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GESÙ MAESTROSettembre-Ottobre 2016 - Trimestrale anno 20Istituti Paolini “Gesù Sacerdote” e “Santa Famiglia”DIRETTORE: Don Roberto RoveranDIREZIONE: Circonvallazione Appia, 162 - 00179 Roma

Tel. 06.7842609 - 06.7842455 - Fax 06.786941AUTORIZZAZIONE TRIBUNALE DI ROMA n° 76/96 del 20/02/1996 Fotocomposizione e stampa: Trullo Comunicazione s.r.l. - Servizi di STAMPA • GRAFICA • WEB

Cell. 335.5762727 - 335.7166301

Grafica di copertina: Mario Moscatello sspIn copertina: Cristo e l’adultera di Alessandro Turchi, 1619 (collezione privata)

EDITORIALELa santità, stile di vita per laFamiglia Paolina . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

MAGISTERO DELLA CHIESATre fondamenti della vita cristiana . . . 7

SPIRITUALITÀ BIBLICAIl Vangelo della Misericordia . . . . . . . . 11Messaggio Superiore Generale . . . . . . 15L’impronta di Tarso . . . . . . . . . . . . . . . 16

ISTITUTO “GESU’ SACERDOTE”COMUNICAZIONE DEL DELEGATO

Le quattro dimensioni dell’identità IGS . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

NUOVI SANTIJosé Luis Sánchez: martire a 14 anni . . 24

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”LETTERA DEL DELEGATO

Percorsi di educazione affettiva . . . . . . 26

SOMMARIO

VERSO IL CONVEGNO ISF 2016Capire la bellezza del Matrimonio . . . . 30

L’ESORTAZIONE VISTADA UNA COPPIAUna particolare Pasqua di luce . . . . . . 33

FORMAZIONE CONIUGALELa direzione spirituale: importanza econdizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

NOTE DI LITURGIAInvitati alla Mensa del Signore . . . . . . 39

ESPERIENZE E TESTIMONIANZELa mamma deve essere misericordiosa 41Incollati a qualcuno . . . . . . . . . . . . . . . 43Amare Gesù con tutto il cuore . . . . . . 45Una bella serata . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46La famiglia nel paese delle meraviglie . 47

IN MEMORIAUniti nel suffragio . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

NOVITA’ LIBRI E FILM . . . . . . . . . . 53

Editoriale

Di fronte alle sfide attuali della nostra so-cietà, segnata dalla perdita dei valori

umani e cristiani, urge, con spirito rinnova-to, assumere con amore e speranza il nostroimpegno di evangelizzare nella gioia comeapostoli comunicatori e come consacrati.Con audacia vogliamo portare avanti la no-stra missione di vivere e annunciare GesùMaestro Via, Verità e Vita, il Vangelo eterno,nella cultura della comu-nicazione. Questa aspira-zione ci porta ad appro-fondire la nostra identità,che significa prendere inesame tutte le dimensionidella nostra vita, sintetiz-zate dal nostro Fondatore,il beato Giacomo Albe-rione, nell’immagine del-le quattro ruote del carropaolino, che devono pro-cedere unite e insieme:“Tutto l’uomo in GesùCristo, per un totale amo-re a Dio: intelligenza, vo-lontà, cuore, forze fisiche.Tutto: natura, grazia, vo-cazione, per l’apostolato.Carro che corre poggiato sulle quattro ruote:santità, studio, apostolato e povertà” (AD100). Non una o due ruote, quindi, maquattro! Questa è la sfida per noi Paolini eper tutta la Famiglia Paolina, conformemen-te al carisma particolare di ogni istituzione.

Uniti a Cristo nella dinamica dell’amore

Della santità non si parla spesso. Per donAlberione “la santità non sta nel fare dei mira-coli, nelle cose straordinarie o eccezionali, masolo nella conformità al volere divino. Viverela volontà di Dio”. In sintonia papa Benedet-to XVI afferma che “la santità, la pienezza del-la vita cristiana, non consiste nel compiere

imprese straordinarie, manell’unirsi a Cristo, nel vi-vere i suoi misteri, nel farenostri i suoi atteggiamenti,i suoi pensieri, i suoi com-portamenti”. Alla luce delConcilio Vaticano II, esseresanto non vuol dire com-piere cose eccezionali, mavivere uniti a Cristo.

Tutti i cristiani, di ognistato e categoria, sonochiamati a seguire l’esem-pio e a diventare conformiall’immagine di Cristo, ri-vestendosi di sentimenti dimisericordia, di bontà, diumiltà, di dolcezza, di pa-zienza (Col 3,12) e degli

altri sentimenti che portano alla unione conLui e a una vita più conforme e integrata alsuo Vangelo. Tutti i battezzati, infatti, sonochiamati alla pienezza della vita cristiana ealla perfezione della carità e a promuoverenella società un tenore di vita più umano.

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Pubblichiamo i passaggi più importanti della lettera annuale del Superiore generale della Società San Pao-lo, don Valdir De Castro, che invita a configurarsi a Cristo con tutto se stessi per annunciare il Vangelodentro la cultura della comunicazione.

La santità, stile di vita per laFamiglia Paolina

Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

La santità, stile di vita per la Famiglia Paolina

La santità cristiana consiste nell’unirsi aCristo entrando nella dinamica dell’amore,che crea comunione e porta al servizio deifratelli: “Dio è amore; chi rimane nell’amo-re rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suoamore nei nostri cuori per mezzo dello Spi-rito Santo, che ci fu dato (Rm 5,5), un amo-re che dà senso alla vita e spinge alla missio-ne. Gesù è l’amore di Dio in persona, e lo haespresso in gesti concreti di accoglienza, mi-sericordia, compassione e tenerezza versotutti, specialmente i più bisognosi. Lui ha

stabilito l’amore come la prima caratteristi-ca che deve distinguere i suoi discepoli: “Daquesto tutti sapranno che siete miei discepo-li: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv13,35). Non c’è cammino di santità senzaamore!

Vivere e dare il Vangelo

L’incontro con Gesù ci pone nella pro-spettiva dell’amore, ci dà un nuovo orizzon-te e ci inserisce nell’itinerario della santità.Solo grazie all’incontro con l’amore di Dioin Cristo Gesù, che si trasforma in feliceamicizia, siamo riscattati dal nostro indivi-dualismo e riusciamo a rompere l’autorefe-renzialità. In altre parole, per chi accogliequesto amore che ridona il senso della vita, èimpossibile contenere il desiderio di comu-nicarlo agli altri; sente la necessità di uscire,di condividere quanto ha ricevuto. Noi Pao-lini siamo chiamati a vivere e ad annunziareil Vangelo (a uscire!), donando agli altri, nel-la comunicazione e con la comunicazione,ciò che abbiamo ricevuto dal Signore. Lacultura della comunicazione è il contesto vi-vo del nostro carisma specifico, è il nostroambiente privilegiato per l’annuncio delVangelo, è il luogo della nostra testimonian-za come apostoli-comunicatori.

E santo, cioè ispirato al Vangelo, è coluiche ascolta. Infatti, “comunicare significa con-dividere, e la condivisione richiede l’ascolto,l’accoglienza. Ascoltare è molto più che udire.L’udire riguarda l’ambito dell’informazione;ascoltare, invece, rimanda a quello della co-municazione, e richiede la vicinanza. L’ascoltoci consente di assumere l’atteggiamento giu-sto, uscendo dalla tranquilla condizione dispettatori, di utenti, di consumatori… Ascol-tare non è mai facile… Saper ascoltare è unagrazia immensa, è un dono che bisogna invo-care per poi esercitarsi a praticarlo” (PapaFrancesco, Messaggio per la 50a Giornata mon-diale comunicazioni sociali, 2016).

In Cristo con Maria e san Paolo

Il nostro processo di santificazione è unprocesso di cristificazione: finché sia formato

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il Cristo in noi (Gal 4,19). Per questo, la no-stra devozione centrale non può essere altrache Gesù Maestro, Via, Verità e Vita. Non sitratta di “una devozioncella”, ma di Gesù ilMaestro; e tale devozione non è qualcosa diseparato dalla vita vissuta, ma è un’azioneche coinvolge tutta la persona. Infatti Albe-rione sottolinea che essa “investe tutta la no-stra vita spirituale, i nostri studi, il nostroapostolato, l’attività esterna: tutto”. Nell’iti-nerario di santità, dal colore paolino, vissutanella cultura della comunicazione, i nostridue riferimenti sono Maria, Regina degliApostoli, e l’apostolo Paolo.

Maria è colei che accoglie il Dio invisibi-le e lo rende visibile al mondo, comunican-dolo in carne umana. Ella ci indica la missio-ne, lo spirito pastorale, che presuppone l’ave-re in sé il messaggio (il “Vangelo”) per poter-lo offrire. L’apostolo Paolo è il padre, il mae-stro, l’esemplare, il protettore, il vero fonda-tore della nostra Istituzione. La nostra sfida èvivere e dare interamente Gesù Cristo, comelo interpretò, lo visse e lo diede al mondo sanPaolo apostolo.

Nutriti alla Parola e all’Eucaristia

Nel cammino della santità abbiamo biso-gno di nutrirci ogni giorno, per avere le forzenecessarie per trasferire la santità nei nostriimpegni. La Parola di Dio e l’Eucaristia sonole due fonti della nostra vita spirituale, che sicompletano così intimamente da non poteressere comprese l’una senza l’altra. Il nostroFondatore ha compreso bene questo: “Euca-ristia e Bibbia formano l’apostolo della stam-pa. Siano queste due cose inseparabili e inse-parate nei vostri cuori”. La Parola di Dioascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucari-stia, ci alimenta e rafforza interiormente e cirende capaci di un’autentica testimonianzaevangelica nella vita quotidiana. Se non dia-

mo tempo all’ascolto della Parola, che cosadiremo, che cosa comunicheremo?

La santità non è un ideale del passato, mauna sfida per l’oggi. Non possiamo dimentica-re l’aspetto pratico della testimonianza dellasantità come stile di vita, specialmente nelmondo della comunicazione. Questo ci portaa rompere le dicotomie che normalmente co-struiamo, cioè, la frattura tra la vita concreta(con le sue speranze e gioie, con le sue difficol-tà e sofferenze) e la preghiera. Il cammino disantità suppone una ricerca costante di una vi-ta integrata, nonostante i limiti umani, ricono-scendo la nostra “insufficienza in tutto: nellospirito, nella scienza, nell’apostolato, nella po-vertà”, come diciamo nel Segreto di riuscita.

In questa linea è opportuno farci alcunedomande: Come viviamo il Vangelo fra noi? Lasantità è uno stile di vita o una realtà lontanadalla nostra vita concreta? Nella nostra vita c’èintegrazione della vita personale e comunitariacon la spiritualità e l’apostolato o viviamo inmodo schizofrenico? Diamo tempo alla preghie-ra? L’Eucaristia genera fraternità e misericordia,ci lancia nella missione o è soltanto un rito diroutine? Le nostre devozioni investono tutta lanostra persona? Portiamo avanti con entusiasmoil carisma paolino, dandone testimonianza nel-la cultura della comunicazione?

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Editoriale

Far conoscere il carisma

Il Signore ci aiuti a progredire nel nostroimpegno di fare tutto per il Vangelo nella fe-deltà creativa al nostro carisma, vissuto nelmondo di oggi, per servire l’uomo di oggi.

A tal proposito, ecco un bell’intervento dipapa Francesco: “Voi sapete che un carismanon è un pezzo da museo, che resta intattoin una vetrina, per essere contemplato e nul-la più. La fedeltà, il mantenere puro il cari-sma, non significa in alcun modo chiuderloin una bottiglia sigillata, come se fosse acquadistillata, affinché non sia contaminato dal-l’esterno.

No, il carisma non si conserva tenendoloda parte; bisogna aprirlo e lasciare che esca,affinché entri in contatto con la realtà, con lepersone, con le loro inquietudini e i loroproblemi. E così, in questo incontro fecondocon la realtà, il carisma cresce, si rinnova eanche la realtà si trasforma, si trasfigura at-traverso la forza spirituale che tale carismaporta con sé” (3 settembre 2015).

Con le beatificazioni del nostro fondato-re don Giacomo Alberione e di don TimoteoGiaccardo la Chiesa ha riconosciuto che è

possibile santificarsi nel nostro carisma, apartire dallo “stile cristiano-paolino di vive-re”. Altri, uomini e donne, nella FamigliaPaolina sono esempi di una vita di amore edi donazione: i Venerabili Maggiorino Vigo-lungo, Fr. Andrea Borello, il Can. FrancescoChiesa, Sr. Tecla Merlo, Sr. Scolastica Rivata.Tantissimi altri membri nel silenzio hannovissuto la santità. Ringraziamo il Signore perla vita di tutti. Ora è il nostro momento!Tocca a ciascuno di noi vivere la santità co-me un vero stile di vita.

Don Valdir DE CASTRO,Superiore generale ssp

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La santità, stile di vita per la Famiglia Paolina

Grazie Mariella e Claudio,grazie di aver accettato

il servizio di Responsabilinazionali dell’Istituto

santa Famiglia.Con voi ringraziamo

anche le coppieche hanno risposto sì

ad essere Consiglieri nazionali

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Magistero della Chiesa

Durante il viaggio in Armenia il 25 giugno scorso nell’omelia della Messa Papa Francesco ha riflettuto sulletre basi a fondamento della nostra vita cristiana.

Tre fondamenti della vita cristiana

Potremmo domandarci: che cosa il Si-gnore ci invita a costruire oggi nella

vita, e soprattutto: su che cosa ci chiamaa costruire la nostra vita? Vorrei proporvi,nel cercare di rispondere a questa do-manda, tre basi stabili cu cui possiamoedificare e riedificare la vita cristiana,senza stancarci.

Ricordare

Il primo fondamento è la memoria.Una grazia da chiedere è quella di saperrecuperare la memoria, la memoria diquello che il Signore ha compiuto in noie per noi: richiamare alla mente che, co-me dice il Vangelo, Egli non ci ha dimen-ticato, ma «si è ricordato» (Lc 1,72) dinoi: ci ha scelti, amati, chiamati e perdo-nati; ci sono stati grandi avvenimenti nel-la nostra personale storia di amore conLui, che vanno ravvivati con la mente econ il cuore. Ma c’è anche un’altra me-moria da custodire: la memoria del popo-lo. I popoli hanno infatti una memoria,come le persone. E la memoria del vostropopolo è molto antica e preziosa. Nellevostre voci risuonano quelle dei sapientisanti del passato; nelle vostre parole c’èl’eco di chi ha creato il vostro alfabeto al-lo scopo di annunciare la Parola di Dio;nei vostri canti si fondono i gemiti e legioie della vostra storia. Pensando a tut-to questo potete riconoscere certamentela presenza di Dio: Egli non vi ha lascia-ti soli. Anche fra tremende avversità, po-

tremmo dire con il Vangelo di oggi, il Si-gnore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc1,68): si è ricordato della vostra fedeltàal Vangelo, della primizia della vostra fe-de, di tutti coloro che hanno testimonia-to, anche a costo del sangue, che l’amo-re di Dio vale più della vita (cfr Sal63,4). È bello per voi poter ricordare congratitudine che la fede cristiana è diven-tata il respiro del vostro popolo e il cuoredella sua memoria.

Fare spazio a Gesù

La fede è anche la speranza per il vo-stro avvenire, la luce nel cammino dellavita, ed è il secondo fondamento di cuivorrei parlarvi. C’è sempre un pericolo,che può far sbiadire la luce della fede: èla tentazione di ridurla a qualcosa del

passato, a qualcosa di importante ma cheappartiene ad altri tempi, come se la fe-de fosse un bel libro di miniature da con-servare in un museo. Tuttavia, se rinchiu-sa negli archivi della storia, la fede perdela sua forza trasformante, la sua bellezzavivace, la sua positiva apertura verso tut-ti. La fede, invece, nasce e rinasce dal-l’incontro vivificante con Gesù, dall’espe-rienza della sua misericordia che dà lucea tutte le situazioni dellavita. Ci farà bene ravvi-vare ogni giorno questoincontro vivo con il Si-gnore. Ci farà bene leg-gere la Parola di Dio eaprirci nella preghierasilenziosa al suo amore.Ci farà bene lasciare chel’incontro con la tenerez-za del Signore accendala gioia nel cuore: unagioia più grande dellatristezza, una gioia cheresiste anche di fronte aldolore, trasformandosiin pace. Tutto questorinnova la vita, la rendelibera e docile alle sorprese, pronta e di-sponibile per il Signore e per gli altri. Puòsuccedere anche che Gesù chiami a se-guirlo più da vicino, a donare la vita a Luie ai fratelli: quando invita, specialmentevoi giovani, non abbiate paura, ditegli di“sì”! Egli ci conosce, ci ama davvero, edesidera liberare il cuore dai pesi del ti-more e dell’orgoglio. Facendo spazio aLui, diventiamo capaci di irradiare amore.Potrete in questo modo dar seguito allavostra grande storia di evangelizzazione,di cui la Chiesa e il mondo hanno bisognoin questi tempi tribolati, che sono peròanche i tempi della misericordia.

