G.bertelli - Trani e Il Suo Territorio Tra Il VI e XI Secolo

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418 TRANI E IL SUO TERRITORIO TRA IL VI E LA METÀ DELL’XI SECOLO di GIOIA BERTELLI 1. Le poche fonti documentarie che riguardano i momenti di vita più antichi della città e del suo territorio, nello speci- fico di età longobarda e bizantina, sono costituite da perga- mene conservate nell’Archivio Diocesano e nell’Archivio del Capitolo Metropolitano, pubblicate da G. Beltrani (1877), da A. Prologo (1877), in Regesto da L. Scarano (1983) ed ancora riviste da Vera von Falkenhausen (1978) che ha col- to più in particolare il momento bizantino del sito; dall’esa- me di questi documenti in anni passati sia G. Coniglio (1970, 1973) sia M. Cagiano de Azevedo (1977) avevano tratto interessanti indicazioni sull’assetto urbano e del territorio circostante, che possono essere ulteriormente arricchite da nuovi elementi soprattutto di natura archeologica, dal mo- mento che la recente ricerca sul campo ha portato al ricono- scimento di ulteriori evidenze. Altre indirette informazioni sull’abitato in età più tarda emergono anche dalla lettura della Vita di S. Nicola Pellegrino, di origine greca, protet- tore della città, vissuto negli ultimi decenni dell’XI secolo, e della Traslazione delle reliquie di S. Leucio da Brindisi a Trani, documento redatto alla metà circa dell’XI secolo, in cui si narra il trasferimento dei resti del santo brindisino che furono collocati in un sacello, creato per la circostanza al di sotto del piano di calpestio della cattedrale di età pa- leocristiana; ciò dovette avvenire nel corso del VII secolo. Ricerche effettuate anche nelle carte raccolte nel I volume del Codice Diplomatico Barlettano (SANTERAMO 1924) e nei volumi VIII del Codice Diplomatico Barese con le perga- mene dell’Archivio Capitolare di Barletta (NITTI DE VITO 1914) e IX con quelle relative a Corato (BELTRANI 1923) hanno restituito altre informazioni sui centri e aree che rien- travano nel territorio di Trani; l’esame, inoltre, di alcuni documenti più tardi, di età normanna (BELTRANI 1877, PRO- LOGO 1887), che riflettono la situazione topografica preesi- stente nella città e nel territorio, ha permesso di comporre un quadro abbastanza articolato per i secoli considerati; l’analisi di questi ultimi non è stata onnicomprensiva, ma ne ha preso in considerazione solo alcuni tra i più significa- tivi; utile per alcune indicazioni si è rivelata la consultazio- ne dei testi di L. Maffuccini (1951) e di R. Colapietra (1981), i cui studi, però, sono finalizzati a ricostruire soprattutto la storia urbana del sito fino ai tempi più recenti. 2. Scarse sono le notizie documentarie e archeologiche che possediamo circa le più antiche fasi di vita della città; essa viene ricordata nella Tabula Peutingeriana come una pic- cola stazione posta lungo la via Litoranea, arteria che dal nord dell’Italia, dopo aver aggirato il promontorio del Gar- gano, si dirigeva verso sud per congiungersi alla via Traia- na; molto probabilmente il sito si sviluppò solo a partire dal III-IV secolo d.C. come vicus sorto intorno ad un ap- prodo marittimo. Trani fu sede di diocesi a partire dagli inizi del VI seco- lo, come testimonia la firma apposta nel 501 dal vescovo Eutichio che intervenne al Concilio Romano; in preceden- za, con grande probabilità, il suo territorio doveva dipende- re dalla ben più vasta e confinante diocesi di Canosa; il di- stacco da questa, come avvenne anche per altri centri (Can- ne, Barletta), dette inizio ad un processo di scomposizione dell’assetto originario del territorio, probabilmente dovuto a motivazioni di ordine religioso ed in relazione anche ad un accrescimento della popolazione (OTRANTO 1992, pp. 248-251). Per questo periodo così antico le testimonianze documentarie sull’assetto urbano sono quasi inesistenti; l’unico documento scritto che possa fornire qualche indica- zione risale al pieno altomedioevo: in esso si ricorda l’epi- scopio, la chiesa di S. Magno ed il mausoleo di Bebio posto nei pressi del flumicellum, ma su questo tornerò più oltre. Solo alcune indagini archeologiche avviate nell’area occu- pata dalla cattedrale romanica hanno permesso di indivi- duare la presenza di una chiesa con funzione vescovile, co- struita tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, a sua volta impiantatasi su un altro edificio di proporzioni molto ridot- te e da cui provengono frammenti di affreschi riferibili ad una Adorazione dei Magi (MOLA 1972; KOROL 1996). La cattedrale di età paleocristiana si presentava a tre navate e monoabsidata; i varchi di passaggio tra la navata centrale e le laterali erano definiti da colonnati di tipo binato, secon- do una tipologia attestata in area nord africana. La pavi- mentazione dell’edificio era realizzata a mosaico con qua- drati includenti altri più piccoli e rombi, elementi circolari definiti da nastri intrecciati, fiori quadripetali ecc., databile tra la fine del V ed il secolo successivo; di questo rivesti- mento rimangono numerosi tratti identificati lungo la nava- ta centrale della chiesa di S. Maria, edificio che in età me- dievale, a seguito della costruzione della nuova cattedrale dedicata a S. Nicola Pellegrino, prese il posto della vecchia chiesa. Dall’edificio paleocristiano provengono numerosi elementi scolpiti, anche questi databili tra la fine del V ed il VI secolo, oggi reimpiegati in parte all’interno del com- plesso episcopale medievale e in parte conservati nel Mu- seo Diocesano (BERTELLI 2002); si tratta di capitelli ancora in opera lungo i colonnati del matroneo della cattedrale o presenti in frammenti nel Museo, di un sarcofago decorato frontalmente da una croce con disco centrale databile al VI secolo che ha diretti confronti con altri esemplari presenti sul territorio (Trani, chiesa di S. Martino; Cerignola, Troia, Canne); questi si ricollegano ad una tipologia presente anche in area ravennate, ma che ha precisi referenti nella contem- poranea produzione attestata in Dalmazia, ove si conserva un numero consistente di esemplari simili: si vedano i sarco- fagi di Salona, di Spalato, e quelli nell’isola di Brac che, pro- babilmente, fu un centro molto attivo non solo per la lavora- zione ma anche per l’esportazione di questo specifico manu- fatto. Ancora all’interno della cripta di S. Nicola Pellegrino è conservata una colonnetta in marmo spiraliforme, baccellata alla base che sorregge un piccolo capitello con foglie ango- lari di tipo corinzio, probabilmente appartenenti ad un cibo- rio databile al VI secolo (BERTELLI 2002, n. 467), come pure reimpiegate nella costruzione medievale della chiesa di S. Maria e nei matronei sono alcune colonnette arricchite da una piccola croce in rilievo sul fusto che dovrebbero risalire al momento in cui la più antica chiesa vescovile venne con- sacrata (BERTELLI 2002, nn. 443-446); o ancora transenne lucifere frammentarie o plutei con croci centrali, capitelli di fine V-VI secolo (BERTELLI 2002, nn. 452-465, 475,476,478- 482), elementi tutti che attestano la presenza di un grande edificio religioso attivo intorno al VI secolo. Altri elementi scultorei di un certo pregio sono presenti in città: una fronte di sarcofago con angeli e con una croce sotto edicolette, ascrivibile al VI secolo e probabilmente di importazione costantinopolitana, è reimpiegata nel muro esterno di una abitazione in via Ognissanti al n.c. 38; due frammenti appartenenti ad un pluteo decorato con una cro- ce e semilune, due sarcofagi e un capitello sono conservati nella chiesa di S. Martino, ubicata nei pressi della cattedra- le, di cui tratterò in seguito (BERTELLI 2002, nn. 496-500). Dagli scavi realizzati nella Cattedrale nel 1970-1971 proviene un numero consistente di intonaci sui quali sono leggibili riquadri di tipo decorativo, elementi riferibili a strutture murarie, occhi, mani e parti di figure umane, teste di agnelli, lettere relative a più iscrizioni; l’esame dei fram- menti, inediti, potrebbe sicuramente portare nuovi elemen- ti per ricostruire le fasi di vita più antiche dell’edificio pri- ma del suo abbattimento alla fine dell’XI secolo. Come ipotesi di lavoro ritengo che sia possibile mette- re in relazione con una fase di vita molto antica, probabil-

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Puglia bölgsesi, Trani şehri 6-11.yy arası kilise tarihi

