G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

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Giacomo Poggi APPUNTI SUL RUMORE ELETTRICO Versione del 30 maggio 2004 Universit` a degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica Anno Accademico 2002-2003

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Notes about electronics noise and statistics, used in physics courses.

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Giacomo Poggi

APPUNTI SUL RUMORE ELETTRICO

Versione del 30 maggio 2004

Universita degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica

Anno Accademico 2002-2003

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Universita degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica

Anno Accademico 2002-2003

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I

I SISTEMI LINEARI

1.– Sistemi lineari e risposta ad un generico segnale in ingresso

Consideriamo una rete lineare ed in particolare identifichiamo in essa due terminali di ingressoai quali venga applicato un segnale (una ddp) S(t) e due terminali di uscita dai quali preleviamola risposta (ancora una ddp) R(t). Quanto segue, salvo piccoli adeguamenti sul significato dellegrandezze introdotte, si puo applicare a qualunque sistema fisico che si comporti in maniera lineare;tuttavia qui e nel seguito si fara riferimento esclusivo ad una rete elettrica.Il principio di causa-effetto (la causalita) impone che la risposta R(t) ad un tempo t possa solodipendere dal valore che il segnale S(θ) ha assunto ai tempi θ < t.Per trovare l’espressione piu generale che lega R(t) al segnale S(θ), esaminiamo la risposta r(t) delsistema (rispetto ai terminali di ingresso e uscita gia introdotti) ad un segnale particolare, ovveroun impulso rettangolare i(t) di area unitaria, durata ∆θ molto breve (vedremo poi rispetto a cosa)e con inizio nell’origine dei tempi:

i∆θ(t) = cost ∀ 0 ≤ t ≤ ∆θ, = 0 altrove

r∆θ(t) 6= 0 ∀ t ≥ 0, = 0 ∀ t < 0

Fig.I.1Nella Fig.1 parte a) e b) rispettivamente sono riportate a tratto continuo una eccitazione i∆θ(t)e la corrispondente risposta r∆θ(t), dove i pedici ∆θ stanno a ricordare l’estensione temporaledell’impulso di ingresso. Nella medesima figura e pure riportata un’altra coppia segnale-risposta, atratto punteggiato, con l’eccitazione caratterizzata dall’avere una durata doppia, ma la stessa area.Gli assi orizzontali sono gli stessi per la parte a) e b) della figura.

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2 [Cap. I, § 1]

Ammettiamo di ridurre ora progressivamente la durata ∆θ dell’impulso, mantenendo il vincolo chel’integrale di i∆θ(t) (i∆θ(t) ·∆θ) resti unitario; assumiamo che esista il limite della funzione r∆θ(t)per ∆θ → 0 e chiamiamo tale limite r(t), ovvero r(t) sia la risposta del sistema alla delta di Diracδ(t), centrata sull’origine. In tutti i casi realistici si trova che la r(t) ha una estensione temporalenon nulla. La estensione temporale della risposta alla δ ci da proprio il termine di paragone naturalecol quale confrontare l’estensione della eccitazione: ovvero impulsi in ingresso di durata molte breverispetto alla durata della risposta alla δ daranno luogo a risposte confondibili con quelle alla δ.Questo effetto qualitativamente si puo apprezzare anche nella Fig.1; infatti si nota che il raddoppiodella estensione temporale della eccitazione, rappresentata dalla curva punteggiata nella parte a),provoca un cambiamento modesto nella funzione di risposta (parte b), curva punteggiata), proprioperche l’estensione complessiva della funzione di risposta e comunque significativamente superiorealla durata della eccitazione.Se le caratteristiche del circuito sono indipendenti dal tempo (p.e. nel caso di componenti costantiquali resistori, condensatori, induttori), allora possiamo affermare che la risposta r(t, θ) ad una ec-citazione δ(t− θ) centrata in t = θ, anziche sull’origine dei tempi, e data semplicemente da r(t− θ)(vedi Fig.2) e in queste condizioni r(t) e detta funzione di risposta del circuito in esame, con riferi-mento ai terminali di ingresso e uscita considerati.

Fig.I.2Nel caso in esame il sistema presenta quindi una invarianza traslazionale rispetto all’asse dei tempi,che si riflette nella dipendenza da (t − θ) della risposta del sistema alla δ centrata al tempo θ. Ingenerale, ovvero nel caso in cui la risposta del sistema dipenda dal tempo, cioe dall’istante θ in cuiavviene l’eccitazione istantanea, la risposta del sistema alla δ(t− θ) deve porsi nella forma genericar(t, θ), dove l’effettiva dipendenza da θ e determinata dal modo in cui i parametri del sistema varianoin funzione del tempo.Ritorniamo alla nostre ipotesi di invarianza traslazionale nel tempo e guardiamo cosa implica l’ipotesidi linearita del sistema. Molto formalmente, sfruttando la definizione di δ(t), possiamo esprimere il

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[Cap. I, § 1] 3

segnale S(t) col seguente integrale:

S(t) =∫ +∞

−∞S(θ) δ(t− θ) dθ (I.1)

che, alla luce di quanto detto sopra puo interpretarsi come il limite per ∆θ → 0 di una espressionedel tipo:

S(t) ≈ S∆θ(t) =N∑k=0

S(θ′k) i∆θ(t− θk) ∆θ =N∑k=0

ck i∆θ(t− θk) ∆θ (I.2)

Nella Fig.3 la S(t) e rappresentata a tratto continuo, mentre l’approssimazione S∆θ e riportata dallaspezzata.

Fig.I.3I vari θk della espressione 2) rappresentano l’origine degli impulsi rettangolari di area unitaria che

moltiplicano il valore medio ck della funzione nell’intervallo considerato; tale valore medio, a causadella regolarita che assumiamo per la funzione, e anche esprimibile mediante il valore che la funzioneS(θ′k) assume in un punto interno all’intervallo ∆θ su cui si estende l’impulso: θk < θ′k < θk + ∆θ.La formula 2), rappresentando la S(t) come somma di segnali, permette, sfruttando le proprieta dilinearita del sistema, di scrivere la risposta come somma delle risposte ai vari segnali “addendi”:

R∆θ(t) =M∑k=0

ck r∆θ(t− θk) ∆θ (I.3)

con M tale che θM ≤ t; ovvero la somma include (per il principio di causalita) solo le eccitazioni conorigine a tempi θk antecedenti l’istante in cui si considera la risposta.

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4 [Cap. I, § 1]

La Fig.4 rappresenta graficamente la risposta R∆θ(t) (punteggiata) come somma dei contributick r∆θ(t− θk) ai vari impulsi ck i∆θ(t− θk) che approssimano -secondo la formula 2)- il segnale.

Fig.I.4La formula 3), riscritta per il comportamento al limite di ∆θ → 0 e tenendo conto che lim∆θ→0 ck =lim∆θ→0 S(θ′k) = S(θk), porta all’espressione:

R(t) = lim∆θ→0

R∆θ(t) = lim∆θ→0

M∑k=0

ck r∆θ(t− θk) ∆θ =∫ t

−∞S(θ) r(t− θ) dθ (I.4)

E ovvio che al risultato 4) si poteva giungere direttamente partendo dalla 1), senza le con-siderazioni elementari svolte sopra: infatti il passaggio diretto dalla 1) alla 4) e consentito dallalinearita dell’integrale e dal principio di causalita che, mediante l’estremo superiore dell’integrale,fissa i contributi possibili del segnale alla risposta. Nel caso in cui la risposta del sistema (sempreipotizzato lineare) dipenda dal tempo, la r va scritta nella forma piu generale r(t, θ).La 4) puo essere messa in una forma molto utile dal punto di vista dell’elaborazione matematicasuccessiva. Facciamo la sostituzione τ = t− θ e otteniamo cosı :

R(t) = −∫ 0

+∞S(t− τ) r(τ) dτ =

∫ +∞

0

S(t− τ) r(τ) dτ

che essendo –per definizione– r(τ) = 0 ∀ τ < 0 puo anche scriversi:

R(t) =∫ +∞

−∞S(t− τ) r(τ) dτ (I.5)

ovvero la risposta complessiva del sistema al segnale S(t) e rappresentata dal prodotto di con-voluzione del segnale con la funzione di risposta del sistema.Dalla espressione 5) e immediato verificare che se la S(t) e periodica con periodo T , ugualmenteperiodica sara la R(t). Si ritrova cosı un risultato al quale si perviene studiando le reti lineariin alternata: nell’ambito di quel formalismo la periodicita della risposta e dimostrata sviluppando

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[Cap. I, § 2] 5

in serie di Fourier il segnale periodico in ingresso e applicando poi il Principio di sovrapposizione(ovvero la linearita del sistema) per ottenere le risposte alle varie componenti armoniche; la risposta,essendo ancora esprimibile come una serie di Fourier con la medesima armonica base, e periodicacon lo stesso periodo del segnale in ingresso.L’importanza della soluzione espressa nella forma 5) risiede nella sua generalita: essa vale perqualunque sistema lineare con funzione di risposta r(t). Inoltre, in tutti i casi fisici di interesse,le S(t) e le r(t) godono di sufficiente regolarita matematica da garantire l’esistenza delle loro trasfor-mate secondo Fourier. Questo permette di affermare che se vale la espressione 5) allora per letrasformate: FTr(t) = A(ν), FTR(t) = R(ν) e FTS(t) = S(ν), vale:

R(ν) = S(ν) · A(ν) (I.6)

ovvero la FT della risposta e data dal prodotto delle FT del segnale e della funzione di risposta. Latrasformata della funzione di risposta FTr(t) = A(ν) e detta funzione di trasferimento della retelineare rispetto alle coppie di terminali sopra definite.Le formule 5) e 6) consentono di valutare la risposta, rispettivamente o nel dominio del tempo o inquello delle frequenze, una volta che sia nota (oltre che ovviamente il segnale S(t) o la sua FT S) lafunzione di risposta r(t) oppure la sua FT A, cioe la sua funzione di trasferimento. Pertanto il veroproblema che di volta in volta va risolto nell’esaminare la risposta di una rete al una eccitazionegenerica S(t), e quello di determinare la funzione di risposta r(t) o la funzione di trasferimento A(ν),rispetto ai terminali di ingresso e di uscita di interesse.

2.– La funzione di trasferimento e la funzione di risposta

Applichiamo il risultato espresso dalla 6) a due casi particolari di S(t): il caso in cui S(t) = δ(t)e quello in cui S(t) = S0 ej2πνst con S0 in genere complesso. Il primo dei due casi ci deve restituirela soluzione alla base delle nostre elucubrazioni, ovvero che la risposta alla δ(t) deve essere propriola r(t). Infatti dalla 6), imponendo S(t) = δ(t) e ricordando che S(ν) = FTδ(t) = 1, abbiamoR(ν) = A(ν), ovvero:

R(t) = FT−1A(ν) = r(t)

Il secondo caso (S(t) = S0 ej2πνst ) e assai piu interessante, non fosse altro per quello che ci insegnacirca la funzione di trasferimento A(ν):

S(ν) = FTS0 ej2πνst = S0

∫ +∞

−∞e−j2π(ν−νs)t dt = S0 δ(ν − νs)

Pertanto:R(ν) = S(ν) · A(ν) = S0 A(ν) δ(ν − νs) (I.7)

Per ottenere R(t) dobbiamo antitrasformare la 7), ottenendo:

R(t) = FT−1R(ν) = S0

∫ +∞

−∞A(ν) δ(ν − νs) ej2πνt dν = S0 A(νs) ej2πνst (I.8)

Possiamo porre R(t) = R0 ej2πνst e quindi ottenere per la ampiezza complessa del segnale S0 edella risposta R0 la seguente relazione:

R0 = S0 A(νs) (I.9)

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6 [Cap. I, § 2]

Quindi, se S(t) e sinusoidale anche R(t) e sinusoidale e con la stessa pulsazione; la ampiezza com-plessa in uscita R0 e proporzionale all’ampiezza complessa in ingresso S0; il coefficiente di proporzio-nalita e complesso e dipende dalla pulsazione caratteristica del segnale, oltreche, ovviamente, dallecaratteristiche della rete. Ricordando quanto appreso studiando le reti lineari col metodo simbolicoe immaginando che S(t) sia la ddp ai capi di ingresso e R(t) la tensione ai terminali di uscita, ricono-sciamo in A(ν) il rapporto fra la tensione complessa in uscita e la tensione complessa in entrata, chesappiamo gia calcolare utilizzando l’apparato del metodo simbolico.A(ν), anche nei casi in cui la funzione di trasferimento colleghi, anziche tensioni in entrata e uscita,correnti in entrata e correnti in uscita o correnti con tensioni o tensioni con correnti, e calcolabileconsiderando la rete lineare (rispetto ai terminali o ai rami di ingresso e uscita) come se fosse eccitatain regime sinusoidale e cercando col metodo simbolico la soluzione che lega le ampiezze complessein uscita R0 con quelle in entrata S0. E’ chiaro quindi che A(νs) e espressa unicamente in funzionedelle impedenze della rete in esame.Facciamo un esempio banale del calcolo di A(ν), con riferimento alla Fig.5.

