Generazioni, età della vita: età della vita: quali “ereditàquali … Benedetta Rigotti,...

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Generazioni, Generazioni, età della vita: età della vita:

quali “ereditàquali “eredità??””

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Agli associatidi GenerazionePiùe a tutti i lettori

Un ringraziamento particolare agli autori dei contributi presenti in questo Opuscolo

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Collana “Vademecum dell’anziano ticinese”Edizioni GenerazionePiù - Anziani OCST

A.D. 2014

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Vademecum2014

GenerazionePiù - Anziani OCST

Generazioni, età della vita:

quali “eredità?”

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Indice

Generazioni, fasi della vita, una nuova pag. 7“cultura del dono” Maria Luisa Delcòvicepresidente GenerazionePiù

La pienezza del dono pag. 17Giacomo Falconi , Presidente cantonale

“Ogni generazione riceve, concorre a plasmare pag. 21e consegna a chi le succede la società nella quale vive”Meinrado Robbiani, segretario OCST

Generazioni e “doni” pag. 25Paolo BeltraminelliDirettore del Dipartimento della sanità e della socialità

“Credo che la cultura del dono evolva pag. 29con la società medesima”Marco Romano, consigliere nazionale PPD/TI

“Ho sempre considerato il donare come pag. 35il semplice risultato del buon agire”Fabrizio Greco, Direttore Casa dei Ciechi, Lugano

Società consumistica e “cultura del dono” pag. 41Don Gianfranco Feliciani, arciprete di Chiasso

“Maturità significa prendere delle decisioni” pag. 45Benedetta Rigotti, responsabile de Il lavoro

"La dimensione del dono, diventata una vera e propria pag. 51cultura nel corso dei secoli, non ha sicuramente nulla da temere dalle future generazioni”Georgia Ertz, Studentessa al Master in Corporate Communication all’Università della Svizzera italiana (USI)

Segantini, L’angelo della vita

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Generazioni, fasi dellavita, una nuova “cultura del dono”Il Vademecum 2014 dovrebbe formare

una trilogia con le due precedenti pub-

blicazioni ; dall’ importanza di una società

per tutte le età (2012) all’ essere anziano

all’interno della società di oggi (2013).

Quali i punti focali che potrebbero met-

tere in relazione la “trilogia”?

Tentiamo di proporre o riprenderne alcuni

partendo dal concetto di generazione,

termine ora tanto usato e forse, appunto

per quello, oggetto di diverse interpreta-

zioni.

In questo ambito ci riferiamo ad alcuni

autori per questo concetto sempre più

centrale per la comprensione della so-

cietà contemporanea.

Maria Luisa Delcòvicepresidente GenerazionePiù

Giotto, La predica agli uccelli

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Da un lato disuguaglianze economiche, sociali, tecno-

logiche ecc., dall’altro un “dover essere” uguali in una

società “piatta e globale”.

Questo contrasto dovrebbe però fungere da stimolo e

risorsa per rafforzare la nostra identità e per non rinun-

ciare ad un ruolo di “attore” e non solo di spettatore

nel mondo in cui viviamo.

Cosa intendiamo per generazione?

Vediamo il termine sotto tre angolature: quella biolo-

gica, quella sociale, quella storico-culturale.

Generazione in senso biologico, come distanza tem-

porale tra genitori e figli (quindi si pensa a 3 o 4 gene-

razioni per secolo).

Generazione come insieme di coetanei che condivi-

dono determinate esperienze storiche (il periodo di

condivisione si riduce a 15 anni). “Tale arco di tempo

costituisce però una generalizzazione indebita, perché

l’intervallo culturale tra le varie generazioni dipende

dalla lentezza o dall’accelerazione del corso storico in

cui esse si situano e dalla densità degli eventi significa-

tivi al suo interno” ( op. cit.pag.48)

Generazione all’ interno di una specifica cultura: l’ in-

sieme dei coetanei vive sì nello stesso tempo cronolo-

gico, ma non nello stesso tempo storico-culturale” ; ad

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es. un cittadino 75.enne di una metropoli europea ed

un coetaneo delle tribù delle Amazzoni (op.cit.pag.53)

Generazioni e fasi della vita

Fino al secolo scorso le fasi tradizionali della vita erano

tre: giovinezza – maturità – vecchiaia: metaforica-

mente “ ascesa – zenit – declino “ (op.cit.pag.6)

Poi si è “scoperta” l’ infanzia, grazie agli studi in campo

psicologico, forse ora la si è perduta; poi è giunto il mo-

mento dell’adolescenza ed ora ha preso un soprav-

vento la fase dell’anzianità, sia per ragioni

demografiche e per l’ allungamento della vita, sia per-

ché forse la fase della maturità si è molto ristretta.

“In termini cronologici, l’allungamento degli “estremi”,

sia nel caso della giovinezza che in quello della vec-

chiaia, restringe l’area di influenza della maturità. I gio-

vani e i vecchi, i figli e i nonni guadagnano così

maggior spazio e importanza, reale e simbolica, ri-

spetto ai padri, e più in generale, alle persone mature

di “mezza età”(op.cit. pag.35 )

E allora può sorgere qualche interrogativo sulla matu-

rità: quando inizia e quando finisce? Cosa significa es-

sere “maturi per…”? E perché un interesse per la

“riscoperta” delle fasi della vita?

Per capire meglio i vari momenti dei contesti di vita,

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delle ampie reti familiari, o per la preoccupazione di

affrontare le problematiche suscitate/e che susciterà

il pianeta anziani soprattutto dal 2020 in poi?

Generazione e identità per l’ over 65

Forse oggi la terza o quarta età può essere parago-

nata all’ adolescenza come momento della vita in cui

si ricerca un’ identità attraverso conflitti, crisi, mancanza

di certezze. Tutto questo ovviamente se ci sentiamo at-

tori in un mondo spesso incomprensibile, ma in cui dob-

biamo vivere con il pensiero, gli affetti, i legami sociali e

non da ultimo il linguaggio.

A proposito di uso del linguaggio, dobbiamo puntare

sulla comunicazione in senso ampio, non dimenti-

cando il ruolo forte dei media che – nel bene e nel

male – possono essere un forte veicolo nel creare un`

identità, sfruttando usi e pratiche da portare come

“esempi” spesso solo provocatori e non fonte di ap-

prezzamento per la persona nelle sue fasi della vita (l’

adolescente che “sballa” nelle ore notturne, il giovane

che uccide per eccesso di gelosia o di “potere” sul-

l’altro, l’ anziano che prende in contromano l’auto-

strada e provoca un incidente serio, il cercatore di

funghi che si avventura con la nebbia sui monti, senza

un cellulare ecc.).