Amare concretamente

Il terzo fondamento, dopo la memoriae la fede, è proprio l’amore misericordio-so: è su questa roccia, sulla roccia del-l’amore ricevuto da Dio e offerto al pros-simo, che si basa la vita del discepolo diGesù. Ed è vivendo la carità che il voltodella Chiesa ringiovanisce e diventa at-traente. L’amore concreto è il biglietto

da visita del cristiano: altri modi di pre-sentarsi possono essere fuorvianti e per-sino inutili, perché da questo tutti sa-pranno che siamo suoi discepoli: se ab-biamo amore gli uni per gli altri (cfr Gv13,35). Siamo chiamati anzitutto a co-struire e ricostruire vie di comunione,senza mai stancarci, a edificare ponti diunione e a superare le barriere di sepa-razione. Che i credenti diano semprel’esempio, collaborando tra di loro nel ri-spetto reciproco e nel dialogo, sapendoche «l’unica competizione possibile tra idiscepoli del Signore è quella di verifica-re chi è in grado di offrire l’amore più

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Tre fondamenti della vita cristiana

grande!» (Giovanni Paolo II, Omelia, 27settembre 2001)…

Diventare misericordiosi

Potremmo però chiederci: come sipuò diventare misericordiosi, con tutti idifetti e le miserie che ciascuno vededentro di sé e attorno a sé? Vorrei ispi-rarmi a un esempio concreto, ad ungrande araldo della misericordia divina,che ho voluto proporre all’attenzione ditutti annoverandolo tra i Dottori dellaChiesa universale: san Gregorio di Na-rek, parola e voce dell’Armenia. È diffi-cile trovare qualcuno pari a lui nelloscandagliare le abissali miserie che sipossono annidare nel cuore dell’uomo.Egli, però, ha sempre posto in dialogo lemiserie umane e la misericordia di Dio,elevando un’accorata supplica fatta dilacrime e fiducia al Signore, «datore deidoni, bontà per natura, voce di consola-zione, notizia di conforto, slancio di gio-ia, tenerezza impareggiabile, misericor-dia traboccante, bacio salvifico» (Librodelle lamentazioni), nella certezza che

«mai è adombrata dalle tene-bre della rabbia la luce della[sua] misericordia».

Gregorio di Narek è unmaestro di vita, perché ci in-segna che è anzitutto impor-tante riconoscerci bisognosi dimisericordia e poi, di frontealle miserie e alle ferite chepercepiamo, non chiuderci innoi stessi, ma aprirci con sin-cerità e fiducia al Signore,«Dio vicino, tenerezza di bon-tà», «pieno d’amore per l’uo-mo, fuoco che consuma lasterpaglia del peccato».

Con le sue parole vorrei infine invoca-re la misericordia divina e il dono di nonstancarci mai di amare: Spirito Santo,«potente protettore, intercessore e paci-ficatore, noi ti rivolgiamo le nostre sup-pliche. Accordaci la grazia di incorag-giarci alla carità e alle opere buone;Spirito di dolcezza, di compassione, diamore per l’uomo e di misericordia, Tuche non sei altro che misericordia, abbipietà di noi, Signore nostro Dio, secon-do la tua grande misericordia» (Inno diPentecoste).

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Magistero della Chiesa

No al divano, sì alla libertà!Cari giovani, nella vita c’è una paralisi pericolosa e difficile da identificare che ci costa

molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELI-CITÀ con un DIVANO! Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon di-vano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. Un divano, come quel-li che ci sono adesso, moderni, con massaggi per dormire inclusi, che ci garantiscano oredi tranquillità per trasferirci nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al compu-ter. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi incasa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità” è probabilmente la paralisi silen-ziosa che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù. “E perché succedequesto, Padre?”. Perché a poco a poco, senza rendercene conto, ci troviamo addormentati,ci troviamo imbambolati e intontiti.

L’altro ieri, parlavo dei giovani che vanno in pensione a 20 anni; oggi parlo dei giovaniaddormentati, imbambolati, intontiti, mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni– decidono il futuro per noi. Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere deigiovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti que-sto risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondereal sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore. Voi, vi domando, domando a voi: voleteessere giovani addormentati, imbambolati, intontiti? [No!] Volete che altri decidano il fu-turo per voi? [No!] Volete essere liberi? [Sì!] Volete essere svegli? [Sì!] Volete lottare per ilvostro futuro? [Sì!] Non siete troppo convinti… Volete lottare per il vostro futuro? [Sì!]

Il coraggio della pazziaMa la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per pas-

sarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamovenuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza la-sciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consu-mare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Non sia-mo liberi di lasciare un’impronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gen-te che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene, che vivuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo no! Dobbiamo di-fendere la nostra libertà!

Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”. Gesù non è il Si-gnore del confort, della sicurezza e della comodità. Per seguire Gesù, bisogna avere una do-se di coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutinoa camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuo-vi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioiache lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di misericordia. Andare per le stra-de seguendo la “pazzia” del nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’as-setato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nelmigrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essereattori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimola a pensare un’econo-mia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita aportare la Buona Notizia, facendo della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo si-gnifica essere coraggiosi, questo significa essere liberi!

(Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani, Cracovia, 30 luglio 2016)

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Spiritualità biblica

La missione di Gesù è la misericordia

Il vangelo di san Luca è il vangelo del-l’universalità ed il vangelo della miseri-

cordia. Scorrerlo un po’ ci eccita all’amo-re e stabilisce in noi una fiducia semprepiù grande nella bontà di Dio, una fidu-cia sempre più grande in Gesù, nel croci-fisso, il Salvatore.

Il vangelo della misericordia: «Dio in-fatti ha tanto amato il mondo da dare ilFiglio unigenito, perché chiunque credein lui non vada perduto, ma abbia la vitaeterna» (Gv 3,16). Ecco ringraziare il Pa-dre celeste che ci ha mandato il suo Fi-glio a sollevare l’umanità dall’abisso in

cui era caduta. Ringraziare il Padre cele-ste! E il Padre nostro è una preghiera checi serve tanto e ci eleva a considerare tut-to quel che riguarda Dio: dopo le primetre domande, ci invita ad abbassare losguardo sopra la nostra miseria; quindiriconosciamo il nostro bisogno e d’altraparte abbiamo fiducia nella misericordiadi Dio: «Da’ a noi il nostro pane quotidia-no, rimetti a noi i nostri debiti... non c’in-durre in tentazione».

Il vangelo della misericordia: «Io nonsono venuto a chiamare i giusti, ma ipeccatori perché si convertano» (Lc5,32): questa è la missione di Gesù, per-ché «non sono i sani che hanno bisogno

Pubblichiamo una meditazione tenuta dal beato Giacomo Alberione a Roma il 9 aprile 1962. La registra-zione è conservata su nastro magnetico presso l’archivio generale della Società San Paolo. Si può consi-derare una sintesi del pensiero alberioniano sulla misericordia divina.

Il Vangelo della Misericordia

del medico, ma i malati» (Lc 5,31). E co-sì egli tracciava la sua missione di mise-ricordia.

Gesù confutò coloro che mormorava-no: «Chi può perdonare i peccati, se nonDio soltanto?» (Lc 5,21), e rispose: «Ora,perché sappiate che il Figlio dell’uomoha il potere sulla terra di perdonare i pec-cati, dico a te – disse al paralitico –: àl-zati, prendi il tuo lettuccio e torna a ca-sa tua» (Lc 5,24). Egli difese la sua mi-sericordia e difese il potere di usar la mi-sericordia, cioè di perdonare.

Immagini evangeliche

Se scorriamo il seguito del vangelo,troviamo:

* La dramma perduta, che la donnavuole ritrovare e la ricerca con grande di-ligenza e smuove i mobili e accende lalampada, finché la ritrova, e poi fa festacon le vicine, perché levuole compagne dellasua soddisfazione, del-la sua gioia.

* La pecorella smar-rita: tutti eravamosmarriti e l’umanità erasmarrita. E allora checosa fece il buon Pa-store? Andò a cercarla,finché la trovò. E, perrisparmiargli anche lafatica del ritorno, –perché sembrava feri-ta, – se la mise sullespalle e la riportò al-l’ovile. Gesù si misesulle spalle la croce,cioè tutti i nostri peccati, tutti i peccatidell’umanità e soddisfece per noi tutti.

* La parabola del figliuol prodigo sot-to un certo senso è ancor più espressiva:descrive la discesa del figliuol prodigoverso l’abisso e descrive il suo pentimen-to, il suo ritorno al Padre e la festa che fail Padre nel rivedere il figlio, perché «eramorto ed è tornato in vita, era perduto edè stato ritrovato» (Lc 15,24). D’altra par-te san Giovanni predicando in prepara-zione alla manifestazione di Gesù, delMessia, come lo indicò? Quando lo vide,disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui chetoglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).L’agnello di Dio! E perché il Signore noncastigò l’umanità? e perché volle solle-varla? «Misericordia io voglio e non sacri-fici» (Mt 9,13; cf Os 6,6): Dio ci usasempre misericordia; «che il malvagio siconverta dalla sua malvagità e viva» (Ez33,11), perché vuole che siamo salvi.

* Possiamo ricordare la samaritanache arriva al pozzo e che si mostra daprincipio un po’ ribelle nel discorrere con

Gesù. «I Giudei infattinon hanno rapporti coni Samaritani» (Gv 4,9).Ma il Signore la invitaa pensare: «Se sapessichi è che ti chiede dabere, saresti tu a chie-derne a lui». Ma la sa-maritana pareva chenon volesse arrendersi:«E come? Non hai diche attingere e il pozzoè profondo». Ma Gesùsi fece strada in quel-l’anima che aveva se-guito la via del pecca-to. «Eh, lo so che nonhai marito! Ma quanti

ne hai avuti? E colui che hai adesso è for-se tuo marito?». E allora ecco Gesù entra

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Il Vangelo della Misericordia

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in quell’anima e la invita a riflettere, laconverte e poi essa va in città a parlare einvitare i suoi concittadini a venire. E dapeccatrice si fa come apostola della suacittà.

* La misericordia di Gesù si vede tan-to nell’episodio dell’adultera (Gv 8,3-11). Interrogarono Gesù: «Costoro, quan-do son sorpresi in peccato, devono esserlapidati. E tu che dici?». MaGesù si chinò e scriveva nel-la polvere, per terra; poi dis-se: «Chi è innocente, scaglila prima pietra». Ci invita ariflettere su di noi e a diven-tare misericordiosi. E allorauno per uno quelli se ne an-darono e rimase solo Gesùcon la donna. «Nessuno ti hacondannata? No. Neppure ioti condannerò». Una cosa so-la voleva: «Va’, non peccarpiù». Ce l’ha detto tante vol-te il Signore questo.

* E che cos’è che muove ilcuore di Dio a usarci miseri-cordia? La Maddalena, laquale sa di essere indegna,va al convito, si inginocchiaai piedi di Gesù, piange i suoi peccati,bacia i piedi del Salvatore e li asciugacon i suoi capelli, li unge di unguento.Gesù dice: «Le son rimessi i molti pecca-ti, perché molto ha amato e molto ama»(Lc 7,36-50). La misericordia, che il Si-gnore ha usato a noi, – e in particolareper ognuno di noi, singolarmente – deveportarci ad amarlo.

* Vi è tanto da imparare dall’episodiodel rinnegamento di Pietro. Pietro nega ilSalvatore tre volte, ma poi ricorda le pa-role: «Prima che il gallo canti, tu mi avrairinnegato tre volte». E Gesù passa e gli

dà uno sguardo, che non è di rimprovero,ma è di amore. E Pietro capisce e «pian-se amaramente» (Lc 22,62). Gesù nongli rinfacciò il suo peccato, nonostante loavesse avvertito di stare attento. Solo do-mandò che lui facesse una triplice prote-sta di amore: «Mi ami tu?». E non lo ri-gettò e gli confermò il gran potere che giàgli aveva promesso: «Pasci i miei agnelli,

pasci le mie pecorelle» (Gv21,15-17). Quant’è buono ilSignore! Nonostante le nostreingratitudini e le nostre malecorrispondenze, il Signorenon ci ha rigettati, ma ci haconfermati.

* Anche gli altri apostoliavevano avuto un comporta-mento assai infelice: quandoGesù veniva legato, là nell’or-to del Getsemani, «tutti loabbandonarono e fuggirono»(Mc 14,50); nonostante le lo-ro precedenti proteste di fe-deltà, «tutti fuggirono». EGesù non li rimproverò, ma laprima volta che si mostrò aloro, conferì un potere straor-dinario, che fa meraviglia: il

potere di rimettere i peccati. Quale pote-re! Chi può rimettere i peccati se non Diosolo? E perché? Perché non era venutoper far morire, ma «a salvare ciò che eraperduto» ( Lc 19,10).

* I farisei accusavano Gesù: «Comemai il vostro maestro mangia insieme aipubblicani e ai peccatori?» (Mt 9,11; cfLc 15,2). E che cosa disse Gesù? E co-me si regolò con Paolo? Saulo era un per-secutore feroce, ma egli lo conquista conla misericordia. «Perché mi perseguiti?».«Ma cosa devo fare allora?». «Va’ e ti sa-rà detto cosa devi fare» (At 9,3-6). E ri-

Spiritualità biblica

cevette il battesimo e si convertì in quelgrande apostolo che conosciamo.

* Quando Zaccheo desiderava di ve-derlo, salendo sulla pianta, Gesù gli con-cesse di più: «Discendi, devo venire a ca-sa tua!». E andò e lo convertì, comuni-candogli una luce interiore. Allora Zac-cheo rispose: «Ecco, se ho rubato qual-che cosa, restituisco il quadruplo; do lametà dei miei beni ai poveri» (Lc 9,1-9).

Il crocifisso e la sua misericordia

Il cuore di Gesù fino a che punto ciamò? Fino a lasciarsi crocifiggere e poichieder perdono per tutti: «Perdona loro»(Lc 23,34). E promette al ladrone con-vertito: «Oggi sarai con me in paradiso»(Lc 23,43). Non lo sottomette neppure alpurgatorio, perché noi capissimo il suoamore e ne dessimo un po’ di spiegazio-ne a noi stessi. Perché volle nascer bam-bino, perché si assoggettò alla vita checondusse a Nazaret, alla vita di fatichedel ministero e alla stessa passione emorte? Tutto si spiega guardando la feri-ta del costato, tutto fu per amore: «mi haamato e ha consegnato se stesso per me»(Gal 2,20).

Allora dobbiamo chiedere la grazia diamare sinceramente Gesù. «Non ho pre-dicato altro che Gesù Cristo fra di voi eGesù Cristo crocifisso» (1Cor 2,2). È lì ilgran segno di amore: «Nessuno ama dipiù di colui che dà la vita per l’amato»(Gv 15,13). Tutte le volte che alziamo losguardo al crocifisso, lì c’è la predica.Nessuno ama di più. E chi ci ha amato dipiù? Né genitori, né amici; nessuno è an-cor morto per noi. Nessuno ama di più dicolui che dà la sua vita per l’amato.

E allora quante volte dobbiamo bacia-

re il crocifisso! E specialmente alla sera,voltando lo sguardo al crocifisso sul ca-pezzale, dare quegli sguardi e quei baciche vorremmo dare quando saremo nel-l’estrema agonia. L’unica salvezza, l’uni-ca consolazione poi non è il passato, leopere fatte, l’esser riusciti in una cosa oin un’altra: non ci consoleranno questecose, ma il crocifisso, la sua misericor-dia, la nostra speranza, l’unica speranzanostra.

A cura di don Paolo LANZONI ssp

14 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

Il Vangelo della Misericordia

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ESERCIZI SPIRITUALISulla traccia degli scritti

del beato Giacomo Alberionedi don Mauro Ferrero

Società san Paolo – Roma 2016

Il sacerdote paoli-no don Mauro Ferre-ro, autore di numerosilibri e opuscoli sullaspiritualità e formazio-ne paolina, articola incirca 200 pagine unpercorso spirituale inotto giorni sulla trac-cia del testo sacro edegli scritti del beatoAlberione. Ne risulta

uno strumento assai prezioso e praticoper la meditazione nel quotidiano a parti-re dalle ispirate intuizioni del Fondatoredella Famiglia Paolina. Egli sostiene inparticolare che “la nostra vita spirituale èun movimento circolare che parte dallaSS.ma Trinità per ritornare ad Essa”.

Il volume può essere richiesto alla Se-greteria dellʼIstituto “Santa Famiglia” viamail ([email protected]) o via tele-fono (06-7842609) al prezzo di 4,50 euro.

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16 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

L’apostolo Paolo è natoa Tarso, capitale della

Cilicia, nella parte sudo-rientale dell’Asia Minore(At 9,11; 21,39; 22,3).Lì, egli crebbe in am-biente ellenistico. Lalingua e la cultura gre-ca, la religiosità e la mo-rale ellenistica lo circon-darono sin dalla fanciul-lezza. Tarso era una del-le più interessanti cittàdel mondo antico, per-ché vi passava il confinetra l’Oriente e l’Occiden-te. In questa città duemondi si incontravano esi mescolavano tra loro.L’ampiezza dell’orizzon-te intellettuale, che questa situazione diconfine arrecava, si rispecchia nelle let-tere dell’Apostolo: in esse l’elemento el-lenistico e quello biblico-orientale sicompenetrano.

Si pensi soltanto al suo repertorio diimmagini: da un lato abbiamo l’allena-mento del corridore (1Cor 9,25), il pugi-lato (9,26) e lo spettacolo delle belvenell’arena (15,32), dall’altro la pasta az-zima che la massaia fa cuocere a Pasqua(5,7), il bue che trebbia al quale non sipuò mettere la museruola (9,9) ed il fi-glio che invoca il padre: “Abbà” (Rm8,15; Gal 4,6).

Come è certo che, aTarso, lo strato superioreera improntato alla cul-tura ellenistica, così èpure certo che la città ri-maneva ancora fonda-mentalmente una cittàorientale. Possiamo ades. considerare il costu-me di portare il velo. ATarso era seguito in ma-niera rigida come nel re-sto dell’Asia Minore. Quila donna, secondo il co-stume orientale, portavail velo in strada, mentread occidente di Tarsoquesta prescrizione dicostume si andava sem-pre più allentando ed in

Grecia la donna si presentava in pubbli-co senza velo. C’è forse l’influenza di ri-cordi giovanili, quando Paolo in tono in-flessibile esige dalle donne cristiane diCorinto che portino il velo nelle assem-blee di culto (1Cor 11,2-16)?

