Galileo-La Svolta Del Pensiero

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Galileo Galilei (Pisa 1564 – Arcetri, Firenze 1642) è considerato il padre della rivoluzione scientifica e uno degli iniziatori della nuova età della conoscenza del genere umano.Nel corso della sua vita Galileo realizzò numerose scoperte, raggiunse nuove verità e proprio per questo si trovò in contrasto con l'autorità della Chiesa. Nel 1633 arrivò il processo a Galileo che terminò con la sua abiura. Oramai lo scienziato pisano aveva però dato il via ad una nuova epoca del pensiero.Nell'alba del genere umano, l'uomo aveva paura di ciò che lo circondava e per difendersi si alleò con delle potenze, come per esempio divinità che dominassero il mondo tramite la volontà, che garantissero la sua sopravvivenza,Con il passare del tempo prese il sopravvento il pensiero greco che introdusse il concetto di verità: solo conoscendo la verità, infatti, è possibile tutelare la propria esistenza e questo perchè la verità è una sicurezza irremovibile.Il pensiero greco venne poi eclissato dall'avvento del pensiero cristiano che attribuì il concetto di verità e il suo importantissimo valore al Dio antropomorfo e alle sue rivelazioni agli uomini. Accadde quindi che venne considerata verità quella racchiusa nelle Sacre Scritture. Il problema della conoscenza nacque appunto perchè ciò non racchiuso nelle Scritture – effettivamente una grande quantità di nozioni – non poteva essere considerata verità.Il dibattito venne placato in un primo momento da San Tommaso d'Aquino che dimostrò come le verità scopribili con la ragione e con i sensi coincidessero con quelle espresse nei testi sacri.Tuttavia, le scoperte nel mondo aumentavano sempre di più e, collocandosi in testa ad una schiera di personaggi quali Guglielmo d'Ockham, Francis Bacon, Giordano Bruno e Niccolò Copernico, Galileo Galilei e Copernico distrussero completamente la cosmologia aristotelico-tolemaica: distrussero quindi la verità delle sacre scritture.La verità venne così meno e l'autorità della Chiesa si difese attaccando i promulgatori delle nuove verità. Un problema irrisolvibile come questo nacque nel 1500 e perdura ancora oggi.Se da un lato era stata minata per sempre la concezione cristiana del mondo, dall'altro si erano poste le fondamenta per la costruzione di una nuova concezione del mondo: quella dello scienziato, convinto che il mondo funzioni nel modo più ragionevole possibile e che quindi possa essere scoperto gradualmente. Una visione che, oggi come oggi, è intrinseca più che mai nella nostra cultura.

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Il caso Galileo: la svolta del pensiero

A cura di: Foschi Elisa, Furno Francesco, Guidazzi Giulia, Piotrowska Ilona La vita di Galileo Galilei Galileo Galilei, (Pisa 1564 - Arcetri, Firenze 1642), fisico, astronomo e filosofo italiano, insieme all'astronomo tedesco Keplero, è considerato uno dei fondatori della rivoluzione scientifica del XVII secolo, culminata nell'opera di Isaac Newton. Il disaccordo con l'autorità ecclesiastica, in seguito alla sua adesione alle tesi copernicane, l'obbligo di abiurare e la condanna che ne seguì hanno fatto di Galileo il simbolo della difesa del diritto della scienza a "ricercare" la verità, rifiutando qualsiasi limitazione da parte delle autorità. Figlio del musicista Vincenzo, Galileo ricevette la prima formazione culturale presso i monaci di Vallombrosa; nel 1580 si iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università di Pisa, ma il maturare di nuovi interessi per la filosofia e la matematica lo spinse ad abbandonare gli studi intrapresi e a dedicarsi a queste discipline. Nel periodo successivo lavorò ad alcuni scritti sull'idrostatica e sui moti naturali, che non furono pubblicati. Nel 1589 divenne professore di matematica a Pisa, dove iniziò la critica del pensiero aristotelico: si dice che per dimostrare ai suoi allievi l'errore del filosofo greco, secondo il quale la velocità di caduta di un corpo era proporzionale al suo peso, egli abbia lasciato cadere contemporaneamente due oggetti di peso diverso dalla Torre pendente. Nel 1592 ottenne la cattedra di matematica all'Università di Padova, dove rimase per diciotto anni. Nell'ambiente stimolante della città, Galileo inventò un "compasso" geometrico-militare per calcolare la soluzione di problemi balistici e realizzò numerosi esperimenti che lo condussero alla scoperta delle leggi che regolano la caduta libera dei gravi; studiò il moto dei pendoli e alcuni problemi di meccanica. Per quanto riguarda l'astronomia, egli dichiarò la sua adesione alla teoria copernicana sin dal 1597 e, in contrapposizione alla concezione geostatica del cosmo elaborata da Tolomeo, addusse una teoria delle maree che assumeva il movimento della Terra. L'invenzione del cannocchiale, nel 1609, rappresentò una svolta nella sua attività scientifica: perfezionò lo strumento e lo utilizzò per precise osservazioni astronomiche. Pubblicò le sue scoperte nel marzo 1610 con il Sidereus Nuncius. La fama che ne trasse gli procurò il posto di matematico e filosofo di corte a Firenze, dove, libero dagli impegni dell'insegnamento, si dedicò alla ricerca e alla stesura delle sue opere. L'osservazione delle fasi di Venere (1610) rappresentò una convincente conferma dell'ipotesi copernicana. La sua critica alla teoria di Aristotele sulla perfezione dei cieli innescò un'accesa polemica con l'ambiente filosofico; il contrasto con i teologi si inasprì ulteriormente con la pubblicazione, nel 1612, di un'opera sulle macchie solari in cui Galileo faceva aperta professione delle teorie copernicane, considerate eretiche perché in contraddizione con il contenuto della Bibbia. Nel 1614 un sacerdote fiorentino denunciò i seguaci di Galileo dal pulpito. Galileo rispose con una lunga lettera, nella quale affermava che il conflitto tra il pensiero scientifico e l'interpretazione dei testi sacri non era sintomo di una duplice verità: occorreva invece distinguere fra il significato anzitutto morale e salvifico delle Sacre Scritture, le quali ricorrevano anche a un linguaggio immaginoso per farsi comprendere dal popolo, e la ricerca scientifica, che deve basarsi esclusivamente sulle "sensate esperienze" – le osservazioni dei sensi – e le "certe dimostrazioni", le dimostrazioni di tipo matematico. All'inizio del 1616, i libri di Copernico furono sottoposti a censura per editto e il cardinale gesuita Roberto Bellarmino intimò a Galileo di ripudiare la teoria sul moto della Terra. Galileo restò in silenzio per anni, lavorando a un metodo per determinare le longitudini sul mare in base alla posizione – da lui prevista – dei satelliti di Giove e riprendendo gli studi precedenti sulla caduta dei corpi. Espose le sue idee sul metodo scientifico nel Saggiatore (1623), nel quale l'idea centrale è che la complessità del mondo possa essere ricondotta agli elementi semplici della matematica, centro della strategia conoscitiva di Galileo. In seguito pubblicò anche un'opera sul fenomeno delle comete, che fu benevolmente accolta dal nuovo pontefice Urbano VIII. Nel 1624, incoraggiato dal credito ottenuto, mise mano a un'opera che voleva chiamare Dialogo sulle maree, nella quale riprendeva ed esaminava le teorie tolemaica e