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Negli anni sessanta Natalia Ginzburg (1916 – 1991), fi-

gura di spicco del novecento italiano, scrisse il romanzo

“Lessico familiare” (1963): ora si dovrebbe pubblicare

un “Lessico generazionale”(e non solo multiculturale).

Un interrogativo attuale e forse non ancora approfon-

dito: usi e pratiche della comunicazione e della lingua

in particolare, possono partecipare alla costruzione di

un’identità generazionale?

Un esempio è quello del “nativo digitale” che insegna

al “giovane anziano”- che potrebbe essere il nonno o

uno zio- come appropriarsi di una minima tecnologia

o come sta imparando una lingua con un approccio

comunicativo e non grammaticale o come si affronta

la precedenza in una doppia rotonda ecc.

E così è il giovane che insegna all’anziano e non vice-

versa, rompendo uno schema forte della tradizione

fino ad un decennio fa.

Come reagire o comportarsi di fronte a questa altra

faccia della medaglia?

Rimaniamo fissi sul tempo passato, manteniamo …in-

tatto il nostro modo di pensare o diciamo al ragazzino

“cresci e poi vedrai”? gli esempi sono parecchi.

Cerchiamo di costruire un’ identità generazionale che

si oppone al cambiamento per un verso, per un altro

andiamo verso una identità che non rinuncia ai cam-

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biamenti a seconda delle molteplici esperienze e forti

accelerazioni che la quotidianità ci offre o ci impone?

E allora cosa resta del “senso da dare alla vita dell’an-

ziano”?

Una nuova forma della “cultura del dono”

Una donna di riflessione mi ha posto la domanda:

“Questa dimensione del dono fa ancora parte della

nostra cultura? E le nuove generazioni riusciranno a

comprenderne il significato?”

Una chiarezza può essere fatta parlando di nuova

forma di cultura, ovviamente tralasciando il dono te-

stamentario, ma pensando a “rendere quanto ab-

biamo ricevuto” alle generazioni successive.

Già nel 1793 il poeta tedesco Hoelderlin così si espri-

meva: “Il più sacro scopo dei miei desideri e della mia

attività è quello di suscitare nella nostra epoca i ger-

mogli che matureranno in futuro” (op.cit.pag.93)

“…ci sarebbe bisogno di una giustizia redistributiva allar-

gata, che renda a tutti, materialmente o simbolicamente,

parte di quanto ciascuno ha di volta in volta ricevuto o

preso da altri (persone reali come genitori, maestri e

amici, oppure personaggi ecc.)” (op.cit. pag.96)

L’autore di riferimento per queste riflessioni iniziali del

Vademecum 2014 parla di restituzione tra le genera-

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zioni, dando così continuità a chi condivide il passato,

chi comprende il presente, chi si proietta nel futuro.

Mi piace riportare ancora un passaggio a proposito

del “dono”. Ricordando la raffigurazione del grande

Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520) delle Gra-

zie,”tre giovani fanciulle che danzano in tondo tenen-

dosi per mano, rappresentano il beneficio (il dare, il

ricevere, il restituire) che, passando di mano in mano, ri-

torna accresciuto a chi lo ha inizialmente concesso.”

(op.cit.pag.90)

Non parliamo di quanto può “donare” Dante, Santa

Caterina da Siena, Leonardo da Vinci, Mozart, Picasso,

o più di recente Rita Levi Montalcini, ma pensiamo a

certi valori in cui crediamo: l’onestà nella vita quoti-

diana, il coraggio e la forza di carattere nell’ affrontare

le avversità, la costanza negli affetti, il portare pace nei

contesti dove operiamo, combattere per la libertà di

pensiero, non dimenticando la speranza. Per chiudere

queste righe di riflessione-stimolo, riporto la frase finale

del testo del filosofo Bodei e un passaggio del testo del

fondatore e priore della Comunità monastica di Bose.

“…ciascuno di noi lascia il mondo in condizioni diverse

da come lo ha trovato e da come, secondo le sue ca-

pacità, avrebbe potuto cambiarlo in meglio”

(op.cit.pag.97)

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(Enzo Bianchi) “….la vera domanda che dovrei farmi è

….: ho lasciato questo mondo di persone e di cose un

po`più bello? Ho vissuto dando fiducia e speranza?

Come uomo e come cristiano, infatti, devo sentire che

tutto si misura sulla responsabilità avuta, accolta, vis-

suta. Ha ragione la tradizione cristiana: ciò che decide

una vita è la fede, la speranza e l’amore” (EB,pag.101)

Riferimenti bibliografici

Remo Bodei, Generazioni (età della vita, età delle cose),Laterza editori, aprile 2014

Enzo Bianchi, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi, giugno 2014

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Abbiamo chiesto ad alcune persone

del nostro cantone, uomini, donne,

con ruoli ed età diverse di rispondere-commentare

quattro quesiti-riflessione.

Concorda con le “definizioni” di generazione?

Aggiunga considerazioni o critiche

o esemplificazioni, come crede.

Come si pone in rapporto alle fasi della vita

ed alla “scomparsa” in parte della maturità?

A proposito di identità rigida/poco flessibile

o di identità in cambiamento,

li vede come un pericolo o come un`opportunità?

In merito alla “cultura del dono”

per le future generazioni, è scettico o la condivide

in parte? Può portare altri esempi di “doni”?

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La pienezza del donoAnno 2012: L’intergenerazionalità. La fa-

scia di vita dell’anziano in evoluzione e

cambiamento del rapporto tra genera-

zioni.

Anno 2013: …croce e delizia. L’anziano

capace di adeguarsi alla nuove situa-

zioni.

Anno 2014: “Dovrebbe formare una trilo-

gia”, così l’intenzione dell’ideatrice. Una

sorta di chiusura del cerchio, con lo

scopo di approfondire e cercare di chia-

rire i mutamenti avvenuti. Con l’obiettivo

di come interpretare la situazione di vita

della società contemporanea, in parti-

colare della fascia dell’anziano.

A questa analisi viene aggiunta una

Giacomo FalconiPresidente cantonale

Il contenuto del Vademecum2914 vuole essere la continuazionedei temi trattatinelle due edizioni precedenti

17Botticelli, particolare della Primavera

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componente indissolubile del comportamento

umano: la cultura del dono.

La persona umana attinge dalla società (tanto il

bene quanto il male), elabora, sviluppa, inventa e ri-

versa il risultato nella stessa società. È un processo au-

tomatico, che si sprigiona dal comportamento di

ogni persona, nessuno può sottrarsi, perché innato

nella natura umana.