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TRANI E IL SUO TERRITORIOTRA IL VI E LA METÀ DELL’XI SECOLO

diGIOIA BERTELLI

1. Le poche fonti documentarie che riguardano i momentidi vita più antichi della città e del suo territorio, nello speci-fico di età longobarda e bizantina, sono costituite da perga-mene conservate nell’Archivio Diocesano e nell’Archiviodel Capitolo Metropolitano, pubblicate da G. Beltrani (1877),da A. Prologo (1877), in Regesto da L. Scarano (1983) edancora riviste da Vera von Falkenhausen (1978) che ha col-to più in particolare il momento bizantino del sito; dall’esa-me di questi documenti in anni passati sia G. Coniglio (1970,1973) sia M. Cagiano de Azevedo (1977) avevano trattointeressanti indicazioni sull’assetto urbano e del territoriocircostante, che possono essere ulteriormente arricchite danuovi elementi soprattutto di natura archeologica, dal mo-mento che la recente ricerca sul campo ha portato al ricono-scimento di ulteriori evidenze. Altre indirette informazionisull’abitato in età più tarda emergono anche dalla letturadella Vita di S. Nicola Pellegrino, di origine greca, protet-tore della città, vissuto negli ultimi decenni dell’XI secolo,e della Traslazione delle reliquie di S. Leucio da Brindisi aTrani, documento redatto alla metà circa dell’XI secolo, incui si narra il trasferimento dei resti del santo brindisinoche furono collocati in un sacello, creato per la circostanzaal di sotto del piano di calpestio della cattedrale di età pa-leocristiana; ciò dovette avvenire nel corso del VII secolo.Ricerche effettuate anche nelle carte raccolte nel I volumedel Codice Diplomatico Barlettano (SANTERAMO 1924) e neivolumi VIII del Codice Diplomatico Barese con le perga-mene dell’Archivio Capitolare di Barletta (NITTI DE VITO1914) e IX con quelle relative a Corato (BELTRANI 1923)hanno restituito altre informazioni sui centri e aree che rien-travano nel territorio di Trani; l’esame, inoltre, di alcunidocumenti più tardi, di età normanna (BELTRANI 1877, PRO-LOGO 1887), che riflettono la situazione topografica preesi-stente nella città e nel territorio, ha permesso di comporreun quadro abbastanza articolato per i secoli considerati;l’analisi di questi ultimi non è stata onnicomprensiva, mane ha preso in considerazione solo alcuni tra i più significa-tivi; utile per alcune indicazioni si è rivelata la consultazio-ne dei testi di L. Maffuccini (1951) e di R. Colapietra (1981),i cui studi, però, sono finalizzati a ricostruire soprattutto lastoria urbana del sito fino ai tempi più recenti.

2. Scarse sono le notizie documentarie e archeologiche chepossediamo circa le più antiche fasi di vita della città; essaviene ricordata nella Tabula Peutingeriana come una pic-cola stazione posta lungo la via Litoranea, arteria che dalnord dell’Italia, dopo aver aggirato il promontorio del Gar-gano, si dirigeva verso sud per congiungersi alla via Traia-na; molto probabilmente il sito si sviluppò solo a partiredal III-IV secolo d.C. come vicus sorto intorno ad un ap-prodo marittimo.

Trani fu sede di diocesi a partire dagli inizi del VI seco-lo, come testimonia la firma apposta nel 501 dal vescovoEutichio che intervenne al Concilio Romano; in preceden-za, con grande probabilità, il suo territorio doveva dipende-re dalla ben più vasta e confinante diocesi di Canosa; il di-stacco da questa, come avvenne anche per altri centri (Can-ne, Barletta), dette inizio ad un processo di scomposizionedell’assetto originario del territorio, probabilmente dovutoa motivazioni di ordine religioso ed in relazione anche adun accrescimento della popolazione (OTRANTO 1992, pp.248-251). Per questo periodo così antico le testimonianzedocumentarie sull’assetto urbano sono quasi inesistenti;l’unico documento scritto che possa fornire qualche indica-

zione risale al pieno altomedioevo: in esso si ricorda l’epi-scopio, la chiesa di S. Magno ed il mausoleo di Bebio postonei pressi del flumicellum, ma su questo tornerò più oltre.Solo alcune indagini archeologiche avviate nell’area occu-pata dalla cattedrale romanica hanno permesso di indivi-duare la presenza di una chiesa con funzione vescovile, co-struita tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, a sua voltaimpiantatasi su un altro edificio di proporzioni molto ridot-te e da cui provengono frammenti di affreschi riferibili aduna Adorazione dei Magi (MOLA 1972; KOROL 1996). Lacattedrale di età paleocristiana si presentava a tre navate emonoabsidata; i varchi di passaggio tra la navata centrale ele laterali erano definiti da colonnati di tipo binato, secon-do una tipologia attestata in area nord africana. La pavi-mentazione dell’edificio era realizzata a mosaico con qua-drati includenti altri più piccoli e rombi, elementi circolaridefiniti da nastri intrecciati, fiori quadripetali ecc., databiletra la fine del V ed il secolo successivo; di questo rivesti-mento rimangono numerosi tratti identificati lungo la nava-ta centrale della chiesa di S. Maria, edificio che in età me-dievale, a seguito della costruzione della nuova cattedralededicata a S. Nicola Pellegrino, prese il posto della vecchiachiesa. Dall’edificio paleocristiano provengono numerosielementi scolpiti, anche questi databili tra la fine del V ed ilVI secolo, oggi reimpiegati in parte all’interno del com-plesso episcopale medievale e in parte conservati nel Mu-seo Diocesano (BERTELLI 2002); si tratta di capitelli ancorain opera lungo i colonnati del matroneo della cattedrale opresenti in frammenti nel Museo, di un sarcofago decoratofrontalmente da una croce con disco centrale databile al VIsecolo che ha diretti confronti con altri esemplari presentisul territorio (Trani, chiesa di S. Martino; Cerignola, Troia,Canne); questi si ricollegano ad una tipologia presente anchein area ravennate, ma che ha precisi referenti nella contem-poranea produzione attestata in Dalmazia, ove si conservaun numero consistente di esemplari simili: si vedano i sarco-fagi di Salona, di Spalato, e quelli nell’isola di Brac che, pro-babilmente, fu un centro molto attivo non solo per la lavora-zione ma anche per l’esportazione di questo specifico manu-fatto. Ancora all’interno della cripta di S. Nicola Pellegrino èconservata una colonnetta in marmo spiraliforme, baccellataalla base che sorregge un piccolo capitello con foglie ango-lari di tipo corinzio, probabilmente appartenenti ad un cibo-rio databile al VI secolo (BERTELLI 2002, n. 467), come purereimpiegate nella costruzione medievale della chiesa diS. Maria e nei matronei sono alcune colonnette arricchite dauna piccola croce in rilievo sul fusto che dovrebbero risalireal momento in cui la più antica chiesa vescovile venne con-sacrata (BERTELLI 2002, nn. 443-446); o ancora transennelucifere frammentarie o plutei con croci centrali, capitelli difine V-VI secolo (BERTELLI 2002, nn. 452-465, 475,476,478-482), elementi tutti che attestano la presenza di un grandeedificio religioso attivo intorno al VI secolo.

Altri elementi scultorei di un certo pregio sono presentiin città: una fronte di sarcofago con angeli e con una crocesotto edicolette, ascrivibile al VI secolo e probabilmente diimportazione costantinopolitana, è reimpiegata nel muroesterno di una abitazione in via Ognissanti al n.c. 38; dueframmenti appartenenti ad un pluteo decorato con una cro-ce e semilune, due sarcofagi e un capitello sono conservatinella chiesa di S. Martino, ubicata nei pressi della cattedra-le, di cui tratterò in seguito (BERTELLI 2002, nn. 496-500).

Dagli scavi realizzati nella Cattedrale nel 1970-1971proviene un numero consistente di intonaci sui quali sonoleggibili riquadri di tipo decorativo, elementi riferibili astrutture murarie, occhi, mani e parti di figure umane, testedi agnelli, lettere relative a più iscrizioni; l’esame dei fram-menti, inediti, potrebbe sicuramente portare nuovi elemen-ti per ricostruire le fasi di vita più antiche dell’edificio pri-ma del suo abbattimento alla fine dell’XI secolo.

Come ipotesi di lavoro ritengo che sia possibile mette-re in relazione con una fase di vita molto antica, probabil-

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mente verso la fine del VI secolo, la presenza (Fig. 1) dialtri due edifici religiosi, S. Martino e S. Agata, attestata,per il primo, da una piccola chiesa, ricordata già in un do-cumento del 1075 (SANTIFALLER 1957, doc. n. 95) e forseancora in uno precedente del 1062 (vedi postea), sottopostadi alcuni metri rispetto al livello odierno di frequentazionedella città, che presenta una serie interessantissima di strut-ture e rifacimenti e di cui tratterò in seguito; per il secondoedificio, citato per la prima volta in un doc. del 1199 (PRO-LOGO 1877, doc. n. XCI), che si apre sulla omonima strada(vico S. Agata), nei pressi della chiesa di S. Martino, a ri-dosso, ma entro, la cinta muraria più antica, anche questosottoposto all’odierno livello stradale, le indagini sono an-cora da avviare completamente; ridotto attualmente a de-posito di materiale, di esso si riconosce solamente la curva-tura absidale. Risulta quanto mai interessante la scelta ditali dedicazioni per i due edifici, strettamente legata a santie martiri che hanno combattuto strenuamente il paganesi-mo e l’eresia ariana. Il culto di S. Martino e di S. Agata si èdiffuso largamente proprio intorno al VI secolo in relazionealla presenza sul territorio di popolazioni pagane e ariane;esemplare, al proposito, è la riconsacrazione da parte di papaGregorio Magno della chiesa eretta da Ricimero nel 460 aRoma per il culto dei Goti ariani: S. Agata dei Goti, che, inoccasione dell’intervento papale, accolse le reliquie dei SS.Agata e Sebastiano. Anche i Longobardi quando entraronoin Italia al seguito di Alboino erano in parte pagani e arianie seguirono l’eresia ariana fin quasi alla fine del VII secolo,quando ufficialmente si convertirono alla religione cristia-na cattolica. In Puglia, ad esempio, a Siponto, è attestatadalla Vita Laurentii una chiesa dedicata ai SS. Stefano eAgata (la stessa intitolazione che ritorna per la cattedrale diCapua), con la quale sono stati messi in relazione alcuniinteressanti lacerti di mosaico pavimentale risalenti tra lafine del V ed il VI secolo, recentemente identificati (CAMPESESIMONE 1999).

