritica

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20 21Ghiaioni. Si è già accennato alla stretta relazione che esiste fra le rupi ed ighiaioni. Questi ultimi sono infatti forme di accumulo che derivano dalla depo-sizione del materiale che si è staccato, con varie modalità, da una parete roc-ciosa. Le caratteristiche di un ghiaione (pendenza, dimensioni dei clasti che locostituiscono, ecc.) dipendono da vari fattori, ma soprattutto da:● tipo di processo che ha determinato l’erosione, il trasporto e l’accumulodel materiale● caratteristiche della roccia che costituisce il versante● topografia preesistente.Di seguito sono descritti inizialmente i ghiaioni più tipici, quelli cioè che si sonoformati per caduta di singoli frammenti di roccia, quindi altre tipologie che deri-vano da processi differenti, non solo gravitativi, ma anche glaciali e periglaciali.

Falde e coni detritici. Queste forme, che fasciano la base delle pareti rocciose,sono tra le più caratteristiche dell’ambiente montano. Si parla di falda quando idetriti provengono da una parete uniforme e continua, di cono quando la pare-te presenta rientranze, canaloni o fratture e i detriti si dispongono a ventaglioallo sbocco di queste rientranze. I frammenti rocciosi prodotti dalla disgregazio-ne della parete rocciosa cadono per gravità e si vanno a disporre alla base del-la parete: nella caduta si verifica una selezione granulometrica, in quanto i clastidi dimensioni maggiori acquistano più energia e rotolano verso la parte inferio-re del versante. La superficie delle falde e dei coni detritici ha un’inclinazione

generalmente variabile tra 30-35°, dettaanche angolo di riposo. L’inclinazionedipende dalla forma e dalle dimensionidei clasti, a loro volta determinate daltipo di roccia da cui derivano. Le roccecalcaree, ad esempio, generano undetrito molto spigoloso, mentre dallerocce scistose derivano clasti moltoappiattiti. L’equilibrio di queste forme ècomunque abbastanza precario. Si puòavere una percezione di questa instabi-lità quando, percorrendo un ghiaione,si abbandona il sentiero tracciato e adogni passo si tende a rimettere in movi-mento i detriti, che riprendono a rotola-re verso valle. Oltre alla caduta deldetrito per gravità, altri processi con-corrono a spiegare l’aspetto di una fal-da o di un cono detritico. Nei mesi piùcaldi le acque superficiali, che ad altequote derivano dalla fusione della neve o da intensi temporali estivi, possonotrasportare il materiale più fine presente nei ghiaioni. In tal modo, la parte supe-riore della falda si impoverisce di sabbia e ghiaia che va ad accumularsi nelleparti inferiori. Questa azione delle acque superficiali comporta anche una dimi-nuzione della pendenza della falda. Nei mesi più freddi, in cui la falda è copertada neve, i frammenti rocciosi possono rotolare e scivolare agevolmente sulmanto nevoso, andando a formare dossi allungati, con direzione parallela alversante, che prendono il nome di argini detritici di nevaio o nivomorene.Guardando una falda detritica si possono cogliere non solo differenze granu-lometriche, ma anche cromatiche. Queste ultime sono imputabili ad unavarietà litologica, ossia al fatto che la parete rocciosa è costituita da rocce dinatura differente. Il colore di un ghiaione risulta inoltre meno uniforme quandoc’è della vegetazione, la cui presenza indica che una certa porzione della fal-da si è momentaneamente stabilizzata. Questo non significa che lì la faldanon sarà più attiva in futuro, ma semplicemente che essa è da qualche tem-po inattiva. Effettivamente la falda può anche stabilizzarsi in modo più dura-turo: in questi casi, se si vuole determinare con una certa accuratezza daquanto tempo non è più attiva, bisogna ricorrere a metodi di datazione comela lichenometria, la dendrocronologia o il metodo del radiocarbonio. Il primodi questi metodi si basa sulla misura delle dimensioni dei licheni, partendo dalpresupposto che queste simbiosi di alghe e funghi colonizzino una superficie

La superficie molto regolare e piuttosto ripidadi una falda detritica

Selezione granulometrica in un cono detritico: i clasti di maggiori dimensioni si depositano alla base del cono

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appena dopo la sua stabilizzazione e che la loro velocità di crescita siacostante nel tempo. La dendrocronologia si basa invece sul conteggio e sul-l’analisi degli anelli di accrescimento degli alberi, anelli che ogni anno vengo-no prodotti in coppia, uno di colore più chiaro ed uno di colore più scuro. Ladatazione con il radiocarbonio, da alcuni decenni molto utilizzata nello studiodei depositi quaternari, può essere applicata quando il deposito contienesostanza organica (legni, torba, ossa, ecc.).

Accumuli di frana. Quando da una parete rocciosa si verifica il distacco non diun singolo frammento o blocco roccioso ma di una massa di dimensioni piùrilevanti, si parla di fenomeno franoso. Per completezza è giusto precisare chele frane non interessano solo le pareti rocciose, ma anche i depositi sciolti, sia-no essi grossolani o di granulometria fine. Qui l’interesse è però rivolto solo aquelle situazioni in cui le frane danno luogo alla formazione di ghiaioni.Quando da una parete si verifica il distacco di un grande ammasso roccioso,questo può subire movimenti differenti: si parla di crollo quando almeno unaparte del movimento avviene in caduta libera, di ribaltamento quando la rocciasubisce una rotazione rispetto ad un punto basale e di scivolamento quando laroccia si muove lungo una superficie planare. Il fatto che si verifichi un movi-mento piuttosto che un altro dipende dalla struttura della roccia ed in partico-lare dalla presenza e dalla disposizione di discontinuità come piani di stratifi-cazione, fratture, ecc. Ad esempio, grandi fratture parallele all’andamento delversante possono favorire frane di ribaltamento, mentre rocce stratificate congiacitura a franapoggio sono generalmente soggette a fenomeni di scivola-mento. Durante il movimento l’ammasso roccioso si frantuma in vario modo,talvolta producendo un detrito molto eterogeneo, ma comunque grossolano espigoloso, talvolta mantenendo una certa compattezza. Nel primo caso l’ac-cumulo di frana risulta abbastanza simile alle falde detritiche, anche se gene-ralmente è costituito da frammenti di maggiori dimensioni ed assume unamorfologia più irregolare delle falde. Nel secondo caso, l’accumulo non ha l’a-spetto di un ghiaione e talora può anche essere scambiato per un comuneaffioramento di roccia in posto.Nelle Alpi grandi fenomeni di crollo o di scivolamento si sono verificati durantela fine del Pleistocene (tra 15.000 e 10.000 anni fa), quando le potenti masseglaciali che occupavano le valli alpine si sono ritirate. Questi fenomeni hannoavuto un forte impatto sull’ambiente, ad esempio sbarrando le valli tempora-neamente, ma talvolta anche definitivamente. Gli accumuli di queste franesono molto spesso ancora ben riconoscibili, si pensi ad esempio ai Lavini diMarco in Val d’Adige o alle Masiere di Vedana nei pressi di Belluno. Questegrandi frane rappresentano degli enormi ghiaioni, anche se con caratteristicheun po’ differenti rispetto alle falde detritiche. Ad esempio, su alcuni di questi

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La franosità delle pareti rocciose intensamente fratturate è all’origine di depositi detritici non classati

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24 25accumuli l’alterazione prolungata del detrito ha portato alla formazione di suo-li, favorendo quindi una presenza stabile della vegetazione.Un’altra tipologia di frana che dà luogo alla formazione di ghiaioni sono lecolate detritiche. Nelle colate, il materiale detritico è mobilizzato non solo acausa della forza di gravità, ma anche per la presenza d’acqua. Sono feno-meni che si verificano in seguito ad eventi meteorici intensi, anche di brevedurata (alcune decine di minuti di forte pioggia sono sufficienti per innescarequesti processi). Le colate detritiche che formano dei ghiaioni sono general-mente quelle che prendono origine dalle falde detritiche o da depositi di fra-na. In altre parole queste colate non fanno altro che rimettere in movimento e,quindi, trasportare più a valle materiale precedentemente staccatosi o frana-to dal versante. Nelle parti più basse dei versanti, o comunque quando il flus-so della colata trova una condizione topografica favorevole per espandersilateralmente, si formano dei conoidi. Un bell’esempio di questo tipo di conoi-di, soprattutto per le sue ragguardevoli dimensioni, è quello dei Rivoli Bianchidi Tolmezzo (Alpi Carniche).

Depositi glaciali. Un’altra tipologia di ghiaioni si rinviene alle quote più alte dellacatena alpina (molto più raramente in quella appenninica). Si tratta dei detrititrasportati e depositati dai ghiacciai. Le zone delle Alpi italiane con maggior svi-luppo di ghiacciai sono il Massiccio del Monte Bianco, il gruppo dell’Ortles-Cevedale ed il gruppo dell’Adamello-Presanella. I ghiacciai sono un grande

nastro trasportatore in grado di prendere in carico frammenti rocciosi delle piùsvariate dimensioni, da enormi massi a sedimenti fini come il limo e l’argilla. Ilmateriale preso in carico viene quindi depositato con modalità differenti, adesempio lungo i fianchi del ghiacciaio, alla sua base o nella zona frontale. Nonsempre i detriti depositati da un ghiacciaio hanno l’aspetto di un ghiaione, inparticolare quando è presente molto materiale fine. In altri casi i depositi e leforme glaciali assumono l’aspetto tipico di un ghiaione. Ad esempio, possonoassumere tale aspetto le morene laterali, dossi allungati che si formano lungo ifianchi della massa di ghiaccio. Il materiale che costituisce queste morene pro-viene dai versanti, spesso deriva da una falda detritica e dalla parte sommitaledel ghiacciaio, ossia si tratta di frammenti che coprono il ghiacciaio e che cado-no lateralmente. Questi dossi allungati, con fianchi generalmente molto ripidi, sirinvengono non solo in corrispondenza delle masse di ghiaccio, ma anche più avalle, ad una certa distanza (fino ad alcuni chilometri) dall’attuale fronte delghiacciaio. Queste morene a quote più basse sono state deposte nel corso del-la Piccola Età Glaciale, la fase di espansione dei ghiacciai avvenuta tra il XVIsecolo e la prima metà del XIX secolo. Le morene della Piccola Età Glacialesono forme molto fresche, ghiaioni ripidi con scarsa colonizzazione da partedella vegetazione, a differenza delle morene più vecchie, quelle pleistoceniche,che hanno una morfologia più dolce ed una copertura vegetale.

Rock glacier. In alta montagna, dove intensi sono i cosiddetti processi perigla-ciali, hanno una certa diffusione i rock glacier, in italiano pietraie semoventi oghiacciai di pietre. Si tratta di forme lobate, con lunghezza da alcune decine dimetri fino a qualche chilometro, che terminano con una fronte ripida. Il materia-le contenuto nei rock glacier deriva generalmente da falde detritiche o da depo-siti glaciali. È quindi comune osservare la seguente associazione di forme:parete rocciosa - falda detritica - rock glacier. La superficie di un rock glacier èpiuttosto irregolare, presenta contropendenze, solchi ed ondulazioni. Materialeanche molto grossolano si deposita in superficie, mentre i frammenti più fini siritrovano in profondità. Queste forme sono particolari non solo perché hannocaratteristiche morfologiche ben precise, ma anche perché al loro interno con-tengono del ghiaccio. Questo può derivare dal progressivo scioglimento di unghiacciaio, che nel tempo è stato coperto da detriti, oppure dal congelamentodelle acque percolanti. La presenza del ghiaccio fa sì che il rock glacier acquistiun movimento plastico, dovuto sia alle deformazioni del ghiaccio che alla pre-senza di acqua alla base dell’accumulo. Si tratta comunque di movimenti lenti:per le forme più veloci sono state stimate velocità di circa un metro all’anno.L’attività di un rock glacier termina quando il ghiaccio al suo interno si scioglie.Le evidenze di una inattività sono una morfologia complessiva più depressa (ilrock glacier appare più “sgonfio”) e la presenza di vegetazione.Esempio di rock glacier, una forma molto frequente nelle Alpi ad alta quota

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■ La vita vegetale sulle rupi

L’ambiente delle rupi è certamente unodei più sfavorevoli alla vita vegetale,tuttavia il numero di organismi che rie-sce a sopravvivere in questo tipo dihabitat è sorprendentemente elevatoin termini di variabilità di forme e digruppi sistematici. Sulle rupi possonovivere, infatti, alghe, licheni, briofite,felci e numerose angiosperme. La diversità vegetale è particolarmenteelevata negli ambienti rocciosi di mon-tagna, soprattutto sulle pareti oltre illimite della vegetazione arborea, maanche in corrispondenza degli affiora-menti situati a quote inferiori, che deli-mitano le forre tipiche di molte vallidelle Prealpi e degli Appennini. Dalpunto di vista fitogeografico questiultimi ambienti rivestono un’importanza che in molti casi è persino superiore aquella dei corrispondenti habitat d’alta quota. La ragione va ricercata nel fattoche essi hanno svolto, durante le glaciazioni, la funzione di habitat-rifugio,consentendo la conservazione fino ad oggi di specie vegetali molto antiche.Le numerose entità che colonizzano stabilmente le rupi occupano microam-bienti loro propri, contraendo con la parete rocciosa un rapporto più o meno“intimo”, in ragione soprattutto delle modalità di crescita caratteristiche delgruppo sistematico di appartenenza. Per questo motivo non è possibile individuare parametri ambientali limitanticomuni a tutte le categorie di organismi vegetali rupicoli. Risulterà più agevolescoprire le particolarità dell’ambiente delle pareti rocciose e le modalità concui esso condiziona la vita vegetale passando in rassegna i gruppi di organi-smi che vivono, crescono e si riproducono in questo habitat apparentementeomogeneo, ma in realtà così particolare e diversificato.

27Flora e vegetazioneMARCELLO TOMASELLI

Sassifraga gialla (Saxifraga aizoides) ecampanula dei ghiaioni (Campanulacochleariifolia)

Vesicaria maggiore (Alyssoides utriculata) ed efedra nebrodense (Ephedra major)

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2928 Aphanothece e Trentepohlia) si comportano da endolitofite, riuscendo a pene-trare all’interno della parete rocciosa, sia pure per la profondità di solo qualchemillimetro. Questo è possibile perché le alghe riescono a sciogliere la roccia,liberando anidride carbonica con la respirazione e trasformando così il carbo-nato di calcio insolubile in bicarbonato solubile. In questo modo le alghe siscavano microscopiche nicchie nella parete, avviando il processo di carsifica-zione epigea delle superfici rocciose carbonatiche (fenomeno del fitocarsi-smo). Alcune alghe endolitiche riescono a tollerare l’eccesso di calcio deposi-tandolo sotto forma di cristalli di carbonato nella guaina mucillaginosa cheavvolge le loro cellule.

I licheni epilitici. Alcune alghe epilitiche appartenenti alle divisioni delle cia-nobatteriofite e delle clorofite sono incapaci di colonizzare da sole le super-fici rocciose, riuscendo a farlo soltanto se coinvolte in una stretta interazionestrutturale e funzionale con una specie fungina. Il risultato di questa intera-zione, peraltro frequente in natura anche in altri tipi di habitat, prende il nomedi simbiosi lichenica e gli organismi che derivano stabilmente da questastretta consociazione sono denominati licheni. L’alga costituisce il partnerdella simbiosi lichenica capace di utilizzare la luce come fonte di energia, ilcosiddetto ficobionte, mentre il fungo ne rappresenta la componente, deno-minata micobionte, che utilizza come risorse energetiche le sostanze organi-che prodotte dall’alga.