Per l’anziano (esperto di vita) questa caratteristica si evi-

denzia particolarmente nel rendere quanto accumu-

lato, ossia nel trasmettere l’esperienza di vita. Ecco

perché l’anziano non deve isolarsi, ma essere attivo, per

arricchire maggiormente la cultura del dono.

La trilogia dei Vademecum mette in evidenza che in

una società che evolve e dove l’anziano pure evolve,

dimostrando notevoli dote di adeguamento, esiste nella

persona qualche cosa che non cambia. È la compo-

nente che trascende l’ordine naturale, è il complesso

delle facoltà intellettive che ci richiamano ai valori di

vita di cui è parte integrante la “cultura del dono”.

Rileviamo perciò con piacere che gli obiettivi di Ge-

nerazionePiù trovano riscontro in questa realtà. Nel

contesto sociale che cambia, vogliamo “dare senso

al tempo” e ai valori originali che non mutano, diamo

“testimonianza”.

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Ringrazio l’ideatrice prof. Maria Luisa Delcò, per que-

sta sua iniziativa di scavare in profondità, di ripercor-

rere l’evoluzione della società, riproponendo le

opinioni di personalità di cultura e chiedendo il pa-

rere di altre.

Ella ci presenta magistralmente la “cultura del dono”

raffigurata nell’opera di Raffaello Sanzio “le Grazie”.

Le tre giovani fanciulle che rappresentano il benefi-

cio. Un ciclo chiuso di continuità, una sorta di moto

perpetuo, oserei dire una creazione continua.

Qui trova conferma il fatto accertato e vissuto da tutti

coloro che hanno fatto della “cultura del dono” una

componente essenziale di vita. Non è nel “ricevere”,

ma nel “dare” che si percepisce la vera gioia, la sod-

disfazione dell’agire, la consapevolezza del bene. Nel

dare si compie la pienezza del dono, così come

c’insegnano i principi cristiani.

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Meinrado Robbianisegretario cantonale OCST

Concorda con le “definizioni” di genera-

zione?

Senza ambizioni di rigore concettuale,

tendo a considerare la generazione

come l’insieme delle persone che, ap-

partenendo alla stessa fascia di età e ter-

ritorio, condivide un identico contesto

storico e culturale con il quale interagisce

lungo le diverse tappe del suo cammino.

Sono però soprattutto propenso a guar-

dare alla realtà generazionale dall’ango-

lazione della responsabilità. Ogni

generazione riceve, concorre a plasmare

e consegna a chi le succede la società

nella quale vive. Nel ricevere è interpel-

lata sul valore della memoria e sul senti-

“Ogni generazione riceve, concorre a plasmare e consegna achi le succede la societànella quale vive”

Giotto,Francesco dona il suo mantello a un cavaliere povero

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mento di essere debitrice verso chi l’ha preceduta.

Nelle fasi centrali della vita, la generazione è nella con-

dizione di potere incidere in modo particolarmente

profondo sulla configurazione e l’organizzazione della

collettività intera. Nelle fasi finali del suo percorso, ha il

privilegio di potersi interrogare sul cammino effettuato

e discernere ciò che è autenticamente utile al bene

comune così da additarlo alle generazioni che sono in

una tappa antecedente. Ogni generazione ha perciò

la responsabilità di mantenere vivo l’asse della memo-

ria e di operare nell’oggi ponendosi obiettivi di svi-

luppo che disegnino un futuro più accogliente per i

singoli e per la collettività.

Come si pone in rapporto alle fasi della vita e alla

scomparsa in parte della maturità?

Mi sembra di potere costatare una certa moltiplica-

zione delle fasi della vita. Rispetto alle tre fasi tradizionali

(giovinezza, maturità, vecchiaia) si è in presenza di un

numero maggiore di segmenti, ma non solo. La loro

ampiezza può variare anche sensibilmente e i pas-

saggi dall’uno all’altro sono sovente sfuocati, con par-

ziali compenetrazioni (basti considerare il passaggio

dalla formazione professionale al lavoro, che è diven-

tato un percorso sovente prolungato e intermittente).

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Un aspetto che può essere evidenziato è quello del-

l’insicurezza. Le fasi della vita dove si è maggiormente

implicati nella creazione di ricchezza e che sono ge-

neralmente considerate come l’età della maturità

(vita lavorativa) coincidono quasi paradossalmente

con quelle dove sono maggiori i tentacoli dell’insicu-

rezza. Durante la vita lavorativa, il periodo nel quale

prevale una situazione di sicurezza si è perdippiù con-

tratto. L’entrata nel mercato del lavoro si fa sempre più

prolungata e incerta; anche la fase finale è esposta a

pericoli di esclusione durevole. Se in passato la fase

della maturità era associata a quella del lavoro, oggi

questa sovrapposizione è più labile.

A proposito di identità rigida o di identità in cambia-

mento; le vede come un pericolo o come un’opportu-

nità?

Il cambiamento è ormai una costante con la quale

occorre fare i conti. Si tratta perciò di farne un’occa-

sione di crescita. Per farlo sono indispensabili due con-

dizioni. In primo luogo, che non ci si ponga in una

posizione di chiusura a riccio, rifiutando a priori ogni tra-

sformazione per timore di esserne destabilizzati. In tal

caso si corre il pericolo di esserne travolti. Occorre in

secondo luogo disporre di punti di riferimento solidi che

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consentano di orientare il cambiamento. Necessitano

cioè valori radicati e di una identità che, da essi ali-

mentata, sappia mantenere il più possibile le redini del

cambiamento.

In merito alla cultura del dono per le future genera-

zioni; è scettico o la condivide in parte?

In un contesto che esalta la produttività materiale e

che tende a monetizzare tutto, la cultura del dono

tende ad essere emarginata. E’ tuttavia costitutiva del-

l’essere umano (basti considerare il rapporto tra geni-

tori e figli); come tale non si può concepire una vita

collettiva che non ne sia impregnata. Occorre ricor-

dare che siamo tutti ampiamente debitori: verso chi ci

ha preceduto, verso la creazione e l’Assoluto; verso chi

costruisce con noi il benessere della comunità.

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Paolo BeltraminelliConsigliere di StatoDirettore del Dipartimento della sanità e della socialità

Concorda con le “definizioni” di genera-

zione?

Aggiunga considerazioni o critiche o

esemplificazioni, come crede.