Anche la vita religiosa della città rima-neva d’impronta orientale. Impariamo aconoscerla nel modo migliore grazie adun tipo di moneta che per la prima voltaappare direttamente dopo la nuova fon-dazione di Tarso (171 a.C.) e da allora laritroviamo in forma stereotipa sino alla fi-ne del III secolo d.C.

In essa vediamo un basamento a for-

Dal volume Per comprendere la teologia dell’apostolo Paolo (Morcelliana, Brescia 1973) del biblista Joa-chim Jeremias pubblichiamo a puntate alcuni interventi utili a conoscere più da vicino il nostro patronosan Paolo.

L’impronta di Tarso

Conoscere san Paolo

Possibile identikit di Paolo di Tarsorealizzato dalla polizia scientificatedesca nel 2008 sulla base delledescrizioni contenute nelle più

antiche fonti storiche

17Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

L’impronta di Tarso

ma di cubo, decorato da ghirlande, chesorregge una tenda aperta, dalla foggia dipiramide, costruita con grandi pali. Inquesta tenda aperta si scorge un anima-le favoloso, un leone con delle corna edelle ali erette; su di esso sta una figurache, con le sue caratteristiche, in parti-colare la bipenne, si riconosce comeSàndas, il Baal di Tarso. Sopra la pirami-de, a suo coronamento, si libra un’aquilasimbolo della divinizzazione. Nella festaannuale del Baal Sandas il tutto venivacondotto su di un carro che accompagna-to in una solenne processione da miglia-ia di persone, attraverso le strade di Tar-so sulla piazza del mercato, dove si dan-zava con l’effigie della divinità, fino ache nella notte essa veniva data allefiamme. Tutti gli anni, ci testimoniano lemonete, nella città natale dell’Apostolo,si festeggiava la morte e l’apoteosi deldio tutelare di Tarso. Paolo conosce dun-que per esperienza diretta, fin dalla gio-vinezza, il culto di un dio che muore eche risorge. Non è quindi da stupirsi cheegli in Rom 6,1 ss. si serva del ricordo diquesto culto, quando a questo proposito

dice che il cristiano è crocifisso e sepol-to nel battesimo con Cristo, per esseretrasposto con lui in una nuova esistenza.Era un discorso che gli uomini di queltempo comprendevano.

Inoltre Paolo conosceva da Tarso ilculto di Cesare, che era particolarmentevivo nell’Asia Minore. Nella parte orienta-le dell’Impero, non a Roma, furono per laprima volta attribuiti onori divini all’im-peratore mentre era ancora in vita; sap-piamo dall’Apocalisse di Giovanni conquale fanatismo nell’Asia Minore fosseroattribuiti onori all’imperatore, quale So-tér, salvatore. Quando Paolo, nella Lette-ra ai Filippesi, afferma che la nostra pa-tria è nel cielo, che dal cielo noi aspettia-mo come nostro salvatore il Signore GesùCristo (3,20), ciò è affermato in antitesial culto di Cesare, che Paolo aveva potu-to conoscere sin dalla fanciullezza a Tar-so. Ancora più importante del culto deimisteri e della venerazione del sovrano,per la formazione dell’Apostolo, fu il fat-to che Tarso era un centro culturale diprimo piano. Il fervore che spingeva i cit-tadini di Tarso alla filosofia ed alla cultu-

ra generale superava quello degli Atenie-si e degli Alessandrini, afferma Strabone(63 a.C. – 20 d.C.), ed egli enumera tut-ta una serie di filosofi stoici, originari diTarso.

Non fa quindi meraviglia quando Pao-lo si mostra familiarizzato con la filosofiastoica e con la sua tec-nica della discussione ela sua arte retorica, lacosiddetta diatriba cini-co-stoica. Si tratta, inPaolo, del tentativo difar capire agli uominidella strada, in formapopolare, i concetti filo-sofici fondamentali, inparticolare le concezionimorali fondamentali del-la filosofia: domande re-toriche, similitudini,esclamazioni, citazioni,cataloghi di virtù e di vi-zi, giochi di parole, anti-tesi e simili procedi-menti devono servire astabilire il contatto con ascoltatori sem-plici, senza pretese. Paolo conosce edadopera la diatriba cinico-stoica; esem-plare, a questo riguardo, è il passo di1Cor 9, e lo sono inoltre i cataloghi di vi-zi e di virtù che si trovano presso di lui.Ma gli è pure noto il contenuto della filo-sofia di moda allora, la Media Stoà; tro-viamo nelle sue lettere dei termini stoicifondamentali (come coscienza [morale],natura, libertà), concetti stoici (come co-noscenza di Dio tratta dalle sue opere –Rm 1,20 – la legge non scritta – 2,14),elementi del patrimonio culturale stoico(come la natura quale educatrice – 1Cor11,14 – oppure l’analogia con la gara dicorsa nello stadio – 9,24 ss.).

Questo era dunque il mondo nel qualeera cresciuto Paolo. O meglio: questo erail mondo nel quale generalmente si cre-deva che Paolo fosse cresciuto, sino almomento in cui, nel 1952, questa visio-ne venne posta in discussione dalle ricer-che di uno studioso olandese del Nuovo

Testamento, W. C. vanUnnik. Egli concentrò lasua analisi sul singolopasso neotestamentariodove la storia dell’Apo-stolo è introdotta con leseguenti parole:

“Io sono un israelita,nato a Tarso in Cilicia;allevato in questa cit-

tà (= Gerusalemme),istruito ai piedi di Ga-

maliele” (At 22,3).Sulla base di un ricco

materiale documentario,egli osservò che i tre par-ticipi impiegati rappre-sentano una triade cor-rente, dove ognuno dei

tre verbi ha un preciso significato. Allanascita fa seguito l’«essere allevato», lacrescita nella casa paterna durante i pri-mi anni, e poi «l’istruzione» da parte delmaestro. La stessa triade è riferita a Mo-sè in At 7,20-22 e il confronto è istrutti-vo per il nostro caso. Lì è detto che Mo-sè, i primi tre mesi, fu «allevato» dai suoigenitori e poi nella casa della figlia delFaraone, e che fu «istruito» in tutta lacultura egiziana. Il passo degli Atti(22,3) ci informa che Paolo era nato aTarso, ma che aveva trascorso la sua fan-ciullezza e tutti i suoi anni di formazionein Gerusalemme, dove viveva inoltre unasorella sposata dell’Apostolo (At 23,16).

Secondo il passo di Atti 22,3 i suoi ge-

18 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

Conoscere san Paolo

nitori si erano già trasferiti a Gerusalemmequando Paolo era ancora un fanciullo.Questa notizia si trova confermata quandosottoponiamo ad accurato esame i suppo-sti influssi profani ellenistici su Paolo nelperiodo della sua maturazione, per es. lasua conoscenza della filosofia stoica.

Si vede allora facilmente che Paoloconosce bene le concezioni popolari, mache non possiamo parlare di un influssoprofondo della filosofia stoica sulla suapredicazione. Sono assenti idee fonda-mentali della filosofia stoica oppure ven-gono usate in maniera non rigorosa. Unesempio significativo in tal senso lo tro-viamo in Gal 3,5 in cui Paolo illustral’esortazione a mortificare le membradella carne, adducendo un catalogo di vi-zi che comprende cinque termini: forni-cazione, impurità, passione peccamino-sa, cattivo desiderio e cupidigia di posse-

dere. È una lista del tutto improbabileper il pensiero stoico. La «passione» po-sta al terzo posto (in greco: pathos), se-condo la dottrina stoica costituisce unconcetto sovraordinato e per essa è cosaassurda inserirla, con le sue concretizza-zioni, in un catalogo.

No, nulla mostra che Paolo abbia rice-vuto una formazione profana greca oltreal semplice apprendimento della linguagreca parlata comunemente nel suo am-biente.

Quegli elementi di eredità ellenisticache in lui troviamo derivano piuttosto daun processo di assimilazione che il giu-daismo della diaspora in quel tempo sta-va effettuando, vale a dire: sono trasmes-si a Paolo tramite il giudaismo ellenisti-co. La cultura spirituale di Tarso non è inalcun caso la chiave per comprendere lateologia paolina. (continua)

19Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

L’impronta di Tarso

Esercizi spirituali a Vicoforte (CN), 14-17 luglio 2016

20 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

ISTITUTO “GESÙ SACERDOTE”Istituto di vita consacrata per Sacerdoti diocesani

Le quattro dimensionidell’identità IGS

Ringrazio di cuore coloro che hanno rispostocon commenti vari alla mia comunicazione

che accompagnava la lettera del Provinciale perla conferma a Delegato. Mi hanno colpito in mo-do particolare le riflessioni che manifestavanorammarico per la inadeguatezza nel vivere concoerenza l’identità dei preti IGS: questo ramma-rico veniva proprio da alcuni di voi preti IGS cheritengo, invece, tra le persone più impegnate efedeli nello svolgere il loro ministero con spiritopaolino. Questo era il mio pensiero sull’identitàdell’IGS: “Preti che si nutrono di Vangelo, dipreghiera liturgica e personale; svolgono un mi-nistero dinamico ed efficace. Si dimostrano per-sone umili e grintose, innovative e rispettose deivalori. I preti IGS non devono ridurre la loro vitaa qualche servizio o momento di preghiera, marisultare preti che conoscono il mistero di Cristonella sua ampiezza, lunghezza, altezza, profon-dità fino a sperimentare l’agape di Cristo chesorpassa ogni conoscenza, testimoniandola congioia al mondo (Ef 3,14-21)”.

Ora vorrei puntualizzare che nell’espressionedi Paolo “conoscere e vivere il mistero di Cristonella sua ampiezza, lunghezza, altezza, profondi-tà…” possiamo contemplarvi le quattro dimen-sioni della nostra spiritualità paolina (le 4 ruo-te di don Alberione) e perciò una spiritualitàben articolata, essenziale, solida. Ossia un’atti-vità pastorale dinamica e aperta verso tutti(“larghezza”); la studiosità e la formazione per-

manente con le sue tappe carat-terizzate anche da crisi e tempilunghi per un’integrale configura-zione a Cristo (“lunghezza”); laqualità e l’intensità della vita dipreghiera (“altezza”); e la “pover-tà” che per Paolo e Alberione èquella di Filippesi 2: l’incarnazio-ne, l’abbassamento di Cristo, ladedizione oblativa nella missione(“profondità”).

La “profondità”del mistero di Cristo

In questa comunicazione vorreisoffermarmi soprattutto sullaquarta dimensione della nostraspiritualità, cioè sulla “povertà”(profondità), perché si tratta del-l’aspetto più significativo e libe-rante della mistica apostolica diSan Paolo e può aiutare a dareuna lettura più positiva quei sa-cerdoti IGS che non si sentono al-l’altezza della situazione, a motivodelle fatiche e tribolazioni del lo-ro ministero pastorale.

Accade a tanti preti di valuta-re, non sempre alla luce della fe-de, le inevitabili fatiche, prove,precarietà sofferte nello svolgereil servizio pastorale con dedizio-ne: le tribolazioni, gli insucces-si, i continui contrattempi che

Comunicazione del Delegato

21Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

scaturiscono dall’attività pastorale può arre-carci un certo disagio interiore anche com-prensibile, ma la Parola di Dio, l’esperienza disan Paolo e di santi pastori ci rivelano che in-vece sono autentici segni di fedeltà, e avveni-menti misteriosi di salvezza, tenendo presenteche il nostro ministero deve riflettere la sa-pienza della croce (mistero pasquale) di Cri-sto. Lo stile di Cristo costituisce la vera imma-gine (garanzia di autenticità) del ministero pa-storale.

In realtà tra amore alle anime e povertà evan-gelico-paolina c’è un rapporto strettissimo, per cuisi può affermare che con il crescere dell’amorepastorale alle anime si verifica una progressivamorte alle personali aspettative naturali. “Dallesue piaghe siamo guariti”: le tribolazioni ci appar-

tengono e non dobbiamo rimuo-verle, sconfiggendo la tentazionedi scaricare sugli altri tante fati-che e sofferenze che dovremmosostenere noi preti, conducendoun servizio pastorale generoso, amotivo dell’”agape, che lo Spiritoha riversato nel nostro cuore, chefa vivere, edifica gli altri e tuttosostiene…”.

“Povertà paolina”

Paolo povero, infatti, è Paoloche si fa tutto a tutti: “pur essen-do libero da tutti, mi faccio servo ditutti per portare salvezza a tutti…”(1Cor 9,19). E si mette volentierinella categoria dei poveri (2Cor7,6), perché sa che attraversoquesto suo svuotamento passauna forza superiore, la forza diDio collegata con il Vangelo, chearricchisce la Chiesa (2Cor 6,10).Allora la povertà diventa fecondi-tà apostolica e motivo di gioia(2Cor 13,9).

La Chiesa, le nostre comunità,ogni apostolo, ma soprattutto ilsacerdote IGS vivrà la sua comu-nione con il Cristo e risulterà ve-ramente strumento, servo, testi-mone e fecondo nella missionesolo sotto il segno del servizio,della povertà, della croce: tantopiù la potenza di Dio in Cristo simanifesta, tanto più si deve na-scondere (cfr Lc 24, 26: “era ne-cessario che soffrisse per portaresalvezza…”). Paolo, dopo un lun-go cammino di sequela, riesce adinteriorizzare questa logica in mo-

COMUNICAZIONE DEL DELEGATO

22 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

do così profondo fino a vantarsene: “Mi vanteròquindi ben volentieri delle mie debolezze, perchédimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi com-piaccio nelle mie debolezze, nelle difficoltà, nel-le persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cri-sto: infatti quando sono debole, è allora che so-no forte” (2Cor 12,7-14).

Il senso e la valutazione della fecondità apo-stolica non è il successo esteriore, ma il donodella propria vita che ha lo stesso valore salvifi-co della vita nascosta di Cristo a Nazareth, del-la vita nascosta di Maria e di tanti santi forte-mente provati nella loro vita. Noi sacerdoti dob-biamo avere a che fare più con i peccatori checon i santi: con i santi per ricaricarci, ma poidobbiamo andare in missione per portare Cristoa tutti, pagando di persona e sperimentando ladisapprovazione e le umiliazioni (croce) perchésiamo mandati come pecore in mezzo ai lupi(tribolazione e consolazione: 2Cor 1,3-11).

“Gustare” le tribolazionidel ministero

Risulta doloroso sempre e per tutti i preti cer-care Dio e la Verità, perché nonsempre si trovano con chiarezza.E’ arduo vivere in Dio, perché bi-sogna andare controcorrente. E’difficile annunciare la Verità, per-ché non sempre viene accettata.Risulta faticoso assumere il fecon-do metodo formativo-pastorale di«non imporre ma proporre, nonvincere ma convincere, non giudi-care ma analizzare». Per svolgereun ministero pastorale coerente eaperto a tutti è fondamentale inte-riorizzare e manifestare la “pover-tà paolina” e la “sapienza della croce”. La nostramissione è più un mistero da vivere che problemida risolvere e tecnologie da acquisire...

Questa è stata l’esperienza diPaolo e di tutti i “servi di Dio”:patriarchi, profeti, apostoli (cfr Eb11-12), di tutti i ministri del Si-gnore: non è stato mai il succes-so, il trionfo, i poteri del mondoche hanno manifestato la potenzadi Dio nella storia e nella Chiesa,ma la fede umile, la povertà, ilmartirio. Anzi ciò contro cui Cristoha lottato di più (e ci invita a far-lo) è proprio il potere, i privilegi:tentazione molto forte anche nellaChiesa...

Dobbiamo veramente vigilareperché una delle nostre esigenze,da un punto di vista psicologico, èquella di avere successo, di valerepresso gli altri. E questa dinamicapsicologica naturale porta, spes-so, a rifuggire certe fatiche dellatestimonianza cristiana e dellamissione, ad apparire migliori diquello che si è, a tralasciarel’ascolto docile del Signore, di-ventando pessimisti, lamentosi;

oppure ricercatori dipotere e privilegi.

Non siamo chia-mati a servire la mis-sione, nonostante leprove ma siamo chia-mati a servire il Si-gnore nelle prove cherisultano segno di fe-deltà, fecondità apo-stolica, coerenza nel-la sequela di Cristo.Noi vorremmo che laprova durasse poco

soprattutto nella cultura di oggiche non sopporta fatiche e tempilunghi di maturazione, mentre le

LE QUATTRO DIMENSIONI DELL’IDENTITÀ IGS

23Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

tribolazioni del ministero durano tantissimo eaccompagnano sempre la missione. Perciò le va-rie fatiche e le tribolazioni che cicapita di sperimentare nello svol-gere con impegno il nostro mini-stero, non sono da ritenere inade-guatezze pastorali, al contrario so-no da gustare spiritualmente comesegni di autenticità perché conse-guenza dello spendersi nell’apo-stolato, nello stare vicini alla gen-te, non chiudendosi nel gusciodelle comodità e dei privilegi.

Molto significativo e stimolanteal riguardo il pensiero di don Albe-rione: “Non si può continuare adire: quando non avrò questo in-comodo di salute, quando mi avranno cambiatodi ufficio, quando non avrò più a che fare conquella persona difficile… allora riuscirò a esse-re fedele alla missione affidatami. Sono tenta-zioni, tentazioni. La vera santità, il rispondere fe-delmente alla chiamata di Cristo, richiede viverecon fede, cioè in modo straordinario, i vari compi-ti ordinari, anche se nascosti e faticosi della gior-nata”.