■ Alghe e licheni

Le alghe epilitiche. Le alghe capaci dicrescere e riprodursi sulle rocce e per-ciò definite genericamente epilitichenon sono molto numerose ed appar-tengono a tre gruppi sistematici princi-pali. Il primo, che è anche quello piùnumeroso, comprende le alghe proca-riote appartenenti alla divisione dellecianobatteriofite, note anche con inomi di cianobatteri, cianoficee oalghe azzurre. Il secondo ed il terzogruppo sono costituiti da alghe euca-

riote rispettivamente appartenenti alle divisioni delle clorofite, le cosiddettealghe verdi, e delle bacillariofite o diatomee. Tra le cianobatteriofite le specie epilitiche più frequenti appartengono ai gene-ri Gloeocapsa, Scytonema, Stigonema, Calothrix e Nostoc. Tra le clorofite ungenere che include specie epilitiche è Trentepohlia, mentre tra le bacillariofiteentità epilitiche si rinvengono nei generi Tabellaria e Melosira. A differenza degli altri vegetali litofili, le alghe sono capaci di crescere sullaroccia nuda e compatta assolutamente priva delle pur minime fessure, ade-rendo direttamente alla superficie rocciosa (alghe esolitofile), oppure riuscen-do a penetrare all’interno della roccia stessa (alghe endolitofile). Le alghe epilitiche si possono rinvenire su ogni tipo di substrato roccioso.Alcune specie appaiono legate alle rocce silicee (Gloeocapsa ralfsiana), men-tre altre sono esclusive delle rocce carbonatiche (Gloeocapsa sanguinea).Determinante perché un’alga epilitica possa colonizzare una rupe è la presen-za di uno scorrimento di acqua sulla superficie rocciosa. Lo scorrimento sideve mantenere per un periodo di almeno qualche settimana, consentendocosì all’alga di completare il proprio ciclo vitale. Queste condizioni si verificanopiù facilmente sui versanti rocciosi esposti a Nord. Durante il periodo di cre-scita le cianofite epilitiche assumono un colore rossastro o verde-azzurro.Quando lo scorrimento dell’acqua è cessato e l’alga si disidrata, passando aduna condizione di vita latente, il colore del suo tallo si fa più scuro e la sua pre-senza è indicata da strisce verticali di colore nero-bluastro che solcano laparete in corrispondenza della linea di stillicidio (le cosiddette strisce d’inchio-stro). Alcune cianoficee riescono a colonizzare le pareti esposte a Sud perché,oltre alla disidratazione, riescono a sopportare anche le notevoli escursionitermiche circadiane che caratterizzano questi versanti.Sui substrati carbonatici alcune cianobatteriofite e clorofite (Gloeocapsa,

La clorofita Trentepohlia sp. (200x)

Licheni rupicoli

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31I licheni epilitici appartengono per lamassima parte al tipo morfologico deilicheni crostosi e, in parte minore, aquello dei licheni fogliosi. Le denomi-nazioni fanno riferimento all’aspettoesteriore del lichene. I licheni crostosi sipresentano come sottili croste di formae dimensione variabile che aderisconointimamente al substrato con tutta lapagina inferiore del loro tallo e presen-tano un accrescimento lentissimo. Ilicheni fogliosi hanno tallo laminare, piùo meno lobato, che aderisce al sub-strato in più punti tramite cordoni di ifedi ancoraggio denominate rizine. A differenza delle alghe epilitiche, ilicheni che colonizzano le pareti roc-ciose non si limitano a prendere con-tatto con la superficie nuda della roc-

cia formandovi una patina, ma penetrano all’interno delle sottilissime e micro-scopiche fessure presenti nella struttura rocciosa con il fitto intrico delle lororizine, riuscendo, in questo modo, ad ancorarvisi molto saldamente. La con-nessione è talmente stretta che è praticamente impossibile staccare con lemani il lichene dalla base di appoggio sulla roccia. Per asportarlo a scopo distudio i lichenologi sono costretti a far uso di un martello da geologo. Le specie licheniche epilitiche sono abbastanza numerose, anche se un censi-mento esauriente in merito non è stato ancora eseguito. Tra i licheni crostosi leentità epilitiche si concentrano nell’ordine delle lecanorali con i generi Rhizo-carpon, Lecidea, Lecanora, Protoblastenia, Caloplaca, Umbilicaria e Acaro-spora e nell’ordine delle verrucariali con i generi Verrucaria, Polyblastia, Stau-rothele e Thelidium.La maggior parte dei licheni crostosi, per quanto intimamente aderenti allaroccia, sono esolitofite (non penetrano cioè oltre lo strato superficiale). Sol-tanto sulle rocce carbonatiche si possono rinvenire licheni che, capaci didissolvere il carbonato di calcio mediante secrezioni acide, riescono a sca-varsi una piccola nicchia al di sotto della superficie rocciosa, da cui sporgesoltanto il corpo fruttifero del micobionte. Questi licheni crostosi vengonoperciò definiti interni o endolitici. A titolo di esempio citiamo le speciePetractis clausa, Protoblastenia immersa e Staurothele immersa, i cui nomialludono chiaramente alla loro collocazione endolitica. I licheni sono tra lepoche forme di vita che si spingono fino alle massime latitudini ed alle quo-

te più elevate, in condizioni ambienta-li caratterizzate da temperature estre-mamente rigide e da periodi di ariditàprolungati determinati dal persisteredell’acqua allo stato di ghiaccio.Alcune specie licheniche sopravvivonoa temperature fino a -196°C senzasubire danni particolari e possono assi-milare anidride carbonica fino a -24°C.Per alcuni di esse l’optimum di tempe-ratura per la fotosintesi è compreso tra0 e -10°C. Per questa loro grandecapacità di adattamento alle bassetemperature i licheni sono tra i pochiorganismi che si possono incontraresulle rocce della fascia nivale.I licheni rupicoli coprono le superficirocciose per estensioni variabili e con-tinue, spesso formando comunità ofitocenosi chiuse, in cui sono presenti esclusivamente specie appartenenti aquesto particolare tipo di organismi. Si parla in proposito di una vegetazionelichenica rupicola, che è stata studiata e classificata secondo i principi ed imetodi della fitosociologia classica. Nella classificazione della vegetazione lichenica vengono riconosciute dueclassi principali. Si tratta della classe Protoblastenietea immersae, che com-prende le comunità formate dai licheni crostosi che colonizzano le rocce car-bonatiche, e della classe Rhizocarpetea geographicae, alla quale si attribui-scono le cenosi licheniche insediate sulle rocce silicee. I livelli gerarchici dellaclassificazione immediatamente inferiori (ordini, alleanze) sono differenziati siain base alla composizione floristica, che alla modalità di crescita sulla parete(esolitica o endolitica) e alla relativa forma (crostosa o fogliosa). Determinanteper l’articolazione della gerarchia delle forme di vegetazione lichenica è ancheun parametro ecologico quale il grado di umidità della roccia.

Le briofite epilitiche. Sia i muschi che le epatiche, in una parola le briofite, siadattano abbastanza bene a crescere sulle rupi. Lo dimostra il numero dellespecie di briofite rupicole, che è tutto sommato abbastanza ragguardevole edè distribuito su più famiglie. Tra i muschi, la classe più ricca in specie della divi-sione delle briofite, gli ordini che hanno la più alta concentrazione di entitàrupicole sono quelli delle grimmiali (con i generi Grimmia, Racomitrium, Schi-stidium ed altri) e delle pottiali (con i generi Tortella e Tortula). Nella famiglia

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Protoblastenia incrustans Rhizocarpon geographicum

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andreacee l’unico genere presente(Andreaea) è costituito integralmenteda specie rupicole. Tra le epatichediversi sono i generi che annoveranospecie che vivono su rocce general-mente ombreggiate o comunque umi-de. Tra questi Preissia, Pellia, Metzge-ria, Marsupella ed altri.Le briofite prendono contatto con lasuperficie della parete rocciosa secon-do tre distinte modalità. Alcune speciesi attaccano attivamente e strettamen-te alla roccia compatta attraverso il fit-to feltro dei loro rizoidi, con una moda-lità molto simile a quella adottata dai licheni crostosi epilitici. Altre briofiterichiedono la presenza di fessure, anche sottili, che interrompono la continuitàdella parete. La parte basale del cuscinetto muscinale che comprende i rizoidisi insinua nella fessura e consente l’ancoraggio del muschio. Questa modalitàdi contatto caratterizza i muschi cosiddetti casmofili e, come vedremo piùavanti, sarà sviluppata e perfezionata dalle piante superiori. Vi è, infine, unconsistente gruppo di briofite che si fissa alla roccia attraverso l’intermedia-zione di una sia pur minima intercapedine di materiale detritico, che si deposi-ta nei piccoli ripiani della parete.All’inizio della colonizzazione l’apporto di questo materiale deriva dalla cadutalungo la parete di frammenti rocciosi provenienti dall’alto, o da polveri sospin-te dal vento. Solo in un secondo tempo, quando il cuscinetto si è formato estabilmente insediato, esso stesso può direttamente contribuire alla disgrega-zione del substrato, producendo ulteriore detrito. A mano a mano che l’inse-diamento procede e il cuscinetto cresce in dimensioni, si accumula anchesostanza organica in lenta decomposizione, derivante dalle parti morte delcuscinetto stesso. Le briofite che si costruiscono in questo modo la loro nic-chia sulle rupi vengono definite comofile.Per quanto riguarda i parametri ecologici che condizionano la vita delle briofi-te sulle rocce dobbiamo considerare, in primo luogo, il chimismo della matricelitologica. Anche tra le briofite si conoscono, infatti, specie rupicole acidofile,ad esempio le specie dei generi Andreaea e Grimmia ed il muschio a cuscinet-to Oreas martiana. Sono presenti anche specie che prediligono i substratibasici quali, ad esempio, Hypnum dolomiticum e Barbula bicolor. Importante è anche il grado di insolazione, che condiziona la temperatura e,indirettamente, la disponibilità idrica, a sua volta dipendente dalla naturadel substrato e dall’inclinazione. Alcune briofite sono decisamente sciafile

33Grimmia, un genere di muschi epilitici Alessandro Petraglia

Il genere Grimmia esemplifica moltobene i muschi epilitici. Comprende cir-ca 150 specie (41 in Europa, 33 in Ita-lia), presenti prevalentemente nellezone con clima temperato, ma anche inAlaska, Terra del Fuoco, Siberia e nellearee montuose delle regioni tropicalidell’Indonesia e dell’Africa Centrale.La forma di crescita, sebbene spessocaratteristica, non è strettamente deter-minata su base genetica e può dipen-dere dal tipo di substrato, dall’ombreg-giamento, dall’umidità dell’aria e dall’e-sposizione. È infatti possibile che spe-cie che normalmente formano pulviniemisferici (G. alpestris, G. montana)possano presentarsi quali ciuf-fi sparsi in corrispondenzadi crepe e fessure nellerocce, o che speciecome G. ovalis, tipica-mente rinvenute inciuffi sparsi, densi enerastri nelle fessuredelle rocce esposte aSud, possano formarepulvini lassi di coloreverde su rocce umideesposte a Nord.Ad eccezione di G. pitardii,che si sviluppa sul suolo, tutte le spe-cie europee appartenenti a questogenere crescono su rocce di varianatura, acide (G. montana, G.alpestris) o basiche (G. tergestina, G.anodon, G. crinita). In generale le spe-cie che amano substrati basici preferi-scono habitat caldi e secchi, mentre lespecie acidofile prediligono habitatfreddi con elevata umidità dell’aria.Questi muschi possono presentarsi inun ampio spettro di colori, che per lespecie europee può variare dal blu-verde di G. alpestris e G. caespiticia, alrosso-bruno di G. torquata e G. tereti-nervis, al quasi-nero di G. pitardii, G.sessitana e G. atrata. In generale c’èuna relazione tra il colore del muschio

e la quantità di radiazione solare rice-vuta; infatti i cuscinetti dei muschi checrescono in habitat esposti sono nor-malmente più gialli o bruni o, talvolta,tendenti al blu, mentre quelli inambienti più ombreggiati tendono alverde scuro.Una delle strutture più caratteristichedi Grimmia è il pelo bianco che si origi-na a partire dalla punta della foglia. Ilpelo ha la funzione fondamentale diridurre l’evaporazione nei periodi sec-chi, di catturare rugiada, umidità e par-ticelle di polvere e, quindi, ha un chiarovalore funzionale per le specie chevivono in habitat secchi ed esposti. È

possibile che, anche all’internodella stessa specie, in habi-

tat leggermente diversi visiano forme con il pelo esenza il pelo e, addirit-tura, si possono rinve-nire differenti formedella stessa specieche, nello stessoambiente, sviluppano

un pelo estremamenteridotto o un pelo molto

lungo. In specie come G.arenaria, G. curviseta e G. crini-

ta, che colonizzano ambienti soleggiatied aridi, il pelo apicale può essere piùlungo della lamina fogliare.Sulla base della distribuzione geografi-ca e della rarità degli habitat, settesono le specie appartenenti al genereGrimmia note per l’Italia che necessita-no di attenzione e protezione. G. apicu-lata, G. limprichtii e G. teretinervis sirinvengono solo in aree alpine e sonovulnerabili a causa dell’inquinamentoatmosferico e della riduzione deglihabitat idonei allo sviluppo, G. anoma-la, G. arenaria e G. atrata sono note perpoche stazioni e in habitat vulnerabili,mentre G. pilosissima è una rara speciedelle montagne mediterranee nota, inItalia, solo per la Sardegna.

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Tortella tortuosa

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(cioè prediligono pareti ombreggiate,più fredde ed umide) e riescono avivere con un’intensità luminosaminore rispetto alle fanerogame,penetrando in nicchie profonde edall’interno di grotte e pozzi carsici.Altre, che vivono sulle pareti roccioseesposte a Sud, riescono a resistere atemperature elevate (fino a 70°C) eda sopportare la conseguente ariditàanche per periodi prolungati (specietermo-xerofile), riducendo la propriaattività vitale fino a passare ad unacondizione di vita latente.In molti casi, le briofite assumono una caratteristica forma a cuscinetto denso,che consente di limitare le perdite di acqua e di proteggere dall’eccessivocalore le parti più interne. In alcuni casi (diverse specie del genere Grimmia) ilcuscinetto assume un colore argenteo, determinato dalle parti apicali mortedelle foglioline che riflettono i raggi luminosi e contribuiscono a limitare le per-dite traspiratorie.Analogamente a quanto già documentato per i licheni epilitici, anche le briofi-te rupicole tendono ad aggregarsi in comunità esclusivamente o prevalente-mente muscinali, classificate secondo i criteri utilizzati per la vegetazione del-le piante vascolari. Le classi di vegetazione che comprendono principalmenteassociazioni rupicole montane a briofite sono le seguenti: Racomitrietea hete-rostichi, Grimmietea anodontis e Ctenidietea mollusci.La classe Racomitrietea heterostichi comprende le associazioni particolar-mente ricche in briofite pulvinate (cioè a cuscinetto emisferico) che colonizza-no le rocce silicee nelle varie esposizioni ed in differenti condizioni di umiditàdel substrato. La classe Grimmietea anodontis comprende associazioni ter-moxerofile di muri e rocce, prevalentemente insediate su substrati carbonatici,anche a quote molto basse. Alcune associazioni appartenenti a questa classesi rinvengono, tuttavia, nella fascia montana e ricadono perciò nell’ambito diinteresse di questo Quaderno Habitat. La classe Ctenidietea mollusci com-prende invece associazioni legate ai substrati carbonatici in stazioni più fre-sche ed ombreggiate. Una posizione a parte occupa la classe Adiantetea, formata da associazioni abriofite e felci che si insediano su rupi e muri bagnati da acque di stillicidio, per-colamento e scorrimento, principalmente su substrati carbonatici. La classe èdiffusa nella regione mediterranea e quindi quasi esclusivamente nell’Italia cen-trale e meridionale, dove si rinviene principalmente in ambienti di forra.

35Briofite e pteridofite sulle pareti umide Alessandro Petraglia

Gli aspetti vegetazionali dominati dabriofite e pteridofite, legati a pareti più omeno umide interessate in genere dapercolamento di acqua o stillicidi, ven-gono riuniti nella classe fitosociologicaAdiantetea. Le acque che bagnanoqueste rupi sono generalmente ricchein carbonati che favoriscono la forma-zione di caratteristici depositi tufacei.Su questi depositi si insedia un denso ecompatto strato briofitico dal qualeemergono le fronde di varie pteridofite,fra cui soprattutto frequente è il capel-venere (Adiantum capillus-veneris).Questa vegetazione si sviluppa soprat-tutto nella regione mediterranea, aquote relativamente modeste, con pre-dilezione per gli ambienti di forra. Aquote più elevate la classe Adianteteaviene sostituita dalla classe Montio-Cardaminetea, con associazioni adat-tate a condizioni ambientali più rigide.Le associazioni della classe Adianteteasostituiscono su pareti più o meno umi-de quelle prettamente casmofile dellaclasse Asplenietea trichomanis, legate acondizioni di maggiore aridità. Tra lespecie tipiche della classe Adiantetea,oltre al capelvenere, frequenti sono leepatiche talloidi Preissia quadrata,Conocephalum conicum e Pellia endi-viifolia ed i muschi Eucladium verticilla-tum e Hymenostylium recurvirostre.Alcune associazioni della classe cre-scono su rupi calde e soleggiate. Essesono caratterizzate da muschi comeEucladium verticillatum, Hymenosty-lium recurvirostre e Didymodon topha-ceus e risultano tipicamente legate asuperfici verticali o fortemente inclinateinteressate da percolamento di acquefreatiche povere di nutrienti, o da scor-rimento di acque ricche in carbonati.Esse possono essere rinvenute sia susubstrati carbonatici che silicei e, tal-volta, possono tollerare abbastanzabene un disseccamento estivo ancheprolungato.

Altre associazioni della classe cresconosu pareti rocciose di natura scistosa,molto ombreggiate e localizzate instrette forre, percorse da acque perco-lanti oppure situate in prossimità dicascate. Su queste pareti, che riman-gono bagnate anche durante le estatipiù aride, si insediano lussureggiantivegetazioni igrofile a briofite e pteridofi-te, dominate, su pareti a reazione aci-da, dalla felce regale (Osmunda regalis)e, su pareti a reazione neutra o debol-mente basica, dalla felce bulbifera(Woodwardia radicans). Questa felcearborea a distribuzione subtropicalemontana, nota in Italia per poche sta-zioni in Sicilia, Calabria e Campania, èestremamente rara nella regione medi-terranea, dove si rinviene esclusiva-mente nelle forre umide. Woodwardiaradicans, protetta dalle convenzioniinternazionali ed inserita nella ListaRossa delle piante d’Italia, assume ilsignificato di relitto della flora tropicaleche nel Terziario era presente negliattuali territori mediterranei.