La mia definizione preferita di genera-

zione è quella tradizionale, dove nonni,

genitori e figli/nipoti sono riuniti dalla ge-

nealogia. La preferisco alle altre perché

mi accosta sia ai miei genitori sia alle mie

figlie, in un dialogo costante nel quale le

rispettive esperienze di vita assumono

connotati diversi a seconda dell’età. Sim-

patico ad esempio il confronto che ho re-

golarmente con le mie figlie riguardo il

modo dissimile di vedere anche gli aspetti

più normali della quotidianità.

Generazioni e “doni”Le giovani generazionihanno la “cultura deldono” nella misura in cuinoi adulti o anziani siamoin grado di trasmettergliela

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A differenza del passato il contrasto tra giovani e an-

ziani oggi si pone non tanto sul piano della cultura e

dei modi di vivere quanto su quello economico e so-

ciale. L’ottenimento di un lavoro è la preoccupazione

numero uno dei ticinesi, e le giovani generazioni più

delle precedenti sono confrontate con il precariato,

l’instabilità sociale, che ne ritarda nei giovani la forma-

zione di una famiglia propria. Tutti aspetti, a volte ne-

gativi, che la mia generazione non ha conosciuto,

almeno non nell’età giovanile, e che mi fa guardare

con rispetto alle giovani generazioni.

Come si pone in rapporto alle fasi della vita ed alla

“scomparsa” in parte della maturità?

Siccome quella della maturità è la fase di vita cui

penso e spero di appartenere sono sorpreso di leggere

che è proprio questa fase a restringersi. Essere “maturi”

non è solo una questione di età, ma di atteggiamento

alla vita.

Vi sono giovani che hanno perso la voglia di vivere a

vent’anni e vecchi che ritengono di essere ancora gio-

vani a 80 anni.

Quindi non ho mai avuto l’impressione che la maturità

sia una fase di vita rimasta schiacciata dalla giovinezza

e dalla vecchiaia. Assistiamo a uno stravolgimento tra

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generazioni: i giovani sono a volte maturi prima, men-

tre i vecchi invecchiano più tardi. Oggi a 65 anni si è

ancora pieni di vita, e si pensa alla vecchiaia come al

futuro…

A proposito di identità rigida/poco flessibile o di iden-

tità in cambiamento, li vede come un pericolo o come

un’opportunità?

Più che alla domanda “chi sei tu” preferisco il “dove sei

tu?”.

Mi sembra che da qualche tempo prevalga nell’iden-

tità l’appartenenza territoriale, a una regione, un can-

tone e una nazione. Mai come quest’anno ho visto

bandiere svizzere spuntare in ogni angolo del Cantone

in occasione della Festa nazionale del Primo di agosto.

Come per affermare che la nostra identità non passa

più attraverso l’età, il ceto sociale, la formazione, il ba-

gaglio culturale, bensì dal luogo di appartenenza.

In merito alla “cultura del dono” per le future genera-

zioni, è scettico o la condivide in parte? Può portare

altri esempi di “doni”?

Le giovani generazioni hanno la “cultura del dono”

nella misura in cui noi adulti o anziani siamo in grado di

trasmettergliela. La vecchiaia è scritta, con sempre

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maggiore probabilità, nel futuro di ciascuno di noi. Gli

anziani sono ciò che saremo. Una delle motivazioni più

ragionevoli per non emarginarli è imparare fin da gio-

vani a conoscere la vecchiaia con semplicità e senza

spavento. Gli anziani possono testimoniare a chi è più

giovane che si può essere felici sempre, in ogni sta-

gione e condizione della vita, e rappresentano una

speranza e risorsa per tutti. I giovani possono dal canto

loro donare all’anziano quella voglia di vivere che la

fatica degli anni spesso spegne, magari prima del

tempo.

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“Credo che la cultura del dono evolva con lasocietà medesima”Concorda con le “definizioni” di genera-

zione?

Aggiunga considerazioni o critiche o

esemplificazioni, come crede.

Le definizioni presentate sono interessanti

e mostrano la necessità di approcciarsi

alla tematica in maniera pluridisciplinare

(biologia, storia, cultura). Si tratta tuttavia

di definizioni statiche e chiuse. Personal-

mente – pensando alla “questione gene-

razionale” – preferisco definirla in maniera

fluida. Non potendo determinare in senso

definitivo degli insiemi chiusi e unitari, pre-

diligo un approccio che evidenzi per sin-

gola tematica gli aspetti intra – e

intergenerazionali. L’evoluzione della so-

Marco Romanoconsigliere nazionale PPD/TI

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cietà e il crescente allungamento della speranza di

vita creano molteplici sfide. Pensando all’attività poli-

tica, non si può, come fanno troppi, ridurre la proble-

matica alle questioni pensionistiche (sempre più

pensionati e sempre meno lavoratori). Nei prossimi anni

la politica ad ogni livello – dal Comune, ai Cantoni, fino

alla Confederazione – dovrà confrontarsi con nume-

rose altre problematiche e distorsioni. Penso quale

esempio alla situazione dell’alloggio sia per le neo fa-

miglie senza grandi disponibilità finanziarie sia per la

terza (o quarta?) età che ha esigenze particolari spe-

cifiche. Entrambe le generazione citate faticano a tro-

vare alloggi consoni e a prezzi adeguati nei centri

urbani. Una medesima problematica, coinvolge gene-

razioni lontane, direi opposte.

Come si pone in rapporto alle fasi della vita ed alla

“scomparsa” in parte della maturità?

La mia giovane età impone prudenza nel parlare di

maturità.

Guardando alla storia recente e auspicando il meglio

per il futuro, non posso che desiderare una presa di co-

scienza generale volta ad attribuire a ogni genera-

zione una propria maturità specifica e particolare.

Cosciente che si tratta piuttosto di una questione per-

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sonale, mi piace pensare a una società “a vari stadi di

maturità”. Con riferimento al testo presentato sorge in

me una preoccupazione.

Con l’accentuarsi dell’invecchiamento della popola-

zione e con il drammatico calo della natalità, ci trove-

remo a medio termine con una piramide demografica

totalmente distorta, anzi invertita. Si tratterà di una sfida

epocale, nella quale la generazione di mezzo, quella

“matura e attiva”, si troverà schiacciata tra due poli in

potenziale conflitto. Tanti anziani e pochissimi giovani.

Sarà allora necessaria una grande sensibilità per evi-

tare scompensi e per risolvere le singole problematiche

sociali.

A proposito di identità rigida/poco flessibile o di iden-

tità in cambiamento, li vede come un pericolo o come

un`opportunità?