S(t)

r

c R(t)

Fig.I.5Trovando la soluzione col metodo simbolico abbiamo:

R0 = S0

1jωc

r +1jωc

= S01

1 + jωrc= S0

11 + j2πνrc

(I.10)

Pertanto la funzione di trasferimento vale A(ν) =1

1 + j2πνrc. Come completamento dell’esempio,

possiamo calcolare, antitrasformando la 10), la funzione di risposta r(t) che risulta valere:

R(t) = FT−1A(ν) = FT−1 11 + j2πνrc

=1τ· e−t/τ (I.11)

dove l’unita e stata indicata col simbolo 1 per ricordarci che essa e dimensionale, con unita di misuraV · s.

Il risultato 10), ovvero che la funzione di trasferimento si possa calcolare nel regime sinusoidalee che quindi la sua determinazione risulti molto spesso elementare (in ogni caso sempre ottenibilecon regole certe e semplici), rende il risultato 6) veramente notevole. Abbiamo di fatto un metodoper trovare la risposta di un qualunque sistema lineare (con risposta indipendente dal tempo) aqualunque eccitazione S(t), purche trasformabile secondo Fourier.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.I

Firenze, 30 maggio 2004

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II

LE SEQUENZE CASUALI

1.– Le sequenze a caso e le medie di insieme

Per evitare di introdurre definizioni e concetti in maniera completamente astratta, partiamo daun caso fisico ben preciso e che in seguito incontreremo ancora, ovvero dalla differenza di poten-ziale che si presenta ai capi di un resistore anche quando non e percorso da una corrente impostadall’esterno. Consideriamo quindi un resistore r di resistenza R. Con il valore R intendiamo carat-terizzare il conduttore in esame, ma siamo perfettamente consapevoli del fatto che con la indicazionedel valore di R non abbiamo univocamente definito il resistore: esistono infatti innumerevoli resisto-ri, tutti apparentemente uguali dal punto di visto macroscopico (in particolare tutti caratterizzatidall’avere la stessa resistenza R), certamente differenti l’uno dall’altro per le diverse aggregazionimicroscopiche del materiale di cui sono costituiti. Normalmente tutto questo ha scarso interesse,anche concettuale. Quando pero si osserva, ad esempio, che, posto il resistore a temperatura T

costante e senza applicare alcuna tensione ad esso, la ddp ai suoi capi misurata con uno strumentosufficientemente sensibile risulta fluttuante e generalmente diversa da zero (vedi Fig.1, dove in real-ta e riportata una simulazione numerica), e naturale porsi il problema di quello che accadrebbecambiando resistore; e allora le innumerevoli maniere con le quali si puo –ad esempio– realizzareun resistore di resistenza pari a R diventano non solo interessanti, ma addirittura fondamentali perindividuare e definire –se esistono– le proprieta medie di questa ddp osservata sul singolo campione.

Fig.II.1

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8 [Cap. II, § 1]

Per procedere alla valutazione di queste proprieta medie, si immagina di disporre di un insiemecostituito da tutti quei resistori, macroscopicamente identici e compatibili con il nostro resistoreoriginario, posti nelle stesse condizioni fisiche (per esempio fondamentale nel nostro caso: alla stessatemperatura T ) e di studiarne le proprieta, fra le quali di particolare nostro interesse c’e sicura-mente la ddp ai loro capi, in assenza di applicazione esterna di tensione. In generale le possibilirepliche saranno in un numero M molto grande, matematicamente diremmo tendenti all’infinito. Seammettiamo di compiere le misure di ddp su tutte le M resistenze ad intervalli di tempo regolarie contemporaneamente su tutte quante, avremo per ogni resistenza rm un insieme di registrazioni(ognuna costituisce quella che si chiama una sequenza) che possiamo sinteticamente indicare con:

vmi

con l’indice m che corre sull’insieme degli M resistori e l’indice i che ordina le misure effettuatesulla resistenza rm secondo il parametro tempo; qui e nel seguito indicheremo le variabili aleatorieo casuali con una sottolineatura, ove sia necessario per distinguerle dalle variabili usuali.Poiche gli elementi della sequenza sono, come appena detto, variabili casuali, le sequenze sonoanch’esse dette casuali.Le misure effettuate ci permettono di disporre di un insieme di M sequenze e l’i-esimo elemento dellam-esima sequenza rappresenta la misura della ddp ai capi di rm effettuata al tempo ti = i ·∆t, coni = 0, ..., I e ∆t intervallo fra una misura e l’altra. Nel limite per M →∞, ovvero nella presunzionedi aver considerato tutte le repliche fisicamente possibili del resistore di partenza, per ogni valoredi i e possibile determinare la densita di probabilita fvi(vi, i) che la tensione vi sia compresa in unintervallo infinitesimo di estensione dvi attorno a vi:

p(vi ≤ vi ≤ vi + dvi) = fvi(vi, i) dvi (II.1)

In altri termini, l’aver ammesso di disporre di un numero M illimitato di resistori tutti identici fraloro in quanto a valore di R, ci permette di trarre, usando le leggi della statistica, le informazionisulle proprieta matematiche delle distribuzioni che auspicabilmente sono in grado di rappresentareil processo.In questo schema e possibile introdurre le cosidette medie di insieme delle grandezze studiate e delleloro funzioni. Per esempio possiamo definire la media di insieme delle ddp misurate vi, cioe delletensioni misurate al tempo ti = i ·∆t, come:

vi = Evi =∫ +∞

−∞v fvi

(v, i) dv (II.2)

dove nella variabile di integrazione si e omesso per semplicita il pedice i. Nel caso che la variabile vi

sia discreta *, occorre passare dagli integrali alle somme e dalle densita di probabilita alle probabilitaassociate ai valori discreti.La notazione tipografica della sopralineatura qui e nel seguito si riferisce alla media di insieme.In generale (ma non sara cosı proprio nel caso che stiamo considerando delle nostre resistenze), lamedia di insieme, ovvero il valore di aspettazione di vi dipende da i, cosı come da i dipende ingenerale fvi

(v, i).Avendo a che fare con sequenze (nel linguaggio del Calcolo delle probabilita diremmo vettori) di

* Non e il nostro caso se la misura delle resistenze si suppone effettuata con uno strumentoinfinitamente sensibile e preciso; ma e il nostro caso se la tensione, piu realisticamente, si misura adesempio con un ADC con un numero finito di bit

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[Cap. II, § 1] 9

variabili aleatorie vi, possiamo anche definire le densita di probabilita congiunta fvivj(vi, i; vj , j)

per due componenti del vettore vi, vj , che ci servira non appena andremo a considerare funzionidi due variabili aleatorie della nostra sequenza. Per questa probabilita congiunta valgono le so-lite considerazioni riguardo alla indipendenza o meno delle variabili aleatorie: in particolare valela condizione necessaria e sufficiente per l’indipendenza, ovvero la fattorizzabilita della densita diprobabilita congiunta nelle due densita marginali.Ovviamente, oltre alla media di insieme vi, si puo definire la media di insieme del quadrato v2

i e lavarianza di insieme σ2(vi) = E(vi − vi)2:

v2i = Ev2

i =∫ +∞

−∞v2 fvi

(v, i) dv (II.3)

σ2vi

= E(vi − vi)2 =∫ +∞

−∞(v − vi)2 fvi(v, i) dv = v2

i − vi2 (II.4)

Cosı come la media vi, anche v2i e σ2(vi) in generale dipendono dall’indice i, cioe dal tempo (al

solito, non nel caso della resistenza che stiamo considerando).Di notevole interesse sono le correlazioni fra le componenti della sequenza, definite in manierasostanzialmente identica a quanto appreso nel caso dei vettori di variabili aleatorie, dove la ma-trice di covarianza conglobava in se tutta l’informazione riguardo alle correlazioni a due a due frale componenti. Non stupisce che nel caso in esame, essendo la sequenza ordinata secondo il tempo,l’indice delle componenti del vettore vi giochi un ruolo fondamentale nella definizione e ricercadelle correlazioni. La cosidetta sequenza di autocorrelazione e infatti definita come segue:

Φvv(i, j) = Evi · vj =∫ +∞

−∞dv

∫ +∞

−∞du v · u∗ fvivj

(v, i;u, j) (II.5)

e la sequenza di autocovarianza come:

γvv(i, j) = E(vi − vi) · (vj − vj)∗ (II.6)

Il simbolo “∗” rappresenta al solito l’operazione di coniugazione. Spesso, nel seguito e anche oraproprio nel caso che stiamo considerando di tensioni misurate ai capi dei resistori, le grandezze sonoreali e l’operazione di coniugazione, ovviamente, non ha alcun effetto.E’ immediato dimostrare che:

γvv(i, j) = Φvv(i, j)− vi · v∗j

In generale le sequenze di autocorrelazione e autocovarianza dipendono sia da i che da j. Ladipendenza di queste sequenze dai due indici ci dice come le variabili della sequenza siano fra lorocorrelate al variare di i e di j, ovvero al loro muoversi all’interno della sequenza originaria. Intuiti-vamente possiamo aspettarci che quando i e j sono vicini di valore (per esempio adiacenti) il modulodella autocorrelazione possa essere molto maggiore di quando gli indici sono molti diversi, ovvero ledue misure temporalmente assai distanti. Per esempio, si sara notato che nel caso della sequenzariportata nella Fig.1 i valori della tensione, pur essendo fluttuanti, tendano a mantenersi costantisu intervalli di tempo dell’ordine di 100 s; pertanto se prendiamo due valori i e j tali per cui ladifferenza di tempo associata e minore di tale intervallo temporale, il prodotto (vi − vi) · (vj − vj)risultera quasi sempre positivo, mentre per differenze fra i e j decisamente superiori il prodotto saramediamente nullo. Le sequenze per le quali la autocorrelazione 6) e diversa da zero solo quando i = j,cioe la 6) coincide con il calcolo della varianza di insieme definita dalla 4), sono dette “puramente

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10 [Cap. II, § 3]

casuali” e, come vedremo, pur essendo di qualche interesse fisico, sono in pratica una pura astrazionematematica.

Per quanto appena detto dovrebbe risultare chiaro che la sequenza mostrata nella Fig.1 none una sequenza puramente casuale; infatti –come capiremo meglio nel seguito– tale sequenza cor-risponde alla misura di tensione ai capi di un resistore r effettuata con un taglio per frequenzesuperiori al centesimo di Hz (o introdotto dallo strumento di misura o da una capacita posta inparallelo a r).

2.– Processi a caso stazionari

Tornando al processo in esame, l’esperienza accumulata fino ad oggi, accompagnata e confor-tata da argomentazioni di tipo teorico, insegna che, per le sequenze casuali associate a processi deltipo di quelli responsabili della ddp erratica ai capi di un resistore posto a temperatura T finita, siriescono a valutare le densita di probabilita fvi

(vi, i) e fvivj(vi, i; vj , j) e che le medie sopra definite

esistono ed inoltre godono di importanti proprieta. In particolare si trova che il processo che stiamoesaminando appartiene alla categoria dei processi a caso stazionari, ovverosia quelli per i quali lemedie al primo ordine (come son dette quelle che coinvolgono una sola variabile aleatoria per volta)ed in particolare le 2), 3) e 4), non dipendono dal tempo, ovvero dall’indice i, ed inoltre le mediedel secondo ordine, quali quelle definite dalle 5) e 6), dipendono solo dalla differenza di tempo fra ledue componenti vi, vj , cioe da (j − i) ·∆t.Nel caso delle nostre resistenze si trova che –data la costanza della temperatura T del bagno ter-mostatico col quale i resistori sono in equilibrio– effettivamente il processo e stazionario. Ancor piuesplicitamente vedremo che:

vi = v = 0 (II.7)

cioe il valore medio (di insieme) della tensione e nullo. Quanto ai valori che in questo caso assumela varianza v2

i = σ2(vi) e la sequenza di autocorrelazione, rinviamo il lettore al Cap.V.

3.– Le medie nel tempo e l’ipotesi ergodica

L’aver introdotto le repliche del nostro sistema in esame (gli M resistori tutti uguali e tuttiin equilibrio alla temperatura T ) e utile per poter definire le medie come valori di aspettazioneed utilizzare i metodi del Calcolo delle probabilita. Vedremo nel seguito che effettivamente moltospesso dal punto di vista della schematizzazione fisica dei processi, l’approccio delle medie di insiemee assai vantaggioso. Tuttavia, dal punto di vista pratico, in particolare delle misure, normalmentesi ha a che fare con un unico sistema fisico (un unico resistore a temperatura T ) e si tenta diestrarre le proprieta medie da esso soltanto, magari osservando questo unico sistema per un temposufficientemente esteso. Data quindi una unica sequenza vi, definiamo la media temporale dellasequenza come:

〈vi〉 = 〈v〉 = limI→∞

1I

I∑i=1

vi (II.8)

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[Cap. II, § 3] 11

e la autocorrelazione temporale:

〈vi+k, vi〉 = limI→∞

1I

I∑i=1

vi+k · v∗i (II.9)

Nei casi di interesse che incontreremo nel seguito, la autocorrelazione temporale, cosı comela sequenza di autocorrelazione definita dalla 5), si manterra significativamente differente da 0, infunzione di k e quindi della differenza di tempo fra i due istanti considerati, solo entro un certolimite superiore τmax = kmax ·∆t.