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copernicana in relazione alla fisica delle maree. Nel 1630 il libro ricevette il visto per la stampa dai censori della Chiesa di Roma e fu pubblicato due anni dopo a Firenze con il titolo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, dove ribadì i suoi concetti riguardanti il cosmo e la matematica per i quali egli venne convocato a Roma dall'Inquisizione, che lo processò per "grave sospetto di eresia". Venne condannato al carcere a vita (pena che fu rapidamente commutata negli arresti domiciliari permanenti ad Arcetri). Fu ordinato, inoltre, che il Dialogo venisse bruciato e che la sentenza contro lo scienziato fosse letta pubblicamente in tutte le università. L'ultimo libro di Galileo, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica, pubblicato nel 1638 a Leida, in Olanda, riesamina e perfeziona gli studi precedenti sul movimento e, in generale, i principi della meccanica. Quest'opera aprì la strada che avrebbe portato Newton a formulare la legge della gravitazione universale, collegando le leggi di Keplero sui pianeti alla fisica-matematica di Galileo. Intorno al 1870, con la pubblicazione completa dei documenti del processo a Galileo, l'intera responsabilità della condanna dello scienziato fu attribuita alla Chiesa, trascurando il ruolo svolto dai professori di filosofia del tempo che, per primi, persuasero i teologi del contenuto eretico della scienza di Galileo. Verso il cuore della questione “Io Galileo [...] giuro che ho sempre creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica et insegna la Santa Cattolica et Apostolica Chiesa. Ma perchè da questo Santo Offitio, per aver io, dopo essermi stato con precetto dell'istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il Sole sia centro del mondo e che non si muova e che la Terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non dovessi tenere, difendere nè insegnare in qualsivoglia modo, nè in voce nè in scritto, la detta falsa dottrina e dopo essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Santa Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l'istessa dottrina già dannata et apporto ragioni con molta efficacia a favore di essa, senza apportar alcuna solutione, sono stato giudicato vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e immobile, e che la Terra non sia centro e si muova; pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d'ogni fedel christiano questa vehemente sospitione, giustamente di me concepita, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, et generalmente ogni qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più nè asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simile sospitione; ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo denontiarò a questo Santo Offitio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo dove mi trovarò.” Galileo Galilei, 22 giugno 1633 Abbiamo qui sopra riportato il testo dell'abiura che Galileo Galilei (1564-1642) pronunciò davanti al Tribunale della Santa Inquisizione. Tale testo aveva la funzione di confutare e ripudiare le scoperte sviluppate dallo stesso scienziato pisano, prima tra le quali la conferma della veridicità della teoria copernicana. Pochi secoli dopo si riconobbe che, sia Galileo, sia Copernico, sia Bruno, sia Kepler avevano ragione; nel 1979 il pontefice Giovanni Paolo II, nella Costituzione conciliare Gaudium et Spes affermò: “Ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro.” Sembra ora lecito chiedersi: come fu possibile, da parte della Chiesa, arrivare a negare scoperte che apparivano inevitabilmente come evidenze? Su che cosa si fondò il conflitto tra Scienza e Chiesa, che nacque proprio in quel periodo, e che si trascina fino ai giorni nostri? Con quale coraggio e con