Ogni cambiamento è un’opportunità se si conosce la

situazione di partenza e si riesce a gestire la novità.

Pensando alle sfide generazionali che ci attendono,

spero che le singole generazioni sappiano conservare

la propria identità mettendola costruttivamente in

gioco alla ricerca di soluzioni positive e solidali. Identità

e tradizione non escludono innovazione e cambia-

mento.

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In merito alla “cultura del dono” per le future genera-

zioni, è scettico o la condivide in parte? Può portare

altri esempi di “doni”?

Condivido in parte e credo che la cultura del dono

evolva con la società medesima. Numerosi equilibri nella

nostra società dipendono dalla solidarietà tra le gene-

razioni e all’interno delle generazioni medesime. Sono fi-

ducioso e spero che le varie generazioni si appoggino

vicendevolmente. Gli esempi positivi non mancano. Ai

giovani di oggi tocca mantenere e prolungare, almeno

quanto lo hanno fatto le generazioni recenti, il generale

benessere economico che contraddistingue il nostro

Paese. Per conservare e crescere, occorre tuttavia sem-

pre conoscere. Ma penso anche all’importantissima

dialettica intergenerazionale in numerosi ambiti di vita

quotidiana. Sia nella quotidianità professionale sia nel-

l’impegno civico e associativo, così come nella ristretta

cerchia famigliare, si sviluppano rapporti intergenera-

zionali che garantiscono qualità e possibilità di sviluppo.

L’unione di esperienze, di livelli di maturità e di attitudini

al lavoro genera un potenziale eccezionale, un reale

valore aggiunto. Non si tratta solo di questioni pratiche,

ma in senso esteso anche di valori di riferimento. Non

approfittare di questo enorme potenziale rappresenta

una perdita per l’intera società.

Segantini, Mezzogiorno sulle Alpi

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Fabrizio GrecoDirettore Casa dei Ciechi, Lugano

Quando mi è stato chiesto di esprimermi

su questi temi, ho subito aderito con pia-

cere. Ho 53 anni e da 16 dirigo La Casa

dei Ciechi di Lugano e quindi sono con-

frontato personalmente e professional-

mente con queste tematiche.

Quasi subito mi sono reso conto che il

tema era più complesso di quanto imma-

ginassi: l’ avvento così importante delle

nuove tecnologie di comunicazioni ( blog,

facebook, twitter ecc.) ridefinisce e relati-

vizza il concetto di età e, di conseguenza,

il concetto di generazione.

Se interagisco su un social network che

importanza ha la mia età? Inoltre posso

anche creare un mio Avatar.

“Ho sempre consideratoil donare come il semplice risultato del buon agire”

Segantini, La Natura (dal trittico)

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Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

L'avatar è un'immagine scelta per rappresentare la

propria utenza in comunità virtuali, luoghi di aggrega-

zione, discussione, o di gioco on-line.

La parola, che è in lingua sanscrita, è originaria della

tradizione induista, nella quale ha il significato di in-

carnazione, di assunzione di un corpo fisico da parte

di un dio (Avatar: "Colui che discende"): per traslazione

metaforica; nel gergo di internet, si intende che una

persona reale, che scelga di mostrarsi agli altri, lo fac-

cia attraverso una propria rappresentazione, un'incar-

nazione: un avatar appunto.

Tale immagine, che può variare per tema e per gran-

dezza (di solito stabilite preventivamente dai regola-

menti delle comunità virtuali), può raffigurare un

personaggio di fantasia (ad es.: un cartone animato,

un fumetto), della realtà (ad es.: il proprio cantante o

attore preferito, oppure anche la propria immagine), o

riferimenti a temi più vari, come vignette comiche,

testi, e altro.

Il luogo di maggiore utilizzo degli avatar sono i forum, i

programmi di instant messaging e i giochi di ruolo on-

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line, dove è d'uso crearsi un alter ego. Alcuni siti invi-

tano a dotarsi di un avatar ispirato a un certo tema

per renderne uniforme l'utilizzo in modo da migliorare

il senso di appartenenza alla comunità virtuale.

Credo che non sia casuale che venga scomodata la

tradizione induista e una lingua così antica come il san-

scrito: da sempre l’uomo riflette sulle varie forme d’ in-

carnazione.

L’individuo sogna e deve sognare per crearsi un

mondo dentro il quale si senta partecipe e integrato.

Se, da un lato, queste nuove opportunità spaventano,

offrono però chances incredibili che permettono al-

l’uomo di sentirsi, addirittura, libero.

Generazioni, fasi della vita, identità sono termini che si

rifanno a una struttura che oramai non rappresenta più

il presente e tanto meno il futuro.

La salute è la capacità di adattarsi al mutare delle si-

tuazioni e questo genera benessere psicofisico. Il fatto

che una volta si andava all’osteria o in piazza, mentre

adesso ci si incontra tramite internet non deve portarci

a chiederci se la realtà odierna sia meglio o peggio;

dobbiamo solo constatare il cambiamento e gestirlo.

Sono le attitudini e i comportamenti che ci qualificano,

non l’anagrafe, parafrasando il bellissimo film Forrest

Gump: “ anziano è chi l’anziano fa”; questo vale a

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tutte le età. Cerchiamo di restare connessi con il

mondo che ci circonda, indipendentemente dal fatto

che ci piaccia o no, e forse - e dico forse - ci piacerà

pure.

Per quanto riguarda la questione del dono, personal-

mente non mi sono mai posto il problema, perché per

donare bisogna avere e quindi questo pone già un que-

sito di non facile risoluzione: cos’ho veramente? Ed è ve-

ramente mio? Mi riferisco a tempo, soldi, oggetti ecc.

Ho sempre considerato il donare come il semplice ri-

sultato del buon agire, un effetto collaterale. Quando

m’impegno nell` attuare qualunque tipo di azione e

cerco di farlo in modo etico ed estetico, il risultato sarà

sicuramente qualcosa di positivo, che influenzerà chi

mi circonda, che coinvolgerà altre persone; si ritorna

al primo tema trattato: siamo tutti connessi e interdi-

pendenti. Credo nel dono casuale che si manifesta se

lo riconosco come tale.

In sintesi: se vogliamo cogliere la bellezza della vita,

dobbiamo essere delle membrane permeabili che, tra-

mite osmosi, interagiscono con il mondo circostante, al

fine di ritrovare l’equilibrio. Per quanto difficile, credo sia

questa la ricetta per la felicità, indipendentemente

dagli anni.

Segantini, La Vita (dal trittico)

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Don Gianfranco Felicianiarciprete di Chiasso

Concorda con le “definizioni” di genera-

zione?...

