Genitori in regola. Regole, disciplina e responsabilità

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edizioni la meridiana p a r t e n z e Regole, disciplina e responsabilità Roberto Gilardi GENITORI IN REGOLA

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Un lirbo che prende per mano i genitori e gli aiuta a riscoprire l'importanza delel regole per la crescita dei loro figli

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edizioni la meridianap a r t e n z e

Regole, disciplina e responsabilità

Euro 16,50 (I.i.)

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti ISBN 978-88-6153-055-3

I genitori non hanno più potere come una volta. Anzi, il potere sembra essersiribaltato nelle mani dei figli: sono loro che decidono quando, come e cosa.La famiglia oggi, infatti, viene definitiva “affettiva” e non più “normativa”.Ed è per questa ragione che, in un contesto mutato, riemerge il bisogno distabilire come nascono e si condividono le regole. Certo, perché senza regolenon c’è convivenza.Dalla famiglia alla scuola, a tutti gli ambiti sociali sino alle istituzionipubbliche, la condivisione delle regole costituisce un mezzo necessario perorganizzare efficacemente la convivenza.E se è vero che buone regole non possono essere imposte, altrettanto vero èche è troppo semplicistico ridurre tutto all’ascolto dei figli. L’ascolto è unadelle competenze comunicative e relazionali che un genitore può mettere inatto nel rapporto con i propri figli, ma non è l’unica e forse neppure la piùrilevante in questo territorio di regole e disciplina.Questo volume prende per mano i genitori che vogliono riscoprirel’importanza educativa delle regole per la crescita dei loro figli. Come unaguida introduce al territorio vasto delle regole, descrivendo atteggiamenti,stili e scelte che possono aiutare o al contrario ostacolare la condivisioneefficace della regolazione della vita in una famiglia. La condivisione attivadelle regole è il miglior contributo, infatti, per educare ad una democraziaresponsabile, consapevole, effettiva.

Roberto Gilardi è stato docente universitario presso la Facoltà di Scienzedella Formazione dell’Università di Trieste ed è�Direttore della FormazioneI.M.R. (Italian Medical Research). �Formatore Gordon per anni ha fondatoKaloi Centro di Formazione, Consulenza e Coaching, gruppo di professionistiche opera nello specifico nell’area Socio-Educativa, Socio-Sanitaria eOrganizzativa, sia nel settore pubblico che in quello privato.

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Roberto Gilardi GENITORIIN REGOLA

Regole, disciplina eresponsabilità

Strategie per ridurre icomportamenti aggressivi epassivi a scuola

Presentazione diAntonio G. Mobilia

Traduzione diAntonio G. Mobilia

edizioni la meridianap a r t e n z e

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Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Ci vuole un motivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Leggi o contratti? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

Ottenere disciplina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

Il Predicatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

L’Insegnante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

Il Maieuta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

Il Mediatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

Trasgressioni e sanzioni . . . . . . . . . . . . . . . 123

Genitori scienziati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

APPENDICE

Domande di genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

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Il Predicatore

Controlla il tuo stilePrima di spiegare e descrivere atteggiamenti emodalità che riguardano la figura del Predica-tore, potrebbe essere simpatico per il lettorefare un brevissimo test, per riconoscere inseguito quale delle tre figure (predicatore, inse-gnante, maieuta) sia maggiormente rappresen-tata nella propria risposta alla situazione pro-posta tra breve.Se volete fare questa prova leggete la descri-zione di una scena familiare e in seguito, nel-l’apposito spazio sottostante (le righe vuote),scrivete cosa direste voi, quali parole useresteper affrontare la situazione con vostra figlia, perrichiamare la regola che voi riterreste in quelcaso giusta o opportuna.

Vostra figlia Elena ha 16 anni e frequenta laseconda liceo. Da pochi giorni si è messainsieme a un ragazzo, Guido, più grande di leidi un paio d’anni, con il quale ha già avuto ilsuo primo rapporto sessuale.Voi (immaginando di essere la madre), l’avetesaputo perché Elena non è riuscita a trattenerequesto segreto, e si è in qualche modo traditada sola, facendo un commento ad alta voce. Avoi è sembrato un gesto affrettato e prema-turo, e glielo avete detto. Ma la scelta ormaiera già stata fatta.D’altra parte, il livello di fiducia tra di voi èabbastanza buono da consentire, in alcuni casi,momenti di comunicazione intima anche suargomenti delicati o privati.

Oggi, al suo rientro da scuola, notate che ha ilviso cupo e vi saluta in modo differente daglialtri giorni, il suo tono di voce è basso, e anchela forma del suo corpo sembra accompagnarequesto saluto dimesso.Durante la cena, quando siete in cucina dasole, accennate solamente un: “Giornata no, misembra…”, e dopo un paio di minuti disilenzio, nei quali voi continuate a fare levostre faccende senza più incalzare per sapernedi più, lei comincia all’improvviso il racconto inquesto modo: “Ho scoperto che Guido èandato a letto con una mia compagna di classe.Gli ho detto di non farsi più rivedere. Eravamoinsieme solo da pochi giorni… e mi ha tra-dita… capisci?!! Con quello che avevo inve-stito… (piange)”.

Immaginate di voler trasmettere a vostra figlia(in questo caso Elena) una regola di comporta-mento più o meno come la seguente.

REGOLA

PPrriimmaa ddii bbuuttttaarrssii aa ccaappooffiittttoo iinn uunnaa rreellaa--zziioonnee ee ffaarree sscceellttee aavvvveennttaattee,, èè ooppppoorrttuunnooddaarrssii aallmmeennoo uunn ppoo’’ ddii tteemmppoo ppeerr llaa ccoonnoo--sscceennzzaa ee ppeerr llaa ccoossttrruuzziioonnee ddii ffiidduucciiaa nneell--ll’’aallttrraa ppeerrssoonnaa..

Provate a scrivere le parole che direste voi aquesta ragazza, con lo scopo di aiutarla a farepropria la “regola” in questione:

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Al termine di questo e dei successivi due capi-toli avrete un momento in cui confrontare ciòche avete scritto con le indicazioni date perogni figura: Predicatore, Insegnante, Maieuta.