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Capelvenere (Adiantum capillus-veneris)

Barbula crocea

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■ Le piante superiori

Numerose sono le specie di felci e di angiosperme capaci di colonizzare lepareti rocciose nelle più svariate condizioni microambientali. Per questa ragio-ne ad esse sarà dedicata la parte più cospicua della presente trattazione. Labiodiversità vegetale delle rupi in termini di piante vascolari non dipende sol-tanto dai gradienti ambientali relativi a insolazione, temperatura, disponibilitàidrica e di nutrienti, in altre parole dal variare delle condizioni microclimatiche edi substrato, ma anche dalla capacità che questi ambienti hanno di conserva-re le tracce del popolamento vegetale di epoche passate, funzionando dahabitat rifugio, specialmente nelle fasce altitudinali inferiori. Esamineremo in primo luogo le variazioni delle condizioni dell’ambiente rupi-colo in quegli aspetti che più direttamente condizionano la vita delle piantevascolari e, successivamente, accenneremo all’importanza delle rupi comehabitat a carattere rifugiale.

Le piante e l’ambiente delle rupi. Solo le piante provviste di tessuti (piantevascolari) sono dotate di un vero e proprio apparato radicale, cioè di un dispo-sitivo strutturale destinato a svolgere sia la funzione di ancoraggio al substra-to, sia quella di assorbimento dei nutrienti minerali presenti nelle soluzioni cir-colanti nel suolo. Mentre la prima funzione era efficacemente svolta sia dallerizine dei licheni epilitici ed endolitici, sia dai rizoidi delle briofite rupicole, lanutrizione per assorbimento radicale direttamente dal substrato costituisceun’acquisizione delle piante vascolari. Essa sostituisce lo sfruttamento del-l’apporto di minerali veicolato dallo scorrimento di acqua lungo la parete o dalpulviscolo atmosferico, tipico delle piante inferiori. Le caratteristiche fisichedella parete rocciosa, intese nel senso della sua morfologia di dettaglio, diven-gono perciò estremamente importanti nel condizionare la diversità e le condi-zioni di vita delle piante vascolari rupicole, in quanto da esse dipende la pos-sibilità di ancoraggio per l’apparato radicale. Altrettanto importante risulta lamatrice litologica della rupe, da cui essenzialmente dipende la nutrizioneminerale della pianta vascolare.Le piante tipiche delle rupi crescono su pareti rocciose verticali o subvertica-li, con inclinazioni che possono raggiungere e perfino superare i 90° nellestrutture strapiombanti. La verticalità delle pareti si accompagna ad un com-plesso di condizioni microclimatiche, che esamineremo in dettaglio più avan-ti, tali da richiedere uno specifico adattamento da parte delle piante vascola-ri e che favorisce pertanto la selezione di vegetali specializzati. Se l’inclina-zione è inferiore, l’ambiente diviene in certo qual modo più permissivo, con-sentendo anche l’insediamento di specie vascolari non specializzate pervivere in questo tipo di habitat.

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Gruppo del Vescovo (Pontremoli, Appennino Tosco-Emiliano)

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39Le piante vascolari non riescono tuttavia a sopravvivere su pareti verticali com-patte, che non offrono appigli per l’ancoraggio e risultano, di conseguenza,impenetrabili per il loro apparato radicale. Per lo sviluppo di una flora rupicola ènecessario che la parete rocciosa offra, almeno in alcune sue parti, un certonumero di appigli, sporgenze o fessure, anche se di scarsa profondità, larghez-za ed estensione. Questa condizione si verifica più facilmente sulle rocce carbo-natiche, dove l’azione di dissolvimento esercitata dallo scorrimento idrico super-ficiale si somma a quella degli agenti meteorici che, attraverso variazioni di tem-peratura e ripetuti cicli circadiani di gelo-disgelo, determinano l’alterazionesuperficiale delle rocce. Per questa ragione le pareti verticali delle rupi calcareesono, generalmente, le più ricche in flora vascolare e, nel momento dell’anno piùfavorevole, possono apparire come autentici giardini rocciosi naturali.La natura chimica della roccia condiziona la diversità vegetale non solo indi-rettamente, attraverso le variazioni della sua morfologia, ma anche e piùprofondamente, influenzando la qualità e quantità dei nutrienti minerali residisponibili per l’assorbimento radicale. La distinzione tra la flora delle rupi car-bonatiche e quella delle rupi silicee non è soltanto quantitativa, non si basacioè solo sulla maggiore o minore ricchezza in specie, ma è soprattutto di tipoqualitativo. La flora delle rupi calcaree, in altri termini, è costituita da speciediverse da quelle che costituiscono la flora delle rocce silicee. Una delle ragioni che spiegano questa diversità è data dalla quantità di calcio,elemento che costituisce un nutriente fondamentale per le piante, particolar-mente abbondante nelle minime quantità di suolo che si formano nelle fessuree sugli appigli delle rupi carbonatiche e assente, o quasi del tutto assente, neimicroambienti corrispondenti sulle rupi silicee. Per queste ragioni le pianterupicole delle rupi carbonatiche sono definite calcicole, cioè amanti del calcio.In termini ecologici questo significa che esse hanno la capacità di utilizzare almeglio (o di tollerare, quando eccessive) le elevate quantità di calcio resedisponibili nel suolo per l’assorbimento radicale. I suoli ricchi in calcio hannouna reazione neutra o basica; per questa ragione le specie calcicole sonoanche dette basifile. Le piante rupicole silicicole sono, invece, calcifughe, cioèadattate alla presenza, nel suolo, di una minima quantità di calcio e incapaci disopportarne l’eccesso. I suoli poveri in calcio hanno reazione acida e perciò lepiante calcifughe sono anche dette acidofile.La reazione basica del suolo comporta precise conseguenze a livello delladisponibilità di nutrienti minerali indispensabili per le piante. Nei suoli basici,infatti, fosforo, ferro e manganese sono per lo più fissati in composti insolubilie perciò meno disponibili per la nutrizione delle piante, mentre il molibdeno èdisponibile in quantità adeguata. Nei suoli acidi alcuni elementi possono costi-tuire fattori limitanti per la crescita vegetale, perché disponibili in quantitàinsufficienti. Tra questi elementi vi sono l’azoto, che in tali suoli viene minera-

lizzato più lentamente, il fosforo, che è per la massima parte legato a ossidi diferro e di alluminio, e il molibdeno che è, in generale, meno disponibile. Altrielementi (alluminio, ferro, manganese) possono invece risultare presenti inquantità così elevate da risultare tossici per le piante. Oltre che dalla micromorfologia e dalla matrice litologica della parete rocciosa,il popolamento vegetale delle rupi è anche fortemente condizionato dai para-metri topografici, la cui variazione determina la formazione di gradienti microcli-matici che influenzano direttamente la crescita delle piante vascolari.Il primo di questi parametri è l’altitudine, al variare della quale è infatti noto chevaria anche la temperatura dell’aria. In particolare, con il crescere della quota latemperatura dell’aria diminuisce in modo regolare. Alle latitudini delle nostremontagne è stato calcolato un decremento della temperatura media annua di0.55°C per ogni 100 m di incremento in altitudine. Questo valore può superareanche 0.70°C durante l’estate, cioè nella stagione che generalmente coincidecon il periodo vegetativo delle piante di montagna. In termini ecofisiologici, latemperatura è importante per la regolazione del livello di attività del metaboli-smo della cellula vegetale, in particolare dei processi di assimilazione dell’ani-dride carbonica e, di conseguenza, della produttività della pianta vascolare. Tra le piante rupicole si annoverano sia specie euriterme, capaci cioè di vivereentro un ampio intervallo di variazione della temperatura e quindi caratterizza-te da una notevole escursione altitudinale, sia specie stenoterme, che tollera-no escursioni altitudinali e termiche limitate o molto limitate. Come esempio di

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Globularia delle Apuane (Globularia incanescens)

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durante una parte della loro stagionevegetativa. Se le rupi sono strapiom-banti, le piante che crescono su diesse, o al loro riparo, spesso sono illu-minate soltanto tramite luce diffusa,anche durante l’estate. In queste con-dizioni non vi è ovviamente alcunrischio di stress da eccesso di luce,anzi le specie in oggetto presentano gliadattamenti tipici delle piante chevegetano negli ambienti in ombra.Anche le escursioni termiche giornalie-re sono molto più contenute sulle rupisettentrionali. Durante il ciclo vegetati-vo le specie che vivono in questo habitat sono tuttavia esposte a temperatureche possono scendere al di sotto di 0°C, incorrendo comunque nello stress dafreddo, perché la temperatura delle loro soluzioni scende al di sotto del puntodi congelamento. Durante la stagione invernale questa condizione costituiscela regola, perché la mancanza o la scarsità della copertura nevosa, causata del-la verticalità della parete, fa sì che venga a mancare a queste piante la coiben-tazione termica assicurata dallo strato di neve. Per evitare lo stress durante lastagione invernale, le specie rupicole si pongono in riposo vegetativo, condi-zione in cui riescono a sopportare temperature anche molto inferiori a 0°C. Generalmente la disponibilità idrica per le piante delle rupi esposte a Nord èadeguata, nei limiti in cui, ovviamente, può esserlo in corrispondenza di unaparete verticale che ha una capacità pressoché nulla di trattenere l’acqua. Suiversanti nevosi lo scorrimento dell’acqua di fusione della neve può assicurare unadeguato rifornimento idrico per gran parte o tutta la stagione vegetativa; inoltrebisogna tener conto che nella regione alpina la stagione estiva è anche quella incui si concentrano le precipitazioni piovose. Anche la ridotta insolazione contri-buisce a far sì che le perdite idriche traspiratorie di queste piante non siano maitali da porle a rischio di stress idrico. Un’eccezione è rappresentata dalle specieche vivono in corrispondenza o al di sotto di pareti rocciose strapiombanti e cheperciò non possono essere raggiunte dall’acqua derivante dallo scioglimentodelle nevi o dalle precipitazioni. Queste specie, che vivono in condizioni “diombra di pioggia”, possono presentare in effetti alcuni adattamenti tipici dellexerofite. Un caso particolare tra le specie vascolari che vivono in ombra di piog-gia è costituito dalla sassifraga ragnatelosa (Saxifraga arachnoidea), un endemi-ta di età precedente alle glaciazioni tipico delle Alpi bresciane e trentine (Giudi-carie) caratterizzato da una pelosità densa e ragnatelosa, sulla quale si conden-sa l’umidità atmosferica, che assicura l’equilibrio del bilancio idrico.

41specie euriterma si può citare la globu-laria delle Apuane (Globularia incane-scens), che si rinviene da circa 200 mfino a 1900 m di altitudine, dalle costedella Liguria orientale fino alle vette del-le Alpi Apuane. Una delle più spettaco-lari specie stenoterme rupicole è lacampanula di Zois (Campanula zoysii),tipica delle rocce carbonatiche delleAlpi Carniche e Giulie a quote compre-se tra 1700 e 2300 m circa.A parità di micromorfologia, di naturadella matrice litologica e di altitudine,la diversità del popolamento vegetale

rupicolo è determinata da un altro fondamentale parametro topografico: l’e-sposizione. L’esposizione di una parete rocciosa è importante perché la suavariazione condiziona la quantità e la qualità della luce disponibile per le pian-te, la temperatura dell’aria e, infine, la disponibilità idrica. Per comprenderecome l’esposizione possa concorrere a determinare condizioni microambien-tali anche estremamente diverse, prendiamo in considerazione le oppostesituazioni di due pareti rocciose, una esposta a Sud ed una esposta a Nord. Durante la stagione vegetativa le rupi esposte nei quadranti meridionali sonosoggette ad una radiazione solare diretta diurna assai intensa e prolungata.Tale condizione può determinare nelle piante uno stress da eccesso di luce e,conseguentemente, mettere a rischio il funzionamento del loro apparato foto-sintetico. Inoltre, come effetto collaterale dell’elevata insolazione, si riscontraun altrettanto marcato innalzamento della temperatura della parete rocciosa,che nelle rupi oltre il limite della vegetazione arborea può raggiungere i 50°Cnelle ore di punta delle giornate estive più calde. Durante la notte la tempera-tura si abbassa sensibilmente e, alle quote più elevate, può scendere al di sot-to dello zero, anche durante i periodi più caldi dell’estate. Come risultato si hache l’escursione termica giornaliera cui può essere sottoposta una pianta rupi-cola su una parete rivolta a Sud può raggiungere i 60°C.I valori elevati di insolazione e temperatura favoriscono, d’altra parte, l’evapo-razione dallo scarso suolo presente e la traspirazione da parte delle piante,che può essere ulteriormente accresciuta per effetto dell’elevata ventosità tipi-ca degli ambienti di montagna, in particolare sulle creste ed alle quote più alte.Al rischio dello stress da eccesso di luce e di calore si aggiunge, di conse-guenza, anche il pericolo di insorgenza di uno stress idrico.Le pareti rocciose esposte nei quadranti settentrionali ricevono la radiazionesolare diretta solo per una parte ridotta della giornata e, in molti casi, solo

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Campanula di Zois (Campanula zoysii) Sassifraga ragnatelosa (Saxifraga arachnoidea)

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pice del germoglio si sviluppa in unoscapo in cima al quale si forma il fiore ol’infiorescenza (come nella sassifragaalpina, Saxifraga paniculata). In alcunicasi, compiute la fioritura e la fruttifica-zione, la pianta muore. Si parla in que-sto caso di specie monocarpiche. L’e-sempio più noto tra le piante rupicole èla sassifraga dell’Argentera (Saxifragaflorulenta).Le camefite a cuscinetto, o camefitepulvinate, presentano una precoceramificazione dell’asse del germoglio,che si sviluppa con modalità radiale(orientato cioè in tutte le direzioni). Lacrescita avviene in modo relativamenteuniforme e la fioritura si manifesta all’a-pice dei diversi rami, in modo più omeno simultaneo. A seconda della for-ma assunta dal pulvino, si distinguono,in primo luogo, le casmofite a cuscinet-to piatto (come la silene a cuscinetto,Silene acaulis), con i rami centrali piùcorti e orientati perpendicolarmentealla roccia e quelli periferici allungati etendenti ad assumere un portamentoprostrato. Quando la crescita è unifor-me in tutte le direzioni il pulvino puòassumere forma emisferica, se la suabase poggia direttamente sulla superfi-cie rocciosa, come nell’androsace emi-sferica (Androsace helvetica) o in quelladi Vandelli (A. vandellii), oppure formacompletamente sferica, quando labase è libera, perché tra il punto di irra-diazione dei rami e la radice fittonantevi è una porzione assile, allungata, delgermoglio. È questo il caso dell’andro-sace dei ghiacciai (Androsace alpina).Uno dei caratteri morfologici più fre-quenti, sia nel fusto che nelle foglie del-

4342 Forme di crescita e adattamenti.Analogamente a quanto già riportatoper le briofite, anche le specie vascola-ri radicanti nelle fessure della rocciavengono definite casmofile o, conespressione sostantivata, casmofite.Le casmofite sono specie perenni acrescita molto lenta, limitata dallascarsa disponibilità dei nutrienti reperi-bili nella poca terra fine ricca di parti-celle grossolane che si forma e sideposita sul fondo delle fessure roc-ciose. Una parte dei nutrienti provienedalla disgregazione della roccia; ilresto deriva dal riciclo della sostanzaorganica proveniente dalla decompo-sizione delle parti morte della casmofi-ta stessa, che viene mineralizzata perazione degli organismi decompositori

(batteri e funghi). Il fenomeno del riciclo è particolarmente evidente nellecasmofite pulvinate, che verranno descritte poco più avanti.Per quanto riguarda l’apparato radicale delle casmofite, esso può svilupparsientro fessure rocciose anche minime, consentendo un solido ancoraggio allaparete. Talvolta la lunghezza della radice che penetra in profondità nelle fessu-re alla ricerca dell’acqua e di nutrienti è superiore a quella della parte subaereadella pianta e, in qualche caso, può raggiungere il metro.Una volta penetrata nelle fessure sottili, la radice delle casmofite spesso assu-me, nel suo primo tratto, la forma di un cono con l’apice rivolto verso l’internodella parete rocciosa. Dall’apice del cono si irradia un ventaglio di radicisecondarie che si insinuano nelle ramificazioni laterali più sottili della fessuraprincipale. Nelle fessure più larghe e tubolari le radici secondarie hanno uncalibro maggiore e si dispongono più o meno parallele, affiancando per untratto il decorso della radice principale. Quando le fessure sono molto profon-de e sufficientemente larghe, le casmofite presentano una radice principalediritta e molto lunga.La parte subaerea di una casmofita si può sviluppare secondo due prevalentimodelli di crescita, a rosetta o a cuscinetto o pulvino. Nelle casmofite a rosettao casmofite rosulate l’asse del germoglio cresce in misura limitata e perciò glispazi compresi tra due foglie successive (internodi) risultano molto raccorciati.Le foglie sembrano di conseguenza emergere tutte dallo stesso punto delfusto, formando quella che viene definita una rosetta. All’atto della fioritura l’a-

Androsace dei ghiacciai (Androsace alpina)

Androsace di Vandelli (Androsace vandellii)

Silene a cuscinetto (Silene acaulis)

Sassifraga alpina (Saxifraga paniculata)

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ramificazioni affondano in questa limitata coltre di detriti, da cui traggononutrimento. La maggiore disponibilità di nutrienti determina, inoltre, una cre-scita più rapida e spesso più rigogliosa. Anche per queste piante vascolari siusa la denominazione di specie comofile o comofite, che abbiamo già intro-dotto a proposito delle briofite con attitudini ecologiche simili. Spesso lecomofite assumono un aspetto “a cespo”, perché l’asse centrale del germo-glio sviluppa numerosi ricacci laterali. Come esempio possiamo ricordare lafestuca delle Dolomiti (Festuca alpina), una delle poche specie rupicoleappartenenti alla famiglia delle poacee.