Senza dubbio è ancora possibile ricono-

scere nel termine “generazione” le tre pro-

spettive classiche: biologica, sociale e

storico-culturale. Tuttavia l’attuale e inar-

restabile fenomeno della “globalizza-

zione” ha parecchio sfumato queste

differenziazioni. Il rischio è quello di una

“massificazione” spersonalizzante in

chiave materialistica, ma la globalizza-

zione può anche significare, ed è su que-

sto che bisogna puntare, una grande

“chance”. Concepita come coscienza

della fondamentale unità del genere

umano, nel riconoscimento e nel rispetto

“Una società consumistica non favorisce certo la culturadel dono”

Segantini, La Morte (dal Trittico)

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delle legittime diversità, può rappresentare il supera-

mento di tutto ciò che divide e condurre l’umanità ad

una convivenza più pacifica e fraterna.

Come si pone in rapporto alle fasi della vita e alla

“scomparsa” in parte della maturità?...

Possiamo naturalmente distinguere le tre fasi tradizio-

nali della vita, giovinezza, maturità e vecchiaia, da un

punto di vista fisico e biologico, ma non è assoluta-

mente detto che queste coincidano in modo auto-

matico con la “maturità” psicologica, affettiva o etica

di una persona. Conosco giovani che scoppiano di sa-

lute, ma che sono tristi e debosciati, e anziani, e per-

fino malati, pieni di allegria, di saggezza e di voglia di

vivere. L’uomo è soprattutto il suo “cuore” e quando

questo è in pace garantisce all’individuo una giovi-

nezza dello spirito che ha del meraviglioso. È nel cuore

dell’uomo il segreto della maturità e di una vita piena

di senso. Qui, naturalmente, si inserisce il discorso sulla

“fede”.

A proposito di identità rigida/poco flessibile…

Il fatto che da sempre l’anziano comunichi con il gio-

vane con spontanea facilità (pensiamo al rapporto

nonni-nipotini) la dice lunga sul fatto di come la diffe-

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renza generazionale non sia di per sé un ostacolo alla

comunicazione, ma in molti casi un’opportunità. Il pa-

radigma “nonno-nipotino” ci dice chiaramente come

il segreto del “feeling” passi attraverso il dinamismo del-

l’amore. Le posizioni ideologiche o i retaggi culturali

possono anche essere diversissimi, e perfino contrap-

posti, ma se c’è l’amore l’intesa avviene. È questa la

forza del Cristianesimo, il quale non è prima di tutto una

dottrina o una morale, ma la storia di Gesù che ama

ogni uomo, qualunque sia la sua vicenda di vita.

In merito alla “cultura del dono” per le future genera-

zioni…

Tutti ci siamo accorti come una società consumistica e

godereccia, che non favorisce certo la cultura del

dono ma piuttosto quella dell’egoismo, è assoluta-

mente incapace di generare gioia. La nostra, infatti, è

una società fortemente segnata dalla tristezza. Giu-

stamente il cuore reclama: non è questa la vita! E così

l’uomo contemporaneo si porta nell’intimo uno strug-

gente desiderio di amore e di felicità che lo fa andare

al di là della visione materialista del mondo. Ecco per-

ché tutti parlano di “valori” morali. Il discorso si fa quindi

“religioso”. Infatti, cosa fonda i valori morali se non la

consapevolezza che ognuno è una persona aperta

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verso qualcosa di più alto e di più grande di sé? Io ri-

tengo che oggi come non mai l’uomo avverta il senso

e il bisogno di Dio, proprio perché avverte il bisogno di

una nuova qualità della vita improntata alla bontà,

alla fraternità, all’attenzione all’altro. L’immensa sim-

patia che papa Francesco sta suscitando in tutto il

mondo ne è la prova lampante.

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“Maturità significa prendere delle decisioni”Nel parlare di generazioni e scambi ge-

nerazionali, non posso che far riferimento

alle mie esperienze personali, che non

sono, come in molti credono, così sepa-

rate dalle esperienze professionali….

In questa fase della vita se penso alla pa-

rola generazione mi vengono in mente al-

cune immagini.

La prima sono i miei figli, generati e donati

a noi genitori. La seconda è la genera-

zione a cui io appartengo, quella che

negli anni ’80 viveva l’infanzia e negli anni

’90 l’adolescenza.

Che cosa ci rende uniti e tra noi ricono-

scibili? Le persone che appartengono

alla mia generazione non sono state se-

Benedetta Rigottiresponsabile di redazione de Il lavoro

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gnate da eventi storici dirompenti che ne hanno defi-

nito l’identità. La nostra identità emerge da piccoli fatti

quotidiani che tutti abbiamo vissuto: noi eravamo

quelli, forse gli ultimi, che potevamo ancora giocare a

pallone e andare in bicicletta per le strade; eravamo

quelli che hanno visto certi cartoni animati e certi film;

quelli che hanno visto i primi computer entrare nelle

case…

In realtà siamo quelli che per primi hanno, in qualche

modo, rifiutato di crescere, quelli che non si rendono

conto che il tempo passa anche per loro. Negli ultimi

mesi, più che prima, mi sono ritrovata a prendere atto

proprio di questo: un figlio in seconda elementare, un

altro alla scuola dell’ infanzia e quello appena nato.

Così ho iniziato a fare i conti degli anni di distanza fra il

primo e l’ultimo. Poi ho scoperto di avere il doppio

degli anni dell’apprendista maggiorenne che incon-

tro sul posto di lavoro e mi chiamano signora al super-

mercato. Quindi è vero. Gli anni passano anche per

me. Sono in una nuova fase della mia vita. A questa

mia presa di coscienza ha contribuito anche, con la

sua splendida innocenza, il mio figlio più grande che

abbracciandomi mi ha consigliato, per avere la pelle

più bella, una certa crema “per persone anziane” che

aveva visto una volta alla televisione.

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Forse la maturità non è veramente scomparsa, siamo

noi che non vogliamo prendere atto di esserci arrivati.

In realtà è un periodo molto bello, fecondo per la vita

familiare e lavorativa. Quanto alla famiglia, per esem-

pio, ci si ritrova con amici e conoscenti della stessa età

che pensano di essere ancora ragazzini e che ti guar-

dano con un senso di pietà perché ti sei circondata di

legami solidi con un marito e dei figli: “io non mi sento

ancora pronto” è la frase di rito. Altri, di solo dieci anni

più “grandi”, che ti guardano con un senso di invidia

perché avrebbero voluto dei bimbi, ma ci hanno pen-

sato troppo tardi. Maturità significa prendere delle de-

cisioni, capire qual è la propria strada e agire di

conseguenza. Chi la rifiuta è destinato ad entrare nella

terza fase della vita troppo presto e in modo sbagliato:

a diventare vecchio senza essere anziano.