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L’Insegnante

Una bugia tira l’altraHo rischiato la vita e non me ne sono resoconto. Dove può portare una bugia inno-cente…Sono in colonia, con precisione a Suna di Ver-bania, sulla costa piemontese del Lago Mag-giore, negli stabilimenti di proprietà dellaEdison (prima dei processi di fusione in Monte-dison), dove lavora mio padre. La società mettea disposizione dei figli dei dipendenti un meseintero di colonia gratis o con poca spesa. Lacolonia è in collina, bella, grande, con spazienormi per il mio sguardo da bambino. Unpezzo di montagna da esplorare, un grandespiazzo dove giocare, le camerate, la mensa, lalavanderia… la… ehm… la piscina, origine delproblema.Un paio di giorni dopo il nostro arrivo incolonia passa un’educatrice e pone a ognuno lafatidica domanda: “Sai nuotare?”. Arriva il mioturno e la risposta è: “Sì”. E dentro di me untimido rimprovero: “Ma cosa dici sì, che non sainuotare… l’acqua ti fa persino paura…”.Non so cosa mi sia venuto in mente, forse ildesiderio di fare una bella figura, di destareimpressione, forse la paura di ammettere unamancanza, o forse semplicemente l’ignoranzasul significato e sul seguito di quella domanda,sta di fatto che dico di sì anche se non è vero.“Allora ti iscrivo alle gare di fine turno!” pro-segue l’educatrice.Ta tan…!!! Sorpresa. E chi se l’aspettava. Iovolevo solo fare una bella figura, mostrarmifigo, non volevo fare le gare di nuoto.Si innesca la spirale. Mi vergogno di tornare

indietro, ammettere di aver detto una bugia,dire che ho sbagliato (del resto non ho ricevutomolti esempi di questo tipo dagli adulti, sulfatto di ammettere lo sbaglio). L’errore è unacosa da evitare con cura, pena una dura puni-zione e soprattutto il perdere la faccia. Perpaura della punizione, faccio buon viso a cat-tivo gioco.Però sorge un problema. Come faccio quandomi verranno a chiedere di andare in piscina?Una bugia tira l’altra. Per mantenere in piediun palco serve più di un punto di appoggio, equando non si vuole tornare indietro, si deveandare avanti, e bisogna inventare una bugiadopo l’altra, per rendere la cosa credibile.Due giorni dopo, l’educatrice che segue lanostra classe di bambini mi dice che devo andarein piscina per le prove di nuoto. Ta ta ta taaan…la quinta di Beethoven risuona dentro di me. Emo’ che faccio? Decido di perseverare nellamenzogna: “Non sto bene, ho un po’ di tosse”.E tossisco un po’ per rendere credibile la notizia.Lei ci casca, beve la mia affermazione, ma, pervenirmi incontro, dal giorno successivo e ognimattina delle successive tre settimane michiede: “Come stai oggi? Hai ancora la tosse?”e alla mia risposta affermativa, mi manda ininfermeria a prendere lo sciroppo.Prendo lo sciroppo, non è un problema, il saporeè anche gradevole. Della tosse neanche l’ombra.Prendo lo sciroppo pensando di farla franca, dipassarla liscia, ma l’inevitabile tracollo è inagguato. Come si dice… il diavolo fa le pen-tole… ma… ma poi non ha nulla da cucinare.Manca solo una settimana o poco più al ter-mine del turno di colonia, che dura in totale unmese. I tempi si stringono, e chi organizza legare di nuoto di fine turno ha bisogno di defi-nire esattamente il numero dei partecipanti e illoro grado di bravura. Torna alla carica la tiziaalla quale avevo affermato la mia capacitànatatoria, e mi dice di andare in piscina nelpomeriggio per le prove.Io tento ancora la scappatoia, ma, ormai, mihanno scoperto. Nessuno mi ha mai sentito tos-sire durante il giorno, per tutto il periodo inquestione. La tosse si presentava improvvisa,solo nell’imminenza della domanda giorna-liera. Poi, repentina come era comparsa, se neandava. Non ci credeva più nessuno alla farsa.

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“Oggi vai in piscina. Non ti farà niente unbagno!”.Non posso più tirarmi indietro, il treno corretroppo veloce, almeno nella mia fantasia, e lapaura di scendere in corsa e farmi male ètroppa. Continuo a mantenere in piedi il palco.Ora sono come in un limbo, non capisco piùbene cosa succede. Nel pomeriggio vengo pre-levato dall’istruttrice, e portato insieme ad altri30 o 40 bambini in piscina, in quella grande,olimpionica. La tensione mi toglie ogni bricioladi residua logicità. Tutto scorre sempre piùrapido.Dopo alcuni esercizi di riscaldamento, veniamomessi in fila indiana: si va verso lo scivolo, nonquello che ti fa atterrare in un po’ di sabbia,ma quello che porta direttamente nella piscina,quella grande, olimpionica, profonda duemetri, dove non si tocca, neanche se si è grandigrandi.Sono in fila davanti lo scivolo, che, nella miamente, si trasforma in un patibolo. Vedo già lacorda che penzola e mi ammicca sorniona. Sci-volo e patibolo, fanno anche rima. Lentamentesi procede, si sale la scaletta, ci si siede, silasciano le mani, e viaaaaaa… giù per sei, settemetri fatti ad alta velocità e… sciaff… inacqua. Poi qualche bracciata, chi in stile impec-cabile, chi un po’ a cagnolino, e tutti guada-gnano la sponda della piscina. Tutti. Propriotutti. Tranne il sottoscritto.Io sono lì, impietrito, ancora aggrappato allaringhiera, spinto da quelli che mi seguono sullascaletta, avanzo a scatti, una spinta, uno scatto.Ora sono in alto, in cima allo scivolo. Vedosotto, lontana, la piscina, gli altri che nuotano,ridono, si divertono, e io che sto per…Non faccio in tempo… i pensieri sono cancellatidall’ultimo spintone che mi fa sedere nello sci-volo, reso scorrevole dall’acqua che viene ver-sata con una canna in cima alla scaletta. È unattimo e sono in acqua. Ma non so nuotare. Misembra di affannarmi muovendo qualcosa, maimmediatamente il bambino che si è lanciatodietro di me mi piomba sulla testa e mi ributtasott’acqua. Non capisco più nulla, vedo solol’azzurro dell’acqua, i bambini che mi piom-bano sulla testa, un groviglio di braccia egambe, e bolle e schizzi.Qualcuno se ne accorge e si tuffa. Un istrut-