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quali motivazioni Giordano Bruno fu bruciato, da vivo, in campo dei Fiori a Roma e Galileo fu costretto ad abiurare evitando così una sorte simile? Come cambiò il pensiero dopo l’età del processo a Galileo? La risposta è che il caso Galileo, e gli altri casi “di contorno storico”, segnarono una delle svolte del pensiero più importanti nella storia dell'umanità, una svolta per niente scontata e che si porta dietro millenni di esistenzialità della nostra specie. Etica: potenza, verità, alleanza. Albert Einstein, nel suo libro “Come io vedo il mondo”, divide le religioni di tutti i tempi in tre tipologie. La prima di queste identifica nelle popolazioni primitive e preistoriche una religione del terrore; egli intende, cioè, che l'uomo primitivo, impaurito e incosciente delle cause della sua condizione, creda che esse dipendano dal libero arbitrio di un essere, simile a lui, sotto la cui volontà è governata ogni cosa. Facciamo un esempio: come riporta Freud (L'Interpretazione dei Sogni, 1899), nelle popolazioni preistoriche i sogni erano legati ad un forte misticismo, cioè si credeva che essi fossero impressi negli uomini dall'esterno e che fossero rivelazioni da parte di Dei e Demoni - fino ad Aristotele non si intuì la natura mentale del sogno - . Inoltre, i sogni, considerati quindi come oggetto di volontà divina, erano usati come guide nelle azioni delle tribù ed erano collegati ai riti propiziatori, come offerte e sacrifici, spesso umani, per gli Dei. Tali rituali avevano la funzione di assicurare all'individuo il compiacimento delle divinità, e quindi la loro alleanza. Soffermiamoci ora su quella che Einstein considera la religione del terrore e sul significato del termine etica. Sebbene possa apparire strano, l'etica esisteva molto prima dell'avvento del pensiero greco e aveva, per l'uomo pre-filosofico, il seguente significato: essere al sicuro. In che modo e in che senso? L'uomo ottiene sicurezza alleandosi con la potenza, infinitamente superiore a lui, con la convinzione che essa salvaguardi la sua esistenza. Nell'esempio sopra riportato, è relativamente semplice far coincidere la potenza con gli Dei e coi Demoni, l'alleanza con la devozione nei confronti della potenza, la quale si manifesta con i riti propiziatori, e la causa della necessità di questa alleanza con la presenza di un fenomeno del quale non si conosce la natura. Questa visione minimale dell'etica sembra essere una caratteristica propria del genere umano, che fu intuita anche dallo stesso Einstein che disse: ”Tutto ciò che è fatto e immaginato dagli uomini serve a soddisfare i loro bisogni e a placare i loro dolori.” Infatti, successivamente, con l'avvento del pensiero filosofico greco avvenne una trasformazione importantissima: il concetto di etica si radicalizzò e acquistò un significato inaudito. I Greci introdussero nel paradigma precedente (potenza, alleanza, etica) il concetto di verità, nel quale si identifica la potenza e senza il quale non ci può essere alleanza. Infatti, la potenza è autentica, e quindi realmente potente, solo quando essa possiede la verità. Se ci si allea con una potenza apparente e priva quindi di verità, l'alleanza è insicura e l'individuo perde la protezione conferita dalla potenza. Ecco che ethos per i Greci diventa l'alleanza esclusivamente con la vera potenza. Tuttavia, non tutti i Greci riuscirono a elaborare filosofie dove il concetto di ethos avesse questa fermezza. Ci basti però ricordare, per comprendere meglio quanto detto, che Socrate diceva: “Se uno conosce, si comporta bene”. Riprendendo uno spunto di Platone, Aristotele dice che gli uomini sono spinti a filosofare dalla “meraviglia” che essi provano quando, di fronte agli accadimenti del mondo, ne ignorano le cause. Cercano quindi la filosofia per se stessa, perché vogliono conoscere e non perché intendano servirsi della filosofia in vista di qualche vantaggio. Tuttavia la parola greca “tháuma”, che traduciamo con “meraviglia”, ha un significato molto più intenso: indica anche lo stupore attonito di fronte a ciò che è strano, imprevedibile, orrendo, mostruoso. Se infatti non si conoscono le cause di ciò che accade ― se ciò che accade non rientra nella spiegazione del mondo della quale l’uomo di volta in volta si trova in possesso ― , allora l’accadimento delle cose é l’inquietante e diventa la fonte di ogni terrore e di ogni angoscia. E anche di ogni dolore, perché la sofferenza è insopportabile quando non è spiegabile e si avventa