E dopo la maturità arrivano la terza e la quarta età. “In-

vecchiare, che orrore -diceva mio padre- ma è l’unico

modo che ho trovato per non morire giovane”, scrisse

Daniel Pennac.

Le generazioni, come i sessi, sono, per fortuna, destinate

a convivere. Oltre alla crema antirughe consigliata da

Stefano, ciò che rende me, donna matura, ancora gio-

vane, è il legame con i bambini che mi introducono

alle novità, come io faccio con i miei genitori. È vero

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che le novità non sono sempre positive, ma il bello di

avere a che fare con persone più giovani e più an-

ziane è che si può mantenere saldo ciò che di buono

c’è stato nel passato, cercando di far proprio quello

che di buono c’è ora.

È simpatico ritrovarsi con i coetanei a ricordarsi di

quello che si faceva da piccoli e da giovani e delle

cose che ci piacevano allora (e che in fondo conti-

nuano a piacerci anche adesso). Tuttavia è evidente

che la vita non si esaurisce nelle piccole esperienze,

ma che si nutre di quelle importanti che sono trasver-

sali rispetto alle generazioni. Del resto le cose piccole

possono essere raccontate, quelle grosse vanno vissute

insieme.

Botticelli, particolare dalla Madonna della melagrana

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"La dimensione del dono,diventata una vera e propria cultura nel corsodei secoli, non ha sicura-mente nulla da temeredalle future generazioni”Generazione

Nella concezione del termine “genera-

zione”, spicca prevalentemente il con-

cetto dell’età che accomuna appunto le

persone nate nello stesso periodo. Si parla

quindi di “coetanei” che, proprio perché

nati contemporanei fanno parte di uno

stesso gruppo e vivono insieme espe-

rienze e periodi storici. Ma che ne è degli

avvenimenti, delle esperienze e delle con-

dizioni vissute nello stesso periodo storico

da una moltitudine di persone che non

condividono la stessa età e quindi la

stessa generazione? Forse il concetto di

generazione dovrebbe essere esteso ad

una dimensione ben più ampia, non

Georgia Ertz Studentessa al Master in Corporate Communication all’Università della Svizzera italiana (USI)

Botticelli, particolare della Nascita di Venere

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quella dell’età legata a fattori come la storia o la cul-

tura, ma quella dell’unione delle persone con età di-

verse dovuta proprio al fatto che abbiano vissuto certe

cose insieme. Ad esempio: si può veramente parlare di

“generazione del dopoguerra”, “baby-boomers”, “ge-

nerazione X” oppure “generazione Y”? Non è forse che,

oltre agli individui nati e cresciuti in quegli anni, ne fac-

ciano parte anche coloro che, nonostante fossero già

adulti, li hanno comunque vissuti? In tedesco il verbo

“hineinwachsen” indica il crescere dentro a qualcosa,

lo svilupparsi all’interno di certe condizioni ed è proprio

questo che si potrebbe applicare al nostro caso: in

una generazione non si tratta solo dei nati e cresciuti,

ma anche di coloro che si sono sviluppati ulterior-

mente all’interno di essa. Prendiamo un altro esempio:

esiste sì la “generazione Y”, persone nate e cresciute

tra gli anni ’80 e i primi del 2000, ma fanno parte di essa

anche quelle già adulte che, con il progresso delle

cose, si sono sviluppate a loro volta, hanno imparato a

vivere nelle nuove condizioni sociali, politiche, tecnolo-

giche, eccetera.

Il mondo e il tempo che ci attorniano sono un susse-

guirsi di cambiamenti e innovazioni e quasi tutti noi, chi

più e chi meno, chi con più facilità e chi con qualche

difficoltà, ci adeguiamo e ci facciamo, in una certa mi-

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sura, plasmare da essi. O magari tanti over 40 e persino

over 60 non hanno imparato a usare il cellulare, il com-

puter, il tablet, ad esempio? No! Molti lo hanno fatto e

lo stanno facendo, e con successo! E quindi, non fanno

anche loro, in un certo modo, parte della “nostra” ge-

nerazione di nativi tecnologici e digitali? Certo!

Dunque, forse non è sempre saggio categorizzare gli

individui in gruppi rigidi, quando per molti versi questi

sono insiemi aperti che si intersecano in vari punti, con

svariati elementi comuni, anche se mantengono sem-

pre certe specifiche caratteristiche proprie. Genera-

zioni, quindi, sia come insiemi con componenti fisse, sia

con parti fluide e in continuo scambio con altre.

Fasi della vita e maturità

A quanto pare, giovinezza e vecchiaia hanno guada-

gnato terreno sulla linea del tempo degli esseri umani,

riducendo così gli anni della cosiddetta maturità. Pro-

babilmente questo termine è usato un po’ impropria-

mente, poiché viene spontanea la domanda a cosa

sia riferita questa maturità: in questa fase si è maturi fi-

sicamente, mentalmente, moralmente? Maturi per una

famiglia, un buon lavoro, una casa, un buon salario?

E se questa presunta maturità fosse solo un retaggio

del modello sociale del secolo scorso? Oggigiorno, sia

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dal punto di vista fisico che da quello sociale il modello

che per anni e anni ci indicava quando era il tempo

“giusto” per fare le cose non è più valido. Gli studi pos-

sono essere corti o lunghi, la famiglia può essere fon-

data presto o tardi, la realizzazione degli obiettivi

personali può avvenire in giovane o in età avanzata.

Quindi perché chiamarla “maturità”? Non è forse piut-

tosto un’età “nel mezzo”, una “mezza età”? La que-

stione sembra essere piuttosto di carattere biologico e

anagrafico, più che ontologico e sociale.

E anche se le fasce di vita estreme, giovinezza e vec-

chiaia, si sono allargate, questo non significa che

qualcosa di fondamentale venga ridotto e/o elimi-

nato: le possibilità per fare ciò che importa e piace

sono molte, sia per i giovani, che per i “mezz’età”, che

per gli anziani.

Identità rigida contro identità in cambiamento

Né l’identità rigida né quella in cambiamento rappre-

sentano solo un pericolo o solo un’opportunità. Esse

sono entrambe legate in una dualità, essendo ognuna

un po’ dell’uno e dell’altro e correlate ai relativi van-

taggi e svantaggi.