Aspetti fitogeografici. Le piante delle rupi non si limitano a costituire dei“modelli sperimentali” di come gli organismi vegetali possano adattarsi asopravvivere in un ambiente estremamente severo, ma ci forniscono ancheinformazioni di tipo retrospettivo sulla storia del popolamento vegetale dellenostre montagne conservando, per così dire, la memoria genetica del territoriogeografico di loro pertinenza. Questo vale soprattutto per le piante vascolariche colonizzano le pareti rocciose dei fondovalle e delle gole delle Alpi e dellePrealpi meridionali e quelle di gran parte delle montagne appenniniche (dalleAlpi Apuane fino alla Calabria), nonché di tutte le montagne insulari. In questestazioni, infatti, si conservano specie molto antiche, alcune delle quali nonassomigliano a nessun’altra pianta attualmente vivente e sono perciò del tuttoisolate dal punto di vista sistematico.La ragione della maggiore “anzianità media” e dell’isolamento sistematico del-la flora rupicola, a mano a mano che si procede dalle Alpi verso i rilievi insula-ri, si spiega con l’incidenza che le glaciazioni hanno avuto sulla flora dellenostre montagne. Tale incidenza ha avuto come effetto principale, ma nonesclusivo, quello di determinare un impoverimento floristico, provocando l’e-stinzione di molte specie. Il processo è stato più forte sulle Alpi che sui sistemimontuosi più meridionali, proprio perché questo imponente sistema montuosoè stato più marcatamente interessato dalle glaciazioni.La copertura glaciale non è stata tuttavia uniforme su tutte le Alpi. Nelle areemarginali delle Alpi sudoccidentali e in tutte le Alpi sudorientali, dal Lago diComo fino alle Prealpi Giulie, i rilievi sono stati interessati dal fenomeno gla-ciale solo in modo limitato. Questa ridotta incidenza non è dimostrata soltantoda dati paleogeografici e paleoclimatici, ma è anche supportata da numeroseprove biogeografiche, tra cui l’elevata concentrazione di paleoendemiti in que-ste aree. I paleoendemiti sono specie di origine anteriore alle glaciazioni conpatrimonio genetico diploide o più frequentemente poliploide, la cui distribu-zione si concentra in aree geografiche ristrette. Molti dei paleoendemiti alpinisono specie rupicole, prive di plasticità genetica e di potenzialità adattativa,sopravvissute fino ai nostri giorni sulle pareti rocciose, perché ivi sottratte alla

4544 le casmofite, è l’elevata pelosità. La presenza di una copertura di peli può rap-presentare una forma di adattamento nei confronti di molteplici fattori. Per lepiante che vivono sulle rupi esposte nei quadranti meridionali, la copertura pili-fera ha valore protettivo nei confronti dell’eccesso di radiazione incidente e delsurriscaldamento. In queste specie il rischio di stress da disidratazione è evi-tato attraverso lo sviluppo di particolari tessuti con funzione di riserva idrica,denominati parenchimi acquiferi. La presenza di questi tessuti conferisce allefoglie ed ai fusti di queste specie una caratteristica carnosità o succulenza. Lasucculenza caulinare e/o fogliare si riscontra soprattutto nella famiglia dellecrassulacee, in particolare nei generi Jovibarba, Sedum e Sempervivum.Una densa copertura pilifera si riscontra anche in molte tra le specie che vivo-no sulle rupi esposte nei quadranti settentrionali. In questo caso la funzioneprotettiva è soprattutto rivolta ad evitare il congelamento della parte subaereadella pianta quando la temperatura esterna scende al di sotto del punto dicongelamento dei tessuti.Non tutte le piante che crescono sulle rupi riescono a sviluppare una radicecapace di esplorare in profondità le fessure della roccia; inoltre, le loro esi-genze nutritive possono essere decisamente superiori a quelle di una comu-ne casmofita. Queste piante riescono a colonizzare una parete rocciosa solose i loro semi germinano in corrispondenza di ripiani, cenge e terrazzi anchedi limitata estensione, dove si è formata una copertura di detriti fini ai qualipossono ancorarsi. L’apparato radicale è molto ramificato e le sue sottili

Semprevivo ragnateloso (Sempervivum arachnoideum)

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pressione competitiva di altre specie più esigenti dal punto di vista nutriziona-le e sfuggite alla generale antropizzazione del territorio. Oltre che sulle catenemarginali le specie terziarie sono sopravvissute su isole e picchi rocciosi emer-genti dai ghiacci, denominati nunatakker. Il valore conservativo delle pareti rocciose della fascia collinare e montana nonsi estrinseca soltanto in dimensione retrospettiva, ma anche in chiave attuali-stica. Questo avviene quando le rupi delimitano forre e gole o valli strette edincassate, caratterizzate da condizioni microclimatiche marcatamente piùfredde ed umide di quelle che si riscontrano alla stessa quota al di fuori di que-sti ambienti. Tali condizioni consentono l’insediamento e la persistenza a bas-sa quota di specie rupicole che hanno il loro baricentro distributivo ad altitudi-ni più elevate. Il fenomeno caratterizzato dalla discesa di specie alpine a quo-te più basse, dove vengono conservate in habitat rifugio, prende il nome didealpinizzazione.

Le felci delle rupi. Le felci che vivono sulle rupi delle montagne italiane nonsono molto numerose. La famiglia che annovera il maggior numero di specierupicole è quella delle aspleniacee, con i generi Asplenium e Ceterach. Altrigeneri che annoverano specie strettamente rupicole sono Cystopteris (atiria-cee) e Woodsia (woodsiacee). Le specie di questi generi raggiungono la fascianivale. Anche i generi Adiantum (adiantacee) e Notholaena (sinopteridacee)comprendono specie rupicole che tuttavia non oltrepassano la fascia montana.

46 Alcune felci rupicole sono termofile. Tra queste ricordiamo la felcetta lanosa(Notholaena marantae), che cresce principalmente su rupi serpentinose fino a1400 m di quota ed il capelvenere (Adiantum capillus-veneris), che colonizzapareti rocciose carbonatiche umide o stillicidiose e che non supera i 1500 mdi altitudine. Tra le aspleniacee, la cedracca comune (Ceterach officinarum),pur prediligendo il calcare, cresce su tutti i tipi di substrato, fino a 2000 m,con preferenza per i versanti meridionali. Il genere Asplenium comprendenumerose specie rupicole. Alcune sono esclusive o preferenziali di pareti roc-ciose carbonatiche (calcari o dolomie); tra queste l’asplenio grazioso (Asple-nium lepidum), che predilige stazioni ombreggiate e talora moderatamentestillicidiose, l’asplenio ruta di muro (Asplenium ruta-muraria), la specie a piùampia distribuzione, che può raggiungere i 2900 m di quota, l’asplenio delleDolomiti (Asplenium seelosii), con distribuzione limitata alle rupi calcareeombreggiate delle Alpi centrali ed orientali, l’asplenio delle fonti (Aspleniumfontanum), anch’esso preferenzialmente legato alle rupi calcaree ombrose edumide delle Alpi centrali e occidentali e dell’Appennino settentrionale fino aquasi 1800 m di quota.L’asplenio del serpentino (Asplenium cuneifolium), come lascia facilmenteintendere il nome comune, è invece legato alle serpentine o ad altri substrati dinatura ofiolitica. In Italia è distribuito dalla Val d’Aosta fino all’alta Val Tiberina(Appennino settentrionale). Anche l’asplenio settentrionale (Asplenium septen-trionale) si rinviene su rocce ofiolitiche, ma, a differenza della specie prece-dente, colonizza anche substrati acidi. Relativamente indifferenti al substrato appaiono, infine, l’asplenio tricomane(Asplenium trichomanes), piuttosto comune su tutti i rilievi italiani, suddiviso insottospecie distinte sia dal punto di vista distributivo che ecologico, e l’asple-nio verde (Asplenium viride), diffuso dalle Alpi alla Calabria, dalla fascia monta-na fino alle rupi della fascia nivale.Il genere Cystopteris comprende tre specie prettamente rupicole, che si rin-vengono preferibilmente su pareti ombreggiate, o alla loro base. Due speciesono indifferenti al substrato: la felcetta fragile (Cystopteris fragilis), diffusa intutti i rilievi italiani, e la felcetta dickieana (Cystopteris dickiaeana), a distribu-zione alpina ed appenninica assai discontinua. La terza specie, la felcetta del-le Alpi (Cystopteris alpina), mostra invece una certa predilezione per le rupicarbonatiche. Menzioniamo infine il genere Woodsia che annovera tre specie rupicole, di cuidue silicicole (Woodsia alpina e W. ilvensis) ed una calcicola (W. glabella ssp.pulchella). Tutte e tre le specie sono rare o rarissime. La più diffusa è W. alpinapresente lungo tutto l’arco alpino e sull’Appennino settentrionale. W. glabellassp. pulchella è diffusa dalla Valsesia fino alle Alpi Giulie, mentre W. ilvensis hauna distribuzione limitata a poche stazioni in Alto Adige e Lombardia.

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Asplenio tricomane (Asplenium trichomanes)

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49tempo necessario perché un individuopervenga alla fioritura, secondo alcunestime, varia da 30 a 75 anni.Abbandonando le Alpi Marittime erisalendo le Alpi occidentali in direzio-ne Nord si incontrano altre casmofiteendemiche tra cui ricordiamo la sassi-fraga valdese (Saxifraga valdensis),endemica delle Alpi Cozie e Graie,che vegeta su substrati calcarei e sucalcescisti tra 2000 e 2900 m di quo-ta, e la campanula piemontese (Cam-panula elatines), confinata alle rupiombrose silicee tra 300 e 1900 m diquota dello stesso settore. Proceden-do verso Est si incontra un’altra spe-cie silicicola tipica delle Alpi nordocci-dentali, il raponzolo del Carestia (Phy-teuma humile), che nel settore delleAlpi Retiche è sostituito dal raponzolo retico (Phyteuma hedraianthifolium).Le Alpi e le Prealpi sudorientali italiane, la cui matrice litologica è per la massi-ma parte di natura carbonatica, rappresentano il più importante centro alpinodi endemismo rupicolo. In termini fitogeografici questa parte delle Alpi è sud-divisa in tre distinti distretti, ognuno caratterizzato da un proprio corredo diendemiti casmofili:● insubrico, che comprende i rilievi tra il Lago di Como e il Lago di Garda e ilM. Baldo● dolomitico, con le Prealpi Venete, le Alpi Feltrine e le Dolomiti● carnico-giuliano, che comprende le Prealpi e le Alpi Carniche e Giulie.Per il settore insubrico, oltre alla già ricordata sassifraga ragnatelosa, menzio-niamo la campanula dell’arciduca (Campanula raineri), la cui distribuzione ècentrata sulle Prealpi Lombarde con stazioni isolate su alcuni rilievi della Valsu-gana e del Vicentino. Questa spettacolare casmofita dalle grandi corolle azzur-re vegeta tra 700 e 2000 m di quota. Per il settore dolomitico non si può fare ameno di menzionare un’altra spettacolare specie del genere Campanula: lacampanula di Moretti (Campanula morettiana), che adorna con le sue corolleblu-violacee le fessure delle rocce dolomitiche tra 1700 e 2400 m di quota. Larassegna delle campanule endemiche si chiude con la già citata campanula diZois che caratterizza le pareti rocciose carbonatiche delle Alpi Giulie. Tra gliendemiti rupicoli ad areale ristretto delle Alpi sudorientali una menzione parti-colare meritano anche alcune specie del genere Primula, accomunate dal fatto

Le angiosperme rupicole. Anche seci limitiamo alle fasce altitudinali supe-riori, da quella montana fino alla nivale,il numero complessivo delle angio-sperme casmofile presenti sulle mon-tagne italiane è piuttosto rilevante. Tra igeneri di angiosperme più ricchi incasmofite si annoverano Campanula,Primula e soprattutto Saxifraga, il cuinome chiaramente allude all’habitatrupicolo. Poiché lo spazio disponibilenon consente di trattare tutte le angio-sperme casmofile italiane, un compro-messo ragionevole appare quello dielencare fuori testo le specie di mag-giore interesse fitogeografico (endemi-ti o specie ad areale comunque ristret-to o disgiunto), procedendo dalle Alpi(da Ovest verso Est) fino alle montagne

insulari, attraverso gli Appennini (vedi pagg. 68-71). Solo ad alcune casmofiteendemiche di grande rilevanza tassonomica, conservazionistica ed esteticasarà riservata una specifica menzione nel testo. Per le ragioni già esposte, le Alpi Liguri e le Alpi Marittime rappresentano nel-l’ambito della catena alpina uno dei maggiori centri di endemismo. Una parteconsistente degli endemiti ivi presenti sono strettamente rupicoli ed hanno ori-gine preglaciale. Nelle Alpi Liguri le casmofite endemiche si concentrano sullerupi carbonatiche (calcari e dolomie), piuttosto diffuse in questo settore, men-tre nelle Alpi Marittime un importante centro di endemismo è costituito dagliimponenti affioramenti di gneiss e graniti che costituiscono l’ossatura di que-sto tratto della catena alpina. Tra le casmofite calcicole la primula di Allioni (Primula allionii) è forse la speciepiù nota, sia per la sua rarità che per motivi estetici. La specie è distribuitaprincipalmente lungo il medio bacino della Roia sul versante meridionale delleAlpi Marittime, in un numero limitato di stazioni su rupi al riparo dai raggi diret-ti del sole tra 500 e 1900 m. Tra le casmofite acidofile delle Alpi Marittime indubbiamente la più spettacola-re e celebrata è la sassifraga dell’Argentera, pianta misteriosa e leggendaria,che vegeta esclusivamente sulle rupi silicee esposte nei quadranti settentrio-nali tra 1900 e 3240 m di quota, spesso in siti inaccessibili. La sassifraga del-l’Argentera è specie monocarpica, che fiorisce e fruttifica una sola volta e poimuore, non riuscendo a sopravvivere al considerevole impegno riproduttivo; il

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Campanula di Moretti (Campanula morettiana)Sassifraga dell’Argentera (Saxifraga florulenta)

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campanula napoletana (Campanulafragilis ssp. cavolinii), che si rinvienenell’Appennino Abruzzese e lazialesulle rupi carbonatiche da 500 a 1300m di quota. Una consistente parte del-la flora orofila dell’Appennino centraleè distribuita anche sulla sponda oppo-sta dell’Adriatico, sulle montagne delMontenegro e della Bosnia. Tra questespecie denominate “anfiadriatiche”particolare rilievo assume la raraandrosace abruzzese (Androsacemathildae), che vegeta nelle fessuredelle rocce carbonatiche del GranSasso d’Italia e della Majella tra 2100 e 2900 m di quota e che è stata recen-temente rinvenuta anche sulle montagne del Montenegro.L’Appennino meridionale presenta strutture rocciose meno imponenti e, diconseguenza, un minor numero di casmofite endemiche. Tra queste una dellespecie più rare è l’achillea lucana (Achillea lucana), che si insedia nelle fessuredelle rupi carbonatiche e conglomeratiche, con distribuzione centrata sui prin-cipali massicci della Basilicata.La situazione delle montagne siciliane non è molto diversa, in quanto a causadelle quote relativamente modeste della maggior parte dei rilievi montuosi, laflora rupicola orofila è poco rappresentata. Esempi di pareti rocciose impo-nenti a quote superiori ai 1500 m si trovano infatti soltanto sulle Madonie.Come esempi di endemiti siculi casmofili menzioniamo la stellina di Gussone(Asperula gussonei), che colonizza le rupi dolomitiche dell’anfiteatro di Qua-cella nella catena delle Madonie tra 1400 e 1800 m circa, e il fiordaliso dellaBusambra (Centaurea busambarensis), diffuso sulle rupi carbonatiche di diver-si rilievi siciliani fino a 1400 m circa.L’itinerario attraverso la flora rupicola delle montagne italiane si conclude inSardegna. La varietà litologica, che annovera sia substrati carbonatici chesubstrati silicei, ha consentito la differenziazione di specie calcicole e calcifu-ghe. Tra le prime citiamo lo spillone di Moris (Armeria morisii), che colonizza lerupi calcaree nel Sopramonte di Orgosolo e Oliena, tra 1000 e 1300 m di quo-ta. Tra le specie silicicole la menzione va a due rappresentanti del genere Heli-chrysum, i perpetuini del Monte Linas (Helichrysum montelinasanum), unaspecie localizzata sulle rupi granitiche del monte omonimo nella Sardegnasudoccidentale e i perpetuini del Limbara (Helichrysum frigidum), specie rela-tivamente frequente sulle più elevate montagne della Corsica e presente inSardegna solo sul Monte Limbara, nella parte settentrionale dell’isola.