tore, forse, non lo so. Mi prende in braccio, emi porta fuori dall’acqua, verso la sponda dellapiscina, e mi appoggia sulla seduta. “Ma alloranon sai nuotare?!!”, grida l’educatrice. “Maperché hai detto che sai nuotare?!! Eh?!!”.Che figura!!! Su tutto il fronte. I nodi vengonoal pettine, ma a me sembra di averci lasciatotutto lo scalpo su quel pettine. Il palco ècascato, ora è tutto chiaro. Li ho ingannati e horischiato la vita. Eh sì, perché se l’istruttore nonse ne accorgeva subito, io rimanevo là sottoper vari minuti, a beccarmi bambini che piove-vano e piombavano sulla testa, tipo jo-jo.Potevo lasciarci le penne, o avere seri dannicerebrali, come minimo.La vergogna è tanta. E vengo punito.Ricordo solo il momento della punizione. Altermine delle gare e della festa di fine turno, aogni bambino vengono fatti due regali: unapistola ad acqua, bella, grande, colorata, tra-sparente, verde o rossa, e una palla, non tantogrande, ma pur sempre una palla, rossa o blu.Tutti i bambini vengono chiamati, e a ognunoviene conferito il premio, a tutti, non solo aipartecipanti alle gare di nuoto. “Tu per puni-zione non riceverai nulla!”. Sentenza emessa.Guardo tutti gli altri bambini coccolarsi quellastupenda pistola ad acqua tra le mani, far rim-balzare la palla, scambiarla per avere il coloredesiderato. Sento chiamare i nomi e vedo la sfi-lata davanti a me. Come essere affamati esenza soldi, e passare davanti a un negozio digastronomia colmo di leccornie. Che passione.Ma devo intenerire il cuore di qualcuno: perprima cosa perché da quel momento rischiosoin piscina, non ho più parlato (ho imparatobene come accettare le punizioni senza cercaredi ribellarmi per paura di una conseguenzaancor più pesante) in secondo luogo perchésono piccolo, ingenuo, incapace di far del malese non a me stesso, biondo e timido, imbaraz-zante nella semplicità e nella dabbenagginedelle mie bugie. A volte ridicolo.Sì, qualcuno si deve essere intenerito e deveaver ritenuto sufficiente quella punizione par-ziale, perché il giorno prima della partenza mivengono date sia la pistola ad acqua che lapalla.E mi fanno felice, il tipo di felicità che solodalla semplicità sgorga così abbondante e

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senza condizioni: una piccola palla colorata euna pistola ad acqua trasparente: sono in Para-diso… e senza morire.

Non si dicono bugie! Le bugie hanno le gambecorte!Il Predicatore direbbe qualcosa del genere pertrasmettere il succo di questo racconto: laregola, o meglio, il valore della sincerità. L’Inse-gnante no.Ma chi rappresenta la figura dell’Insegnante, equali sono le modalità attraverso cui cerca diesprimere e trasmettere regole, norme e valori,in modo da ricercarne la solita “giustifica-zione”?Insegnare, etimologicamente parlando, significa“porre dei segni dentro a qualcosa” (in-segnare). E certamente tutti noi, quando comu-nichiamo, poniamo dei segni, le nostre parole eil loro significato. Il fatto che queste lascino piùo meno traccia, nei figli in questo caso, non ècerto.L’Insegnante, per come è esposto in questolibro, non viene inteso nel senso scolastico deltermine, alle prese con una materia specifica dainsegnare, bensì come un genitore che cerca di“testimoniare” se stesso con il proprio figlio,che cerca di porre nel figlio i “propri segni”, isignificati della propria vita. E cerca di farlo inun modo particolare, usando quello strumentoche da più tempo nella storia dell’umanità hapermesso il tramandarsi di conoscenze, espe-rienze, valori e norme: la narrazione, il rac-conto.Il Predicatore ammonisce, fa la morale, giudica,biasima o approva. L’Insegnante racconta,narra.L’approccio, così come l’impatto che questi duemodi differenti di essere e fare provocano neifigli, sono profondamente differenti anche se lafinalità che perseguono è la medesima.Partiamo dall’impatto e proseguiamo poi con lamodalità di attuazione.

Se il lettore ha fatto attenzione, non solo al con-tenuto delle parole che ha sin qui letto inquesto libro, ma anche all’impatto che taliparole hanno avuto su di sé, potrebbe ricono-scere emozioni, attenzione e pensieri differentia seconda della modalità letteraria usata.Forse, e nella maggior parte dei casi, risultaessere così: i brani che narravano una storia, unfatto, un episodio mio o di altri, erano maggior-mente affascinanti, meno noiosi, emotivamentepiù coinvolgenti. Come per la piscina, le bugie,palla e pistola ad acqua.Mentre è stato un po’ più faticoso seguire ildiscorso quando prendeva pieghe troppo teo-riche o concettuali, quando richiedeva sforzo dicomprensione, ragionamento.Questo è uno dei principali motivi di differenzatra l’Insegnante e il Predicatore: le storie di vitanon richiedono sforzi di comprensione, parlanoal cuore e non alla mente, interpellano il sentirepiù che il capire.Ancora oggi (e per fortuna), entrando in unascuola dell’infanzia, si può vedere la maggiorparte dei bambini con la bocca spalancata, gliocchi sgranati, l’attenzione a mille se la maestraracconta una storia.Ma non per questo i racconti, come i romanzi,sono meno importanti dei saggi o dei trattati.Condivido con quanti l’hanno espresso primadi me il fatto che i romanzi in molti casi sianoun bellissimo manuale di psicologia: applicata enon astratta.Anche nelle persone che lo leggono solo perpassione, per piacere, per gradito passatempo,il romanzo lascia un segno. Fa sognare, fa pen-sare, invita all’immedesimazione e all’empatia,in misura ovviamente correlata alla trama, alloscrittore, alla tecnica usata, all’animo e alla sen-sibilità di chi legge.

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Il Maieuta

Bambole in tvBarbara ha 6 anni, pochi perché un predicatorepossa ricevere non solo ascolto, ma anche com-prensione del messaggio e adesione al suo con-tenuto. Sufficienti perché un insegnante possafar presa con i suoi racconti, con la narrazionedelle sue o di altre storie. Difficoltosi per unmaieuta, che dovrebbe facilitare la costruzionedi valori e regole a partire dalle esperienzedella persona, in questo caso di Barbara che ha6 anni.L’occasione è ghiotta, per provarci se non altro.Manca poco a Natale e Barbara è parecchioattratta da una bambola che viene mostrata intelevisione. Il messaggio è accattivante. Labambola sembra muoversi, parlare, fare unaserie di cose in automatico, come fosse unrobot telecomandato in miniatura. Si siede inambientazioni ricostruite ad hoc, con tanto dipiscina, giochi, attrezzature da parrucchiere equant’altro si possa immaginare, parla con leamiche, beve il tè.Barbara “scrive” una letterina con la richiestadella bambola a Gesù Bambino, nonostante gliavvisi preventivi della mamma, molto scettica ariguardo, che più volte le ripete: “non so sequest’anno Gesù Bambino potrà portarequesto dono… ne ha già tanti altri da conse-gnare…”.Le letterina di Barbara, anziché arrivare a GesùBambino, non si sa bene per quale misteriosoarcano, arriva alla nonna di Barbara, che leg-gendo il desiderio nei suoi occhi, oltre che inquella lettera tenera e ordinata, pensa di sosti-tuirsi al destinatario della richiesta e consegna