Se le M repliche sono effettivamente tali, cioe si tratta di copie conformi dello stesso sistemafisico originario, le medie temporali ipoteticamente effettuate sulle varie sequenze dell’insieme devonoessere tutte uguali fra loro. Pertanto per i processi stazionari, per i quali la media di insieme e perdefinizione indipendente dal tempo, i due metodi adottati per mediare (media temporale e mediadi insieme) devono coincidere. In altri termini, se esaminiamo una sola sequenza stazionaria e nefacciamo la media temporale, quest’ultima deve coincidere con la media di insieme che otterremmosulle repliche del sistema fisico in esame:

〈v〉 = limI→∞

1I

I∑i=1

vi = Evi = v (II.10)

〈vi+k, v∗i 〉 = limI→∞

1I

I∑i=1

vi+k · v∗i = Evi · vi+k = Φvv(i + k, i) (II.11)

Poiche questa e la medesima conclusione alla quale in Meccanica Statistica, ovvero in un contestopiu generale, si addiviene formulando la cosidetta ipotesi ergodica, i processi che noi ci apprestiamoad esaminare, quali quello della tensione aleatoria ai capi del resistore a temperatura finita, sonoanche detti processi stazionari ergodici.In pratica, se vogliamo seguire l’approccio della media temporale su un unico sistema stazionarioergodico, non potremmo estendere le medie temporali fra −∞ e +∞, ma ci dovremmo limitaread un intervallo di tempo finito (similmente a quello che accadrebbe se volessimo attuare mediedi insieme, da poter fare solo su un insieme finito di repliche). E’ legittimo chiedersi quale sia ilcriterio da seguire per definire l’intervallo di tempo su cui effettuare la media senza commettere errorisignificativi rispetto al caso ideale di media valutata su un intervallo infinito: l’accorgimento e quellodi scegliere una durata per l’operazione di media che abbia una estensione decisamente superioreall’intervallo di tempo –caratteristico del processo fisico in studio– che il sistema impiega per cambiaresignificativamente di stato (nel caso in esame: il tempo che la ddp casuale impiega per cambiare divalore di una quantita apprezzabile). Come impareremo poi, tale tempo e proprio quel τmax vistoprima entro il quale la autocorrelazione temporale si mantiene significativamente diversa da zero.Vedremo che nel caso del resistore questo tempo e brevissimo (frazioni di femtosecondi, idealmentezero); scopriremo anche che non appena si tenga conto che ai capi del resistore di resistenza R

e comunque sempre presente una capacita C, allora il tempo caratteristico da superare con buonmargine per fare medie temporali corrette e, non sorprendentemente, la costante di tempo τ = RC.Notiamo che questo tempo caratteristico, o “memoria” del sistema, puo essere anche stimato dallemedie di insieme, precisamente osservando le sequenze di autocorrelazione sopra definite nelle 5) e6).Quello appena detto e un criterio che definisce il limite minimo al di sotto del quale l’estensionetemporale su cui si effettua la media non deve assolutamente scendere; nel prossimo capitolo vedremo

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12 [Cap. II, § 3]

poi quale sia, una volta soddisfatto questo requisito, l’effetto della dimensione finita dell’intervallosull’informazione estraibile dalla sequenza in esame.

Si sara notato che le medie temporali definite dalle 8) e 9) sono fatte sulle sequenze di punti,intervallate da un certo ∆t. Questo di per se non e rilevante per la definizione di media temporale,ma corrisponde al fatto che le misure effettive di una sequenza sono sempre in numero finito e distantidi un intervallo finito. Tuttavia, dal punto di vista della trattazione matematica (a meno che nonsi vogliano affrontare tutti questi argomenti con la matematica discreta, per esempio impiegando laDFT , Discrete Fourier Transform) risulta spesso preferibile scrivere le medie temporali nel continuo:

〈v〉 = 〈v(t)〉 = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

v(t) dt (II.12)

〈v(t + τ), v(t)∗〉 = R(τ) = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

v(t + τ) · v∗(t) dt (II.13)

La relazione 13) definisce propriamente la cosidetta funzione di autocorrelazione della sequenzav(t). Il valore della funzione di autocorrelazione R(τ = 0) corrisponde alla varianza della sequenza:

R(τ = 0) = σ2(v) = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

|v(t)|2 dt (II.14)

Notiamo che una qualunque sequenza v(t) si puo sempre porre nella forma della somma del valormedio della sequenza piu un termine che risulta dalla differenza fra gli elementi della sequenza v(t)e il valor medio:

v(t) = di(t)+ 〈v〉 (II.15)

con 〈di(t)〉 = 0. E’ utile sapere quale relazione intercorre fra la funzione di autocorrelazione Rv(τ)della v(t) e la funzione di autocorrelazione Rd(τ) della di(t). Troviamo allora:

Rv(τ) = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

v(t + τ) · v∗(t) dt =

= limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

di(t + τ) · di∗(t) dt +∫ +T/2

−T/2

di(t) · 〈v〉∗ dt+

+∫ +T/2

−T/2

〈v〉 · di∗(t) dt +∫ +T/2

−T/2

|〈v〉|2 dt

=

= Rd(τ) + |〈v〉|2

(II.16)

La relazione 16) ci sara utile nel seguito. La funzione di autocorrelazione di una sequenza a medianulla, piu propriamente si dovrebbe chiamare funzione di autocovarianza, ma tale notazione di fattonon si usa.

In generale notiamo che nella pratica, avendo a disposizione una sequenza finita di un processoa caso vi, non sara possibile effettuare il calcolo al limite presente nelle formule 8) e seguenti,ma piuttosto ci si dovra accontentare di valutare le medie sul campione mediante somme finite;sappiamo che le somme di variabili aleatorie sono ancora variabili aleatorie e quindi le medie sulcampione andranno considerate come estimatori delle medie di interesse.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.II

Firenze, 20 novembre 2007

Page 15: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

III

IL RUMORE NEL DOMINIO DELLE FREQUENZE

E DEL TEMPO

1.– Le sequenze casuali nel dominio del tempo e nel dominio

delle frequenze

Storicamente lo studio delle reti lineari e la trattazione dei segnali nascono assai prima dellostudio del rumore elettrico, la cui esistenza e stata proprio scoperta duranti i progressi tecnologiciassociati al trattamento e amplificazione dei segnali nelle reti elettriche ed elettroniche.Il fatto che il rumore elettrico sia stato osservato in questo contesto ha portato come conseguenzanaturale il tentativo –per altro condotto con successo– di inquadrare anche questi processi nelloschema matematico del trattamento dei segnali, molto spesso sostanzialmente periodici, per i qualil’approccio nel dominio delle frequenze (serie e trasformate di Fourier) si era dimostrato partico-larmente utile. Pertanto nel seguito faremo vedere come la caratterizzazione dei processi a casostazionari, ovvero in pratica la determinazione delle medie temporali delle sequenze che trovereb-bero la naturale collocazione di calcolo proprio nel dominio del tempo, avvenga ancora oggi moltospesso, se non sempre, nel dominio trasformato delle frequenze. Nei paragrafi seguenti faremo anchevedere come sia possibile passare dalla rappresentazione degli effetti in un dominio a quella nell’altro.Prima di procedere col formalismo necessario, si vuole solo anticipare che in qualche caso partico-larmente chiaro e istruttivo affronteremo il problema della determinazione delle medie di insiemenel dominio del tempo e ci accorgeremo che –pur complicandosi talvolta i procedimenti di calcolo–potremo sfruttare molto direttamente la modellizzazione fisica del processo.

2.– L’intervallo di quasi-periodicita

Consideriamo una sequenza a caso f(t), definita su un intervallo −T/2, T/2; ammettiamoanche che 〈f〉 = 0 e che pertanto la media temporale del modulo quadro (o del quadrato, visto checonsideriamo sequenze reali) coincida con la varianza. Abbiamo allora:

〈f2〉 = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

f2(t) dt (III.1)

L’intervallo −T/2, T/2 e detto intervallo di quasi-periodicita della sequenza; l’origine di questo nomeva ricercata nel fatto che, come abbiamo detto nel primo paragrafo, i fenomeni aleatori vengonospesso riportati nel dominio delle frequenze mediante o uno sviluppo in serie o una trasformatadi Fourier della sequenza. Nel caso che si voglia utilizzare lo sviluppo in serie per applicarlo allasequenza f(t) occorre “trasformare” la sequenza che di periodico non ha proprio nulla, in un segnale

Page 16: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

14 [Cap. III, § 3]

periodico: per far cio si assume allora che la sequenza da sviluppare in serie di Fourier sia costituitada infinite sequenze f(t) definite in un intervallo −T/2, T/2, tutte repliche conformi di quellabase effettivamente osservata e spostate di multipli interi del periodo T (a destra e sinistra di quellabase). Lo sviluppo in serie e ora possibile e l’armonica fondamentale ha pulsazione pari a 2π/T . Ilfatto che l’intervallo di quasi-periodicita sia finito porta ovviamente un limite alla minima frequenzaidentificabile nel processo in studio (1/T ); si tratta quindi di un limite reale ma concettualmentesuperabile, imposto dalla durata temporale del campionamento effettuato. Il limite si puo ampliare,ovvero le frequenze piu basse si possono studiare, semplicemente estendendo la durata della sequenzaper un intervallo di tempo T ′ > T .Di norma, per passare dal dominio dove e stata registrata la sequenza, cioe il tempo, a quello dellefrequenze si preferisce impiegare la trasformata di Fourier ed allora non occorre che la funzione datrasformare sia periodica; in questo caso, data una certa sequenza f(t), definita fra −T/2 e T/2,si associa ad essa una sequenza f

e(t) definita fra −∞ e +∞, identica alla f(t) nell’intervallo

−T/2, T/2 e 0 altrove. La fe(t) e quindi definita su un supporto compatto ampio T . Nel

seguito seguiremo sempre questo approccio, comunque continuando a chiamare l’intervallo −T/2,T/2 intervallo di quasi-periodicita, mutuando la specificazione corretta nel caso dell’utilizzo dellaserie.

3.– Varianza di una sequenza e densita spettrale di rumore

Applichiamo la definizione 1) di varianza di una sequenza reale f(t), con 〈f〉 = 0:

〈f2〉 = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

f2(t) dt (III.2)

Utilizzando la sequenza “estesa” fe(t) possiamo scrivere:

〈f2〉 = limT→∞

∫ +∞

−∞

f2e (t)T

dt = limT→∞

∫ +∞

−∞g2(t, T ) dt (III.3)

con

g2(t, T ) =f2

e (t)T

(III.4)

Concettualmente il calcolo di 〈f2〉 procede cosı : si definisce un intervallo di quasi periodicita,si costruisce la g2(t, T ) e si calcola l’integrale fra −∞ e +∞. Per fare il limite si estende l’intevallodi quasi-periodicita T ′ > T , ovvero si inglobano altri contributi di f(t) alla periferia dell’intervalloprecedente; si ricalcola l’integrale e cosı via. Ammettiamo che il valore di questi integrali convergaad un valore costante; il valore limite e quindi la nostra varianza. Se il limite 3) esiste, cio significache g2(t, T ), per tutti i valori del parametro T , e una funzione a quadrato sommabile e pertantoammette trasformata di Fourier:

FTg(t, T ) = FTfe(t)√T =

1√TFTfe(T ) (III.5)

Ora utilizziamo il Teorema di Parseval che stabilisce l’equivalenza fra l’integrale del modulo quadrodi una funzione calcolato nel dominio proprio di definizione e il modulo quadro della sua FT integratosul dominio trasformato: ∫ +∞

−∞|S(t)|2 dt =

∫ +∞

−∞|FTS|2 dν (III.6)

Page 17: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. III, § 3] 15

Applichiamo la 6) al nostro caso:

〈f2〉 = limT→∞

∫ +∞

−∞g2(t, T ) dt =

= limT→∞

∫ +∞

−∞|FTg(t, T )|2 dν =

=∫ +∞

−∞lim

T→∞

|FTfe(t)|2

Tdν

(III.7)

Lo scambio fra il segno di integrazione e di limite e stato fatto perche le operazioni associate agisconosu variabili differenti. La 7) pertanto mostra come un integrale naturalmente calcolato in un certodominio (t) possa essere equivalentemente calcolato nel dominio trasformato ν. L’integrando neldominio ν della 7), a parte un fattore 2, definisce la densita spettrale (di rumore) o spettro di potenzadella sequenza f che si indica usualmente con il simbolo w(ν):

limT→∞

|FTfe(t)|2

T=w(ν)

2(III.8)

e pertanto, ricordando che essendo f(t) reale FTfe(ν) = FT ∗fe(−ν), possiamo anche scrivere:

〈f2〉 =∫ +∞

−∞lim

T→∞

|FTfe(t)|2

Tdν =

∫ +∞

−∞

w(ν)2

dν =∫ +∞

0

w(ν) dν (III.9)

Normalmente, d’ora innanzi, si omettera il pedice e alla funzione f(t), restando implicitamente intesoche il metodo corretto per il calcolo della sua trasformata e quello sopradetto. Abbiamo gia dettodel motivo “storico” per il quale si e giunti ad esprimere la varianza di una funzione del tempo comeintegrale nel dominio delle frequenze. Restano ora da vedere i vantaggi di questo approccio: uno–che sara ampiamente illustrato nel seguito– e associato alla semplicita con la quale per esempio,nota che sia la densita spettrale di rumore per la tensione fra due terminali di una rete lineare, sipassa alla conoscenza della corrispondente densita spettrale di rumore della tensione fra altri dueterminali qualunque della rete. Un altro vantaggio e operativo: supponendo di disporre (e di fattoe possibile disporne) di uno strumento che misura la tensione rms (cioe uno strumento a vero valoreefficace) in bande spettrali molto strette e con centro banda regolabile finemente (voltmetro selettivoaccordabile), potremo, sfruttando la definizione 9), costruire la varianza della tensione come sommadei contributi misurati negli intervalli centrati alle varie frequenze, ovvero misurare “per punti” ladensita spettrale di rumore associata alla tensione, in funzione della frequenza. In altri termini, lospettro di potenza, nonostante la sua definizione apparentemente assai elaborata, e una grandezzaaccessibile sperimentalmente e in maniera relativamente semplice.Notiamo ancora che, data una certa sequenza f(t) in un intervallo finito −T/2, T/2, la densitaspettrale di rumore calcolata tramite la 9) dara comunque un risultato aleatorio, nel senso che seripetiamo il calcolo su una sequenza successiva otterremo un risultato in genere differente; il pro-cedimento al limite esplicitamente riportato nella 9), assicura che per sequenze di durata idealmenteinfinita le fluttuazioni fra i risultati ottenuti per ognuna di esse andrebbero a svanire. Come esempiodi estrazione reale (in realta si tratta di simulazione numerica) di uno spettro di potenza riportiamonella Fig.1 la densita spettrale di rumore della sequenza riportata nella Fig.II.1. Nella parte a)della figura l’asse orizzontale delle frequenze e lineare, mentre nella parte b) e logaritmico. La scalaverticale e logaritmica in entrambi i casi. Si notino le fluttuazioni, che, come detto sopra, dipendonodalla dimensione finita dell’intervallo di quasi periodicita, che in questo caso era di circa 1.6 104 s,e quindi dal numero finito di punti (uno al secondo) su cui la f(t) e stata valutata.

Page 18: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

16 [Cap. III, § 4]

La densita spettrale di rumore definita nella 8) normalmente (come nella Fig.1) dipende dalla fre-quenza; anzi verrebbe fatto di dire che “naturalmente” debba dipendere dalla frequenza, oltretuttonel modo “giusto” tale per cui il suo integrale non abbia a divergere. Un po’ paradossalmente,quando studieremo le sorgenti principali di rumore elettrico (Cap.V) troveremo che, a seguito dialcune schematizzazioni, e possibile prevedere per queste sorgenti proprio densita spettrali indipen-denti dalla frequenza; tutti questi casi –detti “puramente casuali” o di “rumore bianco”– dannoluogo a varianze delle sequenze che divergono e quindi meritano un esame critico. Tale esame pun-tualmente mostrera che alcune schematizzazioni introdotte –apparentemente ragionevoli– in realtacontengono assurdita fisiche (per esempio durate infinitesime per processi fisici reali). Non appenatali semplificazioni siano rimosse, le densita spettrali cessano di essere indipendenti dalla frequenzae tendono viceversa a zero per frequenze al di sopra di un limite finito; le divergenze nelle varianzescompaiono.

Fig.III.1

Page 19: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. III, § 4] 17

4.– Funzione di autocorrelazione e teorema di Wiener-Khinchin

Riprendiamo la definizione II.13 di funzione di autocorrelazione per un processo a caso stazio-nario:

R(τ) = limT→∞

1T

∫ +T/2

−T/2

f(t+ τ) · f∗(t) dt (III.10)

Esiste una relazione, il cosidetto Teorema di Wiener-Khinchin, che lega la funzione di autocorre-lazione (una funzione quindi calcolata nel dominio del tempo) alla densita spettrale di rumore.Consideriamo due funzioni h(t) e k(t) che ammettano trasformata di Fourier H(ν) = FTh eK(ν) = FTk. Costruiamo con h(t) e k(t) il seguente integrale:

I(τ) =∫ +∞

−∞h∗(t) · k(t+ τ) dt (III.11)

e calcoliamone la FT :

FTI =∫ +∞

−∞dτ e−j2πντ

∫ +∞

−∞dt h∗(t) · k(t+ τ) =

=∫ +∞

−∞

∫ +∞

−∞dτ dt e−j2πντ h∗(t) · k(t+ τ)

(III.12)

Facendo il cambiamento di variabile t+ τ = θ, abbiamo:

FTI =∫ +∞

−∞

∫ +∞

−∞dθ dt e−j2πν(θ−t) h∗(t) · k(θ) =

=∫ +∞

−∞dθ e−j2πνθ k(θ) ·

∫ +∞

−∞dt ej2πνt h∗(t)

(III.13)

Si riconosce nel primo integrale la FTk e nel secondo la FT ∗h; pertanto:

FTI = FTk · FT ∗h (III.14)

Riprendiamo ora la 10) e riscriviamola, introducendo la funzione g(t, T ) prima definita (g2(t, T ) =f2(t)T

∀ − T/2 < t < T/2, g2(t, T ) = 0 altrove):

R(τ) =∫ +∞

−∞lim

T→∞

(g(t+ τ, T ) · g∗(t, T )

)dt (III.15)

Il risultato 14) applicato alla 15), ponendo h(t) = k(t) = limT→∞g(t, T )√

T, da:

FTR(τ) = limT→∞

FTg(t, T ) · FT ∗g(t, T ) = limT→∞

|FTf|2

T=w(ν)

2(III.16)

La 16) ci dice quindi che lo spettro di potenza di una sequenza a caso stazionaria e pari a 2volte la FT della funzione di autocorrelazione della medesima sequenza. Tale risultato e il cosidettoTeorema di Wiener-Khinchin. Spesso tale teorema si formula usando la trasformata “coseno” e inquesto caso la relazione diretta e inversa del teorema risultano le seguenti:

a) R(τ) =∫ +∞

0

w(ν) cos 2πντ dν

b) w(ν) = 4∫ +∞

0

R(τ) cos 2πντ dτ(III.17)

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18 [Cap. III, § 4]

Le relazioni 17a) e b) (o le loro equivalenti formulate con la trasformata usuale) sono di fondamentaleimportanza perche permettono, nella trattazione del rumore, di passare con una certa agilita daldominio delle frequenze a quello del tempo e viceversa; consentono in particolare di calcolare, sullabase della fisica del processo esaminato, o la densita spettrale di rumore (procedendo nel dominiodelle frequenze) o la funzione di autocorrelazione (nel dominio del tempo) a seconda di quale delledue rappresentazioni fisiche del processo sia piu adatta a trovare la soluzione. La Fig.2 rappresentala funzione di autocorrelazione della sequenza presentata nella Fig.II.1; la R(τ) della Fig.2 e stataottenuta proprio antitrasformando la densita spettrale della medesima sequenza, riportata nellaFig.1. Si noti la simmetria della funzione di autocorrelazione attorno allo zero, come atteso sullabase della sua definizione e del fatto che la sequenza esaminata e reale; le fluttuazioni presenti sono,come sopra, dovute alla estensione finita dell’intervallo di quasi-periodicita, ovvero al numero finitodi punti considerati.

Fig.III.2

Come applicazione elementare dei risultati ora trovati, supponiamo di osservare una sequenzaa caso di un processo stazionario cui sia associata una densita spettrale di rumore bianca (w(ν) =costante, ovvero un caso non particolarmente fisico, ma che comunque che scopriremo di interesse);sappiamo gia che la varianza della sequenza presenta allora una divergenza:

〈f2〉 =∫ ∞

0

w dν = w

∫ ∞

0

dν (III.18)

La funzione di autocorrelazione, sulla base della relazione 17) a, vale:

R(τ) = w

∫ ∞

0

cos2πντ dν = w δ(τ) (III.19)

ovvero essa ha un andamento a δ centrata sull’origine, valore per il quale presenta la divergenzaattesa sulla base della 18). Vedremo poi, come gia anticipato, che nei casi reali la fisica “giusta”rimuove ogni divergenza di questo tipo.

Page 21: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. III, § 5] 19

5.– Sequenze casuali, teorema di Campbell e funzione

di autocorrelazione

Molto spesso, nella ricerca dei meccanismi fisici alla base del rumore elettrico, e facile convincersiche esso e prodotto da un certo fenomeno base (per esempio l’attraversamento casuale nel tempo diuna barriera di potenziale da parte di un portatore di carica oppure il moto a caso di un elettrone inun conduttore ohmico dovuto alla temperatura finita) e che l’effetto macroscopico finale osservatorisulta dalla sovrapposizione di un enorme numero di questi effetti elementari, tutti indipendenti fraloro e con origini temporali diverse. Con la prospettiva di poter essere in grado di descrivere frabreve (Cap.V) le origini del rumore elettrico secondo l’approccio sopra delineato, affrontiamo ora unproblema che allo stato attuale pare eminentemente matematico, ma che in realta e riconducibile aproblemi fisici estremamente concreti.Sia data una sequenza casuale im(t) costituita da una successione di m impulsi e definita in unintervallo di quasi-periodicita −T/2, T/2 molto vasto (vedremo poi rispetto a cosa). Si osservi che,per la prima volta da quando abbiamo affrontato l’argomento, facciamo una ipotesi precisa su comee costituita la sequenza in esame. Le sequenze caratterizzate dal possedere all’interno dell’intervallodi quasi-periodicita esattamente m impulsi sono esprimibili nella forma:

im(t) =m∑

k=1

fl(t− tk) (III.20)

con tk origine del k−esimo impulso fl(t− tk). Ammettiamo che per la funzione fl siano calcolabili iseguenti integrali:

∫∞−∞ fl(t) dt e

∫∞−∞ fl(t)fl(t+τ) dt; inoltre facciamo l’ipotesi che la durata di ogni

singolo impulso sia comunque molto inferiore rispetto all’intervallo di quasi-periodicita, ovvero chegli integrali sopradetti siano calcolabili anche assumendo come estremi quelli dell’intervallo di quasi-periodicita. L’indice l sta a ricordare che la forma dell’impulso puo non essere sempre la stessa,anzi ammettiamo esplicitamente che esista una probabilita gl che l’impulso abbia la forma fl(t).Ammettiamo anche che la probabilita di ottenere una forma fl per un impulso con origine in tk, siaindipendente da tk, vale a dire che per ogni impulso, indipendentemente dalla sua origine temporaletk, la distribuzione delle forme sia sempre la stessa. Ammettiamo inoltre che nell’intervallo −T/2,T/2 i vari tk siano distribuiti uniformemente, ovvero che la densita di probabilita della variabilealeatoria tk sia costante e pari a 1/T .Calcoliamo ora, sulla base delle ipotesi introdotte, tre quantita medie associate a im(t) e precisa-mente:– il valor medio di insieme im(t) = i(t)– il valor quadratico medio di insieme i2(t)– il valor medio di insieme i(t) · i(t+ τ), in funzione di τ

Per attuare le medie agiremo con la procedura di media di insieme, calcolando valori di aspet-tazione: infatti il valor medio della sequenza i(t) sara ottenuto mediando su tutte le variabili aleatorieche costituiscono la sequenza, quindi in particolare le forme degli impulsi, l’istante di tempo in cuisono generati e il numero di impulsi osservati nell’intervallo di quasi periodicita.Considereremo innanzitutto fra le infinite sequenze di impulsi all’interno di un intervallo di durata−T/2, T/2 quelle caratterizzate da presentare un numero m di impulsi, cioe

im(t) =m∑

k=1

fl(t− tk) (III.21)

Page 22: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

20 [Cap. III, § 5]

Per prima cosa medieremo la 21) sulle forme e otterremo una sequenza imf , dove l’indice f sta aricordare la media sulle forme (e il primo passo della media di insieme). Successivamente medieremo

sulla distribuzione di tk, calcolando Eimf (t) = ˜imf (t) =∫ +T/2

−T/2imf (t)

dt1T

dt2T...dtmT

; il simbolo ˜lo abbiamo riservato per indicare questo tipo di media. Finalmente medieremo su m, ovvero conside-reremo tutte le altre sequenze possibili, cioe quelle che nel medesimo intervallo di tempo −T/2, T/2presentano numeri di impulsi differenti; la probabilita associata a questa variabile aleatoria discretache conta il numero di impulsi in un determinato intervallo di tempo sara ovviamente quella diPoisson. Per quest’ultima operazione di media di insieme, che determina il numero medio di impulsiper unita di tempo, abbiamo riservato un simbolo ad hoc, ovvero . Va tuttavia precisato che difatto le tre operazioni di media costituiscono nel complesso la media di insieme della sequenza base didurata fra −T/2 e T/2 ; quindi propriamente l’unico simbolo da utilizzare sarebbe la sovralineaturache abbiamo introdotto allo scopo nel Cap.II e che infatti riportiamo sul risultato finale, omettendogli altri simboli. Notiamo infine che essendo il processo in esame manifestamente stazionario, talimedie garantiscono lo stesso risultato che otterremmo facendo la media temporale.Procediamo quindi mediando la 21) sulle forme:

imf (t) =F∑

l=1

m∑k=1

glfl(t− tk) =m∑

k=1

ff (t− tk) (III.22)

ovvero la media sulle forme si limita a dare nella sommatoria una risposta impulsiva media ff (t) =∑forme glfl(t), essendo tale distribuzione di forme totalmente indipendente dal tempo di origine

degli impulsi e dal loro numero entro l’intervallo considerato.Mediando la 22) su tk (densita di probabilita 1/T ) abbiamo:

imf =∫ +T/2

−T/2

dt1T

∫ +T/2

−T/2

dt2T...