Sicuramente in relazione con la presenza romana dove-va poi essere il Mausoleo di Bebio, la cui prima attestazio-ne risale all’834 (PROLOGO 1877, doc. n. I), che doveva ri-vestire una certa importanza ancora nell’alto medioevo dalmomento che viene preso come preciso punto di riferimen-to nel documento, ora ricordato, per identificare agevolmentela posizione della chiesa di S. Magno (Fig. 1); di questoedificio funerario si sono perse le tracce, ma sia la precisadescrizione circa l’ubicazione e l’aspetto del monumentofornita da A. Prologo, che ancora aveva potuto vederlo (PRO-LOGO 1883, p. 25) sia la presenza del toponimo via Mauso-leo nella zona a sud-est della città ci aiutano a collocarlo aldi fuori dell’abitato, in una zona coltivata a vigna ed ulivicome sembra di poter capire da documenti più tardi, neipressi del flumicellum, elemento topografico di grande im-portanza per la storia di Trani per il periodo altomedievale(PROLOGO 1877, doc. VI, p. 29; XIX, p. 60; LXXIII, p. 155).

3. Un altro momento particolarmente interessante che si puòcogliere relativo alla vita della città è quello che vede la pre-senza della popolazione longobarda, attestata sul territoriopugliese a partire dalla metà circa del VII secolo; di questomomento abbiamo solo rare, e più tarde, testimonianze scrit-te; tra le prime il diploma di Arechi II riferibile all’atto didonazione (a. 774) di numerosi beni al monastero di S. Sofiadi Benevento: in questo il principe dona una «casam inPapiano super Trane, quae fuit de servis Palatii nostri…;nostra quoque potestaste super hec largiti sumus in eodemloco casas sex»; al termine del documento si ribadisce la pro-prietà della «curtem nostram, prata posta in loco qui Pazzanodicitur cum ipsa ecclesia sancti Petri, et ipso monte, cumipso plano et ipsa ferrara» (UGHELLI, VIII, coll. 32, 33); iltesto continua citando una «ipsam ecclesiam sanctae Mariaein finibus Janiensibus, loco qui dicitur Gunianus»: con gran-de probabilità l’edificio potrebbe identificarsi con l’area sucui sorge ancora oggi la chiesa di S. Maria di Giano posta nei

pressi di Trani, verso sud. Il sito di Pazzano con le diversetitolature di Parano, Pazano, Pantano viene ancora ricorda-to in altri documenti più tardi con cui papi e imperatori con-fermano al monastero di S. Sofia di Benevento beni detenutiin tale località presso Trani (PROLOGO 1883, pp. 88-90).

Particolarmente importanti, e noti, risultano alcuni do-cumenti: il primo del giugno 834, sopra citato, datato alsecondo anno del principato beneventano di Sicardo, da cuisi evince che a Trani era stato istituito un gastaldato; il se-condo del giugno 843, emanato nel quarto anno del princi-pato salernitano di Siconolfo; e il terzo del maggio 845,risalente al sesto anno del principato dello stesso Siconolfo(PROLOGO 1877, nn. I, II, III). Dalla lettura di tali carte èpossibile prima di tutto stabilire che la città, in origine sottola dominazione dei longobardi di Benevento, nell’843 è do-minata dai longobardi di Salerno (CONIGLIO 1973); inoltre,dal documento dell’834 veniamo a conoscenza dell’esisten-za, al momento della redazione del testo, di un gastaldo anome Radeprando figlio a sua volta di un altro gastaldo dinome Sicoprando, della cattedrale, dedicata a Maria, rettadal vescovo Auderis, di una chiesa dedicata a San Magno,vescovo di Trani secondo una antica tradizione (CAGIANODE AZEVEDO 1977, p. 118), costruita in tempi recenti dal pa-dre di Radeprando, che si trovava oltre il fiumicello chescorreva dall’interno verso il mare nella zona sud-orientaledella città, ove era anche il mausoleo di Bebio (che sorgevanella zona oggi indicata dal toponimo via Mausoleo, cfr.par. 2); nella carta inoltre il gastaldo Radeprando si dice decivitate Trani, facendo quindi supporre che la città dovessegià essere munita di una cinta muraria. Nel documento suc-cessivo, quello dell’843, rogato in castro Trane, viene ri-cordata la donazione alla chiesa di S. Maria di Tremodie eal diacono Arricaldo, rettore della chiesa di S. Pantaleone,di una vigna in contrada Reni; tra i sottoscrittori compare lafirma di un certo Arius, il cui nome sembra essere un indi-zio della sua origine longobarda. Ancora in castro tranenseè rogato il documento successivo dell’845, in cui si citanoil bicus di Iuianello, che doveva ricadere nel territorio diBarletta, e alcuni appezzamenti di terreno, coltivati ad orto,a frutta, con alberi di olivo, altri lasciati incolti, che, vendu-ti, sono pagati in solidi aurei beneventani.

3.1 Per quello che riguarda l’aspetto fisico della città per ilperiodo esaminato possiamo dire ben poco; dal punto divista archeologico i ritrovamenti sono molto scarsi; le uni-che certezze riguardano l’edificio della cattedrale che con-tinuò a vivere subendo modifiche, anche se non sostanziali,con il rifacimento di parte della antica pavimentazione dalmomento che in tale area furono sistemate già a partire pro-babilmente dalla fine del VI secolo sepolture scavate nelbanco roccioso e nel corso del secolo seguente fu realizzatol’inserimento del sacello di S. Leucio nella zona nei pressidell’abside; tale operazione comportò un innalzamento del-l’originario piano di calpestio e di conseguenza la necessitàdi un’ulteriore sistemazione dell’area. Con tali lavori van-no messi in relazione i resti di una pavimentazione in opussectile, a lastrine calcaree di colori diversi che formanomotivi a rombi e floreali. Le indagini archeologiche realiz-zate tra il 1970 e il 1971 hanno messo in evidenza la pre-senza delle sepolture ricordate e permesso il ritrovamentodi due crocette di tipo funerario in argento (tombe 2, 15) euna in oro di tipo greco, a braccia fortemente espanse (tom-ba 1) che si riallacciano ad una produzione orafa tipica del-l’età longobarda (MOLA 1972; D’ANGELA 1978 e 1992; RON-CHI 1983; ROTILI 1984), oltre che di alcuni fili in oro relativiad una fascia che orlava la veste funeraria all’altezza delginocchio (tomba 15) (MOLA 1972; D’ANGELA 1978 e 1992;ROTILI 1984) di un personaggio che doveva appartenere adun rango sociale elevato; sono state anche recuperate pic-cole fibbie circolari con ardiglione databili tra VII e XI se-colo e alcuni elementi in rame decorati con motivi a pal-mette e perline dello stesso periodo. Particolarmente inte-ressante si è dimostrato il rinvenimento di una grande lastra

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di chiusura di una sepoltura (tomba 1) che presenta sul latointerno una serie di graffiti datati nell’ambito del VII seco-lo (CARLETTI 1988), in cui è possibile riconoscere ancheantroponimi di origine longobarda. Inoltre sia reimpiegatiin punti diversi del complesso della cattedrale medievalesia nel Lapidario del Museo Diocesano sono conservati fram-menti scultorei di età altomedievale che attestano interven-ti relativi ad un arricchimento dell’arredo interno dell’edi-ficio (BERTELLI 2002, nn. 447, 468, 472, 473, 477).

La realizzazione dell’ipogeo di S. Leucio avvenne inconcomitanza con la traslazione delle reliquie del santo daBrindisi a Trani, nel corso del VII secolo, secondo quantoviene narrato nel De translationibus S. Leucii (AA.SS.Jan.I,pp. 672-673), scritto da un anonimo diacono su incarico del-l’arcivescovo Giovanni (1053-1059); il vano sotterraneo,scavato per l’occasione nel banco roccioso, di non grandidimensioni, conserva ancora l’aspetto originario: era com-posto da un corridoio semianulare, allungato verso est; sul-la parete curva erano due altari in muratura di tipo a bloccoe tra questi era collocato un piccolo blocco di tufo, sagoma-to a vaschetta con un foro di scarico posteriore, ritenuto,forse impropriamente, il “piccolo mare” della liturgia bi-zantina; dei due altari rimangono ancora visibili alcuni ele-menti in tufo, mentre dell’altro manufatto rimane appenavisibile la vaschetta; al centro del vano era collocato un sa-cello di forma rettangolare, realizzato con conci di pietra,con un accesso sul lato sinistro ed una grande apertura ver-so est, da cui era visibile l’altare appoggiato alla parete delcorridoio semianulare.