5150 di essere tutte di recente scoperta. L’elenco comprende la primula delle Grigne(Primula grignensis) descritta da Moser nel 1998, la primula del Monte Alben(Primula albenensis) descritta da Banfi e Ferlinghetti nel 1993 per il settore insu-brico e la primula di Recoaro (Primula recubariensis) descritta da Prosser eScortegagna nel 1998 nelle Piccole Dolomiti, per il settore dolomitico. Il nostro itinerario attraverso gli endemiti rupicoli delle montagne italiane pro-segue con la discesa lungo la penisola attraverso un ideale percorso che iniziadall’Appennino settentrionale. In questo settore il principale centro di endemi-smo è rappresentato dalla piccola catena delle Alpi Apuane. Come esempio diendemismo casmofilo apuano ricordiamo la globularia delle Apuane, distribui-ta dalle rupi carbonatiche in prossimità del Golfo di La Spezia fino alle princi-pali vette delle Alpi Apuane, dove cresce sia su rocce acide che su rocce basi-che. La specie si ritrova, seppure più raramente, anche sui versanti soleggiatidell’Appennino Tosco-Emiliano, dove vegeta nelle fessure di rocce acideappartenenti a diverse tipologie di arenarie. L’Appennino Tosco-Emiliano è in generale assai povero di endemiti propri.L’unico autenticamente casmofilo è la primula appenninica (Primula apenni-na), che vegeta sulle rupi arenacee del settore nordoccidentale dell’Appenni-no Tosco-Emiliano tra 1300 e 1900 m circa.L’Appennino centrale è stato meno intensamente coinvolto dalle glaciazionied ha perciò conservato una flora orofila in buona parte preglaciale, cheannovera molti endemiti. Tra quelli autenticamente casmofili si può citare la

Primula appenninica (Primula apennina)

Androsace abruzzese (Androsace mathildae)

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53La vegetazione rupicola. Nella tassonomia fitosociologica o sintassonomia lecomunità vegetali rupicole delle montagne italiane dominate da casmofite ven-gono riunite all’interno di un’unica classe (Asplenietea trichomanis), suddivisa asua volta in due ordini (Potentilletalia caulescentis e Androsacetalia multiflorae),rispettivamente comprensivi delle fitocenosi delle rupi carbonatiche e silicee.Ciascuno dei due ordini risulta suddiviso in un certo numero di alleanze.L’ordine Potentilletalia caulescentis, distribuito dalle Alpi fino alla Sicilia, è sud-diviso in numerose alleanze definite, nella massima parte dei casi, su basegeografica e comprende un consistente numero di associazioni.Un primo gruppo di associazioni ha carattere eliofilo e termofilo, con baricen-tro distributivo nelle fasce montana e subalpina, ma è occasionalmente diffu-so anche a quote inferiori. Tra le associazioni di questo gruppo, la più frequen-te è il Potentilletum caulescentis, distribuito lungo tutte le Alpi meridionali efisionomicamente caratterizzato dalla predominanza della cinquefoglia penzo-la (Potentilla caulescens), frequentemente accompagnata dal ranno spacca-sassi (Rhamnus pumilus). Un altro gruppo è formato invece da associazioni che, a differenza delle pre-cedenti, risultano diffuse soprattutto nella fascia alpina e presentano ancorauna certa predilezione per le esposizioni soleggiate. Tra queste, la più comuneè il Potentilletum nitidae, ampiamente diffuso su tutti i più elevati massicci car-bonatici delle Alpi sudorientali e caratterizzato dalle vistose fioriture della cin-quefoglie delle Dolomiti (Potentilla nitida), di colore roseo, variabile da chiaro

ad intenso. In questa associazione sirinviene anche la rara androsace diHausmann (Androsace hausmannii).Salendo fino alle parti più elevate dellafascia alpina e alla fascia nivale deimassicci carbonatici, si può rinvenirel’Androsacetum helveticae, chiara-mente distinguibile per l’abbondanzadei pulvini dell’androsace emisferica. Tutte le associazioni fin qui menzionaterifuggono dalle rupi ombreggiate adesposizione settentrionale o dalle rupistrapiombanti illuminate solo da lucediffusa. Questo particolare tipo di habi-tat è invece il dominio di associazionicaratterizzate dall’abbondanza di felciappartenenti ai generi Asplenium eCystopteris e distribuite sulle Alpi esull’Appennino settentrionale. La piùfrequente di queste associazioni è ilCystopteridetum fragilis, ove domina lafelcetta fragile (Cystopteris fragilis).Nelle Alpi sudoccidentali e nelle AlpiApuane le associazioni rupicole sonocaratterizzate da numerose casmofiteendemiche. Nelle Alpi Liguri l’associa-zione più frequente è il Saxifragetumlingulatae, marcato dalla dominanzadella sassifraga meridionale (Saxifragacallosa=Saxifraga lingulata), che ador-na le rupi carbonatiche con le suebianche infiorescenze pendule. Un’al-tra associazione di notevole pregiofitogeografico presente in questodistretto è il Primuletum allionii, domi-nato dalla primula di Allioni e legatoalle rupi carbonatiche ombreggiatedella fascia montana. L’associazionerupicola più emblematica delle AlpiApuane è il Sileno lanuginosae-Rham-netum glaucophyllae, che ha come

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Cinquefoglie delle Dolomiti (Potentilla nitida)

Saxifragavandelli

Physoplexiscomosa

Potentillacaulescens

Saxifragaarachnoidea

Primulaspectabilis

Daphnepetraea

Telekiaspeciosissima

Moehringiabavarica

Vegetazione endemica nelle fessure delle roccecarbonatiche della Lombardia

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che. La flora di questi ambienti apparemolto diversa da quella delle rupi car-bonatiche sia alpine che appenninico-sicule, tanto da giustificare la loroattribuzione ad un ordine autonomo(Arenario-Phagnaletalia sordidae).L’associazione più diffusa a quotesuperiori ai 1000 m è il Laserpitio gar-ganicae-Asperuletum pumilae, carat-terizzato dalla presenza del laserpiziodel meridione (Laserpitium gargani-cum), della stellina di Sardegna (Aspe-rula pumila) e dell’issopo a foglie cuo-riformi (Micromeria cordata).Il quadro classificatorio della vegetazione delle rupi silicee è molto meno com-plesso, con solo tre alleanze principali ed un numero meno elevato di associa-zioni rispetto a quello riscontrato sulle rocce carbonatiche.Lungo la catena alpina sono diffuse due associazioni, l’Androsacetum van-dellii, confinato alle rupi silicee della fascia alpina e nivale e caratterizzato dal-la presenza dell’androsace di Vandelli (Androsace vandellii), e l’Asplenio-Pri-muletum hirsutae, distribuito dalla fascia montana superiore all’alpina inferio-re. Le specie tipiche di questa associazione sono la primula irsuta (Primulahirsuta) e la spettacolare sassifraga dei graniti (Saxifraga cotyledon).Nell’Appennino settentrionale è presente un’unica associazione silicicola, ilDrabo aizoidis-Primuletum apenninae, confinata alle rupi arenacee del crina-le sommitale, con marcata predilezione verso le esposizioni settentrionali. Lespecie caratteristiche sono la draba aizoide (Draba aizoides) e la primulaappenninica.Sulle Alpi italiane è stata verificata la presenza di un’ulteriore associazioneche colonizza le rupi silicee soleggiate della fascia montana. Si tratta del Sile-no rupestris-Asplenietum septentrionalis, che ha come specie guida la silenerupestre (Silene rupestris).Un cenno particolare meritano infine le Alpi sudoccidentali, che anche dalpunto di vista della vegetazione delle rupi silicee si distinguono dal resto del-la catena alpina. Sulle Alpi Marittime, infatti, è presente il Saxifragetum floru-lentae, che colonizza le pareti verticali delle fasce alpina e nivale ed è caratte-rizzato dalla sassifraga dell’Argentera e dalla sassifraga piemontese (Saxifra-ga pedemontana). Sui rilievi dell’Italia peninsulare e della Sicilia le rupi silicee sono scarse epoco studiate. In Sardegna sono più frequenti, ma praticamente ignote dalpunto di vista vegetazionale.

55specie caratteristiche il ranno delle Apuane (Rhamnus glaucophyllus) e l’erba-perla rupestre (Moltkia suffruticosa). L’associazione colonizza le falesie com-patte della fascia montana.I massicci carbonatici dell’Appennino centrale e della Sicilia sono caratteriz-zati da numerose associazioni casmofitiche. Due associazioni possonoessere portate come esempi, in quanto particolarmente rappresentative perl’Appennino centro-meridionale. La prima è il Campanulo cavolini-Potentille-tum caulescentis, che colonizza le rupi carbonatiche della fascia montana edè caratterizzato dalla presenza fisionomizzante della campanula napoletana.La seconda associazione mostra una distribuzione limitata alle più alte mon-tagne dell’Appennino centrale, dove caratterizza le rupi subalpine ed alpine.Si tratta del Potentilletum apenninae, che ha come specie tipica la cinquefo-glia dell’Appennino (Potentilla apennina) e l’alisso rupestre (Ptilotrichumcyclocarpum). Le due associazioni sono ritenute vicarianti appenninicherispettivamente del Potentilletum caulescentis e del Potentilletum nitidaedelle Alpi.Sulle montagne siciliane carbonatiche è presente un’unica associazionecasmofitica, l’Asperuletum gussonei, a distribuzione limitata alla catena delleMadonie e caratterizzata dalla presenza della stellina di Gussone, accompa-gnata dai perpetuini delle Madonie (Helichrysum nebrodense).La vegetazione casmofitica delle montagne della Sardegna è stata finorapoco studiata. Gli unici dati disponibili sono quelli relativi alle rupi carbonati-

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Primula irsuta (Primula hirsuta)

Sassifraga meridionale (Saxifraga callosa)

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5756 ■ La vita vegetale sui detriti

Falde e coni detritici, alcuni risalentiall’era glaciale, altri più recenti, rico-prono vaste estensioni dei rilievi alpinied appenninici oltre il limite della vege-tazione arborea. La maggior parte,vista da lontano, appare completa-mente priva di vita vegetale; tuttavia,avvicinandoci, possiamo renderci con-to che, seppure isolate e spessonascoste tra i massi, non poche sonole specie vegetali che crescono inquesti ambienti, talvolta adornandolidi splendide fioriture. La maggior par-te di queste specie presenta caratteristiche atte a consentirne la sopravvi-venza in un ambiente per molti versi sfavorevole alla vita vegetale. Per questeentità così specializzate è stata coniata un’apposita denominazione: nella let-teratura geobotanica esse vengono infatti denominate come glareofite opiante glareicole.Mentre le rupi ospitano organismi vegetali appartenenti a gruppi sistematicidiversi, tra i detriti possono vivere soltanto piante capaci di ancorarsi al sub-strato mobile attraverso un apparato radicale specificamente adattato. Ciòesclude alghe, licheni e muschi, in quanto del tutto sprovvisti di vere radici.Licheni e muschi epilitici si rinvengono, peraltro, sui clasti più antichi e stabili,mentre briofite terricole possono crescere sul materiale fine che si forma sulfondo delle anfrattuosità tra i massi di maggiori dimensioni alla base del pen-dio detritico. In ambedue i casi, comunque, si tratta di specie che si rinvengo-no più frequentemente sulle rocce oppure in comunità di prateria o vallettanivale e pertanto non possono essere in alcun modo assimilate alle glareofite.

L’ambiente dei detriti. I pendii detritici costituiscono delle stazioni estremeper la vita delle piante vascolari, sia per le condizioni microclimatiche pocofavorevoli, che per le sollecitazioni meccaniche esercitate dal movimentosuperficiale delle pietre. Per quanto riguarda il microclima valgono le consi-derazioni già esposte a riguardo delle rupi circa l’importanza dei fattori topo-grafici nel determinare differenziazioni dell’habitat in termini di bilancio dienergia radiante, temperatura e disponibilità idrica. In aggiunta, occorre sot-tolineare il rilievo assunto dall’entità e dalla durata della copertura nevosache, trascurabile in corrispondenza delle rupi in ragione della loro forte accli-vità, diviene rilevante sui pendii detritici. La copertura nevosa può infatti con-Conoide detritico in parte stabilizzato dalla vegetazione (Massiccio del Gran Sasso, Abruzzo)

Detrito costituito da litologia mista in ValleAurina (Alto Adige)

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5958 luogo, i pendii detritici ancora attivi,incessantemente modificati dall’ag-giunta di nuovo materiale; essi risulta-no tra i più inospitali per le piantevascolari ed appaiono perciò spessodel tutto, o quasi del tutto, privi dicopertura vegetale. Altri pendii nonsono più attivamente alimentati, marisultano tuttavia ancora instabili, inquanto i clasti sono mobilizzati dall’al-ternanza dei cicli gelo-disgelo, dalruscellamento dell’acqua di fusionenivale, oppure dal transito di animali oturisti; questi pendii hanno una ricetti-vità maggiore nei confronti delle gla-reofite. Infine ci sono i pendii a riposo,non più alimentati e completamentestabili, che solo in certe condizioni,che vedremo più avanti, possonoospitare specie vascolari, anche quelle non adattate a questo tipo di habitat.Sulla base del diametro medio dei clasti, i pendii detritici si distinguono inpendii a blocchi, quando il diametro è superiore a 25 cm, pendii a detriti gros-solani con diametro dei detriti compreso tra 25 e 2 cm e pendii a detriti fini, seil diametro dei clasti è compreso tra 2 e 0.2 cm.I fattori che hanno più importanza per le prospettive di colonizzazione daparte delle piante vascolari sono la quantità, la distribuzione ed il contenutoidrico della terra fine presente tra o sotto i detriti. I pendii detritici complessi-vamente più sfavorevoli alla vita vegetale sono quelli a blocchi, perché,anche se stabilizzati, sono generalmente più poveri in terra fine e scarsa-mente illuminati per l’effetto di ombreggiamento reciproco dei clasti di mag-giori dimensioni.Un pendio detritico situato alla base di una parete rocciosa non costituiscecomunque un ambiente omogeneo ed egualmente suscettibile all’insedia-mento delle piante vascolari. In corrispondenza degli apici dei coni detritici odelle parti superiori delle falde, caratterizzate da detriti più fini e instabili esoggetti alla caduta di frammenti di roccia dalla sovrastante parete alimenta-trice, la mobilità dei detriti è molto elevata e non esistono piante vascolaricapaci di insediarsi in queste aree. Procedendo lungo la falda detritica dall’al-to verso il basso, le dimensioni dei clasti aumentano e, parallelamente, dimi-nuisce la loro mobilità. Si crea quindi un ambiente favorevole alla colonizza-zione delle glareofite che, come vedremo nel prossimo paragrafo, affrontano

dizionare la morfologia della falda o del cono, determinando la disposizionedei detriti, che possono scivolare liberamente sulla neve o venire mobilizzatiall’atto dello scioglimento della stessa. L’entità e la permanenza della nevedeterminano inoltre la disponibilità idrica a livello dello strato di terra fine chesi forma sotto la coltre più superficiale di detrito grossolano e da cui le radicidelle piante glareicole traggono il loro apporto di nutrienti.Anche per quanto riguarda la matrice litologica dalla cui disgregazione deri-vano i clasti, la differenziazione tra matrice carbonatica e matrice silicea ed isuoi riflessi sulla disponibilità di nutrienti a livello dell’apparato radicale delleglareofite non richiedono ulteriori notazioni aggiuntive. Meritevole di unaccenno è, invece, il dato che le caratteristiche della roccia madre condizio-nano la sensibilità della stessa agli agenti responsabili della disgregazione edeterminano di conseguenza, entro certi limiti, anche forma e dimensioni deiclasti e quindi, in ultima analisi, la morfologia complessiva della falda o delcono detritico.La caratteristica dell’habitat detritico che più influenza le forme e le modalitàdella vita vegetale è l’instabilità del substrato, unita alla scarsità di terra fine(limo e argilla) ed alla limitata disponibilità idrica negli strati superficiali dellacopertura detritica. Le peculiari modalità di crescita delle glareofite sono ladiretta espressione di un adattamento a queste particolari condizioni. In base alla persistenza dell’alimentazione da parte della parete rocciosasovrastante ed al loro grado di mobilità complessiva si distinguono, in primo

Pendio detritico con blocchi rocciosi

Ultimo lembo di un bosco a conifere circondato da un ghiaione (Prealpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)

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6160 Strategie adattative delle glareofite. La produzione di semi è generalmenteabbondante nella massima parte delle glareofite e la dispersione è affidatageneralmente al vento: questo consente la colonizzazione a distanza di altreparti del pendio detritico o di altri pendii. L’abbondante produzione di semi èrichiesta dal fatto che su una coltre detritica ben pochi sono i siti con un sub-strato costituito da una matrice argillosa, l’unica che ne consenta la germina-zione. Alcuni studi hanno dimostrato sperimentalmente che il tasso di germina-bilità dei semi delle glareofite è alto, mentre le possibilità che una plantula rie-sca completamente a svilupparsi in un individuo adulto sono molto inferiori. Ciòdipende dal fatto che l’apparato vegetativo di una plantula di glareofita non haancora pienamente sviluppato gli adattamenti indispensabili per la sopravviven-za in questo tipo di habitat. Nello stadio adulto le glareofite sviluppano una seriedi strategie adattative che coinvolgono l’apparato vegetativo e sono finalizzatead alcuni obiettivi fondamentali: l’ancoraggio ad un substrato mobile, la preven-zione del seppellimento da parte dei detriti in caduta e il raggiungimento dellostrato umido di terra fine che giace sotto la coltre detritica superficiale. Questiobiettivi vengono conseguiti attraverso un’elevata capacità di riproduzionevegetativa e di rigenerazione, sia del germoglio che dell’apparato radicale. L’ancoraggio al substrato si realizza, generalmente, attraverso lo sviluppo diuna radice (o un rizoma) principale, che penetra in profondità attraversando lacopertura detritica e la terra fine sottostante. Il dispositivo di ancoraggio è com-pletato da un sistema superficiale che raggiunge lo strato di terra fine ed è

Falda detritica con felcetta crespa (Cryptogramma crispa)

il problema sviluppando un vasto repertorio di strategie adattative. Verso labase della falda i clasti aumentano di dimensioni (anche oltre il metro di dia-metro) e divengono completamente immobili. La stabilizzazione della faldapuò creare condizioni favorevoli all’insediamento di specie litofile non spe-cializzate (cioè non valutabili come glareofite) negli interstizi tra i blocchi rag-giunti da una sufficiente quantità di luce e ricoperti al fondo da una certaquantità di terra fine. Qualora queste due condizioni vengano a mancare,non c’è alcuna possibilità di colonizzazione della base della falda da partedelle piante vascolari. Se immaginiamo di sezionare una falda o un cono detritico in senso trasver-sale, ne risulta un profilo convesso. Procedendo dalla periferia verso l’inter-no si incontra, in primo luogo, una fascia di contatto tra la roccia in posto ela coltre detritica, dove l’attrito con la roccia riduce la mobilità dei clasti,creando condizioni favorevoli alla colonizzazione da parte della vegetazione.Si raggiunge poi il cosiddetto piede, che corrisponde alla parte perifericameno rilevata, dove si depositano per gravità i clasti più grossolani per quellivello altitudinale; seguono poi il mantello ed infine la porzione più rilevata,denominata cerniera, caratterizzata dalla prevalenza di materiale più fine, inparte ricoperto da clasti più grossolani sovrascorsi. Le condizioni più favore-voli all’insediamento delle piante vascolari si riscontrano nel mantello, chepresenta condizioni simili a quelle presenti nelle parti intermedie del transet-to verticale della falda.