∫ +T/2

−T/2

dtmT

m∑k=1

ff (t− tk) =

=m∑

k=1

1T

∫ +T/2

−T/2

ff (t− tk) dtk = − 1T

m∑k=1

∫ −T/2+t

T/2+t

ff (θk) dθk =

=1T

m∑k=1

∫ +T/2+t

−T/2+t

ff (θk) dθk

(III.23)

Nel calcolo precedente abbiamo fatto il cambiamento di variabile t − tk = θk. L’ultimo integrale,avendo ipotizzato che la durata degli impulsi elementari fosse molto minore comunque dell’intervallodi quasi-periodicita, risulta indipendente da k e da t e vale:

Ff =∫ +T/2+t

−T/2+t

ff (θk) dθk ≈∫ ∞

−∞ff (θ) dθ (III.24)

La sommatoria nella 23) puo allora essere rimossa e sostituita con un fattore moltiplicativo pari am:

imf = Ff ·m

T(III.25)

Teniamo ora conto del fatto che, pur fissato T , il numero di impulsi entro T puo fluttuare. Di questopossiamo immediatamente tener conto sostituendo nella 25) mT al posto di m, ovvero il numeromedio di impulsi nel tempo T :

if = Ff ·mT

T(III.26)

Page 23: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. III, § 5] 21

Nella 26) il rapportomT

T= ν rappresenta il numero medio di impulsi per unita di tempo; otteniamo

cosı :

i(t) =i(t) = ν · Ff (III.27)

indipendente da t, con Ff =∫∞−∞ ff (θ) dθ area dell’impulso mediato sulle forme, definito nella 24).

Non sara inutile rimarcare l’indipendenza della 27) dal tempo, coerente con la stazionarieta delfenomeno.Nella Fig.3 la curva a tratto spesso rappresenta un esempio di sequenza e la linea punteggiata ilvalor medio della sequenza; nella figura compaiono a tratto sottile anche gli impulsi costituenti lasequenza, nella ipotesi che tutti abbiano la stessa forma e che il ritmo medio sia abbastanza bassoda poterli chiaramente individuare.

Fig.III.3

Usando lo stesso procedimento possiamo calcolare il valore quadratico medio della medesimasequenza i2(t). Sulla base della 21) possiamo scrivere:

i2m(t) =m∑

k=1

fl(t− tk) ·m∑

j=1

fs(t− tj) =m∑

k=1

f2l (t− tk) +

m∑k 6=j

fl(t− tk)fs(t− tj) (III.28)

dove i diversi indici l ed s stanno a ricordare che per k 6= j in genere gli impulsi hanno forme diverse.Mediando sulle forme otteniamo (gls = gl · gs poiche i due eventi sono indipendenti):

i2mf =m∑

k=1

(f2)f (t− tk) +m∑

k 6=j

ff (t− tk) · ff (t− tj) (III.29)

con (f2)f (t− tk) =∑F

l=1 glf2l (t− tk) e ff (t− tk) come definita nella 22).

Page 24: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

22 [Cap. III, § 5]

Mediamo ora la 29) sui tempi tk:

˜i2mf (t) =m∑

k=1

∫ T/2

−T/2

(f2)f (t− tk)dtkT

+m∑

k 6=j

∫ T/2

−T/2

ff (t− tk) ff (t− tj)dtkT

dtjT

=

=1T

m∑k=1

∫ T/2+t

−T/2+t

(f2)f (θk) dθk +1T 2

m∑k 6=j

∫ T/2+t

−T/2+t

dθkff (θk)·

·∫ T/2+t

−T/2+t

dθjff (θj) =m

T(F 2)f +

m(m− 1)T 2 · (Ff )2

(III.30)

dove

(F 2)f =∫ T/2

−T/2

(f2)f (θ) dθ ≈∫ ∞

−∞(f2)f (θ) dθ (III.31)

e Ff e data dalla 24).L’operazione di media su m da:

i2f (t) = (F 2)f ·

mT

T+ (Ff )2 ·

m2T − mT

T 2 (III.32)

In generale, per qualunque variabile aleatoria vale:

Em2 = σ2(m) + (Em)2 (III.33)

ed essendo m una variabile aleatoria poissoniana, abbiamo m2 = m + m2 e pertanto dalla 32)otteniamo:

i2(t) =i2f (t) = (F 2)f · ν + (Ff )2 · m

2

T 2 = (F 2)f · ν + (Ff )2 · ν2 (III.34)

Dalla 34) possiamo ottenere per la varianza:

σ2(i(t)) =i2(t)− (

i(t))2 = (F 2)fν (III.35)

La 27) e la 35), che costituiscono il cosidetto Teorema di Campbell, danno il valor medio e la varianzadi una sequenza casuale costituita da una successione di impulsi elementari. Questo risultato fuottenuto da Campbell studiando le risposte di un galvanometro ad una eccitazione costituita da unasuccessione di impulsi.In realta il teorema di Campbell e formulato per un caso piu semplice di quello che abbiamo trattato,ovvero quello in cui tutti gli impulsi siano uguali. In questa ipotesi, esprimendo il singolo impulsocome f(t) = q · φ(t) con

∫∞−∞ φ(θ) dθ = 1, abbiamo:

a) i(t) = q · νb) σ2(i) = q2ν · φ2

(III.36)

con φ2 =∫∞−∞ φ2(θ) dθ.

Ci sara utile nel seguito calcolare anche la funzione di autocorrelazione per la sequenza i(t), ovvero:

R(τ) =

i(t) · i(t+ τ) (III.37)

L’utilita consiste nel fatto che, se riusciamo nell’intento, abbiamo trovato un metodo che, basandosisulla fisica del processo nel dominio del tempo (gli impulsi elementari) ci permette anche di accedere

Page 25: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. III, § 5] 23

alle proprieta della sequenza nel dominio delle frequenze. Infatti, usando la relazione 17 b), potremopassare alla densita spettrale di rumore. Prima di svolgere anche questo calcolo, si noti che –a voleressere precisi– non calcoleremo la funzione di autocorrelazione (che propriamente avviene comemedia temporale), ma piuttosto valuteremo la cosidetta sequenza di autocorrelazione definita dallaI.5 come media di insieme; comunque nel seguito non faremo tale distinzione, visto che l’uguaglianzadel risultato ci e garantita dalla stazionarieta del fenomeno.Procedendo in maniera simile a prima si trova:

im(t) · im(t+ τ) =m∑

k=1

fl(t− tk) ·m∑

j=1

fs(t− tj + τ) =

=m∑

k=1

fl(t− tk) fl(t− tk + τ) +m∑

k 6=j

fl(t− tk) fs(t− tj + τ)

(III.38)

Mediando la 38) sulle forme otteniamo:

imf (t) · imf (t+ τ) =m∑

k=1

ψτ (t, tk, τ) +m∑

k 6=j

ff (t− tk) · ff (t− tk + τ) (III.39)

con ψτ (t, tk, τ) =∑F

l=1 glfl(t− tk)fl(t− tk + τ).Mediando poi la 39) sui tempi tk:

˜imf (t) · imf (t+ τ) =1T

m∑k=1

∫ +T/2

−T/2

dtk ψτ (t, tk, τ)+

+1T 2

m∑k 6=j

∫ T/2

−T/2

dtk

∫ T/2

−T/2

dtj ff (t− tk) ff (t− tj + τ) =

=1T

m∑k=1

∫ +T/2+t

−T/2+t

ψτ (θk, 0, τ) dθk +1T 2

m∑k 6=j

∫ T/2+t

−T/2+t

dtk ff (θk)·

·∫ T/2+t

−T/2+t

dtj ff (θj + τ) = Ψτ ·m

T+ (Ff )2 · m(m− 1)

T 2

(III.40)

con

Ψτ =∫ T/2+t

−T/2+t

ψτ (θ, 0, τ) dθ ≈∫ ∞

−∞ψτ (θ, 0, τ) dθ =

F∑l=1

gl

∫ ∞

−∞fl(θ)fl(θ + τ) dθ (III.41)

e Ff definita dalla 24).Passando finalmente alla media su m otteniamo:

i(t) · i(t+ τ) =

i(t) · i(t+ τ) = Ψτ · ν + (Ff )2 · ν2 (III.42)

Si rimarca che la stazionarieta del fenomeno si riflette nella dipendenza della 42) dalla differenza ditempo τ (esplicitamente presente nella 41)).Come esempio di applicazione della 42), consideriamo il caso in cui tutti gli impulsi siano identicifra loro ed esprimibili come q · δ(t− tk), ovvero δ di Dirac centrate a tk, con area q. In questo casoabbiamo per la funzione di autocorrelazione complessiva:

R(τ) = i(t) · i(t+ τ) =

i(t) · i(t+ τ) = q2δ(τ) · ν + q2ν2 (III.43)

Page 26: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

24 [Cap. III, § 6]

poiche Ψτ =∫∞∞ δ(θ)δ(θ + τ) dθ = δ(τ).

Un approccio simile a quello qui seguito per trovare la relazione che lega la varianza e la funzionedi correlazione alla forma dell’impulso elementare della sequenza nel dominio del tempo puo essereseguito per esprimere la densita spettrale di rumore della sequenza in funzione della FT dell’impulsobase FTfl(t− tk) che compare nella 20). Il procedimento di calcolo, nel dominio delle frequenze,segue la falsariga del ragionamento che ci ha precedentemente guidato ed approda (in manieraleggermente piu semplice rispetto a quella da noi seguita) alla seguente soluzione per la densitaspettrale della sequenza complessiva w(ν):

w(ν) = 2|FTff (t)|2 ·(ν + ν2δ(ν)

)(III.44)

Si noti che se la ff (t) e a media nulla, allora anche la FTff (t) calcolata per ν = 0 e nulla,misurando essa proprio l’area delle ff (t); pertanto, in questa situazione, il secondo termine della 44)diventa ininfluente non appena che si calcolino le varianze, integrando nel dominio della frequenza.Nel seguito (principalmente nel Cap.V) faremo uso dei risultati estratti nel dominio del tempo, anchese nei testi classici sull’argomento e preferito l’altro approccio sintetizzato nel risultato 44).