Ancora con la presenza longobarda viene messa in rela-zione la chiesa di S. Magno, ricordata nel documento dell’834;questa, oggi scomparsa, la cui fondazione, di tipo privato, fudovuta al gastaldo Sicoprando, viene collocata nella zona asud-est della città, al di fuori dell’abitato, nei pressi della viache univa Trani a Corato (RONCHI 1980), oltre il luogo in cuiscorreva il flumicellum, elemento di grande importanza perdeterminare la topografia dell’area, il cui tracciato è ancoraoggi in parte riconoscibile sia nell’area depressa ove sorge laBiblioteca Comunale e in quella una volta occupata da Tea-tro Comunale, sia nella zona oltre la stazione; il culto tributa-

to a S. Magno doveva comunque avere un certo seguito an-che nell’hinterland tranese dal momento che nei pressi diCorato compare un sito con tale denominazione, che parzial-mente indagato ha rivelato una frequentazione molto anticaed un riutilizzo più tardo dell’area occupata da una villa tar-doromana (DE JULIIS, VOLPE 1992)

Ad immediato ridosso dell’insenatura portuale, nei pressidella chiesa di S. Nicola al porto, oggi scomparsa, citata in undocumento del 1075 assieme ad altre proprietà che l’abbaziabenedettina di S. Maria di Banzi in Lucania aveva a Trani(SANTIFALLER 1957, doc. 95), è stata posizionata un’area dettalocus campi o campi langobardorum (RONCHI 1988, tav. p. 162),ricordata in documenti del XV secolo (BELTRANI 1873, doc. XIe 1884, doc. I del 2 nov.), e messa in relazione con la presenzadi longobardi accampatisi al di fuori della cinta muraria (CA-GIANO DE AZEVEDO 1977, p. 119), secondo un modo di procede-re, identificato già per altri siti, di tale popolazione prima diinsediarsi ufficialmente all’interno di un abitato.

Sicuramente, prima ancora dell’ingresso dei bizantini incittà, l’abitato doveva essere protetto da una cinta muraria,come sembra ben emergere dalla lettura dei documenti di etàlongobarda, sopra ricordati, nei quali si cita la civitate Tranie il castrum Tranense, presupponendo quindi l’esistenza diun recinto fortificato, anche in relazione al particolare mo-mento storico riguardante la regione, oggetto di scorrerie daparte di bande saracene, scorrerie che portarono, ad esempio,alla distruzione di Canosa alla metà circa del IX secolo, chevenne abbandonata dal suo vescovo rifugiatosi a Salerno, ealla creazione di un emirato (847-871) nella vicina città diBari. Molto probabilmente la cinta doveva risalire ad età tar-do antica (V-VI sec.), in relazione anche alla costruzione del-la cattedrale e dei più antichi edifici della città. Al momento,date le numerose ristrutturazione e rifacimenti che hanno in-teressato l’abitato, è molto arduo poter riconoscere l’origina-rio percorso, tenendo anche presente che in età federicianaTrani fu interessata dalla costruzione dell’imponente castel-lo, posto ad ovest rispetto al nucleo originario dell’abitato, edall’ampliamento della cinta che estendendosi verso est in-globò tutta l’insenatura portuale (FONSECA 1993); tali lavorinon comportarono l’abbattimento della precedente murazione

Fig. 1 – Ricostruzione dello sviluppo urbano di Trani nell’alto medioevo (da RONCHI 1988 con aggiunte).

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che fu mantenuta per tutto il medioevo; la cinta antica, comeha messo in evidenza A. Prologo (1883, pp. 29-40), cui sideve la restituzione del percorso attraverso la rilettura di al-cuni documenti dal momento che, all’epoca in cui scrisse,alcune strutture erano ancora visibili, doveva iniziare nei pres-si della cattedrale, costruita sotto altre forme verso la fine delV secolo e ubicata in una zona rialzata rispetto all’insenaturaportuale; essa doveva proseguire verso est tenendosi ad unadebita distanza dal litorale; su questo tratto si apriva la portaVassalla; immediatamente a ridosso e all’interno della cinta,secondo l’opinione di B. Ronchi (1988, tav. a p. 112 con losviluppo della città nell’XI secolo), doveva essere collocatauna casa horreata di proprietà di Teofilatto e Coleperto, dalmomento che questa, nominata in un atto di vendita del 1059,risulta avere come confini case appartenenti all’episcopio(PROLOGO 1877, n. XVI). Superata la porta, la cinta correvaperpendicolarmente, poi realizzava un angolo quasi retto spin-gendosi più verso il litorale e, proseguendo ancora verso sud,si interrompeva all’altezza della porta Antica seu Aurea, ri-cordata in un documento del 1131 (ove invero è citata solocome porta senza aggettivi qualificanti) assieme alla chiesadi S. Nicola al porto (PROLOGO 1877, n. XXXIII); nei pressidella cinta, all’esterno, è attestata nel 1075 (SANTIFALLER 1957,doc. 95) la presenza di una «cellam Sanctae Trinitatis superportam et portum eiusdem civitatis» e la «cellam Sancti Mar-tini», presenti anche nella carta del 1131; in questa sono poielencati altri edifici religiosi (S. Marco, S. Nicola, SS. Sergio eBacco, una sepoltura nel monastero della Trinità), alcuni clusie loci posti entro e fuori l’abitato. Proseguendo il suo percorsoverso sud, la cinta piegava verso occidente interrompendosiall’altezza della porta Nova, da cui si originava una via carrara,ricordata in un documento del 1075 (RONCHI 1988, tav. a p.112); da qui proseguendo ancora verso ovest si giungeva aporta Vetere e quindi, lasciando al di fuori della cinta il mona-stero di S. Paolo, ricordato in un documento del 1098 (PROLO-GO 1877, XXIV), e l’area su cui sarebbe sorto in età federi-ciana il castello, le mura ritornavano verso la Cattedrale.

4. Un cambiamento nella storia della città avviene nel seco-lo seguente, quando alla dominazione longobarda succedequella bizantina e ciò si riflette palesemente nella documen-tazione scritta, ove gli anni in cui sono rogati i documentisono in relazione agli anni di regno degli imperatori bizan-tini e i pagamenti delle compravendite avvengono in solidicostantiniani.

Le carte relative a tale periodo sono in tutto una quindi-cina e abbracciano un arco di tempo che va dall’ottobre 915all’agosto del 1072, escludendo la bolla di papa AlessandroII del 1063, indirizzata all’arcivescovo di Trani, Bisanzio,ritenuta un falso e messa in relazione con la rivalità esisten-te con la vicina città di Bari (FONSECA 1993)

L’esame delle carte edite forzatamente ha dovuto pren-dere in considerazione anche alcune rogate nella secondametà dell’XI secolo dal momento che le indicazioni che ri-guardano la città, presenti in queste, devono riflettere unasituazione molto più antica. Esemplare è il caso della chie-

Fig. 2 – Pianta della chiesa di S. Martino dopo i restauri deglianni ’90 del XX secolo.

Figg. 3-4 – Chiesa di S. Martino: 3) interno: muro perimetralesettentrionale; 4) particolare delle arcate chiuse.

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sa di S. Martino che, citata per la prima volta in un docu-mento del 1075, forse anche in uno risalente al 1062(SANTERAMO 1924, doc. 1) e poi in quello del 1131, ha rive-lato fasi costruttive risalenti, con grande probabilità, al VIsecolo e ad età altomedievale.

Particolarmente interessante risulta il documento del 915(PROLOGO 1877, n. IV), che è il primo, tra quelli a noi noti,rogato in civitate trane durante la dominazione bizantina: èdatato, infatti, al terzo anno di impero di Costantino VII. Inquesto vengono ricordate alcune persone, Pietro e Maiulo,provenienti dal loco tretasi che doveva ricadere nel finekanosini, che rescindono un contratto stipulato nel 911, ri-guardante la donazione di alcuni beni immobili ubicati sem-pre nello stesso loco; nello stesso documento viene anchenominato il loco Andre (l’odierna Andria) da cui provieneun certo Adelprando.

Al 980, durante il diciassettesimo anno di regno degliimperatori Basilio II e Costantino VIII (PROLOGO 1877, n.V), Maraldo, figlio di Giaquinto, imperiali spathacandidatus, assume l’impegno di consegnare a Giovanni,arcivescovo della chiesa canosina e brindisina, il titolo dipossesso dei boschi della Selva Nera e di San Vittore; incaso di inadempienza dovranno essere versati cento solidicostantiniani. Nel breve rogato nel 1006 (PROLOGO 1877, n.VI), ancora sotto gli imperatori Basilio II e Costantino VIII,Smaragdo, giudice della città di Trani, attesta che Simeone,prototabularius, gli aveva mostrato un documento risalenteal XX anno del regno dei due imperatori ricordati, cioè al983, nel quale Musando e la moglie Anatra, che aveva avu-to parte della proprietà come morgincap, avevano vendutoper dodici solidi aurei constantini a Caloperto, figlio di Gio-vanni, un vigneto di una certa estensione posto non multumlonge a prephata civitate, in ipso cluso da ipso flumicello –nella stessa area quindi ricordata nei primi documenti

Figg. 7-8 – Chiesa di S. Martino: 7) interno: particolare della fi-nestra; 8) interno: particolare della navatella meridionale.