Ghiaione con cuscinetti erbosi nelle Vette Feltrine (Veneto)

Page 32: Ghiaioni e rupi di montagna - Orobievive

6362 Le glareofite fissanti si allungano inprofondità, attraversando la coperturadetritica con un robusto rizoma ramifica-to che le ancora saldamente al substrato.Appartengono a questo gruppo la felcet-ta crespa (Cryptogramma crispa), l’ace-tosa soldanella (Oxyria digyna), il doroni-co del granito (Doronicum clusii) e quellodei macereti (D. grandiflorum).Le glareofite sbarranti sono provviste distrutture che intercettano e trattengonoi detriti fini, costituite da un germoglioformato da un fitto cespo oppure da unintricato e fitto feltro di radici orientateperpendicolarmente rispetto al pendio.Hanno un germoglio cespitoso la fiena-rola ciondola (Poa laxa), la gramignaargentea (Trisetum argenteum) e quelladei ghiaioni (T. distichophyllum). Ilranuncolo dei ghiacciai (Ranunculusglacialis) e il dente di leone montano(Leontodon montanus) si distinguonoinvece per la densa matassa radicale.Le glareofite coprenti sviluppano, allasuperficie della falda detritica, un este-so apparato vegetativo molto ramifica-to, legnoso nel camedrio alpino (Dryasoctopetala), erbaceo nella gipsofilastrisciante (Gypsophila repens), chestabilizza i detriti fini, per così direirretendoli nel fitto intrico dei suoirami o getti.Mentre le glareofite migranti, striscian-ti e fissanti si rinvengono nelle partirelativamente mobili del pendio, quellesbarranti e coprenti caratterizzano leparti più stabili della falda e dai lorocespi, cuscinetti o intrecci di culmi orami prende avvio una dinamica vege-tazionale che porta verso la formazio-ne di praterie pioniere.

Erba storna rotundifolia (Thlaspi rotundifolium)

Linaria alpina (Linaria alpina)

Gipsofila strisciante (Gypsophila repens)

soprattutto deputato all’assorbimentodi acqua e nutrienti. La diffusione dellaglareofita e la prevenzione del suo sep-pellimento sono realizzati attraverso losviluppo di getti o ricacci con porta-mento strisciante, che si dispongonoparallelamente alla superficie del pen-dio. Occorre distinguere, in primo luo-go, i cosiddetti ricacci migratori, checostituiscono semplici prolungamenti adistanza della pianta madre (ad esem-pio nella cariofillata delle pietraie,Geum reptans), che si sviluppano inmodo indipendente soltanto se trancia-

ti da una pietra in caduta. Ad essi si aggiungono i ricacci di propagazione che sidistaccano dalla pianta a prescindere da un eventuale trauma e che formanocomunque individui indipendenti.Nella prima metà del secolo scorso alcuni botanici centroeuropei hanno pro-vato a definire le principali tipologie di forme di crescita delle glareofite. Sonostati distinti cinque modelli principali:● glareofite migranti, che si muovono passivamente lungo il pendio● glareofite striscianti, che “strisciano” o “galleggiano” sulla superficie del detrito● glareofite fissanti, che si allungano in profondità● glareofite sbarranti, che arrestano il movimento dei detriti● glareofite coprenti, che ricoprono e in questo modo bloccano notevoliquantità di detriti.Le glareofite migranti possono avventurarsi sulle parti del pendio detriticodove è ancora elevato il rischio di seppellimento, evento che viene evitatoattraverso l’emissione di getti striscianti capaci di radicare e rigenerare la pian-ta madre se questa è stata sepolta, dando così l’impressione di una “migra-zione” lungo o attraverso il ghiaione. In questo gruppo si distinguono le gla-reofite migranti per allungamento e per moltiplicazione vegetativa e quellemigranti con ambedue queste modalità. Come esempio di glareofite migrantiricordiamo il romice scudato (Rumex scutatus), la cariofillata delle pietraie, lacampanula dei ghiaioni (Campanula cochleariifolia), l’erba storna rotundifolia(Thlaspi rotundifolium). Le glareofite striscianti sono caratterizzate da una fitta rete di getti strisciantisottili che “galleggiano” sulla superficie dei detriti e da un apparato radicale ditipo fascicolato con radici secondarie, anch’esse sottili, che raggiungono la ter-ra fine sottostante. A titolo di esempio si possono menzionare la linaiola alpina(Linaria alpina) e la silene delle ghiaie (Silene vulgaris ssp. glareosa).

Campanula dei ghiaioni (Campanula cochleariifolia)

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6564 questo settore citiamo l’elegante ado-nide curvata (Adonis distorta), checon le sue corolle di colore gialloadorna le coltri detritiche oltre i 2000m di quota. Spesso la si ritrova insie-me all’erba storna appennina (Thlaspistylosum), una piccola crucifera a fiorirosa, assai simile a Thlaspi rotundifo-lium delle Alpi. Nel settore meridionaledell’Appennino si rinviene un’altra gla-reofita di notevole interesse fitogeo-grafico che presenta stazioni disgiuntenella catena delle Madonie in Sicilia. Sitratta del cardo niveo (Ptilostemonniveus), che colonizza i detriti carbonatici tra 1200 e 1900 m di quota. In Sici-lia sono soprattutto i pendii lavici dell’Etna ad ospitare glareofite endemiche.Come esempio citiamo la saponaria siciliana (Saponaria sicula), i cui pulvinicon fiori rosa spiccano sulle colate laviche fino a 2000 m di quota. Per lemontagne della Sardegna la scarsità di falde detritiche influisce negativa-mente sul tasso di endemismo di questi ambienti. La menzione va alla sagi-na pelosa (Sagina pilifera), tipica dei detriti silicei fino alle quote più alte e piùfrequente sulle più elevate montagne della Corsica.

La vegetazione dei detriti. La vegetazione dei detriti delle montagne italianecomprende numerose associazioni. Le associazioni detriticole di Alpi, Appen-nini e Sicilia sono inquadrate nell’ambito della classe Thlaspietea rotundifolii.In Sardegna la vegetazione dei versanti montuosi detritici è ancora scarsa-mente nota. La classe Thlaspietea rotundifolii si suddivide in quattro ordini(Thlaspietalia rotundifolii, Galio-Parietarietalia officinalis, Androsacetalia alpi-nae, Galeopsietalia). I primi due comprendono la vegetazione dei detriti carbo-natici, gli ultimi due quella dei detriti silicei.L’ordine Thlaspietalia rotundifolii è il più ricco in associazioni che si dispongonosul territorio secondo gradienti altitudinali e latitudinali. La differenziazione flori-stica tra le associazioni è inoltre condizionata anche dalla natura litologica deiclasti. Da quest’ultimo punto di vista si differenzia nettamente un gruppo diassociazioni insediate sulle falde detritiche derivanti dalla disgregazione di roc-ce calcareo-scistose e dislocate nell’ambito della fascia alpina e subnivale del-le Alpi. A questo gruppo appartengono il Campanulo cenisiae-Saxifragetumoppositifoliae e il Saxifragetum biflorae, ambedue ampiamente distribuiti lungola catena alpina. La seconda associazione ha come specie caratteristica la sas-sifraga a due fiori (Saxifraga biflora), che recentemente è stata ritrovata sulle

Berardia (Berardia subacaulis)

Le glareofite endemiche. Il numerodelle glareofite endemiche è decisa-mente inferiore a quello delle casmofi-te. Tra i generi che annoverano ende-miti ricordiamo Alyssum, Campanula,Saxifraga e Viola. Presentiamo di segui-to qualche esempio tra i più significati-vi, rinviando alla scheda di pagg. 68-71per un elenco più dettagliato.Per le Alpi Marittime ricordiamo duespecie del genere Viola: la viola di Val-dieri (Viola valderia) che colonizza le fal-de detritiche silicee da 1200 a 2300 m,e la viola dell’Argentera (Viola argente-

ria) che non è un endemita in senso stretto, perché presente anche in Corsica,e che colonizza i detriti fini silicei a quote più elevate (1800-2900 m). Distribu-zione più ampia, estesa a gran parte delle Alpi occidentali, hanno la berardia(Berardia subacaulis), appartenente a un genere monospecifico, che colonizzai detriti fini di natura carbonatica da 1800 a 2700 m di quota, e l’achillea erba-rotta (Achillea erba-rotta), tipica dei detriti silicei tra 2000 e 2800 m di quota.Un’altra bella glareofita legata ai detriti carbonatici derivanti dalla disgregazio-ne di calcari e calcescisti e diffusa in tutte le Alpi occidentali è la campanulaalpestre (Campanula alpestris).Nelle Alpi orientali ricordiamo un’altra specie del genere Viola, la viola di Comol-li (Viola comollia), la cui distribuzione è limitata alle Alpi Orobie, dove colonizza idetriti silicei di altitudine (soprattutto tra 2000 e 2450 m). Per il settore carbona-tico del distretto insubrico una delle specie più interessanti è la linaiola berga-masca (Linaria tonzigii), diffusa nelle Prealpi bergamasche tra 1600 e 2400 m diquota. Nel settore dolomitico è presente una minuscola specie (unica rappre-sentante del suo genere): la coclearia alpina (Rhizobotrya alpina), che vegeta sudetriti carbonatici fini ed umidi tra 1900 e 2800 m di altitudine, mentre per quel-lo carnico-giuliano la menzione va al ranuncolo di Traunfellner (Ranunculustraunfellneri), che colonizza detriti, anche stabilizzati, a lungo innevamento, aquote comprese tra 1500 e 2300 m. Nell’Appennino settentrionale le faldedetritiche sono poco estese ed ospitano solo due endemiti. Il primo è il cardo diBertoloni (Cirsium bertolonii), che colonizza pendii a detriti fini di natura carbo-natica nelle Alpi Apuane e di natura marnosa nell’Appennino Tosco-Emiliano,compresi tra i 1000 e i 2000 m. L’altra specie endemica è l’erba cornacchia diZanoni (Murbeckiella zanonii), che si rinviene su detriti fini arenacei.Il quadro è ben diverso nell’Appennino centrale dove le falde detritiche assu-mono grande sviluppo ed estensione. Tra gli endemiti più ragguardevoli di

Coclearia alpina (Rhizobotrya alpina)

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6766 è il Drypido-Festucetum dimorphae,che si sviluppa su pendii detritici car-bonatici mobili a clasti relativamentefini ed è caratterizzato dai pungenticuscinetti della dripide comune (Drypisspinosa) e dai grossi cespi della festu-ca appenninica (Festuca dimorpha). Aquote più elevate, in corrispondenzadei più imponenti sistemi montuosidell’Appennino centrale, si rinviene ilCrepido-Leontodontetum montani incui figurano numerose glareofite ende-miche, tra cui l’adonide curvata e il mil-lefoglio di Barrelieri (Achillea barrelieri).Alcune associazioni glareicole sonoconfinate ai pendii detritici carbonatici termofili della fascia montana. Tra que-ste ricordiamo il Rumicetum scutati, in cui il romice scudato assume il ruolo dispecie dominante, e che è distribuito sia sulle Alpi che nell’Appennino setten-trionale e centrale. Nel settore meridionale della catena appenninica ed in Sici-lia questo tipo di habitat è caratterizzato dal cardo niveo, che nel gruppo delleMadonie entra a far parte di un’associazione glareicola termofila, il Senecioni-Ptilostemetum nivei.Concludiamo la rassegna sulla vegetazione dei detriti accennando agli ordiniAndrosacetalia alpinae e Galeopsietalia che comprendono le fitocenosi dellefalde formate dalla disgregazione di rocce silicee. L’ordine Androsacetalia alpinae è diffuso sui rilievi silicei o arenacei delle Alpi edell’Appennino Tosco-Emiliano, principalmente dalla fascia subalpina a quellanivale. Tra le associazioni più note appartenenti a quest’ordine ricordiamol’Androsacetum alpinae, il Sieversio-Oxyrietum digynae e il Saxifragetumdepressae, distribuite nelle fasce alpina e nivale. Una menzione particolaremerita quest’ultima associazione scoperta di recente sulle vulcaniti dellaregione dolomitica e caratterizzata dalla sassifraga della Val di Fassa (Saxifra-ga depressa).A quote inferiori, nell’ambito della fascia subalpina ed in quella montana si rin-viene l’Allosuretum crispae, un’associazione caratterizzata dalla ricchezza infelci e dalla dominanza della felcetta crespa. L’Allosuretum crispae colonizzala base delle falde, le falde stabilizzate a grossi clasti e i campi di pietre nelleAlpi silicee e nell’Appennino Tosco-Emiliano.L’ordine Galeopsietalia, infine, comprende le fitocenosi dei detriti silicei termo-fili montani e submontani. In Italia è rappresentato da una sola associazione, ilGaleopsio-Rumicetum, diffusa sui pendii detritici ombreggiati.

Sassifraga della Val di Fassa (Saxifragadepressa)

Alpi svizzere a 4450 m di altitudine ed èquindi la pianta vascolare che crescepiù in alto sulle montagne europee.Le altre associazioni dei Thlaspietaliarotundifolii colonizzano detriti carbo-natici derivanti dalla disgregazione dirocce calcaree o dolomitiche e si pos-sono raggruppare in base alla lorodistribuzione geografica, distinguendotra quelle a distribuzione alpina e nord-appenninica e quelle a distribuzioneappenninica centro-meridionale. Inambedue questi gruppi è ulteriormentepossibile distinguere tra associazionigravitanti nella fascia alpina ed asso-

ciazioni gravitanti nella fascia subalpina (con estensione a quella montana).Le associazioni glareicole calcicole distribuite nelle Alpi e nell’Appennino set-tentrionale sono piuttosto numerose. Tra quelle situate nella fascia alpina enivale la più emblematica è il Papaveretum rhaetici che caratterizza i detriti cal-careo-dolomitici di gran parte delle Alpi meridionali. La contraddistinguono legialle corolle del papavero alpino (Papaver rhaeticum). Un’altra associazione diquesto gruppo è il Leontodontetum montani, tipicamente legato a pendii condetriti fini, prevalentemente esposti nei quadranti meridionali e caratterizzatodalla presenza, spesso dominante, del dente di leone montano.Nelle fasce montana e subalpina delle Alpi e delle Alpi Apuane sono presentiassociazioni che colonizzano falde detritiche ricche di terra fine, frequente-mente localizzate sui versanti che guardano verso Sud. Nella fascia subalpinadelle Alpi la più frequente tra queste associazioni è l’Athamanto-Trisetetumdistichophylli, contraddistinta dalle bianche infiorescenze ombrelliformi dell’a-tamanta comune (Athamanta cretensis). Sulle Alpi Apuane si riscontra l’asso-ciazione Heracleo-Valerianetum montanae, che presenta come specie domi-nante la costolina appenninica (Robertia taraxacoides), una glareofita distribui-ta lungo tutta la catena appenninica e sui rilievi della Sicilia e della Sardegna.Altre associazioni colonizzano detriti carbonatici a grossi clasti, localizzati nel-le forre ombreggiate della fascia montana e nella porzione inferiore della fasciasubalpina delle Alpi e delle Alpi Apuane. A causa del loro particolare microcli-ma queste associazioni sono particolarmente ricche di felci. Come esempiocitiamo il Dryopteridetum villarii, contraddistinto dalla dominanza della felce diVillars (Dryopteris villarii).Nell’Appennino centro-meridionale sono presenti numerose associazioni gla-reicole distribuite dalla fascia montana a quella alpina. Una delle più peculiari

Papavero alpino (Papaver rhaeticum) epapavero delle Alpi Giulie (P. julicum)

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69Alpi sudoccidentalie Appennino settentrionale

SUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Primula marginata, Saxifragacallosa

Alpi nordoccidentaliSUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Phyteuma humile, Potentillagrammopetala