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sull’uomo imprevedibilmente e senza ragione. Affermando che la filosofia nasce dalla meraviglia, Aristotele intende dire (anche se evita di sottolinearlo) che la filosofia nasce dal terrore provocato dall’imprevedibilità del divenire della vita. Conoscendo le cause del divenire, la filosofia rende prevedibile l’imprevedibile, lo inserisce nella spiegazione stabile del senso del mondo, e quindi appronta il rimedio contro il terrore della vita. Proprio nel passo dove stabilisce il nesso tra filosofia e “meraviglia”, Aristotele osserva che anche il “philòmythos” (alla lettera: “colui che ama il mito”, ossia che costruisce i miti e crede e vive in essi) è in qualche modo filosofo, perché anche la costruzione dei miti scaturisce dalla “meraviglia”. Anche il mito, infatti, raccoglie gli eventi del mondo all’interno di una spiegazione unitaria: predispone un’interpretazione stabile dell’universo e attende, preparato da essa, l’irrompere degli eventi, i quali dunque perdono la loro imprevedibilità terrorizzante e si adeguano all’ordine cosmico enunciato dal mito. Anche la conoscenza mitica delle cause e degli eventi è un rimedio contro il terrore dell’imprevedibile. Tuttavia, facendo riferimento al concetto di ethos spiegato prima, appare chiaro che questo secondo tipo di alleanza, quella del “philòmiythos”, risulta essere una falsa alleanza, in quanto la potenza, priva della verità, è apparente: infatti è un rimedio insicuro, perché il senso mitico del mondo non è verità, non è un sapere incontrovertibile e assolutamente stabile che la filosofia, in quanto episteme, si propone di essere. Quindi, se da un lato il pensiero greco aveva quasi totalmente superato la precedente religione del terrore, dall'altro non aveva ancora concepito quella seconda tipologia di religione che Einstein chiama morale e sociale. Essa, che trovò (e trova ancora) la sua massima espressione nella religione cristiana, identifica un dio-provvidenza, antropomorfo, che protegge, fa agire, ricompensa e punisce. La divinità ama, incoraggia, protegge e tutela. Un Dio che ha quindi un fondamento morale e sociale, che ricorda quello delle figure materna e paterna, ma che non presenta quell'imperfezione tipica dell'uomo. Questa religione sociale e morale ha dominato assolutisticamente il percorso umano per più di quindici secoli ed è essenziale delinearne i tratti principali e cercare di confrontarla con l'ethos dei Greci, per poter comprendere al meglio la rivoluzione del pensiero che Galileo e gli altri pensatori hanno portato avanti. La Storia del Pensiero della Chiesa, tra fede, ragione e verità. Le “Lettere” di Paolo di Tarso annunciano i dogmi fondamentali della nuova religione che avrebbero dovuto essere necessari nei secoli a venire come costanti punti di riferimento per ogni cristiano, e così è stato. Essi sono: - la conoscibilità naturale di Dio: egli è, infatti, conoscibile attraverso le sue opere, nelle quali si è rivelato e dalle quali appaiono, in modo evidente, la sua potenza e la sua gloria; - la dottrina del peccato originale e l’affermazione della possibilità per l’uomo di riscattarsi da tale condizione mediante la fede in Cristo; - il concetto di grazia come azione salvifica di Dio attraverso Cristo; - il nuovo precetto di vivere la vita secondo lo spirito, non secondo la carne; - l’identificazione del regno di Dio con la vita e con lo spirito della comunità dei fedeli, cioè la Chiesa. Secondo lo stesso Paolo, infatti, la Chiesa è il corpo di cristo, e i cristiani ne sono le membra. Come la storiografia da sempre ci riporta, ogni grande cambiamento è collegato direttamente e indirettamente ad avvenimenti precedenti che ne forniscono le solide fondamenta per il futuro. In questo senso possiamo dire che la religione cristiana, prima, e la filosofia cristiana, poi, abbiano risentito di un'enorme influenza del pensiero greco. Per prima cosa affermiamo che sia il pensiero classico, sia quello della giovane Chiesa, concordassero nell'attribuire alla realtà una certa razionalità. Infatti, se per i Greci era possibile comprendere la natura delle cose con il pensiero - il famoso collegamento tra pensiero ed essere con

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l'uso puro della ragione - per i cristiani la potenza creatrice divina aveva rifornito il mondo della stessa razionalità di cui Dio stesso era il perfetto portatore. Inoltre, i Greci avevano già ripudiato la mitologia e il politeismo come motori della natura, e avevano già concepito una visione monoteista, sebbene non avesse ancora i tratti religiosi tipici della tradizione giudaico-cristiana. Quindi, in una prima fase dell'esistenza cristiana, la teologia, cioè lo studio dell'argomento divino, si trovava in una pacata armonia con le conoscenze epistemologiche del tempo, le quali erano per lo più state ereditate dai pensatori balcanici. Per esempio, basti pensare che nel Nuovo Testamento i riferimenti alla natura fisica del mondo sono pochissimi e ciò è dovuto proprio al fatto che la visione della natura proposta dai Greci era largamente accettata e che, quindi, non necessitava di una nuova impostazione. Nella sua concezione iniziale, la verità “sensibile” (quella cioè che l'uomo ha possibilità di conoscere con i sensi e con la ragione) delle cose era perfettamente congruente con la verità che offriva la fede e non era presente nessun motivo di contrasto a livello di conoscenza. Tuttavia, i primi sintomi di rottura tra l'episteme “sensibile”, chiamiamolo così, e la verità derivante dalla fede trovarono il loro terreno fertile quando la Chiesa riconobbe nelle Sacre Scritture la fonte epistemologica principale, ammettendo così solo una conoscenza, basata sì sulla fede, ma che, proprio per il fatto di essere già stata esplicata e dichiarata completamente nelle righe delle Scritture, non lasciava spazio a nessun dialogo costruttivo futuro con un episteme sensibile eterogeneo da quello cristiano. Questa decisione teologica ha prodotto nel corso dei secoli un eco che ancora oggi ci raggiunge direttamente. Ovviamente, bisognerà aspettare molti secoli prima che compaia una verità in aperto contrasto con quanto affermano le Sacre Scritture. Nel frattempo i teologi, nel corso dei secoli, dalla patristica alla scolastica, tentarono di risolvere il problema tra fede e ragione. Inizialmente, e appare difficile da credere pensando al caso di Galileo, Aristotele era considerato un pericolo e un portatore di disordine e di fumo satanico. Ebbe molta più fortuna, se così si può dire, Platone grazie a Sant'Agostino nel IV secolo d.C.. Platone presupponeva l'esistenza di un mondo metafisico verso il quale ogni cosa tende e l'esistenza di un Dio: ecco quindi che la materia è un peso, una zavorra negativa dalla quale l'uomo deve cercare di liberarsi per lasciar tornare la propria anima al mondo puro delle idee. La teoria platonica della reminiscenza, secondo la quale la mente umana ricorda il tempo in cui l'anima viveva nel mondo delle idee ed era disgiunta dalla sua prigione del corpo, con i dovuti aggiustamenti, è l'incipit principale in seguito al quale Agostino Aurelio imposta la base per una prima solida filosofia cristiana. Il collegamento che Agostino stabili con la filosofia greca deve ricordarci che, sin dagli albori, la fede ha sempre cercato conferme nella ragione. Agostino nutrì un forte odio nei confronti della materia: “Perchè il corpo preda della corruzione appesantisce l'anima, e il vivere terra terra deprime lo spirito che va disperdendosi in mille pensieri” (Le Confessioni, Capitolo XVII libro VII), e non le lasciò sempre poco spazio nel suo pensiero. Di conseguenza, in questo primo periodo, la ragione come organo per la conoscenza del mondo non aveva nessuna importanza, mentre la fede era garante di ogni cosa. Tuttavia, con il passare dei secoli e con l'avvento di altre intuizioni tecnologiche, iniziava ad apparire chiaro ormai che, se da un lato la spiritualità fosse fondamentale per ogni cristiano, il mondo materiale richiedesse anch'esso una certa considerazione nel corso della vita umana. Si avvertì quindi che l'impostazione troppo negativa della natura e il richiamo alle Sacre Scritture come unica fonte di episteme, portati avanti da Agostino fossero insufficienti. Aristotele si presentava invece come un filosofo che, considerando ugualmente la metafisica, non disprezzava la fisica e che, al contrario, ne aveva elaborato teorie complesse e articolate sul funzionamento. Inoltre, anche Aristotele concepisce un Dio, diverso certamente da quello cristiano, che presenta come la spiegazione necessaria a tutto ciò che avviene nel tempo. Un Dio definito come l'Atto puro, il Motore immobile, la Causa finale di tutto. Il pensiero aristotelico con gli opportuni aggiustamenti, per merito del rivoluzionario lavoro di San Tommaso che segnò l'inizio della scolastica, diventa la sfaccettatura razionale del pensiero cristiano la quale, soprattuto, non è in contrasto con esso.