Unità e collaborazione tra IGS e ISF

Prima di concludere vorrei rivolgere anche aimembri dell’ISF un messaggio di speranza e diimpegno per favorire una rinnovata collaborazio-ne tra i nostri due Istituti, già vivamente propo-sto ai sacerdoti IGS. Mi permetto di invitare tut-ti a tenere viva la consapevolezza che i nostriIstituti, come la Famiglia Paolina, la Chiesa, so-no realtà naturali e soprannaturali, umane e di-vine, prevedibili e imprevedibili. Le categorieumane ci permettono di girare attorno alle realtàdell’ISF e dell’IGS, ma non di entrarvi dentro e rin-vigorire come può fare lo Spirito Santo. La suapresenza operante, forte e straordinaria potrà

sempre sorprenderci in bene: an-che perché siamo in comunione

con san Paolo, ilbeato Alberione e isanti membri deinostri Istituti checontinuano ad in-tercedere per noi.

Ed è proprio que-sta speranza d’esse-re guidati dallo Spi-rito che ci devespronare decisa-mente a dare unacollaborazione ge-nerosa, attenta ecostante, mettendo

in gioco la nostra vita e spendendotutte le nostre energie, per l’edifi-cazione del Regno di Dio nei variambiti dove siamo chiamati adoperare. Per favorire la promozionedei nostri Istituti bisogna essere ca-lamita, diventando contagiosi: lacollaborazione-unità tra noi non èsolo da desiderare, ma bisogna ge-nerarla con la preghiera, l’impegno ela coerenza di vita…

Un invito ad impegnarci tutti,perciò, perché la comunione traIGS e ISF risulti non solo un for-male desiderio, ma una realtà ve-ra, superando con spirito paolino,“protendendoci in avanti”, le varieproblematiche e difficoltà delpassato: ce ne avvantaggeremotutti. Ecco un modo significativoper ricordare il 20° anniversariodella morte di don Lamera che ri-corre nel 2017.

Don Emilio CICCONI, Delegato [email protected]

COMUNICAZIONE DEL DELEGATO

La fede prima di tutto

José Luis nacque a Sa-huayo, in Messico, il

28 marzo 1913. La suavita sembra anticipare ifrutti della fede di unavita matura. All’età di 10anni iniziò a svolgere lasua opera di missionariodella fede, insegnandoai compagni a pregare eaccompagnandoli inChiesa per l’adorazioneeucaristica.

Nel 1926 la Chiesamessicana subì una fortepersecuzione da parte delgoverno. Iniziò un periodo di attacchi vio-lenti, denominato “guerra cristera”, chefu combattuta dai cattolici messicani co-me reazione alle leggi anticristiane pereliminare gli elementi fondanti della vitacristiana dalla società civile.

I suoi fratelli si arruolarono nell’eserci-to popolare per difendere la libertà reli-giosa. A causa della sua tenera età (ave-va appena 13 anni), Josè vide rifiutata lasua richiesta di entrare in questa forma-zione, ma con la sua insistenza riuscì afarsi arruolare prima come aiutante dacampo e poi come portabandiera e clari-nettista del generale Morfin.

Presto si distinse per i suoi atti di ge-nerosità e umiltà; ad es. il 6 febbraio

1928, vedendo morire il cavallo del ge-nerale Morfin, decise di donare il proprio

destriero al comandantecon la motivazione “la vo-stra vita è più utile dellamia”.

La conferma della suavocazione a dare la vitaemerse a 14 anni quandosi recò a visitare la tombadel beato A. G. Flores,morto per avere professa-to la fede sino al martirio.La sua preghiera fu:“Avere il coraggio di testi-moniare la verità del Van-gelo sino al punto di offri-re totalmente la vita”.

Innamorato di Cristo Re

Josè fu arrestato dalle truppe gover-native che, dopo averlo percosso, insul-tato e seviziato, gli proposero di abiura-re la sua fede in cambio della libertà, diuna buona quantità di denaro, l’avvio al-la carriera militare e la possibilità di ini-ziare una nuova vita negli Stati Uniti. Jo-sè rifiutò tutte queste allettanti proposteal grido: “Viva Cristo Re, viva la Madon-na di Guadalupe”.

I suoi carcerieri chiesero un paga-mento del riscatto per restituirlo vivo al-la sua famiglia, ma Josè riuscì a convin-

Il martirio di questo giovane messicano testimonia come la santità non sia una questionelegata all’età anagrafica, ma un dono di fede. Il nostro martirio, meno cruento, si consu-ma giorno dopo giorno nella sequela di Cristo Maestro Via Verità e Vita.

José Luis Sánchez: martire a 14 anni

24 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

Nuovi santi

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José Luis Sánchez: martire a 14 anni

cere sua madre a non pagare. Malgradol’enorme sofferenza per la sorte di Josè,ella decise di accettare la volontà del fi-glio. Il giorno della sua morte, il ragazzoriuscì a ricevere dalla zia Maddalenal’ultima Eucarestia della sua vita comeviatico per passare con fiducia alla casadel Padre.

Quel giorno iniziò la sua passione: isoldati gli spellarono la pelle dai piedi, lofecero camminare dapprima sul sale esuccessivamente lo condussero a piedi alcimitero, schernito e spinto dalle guar-die. Durante il percorso gli chiesero an-cora di rinnegare la sua fede per aver sal-va la vita. Gli dicevano: “Se gridi, muoiaCristo Re, ti salviamo la vita. Dì: muoiaCristo Re”. Ma lui rispondeva: “Viva Cri-sto Re”. Al cimitero i soldati gli rivolserol’ultimo invito all’apostasia della fede,ma il ragazzo continuava imperterrito nelproclamare la sua fede in Cristo. Il capodelle guardie a quel punto lo uccise conun colpo di pistola.

I primi frutti di questo martirio nontardarono ad arrivare: due bambini cheavevano visto la barbaria dei persecutoridi Josè e la sua fede coraggiosa e perse-verante, in età adulta diventarono fonda-tori di due congregazioni religiose. Lespoglie di Josè riposano nella Chiesa delSacro Cuore di Gesù di Sahuayo. Josè fubeatificato nel 2005 da Papa BenedettoXVI e sarà canonizzato il prossimo 16 otto-bre da Papa Francesco.

Preziosa eredità

Il piccolo Josè ci lascia una ereditàpreziosa, un compendio di vita cristianavissuta in pochi anni di vita. La radice

della forza spirituale di questo Santo èstata l’Eucarestia, che costituiva per luifonte di grazia da adorare ed esempio divita da imitare. Il nostro tempo, caratte-rizzato da un forte indebolimento dellavita cristiana, ci ha fatto dimenticareche la vera partecipazione al sacramen-to significa offrire la propria adesioneinteriore a dare la vita per amore a Dioe al prossimo.

Il secondo elemento distintivo dellavicenda di Josè è il suo continuo ricor-so alla preghiera: il suggerimento salvi-fico che sussurra di lasciarsi infiamma-re il cuore dall’amore di Dio per lasciar-si trasformare in testimoni della caritàdivina.

Josè ci ricorda che la preghiera non èun rituale vuoto fatto di formule da ripe-tere meccanicamente, ma un apporre lapropria firma su un foglio in bianco sulquale dare a Dio il nostro libero consen-so di scrivere la nostra storia con la suamano, utilizzando le gocce di inchiostrodelle nostre fatiche e sofferenze.

L’ultimo elemento della vita di Josè èla sopportazione di atroci dolori peramore a Cristo e alla Chiesa. Contem-plando la sua vita appare evidente comel’offerta delle ricchezze, del benessere edel potere in cambio dell’apostasia, so-no le stesse tentazioni vissute da Cristonel deserto. Josè non ha iniziato un dia-logo con i suoi persecutori, ma si è limi-tato a proclamare la regalità di Cristo ela materna protezione di Maria.

Appare così che la fede di un uomoper quanto piccolo e giovane che subi-sce il martirio non muore ma viene mol-tiplicata, sull’esempio del chicco di gra-no che solo morendo porta molto frutto(Da Zenit, a cura di O. Rinaldi).

• stile di vita individualistico,orientato sul valore della propriarealizzazione personale, ma che,se non trova un equilibrio tra ivalori del diritto e del dovere,può condurre a seguire la regoladi vita secondo cui l’uomo valemolto solo quando pensa primadi tutto a se stesso…

• stile di vita agonistico, orientatoal primato della vittoria e della

Orientamenti

Gli stili di vita che abbiamo sotto gli occhi e checondizionano i nostri sentimenti e i nostri valo-

ri affettivi sono sostanzialmente i seguenti:• stile di vita consumistico, orientato sui valori

del denaro, del successo e della ricerca delguadagno per cui l’uomo vale per quello cheha con la conseguenza di percepire i senti-menti e le relazioni con mentalità commer-ciale e/o contrattuale…

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”Istituto paolino per coppie di Sposi consacrati

Lettera del Delegato

Percorsi di educazione affettiva

“Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità, necessa-ria per essere felice. Possiamo negarla, ma non eliminarla. La dimensione degliaffetti, fondamentale per l’equilibrio della persona, necessaria per vivere e per vi-vere con gioia, è un autentico luogo teologico: l’amicizia rivela qualcosa di Dio.Ogni vivente nasce come persona appassionata. Bisogna non tanto soffocare maconvertire le passioni: non raggelare, ma liberare i desideri per desiderare Dio” (E.Ronchi, I baci non dati, Paoline 2007, p. 16).Oggi ci troviamo di fronte ad una sorta di marasma terminologico indifferenziato,in cui affetto e amore sono spesso confusi con emozione, sentimento, soddisfa-zione effimera. Le esperienze affettive sono sempre più vissute come realtà del-l’io individuale, pieno del suo sentire e delle sue emozioni e quindi senza spazioper l’incontro con l’altro, che diviene così qualcosa di minaccioso da cui difender-si o del quale appropriarsi.Se si pensa all’affettività come irrazionalità (qualcosa di intenso che mi travol-ge), o come emotività (frutto di entusiasmi passeggeri), essa diventa un fiume inpiena da arginare, un problema da cui difendersi invece che risorsa da metterein gioco.

26 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

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LETTERA DEL DELEGATO

pria esplosione emozionale, comenon si era mai visto. Occorre tene-re presente, a scanso di equivoci,la distinzione che esiste tra emo-zioni e sentimenti. Le prime sonouna componente fondamentaledell’esistenza personale, ma espri-mono solo il livello immediato delsentire; ben più profondo è il di-scorso dei sentimenti che coinvol-gono la totalità della persona, inbene o in male, a seconda dei con-tenuti di cui sono portatori. Ad es.l’innamoramento è un’emozione,un’emozione forte che fa provareun’ebbrezza speciale, al punto che

alla persona innamorata sembraquasi di volare, ma è un’emozionetemporanea: non dura per sempre;l’amore è un sentimento che va ol-tre l’emozione immediata e condu-ce ad accettare l’altro nella sua re-altà, apprezzandolo anche con isuoi limiti: un sentimento che vaben al di là del solo stato emotivoe implica il “tutto” e il “per sem-pre”. Il matrimonio si regge sul-l’amore, non sulla mera emozionedell’innamoramento.

supremazia a tutti i costi, per cui l’uomo valesolo quando vince e se sconfigge gli altri. Laconseguenza sulla nostra vita interiore è quelladel fare tante esperienze affettive che sianosempre appaganti e al massimo fuggendo quel-le in cui ci si può anche rimettere e perdere…

• stile di vita edonistico, orientato alla ricerca deldivertimento e del piacere personale per cuil’uomo vale quando si gode la vita e si divertecon la conseguenza del cadere nella culturadello “sballo” e della vita spericolata all’enne-sima potenza: i giovani, ma non solo loro, sonoi primi a rimanere condizionati.

Analfabetismo affettivo

Nella nostra cultura che si sia educati a rico-noscere il nostro mondo affettivo e ad assumerloin termini maturi come “relazionalità con” e “re-lazionalità per” non è essenziale e non si fa nien-te perché lo divenga. Il discorso degli affetti è re-legato nell’ambito dell’indefinito, del non-detto eperfino dell’irrilevante e dell’inutile. Si conosce ildna di ogni essere e si lavora per individuare lamappa genetica dell’essere umano (genoma), masolo un numero esiguo di individui si interroga suche cosa sia per lui l’affettività e sul come valo-rizzarla per un incontro con l’altro il più possibi-le positivo e cordiale (da cor/cordis, cuore). Haragione Restrepo quando osserva che: “I cittadi-ni occidentali soffrono di una terribile deforma-zione, di un pauroso impoverimento storico che liha portati ad un livello di analfabetismo affettivosenza precedenti. Conoscono la A, la B, la C, l’1,il 2, l’8, sono capaci di sommare, moltiplicare edividere, ma sanno ben poco della loro vita affet-tiva e mostrano una grande rozzezza nei loro rap-porti con gli altri” (Il diritto alla tenerezza, Citta-della 2001, p. 22-23).

Emozionalismo

In contrasto con l’analfabetismo e forse pro-prio a causa di esso, si assiste ad una vera e pro-

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Forme di affettività

1 Affettività “contro” (collera/rabbia). E’ tipicadi quanti si lasciano dominare da sentimenti diostilità come i collerici. La sensibilità si trasformain stato d’animo di rabbia, aggressività contro tut-to e tutti. A livello personale chi si lascia domina-re dal sentimento della rabbia vive un’attitudinecostantemente rivendicativa, come se navigassein un mare sempre in tempesta, senza riuscire adessere in pace con se stesso, con gli altri, conDio. Prevale l’insofferenza, l’intolleranza e quindil’incapacità a coltivare relazioni d’amore, di cor-dialità, di gioia. A livello di coppia le comunica-zioni del collerico sono prive di stima e di dialogosereno e maturo e quindi sono fortemente conflit-tuali, con comportamenti per lo più accusatori ecolpevolizzanti. La vita a due, in simili condizio-ni, diventa difficile, se non del tutto insopportabi-le. A livello educativo prevale l’autoritarismo, contoni minacciosi, offese e insulti gratuiti. Il colleri-co è incapace di esercitare un ruolo formativo po-sitivo. L’autorità è costantemente sulla china del-l’abuso e dell’intemperanza emotiva. I figli che sitrovano a vivere situazioni di questo genere speri-mentano tensioni psicologiche di notevole gravitàche li portano ad assumere stili analoghi.

2 Affettività “via da” (paura/ansia). E’ tipica di co-loro che si lasciano dominare da tensioni interne oesterne di paura, di preoccupazione. La sensibilitàsi orienta a stati d’animo ansiogeni con preoccupa-zioni ripetitive e martellanti e previsioni di pericoliimminenti. A livello personale chi si lascia domina-re dall’ansia vive in una sorta di fuga da qualcunoo da qualcosa senza riuscire a vedere il presentecon obiettività e il futuro con fiducia. A livello dicoppia la comunicazione risulta difficile perché èguidata solo o quasi da insicurezze invece che daatteggiamenti di fiducia e di sereno ottimismo. A li-vello educativo dominano atteggiamenti di iper-protezione come risvolto alle proprie insicurezze.L’effetto inevitabile sarà un’azione educativa chegenera persone fragili e incapaci di assumersi le

proprie responsabilità con una giu-sta dose di coraggio.

3 Affettività “senza” (tristezza/de-pressione). E’ tipica delle personetristi nelle quali domina il senso delpessimismo o addirittura del falli-mento. La sensibilità si trasformain stati d’animo fortemente negati-vi, depressivi e privi di vitalità. A li-vello personale il depresso si lasciadominare dalla rassegnazione, dalvittimismo e dall’impossibilità aconsiderare il mondo sotto il profilodel mezzo bicchiere pieno, conquel tanto di sano umorismo checonsenta di sdrammatizzare glieventi e sorridere. A livello di cop-pia le comunicazioni saranno per lopiù recriminatorie, con critiche esa-sperate e con un vissuto di coppiasempre insoddisfatto, fino a formedi masochismo e/o sadismo incon-sci. A livello educativo imperano at-teggiamenti scoraggianti se non de-cisamente distruttivi, con la man-cata valorizzazione delle migliori ri-sorse dell’individuo da educare.

4 Affettività “con” e “per” (tene-rezza/gioia). Per uscire dalle prece-denti forme riduttive e distortel’unica via umanamente percorribi-le è quella che conduce ad un’af-

PERCORSI DI EDUCAZIONE AFFETTIVA

LETTERA DEL DELEGATO

29Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

fettività “con” e “per”: un’affettività che apre al-l’amore dato e ricevuto educando ad essere con glialtri e per gli altri in una relazionalità positiva. Oc-corre cioè passare dagli stati d’animo della colle-ra, paura e tristezza alla tenerezza come stato del-l’anima. Il punto è che mentre i primi tre statid’animo non si scelgono, ma sono loro che scelgo-no noi, la tenerezza va proprio scelta come proget-to di vita. Tale opzione è la via che consente di va-lorizzare al massimo la ricchezza di sensibilità in-scritta nella persona, assumerla responsabilmentee orientare la propria sensibilità verso una relazio-nalità affettiva positiva e matura. Il segreto dellapiena maturità affettiva sta nell’andare a scuola ditenerezza da Dio per imparare ogni giorno di più alasciarsi plasmare dalla sua infinita tenerezza, cre-scendo in essa e sforzandosi di ricalcarne i tratti ei contenuti. “Tenerezza è dire grazie con la vita eringraziare è gioia perché è umile ringraziamentodell’essere amati” (B. Forte).

Siamo debitori di questi interessanti spunti adon Carlo Rocchetta e alla Casa della tenerezza dalui aperta a Perugia per offrire conoscenza, forma-zione e aiuto alle coppie.

Ti voglio bene

Lui era un omone robusto, dalla voce tonante ei modi bruschi. Lei era una donna dolce e delica-ta. Si erano sposati. Lui non le faceva mancarenulla, lei accudiva la casa ed educava i figli. I fi-gli crebbero, si sposarono e se ne andarono. Unastoria come tante.