Figg. 5-6 – Chiesa di S. Martino: 5) interno: particolare dell’arcodistrutto del catino absidale; 6) interno: particolare dell’absidepiù tarda.

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dell’834 e 843 – e di cui si determinano i confini con altrivigneti che giungevano usque in via publica.

L’esame dei documenti ci porta ancora a tenere contodella carta del 983 (PROLOGO 1877, n. VII), in greco, con laquale Calociro Antipato, patrizio e catapano Italias, a segui-to dell’assedio del castrum, conferma il titolo vescovile aRodostamo, già attribuitogli dal papa Benedetto, ribadendo ipossessi della diocesi cioè il castrum Juvenazani, quello diRuvo, di Minervino, di Montemilone con tutti i loro posses-si; dal diploma del 999 (PROLOGO 1877, n. VIII) indirizzatoall’arcivescovo di Bari e Trani Crisostomo da GregorioTarcaneiota viene accordata la completa εκξουσσεια per 36chierici residenti a Bari appartenenti alla chiesa cattolica, eper ben 60 a Trani; nel testo si legge ancora che i rispettiviabitanti sono tenuti a riparare e ricostruire i propri castra;ancora nel 1028 (PROLOGO 1877, n. IX) viene ricordato unmonastero dedicato alla Vergine Maria, Madre di Dio, de locoqui vocatur caolossa; mentre nel documento del 1033 (PRO-LOGO 1877, n. X) vengono date alcune interessanti informa-zioni su una casa horreata posta entro la città, di cui vienevenduta una parte, e di cui si descrivono i confini: unasuppinna, una platea de cisterna, una palumbula, unacurticella in comune tra due proprietà; nel 1035 (PROLO-GO 1877, n. XI) si citano porzioni di terreni agricoli posti inloco casamaxima definiti da confini terrieri e viari («iuxtavia antika»). Di un certo interesse è il documento risalente al1036 (PROLOGO 1877, n. XII, pp. 44-45) in cui, nel terzo annodel regno dell’imperatore Michele, i fratelli Giaquinto eDardano donano a Maraldo turmarca un «loco» che hanno«in ipsa subdite ecclesie sancte et gloriose semperque virginisdei genitricis marie de ipso episcopio» e che sembra averefunzioni di sepoltura; dalla lettura del testo risulta evidenteche l’edificio episcopale, ancora quello del VI secolo, si do-veva trovare sottoposto rispetto al livello raggiunto agli inizidell’XI secolo dalla città, come sembra indicare l’aggettivo«subdite». Altra compravendita di terreni coltivati a vite, posti«in cluso de puteo hocleano» non lontano dalla città, è con-tenuta in un atto del 1053 (PROLOGO 1877, n. XIV); nel 1059i figli di Russone (PROLOGO 1877, n. XVI) vendono una casaorreata posta all’interno dell’abitato i cui confini sono defi-niti da una trasenda puplica per due lati, da una media strictolacon una casa che appartiene all’episcopio come pure le altrecase che determinano i confini per la quarta parte.

Al 1064, 1074 risalgono due documenti rogati a Trani eal 1077 un altro rogato a Corato (BELTRANI 1923, docc. nn.III, VII, VIII), in cui si ricorda una chiesa di S. Eustazio inloco Granara cui vengono attribuiti beni da persone origi-nare de loco Casamaxima, mentre nel 1075, all’epoca diRoberto, invictissimo duce italie calabrie et sicilie, si ricor-da una chiesa di S. Vito martire posta fuori la città, posizio-nata nei pressi di alcune vigne, di cui una apparteneva aFalcone de loco iana (BELTRANI 1877, n. XIX).

Ancora di particolare interesse, per quanto riguarda l’esi-stenza della chiesa di S. Martino in città, è un primo docu-mento risalente al 1062 (SANTERAMO 1924) in cui si nominaun monastero di S. Martino, se è giusta la lettura del testomolto lacunoso, ed un secondo del 1075, già ricordato(vedi par. 3.1), con i possessi che l’Abbazia di S. Maria diBanzi aveva, oltre che in Lucania, in Puglia e a Trani. Lachiesa ricompare elencata ancora tra i possedimenti dell’ab-bazia lucana nel 1090 (PANNELLI 1994, p. 46)

I documenti rogati negli ultimi anni dell’XI secolo con-servano altre informazioni: in quello del 1089 si ricordanoalcuni appezzamenti di vigne poste in «cluso …stylla me-diana e lamacupa», una chiesa monastica dedicata a S. Gio-vanni apostolo ed evangelista «de loco qui dicitur turricella»e una chiesa di S. Benedetto ubicata all’interno della città;nel 1098 è ricordata la chiesa di S. Paolo posta fuori la città(BELTRANI 1877, nn. XXI, XXIV).

Una prima e immediata considerazione che emerge conchiarezza al termine di questo, se pure sommario, esamedella documentazione scritta relativa alla presenza bizanti-

na a Trani è che la città e i suoi abitanti sono strettamentelegati al territorio posto nelle più immediate vicinanze del-la città, cioè verso sud-est a ridosso del litorale, e versol’entroterra; in queste zone si svolge una attività agricolavivace che vede i terreni coltivati a vite, a olivi, a frutteti,altri spazi lasciati incolti, la presenza di boschi e selve epercorsi d’acqua, l’esistenza di strade di origine antica e dicarrare; zone in cui l’insediamento umano prevedeva pic-coli nuclei demici scomparsi nel tempo ma che hanno co-munque lasciato deboli segnali che si possono cogliere te-nendo nella giusta considerazione quanto testimoniano conla loro presenza alcune piccole chiese che sorgono comple-tamente isolate nella campagna, prive apparentemente dilegami col territorio: non si tratta altro che di edifici costru-iti nel corso dell’XI e XII secolo sorti in relazione con laesistenza di un casale o di un piccolo loco poi abbandonatogradatamente nel tempo; è questo il caso della chiesa e deltempietto di S. Maria di Giano – loco iana nel documentodel 1075 –, del casale di Pacciano presso Bisceglie, notoanche come locus Primignanus o casale Cimilianus ove èstata identificata una presenza umana già nel corso del Xsecolo (FAVIA, GIULIANI, RINALDI 1991), o ancora la localitàoggi nota con il nome di S. Geffa, appena al di fuori del-l’odierno abitato, che si articola in una chiesa ipogea a trenavate, preceduta da una piccola necropoli.

Gli abitanti di Trani, per il periodo considerato, non sem-brano manifestare alcuna attrazione per il mare, il porto, lanavigazione, il commercio marittimo; nelle carte mancanocompletamente accenni a tali attività; nel 1035 abbiamo unamenzione dell’esistenza del porto solo in quanto si prescri-ve di utilizzare per misurare la semente l’unità di misura –il modium – lì conservata (BELTRANI 1877, n. XI); nel 1075il portum è ricordato assieme ad una porta urbica in relazio-ne ad una cellam della Trinità che sorgeva nelle vicinanze(SANTIFALLER 1957, doc. n. 95); nel 1125 troviamo ancora«una specie di locazione del diritto di pesca sulla terza par-te delle acque del mare, che dal Gialo maggiore si estendo-no fino alle Fontanelle, ad oriente di Trani, per l’annua pre-stazione di quattro legature di buone seppie» (PROLOGO 1877,n. XXIX e pp. 304-305). Soltanto nella seconda metà dell’XIsecolo, o più probabilmente nel successivo, a Trani sarannoemanati gli Ordinamenta maris, il più antico codice marit-timo mediterraneo del Medioevo, che sancisce il diversomodo di porsi della città nei confronti del mare quando ilporto, ad iniziare dal XII secolo, diventerà uno dei punti dipartenza più importanti per l’imbarco verso Gerusalemmee la Terra Santa (FONSECA 1993).

La presenza ebrea per i secoli presi in considerazionenon risulta attestata né tramite la documentazione scritta,che inizierà a solo a partire dal XII secolo, né tantomenoattraverso testimonianze architettoniche; quelle esistenti,trasformate da sinagoghe o scholae in edifici cristiani, sonodi piena età medievale; gli ebrei si installarono all’internodella città, a ridosso della murazione più antica, in unazona verso sud-est, la judecca, tra porta Vassalla e portaAntica.