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Bisogna premettere e ricordare che il mondo della Chiesa si dimostrò sofferente a questo mutamento e che fece molta fatica ad interiorizzarlo; furono soltanto la tenacia e il genio di San Tommaso, così chiaro e coerente, che permisero questa unione tra la fede e la ragione, che fino ad allora rappresentavano due campi sostanzialmente differenti. Siamo nel XIII secolo d.C.. I primi proclamatori di questa armonica unione sostenevano che attraverso la ragione si potesse giungere ad una verità congruente con quella rivelata dal messaggio divino. Questa separazione tra fede e ragione preoccupava però le autorità ecclesiastiche, in quanto percepivano come minacciata la funzione della fede; Tommaso, difendendo questa armonia tra fede e ragione, trasformò le preoccupazioni cristiane in una possibilità per esaltare ulteriormente il messaggio divino, le Sacre Scritture e la Chiesa. Egli accettò e valorizzò la ragione, sottomettendola però all'autorevolezza della fede: nacquero così due modi di conoscere. Uno che viene dall'alto ed è la Rivelazione propria delle Sacre Scritture, mentre l'altro, proveniente dal basso, è costituito dalla nostra ragione, di cui Aristotele aveva mostrato il potere espositivo e persuasivo nei secoli precedenti. Infatti Aristotele, con l'utilizzo della ragione aveva dato più dimostrazioni dell'esistenza di Dio – che Tommaso raccoglierà e inserirà nelle sue cinque tesi - e, poichè egli non aveva potuto conoscere la verità rivelata, occorreva che il suo pensiero fosse “cristianizzato” e fosse integrato con quel concetto principale, sconosciuto alla filosofia greca, che si possa conoscere attraverso la fede. Ovviamente, in questa impostazione, la ragione non può mai contraddire la fede e, se ciò accade, significa che la prima ha intrapreso un percorso sbagliato. Il legame di dipendenza tra fede e ragione porta schematicamente a suddividere una legge divina, una legge naturale, e una legge umana. Per discesa l’una si deve riversare nell’altra, come abbiamo visto, e ciò comporta che la legge umana, in fondo alla scala, può fondarsi o per Grazia direttamente sulla Rivelazione o anche sul rispetto della legge naturale, la quale come appena detto, è conoscibile con la ragione ed è specchio della legge di Dio. Ecco quindi che la legge umana non è sottomessa solo ad una volontà superiore come era stato fino ad allora, ma essa è anche capace di essere acquisita con la ragione. San Tommaso canonizzato nel 1323, diventò la guida portante del Concilio di Trento e illumina i documenti papali fino ai giorni nostri. Galileo si trovò quindi di fronte ad un'autorità ecclesiastica che riconosceva una verità raggiungibile attraverso le Sacre Scritture e attraverso l'impostazione conoscitiva aristotelica, e di fronte ad un individuo cristiano che proclamava la seguente etica: “Non mi fido delle potenze di questo mondo perchè sono apparenti e mi condurranno in perdizione; mi fido della vera potenza che è quella di Dio” La verità divina è quindi un sapere che non può essere in alcun modo smentito e su questa stabilità e sicurezza si costruisce l'etica del credente. Il senso centrale della verità è che, conoscendola, si può affermare l'esistenza di qualche cosa che esiste necessariamente, esiste immutabilmente. La crisi della verità è crisi dell'etica, della politica, e queste due non possono esistere senza una crisi della filosofia. Il mondo cristiano fonda la sua solidità sulla verità rivelata da Dio, ma cosa successe quando quest'ultima entrò in diretto contrasto con un nuovo modo di concepire la conoscenza? La nuova visione del mondo: la distruzione progressiva della vecchia epistemologia La visione del mondo aveva già iniziato a cambiare due secoli prima di Galileo; la speculazione filosofica, infatti, si interessò moltissimo dei rapporti, incontri o scontri che fossero, che esistevano, appunto, tra fede e ragione. E, indubbiamente, personaggi come Ockham, Bacone, Bruno e Copernico, influenzarono quella che fu la concezione di verità, che si rivelò in assoluto contrasto con quella delle Sacre Scritture. Guglielmo di Ockham (1280-1347), un francescano scomunicato, sosteneva che la ragione e il cristianesimo giungessero a conclusioni, quindi verità, differenti. Le idee di Trinità, Incarnazione, Eucarestia, Creazione, sono infatti assurde di fronte alla ragione, ma verità di fronte alla fede. Non per caso si attribuisce l'inizio della fine del pensiero scolastico a