Ma, quando tutti i figli furono si-stemati, la donna perse il sorriso,divenne sempre più esile, non riu-sciva più a mangiare e in breve nonsi alzò più dal letto. Preoccupato, ilmarito la fece ricoverare in ospeda-le. Vennero al suo capezzale medi-ci e specialisti famosi. Nessuno riu-sciva a scoprire il genere di malat-tia. Scuotevano la testa e dicevano:“Mah!”. L’ultimo specialista preseda parte l’omone e gli disse: “Direisemplicemente che sua moglie nonha più voglia di vivere!”.

Senza dire una parola, l’omonesi sedette accanto al letto della mo-glie e le prese la mano. Una mani-na sottile che scomparve nella ma-nona dell’uomo. Poi, con la sua vo-ce tonante, disse deciso: “Tu nonmorirai!”. “Perché?”, chiese lei, inun soffio lieve. “Perché io ho biso-gno di te!”. “E perché non me l’haidetto prima?”. Da quel momento ladonna cominciò a migliorare. E og-gi sta benissimo. Mentre medici especialisti continuano a chiedersiche razza di malattia avesse e qua-le straordinaria medicina l’avessefatta guarire così in fretta.

La storia ci insegna a non aspetta-re mai domani per dire a qualcunoche l’ami. Fallo subito. Non pensare:“Ma mia madre, mio figlio, mia mo-glie lo sa già”. Forse lo sa. Ma tu tistancheresti mai di sentirtelo ripete-re? Non guardare l’ora, prendi il tele-fono: “Sono io, voglio dirti che ti vo-glio bene”. Stringi la mano della per-sona che ami e dillo: “Ho bisogno dite! Ti voglio bene”. L’amore è vita.

A cura di don Roberto ROVERAN, Del. [email protected]

Verso il Convegno ISF 2016

30 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

Cosa significa sposarsi?

Sposarsi è inserirsi all’interno di unastoria, di una tradizione che ci precede

e ci accompagna. E’ scrivere la propriastoria all’interno di una Storia più grande.Ogni matrimonio ha una dimensione pub-blica, è un rito e una festa che coinvolge al-tri, i presenti, ma anche gli assenti, coloro

che appartengono al futuro. Matrimoniosignifica letteralmente matris munus, ildono della maternità: “La parte più intimae segreta di noi, la sessualità e l’affettivi-tà, assumono, nel matrimonio, una vestepubblica. Una inversione così radicale ri-chiede la mediazione del rito, la sua capa-cità di esprimere e conciliare gli opposti.Benché radicalmente mutato rispetto allatradizione, il matrimonio conserva trattiarcaici. Gli sposi vi sono coinvolti comepersone fisiche: non ci si sposa per fax o

semplicemente inviando una richiesta incarta bollata. Con maggiore o minore sfar-zo si organizza, per l’occasione, una ceri-monia… Ed è proprio questo rinvio allatradizione che fa di ogni matrimonio, an-che quello acquistato per cinque dollari aLas Vegas, un rito di straordinaria intensi-tà. Il matrimonio non è mai, in nessunaoccasione, un atto amministrativo, una re-gistrazione notarile, anche quando i prota-gonisti intendono ridurlo a questi minimitermini” (S. Vegetti Finzi, Il romanzo del-la famiglia. Passioni e ragioni del vivereinsieme, Milano 1992, 9/13).

Il matrimonio rimanda essenzialmentead una richiesta di stabilità, di cui gli spo-si sono portatori ma che, proprio comel’amore, non si può possedere. Tuttavia,senza tale esigenza di stabilità e di fedel-tà, non è possibile accedere a questa di-mensione. La stessa scansione temporaleviene coinvolta in questo atto, che riuni-sce la tradizione da cui si proviene e il fu-turo (i possibili figli) nella decisione delpresente, inserendola in una storia piùgrande e intangibile, resa possibile dalladimensione dell’amore, che è una sorta diingresso dell’eternità nel tempo.

Questo è vero per ogni matrimonio, es-so richiede, come l’amore, l’eternità. Nonha senso domandare alla persona amata:“Vogliamo amarci per 2 anni?”. L’amorenon conosce la scadenza, come i prodottidel supermercato, anche se può morire:

Capire la bellezza del MatrimonioL’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia di Papa Francesco stimola ogni cop-pia cristiana a riconoscere la bellezza del dono ricevuto con il sacramento del Matrimonio.Un articolo del gesuita Giovanni Cucci da La Civiltà Cattolica ne descrive le caratteristichefondamentali.

questo dice che non è la coppia la fonte eil criterio dell’amore, ma che esso è altroda loro, è una realtà più grande, con cuisono chiamati a rimanere in comunione.Questa ulteriorità è l’aspetto sacro del ma-trimonio: “L’amore umano – osserva vonBalthasar (Solo l’amore è credibile, Roma1982, 67) – partecipa dell’insolubile con-traddizione d’una esistenza al contempomortale e spirituale: quell’amore che gliinnamorati si giurano nei momenti solennivuol significare qualcosa di duraturo chesopravvive alla morte; ma un amore eterno‘a termine’ è una contraddizione che nonpuò essere vissuta”.

Simbolo di eternità

Questa tensione strutturale è la pecu-liarità del matrimonio, è il suo fascino, maanche la sua debolezza, perché è essen-zialmente un’esperienza di eternità nelpresente, una maniera di mantenere unafreschezza che il trascorrere del temponon può cancellare. Con le parole del filo-sofo Marcel: “Dire a qualcuno ‘ti amo’ ècome dirgli ‘tu non morirai’”.

La sessualità umana ha in se stessa undoppio canale di tensione fra cielo e terra,tra corpo e anima, tra tempo ed eternità,

tra finito ed infinito; anche le esperienzepiù banalizzanti e sofferte conservanoquesta tensione come un segno di speran-za, di poter vivere diversamente le propriepotenzialità di amare.

In questo senso il matrimonio è statodefinito l’ultimo simbolo di immortalità an-cora accessibile all’uomo occidentale: lapromessa di un impegno definitivo peramore di un’altra persona, che si vorrebbesempre con sé, presenta una stabilità cheoffre riparo alla relazione, chiedendo peròil sacrificio della propria libertà, l’impegnodella propria fiducia (espresso dagli anelli,chiamati con il termine significativo di fe-di): “In nessun altro atto della società civi-le ci è richiesto di confrontarci con la di-mensione del ‘per sempre’, con una ade-sione così totale e senza residui. In questoil matrimonio risponde ad una esigenzaprofonda, ad una avidità quasi corporea:quella di non morire, di esistere sempre,nonostante la riconosciuta caducità dellanostra esistenza. L’inconscio non conosceil tempo e non accetta di registrare la pos-sibilità della nostra fine” (Vegetti Finzi, Ilromanzo della famiglia…, 17).

L’incontro fra il tempo e l’eternità puòessere possibile soltanto se gli sposi sonodisposti a giocarsi per questo rischio e vi-vere in pienezza quest’esperienza che ri-chiede la fiducia, il dono totale di sé: “E’offensivo – scriveva Kierkegaard (Aut aut,Milano 1964, 183) – e perciò brutto, vo-ler amare con una parte dell’anima e noncon tutta l’anima; far del proprio amoreun momento e ciò nonostante prenderetutto l’amore di un altro… Sarebbe un’of-fesa volersi legare a un’altra persona co-me ci si lega alle cose finite e casuali,condizionatamente, perché si possa,qualora si mostrassero delle difficoltà,togliersi d’impiccio”.

31Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

Capire la bellezza del Matrimonio

Questo carattere eterno dell’ideale altoe totale introduce il matrimonio nella di-mensione del sacro, tra il tempo ordinarioe l’eterno, dell’ideale che si rende presen-te solo in qualche fuggevole attimo, dopo ilquale comunque non si è più gli stessi diprima. Il giorno del matrimonio è specialee differente da tutti gli altri giorni; anchese si dipana e approfondisce nei giorni se-guenti della vita, esso rimane unico. Lo di-ce l’abbigliamento (l’abito della sposa non

si può indossare nei giorni seguenti), lo di-ce quel giorno, che coinvolge altri a fare fe-sta, lo dice quella sua prosecuzione idillia-ca che è il “viaggio di nozze”.

Una crisi epocale

Collocata nell’odierno contesto di unasocietà liquida, la crisi del matrimonio di-ce di una più generale crisi di civiltà, crisidi senso, di appartenenza, che nella gene-rale instabilità si manifesta anche nel ma-trimonio. Tale situazione di incertezza èun segno sintomatico dello stato di salutedi una società, evidenziando problemi piùgenerali, come la stabilità e maturità af-fettiva, la capacità di dare fiducia e di af-frontare le difficoltà in genere, oltre alla

capacità di elaborare un progetto in gradidi fornire delle risposte alla durezza dellavita: “Se a inizio degli anni ’90 la maggio-ranza dei trentenni in Italia era sposata eaveva dei figli, oggi si trova in questa con-dizione meno di un terzo delle donne ditale età, mentre tra i coetanei maschi lamaggioranza vive ancora con i genitori,tanto che al primo gennaio 2010 il 71%dei trentenni italiani non era ancora spo-sato” (M. Caltabiano, Credere oggi31/2011, 13).

La crisi del matrimonio esprime questacrisi più grande dell’idealità e dell’identi-tà: la si nota soprattutto nell’appiattimen-to generazionale che vede adolescenti,giovani, adulti, anziani, genitori e figlispesso alle prese con i medesimi problemiaffettivi. E’ una crisi che manifesta in se-condo luogo una grande paura del futuro, amotivo della precarietà che attraversa inmaniera sempre più rilevante le giovanigenerazioni, che con sempre maggiore dif-ficoltà trovano qualcosa di bello e di gran-de per cui valga la pena spendersi, ancheper mancanza di modelli credibili.

Alcuni sintomi allarmanti di questa in-stabilità ci vengono presentati dalla partepiù debole del matrimonio, che è anchequella più sensibile: i figli. Desta preoccu-pazione per es. il continuo aumento, neibambini e negli adolescenti, dei disturbidell’alimentazione e del linguaggio, duearee in cui la dimensione affettiva e di co-municazione è fondamentale. Due distur-bi che dicono di un disagio a livello soma-tico, un disagio che non sembra ancoraessere stato colto nella sua gravità a livel-lo di cura e trattamento psicologico, mache evidenziano un notevole senso di pre-carietà (continua).

A cura di don Paolo LANZONI ssp

32 Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016

Verso il Convegno ISF 2016

Nessuna Pasqua ha portato tanta lucecome quella di quest’anno giubilare

della Misericordia. Una luce che ha fran-tumato secolari muri divisori, fino a pene-trare all’interno delle segrete più segrete,quelle dove erano stati ghettizzati tutti iprovati dalla sofferenza di una crisi fami-liare. Questa luce l’ha portata Papa Fran-cesco con l’esortazione Amoris laetitia.

Il problema della crisi della famiglianon ci ha mai coinvolti direttamente. Sia-mo sposati da 48 anni ed il nostro matri-monio, pur tra le difficoltà proprie dellavita, ha proseguito il suo cammino tra al-ti e bassi. Allietato da due magnifiche fi-glie ed oggi anche da tre stupende nipo-ti, siamo quella che può definirsi una fa-miglia felice che sa accontentarsi.

Legge severa

Abbiamo conosciuto una donna che,abbandonata dal marito ed in preda allosconforto, girovagando per Roma si è ri-fugiata in una Chiesa per una boccatad’ossigeno, tanto da accostarsi al confes-sionale. Non l’avesse mai fatto! Il confes-sore non solo le ha negato l’assoluzione,ma anche la benedizione, in quanto sco-municata, facendola così scappare inmalo modo dalla casa di Dio, in preda adun’angoscia ancora maggiore di quellache aveva quando è entrata.

Nessuna condanna. Quel sacerdote,ligio al dovere, ha applicato la norma.

Una norma che trova le radici in tem-pi lontani quanto drammatici, ispirata sìal sano principio di salvaguardare l’indis-solubilità del sacramento del matrimo-nio, ma purtroppo soltanto dal severo ca-stigo, peraltro allora considerato unicomezzo di prevenzione e correzione, chenon trova riscontro nel Vangelo. Una leg-ge che all’evento applica una gravissimasanzione senza una valutazione sulle re-sponsabilità soggettive e sulle condizionipre e durante il matrimonio, compresequelle della totale latitanza di chi aveval’obbligo, non solo morale, di educare,seguire e correggere. Una legge che ap-plica a prescindere una pena peggioredella pena di morte. Privare infatti i co-

niugi separati dall’accostarsi a qualsiasiSacramento, anche con una partecipa-zione indiretta (testimoni, padrini ecc.)corrisponde alla loro condanna alla mor-te eterna. Il problema è più evidente se siprende in esame il sacramento dell’Euca-

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L’Esortazione vista da una coppia

Una particolare Pasqua di luceIn che modo una coppia dell’ISF ha accolto la nuova Esortazione Amoris Laetitia? Comeuna provocazione ad uscire, una guida sicura e una fonte dove attingere per vivere la mis-sione di accompagnare, discernere e integrare le fragilità.

Una particolare Pasqua di luce

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ristia. Qui si arriva addirittura a stravolge-re lo stesso precetto di Gesù Cristo, che,pur offrendosi a tutti (come dice il Sacer-dote durante la Messa) viene negato ilpane di vita eterna proprio a coloro chene hanno più bisogno. Per questi eternicondannati, molti dei quali sono stati an-che costretti a rifugiarsi in un successivomatrimonio civile per assicurare a séstessi ed ai propri figli un futuro più di-gnitoso, il faro acceso da Papa Francescoha ridato vita e speranza.

Condividere senza giudicare

L’esortazione Amoris laetitia ha ban-dito ogni forma di scomunica per sepa-rati, divorziati e risposati, alla luce del-l’infinito amore misericordioso di Dio,sempre preoccupato di cercare la peco-rella smarrita senza per questo giustifi-care il peccato. Non più una legislazione

di fredda condanna, ma una scrupolosapastorale familiare che, entrando anchenei dettagli, coinvolge tutti ed in tutte lefasi della vita, perché la famiglia, comel’amore, è sempre in evoluzione. L’esor-tazione mette in particolare evidenzanon più una Chiesa che innalza muri di-fensivi scomunicando chi è fuori, mauna Chiesa in uscita che cammina contutti fino a rimanere impregnata dal-l’odore delle pecore.

Una Chiesa che deve coinvolgere nonsoltanto la gerarchia ecclesiastica, matutti, fino all’ultimo battezzato, perchéla Chiesa siamo noi. Compenetrati inquesta concreta realtà, anche noi del-l’Istituto “Santa Famiglia” dobbiamoprenderci le nostre responsabilità. Comeconsacrati dobbiamo andare in mezzo al-le pecore, per vivere con loro e accompa-gnarle, alieni da qualsiasi giudizio o di-scriminazione. Con maggiore impegno ri-

spetto al passato, dobbiamo avvicinare igiovani e le giovani coppie per aiutarli atrovare la chiave della felicità nel proget-to famiglia.

L’esortazione del Papa deve costitui-re un’inesauribile fonte dove attingere.Per questo non suggeriamo soltanto dileggerla, ma di usarla. Come facciamocon il Vangelo quando vogliamo una de-lucidazione o con il vocabolario quandocerchiamo l’esatto significato di una pa-rola, cerchiamo di fare lo stesso con ildocumento che Papa Francesco ci hadato. Si tratta di una guida sicura chenon tralascia nulla. Basta scorrere l’in-dice per trovare nei titoli dei capitoli edei paragrafi quello che ci serve per ca-pire e far capire. Un sostegno particola-re ci viene offerto nel capitolo ottavo,dove viene messo in risalto l’impegno diaccompagnare, discernere e integrare lafragilità. Una parola, un consiglio, unaiuto dato da una persona che vive iproblemi quotidiani può sortire un effet-to elevato a potenza. Incontreremo cer-tamente difficoltà di ogni genere, specieper la resistenza offerta dal pragmati-smo materialista imperante e dalla “dit-

tatura del pensiero unico”, ma ciò nondeve scoraggiarci.

Amore reciproco

Papa Paolo VI in Evangeli Nuntiandi ciha detto che l’uomo ascolta più volentie-ri i testimoni che i maestri. Non bastapertanto annunciare e proclamare, maoccorre spendersi personalmente conl’esempio. Lo stesso Gesù Cristo per far-ci individuare come cristiani non ci hadato un distintivo o una uniforme da in-dossare, ma soltanto l’obbligo dell’amorereciproco: “Da questo tutti sapranno chesiete miei discepoli, se avete amore gli

uni per gli altri” (Gv 13,35). Fermiamociallora ai fatti e dimostriamo che la fami-glia è una sola, quella che noi viviamo eche presentiamo come paradigma nonper distinguerci, ma soltanto perché essaè l’unica che consente di vivere le fasidella vita in un clima d’amore unico, nonsostituibile da qualsiasi ritrovato dellatecnica o dalle mode. Un amore vero,quello trascendente, quello che dà senzanulla pretendere. Un amore che riscaldae coinvolge. Un amore che non ti fa maisentire solo, perché hai comunque sem-pre con te Dio che è amore.

Filippina e Antonio REHO, isfCamerano

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L’Esortazione vista da una coppia

Babette è la protagonista del filmche Papa Francesco cita nell’Esortazione

Una delle maggiori grazie è di avere chici orienta nel cammino della vita in-

teriore. Nella direzione spirituale trovia-mo la persona, voluta dal Signore, checonosce bene la strada; le apriremo l’ani-ma e sarà per noi maestro, medico, ami-co, il buon pastore per tutto ciò che fa ri-ferimento a Dio. Ci mostra i possibili

ostacoli, ci suggerisce mete più alte di vi-ta interiore e punti concreti di lotta; ci in-coraggia sempre, ci aiuta a scoprire nuo-vi orizzonti e risveglia nell’anima fame esete di Dio, che la tiepidezza, sempre inagguato, vorrebbe soffocare.