Alpi occidentaliSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi carbonatiche incl. calcescisti >Androsace pubescens, Minuartiarupestris ssp. clementei, Saxifragadiapensioides, S. retusa ssp. augustana,S. valdensis, Sedum fragrans● Detriti > Allium narcissiflorum (anchesulle serpentiniti), Brassica repanda,Campanula alpestris, C. cenisia,Galium pseudohelveticum, Oxytropisfetida, Saussurea alpina ssp. depressa,Viola cenisia

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Artemisia glacialis, Campanulaelatines● Detriti (inclusi quelli da calcescisti) >Achillea erba-rotta incl. ssp. ambigua,A. nana, Adenostyles leucophylla,Campanula excisa, Coincya richeri,Leucanthemum atratum ssp.coronopifolium, Thlaspi rotundifoliumssp. corymbosum

Alpi orientali - Distretto insurbicoSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Athamanta vestina, Campanulaelatinoides, C. petraea, C. raineri,Daphne petraea, Minuartia grignensis,

Moehringia bavarica ssp. insubrica, M.dielsiana, M. glaucovirens, M. markgrafi,Primula albenensis, P. grignensis,Saxifraga arachnoidea, S. presolanensis,S. tombeanensis, S. vandellii, Sileneelisabethae, Telekia speciosissima● Detriti > Galium montis-arerae, Linariatonzigii, Moehringia concarenae, Thlaspirotundifolium ssp. grignense

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Androsace brevis, Phyteumahedraianthifolium● Detriti > Viola comollia

Alpi orientali - Distretto dolomiticoSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Campanula morettiana,Minuartia graminifolia, Primularecubariensis, P. tyrolensis, Spiraeadecumbens ssp. hacquetii● Detriti > Draba dolomitica, Festucaaustrodolomitica, Rhizobotrya alpina,Saxifraga facchinii

SUBSTRATI SILICEI

● Detriti > Saxifraga depressa

Alpi orientali - Distretto carnico-giulianoSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Arenaria huteri, Athamanta

68

Rupi e ghiaioni rappresentano gli habitatconservativi per antonomasia. Non devestupire quindi il fatto che in questiambienti si riscontri un’elevataconcentrazione di entità endemiche, chepiù e meglio delle specie appartenentiad altre categorie corologichepreservano la memoria genetica di unterritorio. Più in generale si puòaffermare che le catene montuose sonoun luogo deputato per lo sviluppo e laformazione di una flora endemica. L’Italiaè un paese montuoso e non deve quindisorprendere che la sua flora sia ricca diendemiti. Gli endemiti sono certamentepiù abbondanti su quei sistemi montuosiche presentano una maggiore ricchezzadi rupi e ghiaioni. Tuttavia non è questal’unica, e forse nemmeno la piùimportante ragione che può spiegarel’abbondanza di endemiti in un rilievo.Ancora più importante è la storia dellacatena stessa, la sua origine, il fatto chesia stata più o meno a lungo isolata daisistemi montuosi vicini. Molto hannogiocato nel determinare la diversaricchezza in specie endemiche anche levicende paleoclimatiche ed in particolarele glaciazioni.Come già segnalato in precedenza isettori alpini più ricchi in endemiti sonoquelli periferici. Data l’importanzarivestita dalla componente endemicanella flora di rupi e ghiaioni si è pensatobene di proporne una lista il più possibileaggiornata e completa e suddivisa persistemi montuosi.Nell’elenco sono state inserite anche leentità a distribuzione non propriamenteendemica, ma comunque ristretta elimitata a due settori fitogeograficidistinti.

Alpi Liguri e MarittimeSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Ballota frutescens,Campanula albicans,Helianthemum lunulatum,Micromeria marginata, Moehringialebrunii, Phyteuma cordatum,Potentilla saxifraga, Primula allionii,Saxifraga cochlearis● Detriti > Galeopsis reuteri,Galium saxosum, Iberis nana,Ligusticum ferulaceum

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Saxifraga florulenta,Silene cordifolia● Detriti > Viola argenteria (anche inCorsica), V. valderia

Alpi sudoccidentaliSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Alyssum ligusticum,Asperula hexaphylla, Campanulamacrorrhiza, Moehringia sedoides,Silene campanula● Detriti > Isatis alpina, Leucanthemumatratum ssp. ceratophylloides

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Galium tendae, Jovibarbaallionii, Saxifraga pedemontana,Sedum alsinefolium

Marcello TomaselliEndemiti su rupi e ghiaioni

Sassifraga piemontese (Saxifraga pedemontana)

Viola del Moncenisio (Viola cenisia)

Dafne minore (Daphne petraea)

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71Moehringia papulosa, Pinguicula fiorii,Potentilla apennina, Saxifraga ampullacea,S. italica● Detriti > Achillea barrelieri, Adonisdistorta, Alyssum cuneifolium, Androsacevitaliana ssp. praetutiana, Cerastiumthomasii, Cymbalaria pallida, Galiummagellense, Ranunculus magellensis,

Saxifraga speciosa, Thlaspi stylosum,Viola magellensis

Appennino centrale e meridionaleSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Achillea mucronulata, Saxifragapaniculata ssp. stabiana, S. porophylla● Detriti > Carduus chrysacanthus,Ptilostemon niveus (anche sulle Madonie)

Appennino centrale e DinaridiSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Androsace mathildae,Malcolmia orsiniana● Detriti > Drypis spinosa, Heracleumpyrenaicum ssp. orsinii, Papaver degenii,Saxifraga glabella

Appennino centrale e Alpisudoccidentali

SUBSTRATI CARBONATICI

● Detriti > Festuca dimorpha

Appennino meridionaleSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Achillea lucana, A. rupestris,

Aquilegia champagnatii, Campanulapollinensis, Globularia neapolitana,Hieracium portanum, Lonicera stabiana,Pinguicula hirtiflora● Detriti > Leucanthemum laciniatum

SiciliaSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Armeria gussonei, Asperulagussonei, Aubrieta deltoidea, Centaureabusambarensis, Draba olympicoides,Helichrysum nebrodense, Minuartiaverna ssp. grandiflora, Silene saxifragavar. lojaconoi● Detriti > Senecio candidus● Detriti lavici > Anthemis aetnensis,Saponaria sicula, Scleranthus annuus

ssp. aetnensis, S. vulcanicus, Sedumaetnense, Senecio aetnensis, S.ambiguus

SardegnaSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Armeria morisii, Asperulapumila, Campanula forsythii, Centranthustrinervis, Cephalaria mediterranea,Limonium morisianum

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Armeria sulcitana, Helichrysumfrigidum, H. montelinasanum, Herniarialitardierei, Potentilla crassinervia,Saxifraga cervicornis, Sedum brevifolium,Silene requienii● Detriti > Sagina pilifera

70 turbith, Campanula zoysii, Cerastiumsubtriflorum, Pinguicula poldinii,Potentilla clusiana, Saxifraga tenella,Spiraea decumbens ssp. decumbens● Detriti > Alyssum wulfenianum, Festucalaxa, Ranunculus traunfellneri

Alpi orientaliSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Androsace hausmannii,Campanula carnica, Minuartiacherlerioides, Paederota bonarota,Physoplexis comosa, Phyteuma sieberi,Saxifraga burseriana, S. hostii, S.squarrosa, Valeriana elongata● Detriti (inclusi quelli da calcescisti) >Achillea atrata, Androsace vitaliana ssp.sesleri, Aquilegia einseleana,Cerastium carinthiacum, Crepis

terglouensis, Doronicum glaciale,Galium margaritaceum, G. noricum,Leucanthemum atratum ssp. halleri,

Minuartia austriaca, Pedicularisaspleniifolia, Pritzelago alpina ssp.austroalpina, Saxifraga aphylla, Sesleriaovata, Soldanella minima, Thlaspialpestre, Th. rotundifolium ssp.cepaeifolium

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Androsace wulfeniana,Jovibarba arenaria● Detriti silicei > Androsace wulfeniana

Alpi orientali e DinaridiSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Festuca stenantha, Moehringiabavarica ssp. bavarica, Paederota lutea,Saxifraga crustata, S. petraea, Sileneveselskyi● Detriti > Alyssum ovirense, Campanulathyrsoides ssp. carniolica, Laserpitiumgaudinii, Papaver kerneri, Silenequadrifida, Trisetum argenteum

Alpi orientali e AppenniniSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Artemisia nitida, Moltkiasuffruticosa, Potentilla nitida, Valerianasaxatilis● Detriti > Papaver ernesti-mayeri,Saxifraga sedoides, Valeriana supina

Appennino settentrionaleSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Globularia incanescens,Leontodon anomalus, Polygalacarueliana, Rhamnus glaucophyllus,Salix crataegifolia, Silene lanuginosa● Detriti > Cirsium bertolonii

SUBSTRATI SILICEI

● Rupi > Primula apennina● Detriti > Murbeckiella zanonii

Appennino centraleSUBSTRATI CARBONATICI

● Rupi > Aquilegia magellensis,A. ottonis, Artemisia petrosa ssp. eriantha,Campanula fragilis ssp. cavolinii, C. tanfanii,Centaurea scannensis, Cerastium thomasii,

Ranuncolo di Traufellner (Ranunculus traunfellneri)

Peverina di Carinzia (Cerastium carinthiacum)

Sassifraga a foglie opposte appenninica(Saxifraga speciosa)

Saponaria siciliana (Saponaria sicula)

Page 37: Ghiaioni e rupi di montagna - Orobievive

73

Come già accennato nell’introduzio-ne, sono condizioni difficili, spessoestreme, quelle in cui si trovano avivere gli animali che frequentano gliambienti rupestri montani, siano que-sti rappresentati da superfici rocciosenude e verticali come rupi scoscese oda accumuli detritici più o meno con-solidati, quali ghiaioni, morene emacereti. I fattori naturali che limitanoe che regolano la sopravvivenza dellezoocenosi rupestri e di quelle deibrecciai montani sono numerosi, mapossiamo tentare di ricordarne alme-no i più rilevanti.Le forti acclività dei substrati, con pendenze elevate o con rocce spesso asviluppo verticale, sfavoriscono soprattutto la fauna epigea e che si muovecamminando. Anche la natura mobile o comunque instabile dei ghiaioni, sog-getti a frane e colate detritiche, rende assai difficile l’attività degli animali nonvolatori. Ad esempio, molti mammiferi terricoli hanno difficoltà a muoversi suqueste superfici e a colonizzarle in modo stabile: i loro arti, infatti, non garan-tiscono una presa adeguata e li limitano quindi nella possibilità di risalire ediscendere agevolmente falde detritiche e di arrampicarsi su emergenzerupestri. Questi substrati, inoltre, sono particolarmente ostici per le specieapode, quali i serpenti e alcuni sauri, e per molti vertebrati che colonizzano ilsuolo o la lettiera, come mammiferi insettivori e roditori. Sono invece più facil-mente accessibili ai volatori e non sono poche le specie di uccelli che infatti liutilizzano come habitat preferenziali per motivi alimentari, per la riproduzione,o semplicemente per trovarvi rifugio, avvantaggiandosi della bassa competi-zione interspecifica e dei minori rischi di predazione al nido. È questo in par-ticolare il caso di diversi falconidi, accipitridi e corvidi. Tra i vertebrati, di fatto,solo gli uccelli offrono esempi di vera specializzazione alla vita in questiambienti. Gli invertebrati, invece, soprattutto per un loro intrinseco vantaggiodi scala, associato cioè alle loro dimensioni e alla loro massa di gran lunga

La vita animale delle rupi e dei ghiaioniPAOLO AUDISIO · LUCIO BONATO

Pareti rocciose e ghiaioni sono habitat spessoassociati (Vette Feltrine, Veneto)

Camoscio delle Alpi (Rupicapra rupicapra)

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7574 ricercare il cibo su ghiaioni e maceretie numerose specie di insetti ne sonoaddirittura esclusive.Anche l’aridità di questi substrati,soprattutto nella stagione estiva, costi-tuisce un altro notevole fattore limitan-te. Infatti, a parte fenomeni temporaneidi condensazione o ruscellamento, leforti pendenze delle pareti e delle altresuperfici rocciose e la notevole per-meabilità superficiale degli accumulidetritici impediscono generalmenteall’acqua di ristagnare o di scorrere alungo. Mancano quindi quasi comple-tamente un vero suolo e una significa-tiva copertura vegetale che possano trattenere l’acqua anche solo tempora-neamente o rallentarne l’infiltrazione. Non ultima, l’esposizione diretta all’in-solazione e ai venti accelera l’evaporazione e il disseccamento. Ecco quindiche i paesaggi rupestri montani e i macereti associati, soprattutto quelli car-bonatici, non comprendono generalmente quegli ambienti acquatici, o alme-no umidi, necessari alla vita di molti animali.Tra i vertebrati, in particolare, sono escluse non solo le specie strettamenteacquatiche come i pesci, ma anche quelle solo parzialmente legate alleacque dolci come la maggior parte degli anfibi. Tra gli insetti acquatici, inve-ce, vi possono essere occasionalmente presenti gli stadi imaginali volatori dispecie a elevata vagilità, posati su rocce e massi, e pochi elementi igropetri-ci, legati cioè ai veli di acqua a colonizzazione algale che percolano lungo lepareti di rocce umide. L’insolazione spesso molto marcata, specialmente nella stagione estiva, inte-ressa di norma substrati a moderata capacità termica, ovvero caratterizzati dauna certa facilità a surriscaldarsi e a raffreddarsi rapidamente. Ne conseguonostress termici e significative escursioni circadiane e stagionali che condiziona-no non solo gli animali eterotermi ma anche i vertebrati omeotermi. Ciò èaccentuato da un contesto climatico di norma spiccatamente microtermo, conventi freddi e nevicate abbondanti, sebbene anche la neve sia di norma scar-samente trattenuta nei punti a maggiore acclività. L’elevata ventosità e l’esposizione agli agenti meteorici, responsabili di valan-ghe, crolli e frane, possono portare alla frequente rimozione fisica di molti ani-mali dalla superficie di rupi e ghiaioni, soprattutto per quanto riguarda piccoliinvertebrati, inclusi quelli volatori, con conseguente aumento della mortalità ediminuzione delle loro potenzialità di insediamento. Le basse temperature e la

inferiori, superano più agevolmente i problemi di spostamento a terra in con-dizioni di forte acclività. Quelli che hanno avuto un maggior successo adatta-tivo in questi habitat sono comunque organismi perlopiù in grado di aderirepiù efficacemente ai substrati (come i molluschi terrestri), quelli più minuti ingrado di insinuarsi in microfessure o sotto piccole pietre (come molti piccolicoleotteri microfagi), quelli associati in vario modo a parti aeree o sotterraneedi vegetali (che si svincolano in tal modo dal problema della pendenza e dal-la necessità di una diretta adesione al terreno, come molti insetti fitofagi), oancora quelli che sono volatori allo stadio adulto, ma che allo stadio larvalesono fitofagi, fitosaprofagi, parassitoidi o vivono comunque aderendo in variomodo al substrato, come molti lepidotteri, ditteri e imenotteri.L’abituale povertà di nutrienti disponibili nei substrati rocciosi montani tendepoi a sostenere comunità vegetali effimere e mutevoli, con livelli di produtti-vità primaria alquanto bassi e a forte stagionalità. In queste condizioni, è ine-vitabile che anche le zoocenosi siano relativamente effimere e mutevoli.Diversamente dai pascoli pingui, dalle praterie e dalle boscaglie che si svilup-pano in quota, le rupi e i ghiaioni che emergono tra questi ambienti sonoinfatti relativamente poveri di risorse alimentari. Ciò condiziona sia i fitofagi,che possono contare solo su una biomassa vegetale scarsa e stagionale, siai predatori, dato che la disponibilità di prede è generalmente limitata e, ancorpiù, variabile in modo abbastanza imprevedibile. Nonostante ciò, alcuniuccelli e mammiferi roditori e carnivori sono effettivamente specializzati nel

Ghiaione nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)

Parnassius apollo su una rupe ad alta quota,con ali rovinate a causa del volo in condizionidifficili