la bambola in questione alla mamma proprioalla vigilia di Natale.La mamma, ovviamente, non può sottrarsi emette il pacco accanto al presepe, dopo cheBarbara è andata a dormire.Il giorno dopo, finalmente, è Natale. Barbara ègià sveglia di primo mattino e vorrebbe faralzare anche i genitori, perché ha sbirciato insalotto i pacchetti vicino al presepe. Sono le seie mezza, e mamma e papà vorrebbero dormireancora qualche minuto, ma la frenesia e l’agi-tazione di Barbara sono incontenibili.Gli occhi brillano, le carte colorate sfavillano escricchiolano sotto le sue piccole mani, i pacchidi tutte le dimensioni vengono snocciolati aduno ad uno, sino al momento clou: la famosabambola tanto desiderata. Barbara se neaccorge appena scostato il primo strato dicarta, ed emette un urletto stridulo di felicità.Tutti gli altri regali sembrano passare insecondo piano. Prende la bambola, se lastringe al petto ancora nella confezione, la coc-cola come fosse un neonato. Poi, aiutata dalpapà, la toglie dall’involucro e la tocca quasiincredula. Quindi, una volta scartata, cominciaa chiedere come può fare a ricostruire le stessecose che ha visto in televisione. La mammaspiega che alcuni movimenti deve farli lei amano, metterla seduta, farla camminaretenendo e muovendo le gambe, che altre cosenon ci sono nella confezione, come gliambienti ricostruiti in tv, la piscina e tutti glialtri aggeggi, che il tè non lo beve veramentema si può solo “far finta”… ma a metà dellaspiegazione Barbara si volta e accenna a dareuno schiaffo alla mamma, poi prende la bam-bola e va nella sua cameretta.Mamma e papà decidono di lasciarla sola, per ilmomento, non è il caso di insistere, Barbaradeve essere proprio delusa, e sembra che riversisulla mamma la colpa per quanto la bambolaprometteva ma non manteneva.Con il pranzo di Natale e gli invitati che aiu-tano a dimenticare momentaneamente la que-stione, piano piano si torna alla normale sere-nità di un giorno di festa.Nei giorni successivi, l’argomento non viene piùripreso sino a quando, durante una pausa nellatrasmissione televisiva di cartoni animati, nonviene riproposto lo spot pubblicitario della fan-

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tomatica bambola. Alla comparsa del giocat-tolo con piscina, il tè e quant’altro, Barbara cheha in mano un piccolo cagnolino di panno, faun ampio gesto con il braccio da dietro laschiena in avanti, come per “picchiare” la tele-visione. La mamma le è vicina e, osservando ilgesto, dà inizio a un brevissimo dialogo.

MMaammmmaa: Sei arrabbiata con la televisione…BBaarrbbaarraa:: Sì!MMaammmmaa:: Perché sei così arrabbiata con la tele-visione?BBaarrbbaarraa:: Perché non è vero!!!MMaammmmaa:: Non è vero… cosa… non capisco.BBaarrbbaarraa:: Non è vero che beve il tè!MMaammmmaa:: Ah… ho capito… non è vero quelloche dicono della bambola e di tutte le coseche fa.BBaarrbbaarraa:: Sì… sono cattivi.MMaammmmaa:: Sei rimasta male… credevi fossediversa… come quella che fanno vedere in tv.BBaarrbbaarraa:: Sì… (le scende una lacrima)MMaammmmaa:: (silenzio)BBaarrbbaarraa:: E dicono bugie!MMaammmmaa:: Eh…lo so… per vendere a voltefanno vedere le cose diverse da come sono…così la gente le compra… e poi è delusa, comete… forse anche Gesù Bambino, guardando latelevisione, credeva fosse tutto vero.BBaarrbbaarraa:: (rimane in silenzio e va in camerasua, dopo qualche momento torna con la bam-bola rimessa alla bell’e meglio dentro la confe-zione, e la porge alla mamma) Tieni, dalla via.MMaammmmaa:: Sei così delusa da non volerla nep-pure più vedere…BBaarrbbaarraa:: (fa cenno di sì con la testa e poi tornasul divano in silenzio a guardare i cartoni ani-mati, con il cagnolino di pezza stretto al cuorecon il braccio).

Un’esperienza negativa, un breve dialogo, lapossibilità di apprendere qualcosa, magari diformulare una regola.Questo in sintesi il percorso seguito dal“Maieuta”.La mamma di Barbara cerca di ripercorrerlo.Non infierisce con i suoi argomenti, non ammo-nisce con le sue prediche, non si avventura in

frasi tipiche del tipo “Io te l’avevo detto che…”(Predicatore). Non entra neppure in modovistoso con le sue esperienze di vita, raccon-tando come è arrivata a formulare i suoi pen-sieri in merito alla televisione e ai messaggi pub-blicitari ingannevoli (Insegnante). Si limita adascoltare, a rimanere vicina, a rafforzare il mes-saggio che Barbara sembra voler esprimere:tutta la sua rabbia per essere stata “ingannata”.Tuttavia l’ascolto della mamma di Barbara èparticolare. Non si limita al semplice silenzio,per partecipe che sia. Fa qualcosa in più, e altempo stesso riesce anche a non andare oltre, arispettare i confini, a non invadere o spingereoltre a ciò che ragionevolmente ci si può aspet-tare da Barbara, 6 anni.

Favorire un partoÈ indubbia la differenza che corre tra l’ado-zione o l’affido e il concepimento di un figlio.Le madri conoscono questa differenza forsemeglio dei padri che in grembo non hanno maiportato nulla.Possiamo assimilare il Predicatore a un genitoreadottivo. Il figlio, almeno fisicamente, si sacom’è, è già nato, ha già una sua fisionomia euna sua personalità. Lo stesso vale per le regole,quelle che riguardano il Predicatore: sono giàdefinite a priori e si tratta solo di ricercarne ade-sione e rispetto. La regola, già definita, cono-sciuta, ritenuta giusta, nella nostra metafora è ilfiglio adottivo o quello in affido.Possiamo al contrario assimilare il maieuta algenitore naturale e alla nascita del figlio: né fisi-camente né psicologicamente si sa com’è ecome sarà. Si immagina che assomigli a qual-cuno dei due genitori, ma certamente avràalcune caratteristiche, alcuni tratti solo suoi,che fanno parte della sua identità. Il parto è una

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sorpresa, una novità. Anche in questo caso,nella metafora, la regola è il figlio: non si saancora cosa ne uscirà, non si sa ancora qualiregole il figlio trarrà dalla sua vita e dalle espe-rienze che farà.Possiamo immaginare l’Insegnante a metàstrada tra i due, ha la propria esperienza dacondividere, la propria fisionomia di regola e divalore, ma non sa se il figlio la farà propria allostesso modo.Ma cosa vuol dire “Maieuta”?Nell’origine del termine possiamo riconoscerel’“arte della levatrice” (o l’ostetricia), ma l’espres-sione descrive il metodo utilizzato da Socrate,così come è citato da Platone nel Teeteto.Questo metodo aveva una finalità ben precisa:“tirar fuori” la verità dai discepoli, in opposi-zione alla consuetudine di inculcare la propriaattraverso la persuasione. Legando Socrate ainostri riferimenti, il Maieuta era considerato dalui in contrapposizione al Predicatore e in parteall’Insegnante.Per noi no, l’approccio usato in questo librocerca volutamente di non essere ideologico odogmatico, cerca di non porre in contrapposi-zione le diverse figure. Le tre modalità sipotranno integrare o sovrapporre, in quantoognuna ha una differente funzione, anche inriferimento alla complessità della relazione edu-cativa genitori-figli.Tornando al Maieuta, Socrate cercava col suometodo di porsi allo stesso livello culturale deldiscepolo, stimolandolo soprattutto condomande, e lasciando spazio alle risposte,quelle del discepolo. Solo attraverso il dialogo,con questa modalità differente da quella dellapersuasione, Socrate riusciva a perseguire lestesse finalità della levatrice: portare alla luce leverità, a partire dal punto di vista del discepolo,così come nel parto si può facilitare la nascitadel bambino.Anche per noi, il “Maieuta” cerca di favorire unparto, che riguarda la possibile nascita di una