La guida è come Cristo

La Chiesa fin dai primi secoli ha rac-comandato la pratica della direzione spi-rituale personale (ma anche in coppia)

come mezzo efficacissimo per progredirenella vita cristiana. E’ assai difficile chequalcuno possa essere guida di se stessonella vita interiore. Spesso il coinvolgi-mento emotivo, la mancanza di obiettivi-tà con cui guardiamo a noi stessi, l’amo-re proprio, l’inclinazione ad abbandonar-ci a quel che più ci aggrada, che ci risul-

ta più facile, tendono adannebbiare la via checonduce a Dio; e quandonon c’è chiarezza so-pravvengono la fiacchez-za, lo scoraggiamento ela tiepidezza. “Colui chevuole restare solo senzail sostegno di un maestroe di una guida, è comeun albero solo e senzapadrone in un campo, icui frutti, per quanto ab-bondanti verranno coltidai passanti e non giun-geranno quindi alla ma-turità”. Nella direzione

spirituale troviamo Cristo stesso che ciascolta con attenzione, ci comprende e cidà forza e luci nuove per procedere sicu-ri.

Nella direzione spirituale dev’esserepresente un profondo senso umano e ungrande spirito soprannaturale; per que-sto, la confidenza “non si fa a una perso-na qualunque, ma a chi merita la nostrafiducia per quello che è o per ciò che Diolo fa essere per noi”. Per San Paolo Dioaveva scelto Ananìa, che lo fortificassenel cammino della conversione; per Tobia

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La direzione spirituale:importanza e condizioni

Formazione coniugale

fu l’arcangelo San Raffaele, nella figuradi un uomo incaricato da Dio di orientar-lo e di consigliarlo.

Cercare la voce di Dio

E’ imprescindibile per la direzione spi-rituale un clima soprannaturale: cerchia-mo la voce di Dio. Per chiedere consiglioo per confidare una preoccupazioneesclusivamente umana, tralasciando ilpiano soprannaturale, forse basterebberivolgersi a una persona capace di com-prendere, discreta e prudente; ma pertutto quanto si riferisce all’anima, dob-biamo discernere nell’orazione chi sia il“buon pastore” per noi, “poiché si correil pericolo, se ci si basa soltanto su moti-vi umani, di non essere ascoltati né capi-ti; e allora l’allegria si trasforma in ama-rezza, e l’amarezza sfocia nell’incom-prensione che non dà sollievo; in ogni ca-so si prova disagio, l’intimo malessere dichi ha parlato troppo, con chi non dove-va, di ciò che non doveva”. Non dobbia-mo scegliere “guide cieche” che più cheaiutarci ci porterebbero ad inciampare ecadere.

La vita interiore matura nel tempo enon si improvvisa dalla sera alla mattina.Andremo incontro a sconfitte, che ci aiu-

teranno a essere più umili e a vittorie chemostrano quanto la Grazia agisce effica-cemente dentro di noi; avremo bisogno dicominciare e ricominciare molte volte,senza scoraggiarci e senza aspettare - an-che se a volte vengono - risultati imme-diati, che talora il Signore vuole che nonvi siano in vista di un bene maggiore.

Tre condizioni

1) La costanza nelle difficoltà: quan-do, per es., il tempo scarseggia a causadi un lavoro particolarmente assorbente oper chi è studente a causa dell’approssi-marsi degli esami. Dio premia questosforzo con nuove luci e grazie. Altre voltele difficoltà sono interiori: pigrizia, super-bia, scoraggiamento perché le cose van-no male, perché non si è riusciti a com-piere quanto ci si era proposto. E’ il mo-mento in cui abbiamo maggior bisogno diuna chiacchierata fraterna, o di una Con-fessione, dalla quale usciremo con piùsperanza e allegria, con una spinta nuo-va ad andare avanti nella lotta. Un qua-dro è fatto di pennellate e pennellate, euna corda robusta è un intreccio di mol-ti fili: è nella continuità della direzionespirituale, settimana dopo settimana,che l’anima si va forgiando; a poco a po-co, attraverso sconfitte e vittorie, lo Spi-rito Santo costruisce l’edificio della san-tità.

2) Accanto alla costanza, è imprescin-dibile la sincerità; cominciamo semprecol dire la cosa più importante, che forseè proprio quella che ci costa di più mani-festare; questo è essenziale sia agli inizisia per perseverare. I frutti possono farsiattendere proprio per non aver dato fin da

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La direzione spirituale

subito una chiara immagine di quel checi succede, di come siamo realmente;oppure per esserci soffermati su cose efatti meramente accidentali, di contorno,non giungendo alla sostanza. Sinceritàsenza finzioni, esagerazioni o mezze veri-tà: nel concreto, nel particolare, con de-licatezza, quando sia necessario, chia-mando i nostri errori, i difetti del caratte-re, col loro nome, senza volerli maschera-re con eufemismi o palliativi: perché? Co-me? Quando?... circostanze che caratte-rizzano con più efficacia lo stato dell’ani-ma.

3) Un’altra condizione perché la dire-zione spirituale dia frutto è la docilità.Furono docili quei lebbrosi che, come sefossero già stati mondati, andarono a pre-sentarsi ai sacerdoti come Gesù aveva lo-ro ordinato; furono docili gli apostoliquando il Signore disse loro di far sederela folla che lo seguiva e dar loro da man-giare, nonostante che essi, avendo giàfatto i calcoli, sapessero bene che leprovviste raccolte erano del tutto insuffi-cienti.

Pietro è docile quando getta le reti puravendo più volte sperimentato che inquel luogo non c’erano pesci, e l’ora nonera opportuna. San Paolo si lascerà gui-dare; la sua personalità forte, emersa invari modi e in tante occasioni, gli serveora per essere docile. Prima i suoi com-pagni di viaggio lo portarono a Damasco,poi Ananìa gli renderà la vista, ed eccolodivenuto un uomo capace di sostenere lebattaglie del Signore.

Non potrà essere docile chi insiste aessere cocciuto, ostinato, incapace di ac-cogliere un’idea diversa da quella che hagià o che gli detta l’esperienza. Il super-bo è incapace di essere docile perché,

per imparare e consentire che ci aiutino,è necessario che siamo convinti della no-stra pochezza e indigenza in tanti aspet-ti della nostra vita spirituale.

Che Maria Santissima ci aiuti ad esse-re costanti nel farci dirigere, sinceri,aprendo il cuore veramente, e docili, co-me “la creta in mano al vasaio”.

A cura di don Roberto ROVERAN ssp

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Formazione coniugale

Un aiutoper la sequela

di Cristo“Come non ha mai smesso di fare, an-cora oggi la Chiesa continua a racco-mandare la pratica della direzione spi-rituale, non solo a quanti desideranoseguire il Signore da vicino, ma adogni cristiano che voglia vivere con re-sponsabilità il proprio Battesimo, cioèla vita nuova in Cristo. Ognuno, infat-ti, e in modo particolare quanti hannoaccolto la chiamata divina ad una se-quela più prossima, necessita di essereaccompagnato personalmente da unaguida sicura nella dottrina ed espertanelle cose di Dio; essa può aiutare aguardarsi da facili soggettivismi, met-tendo a disposizione il proprio baga-glio di conoscenze ed esperienze vissu-te nella sequela di Gesù. Si tratta di in-staurare quello stesso rapporto perso-nale che il Signore aveva con i suoi di-scepoli, quello speciale legame con cuiEgli li ha condotti, dietro di sé, ad ab-bracciare la volontà del Padre (cfr Lc22,42), ad abbracciare, cioè, la croce”(Benedetto XVI, 19 maggio 2011).

La mensa è pronta: è il momento dellaComunione. Siamo invitati a mangiare

il Corpo e il Sangue di Cristo. È una cosatalmente grande che, quando Gesù neparlò per la prima volta ai suoi discepoli,si scandalizzarono e molti se ne andaro-no (cf Gv 6,66).

Mangiando il Corpo e bevendo il San-gue di Cristo, avvengono due cose. Primadi tutto, entriamo in comunione con Lui.Come? Quando mangiamo i vari cibi ven-gono assimilati e si trasformano nella no-stra carne; in una parola, diventano noi.Quando mangiamo il Corpo di Cristo av-viene il contrario: è Lui che assorbe noi.Non è Lui che diventa noi, ma noi che di-ventiamo Lui; veniamo cioè “cristificati”,diventiamo una cosa sola con Lui. Avvie-ne quello che affermava san Paolo: “Nonsono più io che vivo, ma è Cristo che vi-ve in me” (Gal 2,20).

In secondo luogo, en-triamo in comunione coni nostri fratelli. Duranteil Canone il celebranteha chiesto per tutti colo-ro che si nutriranno delCorpo e del Sangue diCristo il dono della pie-nezza dello Spirito Santoper diventare in Cristoun solo Corpo e un soloSpirito. Questa preghie-ra ci spiega che la co-munione tra cristiani non si fa cercandoprimariamente mezzi di contatto tra diloro, ma unendosi a Cristo che costruiscela comunione tra tutti. Si diventa una co-sa sola non guardandosi in faccia, matutti nella stessa direzione, verso Cristo.

È Cristo, con la sua Grazia, che rendeforte ciò che è debole e rinsalda conti-nuamente i rapporti tra gli sposi. È co-municando alla sua Carne che i due spo-si diventeranno “una carne sola”, potran-no dare la vita l’uno per l’altro e sapran-no assumere le grandi responsabilità del-la vita familiare.

Una coppia mi confidava di avere spe-rimentato la potenza di Dio attraverso laComunione. Mai avremmo immaginato,mi confidavano, di trovarci nella situazio-ne di dover scegliere tra l’aborto e la mor-te della mamma; eppure, l’esperienza ètoccata anche a noi. Alla terza gravidan-za il ginecologo ha sentenziato il terribilerischio, per cui era prudente fare la scel-ta di assicurare la vita della mamma. Ilconsulto con altri ginecologi aveva porta-to alla stessa conclusione. Toccava a noi

scegliere. La paura era grande. I nostriparenti ci spingevano tutti a non rischia-re, ma a scegliere dovevamo essere noi.Pensammo di andare a confessarci e farela Comunione, poi avremmo deciso. Iooffrii a mia moglie tutta la mia disponibi-

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Note di Liturgia

Invitati alla Mensa del Signore

lità: “Quello che scegli tu, a me va be-ne”, le dissi. “Ho già scelto: non uccide-rò mai mio figlio. Mi fido di Dio”, mi ri-spose.

Decidemmo di fare ogni giorno la Co-munione e ci accorgemmo che, più pas-savano le settimane e nonostante sentis-simo intorno a noi le critiche di parenti eamici, più aumentava in noi la serenità,pur sapendo il rischio a cui andavamo in-contro. “Chi vorrà salvare la propria vita,la perderà; chi perderà la propria vita percausa mia, la troverà” (Mt 16,25), diceGesù, e l’abbiamo davvero trovata perchéDio non soltanto ci è stato di aiuto e for-za, ma ha permesso che anche il terzo fi-glio avesse sua madre per la gioia di tut-ti. Sembra una storia a lieto fine e inve-ce è l’esperienza di chi sente di fare co-se più grandi delle proprie possibilità.

Si capisce qui il dramma di tante fa-miglie che, dovendo portare il peso del-l’educazione dei figli ma non essendouniti con il Matrimonio cristiano, nonpossono ricevere l’Eucaristia!

Non dimenticherò mai Silvia, madredi due figli, che desiderava tanto la Co-munione, ma non poteva riceverla perchéunita in un nuovo matrimonio dopo il di-vorzio. Era malata di tumore e resistevaalla morte solo per la sua famiglia. Era ri-coverata quando, un giorno, il figlio mag-giore mi raggiunse in ufficio: “Mammasta morendo! Mamma sta morendo e ticerca. Vieni!”. Mi precipitai all’ospedale,era davvero alla fine. In questi momentila Chiesa apre tutti i suoi tesori e fui fe-lice di farlo. “Silvia, dì l’Atto di dolore eti do l’assoluzione da tutti i tuoi peccati”.

E poi: “Ora ti porto la Comunione”.“No”, mi disse spalancando gli occhi.“Sì, sì, le spiego, ora tutto è possibile!”.Le portai la Comunione e, dopo averlafatta pregare, mi strinse forte le mani asè e mi disse: “Oggi mi fai morire di gio-ia”. Piangemmo tutti e due, davanti al fi-glio e al marito che ci guardavano ester-refatti per come si potesse essere felicinell’agonia.

A cura di don Roberto ROVERAN ssp

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Invitati alla Mensa del Signore

La Parola di Papa Francesco:la Comunione ci unisce al Padre

«Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci hafatto con l’Eucaristia! E’ un dono tanto grande e per questo è tanto importante an-dare a Messa la domenica. Andare a Messa non solo per pregare, ma per riceve-re la Comunione, questo pane che è il Corpo di Gesù Cristo che ci salva, ci per-dona, ci unisce al Padre. E’ bello fare questo! E tutte le domeniche andiamo aMessa, perché è il giorno proprio della Risurrezione del Signore. Per questo ladomenica è tanto importante per noi. E con l’Eucaristia sentiamo questa apparte-nenza proprio alla Chiesa, al Popolo di Dio, al Corpo di Dio, a Gesù Cristo. Non fi-niremo mai di coglierne tutto il valore e la ricchezza. Chiediamogli allora chequesto Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua pre-senza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondoil cuore del Padre» (5 febbraio 2014).

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Esperienze e testimonianze

Amaggio 1994 ero piuttosto preoccu-pata per l’intervento di sfilamento

dell’utero all’ospedale di Brescia perchéera considerato rischioso e delicato. Pen-sai di fare una telefonata a Roma al carodon Stefano sempre disponibile a “cura-re” le ansie e a “sollevare” tutti.

La sua risposta fu: “Vai serena; è pros-sima la festa del Corpo del Signore: nonmancherà di prendersi cura di te! Abbifede!”. La sua voce e la sua parola mirasserenò. La degenza all’ospedale ebbeun decorso sorprendente per l’assistenza,le premure, quasi da sentirmi privilegia-ta, mantenendo una serenità che potreidire contagiosa.

Ringraziare tutti, ma particolarmentee personalmente il caro don Stefano eraun dovere, una vera necessità. Dovevoessergli riconoscente anche a nome delcaro don Gino, sacerdote anziano per ilquale gli avevo chiesto preghiere e cheaveva avuto un buon miglioramento delsuo stato di salute.

Per questi motivi cercare di incontra-re don Stefano era un obiettivo fisso!L’occasione non venne a mancare: gliEsercizi spirituali dei sacerdoti a Torre-glia (PD) a fine settembre che lui stessoavrebbe guidato. Presi accordi con donAngelo Menegolli, futuro sacerdote di“Gesù Sacerdote”, e facemmo il viaggioassieme: quale Grazia!

Dopo la meditazione di don Stefanoecco il momento dei colloqui, chiedo il

permesso, ma considerandomi un po’un’intrusa con pazienza mi metto in fila,attendo il mio turno e penso “il padretroverà un po’ di tempo anche per me”.Riceve all’aperto, sotto un albero: un’ac-coglienza semplice e familiare. Arriva ilmio momento: “Sono venuta a ringrazia-re per le preghiere perché è andato tuttomolto bene!”.

Mi interrompe e con un sorriso mi di-ce: “Se non fosse stato per don Alberio-ne tu avresti avuto la convalescenza di 6mesi come capita normalmente”. Rimasistupita! Come faceva a ricordare il tipo diintervento e conoscere il percorso postoperatorio?

Dal suo sguardo dolce e penetrantecapii che doveva comunicarmi qualcosadi “forte”, di importante. Infatti riprese:“Dimmi piuttosto qual è l’età dei tuoi fi-gli?”. “Mario 17, Anna 15, Lucia…” esenza lasciarmi concludere proseguì:

La mamma deve essere misericordiosaPubblichiamo una testimonianza sperando di dare il via ad una bella condivisione di episo-di ricchi di spiritualità e spirito di discernimento fra don Lamera e i membri dell’Istituto.

“Lo sai come deve essere una mam-ma?”. Rimasi impacciata, senza paroleperché in quel momento la domanda erainaspettata, la mia realtà familiare eraun pensiero lontano. Riprese semprecon tenerezza: “Lo sai vero come deveessere una mamma? La mamma deveessere misericordiosa! Sì, la caratteristi-ca della mamma è la misericordia. Cre-scere i figli in famiglia con misericor-dia!”.

Presi un po’ di coraggio e gli chiesi co-sa significasse la parola Misericordia, omeglio essere una mamma misericordio-sa. Prendendo le mie mani fra le sue ri-spose: “La mamma non giudica, la mammaperdona, la mamma accoglie, la mammaama, la mamma dona e ancora dona gratui-tamente!”.

Certo il sentir ripetere con dolcezza laparola “mamma” ha avuto un effetto ca-loroso, da smuovere anche i cuori più in-duriti. Senza proferire parola con un te-

nero abbraccio salutai e ringraziai donStefano.

Meravigliata di questo insegnamentodi vita, di questo richiamo ebbi modo diriflettere sulla mia realtà familiare assie-me a mio marito Giacomo, rivedere il no-stro ruolo di genitori specialmente nelperiodo dell’adolescenza dei nostri figli.Come dice San Paolo: “Gareggiare nellostimarsi a vicenda!”.