6.– Il teorema di Campbell e i sistemi con risposta indipendente e

dipendente dal tempo

Per i sistemi lineari con risposta indipendente dal tempo il Teorema di Campbell consentedi risolvere nel dominio del tempo tutti quei problemi riguardanti il calcolo del rumore in cui larisoluzione nel dominio delle frequenze e pure possibile. Quando faremo (Cap. VII) un esempiodi calcolo dettagliato di rumore su un caso di interesse per misure di fisica, mostreremo propriocome la determinazione del rapporto segnale/rumore si possa fare nei due domini, indifferentemente.Anche alla luce dell’esempio che faremo nel seguito, e inoltre opportuna la seguente considerazione:nella nostra definizione di sequenza costituita dalla successione di impulsi elementari, non abbiamoimposto alcuna ipotesi restrittiva sul ramo della rete che stavamo considerando. Ci siamo solamentelimitati ad affermare che la sequenza fosse costituita da impulsi. Questo implica che se consideriamouna rete lineare (con risposta invariante nel tempo o no), e applichiamo il teorema di Campbell perun ramo dove si osserva una sequenza casuale di impulsi, possiamo applicare il teorema (mutatismutandis) in qualunque altro ramo della rete. Infatti se in un certo ramo (parliamo di corrente,ma il caso e banalmente estendibile alle tensioni) si osserva il generarsi di un impulso elementaresappiamo che in un altro ramo qualunque si sviluppa corrispondentemente un altro impulso chesappiamo calcolare sulla base delle conclusioni del Cap.I. Pertanto ad una successione di impulsiin un ramo corrisponde una successione di impulsi (generalmente diversi, ma calcolabili) in unaltro qualunque ramo della rete. Coerentemente con i risultati ottenuti nel paragrafo precedente,sappiamo che per calcolare la funzione di autocorrelazione della sequenza e sufficiente conoscere ildettaglio della forma dell’impulso e i ritmi medi di arrivo di questi; allora il teorema di Campbell puoessere applicato a tutti i rami della rete, perche il ritmo degli impulsi e ovviamente lo stesso in tuttirami, se l’origine degli impulsi e unica, e le forme degli impulsi elementari sono tutti calcolabili, notache ne sia la forma in un ramo qualsiasi. Se per esempio la rete ha risposta invariante nel tempoe l’impulso elementare in un ramo che chiamiamo di ingresso e una δ, allora nel ramo generico laforma dell’impulso corrispondente e data dalla funzione di risposta caratteristica di questo ramo,

Page 27: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. III, § 6] 25

rispetto a quello di ingresso.E’ semplice comprendere cosa cambia se la risposta del sistema non e invariante nel tempo: infatti,per i sistemi lineari con risposta non indipendente dal tempo, la risposta del sistema ad una ecci-tazione a δ e esprimibile con una funzione r(t, θ) e non come r(t − θ) (si veda il §1 del Cap.I). Inquesti casi il teorema di Campbell risulta particolarmente utile, perche una volta trovata la r(t, θ)(operazione che puo essere niente affatto semplice) e la risposta all’impulso in ingresso nel ramo diinteresse:

R(t) =∫ ∞

−∞S(θ) r(t, θ) dθ (III.45)

potremo sfruttare le conclusioni del nostro teorema per calcolare il valore medio di R(t) e la suavarianza; operazione che in questo caso ci sarebbe preclusa nel dominio delle frequenze, in quanto ilformalismo delle traformate di Fourier non e ora utizzabile.Infine, affinche non rimanga la curiosita insoddisfatta di conoscere almeno un esempio di sistema li-neare con risposta non temporalmente invariante, citiamo l’integratore a tempo, ovvero un dispositivoche, a seguito dell’arrivo di un certo segnale, ne compie l’integrale definito, usando come estremoinferiore l’istante di arrivo del segnale t0 e come estremo superiore t0 + T , con T caratteristico deldispositivo. Strumenti di questo tipo trovano effettivamente impiego nel trattamento dei segnali. Lavalutazione del rumore in questi dispositivi, per le ragioni sopra dette, deve avvenire per forza neldominio del tempo.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.III

Firenze, 20 novembre 2007

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Universita degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica

Anno Accademico 2002-2003

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IV

LE DENSITA SPETTRALI E

LA LORO MISURA

1.– Densita spettrali di rumore in ingresso e uscita di una rete lineare

Supponiamo di disporre di un generatore reale di tensione, caratterizzato da una vin(t) genericae da una impedenza interna Zs. Sia la vin(t) una sequenza casuale, quindi propriamente da indicarecome vini definita come al solito in un intervallo di quasi-periodicita −T/2, T/2. Allora la suadensita spettrale di rumore e data da:

winv = 2 limT→∞

|FTvin|2

T(IV.1)

Se ora ci chiediamo qual e l’effetto che tale generatore provoca in termini di tensione vout(t) ai capidi altri due terminali della rete, ammessa avere una risposta invariante nel tempo, troviamo subitosulla base della I.6:

vout(t) = FT−1FTvin · A(ν) (IV.2)

dove laA(ν) rappresenta la funzione di trasferimento in tensione fra i terminali di ingresso considerati(dove si trova il generatore) e quelli di uscita. La A(ν) dipendera, fra l’altro, anche dalla impedenzainterna Zs del generatore.Il risultato I.6 ci permette anche di valutare la densita spettrale di rumore woutv (ν) associata allatensione di uscita vout(t). Infatti:

woutv = 2 limT→∞

|FTvout|2

T= 2 lim

T→∞

|FTvin · A|2

T= 2 |A|2 lim

T→∞

|FTvin|2

T= |A|2 ·winv (IV.3)

Si trova pertanto che la densita spettrale di rumore della tensione ai terminali di uscita e ugualealla densita spettrale di rumore in ingresso moltiplicata per il modulo quadro della funzione ditrasferimento rispetto ai terminali di uscita e di ingresso considerati.La ricetta 3) e immediatamente estendibile al caso in cui l’eccitazione in ingresso sia costituita, inveceche da una tensione, da una sequenza a caso di corrente iin(t). Occorre semplicemente considerare ilgeneratore reale di corrente associato e calcolare la funzione di trasferimento fra il ramo di ingressoe la tensione di uscita. In questo caso la funzione di trasferimento non e un numero puro comeprima, ma ha le dimensioni di una impedenza. La soluzione per gli altri casi (corrente-corrente etensione-corrente) e ottenibile, estendendo le conclusioni precedenti, in maniera banale.La formula 3) e di importanza basilare nella risoluzione dei problemi di valutazione del rumoreelettrico nelle reti lineari. Infatti nel prossimo capitolo troveremo che le sorgenti fisiche fondamentalidel rumore elettrico sono sempre schematizzabili con ottima approssimazione con dei generatori reali(di corrente o tensione), ubicati in punti facilmente identificabili nella rete. Una volta determinate

Page 30: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

28 [Cap. IV, § 1]

queste sorgenti e nota la loro densita spettrale di rumore, mediante la 3) e possibile calcolare ladensita spettrale di rumore (in tensione o corrente) fra qualunque coppia di terminali o in qualunqueramo (rispettivamente) della rete in studio.Facciamo qualche esempio elementare, cominciando da un generatore reale di tensione (densitaspettrale di rumore winv , resistenza secondo Thevenin R) chiuso su una capacita C (Fig.1; si vedaanche la Fig.I.5):

CR

woutin

vw

v

Fig.IV.1

|A(ν)|2 = | 11 + j2πνRC

|2 =1

1 + 4π2ν2R2C2 (IV.4)

woutv = |A|2 · winv =winv

1 + 4π2ν2R2C2 (IV.5)

Un altro esempio: generatore reale di corrente i(t) (densita spettrale di rumore wini , resistenzasecondo Norton R), chiuso su una capacita C (Fig.2):

Cwin

iw

v

out

i(t) R

Fig.IV.2Troviamo innanzitutto la relazione che lega la tensione complessa in uscita con la corrente

complessa del generatore I in entrata:

Vout = I · 11/R+ j2πνC

= I · R

1 + j2πνRC(IV.6)

Pertanto in questo caso abbiamo:

A(ν) =R

1 + j2πνRC(IV.7)

|A(ν)|2 =R2

1 + 4π2ν2R2C2 (IV.8)

Page 31: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. IV, § 2] 29

per cui la densita spettrale di rumore in tensione fra i teminali di uscita vale:

woutv = winiR2

1 + 4π2ν2R2C2 (IV.9)

Se ci sono piu generatori casuali presenti nella rete e pensiamo che siano tutti fra loro indipendenti,possiamo applicare il principio di sovrapposizione e considerare l’effetto di ognuno di essi separata-mente. Le densita spettrali si sommano e cio equivale alla ben nota regola per le variabili aleatorieindipendenti: la variabile aleatoria somma di variabili aleatorie ha varianza pari alla somma dellevarianze delle variabili di partenza.

2.– Densita spettrale di una f(t) non completamente aleatoria

Nei casi reali in cui si voglia studiare il rumore in una rete lineare, nella rete in questione –diciamo un circuito elettronico di amplificazione e misura– agisce comunque anche un generatore disegnale non casuale S(t) (l’interesse nei confronti del rumore nasce proprio perche siamo interessatial segnale!). Pertanto, a meno di non sopprimere il segnale, normalmente l’uscita della rete chestiamo esaminando presenta una tensione di uscita U(t) che consiste di una parte Us(t), ovvero larisposta del sistema al segnale S(t), data da:

FTUs = FTS · As(ν) (IV.10)

con As(ν) funzione di trasferimento fra i terminali dove e applicato il segnale e quelli di uscita e diuna parte Un(t) a carattere aleatorio, dovuta alle varie sorgenti di rumore sparse nel circuito:

U(t) = Us(t) + Un(t) (IV.11)

Nonostante che nei capitoli precedenti ci si sia principalmente soffermati sul calcolo dello spettrodi potenza di rumore, in realta la densita spettrale e definibile anche per un segnale periodico Us(t)

con periodo Ts =1νs

, con νs frequenza fondamentale ed anche in questo caso si puo utilizzare la

definizione III.8 di spettro di potenza*. La densita spettrale della tensione di uscita conterra pertantoentrambi i contributi; nel caso di segnale periodico con frequenza fondamentale νs la densita spettralepresentera oltre all’andamento determinato dalla parte aleatoria (quello a cui siamo interessati perla determinazione del rumore; un andamento che a parte le fluttuazioni sara regolare) dei picchi incorripondenza a νs e alle sue eventuali armoniche superiori.Non sempre la presenza di uno o piu picchi nello spettro di potenza di una tensione e associata adun segnale deliberatamente introdotto: puo anche derivare da un accoppiamento indesiderato conqualche generatore periodico esterno al circuito (tipico l’accoppiamento induttivo o capacitivo conla rete di distribuzione dell’energia elettrica, riconoscibile per la presenza di un picco a 50 Hz oarmoniche superiori) o ad un effetto “antenna” del nostro circuito che capta onde elettromagnetichedi trasmissioni via etere o alla presenza di auto-oscillazioni spurie all’interno del circuito, dovutespesso a componenti attivi non perfettamente messi a punto.

* Per un segnale che non sia periodico ed abbia estensione finita lo spettro di potenza assume unvalore nullo al tendere di T all’infinito e quindi il caso e normalmente di scarso interesse.

Page 32: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

30 [Cap. IV, § 3]

In questi casi, nello spettro di potenza misurato si fa distinzione –a parte il segnale propriamentedetto– fra rumore e disturbo. Col termine “rumore” si indica propriamente la parte aleatoria dovutaa fenomeni fisici in buona misura ineliminabili e comunque riconducibili a sorgenti casuali (chediscuteremo nel prossimo capitolo); col termine “disturbo” ci si riferisce propriamente alle altre fonti“sistematiche” (del tipo prima detto) di contributi allo spettro di potenza, almeno teoricamente eli-minabili una volta identificate. Va da se che nella pratica la eliminazione, ma anche solo la riduzione,dei disturbi puo essere una operazione complicata e talvolta estenuante, come spesso accade per glieffetti sistematici.

3.– Misura di densita spettrale tramite analizzatori di spettro

La determinazione sperimentale dello spettro di potenza si effettua normalmente con apparecchi(i cosidetti analizzatori di spettro) che si collegano ai terminali di interesse. In prima approssimazionepossiamo considerare lo strumento come un voltmetro ideale (impedenza di ingresso infinita), ingrado di rappresentare su uno schermo lo spettro di potenza in esame. Per frequenze elevate (di-ciamo maggiori di 1 ÷ 10 GHz) si utilizzano (come accennato nel Cap.II, §3) voltmetri selettiviaccordabili; per frequenze relativamente basse al giorno d’oggi molti di questi strumenti si basanosul campionare la sequenza di interesse (un numero finito di punti) per un tempo corrispondenteall’intervallo di quasi-periodicita, calcolare la FT della sequenza e poi desumere da questa lo spettrodi potenza. Il limite per T → ∞ e fatto semplicemente espandendo l’intervallo di quasi-periodicitaper un tempo opportunamente lungo (impostabile dall’utente). Spesso il calcolo della trasformatae effettuato applicando la cosidetta Trasformata di Fourier Discreta (DFT ) sull’insieme dei punticampionati, usando algoritmi particolarmente efficienti, come la cosidetta FFT , Fast Fourier Trans-form. Il campo delle frequenze presentate sullo schermo dipende dalla durata della osservazione perquanto riguarda il limite inferiore; per il limite superiore tutto dipende dalla “velocita di campiona-mento”, ovvero dall’intervallo ∆t fra un campionamento e l’altro; precisamente la massima frequenzarappresentata correttamente dall’Analizzatore di spettro –la cosidetta frequenza di Nyquist– e paria 1/(2 ∆t) (si veda il cosidetto teorema del campionamento). Abbiamo gia detto (§3 del Cap.II)che comunque la estensione temporale della misura deve essere assai maggiore del tempo proprio dirisposta del sistema, quello per cui la funzione di autocorrelazione della sequenza e significativamentediversa da zero.Si ricordi che nel collegare l’uscita di un qualunque circuito elettrico con l’ingresso di un altro (adesempio uno strumento di misura) le impedenze di uscita dell’uno con quelle di ingresso dell’altroinfluenzano l’andamento dello spettro di potenza osservato. In generale la configurazione di misura esempre riconducibile ad uno schema del tipo riportato nella Fig.3, dove si e assunto che il generatoredi segnale sia inevitabilmente accompagnato da un generatore di rumore ad esso in serie (e unaschematizzazione sempre possibile) e che esistano all’interno della rete altri generatori di rumore.Per tutti i generatori di segnale e di rumore, nonche per il generatore di uscita e per il misuratore,sono riportate le impedenze interne. Se vogliamo determinare la densita spettrale di rumore fra iterminali di uscita, si dovra tenere conto, secondo quanto visto nel primo paragrafo, della impe-denza di uscita Zout e di quella di ingresso Zim che lo strumento presenta fra i suoi terminali dimisura; normalmente essa e sufficientemente elevata rispetto a Zout da poterne trascurare l’effetto;se non e questo il caso, lo spettro di potenza effettivamente misurato dallo strumento sara dato dauna espressione del tipo della formula 3) che tenga esplicitamente conto della impedenza secondo

Page 33: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. IV, § 4] 31

Thevenin Zout del generatore equivalente di tensione Vout che vogliamo misurare e dell’impedenzadi ingresso dello strumento.