regola, di una norma, di un valore, non tantodall’adesione del figlio alle parole del genitore,alle sue idee già definite, quanto attraverso unprocesso di costruzione che ha origine nel figlio.Barbara, anche se ha appena 6 anni, ha vissutouna piccola esperienza negativa, di delusione,di amarezza, di rabbia per quella promessa tra-dita. E forse la prossima volta che vedrà un pro-dotto pubblicizzato in televisione potrebbeavere qualche dubbio in più, non fidarsi cosìciecamente di quanto mostrato.La vita, di per sé, è fatta di una serie di eventipotenzialmente educativi. Da ogni nostra espe-rienza possiamo trarne insegnamenti, orienta-menti, apprendimenti, idee, valori, regole, posi-tivi o negativi che siano: siamo naturalmenteaperti alla possibilità di apprendere.In alcuni casi però, e in ambito educativo inparticolare, l’adulto, come in questo caso ilgenitore di Barbara, può facilitare questa na-scita, questo parto, questa costruzione di iden-tità, anche rispetto alle regole.Vediamo più da vicino come la facilitazione delparto avviene nel breve dialogo tra Barbara esua mamma.Per prima cosa potremmo riflettere su come lamamma osservi e affronti quel gesto di Barbaranei confronti della televisione: “Alla comparsadel giocattolo con piscina e tè e quant’altro,Barbara che ha in mano un piccolo cagnolino dipanno fa un ampio gesto con il braccio dadietro la schiena in avanti, come per ‘picchiare’la televisione”.È facile incontrare genitori che, di fronte a ungesto del genere, anziché iniziare un dialogoesordiscano con la frase: “Non si fa così! Non sidanno botte alla tv!! Cosa ti ha fatto di male latelevisione?!!”.È evidente che se Barbara è troppo vicina alla tv,e ha in mano qualcosa di meno morbido di uncane di panno, il porre un limite deciso è la primacosa da fare (relazione coercitiva), ma nel nostrocaso, non sembrano esserci tali condizioni.

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Ragion per cui Grazia, mamma di Barbara, nonusa questo modo. Capisce che dietro al gesto diBarbara c’è altro, intuisce, o per lo menoascolta, i sentimenti racchiusi nel gesto e lirende espliciti. In questo modo offre a Barbaranon solo la possibilità di confermarli, dirli aper-tamente, verbalizzarli ed esprimerli (visto l’im-patto negativo che le emozioni non espressepossono avere in termini di psicosomatica sulnostro benessere), ma crea un’occasione percomprenderne l’origine, e da lì proseguire versomete di apprendimento, che non è possibilecome detto definire a priori.Se da un lato è piuttosto facile riconoscerequando una persona è arrabbiata (a patto che ilnostro livello di attenzione agli altri sia suffi-ciente), vuoi per il rossore del suo viso, vuoi peri termini che usa, vuoi per il volume o il tonodella sua voce, diventa molto più difficile cono-scere a priori il motivo della sua rabbia. Sino aquando la persona non ce lo dice apertamente,non possiamo né esserne certi, né conoscerlo.Il parto ha dunque inizio. A partire da un sem-plice ascolto attivo dei sentimenti che Barbaraesprime, non a parole, ma con il suo gesto,Grazia fornisce il primo “gancio” con la suafrase: “Sei arrabbiata con la televisione”.Per far questo Grazia opera una delle cose piùdifficili da fare in una relazione, a maggiorragione se in questa relazione c’è un coinvolgi-mento affettivo così rilevante, come può esserequello di un genitore nei confronti del propriofiglio.Questa operazione, viene tecnicamente chia-mata “decentramento”, ed è la competenzaprincipale che deve maturare, apprendere ocostruire, la persona che vuole rivestire i pannidel maieuta.Decentramento, lo dice la parola stessa, è lacapacità di spostare il centro da noi (ego-cen-trati) a un’altra persona, il figlio.Significa staccarsi dal proprio punto di vista,dai propri pensieri, dalle proprie idee o dai

propri valori, per cercare di immedesimarsi inquelli di un altra persona, del figlio. Al di là eprima ancora di esercizi pratici su come l’a-scolto si possa attuare, che possono essereapprofonditi in appositi percorsi formativi, ciòche preme sottolineare è la necessità di attuarequesto tipo di atteggiamento e soprattuttoaverne l’intenzione.Il decentramento non è automatico. Noi siamonaturalmente dotati del “nostro punto di vista”,a partire dai nostri sensi, dai nostri occhi. Ilnostro sguardo, ciò che possiamo vedere,dipende dalla nostra posizione fisica. Pervedere ciò che vede un’altra persona dobbiamoprendere il suo posto, porci nella sua prospet-tiva, spostarci anche fisicamente. Lo stesso valeper la condizione psicologica.Nel caso della bambola Grazia deve sospenderemomentaneamente ciò che lei pensa in meritoalla tv, alla pubblicità, ai gesti di rabbia, alleesperienze della sua vita. Deve decentrarsi, spo-starsi, mettersi nei panni di Barbara e della suadelusione, ricercare nei gesti e nelle espressionidella figlia tutto il mondo di pensieri e senti-menti che sta dietro ai suoi occhi.Ma non lo può fare in un istante. Come Dantecon Virgilio deve farsi accompagnare in questoviaggio da Barbara, dalle sue parole, dal modoin cui lei, attraverso ciò che esprime, mette inluce e mostra il suo mondo interiore. Chequesto corrisponda o meno con ciò che Graziapensa o crede opportuno in quella situazione èun altro paio di maniche.È altro.Sino a quando Grazia vuole mantenere unaposizione decentrata e impersonare il Maieuta,in primo piano ci sono solo pensieri, sentimentie significati della figlia Barbara, 6 anni, fatti diaspettative andate deluse. In qualsiasi momentoGrazia può tornare a essere centrata su di sé,esporre il proprio punto di vista, la propriaesperienza, ma il tutto sarebbe meglio fosseconseguente a una decisione. Cosa che normal-