4.1 – L’esame delle carte e le notizie storiche del periodopermettono dunque di individuare, a partire dalla fine delIX e per tutto il X secolo, un momento particolarmente vi-vace per la vita della città che è ritornata, a seguito dell’im-presa dell’imperatore bizantino Basilio, sotto l’egida bizan-tina, come molte altre città costiere (Bari, Brindisi) e del-l’entroterra (Oria, Matera) (VON FALKENHAUSEN 1978, pp.22-23); la fedeltà a tale dominazione viene premiata con laconcessione della dignità arcivescovile; in un privilegiodell’anno 1000 per l’abate di Montecassino emanato dalcatepano Gregorio Tarchaneiota si nomina la città di Tranicome castrum facente parte del Tema dell’Italia. Da altradocumentazione veniamo a conoscenza che Trani fu sededi una turma, suddivisione territoriale del tema, comandatada un turmarca, come risulta dalla lettura di una carta del1036 e di una del 1039 (BELTRANI 1877, nn. XII, XIII; VON

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FALKENHAUSEN 1978, pp. 117-120). Proprio con tale momen-to storico sono da mettere in relazione alcune particolaritestimonianze presenti nella città che sottolineano la gran-de influenza esercitata dal mondo bizantino. Si tratta so-prattutto di elementi scultorei appartenenti ad arredi chedovevano far parte della decorazione di chiese, alcune del-le quali sono rintracciabili attraverso la lettura di documen-ti di età medievale. Mi riferisco in particolare a due ele-menti rettilinei, decorati con motivi appartenenti alla pro-duzione scultorea di età mediobizantina di area greca e ana-tolica. Il primo dei due si trova reimpiegato come architra-ve nel vano di accesso sinistro alla cripta di S. Nicola Pelle-grino, all’interno della Cattedrale romanica; è costituito dadue frammenti in marmo; la decorazione presenta una seriedi archetti sostenuti da colonnette al cui interno compaionoelementi vegetali tipo palmette, interrotta dalla presenza didue grossi fiori sporgenti a più petali e, verso destra, unaserie di maglie romboidali; la parte inferiore dell’architra-ve è priva di decorazione e vi si alternano riquadri la cuisuperficie risulta liscia e altri con la superficie lasciata sca-bra: questi ultimi ospitavano le colonnette di sostegno (BER-TELLI 2002, n. 469) che sorreggevano l’architrave, impiega-to nell’iconostasi di una chiesa. Sul listello che conchiudesuperiormente la composizione è stata tracciata un’iscrizionein lettere greche che ricorda la costruzione di una chiesadedicata a S. Giorgio per la remissione dei peccati diRomanos Kladon, stratega di Kyberréotes (GUILLOU 1996,n. 181); la datazione dell’architrave sia in base ai motividecorativi sia per le caratteristiche epigrafiche è ascrivibiletra la fine del X e gli inizi del secolo seguente. La famigliadei Kladon ha lasciato diverse tracce in area orientale e nel-la Langobardia; in ogni caso, come ha ben sottolineatoGuillou, la lettura dell’epigrafe permette di aggiungere unRomano ai governatori noti del tema di Kyberréotes e diidentificarlo con il costruttore della chiesa tranese di S. Gior-gio, edificio che, nelle carte dell’Archivio Metropolitano,compare ricordato solo in un documento risalente al 1199(PROLOGO 1877, n. XCI).

L’altro elemento è anch’esso reimpiegato come cornicedella quadrifora che si apre sul braccio nord del transetto,assieme ad altri frammenti, decorati con motivi simili a quellivisti sull’architrave precedente e databili anch’essi tra lafine del X e gli inizi del secolo seguente (BERTELLI 2002,nn. 448-450); uno di questi, precisamente quello che si tro-va alla base del finestrone, conserva un’iscrizione greca, incui si ricorda l’esistenza a Trani di una chiesa, di cui non sicita la dedicazione, costruita in remissione dei peccati del-l’orafo Gregorio, di sua moglie e dei figli, la cui datazioneva riferita al X secolo (GUILLOU 1996, n. 180). La presenzaa Trani di un orafo, figura di grande importanza, che nonagiva in proprio ma che faceva parte di un atelier imperiale,ha permesso allo studioso francese di avanzare l’ipotesi cheGregorio fosse un personaggio di un certo rilievo alla cortecostantinopolitana e che fosse originario di questa città del-l’Italia meridionale. Recentemente un’analisi ravvicinata diquesti frammenti (CAMPESE SIMONE 1998-1999) ha permes-so di individuare, reimpiegate nelle finestre come elementidivisori, cinque colonnette ottagonali, tre delle quali arric-chite da altre colonnette più basse con pomolo sulla som-mità, che sono state messe in relazione con la fronte diun’iconostasi, di cui tutti i frammenti ricordati, assieme adaltri due conservati nel Museo Diocesano (BERTELLI 2002,nn. 485, 487), dovevano fare parte. Appartenenti a questaparticolare produzione sono altri frammenti che dovevanoappartenere ad un arredo interno della cattedrale, tra cui unarco di ciborio ascrivibile al X secolo (BERTELLI 2002, nn.478, 484, 486, 491, 492).

Ancora nella chiesa conosciuta con il nome di S. Mariadi Dioniso è conservata una piccola lastra in marmo(cm 39×35) con la raffigurazione della Vergine Hodegitria;ai lati del volto di Maria e del bambino compaiono le scrittein greco I–C X–C M–P Θ–U; sulla cornice che corre lungo il

bordo corre una scritta in greco in lettere capitali in cui sichiede al Signore di portare aiuto al suo servo il turmarcaDelterios; l’iscrizione viene datata entro la prima metàdell’XI secolo (GUILLOU 1997, n. 182) e il turmarca identi-ficato con uno con simile nome (Eleuterios) che firma cometestimone in un atto rogato a Trani nel mese di ottobre 1039(PROLOGO 1877, n. XIII). L’iscrizione sembra essere di tipofunerario e la presenza della piccola lastra, che ripropone,cambiato il materiale (marmo al posto del legno), una ico-na, potrebbe essere messa in relazione con un edificio chein età bizantina può aver accolto sepolture di alti funziona-ri.

L’insieme delle notizie documentarie e archeologichefinora vagliate, in aggiunta alla presenza, al di fuori del cir-cuito murario più antico, di alcuni edifici religiosi la cuidedicazione può essere letta in relazione alla presenza bi-zantina nella città (chiesa dei SS. Sergio e Bacco documen-tata nel 1131; di S. Basilio, oggi dedicata a S. Andrea, conpianta croce greca coperta da una cupola all’incrocio deibracci, secondo un’icnografia attestata già sullo scorcio delX secolo, ricordata in un documento del 1121 nel CodiceDiplomatico di Tremiti, III, n. 95), permette di restituire,sia pure in modo frammentario e molto lacunoso, un voltoall’abitato e al suo territorio più immediatamente a ridossodelle mura (Fig. 1). Intorno alla fine del X secolo, o al mas-simo nei primissimi decenni del secolo seguente, all’inter-no dell’abitato si possono riconoscere alcune emergenze ar-chitettoniche: la sede dell’episcopio con la cattedrale ed ilbattistero (mai identificato ma che comunque doveva perforza far parte del complesso episcopale) e altre costruzio-ni per la residenza del vescovo; nelle immediate vicinanzela chiesa di S. Martino e quella di S. Agata; al di fuori del-l’abitato verso sud-est, cioè verso l’insenatura ove oggi èubicato il porto, nei pressi del flumicellum, che scorrevanella depressione naturale, ancora oggi riconoscibile nel-l’area in cui sorge la Biblioteca Comunale ed in quella ovein passato era il Teatro Comunale, erano le chiese di S. Mariadi Dioniso, di S. Giorgio, dei SS. Sergio e Bacco, di S. Ba-silio, leggermente più tarda, oltre la chiesa di S. Magno,legata alla presenza dei longobardi, ed il mausoleo di Bebiodi età romana; ancora ad un periodo precedente la venutadei Normanni potrebbe essere ricondotta la fondazione dellachiesa di S. Vito, ricordata in un documento del 1075 (PRO-LOGO 1877, n. XIX); mentre al termine dell’XI secolo po-trebbe ascriversi la costruzione della chiesa della SS. Trini-tà, oggi di S. Francesco, diversa dalla cellam ricordata neldocumento del 1075 (vedi par. 3.1), citata per la prima vol-ta nel documento del 1121 conservato nel Codice Diploma-tico di Tremiti. L’entroterra era interessato dalla presenzadi una serie di loci e vici di non grande estensione ma daiquali si origineranno in età pienamente medievale alcunicasali (Ianus, Iuianello); per alcuni di questi, abbandonatiper cause diverse, rimangono ancora visibili sul territoriosolo piccole e isolate chiese; altri, sviluppatisi nel tempo,hanno dato origine a popolosi centri, come nel caso di An-dria ricordata come loco Andre nel 980; altri ancora sonoinvece scomparsi del tutto o per lo meno non è più possibi-le attribuire la citazione del loco che compare nei docu-menti ad un sito ben individuabile (loco tretasi).