Rete lineare

Vs

Vn

Zsn

Zrsn

Zni

Vni

Zrni

Vout

ZoutZim

Sorgente di segnale

+ rumore

Altre sorgenti di rumore

Misura

Strumento di misura

Fig.IV.3Ricordando poi le considerazioni svolte sulla inevitabile aleatorieta di ogni determinazione speri-mentale di spettri potenza, non ci stupiremo del fatto che gli spettri che lo strumento mostrera insuccessione sullo schermo dopo ogni campionamento e analisi, non saranno identici fra loro; al piu,per avere una presentazione di un andamento piu regolare, potremmo richiedere allo strumento, sedotato di questa opzione, di compiere –frequenza per frequenza– la media fra le successive determi-nazioni in modo da minimizzare le fluttuazioni osservate.Nella Fig.4 e proprio rappresentato un tipico risultato per uno spettro di potenza, con tutte lefluttuazioni dovute alla breve durata della misura. Lo spettro di potenza si riferisce alla densitaspettrale di rumore all’uscita di un preamplificatore di carica (si veda il Cap.VII). Si noti la scalaverticale logaritmica, necessaria per mostrare con un sufficiente dettaglio la grande varieta di valoridello spettro di potenza.

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32 [Cap. IV, § 5]

Fig.IV.4

4.– Misura di rumore integrata sulla banda passante

Qualora non si sia interessati allo spettro di potenza, ma si voglia solo conoscere la varianzatotale della tensione di rumore, si puo utilizzare semplicemente un voltmetro a vero valore efficace. Ilquadrato della tensione Vrms misurata da la somma del quadrato del valor medio della tensione piula sua varianza. Una misura di rumore cosı condotta, oltre ad imporre la determinazione accurata delvalor medio (tanto piu accurata tanto piu esso e grande), ha comunque un limite, legato proprio alfatto che essa da un valore del rumore integrato sulla banda passante dello strumento. Precisamente,supponendo pure che lo strumento abbia una impedenza di ingresso Zim di cui si possa tenere contocome detto alla fine del paragrafo precedente, comunque esso non sara mai ugualmente sensibile atutte le frequenze in ingresso e la Vrms misurata rappresenta un valore di rumore integrato su unagamma limitata (spesso sia inferiormente che superiormente) di frequenze, sulla quale il costruttoreci dovra informare. Raramente la banda e definita in maniera brusca e il profilo con cui essa va azero deve pure essere conosciuto e fornito dal costruttore; normalmente, a parte il profilo, il valoredi banda riportato si riferisce alle frequenze di −3 dB.

5.– Un metodo per la misura della varianza di rumore nelle

classificazioni di ampiezza

Supponiamo che all’uscita di un circuito elettronico di misura (ipoteticamente, per ora, esenteda rumore) si presentino segnali della forma rappresentata nella Fig.5

Fig.IV.5Tali segnali nei casi di interesse fisico che saranno descritti nel seguito, si presentano a caso neltempo e di essi deve essere misurato il valore del massimo. Per far questo un ADC collegato allauscita del circuito, dopo aver rivelato, tramite un circuito di trigger a soglia, l’arrivo di un segnale,attiva un circuito di Sample and hold che compie una operazione di prolungamento del valore delmassimo (stretching) e poi converte tale valore.

Page 35: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. IV, § 5] 33

Se le ampiezze dei segnali sono tutte identiche, ogni segnale da luogo, all’uscita dell’ADC, allostesso codice numerico. Facendo quindi un istogramma delle conversioni, ovvero una classificazionedelle ampiezze, otteniamo l’addensamento di tutte le ampiezze in un unico canale (lo stesso codicenumerico) dell’istogramma. Cosa accade ora se all’uscita del circuito e presente anche il rumoreelettrico? E’ possibile misurare la varianza di questo rumore? Visivamente, osservando con un o-scillografo l’uscita del circuito, percepiremo la presenza del rumore come una increspatura del tipomostrata in Fig.6:

Fig.IV.6L’andamento del rumore presentato nella Fig.6 e realistico e rappresenta proprio quello che si osservain casi reali che studieremo in dettaglio nel Cap.VII. Si noti, in particolare, che le variazioni in fun-zione del tempo del rumore si svolgono su tempi che sono confrontabili con quelli di raggiungimentodel massimo del segnale. Il sistema di conversione, che per semplicita continuiamo a considerareesente da disturbi e da rumore proprio, compira sul segnale affetto dal rumore la stessa operazionedi Sample and hold e di conversione vista prima e convertira il massimo, il cui valore e ora influenzatodalla presenza del rumore. In particolare il massimo (il primo massimo che il circuito di Sample andhold individua dopo il trigger) non sara quello “esatto” senza rumore, ma subira di volta in volta unafluttuazione del valore verso l’alto o verso il basso. Le conversioni allora, sempre nell’ipotesi di se-gnali originari di ampiezza costante, si distribuiranno attorno al medesimo valor medio di prima masparpagliandosi un po’: nell’istogramma esse non “cresceranno su un unico canale” come prima, maassumeranno la forma di un picco con larghezza finita (oltretutto, come vedremo poi, la distribuzionerisultera gaussiana). La determinazione della varianza della distribuzione delle conversioni, fatta di-rettamente sull’istogramma, permette la conoscenza della varianza del rumore, una volta che sianoto il coefficiente di proporzionalita fra le conversioni numeriche all’uscita dell’ADC e la tensioneal suo ingresso.Questo metodo di misura del rumore e quello normalmente impiegato nelle misure in fisica nucleare,nelle quali i segnali di Fig.5 e 6 sono prodotti dalle particelle ionizzanti che colpiscono un rivelatore;il massimo di tali segnali e di interesse perche il processo di rivelazione e misura ne assicura laproporzionalita alla energia depositata dalle particelle rivelate (vedi Cap.VII).

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.IV

Firenze, 10 gennaio 2003

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Universita degli Studi di Firenze, Dipartimento di Fisica

Anno Accademico 2002-2003

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V

LE SORGENTI FISICHE DI RUMORE

1.– Il rumore Johnson di una resistenza o rumore termico

Equipaggiati con quel po’ di formalismo illustrato nei capitoli precedenti, ritorniamo all’esempiointrodotto nel §.1 del Cap.II: supponiamo cioe di disporre di una resistenza R, posta in equilibriotermico con un serbatoio di calore a temperatura T costante.Se misuriamo con un voltmetro ideale (impedenza di ingresso infinita, banda passante pure infinita eprecisione e sensibilita quanto occorre) la ddp ai capi della nostra R, isolata da qualunque altra retelineare, troviamo una sequenza di valori di tensione vR(t) con −T/2 < t < T/2, che costituisconola nostra sequenza casuale stazionaria.Assumiamo come fatto sperimentale assodato (magari ottenuto studiando a lungo il comportamentodella nostra resistenza con intervalli di quasi-periodicita molto estesi) che :

〈vR〉 = 0 (V.1)

cioe il valor medio della tensione e nullo.Il valore quadratico medio della tensione rappresenta quindi la varianza della tensione ai capi dellaresistenza:

〈v2R〉 =

∫ ∞

0

wJv (ν) dν (V.2)

ed e diversa da zero. Si noti che le medie riportate rappresentano le medie temporali, coerentementecon i simboli adottati e con il fatto che stiamo osservando un unico resistore. Ricordiamo tuttaviache, a causa dell’ipotesi ergodica, tali medie coincidono con quelle di insieme.Nel seguito vedremo che l’origine della ddp fluttuante ai capi di R va ricercata nel moto caoticodei portatori di carica nel conduttore, ovvero nella agitazione termica. Piu avanti, nell’ambitodel modello di Drude per la conduzione ohmica, sfrutteremo proprio questa modellizzazione perricavare l’andamento della funzione di autocorrelazione della sequenza vR(t) e quindi della densitaspettrale di rumore. Ora seguiamo invece un approccio esclusivamente fenomenologico, cercando dideterminare l’andamento dello spettro di potenza ai capi della resistenza in funzione della frequenzae dei parametri fisici in gioco (R, T per esempio). Lo spettro di potenza della resistenza e statoindicato con wJ

v per ricordarci da una parte che si tratta di uno spettro di potenza in tensione e daun’altra che tale rumore e detto rumore Johnson dal nome del suo scopritore.Notiamo innanzitutto che l’origine “termica” del rumore e presto messa in evidenza cambiando latemperatura del bagno termostatico col quale R si trova in contatto: se immaginiamo di determinare〈v2

R〉(T ) alle varie temperature troviamo che tale varianza e proporzionale a T . Pertanto consideriamoil risultato

wJv (ν) ∝ T (V.3)

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36 [Cap. V, § 1]

come un fatto sperimentalmente verificato, avendo appurato che le varianze, cioe gli integrali della 3)su tutta la banda spettrale, risultano proporzionali a T . Piu avanti arriveremo a questa conclusioneanche sulla base di principi primi.Per trovare la dipendenza della densita spettrale di rumore dal valore di R occorre approfondire eprecisare il modello fisico che rappresenta il fenomeno “resistenza rumorosa”: con lo strumento idea-le che abbiamo introdotto all’inizio del paragrafo di fatto abbiamo determinato la fem equivalentesecondo Thevenin ai capi di R; essendo comunque la resistenza sorgente del rumore un elementolineare, schematizziamo, coerentemente con le misure effettuate, la resistenza a temperatura T comeun generatore reale con resistenza interna secondo Thevenin R non “rumorosa” e di fem secondoThevenin pari a quella osservata con voltmetro ideale vR = vn(t) (Fig.1):

R+

vn/δν

2

wvJ

oppurev (t) n

b)a)

R+

Fig.V.1

L’indice n (come noise, rumore) ci dice che si tratta di un generatore casuale con densita

spettrale di rumore wJv o –come spesso si indica–

〈v2n〉δν

oppurev2

n

δν, con una notazione che, a parte

l’ambiguita sui simboli per le medie, esprime in maniera pregnante la densita spettrale come varianzadi tensione per unita di frequenza. Si ricorda che le unita di misura dello spettro di potenza intensione sono V 2 Hz−1.Non ci addentreremo in altri argomenti per giustificare la modellizzazione della nostra resistenza“rumorosa” col generatore reale di tensione della Fig.1; ci limiteremo a dire che il modello in figurariproduce fedelmente tutti i fenomeni sperimentalmente osservati riguardo al rumore della resistenza.Funzionando quindi la schematizzazione del generatore reale di tensione, non sorprende che esso sipossa –ove necessario– sostituire col generatore reale di corrente secondo Norton:

wvJ

wvJ

wJ

i R2=R

R+

Fig.V.2

L’equivalenza secondo Norton impone che il generatore ideale di corrente posto in parallelo allaresistenza “non rumorosa” R abbia una densita spettrale di rumore in corrente wJ

i pari a quella delgeneratore di tensione equivalente, scalata per l’inverso del quadrato di R. Lo spettro di potenza

Page 39: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 1] 37

del generatore di corrente si indica anche con i simboli〈i2n〉δν

oppurei2nδν

e si misura in A2 Hz−1.