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mente non avviene in modo così consapevole eintenzionale nelle relazioni.Vediamo di comprendere questo passaggioattraverso un esempio, tratto sempre dal brevedialogo tra Grazia e Barbara.Mentre per tutta la prima parte Grazia si limita,tramite l’ascolto, a ricercare la comprensione ela conferma di quanto ricevuto dalla figlia(compiendo così il decentramento), a un certopunto, quando Barbara afferma: “e diconobugie…”, Grazia prosegue con il suo: “Eh…lo so… per vendere a volte fanno vedere le cosediverse da come sono… così la gente lecompra… e poi è delusa, come te… forse ancheGesù Bambino, guardando la televisione, cre-deva fosse tutto vero”.In questo passaggio avviene il ritorno in sé,nella “propria pelle”, a contatto con esperienzee idee proprie. Dopo aver prestato ascolto eattenzione, in modo dedicato (e se vogliamodelicato), solo a Barbara, con questa frase tornaa essere ego-centrata, esprime qualcosa cheriguarda la sua esperienza, esprime le sue ideein merito al motivo per cui la tv si comportacosì, passa nel ruolo di “insegnante” (usando illinguaggio dell’io e del noi), cercando di adat-tare le sue parole a un livello comprensibile aBarbara: “forse anche Gesù Bambino, guar-dando la televisione, credeva fosse tutto vero”.Nelle mie attività di formazione ho insegnatoper molti anni, e lo faccio tutt’ora, le modalitàpratiche attraverso le quali agire l’ascolto attivo,ma più passano gli anni e più mi accorgo diquante persone non riescano a praticarlo, ametterlo realmente in pratica nelle loro rela-zioni, a meno che scelgano di partecipare a per-corsi formativi più lunghi, sufficienti per ope-rare un cambiamento più profondo e menomeccanico.Il motivo di questa mancata applicazionerisiede proprio nella difficoltà di “decentra-mento”, nell’incapacità di vestire panni diversidai propri, nella abitudine a essere perenne-

mente vincolati al proprio punto di vista, nellamancanza di intenzionalità in merito allo spo-starsi sulla sedia o nel posto fisico in cui staqualcun’altro. Basterebbe accendere la televi-sione e ascoltare qualche dibattito o assistere aqualche talk show per rendersi conto di quantoquesto fenomeno sia dilagante e permeato, nellanostra come in altre culture, soprattutto occi-dentali: ego-centrate.Anche molte crisi di governo si aprono in fun-zione di questa ingombrante ed eccessiva ego-centratura, di persona o di parte che sia, pocoimporta.Che senso ha, quale può essere la funzione deldecentramento? Soprattutto quali sono le moti-vazioni che spingono un genitore alla decisioneintenzionale di metterlo in atto?Il chiederselo è legittimo, considerate difficoltàe incertezze di esito. Anche il lettore potrebbedomandarsi: “Ma perché devo fare questafatica? Non è più semplice fare una bella pre-dica, magari ammonire o minacciare, o sempli-cemente obbligare, ecc.?”.Per rispondere alla domanda vale la pena ram-mentare l’obiettivo principale di questo libro:facilitare le possibilità di scelta intenzionale econsapevole di un genitore in merito al tema diregole e disciplina, non orientare la sceltasecondo quanto ritiene opportuno chi scrive.Ricordate le due parole citate nel terzo capitololegate alla finalità che un genitore persegue neiconfronti del proprio figlio: obbedienza oresponsabilità? La motivazione al cercare unapproccio da Maieuta con il proprio figlio èvincolata alla finalità che un genitore persegue.Il Maieuta ricerca la responsabilità, l’auto-nomia, la capacità del figlio di costruire scelte apartire dai suoi riferimenti, la costruzione diquesti riferimenti.A differenza del Predicatore, che vuole la defini-zione del figlio a propria immagine e somi-glianza, il Maieuta persegue la definizione dellaidentità del figlio, anche se nella differenza da sé.

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Il mediatore

I granchiettiLa spesa al supermercato in famiglia può essereun momento di piacevole condivisione o tra-sformarsi in un incubo tale da consigliarnel’uso a piccole dosi. L’incamminarsi su una delledue vie, soddisfazione o disperazione, dipendeda molti fattori.Giovanna ha 5 anni e mezzo, e in questomomento è seduta nel carrello del supermer-cato e raccoglie i prodotti che via via acqui-stiamo, mia moglie e io. Ogni tanto interviene,chiede, consiglia, indica, prende qualche pac-chetto e lo pone all’interno del cestello.A un certo punto passiamo davanti al bancodel pesce, dove sono esposte molte varietà dipescato, molto attraenti. In alcuni vassoi il con-tenuto si muove ancora e attrae l’attenzione diGiovanna.In uno di questi, molto grande, sono disposti inbella mostra una quantità accattivante di gam-beretti rosa, apparentemente freschi e poten-zialmente gustosi. Lo sguardo di Giovannaquando incontra la montagnola rosa, fatta dianimaletti con chele, occhietti e piccoleantenne color arancio, emette un desiderio inmodo fermo e deciso: “voglio i granchietti!”.Granchietti è la parola del suo vocabolario cheusa per descrivere i gamberetti.Do un’occhiata al vassoio e in particolare il miosguardo si ferma sul cartellino che riporta ilprezzo al chilogrammo: 41.000 lire.Guardo Giovanna e le rispondo: “mi spiace,costano troppo… e poi… la mamma e io non liavevamo previsti nella spesa…”.L’espressione del suo viso, che sino a un minuto

prima era sorridente e indice del momento diarmonia che regnava nel far compere insieme,inizia a trasformarsi, a dire il vero non tantolentamente. Ora le sue sopracciglia sono cor-rucciate, la bocca un po’ più stretta e arricciatain avanti, le braccia conserte e strette al petto.“Voglio i granchietti!”, ripete una secondavolta. Ma il suo tono di voce stavolta non è népieno di enfasi, né di gioia o desiderio, piut-tosto imbronciato, come il suo volto, scontroso.“Caspita Giovanna, capisco che li vorresti, maveramente è troppo alto il prezzo, non è il casodi comprarli!”.Una lacrima parte repentina dal bordo dell’oc-chio e comincia a rigare lentamente la guanciarosa. Il suo sguardo è rivolto di lato, non miguarda più in viso. Emette uno sbuffo contutto il corpo e rimane in silenzio.– Sei rimasta male…(Silenzio).– Ho capito che è un desiderio forte… ma nonpossiamo prendere tutto quello che c’è nelsupermercato…(Silenzio).– Almeno fammi capire perché li vorresti pren-dere…– Perché mi piacciono…– Li vorresti mangiare… è per questo…– No (broncio).– Quindi ti piacciono, ma non per mangiare…(Annuisce con la testa).– Allora ti piacciono per qualcosa d’altro…(Silenzio).– Cos’è che ti piace dei “granchietti”?– Hanno le zampe e le antenne rosse (si voltadall’altra parte).– Allora è per questo che ti piacciono…– Sì.– E cosa ne vorresti fare?– Li faccio camminare nell’acqua…– Ah… forse ho capito… tu vorresti giocare coni granchietti… è così?– Sì (e di nuovo la lacrima scende improvvisa).– Possiamo fare così, Giovanna. Visto che tuvorresti i granchietti per giocare e noi nonvogliamo spendere più soldi del previsto, te neposso comprare uno… per farlo camminarenell’acqua…Si volta e le lacrime sono più abbondanti, ma ilviso non è più imbronciato. Le emozioni sono