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7776 scavare pazientemente nei ghiaioni, dove a una certa profondità freddo e con-densa sono in genere assicurati anche in piena estate.Va anche osservato che la stessa azione del vento, dei fulmini e delle intem-perie sugli ambienti rupestri più esposti, benché ad impatto ovviamentenegativo sulle biocenosi nel loro complesso, provoca peraltro qualche effettobenefico, almeno nei confronti di alcune componenti delle zoocenosi, in par-ticolare delle entomocenosi xilofaghe. Infatti, molte specie di insetti trovano lecondizioni ideali per operare i loro attacchi alla componente lignea proprionelle condizioni di sofferenza e di deperimento che spesso caratterizzano gliindividui più o meno isolati delle specie di piante a portamento arboreo-arbu-stivo. Oltretutto, molti xilofagi sono tendenzialmente xerotermofili e trovanoquindi condizioni particolarmente favorevoli proprio sulle rupi esposte esoleggiate. Anche l’intera comunità di insetti associati a quelli xilofagi (soprat-tutto imenotteri e coleotteri predatori, parassiti e parassitoidi) viene di conse-guenza ad arricchirsi.Non trascuriamo poi l’“effetto siepe” rappresentato da rupi e imboccaturedi gole fluviali che, interrompendo localmente il profilo dominante del pae-saggio, spesso costituiscono alla loro base un potenziale ed effettivo puntodi accumulo e di addensamento per molti organismi, soprattutto insettivolatori (insieme con i semi di molte piante), trasportati, passivamente oquasi, dai venti. Analogamente, anche a livello dei ghiaioni di quota e sottocresta, molti invertebrati delle medie e basse quote, soprattutto insetti vola-

ventosità di questi siti rendono inoltredifficoltosi la comunicazione e l’orienta-mento su base olfattiva e ferormonale,favorendo invece il canale visivo. Percontro, la scarsità della copertura vege-tale e l’omogeneità cromatica e struttu-rale di questi ambienti rendono spessoestremamente visibili ai predatori lamaggior parte degli animali che vi siavventurano, soprattutto i vertebrati,esponendoli a rischi elevati. Di conse-guenza, tra quelli che li frequentanoregolarmente, roditori e passeriformi,ad esempio, hanno comportamentipiuttosto elusivi.Non va infine dimenticata la tipicaframmentazione di questi habitatmontani, spesso isolati tra di loro.Questa situazione, combinata con lealtre condizioni sopra descritte, com-

porta ovvie difficoltà nelle attività riproduttive e nella diffusione di molte spe-cie, soprattutto quelle più specializzate, con minori capacità di dispersioneattiva e con popolazioni di minori dimensioni, rendendole in definitiva piùfacilmente esposte anche a fenomeni di estinzione locale.D’altra parte, alcuni altri fattori abiotici risultano in vario modo favorevoli allavita animale e contribuiscono a mitigare le dure condizioni generali degliambienti rupestri e dei ghiaioni, o a consentire, nel lungo termine, l’arricchi-mento e la specializzazione delle relative zoocenosi.Ad esempio, l’esposizione delle rupi all’irraggiamento solare, combinata con illimitato accumulo nivale durante i mesi autunnali-invernali dovuto alla forteacclività, permette di estendere nel tempo la disponibilità di un microclimalocale primaverile-estivo-autunnale termicamente più favorevole. Ciò consen-te a molti animali xerotermofili e a gravitazione mediterranea, ad esempio mol-ti insetti e molluschi polmonati e qualche rettile, di raggiungere in questi habi-tat altitudini insolite e, verso Nord, latitudini limite. D’altra parte, nei ghiaioni alpini e di media-alta quota dove lo spessore deidepositi clastici sia sufficiente, si osserva spesso il mantenimento, in profon-dità, di condizioni ottimali per alcuni elementi dell’artropodofauna litoclasicola(quella preferenzialmente legata alle pietraie incoerenti) durante la stagioneestiva, dopo lo scioglimento della copertura nevosa. La sola possibilità di tro-vare alcuni elementi di questa fauna durante il periodo estivo è infatti quella di L’opilionide Mitopus morio

Le forti inclinazioni e l’irraggiamento solarelimitano l’accumulo di neve sui ghiaioni

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tori (ditteri, coleotteri, imenotteri elepidotteri in particolare), sono spes-so trasportati e incanalati dai ventidal fondovalle verso i valichi montani,dove vi possono costituire comunitàpiù o meno effimere di “veleggiatori”.La disponibilità di microhabitat contemperature medie estive e autunnalipiù elevate può quindi agevolare l’in-sediamento di queste specie, almenoin via temporanea, in ambito monta-no, aumentando la locale biodiversitàdi questi siti.Infine, la tipica frammentazione diquesti habitat montani, spesso più omeno isolati tra di loro, con popola-zioni sovente di ridotte dimensioni,può favorire nel lungo termine il diffe-renziamento genetico, dando avvioad eventuali fenomeni microevolutividi speciazione, che hanno infatti interessato componenti importanti, soprat-tutto invertebrati, nel corso dei cicli macroclimatici plio-pleistocenici. Per i motivi che abbiamo elencato, le rupi montane e i ghiaioni a queste asso-ciati rappresentano quindi ambienti estremamente selettivi, ma proprio perquesto le comunità animali che vi si insediano, sebbene relativamente pove-re, rivelano tratti anche singolari, con elementi di grande peculiarità, soprat-tutto tra gli artropodi.Gli animali che vi si possono trovare sono in definitiva riconducibili a tre prin-cipali categorie funzionali: i fitofagi in senso lato, in vario modo associati alleparti aeree di vegetali caratteristici di questi habitat (perlopiù insetti antofagi,fillofagi, xilofagi o spermofagi legati a casmofite e glareofite, un certo nume-ro di molluschi e alcuni roditori e artiodattili); i microfagi o fitosaprofagi, lega-ti ai limitati detriti vegetali che si accumulano nelle fessure delle rocce o neimodesti suoli (essenzialmente suoli bruti di erosione) presenti al di sotto dibrecce e ghiaie (ancora insetti, qualche occasionale crostaceo isopode,qualche diplopode, svariati molluschi); infine i predatori (soprattutto aracni-di, insetti, occasionali chilopodi, alcuni rettili, passeriformi e rapaci). Nellaprima categoria sono compresi numerosi elementi spesso più o meno stret-tamente specializzati per questi habitat, mentre nella seconda e soprattuttonella terza sono presenti elementi perlopiù eurieci e frugali, di norma conscarsa specializzazione trofica, seppure con qualche eccezione.

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Falco pellegrino (Falco peregrinus)

Estesi depositi detritici in Alta Val Cimoliana(Friuli Venezia Giulia)

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fili e sciafili è particolarmente evidente nelpopolamento vegetale delle gole che sisviluppano alle quote medie e medio-basse: si trovano così a vivere, spesso adistanza di pochi metri e con analogoportamento arbustivo, elementi fitoclima-ticamente distinti come il leccio (Quercusilex) e il faggio (Fagus sylvatica). Nonmancano peraltro elementi peculiari diquesti ambienti, che spesso costituisco-no autentiche rarità floristiche (paleoen-demiti, specie ad areale disgiunto oaccantonate in situazioni relittuali).Nelle Alpi sudoccidentali le gole rocciosedelle quote basse e medie conservanospecie di grande rilevanza fitogeograficatra cui la cimiciotta spinosa (Ballota frute-scens) e la primula di Allioni (Primula allio-nii). Nelle Alpi sudorientali, specie tipica-mente legate a questi ambienti sono l’are-naria di Huter (Arenaria huteri), localizzatasui rilievi carbonatici appena ad Est delPiave, la spirea cuneata (Spiraea decum-bens) e, sulle rupi stillicidiose, l’erba-untadi Poldini (Pinguicula poldinii), recente-mente scoperta in Carnia.Nelle forre delle Alpi Apuane è comunel’erba-unta di Reichenbach (Pinguiculareichenbachiana), mentre in quelle del-l’Appennino centrale si rinvengono lameringia vescicolosa (Moehringia papulo-sa), nella Gola del Furlo nelle Marche enelle Gole della Val Nerina, l’efedra nebro-dense (Ephedra major) e sulle pareti con

Da un punto di vista paesaggistico enaturalistico, pochi habitat in Italia sonopiù affascinanti delle gole fluviali, indipen-dentemente dalle quote in cui scorrono ifiumi o i torrenti che le hanno plasmate edalla natura geologica dei substrati dierosione. Parte di questo fascino è legatoal fatto che le gole costituiscono di solitouna netta discontinuità geomorfologica evegetazionale rispetto al paesaggio che lecirconda. Inoltre, esse hanno rappresen-tato storicamente ambienti di difficilecolonizzazione da parte dell’uomo, anchese localmente alcune popolazioni vi han-no trovato rifugio sfruttando ingressi dicavità carsiche o riadattando e ampliandoanfratti naturali, spesso riutilizzati in tempipiù recenti per la pastorizia ovina e capri-na. Spesso, dunque, le gole sono sfuggi-te per secoli alla maggior parte dei pro-cessi di distruzione e rimaneggiamentoincontrollato degli ambienti naturali, costi-tuendo, soprattutto alle basse quote, del-le vere e proprie “isole di naturalità”,sopravvissute in aree anche a forte impat-to antropico. Le gole rappresentano quin-di anche dei naturali e importanti corridoifloristici e faunistici tra aree a residuanaturalità. Contemporaneamente, essecostituiscono anche una sorta di naturalitrappole a caduta per molti organismi checolonizzano gli ambienti limitrofi. In parti-colare, per molti vertebrati rappresentanoaree preferenziali di rifugio dai predatori edai disturbatori, come nel caso di alcunespecie di uccelli che vi trovano unambiente ottimale per nidificare e ripro-dursi in relativa sicurezza. Almeno nelle gole più strette e profondepossono realizzarsi notevoli fenomeni diinversione vegetazionale, condizionatianche dalla diversità di esposizione dellepareti: una vegetazione tipica degli oriz-zonti superiori si viene quindi a trovareconfinata sul fondovalle, più umido eombreggiato, mentre una vegetazione piùtipica degli orizzonti inferiori si sviluppapiù in alto, sulle superfici più esposte e

soleggiate. Ciò consente insoliti contrasti,soprattutto su versanti opposti orientatirispettivamente a Sud e a Nord, tra ele-menti floristici e faunistici marcatamentexerotermofili e submediterranei ed ele-menti invece sciafili e criofili, che nel loroinsieme elevano in modo talora sorpren-dente la locale biodiversità, con fenomenianaloghi a quelli osservati nelle profondedoline dei paesaggi carsici (si veda lascheda “La dolina” nel Quaderno Habitat“Grotte e fenomeni carsici”). Gli organismianimali e vegetali che colonizzano lepareti, spesso verticali o a forte acclività,delle gole fluviali sono in parte gli stessiche vivono sulle rupi montane ma, perl’insieme delle peculiari condizioni sopraricordate, le gole ospitano una varietà digran lunga maggiore di specie, diverseper provenienza e per esigenze ecologi-che, soprattutto nelle forre più profonde.Una commistione di elementi xerotermo-

Forra fluviale nell’Appennino Abruzzese

scorrimento d’acqua l’aquilegia di re Otto(Aquilegia ottonis) e l’erba-unta di Fiori(Pinguicula fiorii).Tra gli insetti, soprattutto tra i fitofagi, siannoverano alcuni tra gli elementi piùspecializzati ed esclusivi di questi habitat,talvolta di grande valore naturalistico econservazionistico, che trovano i lororelitti ambienti d’elezione quasi esclusiva-mente nelle strette gole fluviali. È il caso,ad esempio, di alcuni coleotteri curculio-nidi, come i rari ceutorinchini Ceutorhyn-chus pinguis, endemita dell’Appenninolegato alla brassicacea Alyssum diffusum,e C. verticalis, endemita appenninicomeridionale legato a pareti verticali (da cuiil nome emblematico) su Aurinia saxatilis,ma soprattutto Mesoxyonyx osellanus,altra specie appenninica endemica, sco-perta solo in anni molto recenti e legataalla rara e relitta Ephedra major, caratteri-stica delle pareti verticali di media quota

Le gole fluviali Paolo Audisio · Lucio Bonato · Marcello Tomaselli

Efedra nebrodense (Ephedra major)

Arenaria di Huter (Arenaria huteri)

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piccole ombrellifere xerofile, presente lun-go alcune gole fluviali di Alpi Marittime,Calabria e Sicilia orientale, oltre al ninfali-de Polygonia egea, ormai divenuto piutto-sto sporadico e localizzato, principalmen-te legato a urticacee del genere Parietaria.Tra gli araneidi predatori, le tre specie ita-liane di Segestria (Segestria bavarica, S.florentina e S. senoculata) si possono rin-venire anche nelle fessurazioni delle fale-sie e sotto le pietre dei pendii rocciosi,fino a quote intermedie, in buona partedella penisola.I molluschi sono associati quasi esclusi-vamente alle gole scavate in rocce carbo-natiche. Vi si potranno trovare sia specieigrofile che xeriche, in quanto, a secondadell’esposizione, queste pareti rocciosepresentano microclimi freschi più o menoumidi. Frequenti sono alcuni prosobran-chi del genere Cochlostoma, con nume-rose specie ad areale più o meno ristretto,i piramidulidi Pyramidula pupilla e P. rupe-stris, e molte specie di condrinidi deigeneri Rupestrella, Chondrina e Solato-pupa, spesso ad areale piuttosto ristretto.Non sono pochi i clausiliidi dei generiClausilia e Charpentieria rappresentati daspecie più diffuse nel Norditalia, Delimanell’Italia centrale, Papillifera, Leucostig-ma, Medora nell’Appennino e, in Italiameridionale e in Sicilia, Siciliaria e Mutica-ria. Tra gli elicidi si annoverano, infine,alcuni generi particolarmente ricchi dispecie rupicole, come Chilostoma, fre-quente soprattutto nell’arco alpino, Mar-morana nell’Appennino e nelle isole, eTyrrheniberus in Sardegna.Per molti vertebrati le gole fluviali costitui-scono per lo più delle barriere o comun-que dei territori inospitali, dati la notevoleverticalità e il carattere roccioso. Alcunespecie, tuttavia, vi trovano invece dei sitiottimali per rifugiarsi o per riprodursi, inquanto inaccessibili a molti predatori espesso poco disturbati dalla presenzaumana, ma anche perché offrono condi-zioni ambientali (microclimatiche soprat-

tutto) diverse da quelle che prevalgononei territori circostanti. Tra gli uccelli, inparticolare, alcuni rapaci quali il capovac-caio (Neophron percnopterus), l’aquila diBonelli (Hieraaetus fasciatus) e il lanario(Falco biarmicus) nidificano prevalente-mente su queste pareti rocciose al di sot-to dei 1000 m di quota nell’Italia meridio-nale. Seppure non esclusive delle forrefluviali, vi si riproducono regolarmenteanche altre specie rupicole, quali il passe-ro solitario (Monticola solitarius), la mona-chella (Oenanthe hispanica) e il corvoimperiale (Corvus corax).Purtroppo, in tempi più o meno recenti,anche molte gole fluviali hanno subìtovarie forme di impatto antropico. Laminaccia più violenta è certamente rap-presentata dal fatto che le gole, per loronatura, hanno rappresentato e rappresen-tano tuttora un’ovvia scorciatoia proget-tuale, se non dei punti obbligati di passag-gio, per la realizzazione di opere viarie e dicollegamento infrastrutturale. Ne conse-gue che strade, autostrade, ferrovie, oleo-dotti ed elettrodotti hanno preso semprepiù sovente la via delle gole fluviali,distruggendone o deteriorando sensibil-mente la qualità paesaggistica e biologicadei fondivalle, dei corsi d’acqua che viscorrono e delle pareti. In particolare, perla necessità di mettere in sicurezza strade,ferrovie e impianti nei confronti della cadu-ta di massi e di fenomeni franosi in genere,si ricorre spesso a crolli controllati indottidallo scoppio di mine e alla sistemazionedi reti, palizzate metalliche di contenimen-to e briglie. Un altro impatto notevole èlegato all’incivile abitudine, purtroppo dif-fusa in molti paesi mediterranei, di utilizza-re forre e canaloni come comode e appa-rentemente discrete discariche abusiveper i rifiuti civili, quelli agricoli e perfinoquelli industriali più ingombranti (in parti-colare materiali edili, elettrodomestici,liquami, carcasse di animali, ecc.), conovvie conseguenze sulle comunità vege-tali ed animali delle stesse.

di gole fluviali calcaree. Tra i coleotterinitidulidi, tipici di molte gole fluviali, indiversi settori dell’Italia nord-occidentale,appenninica e insulare, sono i già citatiMeligethes lindbergi, M. nuragicus, M.subfumatus e M. scholzi. Sempre tra icoleotteri, anche alcuni elementi xilofagi exerofili tipicamente mediterranei o sub-mediterranei manifestano spesso unapresenza marcatamente extrazonale lun-go le pareti più esposte e soleggiate dellegole fluviali, come ad esempio molticerambicidi e alcuni buprestidi le cui larvesi sviluppano esclusivamente o preferen-zialmente entro i rami secchi di lecci o dialtre querce sclerofille (Cerambyx scopo-lii, Anaglyptus gibbosus, Stromatium uni-color, Trichoferus holosericeus, Deropliagenei, Latipalpis plana e altri), di legumi-nose genistee (Trichoferus spartii) o difichi (Stenhomalus bicolor).Altre specie, tipiche di habitat mesofili, necolonizzano invece i versanti più ombreg-giati, associate a forme arbustive di latifo-glie come tigli (Exocentrus lusitanus), car-pini (Axinopalpis gracilis) e perfino faggi(Rosalia alpina, che è specie prioritaria diinteresse comunitario) o anche ad alcunespecie montane di pini (Arhopalus ferus).Tra i numerosi eterotteri, caratteristici diquesti habitat sono ad esempio svariatitingidi del genere Copium, associati apiccole lamiacee rupestri del genere Teu-crium. Tra gli imenotteri, alcuni sfecidi delgenere Sceliphron fissano alle pareti i loronidi di fango, successivamente approvvi-gionati con ragni, a spese dei quali si svi-luppano le larve. Anche alcune specie dieumenidi, ad esempio gli Eumenes, pos-sono sfruttare simili siti per la nidificazio-ne: i nidi incollati alla parete sono a formadi piccola botte, con una minuta escre-scenza centrale, modellata dopo il riforni-mento della cella con bruchi di lepidotterie dopo la deposizione di un uovo all’inter-no. Tra i moltissimi lepidotteri, da citare èsoprattutto il raro papilionide Papilioalexanor, ad areale frammentato, legato a

Paolo Audisio · Lucio Bonato · Marcello TomaselliLe gole fluviali

Cerambyx scopolii

Anaglyptus gibbosus

Stromatium unicolor