Sicuramente nella famiglia la mammamisericordiosa è una ricchezza inestimabi-le, è la perla preziosa che genera armonia,serenità, pace e gioia. Nell’anno giubilaredella Misericordia l’insegnamento di donStefano si rende attualissimo e vivo. Sipuò dire apertamente che con anticipo hacondiviso pienamente la linea dell’attualePapa Francesco! Ringraziamo Dio Padre.

Preghiamo e speriamo che il nostrocaro don Stefano quanto prima, se Diovuole, sia innalzato agli onori degli altari(Giuseppina Giuliari isf, Verona).

La mamma deve essere misericordiosa

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Esercizi spirituali a Fognano (RA), 25-28 agosto 2016

Gesù Maestro - Settembre-Ottobre 3-2016 43

Esperienze e testimonianze

Abbiamo letto di recente il testo di donGiuseppe Forlai Io sono “Vangelo” (Edi-

zioni Paoline 2015). Ne è derivata una no-stra riflessione che vorremmo condividere.

I Padri del deserto dicevano: “Per es-sere veri monaci ‘Kollétheti tini’ vale adire incòllati a un buon maestro, perchéla santità non si impara dai libri ma dauna relazione viva”.

Cosa dice a noi che non siamo mona-ci, ma famiglie che vivono immerse nellarealtà di ogni giorno la parola “incollar-si”? Se riandiamo a ritroso nel tempo ve-dremo riaffiorare i nostri so-gni dell’infanzia. Divenutipoi adulti ci impegniamonella quotidianità a trasfor-mare i sogni in progetti: main tutto questo percorso ab-biamo bisogno di una identi-tà di riferimento.

Don Forlai infatti scrive:“Conoscere se stessi, èqualcosa di affascinante an-che per un cristiano. Ma ilproblema è che giungere al-l’auto-coscienza è difficile.Perciò siamo costretti a fati-care non poco per sapere qualcosa di noi.Siamo costretti ad uscire dall’io e ritorna-re su noi stessi con una prospettiva nuo-va: ri-flettere vuol dire proprio questo.Abbiamo cioè bisogno di un altro che cifaccia da specchio, di un mediatore ver-so il quale ‘uscire’. Per il credente que-sto mediatore è Cristo, l’unico Maestro,anzi più precisamente la sua umanità.Gesù non è soltanto la via per arrivare alPadre (Gv 14,6) ma anche la strada perandare verso il mondo e verso se stessi”.

Come avviene il camminoper la ricerca della identità?

Sono le relazioni vissute ogni giornonella realtà a sottoporci i modelli di vitapiù svariati in cui “specchiarci”. Model-li che il nostro cuore e la nostra menteaccolgono se ciò che ci propongono ciaffascina perché crediamo che ci realiz-zano pienamente come persone, o cherifiutiamo se non rispondono ai nostridesideri di dignità e di felicità.

Anche i personaggi di film, fiction te-levisive e libri si propongo-no a noi come identità ap-petibili nelle quali pian pia-no finiamo consapevolmen-te o meno con lo ”spec-chiarci”. Questo avviene semanca il senso critico versociò che ci viene proposto, eper noi credenti se si è af-fievolito il ricordo delle pro-messe battesimali e la gra-titudine per i doni di graziaricevuti.

Assume allora una gran-de importanza la scelta

della persona a cui “incollarci”. Lo sap-piamo bene noi genitori. Abbiamo ilgrande compito di essere in prima per-sona figure di riferimento per i figli. Lavita di famiglia è infatti il caposaldo chedà l’imprinting fondamentale per la co-struzione dell’identità di ogni creatura.Genitori assenti o presenti in modo ina-deguato lasciano campo libero ai figli di“incollarsi” a quale identità?

La cosa vale anche per noi adulti,credenti o meno. Il mondo della cultu-

Incòllati a qualcuno

ra e dei mass media infatti ci proponein modo raffinato dei “sentieri di vita”esaltanti, ma che in realtà spesso altronon sono che strumenti di induzione alconsumo o di assuefazione ad un ser-vile inquadramento in un sistema divita in cui l’unico valore è quello delprofitto.

Il pericolo allora è “incollarsi” a iden-tità sbagliate. Non per noi membri del-l’Istituto che dovremmo essere ben “in-collati” al Maestro divino, cioè esserefedeli ad una relazione con il Risortovissuta nella continuità e nella coerenzadell’agire. Ma anche esaminarsi perguardare con realismo al proprio mododi vivere la fede. Perchéanche nei credenti èsempre presente il peri-colo latente di “incollar-si” alla proposte della re-altà. Per questo il motivodi fondo del nostro autoreè stato: “Tracciare un iti-nerario ispirato alle lettere dell’Apostoloche possa aiutare a diventare cristianisemplici, freschi, allo stato nascente,senza tante appartenenze complicate ecomplicanti se non quella all’unicaChiesa cattolica: cristiani pronti a tuttoper il Vangelo: ‘Tutto io faccio per ilVangelo, per diventarne partecipe an-ch’io’” (1 Cor 9,23).

Don Giuseppe ci indica 4 buoni mo-tivi per incollarci a San Paolo:

La spiritualità non è ricerca del benes-sere. Corriamo il rischio di ripiegarci sunoi stessi dentro una religiosità fatta didue o tre cosette belle ma ripetitive egià dette. La mistica non è un trainingautogeno perseguito per stare bene….Chi frequenta Paolo deve togliersi dallatesta categorie del tipo “benessere”,

“normalità”, “autorealizzazione”. Soloil Vangelo della grazia detta legge in ca-sa sua.

Non indugiare sulla fragilità e fidarsidella grazia. Se passiamo la vita a guar-darci l’ombelico ne avremo come primaconseguenza il rinchiuderci nella prigio-ne della fragilità e buttare la chiave…Paolo invita a non arenarsi nella fragili-tà, a non coccolarsi con lacrime chefanno da surrogato a carezze assenti.

Fare memoria del proprio battesimo. IlVaticano II ha valorizzato il laicato fon-dandolo sul battesimo, ma non è infre-quente che il battesimo sia fraintesocomportandosi quasi come se per viver-

lo appieno sia necessario‘clericalizzarsi’… Non ba-sta forse vivere con impe-gno il proprio battesimonel lavoro, in famiglia,nelle relazioni comuni?Rileggere Paolo può farbene alla riscoperta della

immensa grazia ricevuta con il battesi-mo e che fa di noi il massimo che sipossa sperare e che ci guida a realizza-re la nostra vera vocazione.

Donarsi e non spendersi in mille rivoli.E’ fuori discussione che il cristiano dàla vita fino in fondo come Gesù e suamadre. Pigrizia e regno di Dio non van-no d’accordo, ma una cosa è vivere unagiornata in perfetta oblazione di sé, al-tro è soccombere alla logica mondanadella prestazione che produce ansia e fadimenticare l’opera della grazia nei cuo-ri. Gesù non si è “speso”, non ha dettosì a tutto e a tutti, si è donato. Si donachi sa discernere l’essenziale come Pao-lo che è consapevole del ruolo affidato-gli dal Signore.

Gina e Vito ROMITO isf, Bari

Incollati a qualcuno

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Esperienze e testimonianze

Durante gli Esercizi spirituali 2016 si èascoltato “tanto” e tornati a casa poi

è necessario meditare “tanto”. Gli argo-menti su cui riflettere sono numerosi, madesidero soffermarmi su quanto è statodetto e giustamente sottolineato, circal’atteggiamento passivo che spesso si hadurante l’ascolto e al termine una sensa-zione di sollievo. Quando è finita una ol’altra meditazione tendiamo a parlared’altro fra di noi e fatichiamo invece a farseguire un momento di silenzio, riflessio-ne e appunto di preghiera, magari davan-ti a Gesù Eucaristia.

Questo è quello che sento di dire perme e per noi, interpretando i pensieri dimia moglie Gigliola con la quale, al di ladelle battute, ci troviamo spesso in sinto-nia su argomenti seri e importanti.

Don Roberto non manca di sottolinea-re che gli Esercizi iniziano quando fini-scono ed è vero, le occasioni e le situazio-ni particolari improvvise, di conseguenzanon prevedibili ci mettono inevitabilmen-te nella condizione di doverci confrontaresu come comportarci e che reazioni avere

in determinate situazioni, se agire d’istin-to o trovare il tempo per pensare.

Ma gli Esercizi cosa mi hanno inse-gnato? Qui non entro nei particolari: pre-ferisco lasciare tutto alla riflessione diognuno. Gli impegni e le distrazioni nonmancano ed è necessario un grande sfor-zo per evitare di disperdere quanto si èappreso durante il corso.

Lo Spirito Santo ci guidi a una vita sa-cramentale, alla santificazione dellamente e alla purificazione dei sentimen-ti; a combattere pensieri fallaci e disper-sivi che disturbano e allontanano da ciòche è bello, giusto e vero, dall’amare Ge-sù con tutto il cuore.

Un ultimo pensiero: data la mia etànon vivrò più di quanto ho vissuto finoadesso e presto sarò dinanzi a Lui. Mi do-mando spesso come sarà… Difficile ri-spondere; invoco la Sua Misericordia af-finché mi salvi. Intanto che io possa ser-virlo al meglio con le mie modeste possi-bilità cercando di fare la Sua Volontà.

Gigliola e Stefano GUCCIONE, isfTrieste

Amare Gesù con tutto il cuore

Esercizi spirituali a Zovello di Ravascletto, 23-26 giugno 2016

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Esperienze e testimonianze

Gioiosa, coinvolgente, edificante: treaggettivi con cui definire la serata

vissuta in aprile dalle famiglie del Grup-po Don Alberione di Palermo nel salone-mensa del Seminario.

Avevamo aderito con affettuoso etrepido entusiasmo all’iniziativa propo-staci dal Rettore, don Silvio Sgrò, cheda circa due anni ci se-gue e anima al meglio,spronandoci, consi-gliandoci e spendendo-si durante i Ritiri men-sili per farci compren-dere con il cuore e lamente, per “viverle”

adeguatamente, le trac-ce meditative che cipervengono da Roma.

È stato sicuramentelo Spirito Santo ad illu-minarlo quando, duran-te una serata di condivi-sione, ha chiesto la no-stra disponibilità ad “adottare” anzitut-to con la preghiera, ma anche con di-screto interessamento, tutti i seminari-

sti accolti nella struttura palermitananel loro percorso vocazionale e formati-vo verso il sacerdozio.

Nessuna titubanza ovviamente nelle fa-miglie presenti, anzi il coro di un sì entu-siastico ed unanime. Un prospetto espli-cativo, composto tirando a sorte i nomina-tivi dei 55 seminaristi ed associandoli a

20 famiglie del gruppo,ha assegnato 3 ragazziper famiglia (ai 55 abbia-mo voluto aggiungerequalche sacerdote)!

C’era in noi come an-che nei seminaristi ildesiderio di conoscerci

reciprocamente: la sera-ta conviviale ha realizza-to in maniera intensaquesto desiderio. Untourbillon di emozioni,di scambi di informazio-ni, di desideri di mag-giore conoscenza, di

condivisione di problematiche, di ap-puntamenti per incontri prossimi haanimato tutti noi e tutta la serata.

Una bella serata

Il tema della vanità e delle apparenzeè strettamente legato a quello del

tempo che scorre inesorabile nelle no-stre vite. Perché l’apparenza non è de-stinata ad avere lunga vita, è una mani-festazione effimera di ciò che noi nonsiamo (né mai saremo) e di ciò che glialtri vogliono vedere; quindi, chi è l’uo-mo in grado di tenere sulla sua pelle uncosì pesante travestimento per così tan-to tempo? C’è chi riesce nell’ardua im-presa per una vita intera, ma alla fine

dei giorni, si è tutti costretti a gettare lamaschera e vedersi nella propria me-schina e semplice nudità.

Pirandello scriveva di maschere;l’uomo nel suo ciclo vitale è costretto aricoprire, per gli occhi di mondo o perinevitabili responsabilità, dei ruoli chelui definisce maschere e mai può rea-lizzare appieno la sua libertà perchéimprigionato in quell’infinito fotogram-ma sotto il quale la vita scorre ma al-l’interno del quale il tempo è destinato

La famiglia nel paese delle meraviglie- attraverso lo specchio -

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Esperienze e testimonianze

“I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni o, per i più forti, a ottant’anni; equel che ne fa l’orgoglio, non è che travaglio e vanità; perché passa presto, e noice ne voliam via” (Salmo 90,10).

a fermarsi. Nel momento in cui l’essereumano decide di gettare ogni masche-ra, si rivela nella sua più vera nudità enon viene quasi mai accettato o com-preso dal resto del mondo che lo cata-loga come un folle, un matto che ha ri-nunciato ad una propria identità e adun proprio ruolo stereotipato, deciso apriori. Si rivela la maschera nuda il ruo-lo per eccellenza, quello inscindibiledall’anima umana, quello a stento co-nosciuto da sé stessi perché fin tropposommerso dalla nascita, da continueapparenze e ruoli.

Ovviamente non si parla di rinuncia-re a qualsiasi responsabilità pur di farvalere la propria vera identità, ma piut-tosto di usare le maschere e renderlenostro strumento di formazione; se ac-cadesse il contrario e quindi fossimonoi a renderci schiavi delle maschere cisi troverebbe davanti alla conferma delparadosso esplicato da Pirandello...quello di non avere più a che fare conun vero io ma con un insieme indistin-to di maschere che una volta rimosse ri-velano la sconcertante visione dell’ioinerme e non ancora formato.

Le famiglie di tutto il mondo si tro-

vano in un perenne confronto con lospecchio della società, quest’ ultima hauna duplice forma riflettente:

SPECCHIO CLASSICO = quello cheti fa vedere la realtà ma, come tutti glispecchi, la rivela alla rovescia. Appa-rentemente la persona allo specchio seitu... cadi nell’illusione che sia il tuo ve-ro io ma in realtà mentre muovi la tuamano destra, l’io allo specchio, mentreti guarda, fa l’esatto contrario e muovela sua mano sinistra. Così, fuor di me-tafora, la famiglia cristiana e tutti i suoicomponenti in singolo (i figli a scuola ocon gli amici; il padre e la madre sulposto di lavoro...), quando si muovonoper testimoniare il bene e i valori, ven-gono recepiti raramente con le realimotivazioni delle loro azioni, il più del-le volte, infatti, vengono del tutto frain-tesi, giudicati ipocriti e schiavi di un si-stema (il Cristianesimo e la Chiesa) or-mai obsoleto e da rinnovare (come se siparlasse di un nuovo aggiornamento delcomputer!).

SPECCHIO DEFORMANTE = Gli oc-chi del mondo sono deformanti nel mo-mento in cui si sceglie di diventarneschiavi, di farsi traviare dalla paura disvelarsi per ciò che si è realmente. Mol-ti giovani nella prima adolescenza finoall’età più matura si sentono travolti daun sistema più grande di loro... le solu-zioni che si vengono a prospettare ai lo-ro occhi sono esattamente due: soffriree vivere // non soffrire e sopravvivere.Nel primo caso si sceglierà di non ri-nunciare ai propri valori a costo di sof-ferenze, derisioni, momenti di solitudi-ne... ma ci si ritroverà progressivamen-te avvolti da affetti sinceri, responsabi-li, duraturi, familiari. Ci si renderà con-

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La famiglia nel paese delle meraviglie

to crescendo che aver avuto e continua-re ad avere una forte opinione di séstessi vale molto di più che sottostareal giudizio altrui ed estraniarsi da ciòche si è realmente. Nel secondo caso sisceglierà la via più larga e comoda, simetterà un po’ a tacere il nostro io mache importa?! In fondo si sta solo evi-tando una serie di impicci da “sfigati”e “io non voglio essere uno sfigato! unoche non conta... voglio essere qualcu-no!”. Queste parole sono tentatrici: unavita comoda e priva di problemi chi nonla vuole in fondo? Quindi progressiva-mente si andrà avanti, con successi ter-reni, serate a far baldoria con gli amici,storie che, ci si ripete, saranno persempre... fino alla prossima e così perun bel po’ di anni, fin quando si arrive-rà al punto in cui ci si guarderà con gliocchi del...

...VERO SPECCHIO = gli occhi diDio! Quella superficie, non rifletterà sol-tanto l’esterno ma, con fulgore cristalli-no, renderà nitido ai nostri occhi ciò cherealmente siamo stati per una vita inte-ra...(pochi anni in fondo, in confrontoall’eternità!). Lì davanti, con disarman-te realtà, ci si renderà conto che tutti gliornamenti “temporanei” accumulati ne-gli anni per farsi belli agli occhi dell’uo-mo non hanno inciso minimamente sul-l’immagine che ora si ha di fronte, an-

zi... l’hanno solo immiserita, resa ma-gra, smunta e sciupata perché per pre-occuparsi dell’esterno, l’interno pianpiano è marcito e invecchiato. Nellospecchio cristallino degli occhi di Dio,chi avrà tolto alla propria apparenza, ap-parirà lucente e bellissimo/a come senon avesse fatto altro che curare sestesso per tutta una vita; mentre chi haaccumulato esteriorità su esteriorità,maschera su maschera, si ritroverà mi-serevolmente incupito e imbruttito. Ma-dre Scolastica Rivata, prima maestradelle Pie Discepole del Divin Maestro,diceva: “Mirare in ogni cosa solo allagloria di Dio”; ecco un consiglio validis-simo, bello e rigenerante da mettere inpratica! La rinuncia apparente è realeconquista nel Regno di Cristo.

Martina PETIX

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Esperienze e testimonianze

Citazione finale

- Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”

- Bianconiglio: “A volte solo un secondo”

L. Carroll

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UNITI NEL SUFFRAGIO E NELL’INTERCESSIONE

FRANCESCO PIGNATALE* 03-08-1943 - † 30-11-2015

del Gruppo di Taranto

È tornato alla Casa del Padre il nostro fratello Francesco. Era entrato nel-l’Istituto “Santa Famiglia” insieme alla sua cara moglie Emidia con entusiasmoe, nonostante fosse affetto da sclerosi multipla, era sempre presente ai Ritiri eall’Ora di Adorazione eucaristica mensile.