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contemporanee, le espressioni sono contempo-ranee: pianto e sorriso. E mentre si accende sulvolto la rinascita della speranza di avere quelpiccolo desiderio, mostra da dietro la schiena lamanina che ha due dita richiuse, anulare emignolo. Il segno e la richiesta sono inequivo-cabili: tre! Ciò che è trino è divino cita il pro-verbio. Ma lei non lo conosce ancora.– Vediamo se possiamo accordarci, io comprotre granchietti, tu li fai camminare nell’acqua,ci giochi un po’, poi quando sono stanchi dicamminare li dai alla mamma che li mette nelrisotto. Ok?La sua testa annuisce. Non è ancora in grado diparlare ed esprimere quanto prova in modoargomentato. Le emozioni del momento sonoancora troppo presenti in lei. Ma al tempostesso sono molto presenti anche in me. Sembrauna sciocchezza parlare di emozioni per tregamberetti, 1.430 lire, ma passare dallaminaccia di un conflitto, di una frattura, allapossibilità di conciliazione e soddisfazione reci-proca non è cosa da poco. Nessuno dei due sisente perdente, ognuno ha ottenuto ciò chedesiderava, ciò che era più importante, lei potersoddisfare la curiosità e l’interesse per queglianimaletti da far camminare nell’acqua, iopoter mantenere sotto controllo la spesa indanaro. Ma ancor di più, la nostra relazione sirinsalda e l’armonia ritorna sul pomeriggiofamiliare.

Quando mi capita di raccontare in qualchecorso di formazione questo episodio, per esem-plificare il significato della mediazione e dellapossibilità di trasformare un conflitto in occa-sione per rendere solidi i rapporti, nonostante ladiversità, ricevo normalmente una serie di dis-sensi, critiche, domande, riluttanze, distinguo,resistenze manifestate in modo il più delle volteimplicito, sotto forma di domande apparente-mente innocue o affermazioni generiche:

– Ma così imparano a ottenere sempre ciò chevogliono…– Devono imparare a rinunciare e a non cre-dere di poter disporre di tutto quando lo desi-derano…

– Ma dobbiamo sempre fare in questo modo? Èestenuante… e poi non voglio andare dietro atutti i suoi desideri…– Ma è diseducativo…!– Ma dobbiamo sempre comportarci in questomodo?

Come già detto, l’obiettivo di questo libro nonè quello di costruire dogmi o definire un ricet-tario per genitori da applicare meccanicamente,ma il fatto è che alcuni adulti tendono proprio afare questo: ci si comporta sempre così. Fannouna traduzione esasperata e colma di frainten-dimenti: se si parla di mediazione, allorabisogna mediare sempre, se si parla di coerci-zione allora bisogna sempre imporsi, se si parladi regole e sanzioni allora bisogna fare un lungoelenco di norme e sanzioni rigorose per tutte lesituazione di vita familiare. Trovata una cosa,trovata una risposta, un’idea, il modo di agire èsempre quello, a schema. Non hanno la flessibi-lità di adattarsi alla situazione, al momento, allapersona, ai cambiamenti: di scegliere.Chi intende il rigore e la fermezza in terminiideologici vede rigore dappertutto. Perché è“educativo rinunciare”.Al contrario, il rigore, la fermezza e la severità,non vengono qui trattati come un’ideologia, uncredo, scopi cui aderire con atteggiamentofideistico. In alcuni casi sono proprio unanecessità e hanno un’utilità concreta sociale ededucativa rilevante.Allo stesso modo, chi intende la collaborazionee la mediazione in termini ideologici, vede epropone mediazione e collaborazione dapper-tutto e fa giocare i bambini sempre in modocooperativo senza neanche rendersi conto se sidivertono oppure no.La collaborazione non è un’ideologia (per lomeno in questo libro), è una possibilità legatanon solo ai valori della persone ma a un’utilitàconcreta, all’unica via per affrontare le emer-genze di un determinato tessuto sociale in unben definito periodo storico come quello

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attuale, a partire dall’integrazione nella coppiacome nella famiglia.Che senso ha dunque comportarsi a “schema”,in modo rigidamente costante?Cominciamo a considerare non tanto quello cheè giusto o sbagliato credere o fare, ma quelloche è più utile, opportuno, significativo, neces-sario, adatto, realmente efficace. Dove per effi-cacia viene intesa la capacità di definire, perse-guire e raggiungere obiettivi e scopi che ci si èposti.L’efficacia di un genitore non la si può definiree ritrovare solo se pratica l’ascolto attivo, solose agisce messaggi in prima persona, solo se usaun metodo partecipativo per la soluzione deiconflitti familiari. Sembra che la conseguenzasia: “Chi non attua questi comportamenti non èefficace”.E allora, visto che secondo questo criterio iconflitti “devono” essere gestiti in termini didemocrazia e partecipazione, non è possibile oè proprio vietato parlare di regole e sanzioni.Sarebbe anche questo uno schema rigido eriduttivo: niente di tutto ciò.Il messaggio di tutti gli altri autori che si sonocimentati in questo ambito non è una “veritàrivelata”. Ognuno di noi è figlio del suo tempo,della sua storia, come lo scrivente.Sarebbe sciocco trasformare interessanti intui-zioni in un dogma, in una regola doverizzante,in un costrutto rigido.L’ascolto, l’ascolto attivo, è una cosa rilevanteper l’impatto che ha nelle relazioni (se fatto inun certo modo, come abbiamo visto non a“eco”), ma come in tutte le cose ha senso nelmomento in cui è opportuno, utile praticarlo, enella forma corrispondente al tipo di relazioneche stiamo vivendo. Come già detto, il genitorenon è lo psicologo o l’assistente sociale deipropri figli. Ogni ruolo ha una sua funzioneben definita e non a caso.Ad ogni modo, considerare un approccio mag-giormente funzionale o situazionale agli eventi

della vita, anziché dogmatico o ideologico, nonsignifica affatto perdere la propria identità, ipropri valori di riferimento, i propri ideali,come possiamo intendere da questo breveesempio.