L’identità rigida è un po’ la base del nostro essere, che

ci caratterizza per ciò che siamo. Questo non significa,

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però, che andiamo sempre bene così. Spesso gli altri, la

vita e persino noi stessi richiediamo delle modifiche più

o meno radicali del nostro essere, spostandoci in

un’identità mutevole, che si adegua e cambia in base

alle necessità. Ciononostante non bisognerebbe mai

dimenticare chi si è “di base”, “di partenza”, quindi la

propria identità fissa, per non andare ad assumere

nuove identità in cambiamento che non fanno parte

di noi e con le quali non ci sentiamo a nostro agio.

Dagli svantaggi dell’una identità si può quindi arrivare

a trarre i vantaggi dell’altra, sfruttandone le relative

proprietà.

In questo senso, il concetto di identità generazionale

(qui intesa come generazione legata all’età) acquista

una nuova e duplice valenza: da una parte di essere

fattore caratterizzante e dall’altra di essere comunque

potenzialmente in grado di mettersi in gioco attraverso

il contatto con le altre generazioni.

Non è più soltanto questione di “io sono” e “gli altri

sono”, ma anche di “io posso essere” e “gli altri possono

essere”, attraverso uno scambio, basato sull’umiltà e la

gratitudine del poter, per certi versi e in certa misura,

progredire, crescere e migliorare.

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La “cultura del dono” e le future generazioni"

La dimensione del dono, diventata una vera e propria

cultura nel corso dei secoli, non ha sicuramente nulla

da temere dalle future generazioni. Il dono del sapere,

perché è di questo che si tratta principalmente, è sem-

pre benvenuto. Spesso ricevere qualcosa in dono è na-

scosto o mascherato da uno strato di orgoglio, senso

di incapacità e di inettitudine, ma nel profondo, chi

viene dopo e chi riceve è sempre grato di un dono

tanto importante. È proprio qui che risiede la conflit-

tualità della cultura del dono di una generazione a

un’altra: quella più giovane vede quella più anziana

superiore, già solo per la differenza di età, ma anche

per tutte le esperienze vissute, e si sente intrinseca-

mente in difetto e inferiore ad essa. Paradossalmente,

la reazione mostrata non è di reverente gratitudine e

gioia per il dono ricevuto, ma di rifiuto, quasi di offesa,

come se la generazione giovane non fosse capace di

nulla. Probabilmente questo complesso meccanismo

esiste dall’alba dei tempi e caratterizzerà anche in fu-

turo molti rapporti intergenerazionali. Importante è che

la generazione giovane si renda conto per tempo che

il dono ricevuto da quella anziana non è una dichia-

razione di incapacità nei suoi confronti, ma un’umile

offerta, fatta per non incappare negli stessi errori, per

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capire in anticipo le situazioni e prevenirne alcune e

che si può accettare oppure rifiutare e, magari, andare

a ripescare più tardi, con maggiore consapevolezza

del suo valore.

La questione che si pone sempre più spesso, però, è

un’altra: si può ancora parlare soltanto di un dono che

viene tramandato di generazione in generazione nel

tempo? I cambiamenti che avvengono nel tempo

sono sempre più repentini: nuove cose si creano e si

aggiungono sempre più spesso al bagaglio del sapere

degli individui e sono diversi coloro che se ne appro-

priano. Sempre più di frequente sono le nuove gene-

razioni che si appropriano di nuove conoscenze e si

trovano, quindi, ad avere un sapere diverso dalle ge-

nerazioni precedenti. Il gioco sta perciò nello scam-

biarsi le nozioni per trarne entrambi beneficio. Il

principio è lo stesso di quello economico: lo scambio

tra gli attori economici conduce al massimo rendi-

mento per tutti loro. Per questo, la questione non con-

siste più soltanto di un dono fatto da una generazione

anziana a una più giovane, ma di uno scambio di doni

intergenerazionale, all’insegna di un continuo pro-

gresso e miglioramento garantiti dal dare e ricevere

sapere.

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Riportiamo i titoli e quindi i temi che sono stati trattati nei Vademecum dal 2000 al 2013

2013 Essere anziano oggi: croce e delizia?

2012 Intergenerazionalità… per una società di tutte le età

2011 L’anziano e la politica

2010 I 30 anni dell’Associazione

2009 L’anziano quale risorsa per la società

2008 L’anziano e la musica

2007 L’anziano e la sicurezza

2006 L’anziano e la cura dell’immagine

2005 Il ruolo dell’anziano nella società di oggi

2004 L’anziano e la comunicazione

2003 L’anziano e la natura

2002 L’anziano e il tempo libero

2001 Vademecum della salute

2000 Vademecum dell’anziano

Mosè che riceve i dieci comandamenti, maiolica rinascimentale,Urbino

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Appunti

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Ringraziamenti

In qualità di presidente OCST mi congratulo con GenerazionePiù per l’ impegno profuso

a favore della continuazione del Vademecum,redatto dal 2000 in poi.

Quest`anno il tema vuol “chiudere” la trilogia iniziata nel 2012 sull’ intergenerazionalità e nel 2013

sull’ identità dell’ anziano oggi.Il fascicolo 2014 approfondisce i due temi

degli anni precedenti e riflette pure su quale “dono”lascia l’ anziano alle altre generazioni.

Siamo certi che tutti i lettori – anziani e non –troveranno uno spunto ed uno stimolo per porsidomande e magari anche dare delle risposte.

Complimenti ed auguri.

Bruno Ongaro, presidente OCST

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Anche questo Vademecum 2014 è illustrato con immagini

di celebri artisti dal trecento in poi e sono legati in particolare

alla tematica del “dono”,

visto nella sua dimensione più ampia.

Tre i Grandi presenti con alcune opere.

Giotto (1267 ca. – 1337 Firenze)

Botticelli Sandro (1445 – 1510 Firenze)

Segantini Giovanni (1858, Arco/Italia – 1899 Pontresina/Svizzera)

I due affreschi di Giotto si riferiscono alle storie

di san Francesco presenti nella basilica superiore di Assisi.

Le tele del Botticelli si trovano a Firenze alla Galleria degli Uffizi.

I dipinti di Segantini si possono ammirare

al Museo Segantini di S.Moritz (il Trittico e L’ Angelo della vita)

e il celeberrimo Mezzogiorno sulle alpi

al Kunstmuseum di San Gallo) .

Chiude le pagine del Vademecum

una maiolica rinascimentale della bottega urbinate

dei Patanazzi, che raffigura Mosè

mentre riceve i dieci comandamenti

(periodo metà Cinquecento)

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