5. Un esame a parte merita la piccola chiesa di S. Martino,ubicata nei pressi della Cattedrale, verso sud, lungo la viaomonima, che ho potuto esaminare più volte grazie alla fat-tiva e disinteressata collaborazione di Francesco Fanelli dellaCoopoerativa Mediterranea, che gestisce la struttura; a que-sta, recentemente restaurata, si accede lateralmente tramiteun portone ed un cortile, che permettono di raggiungere,attraverso una scala, l’aula, sottoposta all’odierno piano difrequentazione della città di oltre due metri (Fig. 2). L’ester-no della costruzione non è visibile dal momento che le suemura perimetrali sono state inglobate in strutture più tarde,poste ad un livello superiore, cancellando di conseguenza

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ogni traccia precedente. Solo la zona della facciata, sul latoverso meridione, all’esterno, sembra conservare qualchetraccia antica: qui è presente parte di una stradella (Fig. 2a),che attraverso alcuni gradini (moderni) permette di scende-re all’interno della chiesa; dal momento che la piccola arte-ria risulta sopraelevata rispetto al piano di calpestio dell’in-terno della chiesa si può ragionevolmente pensare che, quan-do questa fu costruita, il piano di frequentazione dell’abita-to si fosse innalzato rispetto al primitivo impianto dell’edi-ficio. La realizzazione di tale collegamento sembra avercomportato una serie di cambiamenti strutturali della nava-ta meridionale che contestualmente venne risistemata. L’esa-me delle strutture murarie dell’edificio risulta possibile soloanalizzandone l’interno, che si articola in un’aula divisa intre navate e quattro campate, terminanti con due absidi ri-volte verso est; della terza abside, al termine della navatasettentrionale, è ipotizzabile la presenza anche se i resti dellemurature sono poco leggibili. La facciata dell’edificio nonesiste più; al suo posto è stato realizzato in epoca tarda ungrande forno circolare, rimasto in attività fino ai primi de-cenni del XX secolo. Anche ad un primo ed immediato esa-me è possibile individuare, in base alle diverse strutturemurarie, varie fasi di vita dell’edificio, per le quali per ilmomento non è possibile stabilire con precisione una cro-nologia assoluta; va, comunque, sottolineato che tutta lastruttura dell’edificio è stata realizzata reimpiegando mate-riale eterogeneo e che la zona occidentale della chiesa, re-lativamente alla prima campata, ha subito pesanti rifacimentiche ne impediscono una lettura in relazione con le fasi co-struttive identificabili per le altre strutture murarie.

Ad una prima fase va ricondotto il muro perimetrale set-tentrionale, in conci di pietra di piccole dimensioni, dispostiin filari non molto regolari, caratterizzato dalla presenza diquattro arcate a tutto sesto, alte circa m 2,60 – una quintaaperta funge oggi da ingresso –, delineate da una ghiera dacui sporgono conci di pietra messi di taglio e lavorati comese fossero laterizi (Figg. 2b e 3); sui pilastri su cui le arcate siimpostano si leggono attacchi di archi, cui corrispondevanosulla parete opposta altri attacchi che poggiavano su bassipilastri quadrangolari posti a divisione della navata centrale(Fig. 2c), ancora visibili, e che davano origine ad arcate mol-to più alte, circa m 3,10; queste strutture dovevano sostenereuna copertura di tipo a crociera, ribassata. È singolare peròche in questa navatella la volta che copriva la seconda cam-pata si imposti verso ovest su una piccola colonnetta (Fig.2d) e che, inoltre, il muro che divide la navatella dalla navatacentrale sembri essere stato realizzato tenendo presente pro-prio la colonnetta ricordata, dal momento che a questa si ap-poggia la struttura; forse si potrebbe ipotizzare che in unaprimissima fase i varchi tra la navata centrale e le navatelle –almeno la settentrionale perché sull’altro lato le numerosemanomissioni della muratura rendono impossibile identifi-care la fase più antica-siano stati realizzati con le piccolecolonne che sono ancora oggi presenti all’interno dell’edifi-cio, riutilizzate però in maniera diversa, e in seguito questesiano state sostituite da pilastri o inglobate in questi; taleipotesi è suffragata da quanto dettomi dall’arch. GermanoSangirardi, direttore dei lavori di risanamento e restaurodell’edificio, che ringrazio per la disponibilità e cortesia,che ha trovato resti di mensole e capitelli inglobati nei pila-stri e tracce al di sotto dell’attuale piano di calpestio riferi-bili alla presenza di basi di colonnette (Fig. 2e), pur se dialcune incongruenze costruttive non è possibile rendere ra-gione. In un momento successivo furono chiusi i varchi adarcate (Fig. 4) e, sul muro rettilineo ottenuto a divisione trala navatella settentrionale e la navata, furono realizzati al-cuni pilastri appoggiati al muro e inserite alcune colonnette(Fig. 2f) in relazione ad una nuova copertura sulla navatamaggiore con arcate e volte di tipo a crociera ribassata, macostruite in maniera empirica, sulla navata centrale (Fig.5); questa fase interessò anche l’abside principale che ven-ne rifatta come pure venne realizzata ex novo l’abside me-

ridionale, ancora esistente; di tale intervento rimangono leg-gibili nell’abside centrale gli attacchi laterali dell’arco al disopra del catino absidale (Fig. 6). La copertura della navatel-la settentrionale è attualmente a botte: ma si tratta di una re-alizzazione posteriore; risulta essere molto più alta rispettoalla copertura originaria; tale intervento deve essere messoin relazione con una delle ultime ristrutturazioni dell’edifi-cio, forse anche con la costruzione di alcuni ambienti al pia-no superiore. Verso est il perimetrale settentrionale, la cuitessitura muraria risulta compromessa e poco leggibile nellazona inferiore, sembra terminare con l’accenno di un murosemicircolare, in relazione con un’abside, che dovrebbe ap-partenere ad una fase seriore.

L’abside della navata centrale venne in seguito modifi-cata con la costruzione di un cilindro absidale più alto, conconci ben squadrati di dimensioni diverse rispetto a quelliutilizzati per la tessitura muraria delle fasi precedenti (Fig. 6).La struttura della navatella meridionale presenta fasi costrut-tive molto complesse e di difficile lettura; anche qui i passag-gi verso la navata centrale erano realizzati con arcate su pila-stri che in un secondo intervento vennero tompagnate menole prime due verso l’ingresso che furono soltanto ristrette elungo la navata centrale, come sull’altro lato, vennero siste-mati pilastri e una colonna per sostenere la nuova copertura(Fig. 2g); all’altezza della terza campata sulla navatella ven-ne realizzato un muro sul quale fu aperta una finestra arcuata(Fig. 7); all’altezza della quarta arcata, invece, in basso è at-tualmente collocato un sarcofago di VI secolo (Fig. 2h), ap-poggiato in parte alla muratura di chiusura dell’arcata e sucui poggia ancora un pilastrino quadrangolare con capitelloa foglie lisce da cui si origina un’arcata che, come le altrepresenti lungo il muro della navatella, sostenute da due co-lonnette, sorregge una copertura a botte molto rialzata (Fig.8) che va letta in relazione al rifacimento di tutta la navatella;tale rifacimento sembra essere una tarda sistemazione dalmomento che il perimetrale meridionale dell’edificio sembraessere stato rifatto completamente; con tale intervento vaanche messa in relazione l’apertura di un varco, al terminedel muro, che metteva in comunicazione con l’area esterna(Fig. 2i). Nel cilindro dell’abside, in alto, sono inoltre leggi-bili alcuni interventi che hanno portato alla ulteriore realiz-zazione di due ghiere in tufi giallastri realizzati a sguscio e diuna grande finestra rettangolare da mettere in relazione conuno sfruttamento dell’edificio, ormai abbandonato, comedeposito di materiale che veniva fatto scivolare dall’alto.L’analisi delle murature ai lati della struttura absidale, in cuisono leggibili cesure e aggiunte di murature, permette di ipo-tizzare la presenza di un’abside, relativa alla più antica co-struzione, con un raggio maggiore rispetto a quello attuale.Piccoli brani di intonaci colorati, illeggibili, sono presenti siain alcuni tratti dell’absidiola ora citata, sia lungo due dellearcature del muro perimetrale settentrionale sia sul muro adiretto contatto con l’imboccatura del forno, a ovest; in que-sto tratto sono visibili solamente alcuni panneggi relativi adun mantello indossato da una figura.

In base a quanto osservato ritengo che si possa indivi-duare una successione di fasi così articolata, iniziando dal-la più antica:1) presenza, verso settentrione, di un muro con asse est-ovest arricchito da arcate chiuse evidenziate dalla presenzadi conci sporgenti dal filo del paramento murario; questonon è perpendicolare ma risulta fuori asse verso est, dovetermina incurvandosi leggermente; sui pilastri da cui si ori-ginano le arcate sono visibili attacchi e resti di muraturerelative ad una copertura di tipo a crociera ribassata; versoovest di fronte alla prima arcata chiusa è collocata una co-lonnetta che regge parte della copertura originaria e che sem-bra essere in relazione con questa fase; le altre strutture sonoobliterate dai rifacimenti successivi, ma si può ritenere chein origine vi fosse un edificio a tre navate, poco sviluppatoin altezza, monoabsidato, con colonnette a divisione dellenavate stesse