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questa forte personalità. Qualche anno prima dell’abiura di Galileo, Giordano Bruno (1548-1600) era stato messo al rogo. Bruno che si professò credente in Dio fino all'ultimo istante della sua vita, aveva dedotto razionalmente, senza nessuno strumento come poteva essere il cannocchiale di Galileo, e con pochissimi dati a disposizione, che la Terra non fosse al centro del sistema solare, che nemmeno lo stesso Sole fosse al centro dell’universo, che tutti i corpi celesti ruotassero sul proprio asse e che la Terra è appiattita ai poli. Ipotesi per i contemporanei, verità per Bruno stesso, che tra i posteri suscitarono grande clamore per la loro veridicità. Francis Bacon (1561-1620), inglese, era convinto dell'importanza della tecnica raggiungibile con la sperimentazione e logicamente si poneva in forte opposizione all'epistemologia cristiana. Infatti, sebbene non fu egli stesso a sviluppare il metodo scientifico odierno, è considerato il padre dell'empirismo inglese -ricordiamo che la corrente dell'empirismo segna una rivoluzione nella conoscenza, fino ad allora profondamente razionalista- e il proprietario della massima “sapere è potere”. Cronologicamente prima di Bruno e Bacone, visse Niccolò Copernico (1473-1543), lasciato appositamente per ultimo per i suoi legami diretti con Galileo, in quanto fu il primo a negare il sistema tolemaico. Egli affermava, sul piano filosofico, il principio di semplicità della natura e della relatività della conoscenza e di conseguenza non era più possibile affidarsi solo al senso comune per comprendere il mondo. Copernico nel suo “De Revolutionibus Orbium Celestium” (pubblicato per la prima volta nel 1543) confutava la struttura del sistema aristotelico-tolemaico, data la sua complessità irragionevole e non solo inutile, ma che non permetteva neanche di comprendere moltissimi fenomeni legati ai moti planetari. Egli proponeva quindi una struttura eliocentrica per il cosmo. Il sistema aristotelico-tolemaico, dunque, venne gravemente minacciato. Tuttavia è importante cercare di capire il motivo fondamentale per cui Copernico non fu perseguitato o costretto ad abiurare per la sua teoria. Copernico prospettava la sua teoria come un'ipotesi matematica, un'argomentazione ex-suppositione, secondo la quale l'ordinamento eliocentrico era un comodo artificio, un'invenzione, per permettere una migliore riuscita di calcoli matematici. Il fatto che l'impostazione eliocentrica fosse più che una semplice supposizione all'interno del De Revolutionibus lascia spazio a numerosi dubbi; tuttavia, in maniera diretta, Copernico non conferisce alla sua teoria una realtà fisica. Infatti, era usanza comune nel mondo della Chiesa non considerare le teorie ex-suppositione, generalmente matematiche, come in questo caso, verità e quindi affermazioni consistenti. La contraddizione da parte delle autorità ecclesiastiche sta proprio nel fatto di considerare tali teorie come qualcosa di astratto, ignorando beatamente molti elementi a favore dell'effettività delle suddette. L'attacco di Copernico non fu sufficiente: per attaccare alla radice una cosmologia profondamente percepita come “vera” dall’uomo cristiano, bisognava necessariamente dare la verifica empirica del copernicanesimo. A questo proposito si vuole ora ripercorrere il percorso delle scoperte di Galileo, e cosa effettivamente esse avessero in contrasto con la concezione dell’universo in quell’epoca. Lo scienziato pisano, grazie alle osservazioni telescopiche, notò le cosiddette macchie lunari, ovvero delle macchie scure sulla Luna, e verificò che queste altro non erano che ombre proiettate dalle montagne lunari sotto l’effetto della luce del sole. Aristotele, invece, affermava che la luna faceva parte di quei corpi celesti perfetti, e doveva essere quindi liscia, levigata, cioè, anch’essa perfetta. Il Filosofo credeva lo stesso per il Sole, ma, anche in questo caso, Galileo scoprì macchie scure sulla superficie solare, che si formavano e scomparivano: era la dimostrazione di come quelli che erano fino ad allora considerati corpi celesti perfetti fossero soggetti a fenomeni di mutamento e alterazione e fossero, quindi, imperfetti. Galileo fece anche altre importanti osservazioni: scoprì quattro satelliti di Giove (i “Pianeti Medicei”) e notò le fasi di Venere: riguardo a queste ultime, affermò che non solo la Terra, come sosteneva Aristotele, ma anche Venere fosse un corpo opaco, illuminato dal sole. Per la