Aspettava con gioia di partecipare agli Esercizi spirituali a lui tanto cari.Nonostante le sofferenze, pregava in famiglia recitando tutti i giorni il santo

Rosario e la Liturgia delle Ore. Ora che le sofferenze di Francesco sono termi-nate ci consola pensarlo a tu per tu con Gesù che aveva portato con gioia agliammalati quando ancora riusciva ad usare le gambe nel servizio di Ministrostraordinario dell’Eucaristia.

Siamo vicini con affetto alla cara Emidia e ai figli. Il Signore li consolerà co-me solo Lui sa fare (I fratelli del Gruppo di Taranto).

ROBERTO SEBASTIANI* 07/05/1947 - † 06/04/2016

del Gruppo di Palata

MARIA ROSARIA SFORZA* 16/08/1924 - † 10/06/2016

del Gruppo di Bari

La nostra cara mamma Maria Rosaria contempla felicemente il volto del Si-gnore dopo essere stata per me e i miei fratelli, Michele ed Emanuele, un esem-pio ammirabile di vita.

È entrata nell’Istituto Santa Famiglia nel 1993; a farle conoscere e amare laFamiglia Paolina e l’Istituto è stata la Pia Discepola sr M. Antonietta Spinilloche insieme ad altre consorelle facevano apostolato in quell’anno presso la par-rocchia Santa Croce di Bari. Con la sua preghiera e il suo fervore ha fatto inna-morare anche noi dell’Istituto e del carisma paolino. Don Stefano Lamera, inquel tempo Delegato dell’Istituto, ha iscritto mamma tra i membri dell’Istituto.Ha così cominciato il suo lungo cammino da sola perché il papà era malato el’ha seguita in silenzio e nell’ombra.

Nel 2000 dopo la morte di papà, mamma ha continuato a seguire Gesù conme, Concetta, partecipando con costanza e tenacia, malgrado la sua venerandaetà e la sua sofferenza fisica ai Ritiri, alle adorazioni presso la San Paolo di Ba-ri ed anche con tanta fede e perseveranza gli Esercizi spirituali. Negli ultimi

UNITI NEL SUFFRAGIO E NELL’INTERCESSIONE

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giorni della sua vita mamma aveva solo un grande desiderio: restare per sem-pre con il suo grande amore Gesù Maestro e la Madonna, Regina degli aposto-li che lei amava tantissimo e che la custodiva con il suo materno amore.

Mamma ci ha lasciato una grande eredità: la fede e la gioia facendoci cam-minare in Gesù Maestro Via Verità e Vita. Ci ha invitato ad amarlo come lo ama-va lei. Ringrazio l’Istituto che tanto ci ha dato. Spero di seguire sempre, comela mamma desiderava, il cammino nell’Istituto nella certezza che la imiterò nel-la fede e nella costanza che ha conservato fino alla fine della sua semplice vi-ta. Grazie, mamma! (tua figlia Concetta).

MARIUCCIA SUBER in LEBANI* 02/08/1932 - † 21/06/2016

del Gruppo di Trieste

E’ scomparsa la nostra sorella Mariuccia. E’ una notizia che non si vorrebbedare mai, ma così è la realtà della vita e la fede ci assicura che la vita stessanon finisce ma dura in eterno.

Lei e il marito Federico, ricco di fede come amava definirsi, che ha testimo-niato nella sua vita fino all’ultimo, uomo delle Beatitudini, ci siamo conosciutiad un ritiro con don Stefano Lamera, ed abbiamo vissuto poi insieme il cammi-no nell’Istituto e i successivi passaggi.

Con loro abbiamo condiviso momenti sereni, fraterni e molto spesso in alle-gria durante i Ritiri mensili, gli Esercizi e quasi tutti i pellegrinaggi a Lourdes.Dopo la morte del marito nel 2010 la sua partecipazione agli incontri spiritua-li e formativi è diminuita a causa della malattia che ha accettato con fede esenza lamentele. Il suo pensiero e le sue preghiere andavano sempre per l’Isti-tuto e le vocazioni.

L’abbiamo vista pochi giorni prima della sua scomparsa dispiaciuta per nonpoter essere presente anche lei agli Esercizi, ma assicurando le sue preghiere.Senza retorica possiamo affermare che era una donna molto delicata, rispetto-sa, sensibile e riservata. In noi rimane un sincero e affettuoso ricordo di entram-bi. Li raccomandiamo alla Misericordia del Signore che sicuramente li avrà ac-colti in Paradiso. Preghino per noi e noi per loro nell’attesa, quando il Signorelo vorrà, di essere tutti uniti (Stefano e Gigliola del Gruppo di Trieste).

GIUSEPPINA ROSANO in PITZUS* 11/04/1926 - † 22/06/2016

del Gruppo di Oristano-San Gavino

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UNITI NEL SUFFRAGIO E NELL’INTERCESSIONE

CARMELO BARBERA* 02/04/1937 - † 27/06/2016

del Gruppo di Canicattì

Del nostro fratello Carmelo si possono dire solo cose belle ed edificanti: co-nosciuto l’Istituto nel lontano 1978 insieme alla moglie Maria ha chiesto difarne parte avendo subito compreso il grande dono che il Signore offriva lorocon la professione dei voti di castità, povertà e obbedienza e speciale fedeltàal Papa.

Sempre attenti e solleciti alle necessità dei fratelli e della parrocchia (Car-melo sapeva fare di tutto) essi insieme costituivano un grande punto di riferi-mento, soprattutto nel continuo avvicendarsi di sacerdoti alla chiesa ex agosti-niana di san Biagio.

Dal loro amore a Gesù e dalla loro fedeltà all’Istituto che li portava ad esse-re sempre presenti ai Ritiri, agli Esercizi spirituali (si erano infatti prenotati an-che quest’anno a quelli di Pergusa), ai Pellegrinaggi, alle serate di formazione,è scaturita anche una vocazione: la loro figlia Liliana si è consacrata totalmen-te al Signore nella famiglia di sant’Angela Merici.

Carmelo è stato un esempio di modestia, generosità e servizio gratuito.Il Gruppo di Canicattì sentirà la mancanza di questo fratello nel cui volto ne-

anche la morte ha tolto il sorriso (I fratelli del Gruppo di Canicattì).

MARIA CAUFIN in TAMBOSCO* 19/03/1927 - † 04/07/2016

del Gruppo di Trieste

A distanza di pochi giorni dalla morte di Mariuccia Lebani anche la nostrasorella Maria è andata incontro al Padre, dopo una lunga malattia e una seriedi sofferenze che ha sopportato con fede e in offerta devota al Signore. “Lui hatanto sofferto per noi!“, come ebbe a dirci in un incontro a casa sua.

Conosciuta per la prima volta ad un Ritiro ci vedevamo non tanto spesso, per-ché lei abitava a Tolmezzo (UD) pur facendo parte del nostro Gruppo. Data la di-stanza e per motivi di salute le è stato difficile partecipare agli incontri spiritua-li formativi. Persona squisita, gentile e delicata, innamorata dell’Istituto, non hadimenticato nessuno di noi fino all’ultimo. Da testimonianze raccolte dalla figliail suo pensiero era volto alla preghiera e al ricordo per tutto l’Istituto.

Interpretando il suo desiderio e il suo pensiero la ricorderemo nella preghie-ra affinché interceda per noi tutti presso il Padre. La pensiamo in Paradiso, contutti i nostri santi (Stefano e Gigliola del Gruppo di Trieste).

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NOVITÀ LIBRI E FILM

LibriLA SFIDA DEI PAPÀ

Nove racconti sul padre allaprova dei figli adolescenti

Ferrara e Mittino – San Paolo

Fare il papà èuna sfida, so-prattutto quan-do i figli rag-giungono la dif-ficile stagionedell’adolescen-za. Ma cosasuccede quan-do nove ragazzi

si incontrano per raccontarsi i loropapà in una sfida del tutto diver-sa, quella in cui «ognuno raccon-ta suo padre, e poi alla fine deci-diamo chi è il più rompiballe»? Loscopriamo nei racconti di A. Ferra-ra che presentano una carrellatadi figure paterne tutte diverse, tut-te segnate da responsabilità e ina-deguatezze. Grazie ai commentidello psicologo F. Mittino, la rifles-sione si svolge lungo un percorsoin cui riscoprire le caratteristichedel ruolo del padre e comprenderequali aspetti comportamentali eaffettivi sia necessario giocare sul-la scena educativa al fine di rag-giungere l’obiettivo desiderato: lacrescita del ragazzo.

CON MADRE TERESA24 proposte per una vita felice

A cura di L. Guglielmonie F. Negri – Paoline

Il testo propone24 capitoli i cuiargomenti sono:l’oggi, la paura,sbagliarsi, ri-nunciare, l’e -goismo, il lavo-ro, lo scoraggia-mento, i bambi-ni, comunicare,

essere utili agli altri, la morte, ilmalumore, mentire, il rancore, ilperdono, la famiglia, la via giusta,

la pace interiore, il sorriso, l’otti-mismo, il dovere, la fede, i sacer-doti, l’amore. Per ciascun argomento gli Autoripropongono: una presentazionedel tema; un brano di Madre Tere-sa; un episodio della sua vita; unbreve brano sullo stesso tema daaltri autori come papa Roncalli,Jean Vanier, Padre Pio…; unapreghiera di Madre Teresa; un suoconsiglio sintetizzato in una frase;domande di verifica per la vitapersonale; un breve brano di papaFrancesco.

L’ILLUMINISMO È FINITO MANON ANDIAMO IN PACE

I cattolici tra il Califfo (l’Isis),Robespierre (il laicismo) eFrankenstein (il gender)

Fabio Torriero – Koinè nuoveedizioni

Per dirla conZygmunt Bau-man, gli effettidella società li-quida sono sot-to gli occhi ditutti: individuifragili, semprepiù tecno-di-

pendenti, autoreferenziali, indi-vidualisti, sociopatici, narcisistie nichilisti.Questa è la deriva che la socie-tà ha imboccato, senza render-sene conto, a causa di un’eco-nomia di mercato applicata an-che ai rapporti umani, senza ri-sparmiare quasi niente e nessu-no. Efficaci e di grande impattole metonimie utilizzate da Tor-riero, giornalista esperto e do-cente di comunicazione politi-ca, che paragona questo mo-mento storico a tre mostri: il Ca-liffo, che rappresenta appuntola minaccia dell’Isis e il modoinefficace con cui viene fronteg-giata dalla società odierna; Ro-bespierre, la deriva laica assur-

ta a dittatura etica di Stato, al-la quale è un disonore trasgredi-re; e infine Frankenstein, il ri-sultato di tutto ciò che si sinte-tizza in un individuo “egotico”:paradigma del perfetto consu-matore.La soluzione sta in una “Soli-darnosc italiana”: cattolici,pronti a uscire dalle chiese edalle case, per il bene comune el’interesse generale e dare origi-ne a una “contro-società”, nonbigotta, non dispotica, ma basa-ta su dei principi comuni e sualcuni valori non negoziabili: ildiritto alla vita, il no alla libera-lizzazione delle droghe, all’ute-ro in affitto e alla manipolazio-ne genetica.Ristabilire una società basatasul dialogo, l’altruismo, la co-municazione.

PUREZZA E VIRILITA’di Jason Evert

PUREZZA E FEMMINILITA’di Crystalina Evert

Che significaamare? Quandosi è pronti per ilsesso? Perché laChiesa chiede diaspettare il ma-trimonio?

Arriva unpunto in cui igiovani nostri fi-gli ci pongono esi pongono do-mande comequeste. La no-stra cultura oggici risponde:“Non preoccu-parti, vai a letto

con chi vuoi e quando vuoi, diver-titi, basta che ti proteggi”. Eppurecapiamo ben presto che questapotrà essere la strada più breveper il piacere, ma non per la feli-cità. Desideriamo qualcosa di più.

Film

LE ARMI DEL CUORERegia: Fratelli Kendrick

Anno 2015

War Room (letteralmente “La stanza della guerra”, tradotto con “Le armi del cuore”),dei fratelli protestanti Kendrick, si concentra su una coppia nera dell’alta borghesiail cui lavoro redditizio permette loro di costruire un’attraente facciata pubblica percoprire problemi sempre più profondi nel loro rapporto e nella vita spirituale.Mentre la coppia arriva alla crisi relazionale, la moglie incontra una donna anzianacarismatica che la convince a ricercare aiuto nella Parola di Dio e nella preghiera.Spronata dall’incoraggiamento della donna, la moglie trasforma una stanza della suacasa in una “camera di guerra” (da cui il titolo del film), dedicata alla preghiera.Quando la fonte spirituale dei problemi della coppia viene svelata e attaccata con lapreghiera, le cose iniziano miracolosamente a migliorare. Un altro film riuscitissimodei fratelli Kendrick i quali sanno mettere in scena storie che mostrano i prodigi ope-rati da Dio nella quotidianità.

Audiovisivi

VOCE DEL MIO CANTO Messa cantata nel tempo della MisericordiaGen Rosso - San Paolo

Voce del mio canto, il nuovo lavoro dei Gen Rosso, nasce da una ricerca interiore spirituale emusicale. La scrittura dei brani, la strumentazione essenziale, le melodie semplici e le armo-nizzazioni esaltano una originale vocalità che si compone in coro e riflette la ricchezza e varie-tà delle culture musicali del gruppo. Voce del mio canto è soprattutto un’esperienza: è preghie-ra, è gioia di sentirsi amati da Dio, sempre. Testi e spartiti musicali completi sono inclusi nel CD.

NOVITÀ LIBRI E FILM

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Per rispondere a questa esi-genza, sono stati tradotti due li-bretti sulla virtù della castità. Pu-rezza e Femminilità e Purezza eVirilità che hanno cambiato la vi-ta a centinaia di migliaia di giova-ni in ogni parte del mondo. Oggisono finalmente disponibili anchein italiano! Ecco due testimonian-ze di giovani che li hanno letti.

«Sono cattolico da sempre eda sempre ho condiviso e cercatodi vivere al meglio la castità. Il li-bro Purezza e virilità non si limitaa prescrivere norme comporta-

mentali ma ci invita ad essere ve-ri uomini, a trattare con rispettonoi stessi e le nostre fidanzate,ma soprattutto ci ricorda che sia-mo creati per vivere un amoregrande. Mi ha aiutato tanto a nonvedere questo stile di vita solo co-me qualcosa di pesante e difficileda vivere (sono anch’io un uomo)ma come una virtù da cui potertrarre vantaggi per la propria ma-turità e per la capacità di amare edonarsi» Luca

«Purezza e Femminilità mi haaiutato a riflettere molto seriamen-

te sul fidanzamento che stavo vi-vendo e a pormi domande comequeste: “E’ come lo immaginavoda bambina? Questo ragazzo miavvicina a Dio?”. La dolorosa ado-lescenza dell’autrice può realmen-te aiutare altre persone a non com-mettere gli stessi errori perché inmaniera semplice mostra il giustoapproccio da avere nei riguardi diuna relazione, invita le ragazze anon svalutarsi, a vedersi per quelleche sono: figlie di Dio» Angela

Per richiedere delle copie, si puòscrivere a: [email protected]

Libri

ATTENZIONE – Accogliendo l’espresso desiderio di molti membri della “Santa Famiglia”

per continuare a offrire un contributo, secondo le proprie possibilità,

all’Istituto e all’Opera di S. Giuseppe di Spicello, comunichiamo le modalità di offerta:

Conto corrente postale intestato a “Istituto Santa Famiglia” - n° 95135000conto intestato a “Santuario San Giuseppe” - n° 14106611

Banca di Credito Cooperativo di Roma - Agenzia n. 1 - c/c bancario “Istituto Santa Famiglia”IBAN: IT34K0832703201000000034764

Banca di Credito Cooperativo del Metauro - c/c bancario “Santuario San Giuseppe”IBAN: IT60D0870068470000010199980

IL VALORE DELLA SANTA MESSA

«Niente è più grande dell’Eucaristia!... Quando noi vogliamo liberare dal Purgatorio

una persona cara e invocare la benedizione sulle nostre famiglie, offriamo a Dio il santo

Sacrificio del suo Figlio diletto, con tutti i meriti della sua passione e della sua morte. Egli,

Dio Padre, non potrà non ascoltarci…» (Santo Curato d’Ars).

OPERA SANTE MESSE PERPETUE

Si tratta di 2400 Messe che ogni anno vengono celebrate dai Sacerdoti Paolini per tutti gli

iscritti vivi e defunti. Tale Opera è stata voluta da don Giacomo Alberione come segno di

riconoscenza verso tutti coloro che aiutano gli apostolati della Famiglia Paolina.

Norme per l’iscrizione1. Ogni iscrizione si riferisce a una singola persona, sia viva che defunta.

2. Per ogni iscritto si rilascia una pagellina-ricordo con il nome e la data d’iscrizione.

3. Gli iscritti godono del beneficio di sei Sante Messe che ogni giorno vengono cele-

brate esclusivamente per loro.

4. L’offerta per ogni iscrizione è di Euro 20,00 ed ha valore perpetuo.

Celebrazione di Sante Messe

• Celebrazione di Sante Messe secondo le intenzioni dell’offerente: € 10,00.

• Celebrazione di un Corso di Messe Gregoriane l’offerta è di € 350,00.

Inoltrare le prenotazioni delle intenzioni di Messe all’Istituto “Santa Famiglia”

Circonvallazione Appia 162 – 00179 ROMA – ccp n. 95135000.

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