Cioccolata, utopia e disincantoSono in una pasticceria del centro con Gio-vanna, 15 anni compiuti da poco, e stiamo pergustarci una stupenda cioccolata, senza pannaper via di dieta, colesterolo, fegato e affini.Abbiamo appena assistito a una rappresenta-zione teatrale e il discorso varia da argomentifrivoli ad altri più seri.Non so per quale motivo, ma a un certo puntonel discorso compaiono due termini apparente-mente inconciliabili che danno vita a una pic-cola disquisizione. I due termini sono: utopia edisincanto.Forse a qualcuno sembrerà strano che unaragazza di 15 anni si metta a parlare di concettinon semplicissimi, eppure lo fa con cognizione dicausa e senza sentirne apparentemente il peso.Le nostre idee sono abbastanza simili in merito,ma la cosa non è naturale come qualcunopotrebbe pensare. Pur essendo adolescente, equindi in un’età nella quale normalmente le“utopie”, le idealità, trovano terreno fertileper essere vissute profondamente e con accentidi integralismo, bianco o nero, Giovanna sirende conto che il non considerare gli aspettidi realtà, concreta e oggettiva, il non sapermediare tra ideale e reale, tra desiderio e possi-bilità, oltre a creare frustrazione e in alcuni casirabbia e rancore, porta a demotivazione esconforto.La discussione non dura tanto, non fatevi fan-tasie assurde, ma è quel tanto che basta a meper esprimere il mio pensiero e riconoscere ilcambiamento avvenuto negli anni, e per pro-vare un sentimento di stima e riconoscimentoper la sua capacità di cogliere aspetti che io allasua età neanche mi immaginavo esistessero.La cosa che emerge in modo chiaro è il fattoche anche lei sia fermamente convinta della

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necessità di una compresenza tra i due atteg-giamenti. Il mantenimento dell’utopia, delsogno, dell’idealità, della direzione di vita, e laradicazione di tutto questo nel mondo, nellecose e nei loro limiti, nelle persone e nei lorolimiti.L’utopia dell’appassionarsi a un progetto e ildisincanto che permette di ricercarne l’attua-zione mediando con energie, risorse, successi efallimenti.L’utopia del mantenere sogni, fantasie, creati-vità e speranza, e il disincanto del sapere che iprincipi azzurri sono personaggi delle favole.L’utopia nel mantenere l’obiettivo di vivere inuna famiglia partecipata, nel rispetto delle esi-genze di tutti, nella quale i conflitti nonvedono perdenti, e il disincanto del considerareche ciò non può essere, o non può esseresempre.L’utopia dell’agire in termini educativi in ogniambito sociale (famiglia, scuola, lavoro), delperseguire la ricerca di consapevolezza, scelta einteriorizzazione dei valori, e il disincanto dellanecessità di regole, sanzioni e di una loro rigo-rosa applicazione in molti casi e ambiti.L’utopia del vivere in un mondo senza porteblindate e serrature e il disincanto della pre-senza e della difesa da ladri e saccheggiatori.L’utopia della ricerca di giustizia e il disincantodato dalla coscienza dell’iniquità come espres-sione della nostra natura umana.L’utopia del credere che “l’abito fa il monaco”e dare fiducia, e il disincanto del considerareche le persone sono appunto “persone”, esseriumani in ogni contesto.Il breve dialogo rimane impresso nella miamemoria affettiva come condivisione e comu-nanza, non semplice da ritrovare, soprattuttoin quella età.

Un fatto di mediazione dunque, tra utopia edisincanto in questo caso. Lo stesso argomento,la mediazione, che viene rappresentata inquesto capitolo in tema di regole.Certamente sarebbe stupendo se in una casaognuno potesse dar libero sfogo a passioni, esi-genze, attività, così come il cuore richiede omotiva, ma a volte i soffitti delle abitazioni nonhanno liane appese, i divani possono contenere

quattro persone anziché cinque, le televisioninon si moltiplicano come i famosi “pani epesci”, le tavole non si apparecchiano e sparec-chiano magicamente come nei cartoni animatidella Disney, la struttura sociale nella qualesiamo inseriti richiede soldi in cambio di pane elavoro in cambio di soldi. Certamente la fami-glia, come gruppo sociale, è quello in cui l’areadi discrezione potrebbe essere la più ampiapossibile, riducendo ai minimi termini quella diprescrizione, con obblighi e sanzioni, ma tuttoquesto idealmente, in teoria.Utopia e disincanto?Compresenza e mediazione dunque!

Area di discrezione:regole da accordiProseguendo sul nostro tema, tutto ciò cheverrà scritto in questo capitolo, come già antici-pato, è riferito a una particolare tipologia diregole, quelle riferite all’area di discrezione.Stiamo dunque per cambiare in modo nonindifferente la prospettiva attraverso la qualeriflettere. La Figura 6, che ripropone quella giàincontrata, mette in primo piano la parte destradello schema, quella riferita alla costruzione diaccordi, alla decisione di regole comuni con ilcontributo creativo di alcuni o di tutti i compo-nenti della famiglia.Nel caso dei “granchietti”, la situazione trattavadi un possibile conflitto, ma anche in tema diregole vale lo stesso discorso.Ricordate l’esempio fatto in quella famiglianella quale alla ripresa dell’anno scolastico edelle attività correlate, la madre aveva deciso diaffrontare la questione in modo collaborativocon le due figlie, il nonno e il marito?

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edizioni la meridianap a r t e n z e

Regole, disciplina e responsabilità

Euro 16,50 (I.i.)

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti ISBN 978-88-6153-055-3

I genitori non hanno più potere come una volta. Anzi, il potere sembra essersiribaltato nelle mani dei figli: sono loro che decidono quando, come e cosa.La famiglia oggi, infatti, viene definitiva “affettiva” e non più “normativa”.Ed è per questa ragione che, in un contesto mutato, riemerge il bisogno distabilire come nascono e si condividono le regole. Certo, perché senza regolenon c’è convivenza.Dalla famiglia alla scuola, a tutti gli ambiti sociali sino alle istituzionipubbliche, la condivisione delle regole costituisce un mezzo necessario perorganizzare efficacemente la convivenza.E se è vero che buone regole non possono essere imposte, altrettanto vero èche è troppo semplicistico ridurre tutto all’ascolto dei figli. L’ascolto è unadelle competenze comunicative e relazionali che un genitore può mettere inatto nel rapporto con i propri figli, ma non è l’unica e forse neppure la piùrilevante in questo territorio di regole e disciplina.Questo volume prende per mano i genitori che vogliono riscoprirel’importanza educativa delle regole per la crescita dei loro figli. Come unaguida introduce al territorio vasto delle regole, descrivendo atteggiamenti,stili e scelte che possono aiutare o al contrario ostacolare la condivisioneefficace della regolazione della vita in una famiglia. La condivisione attivadelle regole è il miglior contributo, infatti, per educare ad una democraziaresponsabile, consapevole, effettiva.

Roberto Gilardi è stato docente universitario presso la Facoltà di Scienzedella Formazione dell’Università di Trieste ed è�Direttore della FormazioneI.M.R. (Italian Medical Research). �Formatore Gordon per anni ha fondatoKaloi Centro di Formazione, Consulenza e Coaching, gruppo di professionistiche opera nello specifico nell’area Socio-Educativa, Socio-Sanitaria eOrganizzativa, sia nel settore pubblico che in quello privato.

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