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dimostrazione effettiva del moto terrestre intorno al Sole bisogna però riferirsi a Kepler. In ogni caso, si era giunti alla distruzione, appoggiata dai dati dell'esperienza, del sistema aristotelico-tolemaico. Era la distruzione diretta dell'episteme cosmologico riconosciuto dalla Chiesa, e, per forza di cose, l'attacco alla verità delle Sacre Scritture. Giunti a questo passaggio cruciale bisogna ammettere che ci si trovò, quattrocento anni fa, di fronte alla crisi dell'ethos, inteso nel senso greco, che aveva dominato la scena mondiale per 1600 anni: una nuova verità si contrappose a quella che aveva fornito precedentemente la potenza con cui ci si era alleati, e questa prima sembrava trovare una dimostrazione molto più convincente nella realtà della seconda. Ricordiamo quindi che, in mancanza della verità, l'alleanza diventa insicura e che, se l'alleanza diventa insicura, non si è più protetti. Galileo, insieme agli altri protagonisti della Rivoluzione Scientifica, aveva demolito la precedente verità ma, al contempo, una nuova alleanza, che successivamente sarà stretta con la tecnica -ma questo è un altro discorso-, non aveva ancora fatto la sua comparsa. Il mondo della Chiesa, che aveva appena subito un duro colpo dalla Riforma Protestante e che cercava di ritrovare un nuovo assetto con la Controriforma e con l'istituzione dei nuovi ordini ecclesiastici, si trovò spalle al muro, di fronte alla più grande crisi mai affrontata: la crisi dell'alleanza con la potenza. Se molti teologi e filosofi si rifiutarono di guardare attraverso il telescopio, giustificandosi con l'affermazione della diabolicità dello stesso, è probabile che sia dovuto alla volontà di non conoscere la nuova verità. Se quella nuova verità avesse fatto il suo ingresso nella società umana, avrebbe probabilmente messo in discussione l'alleanza stessa e, così facendo, tutta la concezione della vita umana avrebbe potuto cambiare. In effetti, il telescopio era davvero lo strumento del diavolo, e il diavolo si sa, vuole da sempre minare la sicurezza dell'alleanza con Dio. Ci sembra opportuno riportare, qui di seguito, una parte di un discorso del monacello, tratto dal libro “Vita di Galileo”, di Bertolt Brecht, che, con grande abilità, è in grado di trasmettere lo sconforto di fronte all'eventualità di una nuova verità rivoluzionaria: “Sono cresciuto nell'Agro Romano, figlio di contadini. Gente semplice, che sa tutto della coltivazione dell'olivo, ma del resto ben poco. Quando osservo le fasi di Venere, ho sempre i miei genitori dinanzi agli occhi, li vedo seduti insieme a mia sorella, sulla pietra del focolare, mentre consumano il loro piattuccio di formaggio. Sopra le loro teste vedo le travi del soffitto, annerite dal fumo dei secoli, e vedo le loro mani spossate dal lavoro che reggono un misero cucchiaio. Non vivono bene. Ma perfino nella loro disgrazia esiste una sorta di ordine riposto. Sono una serie di scadenze cicliche: il pavimento della casa da lavare, le stagioni che variano nell'uliveto, le decime da pagare. Le sventure piovono loro addosso con regolarità. La schiena di mio padre non s'è incurvata tutta in una volta, ma un poco più ogni primavera, lavorando nell'uliveto: allo stesso modo che i parti, succedendosi a intervalli sempre uguali, sempre più facevano di mia madre una creatura senza sesso. Traggono la forza necessaria per risalire, grondanti di sudore, i sentieri petrosi con le germe colme sul dorso, per far figli, per mangiare perfino, dal senso di continuità, di necessità, che infonde in loro lo spettacolo degli alberi che rinverdiscono ogni anno, la vista del campicello e della chiesetta, la spiegazione del Vangelo che ascoltano la domenica. Si son sentiti dire e ripetere che l'occhio di Dio è su di loro, indagatore e quasi ansioso; che intorno a loro è stato costruito il grande teatro del mondo perchè vi facciano buona prova recitando ciascuno la grande o piccola parte che gli è assegnata. Come la prenderebbero ora, se andassi a dirgli che vivono su un frammento di roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno fra tanti, e neppure molto importante? A che scopo potrebbe servire tutta la loro pazienza, la loro sopportazione di tanta miseria? A che scopo potrebbe servire la Sacra Scrittura, che tutto spiega, dimostrando la necessità del sudore, della pazienza, della fame, dell'oppressione, a che potrebbe ancora servire se scoprissero che è piena di errori? No: vedo i loro sguardi velarsi di sgomento, e il cucchiaio cadere sulla pietra del focolare; vedo come si sentono traditi, ingannati. Dunque, dicono, non c'e' nessun occhio sopra di noi. Siamo noi che dobbiamo provvedere a noi stessi, ignoranti,

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vecchi, logori come siamo? Non ci è stata assegnata altra parte che di vivere così, da miserabili abitanti di un minuscolo astro, privo di ogni autonomia e niente affatto al centro di tutte le cose? Dunque, la nostra miseria non ha alcun senso, la fame non è una prova di forza, è semplicemente non aver mangiato; la fatica è piegar la schiena e trascinar pesi, non un merito.” Galileo e la nascita della scienza moderna: la concretizzazione di una nuova epistemologia La prima forma di scienza nacque nell'antica Grecia dove il sistema geometrico euclideo, i cui enunciati si deducono così chiaramente gli uni dagli altri che ciascuna delle proposizioni dimostrate non solleva il minimo dubbio, è il punto di partenza verso una conoscenza razionale della realtà. Sebbene essa sia ancora infante poichè basata solo su una logica razionale a priori e slegata dall'esperienza, essa rappresenta il primo tentativo dell'uomo, con esito positivo, di comprendere in maniera efficiente e conforme alla struttura della mente umana la natura delle cose che lo circonda e conferisce lui una forte fiducia nelle sue capacità conoscitive. Il completamento di quell'embrione di scienza avviene con la comparsa di Galileo nella storia. I grandi materialisti dell'antichità greca avevano ipotizzato che tutti i fatti legati alla materia funzionassero per leggi che regolassero il comportamento degli atomi, i quali avevano una causalità indipendente da qualsiasi volontà. Possiamo menzionare tra questi filosofi materialisti presocratici numerosi pensatori divisibili in due categorie principali: monisti e pluralisti. Nella prima possiamo trovare Talete, Anassimene, Senofane ed Eraclito; questi considerano la materia derivante da un unico principio costituito da uno degli elementi (acqua, aria, terra, fuoco). Tra i pluralisti dobbiamo assolutamente ricordare i Pitagorici e i loro numeri e Democrito con i suoi atomi, o indivisibili. Tuttavia, questa concezione della natura come meccanicismo materialistico era prettamente una costruzione filosofica che non aveva ancora trovato una dimostrazione nella realtà. Dovranno passare moltissimi secoli prima che una tale dimostrazione possa avverarsi. Galileo aveva compreso, tentato di insegnare e in parte dimostrato che l'ordine dell'universo è comprensibile all'uomo, a patto che egli segua una rigorosa metodologia, basata sulle potenzialità dell'intelletto e sulla verifica sperimentale e che ha come linguaggio intrinseco la matematica - la dimostrazione completa di come sia possibile spiegare teoricamente e con successo la realtà come insieme di necessarie conseguenze, arriverà in seguito con Isaac Newton (I principi matematici di filosofia naturale, 1687) - . In un passaggio del “Saggiatore” Galilei afferma: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.” La concezione rivoluzionaria che ha permesso il diffondersi del metodo scientifico poggia su quattro concetti filosofici ai quali Galileo fa riferimento:

1. In accordo con la teoria platonico-pitagorica della struttura matematica del cosmo, Galileo ritiene che l'universo sia ordinato in maniera geometrica;

2. Divide le qualità dei corpi in due categorie: proprietà primarie e secondarie. Le prime, oggetto della conoscenza scientifica, caratterizzano i corpi in quanto tali e hanno quindi una validità intersoggettiva;

3. L'uniformità nell'agire della natura secondo principi di necessità e causalità, come in una verità geometrica;

4. L'uomo, sebbene differisca da Dio per il modo di apprendere e per l'estensione di nozioni possedute, risulta simile per il grado di certezza a cui può giungere. Per esempio, 2 + 2 = 4 sia per l'uomo, che per Dio.

Il metodo seguito, che prende il nome di metodo scientifico, non fu teorizzato filosoficamente da Galileo, diversamente da come fece Francis Bacon, ma fu più che altro applicato direttamente e ricavato successivamente dai suoi scritti in maniera indiretta: nel Saggiatore, nel Dialogo e nei

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Discorsi, lo scienziato tende ad articolare la procedura scientifica in due parti fondamentali: momento “risolutivo” (sensata esperienza) e momento “compositivo” (necessaria dimostrazione). Il primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici misurabili formulando un'ipotesi matematica sulla legge da cui dipende. Il secondo momento consiste nella verifica e nell'esperimento in cui lo scienziato prova a comporre o riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo tale che se l'ipotesi supera la prova risulta verificare e viene accettata e formulata in termini di legge; invece, se non supera la prova risulta non verificata e viene sostituita con altre ipotesi. Riassumendo, l'importanza di Galileo sta nell'aver posto le basi di una scienza che abbracciasse la realtà e che fosse quindi collegata direttamente all'esperienza: lo scienziato compì quel passo che collega le proposizioni puramente logiche, che sono vuote davanti alla realtà, all'esperienza sensibile. Ecco ciò che ha reso Galileo il padre della scienza moderna. Tuttavia, per inquadrare meglio il ruolo del lavoro galileiano è necessario evidenziare alcune caratteristiche dei suoi risultati. Galileo aveva fatto un passo importante sulle leggi del movimento. Aveva scoperto il principio di inerzia e legge di caduta dei gravi: un punto materiale, non influenzato da altri, si muove in linea retta e in moto uniforme; nel campo della gravità, la velocità verticale di un corpo libero cresce proporzionalmente al tempo. Tuttavia bisogna mettere in evidenza che le due leggi sul movimento dello scienziato pisano riguardano esclusivamente il moto di un insieme. Potrebbe apparire che il passaggio dalla teoria di Galileo a quella di Newton non sia poi così significativa. In realtà Newton riesce a realizzare per primo una teoria fisica applicabile generalmente ad ogni fenomeno, proprio perchè ebbe quell'intuizione che lo portò a formulare delle leggi non solo d'insieme, come aveva fatto Galileo, quando parlava per esempio di ma che fosse possibile attribuire al punto materiale (la particella più semplice della sua teoria) per spiegare ogni moto. Tali leggi erano state realizzate osservando i comportamenti di un punto materiale in un tempo infinitamente piccolo (legge differenziale). La legge differenziale è la sola forma che soddisfa pienamente la condizione necessaria di causalità per il fisico poichè è l'unica in grado di assicurare l'universalità del principio stesso. In ogni caso, da Galileo in poi inizia a diffondersi una nuova e rivoluzionaria visione del mondo che Einstein identifica come la religiosità cosmica. Sentire il mistero dell’eternità della vita, avere la conoscenza e l’intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare l’intelligenza che si manifesta nella natura: ecco le principali caratteristiche di questa. Il sapiente è compenetrato dal senso della causalità per tutto ciò che avviene e la sua religiosità. Un sentimento prossimo a quello delle menti creatrici religiose di tutti i tempi, consiste nell’ammirazione estasiata delle leggi della natura. La religiosità cosmica riconosce l’impronta sublime e l’ordine ammirabile che si manifestano tanto nella natura quanto nel mondo del pensiero. Essa non ammette né dogmi né Dei: infatti questa tipologia di uomo, che crede nelle leggi causali, non può concepire l’idea di un Essere che intervenga nelle vicende umane, e, perciò, la religione terrore, come la religione sociale o morale, non ha presso di lui alcun credito. D’altra parte alla base di ogni ricerca scientifica si trova la convinzione, di stampo religioso, che il mondo sia fondato sulla ragione e che possa essere compreso. Bibliografia

• Albert Einstein, Come io vedo il mondo • Emanuele Severino e Edoardo Boncinelli, Dialogo su etica e scienza • Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Itinerari di filosofia, volume 2A, edizioni Paravia • Sigmund Freud, L’Interpretazione dei Sogni • Sant’Agostino, Le Confessioni • Bertolt Brecht, Vita di Galileo • Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, volumi 1A e 1B, edizioni Paravia