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2) realizzazione di un edificio a tre navate, orientato, sfrut-tando il muro settentrionale; la divisione tra le navate vienefatta costruendo due muri ad arcate su pilastri; non ci sonoresti evidenti dell’abside anche se ne è ipotizzabile la pre-senza; infatti nella muratura riferibile all’abside successi-va, ai lati, è possibile scorgere una cesura muraria relativa atale intervento3) i valichi di accesso tra le navate sono tompagnati e nellanavata centrale vengono realizzati alcuni pilastri e allog-giate tre colonnette, per la costruzione della nuova copertu-ra di tipo a crociera, costruita in modo empirico; in relazio-ne con questa fase va messa la costruzione di una nuovaabside, di cui si vede ancora parte della muratura inferioree l’arco posto sopra il catino absidale della navata centrale;nella navatella meridionale vengono realizzati l’abside e ilrelativo arco; la copertura della campata doveva essere deltipo a crociera ribassata dal momento che ne rimangonovisibili alcuni tratti; viene aperta una finestra arcuata all’al-tezza della terza campata; nulla si può dire sulla presenza omeno di un’altra absidiola al termine della navatella setten-trionale, la cui muratura risulta fortemente rimaneggiata,ma nella curvatura verso est del muro si può leggere unaprova della sua esistenza; nella navatella settentrionale vie-ne realizzata una nuova copertura a botte in relazione allamutata altezza dell’edificio4) nella navata centrale viene ristrutturata la zona orientalecon la realizzazione di un’abside alta, in conci di pietra cal-carea chiara, grandi e omogenei disposti in filari regolari,che ha occultato parzialmente la muratura precedente; vie-ne aperta di una piccola nicchia sulla parete sinistra del-l’emiciclo absidale;5) rifacimento totale del muro perimetrale della navata me-ridionale, che risulta anche più larga rispetto all’altra; se-condo quanto documentato dall’architetto Sangirardi i quat-tro sarcofagi, segnati sulla pianta della chiesa lungo il muromeridionale, furono impiegati come elementi su cui impo-stare il nuovo muro; questi, infatti, dalle foto realizzate nelcorso dei lavori, erano visibili anche dal lato esterno delmuro; probabilmente tale intervento va messo in relazioneanche con il vano di accesso presente sul muro prima del-l’absidiola e che doveva collegare la navata con un’areaesterna a sua volta in relazione con il contiguo monastero ela chiesa di S. Giovanni; la zona ad occidente della navatel-la ha subito grandi rifacimenti per cui non è possibile com-prendere la sua struttura originaria; con questa fase va mes-so in relazione l’ingresso sulla navatella raccordato con lastrada, realizzata ad un livello più alto rispetto al piano dicalpestio della chiesa, che correva con asse nord-sud di fron-te alla facciata dell’edificio. Venne realizzata una nuovacopertura a botte molto alta che poggia, iniziando da ovest,su una prima colonnetta (sistemata in occasione dei restau-ri, ma comunque vi doveva essere un appoggio dal momen-to che rimane la mensoletta in situ), su una seconda, su unpilastrino quadrangolare in calcare con capitello a foglielisce (BERTELLI 2002, n. 496; D’ANGELA 2002, p. 369, la cuidatazione controversa, VI o VIII-XI sec., non comporta pro-blemi per la successione delle fasi) posto a sua volta sullato occidentale del sarcofago di VI secolo; con questo in-tervento potrebbe essere in relazione la costruzione di unampio arco con funzioni di contrafforte che attraversa lanavatella terminando sul muro perimetrale meridionale.Appare interessante l’impiego dei sarcofagi in pietra calca-rea, di cui due di VI secolo, come elementi costruttivi; sipuò ritenere che essi, presenti già all’interno dell’edificio,in cui in effetti è stato identificato un certo numero di se-polture, abbiano perso la loro funzione originaria e sianostati recuperati come materiale da costruzione;6) realizzazione di una apertura sulla volta della navatellameridionale e di un’altra segnalata dalla presenza di duefilari di conci in tufo e da una finestra rettangolare nellaparte alta dell’abside dell’ultimo intervento che mettevano

in comunicazione l’edificio con il soprassuolo; evidente-mente la chiesa aveva perso le sue funzioni originarie edera utilizzata almeno in alcune parti come deposito;7) costruzione di un forno che ha annullato la facciata del-l’edificio e la cui realizzazione ha comportato uno stravol-gimento e rifacimento delle strutture relative alla prima cam-pata di tutte le tre navate dell’edificio

Le fasi 6 e 7 sono da ascrivere ad età moderna, tra XIXe XX secolo; la fase 5 relativa alla navata meridionale conla sua ricostruzione ed allargamento potrebbe essere ascrit-ta ad età tardo medievale; la fase 4 per le caratteristichecostruttive, per la tipologia del paramento murario e dellafinestrella nell’abside, per confronti con edifici tranesi del-la seconda metà-fine XII secolo potrebbe datarsi in tale arcodi tempo (Cattedrale, chiesa di Ognissanti, ecc.). Più arduoè tentare di fornire un termine cronologico per le fasi prece-denti, dal momento che non sono mai stati resi noti i dati discavo e che non si è proceduto nel corso dei lavori di re-stauro ricordati ad indagini stratigrafiche, perdendo così unaoccasione importante per la ricostruzione delle fasi più an-tiche di vita della città. La fase 3, più leggibile soprattuttonella navata centrale, potrebbe ritenersi genericamente dietà altomedievale, sia per lo sviluppo della zona absidale,dal momento che le absidiole sono realizzate nello spessoredella muratura, che richiama soluzioni di età bizantina, siaper la possibilità di confrontare genericamente le soluzionicostruttive adottate ed il tipo di muratura con l’edificio apilastri ed arcate rinvenuto nel soccorpo della cattedrale diBari, datato nei primi decenni dell’XI secolo (BERTELLI1994); la fase 2 dovrebbe risalire ad un periodo non moltolontano rispetto alla fase 1, che, a mio parere, sarebbe daporsi tra la fine del VI e il VII secolo per diversi motivi: ilprimo riguarda la possibilità di un confronto tra la muraturaleggibile sul perimetrale settentrionale e quella visibile nelsacello di S. Leucio, posto all’interno della cattedrale pa-leocristiana, realizzato nel corso del VII secolo per ospitarele reliquie del santo giunte da Brindisi; il secondo legatoalla presenza della sepoltura, su cui tornerò, identificata aldi sotto del piano di calpestio della navata centrale ascrittaal VI-VII secolo, in base a considerazioni stratigrafiche edal corredo, perfettamente in asse con la chiesa di fase 2; sipotrebbe quindi ipotizzare che anche l’edificio di fase 1avesse lo stesso sviluppo planimetrico dei successivi; vaanche sottolineato il fatto che il culto di S. Martino, vesco-vo di Tours nel IV secolo, accanito avversario del paganesi-mo e dell’arianesimo, ha avuto una grande importanza eseguito proprio con la presenza dei Longobardi sul territo-rio italico a partire dal VII secolo, a seguito della loro con-versione ufficiale al cattolicesimo.

Nel corso dei lavori ricordati sono state riportate in lucealcune sepolture dislocate in zone diverse della chiesa; nel-la navatella meridionale, oltre ai sarcofagi ricordati di cuinon è possibile ricomporre la storia, si sono individuate al-tre due sepolture. Interessante è l’identificazione lungo lanavata sinistra, nella zona della prima campata, di una se-poltura del tipo à logette, il cui uso, attestato nel V secolo,continua fino all’VIII e IX; altre due deposizioni sono stateindividuate al di sotto della pavimentazione della navatacentrale; si doveva indubbiamente trattare, proprio per laloro posizione, di deposizioni di tipo privilegiato. Delle se-polture identificate nel corso dei restauri solo due sono ri-maste in vista, tutte le altre sono state obliterate dalla stesu-ra di una nuova pavimentazione in cemento e brecciolino.Quella individuata nella navata centrale, a circa 1 m al disotto dell’attuale piano di calpestio, più alto rispetto all’ori-ginario, è stata l’unica ad essere indagata archeologicamente(GIULIANI 1994). L’intervento ha messo in evidenza la pre-senza di una tomba coperta da due lastroni di pietra calca-rea, scavata nella roccia con pareti intonacate, il cui profiloera tronco piramidale, la parte di fondo era costituita dategole legate con malta; all’interno, assieme ai resti di uno

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scheletro in connessione anatomica e ad altri frammenti osseirelativi a deposizioni precedenti, si sono rinvenute due boc-chette come corredo funerario, che per alcune caratteristi-che formali sembrano appartenere ad una produzione di VI-VII secolo. La tomba, in base alla sua posizione, in assecon la zona presbiteriale e con la testa dell’inumato rivoltaverso di questa, sembra essere stata realizzata proprio inrelazione con l’edificio e con la sua prima fase di vita. Aquesta dovrebbero appartenere anche i sarcofagi collocatinella navatella meridionale, di cui due risalgono al VI seco-lo, anche se non sono nella posizione originaria; con gran-de probabilità dovevano essere già presenti all’interno del-la chiesa, forse proprio in questa zona (BERTELLI 2002, nn.498,499). Alla fine del V secolo è da ascrivere una lastra dipluteo in due frammenti, decorata con una piccola crocecentrale entro un disco da cui si originano altre braccia del-la croce per un totale di otto elementi terminanti con i ver-tici espansi (BERTELLI 2002, n. 497); gli spazi liberi sonooccupati da motivi semilunati; la sua presenza, anche se sitratta di materiale erratico, ribadisce, assieme agli altri ele-menti evidenziati, la frequentazione della zona in un perio-do abbastanza antico.

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