Sia il generatore di Thevenin sia quello di Norton hanno valor medio di tensione e corrente (rispet-tivamente) nulli. Questo non impedisce pero ai generatori di essere in grado di trasferire potenzaverso l’esterno, a patto pero di non violare il II Principio della Termodinamica. Vediamo propriocome un ragionamento termodinamico ci permetta di trovare la dipendenza della densita spettrale dirumore dal valore di R. Consideriamo infatti due resistori R1 e R2 collegati come in Fig.3, il primoposto a contatto con un bagno termico B1 a temperatura T1 e il secondo con un bagno termico B2

a temperatura T2:

T1 T2

R1 R2

2v /δν2n2v /δν1n

i(t)+

B1 B2

−−

+

Fig.V.3I simboli 〈v2

1,2n〉 rappresentano le varianze delle tensioni di rumore (secondo lo schema diThevenin) ai capi delle due resistenze.In un istante generico t, le tensioni dei generatori saranno v1(t) e v2(t) e la corrente istantanea i(t)che circola nella maglia sara data da:

i(t) =v1(t)− v2(t)R1 +R2

(V.4)

Il collegamento fra i due serbatoi di calore B1 e B2 avviene unicamente tramite i conduttori elettricifra le due resistenze (immaginiamo che la conducibilita termica di questi conduttori sia trascurabile)e quindi ogni trasferimento di energia da un sistema all’altro passa tramite il trasferimento di potenzaelettrica. Pertanto, per calcolare la potenza che istantaneamente viene trasferita fra i due sistemi esufficiente calcolare il prodotto i(t) ·v(t), dove v(t) rappresenta la tensione fra i due terminali tramitein quali i due circuiti sono accoppiati:

W1→2(t) = i(t) · v(t) (V.5)

Possiamo esprimere la v(t) per esempio come:

v(t) = v2(t) + i(t) ·R2 (V.6)

ovvero come la somma della tensione di rumore sulla resistenza R2 piu la caduta totale della i(t)sulla resistenza medesima. Utilizzando la 4) per esprimere i(t) e la 6) per v(t), mediando la 5) sultempo otteniamo allora:

〈W1→2(t)〉 = 〈v1(t)− v2(t)R1 +R2

· (v2(t) + i(t) ·R2)〉 =〈v2

1(t)〉(R1 +R2)2

·R2 −〈v2

2(t)〉(R1 +R2)2

·R1 (V.7)

Page 40: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

38 [Cap. V, § 1]

I termini misti del tipo v1(t) · v2(t) scompaiono quando se ne fa la media in quanto i due generatoridi rumore agiscono indipendentemente l’uno dall’altro ed entrambi sono a media nulla. Possiamointerpretare il risultato 7) dicendo che il primo addendo

〈v21(t)〉

(R1 +R2)2·R2 (V.8)

rappresenta la potenza che il generatore di rumore associato alla resistenza R1 compie sul sistemaB2, mentre il secondo

〈v22(t)〉

(R1 +R2)2·R1 (V.9)

rappresenta l’analoga potenza trasferita dal generatore di rumore associato ad R2 sul sistema B1. Ilsegno che assume la 7) dice verso quale sistema viene trasferita energia e da quale viene assorbita;possiamo senz’altro dire che la 7) sara positiva, cioe la potenza verra trasferita da sinistra a destra,ovvero il primo termine sara superiore al secondo, quando la temperatura T1 del serbatoio B1 esuperiore a T2 e viceversa.Se T1 = T2 = T , essendo i due sistemi in equilibrio, non deve avvenire alcun trasferimento netto dipotenza da un sistema verso l’altro, ovvero devono essere uguali le potenze medie trasferite da unsistema all’altro. Ponendo quindi

〈W1→2(t)〉 = 0 (V.10)

otteniamo:〈v2

1(t)〉(R1 +R2)2

·R2 =〈v2

2(t)〉(R1 +R2)2

·R1 (V.11)

ovvero〈v2

2〉〈v2

1〉=R2

R1(V.12)

La 12) ci dice che le due varianze totali 〈v21,2〉 stanno fra loro come le rispettive resistenze. Questo

significa che una analoga relazione deve valere per le densita spettrali di rumore: infatti se larelazione 12) non valesse in ogni intervallo di frequenza, sarebbe possibile violare il II Principiodella Termodinamica, inserendo un opportuno filtro in frequenza (puramente passivo) fra le dueresistenze.Pertanto, utilizzando anche la 3), abbiamo:

wJv = k′ T R (V.13)

Quanto alla dipendenza dalla frequenza si trova, seguendo ad esempio la dimostrazione di Nyquistriportata successivamente, che la densita spettrale di rumore e costante, ovvero indipendente dallafrequenza e pari a:

wJv = 4 kTR (V.14)

con k = 1.38066 10−23JK−1, costante di Boltzman.Il risultato di Nyquist, come vedremo, si basa sul Principio classico di equipartizione dell’energia.Non stupisce quindi che il risultato sia sostanzialmente sbagliato e porti –come per lo spettro dicorpo nero della formula di Rayleigh-Jeans– alla cosidetta catastrofe ultravioletta, che nel nostrocaso si traduce nella divergenza della varianza totale di rumore della ddp termica ai capi di R. Laformula corretta quantisticamente per la densita spettrale di rumore Johnson e:

wJv (ν) =

4Rhνehν/kT − 1

(V.15)

Page 41: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 1] 39

con h = 6.62618 10−34Js, costante di Planck.La differenza fra la 14) e la 15) si apprezza soltanto per frequenze tali per cui hν ≈ kT o superiori.A temperatura ambiente cio significa ν ≈ 6 1012Hz. In pratica, a causa dei valori di banda passantedella strumentazione elettronica normalmente disponibile, la densita spettrale di rumore Johnson sipuo effettivamente trattare come costante, con un errore praticamente inesistente. Si noti comunqueche, inserendo la 15) nell’integrale 2), si rimuove ogni divergenza ed in particolare si trova:

〈v2R〉 =

∫ ∞

0

4Rhνehν/kT − 1

dν =23π2k2T 2R

h(V.16)

Vedremo piu avanti che altri fattori (in particolare le bande passanti effettivamente disponibili)introducono dei meccanismi che limitano in alta frequenza lo spettro di potenza, molto piu “effi-cacemente” della Meccanica Quantistica.Facciamo un calcolo di varianza totale di rumore, ammettendo che lo strumento di misura dellatensione abbia una banda passante BW limitata (e trascurando gli effetti di “bordo”):

〈v2〉BW =∫

BW

wJv dν = 4kTR ·BW (V.17)

Per esempio, per una resistenza R = 1 MΩ, a temperatura ambiente e con una banda passantedello strumento di misura estesa fra 0 e 1MHz abbiamo 〈v2〉BW ≈ 1.7 10−8V 2, ovvero una tensionerms 〈vrms〉 ≈ 130µV . Le fluttuazioni osservate sono comunque assai piccole e questo rende ra-gione del fatto che, senza disporre di strumentazione sufficientemente sensibile, tali effetti non sianofacilmente messi in evidenza. Vale la pena di far notare che se si osserva con un oscillografo suffi-cientemente sensibile la tensione ai capi di una resistenza a temperature finita T e se l’oscillografoha un definito limite in alta frequenza (diciamo 1MHz assumendo di disporre di un modesto o-scillografo da “1MHz”), l’andamento caotico della tensione ovviamente presenta variazioni che nonhanno componenti di frequenza apprezzabili oltre il limite superiore della banda passante. La va-rianza totale osservata, valutata dalla 17), si compone di tutte le fluttuazioni del segnale visibili sulloschermo. Se osservassimo la medesima resistenza, alla medesima temperatura ma con un oscillografoda “100MHz”, osserveremmo una sequenza che differirebbe dalla precedente per la presenza aggiun-tiva di componenti molto piu rapidamente variabili e tali per cui l’ampiezza media delle fluttuazionirisulterebbe accresciuta di un fattore 10 e la varianza totale aumentata del fattore 100, previstodalla 17). In Fig.4 e riportata una simulazione numerica che rappresenta i due casi in esame, osser-vati con la stessa base dei tempi (parte inferiore e superiore rispettivamente per BW = 1 MHz eBW = 100 MHz; le unita verticali sono arbitrarie, ma coerenti). Nella parte a) sono presentate lesequenze su un intervallo di circa 8 µs, mentre nella parte b) compare solo il primo µs delle sequenze;si noti il cambiamento di scala verticale fra le sequenze a 1 MHz e quelle a 100 MHz.

Page 42: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

40 [Cap. V, § 2]

Fig.V.4Ricordiamo che la banda passante di un oscillografo (BW = 1 MHz e BW = 100 MHz nei duecasi appena considerati), e generalmente ben descrivibile come un filtro passa basso con frequenzadi taglio proprio pari alla frequenza indicata; le sequenze riportate nella Fig.4 sono state infatti ot-tenute inviando una sequenza di rumore bianco all’ingresso di due filtri passa basso con le frequenzedi taglio di BW = 1 MHz e BW = 100 MHz e prelevandone le uscite. L’andamento della funzionedi autocorrelazione delle sequenze del tipo mostrato nella Fig.4, verra discusso piu avanti, nel §3.

Page 43: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 2] 41

2.– Derivazione dello spettro di potenza Johnson secondo Nyquist

La forma dello spettro di potenza del rumore Johnson e stato ricavato da Nyquist considerandodue resistenze R1 = R2 = R, entrambe alla stessa temperatura T , collegate con una linea ditrasmissione non dissipativa, avente impedenza caratteristica pari a R e di lunghezza L, anch’essa atemperatura T , schematizzata nella Fig.5.

R1 R2

Fig.V.5Abbiamo gia visto che due resistenze in equilibrio termico e collegate in parallelo trasferiscono

l’una verso l’altra la medesima potenza. Tale potenza in un ambito di frequenza δν, cioe espressa infunzione delle densita spettrali spettrali di rumore, puo scriversi (estensione della 9):

dPR1→R2 = dPR2→R1 =wJ

v

4Rdν (V.18)

Detta v la velocita con la quale le onde elettromagnetiche si propagano nella linea (supponiamoche la velocita sia la stessa per tutte le frequenze, ovvero che la linea non sia dispersiva), il tempodurante il quale la potenza dP si trova distribuita sulla linea vale: θ = L/v; quindi l’energia mediaaccumulata sulla linea vale:

dWf = (dPR1→R2 + dPR2→R1) ·L

v=wJ

v

2RL

vdν (V.19)

Per trovare l’espressione della densita spettrale di rumore, consideriamo ora la linea di trasmissionecome un sistema fisico non dissipativo all’equilibrio a temperatura T . Consideriamo ora la linea inquestione con gli estremi cortocircuitati. Essa, proprio per il fatto di trovarsi a temperatura nonnulla, e sede di onde stazionarie; vedremo fra un attimo quali sono le frequenze ammissibili perqueste onde; per ora ci basti dire che ad ognuna di esse sono associati due gradi di liberta, ovvero ilcampo elettrico e quello magnetico oscillanti dell’onda. Pertanto, per il Principio di equipartizionedell’energia (classico) possiamo affermare che per ogni onda stazionaria presente nella linea esisteuna quantita kT di energia accumulata nella linea stessa. Si tratta ora di calcolare quante sono leonde stazionarie dNf presenti nella linea cortocircuitata, comprese in un intervallo di frequenza dν.La prima, cioe la piu bassa frequenza delle onde stazionarie, vale:

ν1 =v

2L(V.20)

Le altre onde stazionarie hanno le frequenze corrispondenti ai multipli interi di ν1: νn = n · ν1. Ladifferenza δν fra una generica νn e la successiva e pertanto pari a ν1 e quindi in un dato intervallo difrequenze dν attorno a qualunque frequenza ν avremo un numero di possibili onde stazionarie paria :

dNν =dν

ν1=

2Lv

dν (V.21)

Page 44: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

42 [Cap. V, § 3]

La 21) suggerisce anche che all’aumentare della lunghezza L della linea il numero delle onde elettro-magnetiche stazionarie nell’intervallo di frequenza dato cresce proporzionalmente a L.Sulla base del Principio di equipartizione dell’energia, l’energia media immagazzinata nella linea inun intervallo dν di frequenza vale:

dUL = kT dNν = kT · 2Lv

dν (V.22)

Cosa cambia se ora, invece di considerare la linea cortocircuitata ai suoi estremi, la supponiamo–come nella configurazione considerata inizialmente– chiusa agli estremi sulle resistenze R1 e R2,entrambe di valori pari alla impedenza caratteristica R della linea? Di fatto, se consideriamo la lineacortocircuitata agli estremi e infinitamente lunga (come conviene immaginare, per poter esaminarein questo schema tutto l’ambito di frequenze possibili), non cambia niente –per quanto riguarda lostato stazionario del sistema– a cortocircuitare la linea agli estremi o a chiuderla sulla impedenzacaratteristica: infatti una linea infinitamente lunga e non dissipativa e vista da qualunque sezionecome una pura resistenza pari alla impedenza caratteristica R. Pertanto possiamo uguagliare la 22)e la 19), ottenendo l’andamento di wJ

v cercato:

kT2Lv

dν =wJ

v

2RL

vdν ⇒ wJ

v = 4kRT (V.23)

3.– Il rumore termico in un circuito RC

Consideriamo il circuito RC della Fig.6 e calcoliamo, usando la 23), la densita spettrale

wvJ C

R+

Fig.V.6di rumore in tensione ai capi del condensatore. Abbiamo gia ottenuto il risultato generale IV.5 che,utilizzando la 23), ci dice:

wCv =

4kTR1 + 4π2ν2R2C2 (V.24)

L’andamento rappresentato dalla 24) e riportato nella Fig.7, per due valori di C:

Page 45: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 3] 43

Fig.V.7Si nota che, pur partendo da una densita spettrale di rumore “bianca” sulla resistenza R, la presenzadi una capacita C ai capi di R porta ad una densita spettrale che va a zero all’aumentare dellafrequenza. In particolare, detto θ = RC, la densita di potenza si dimezza rispetto al valore incontinua (coincidente con la densita spettrale di rumore Johnson su R) per la frequenza νH =1/(2πθ). Questo risultato ci dice anche qual e l’effetto fisico reale che quasi sempre taglia in altafrequenza qualunque spettro di potenza realmente osservabile: la presenza della capacita (spessoanche solo quella parassita) fra i terminali di misura immediatamente introduce un taglio in banda.Facciamo un esempio considerando un resistore con R = 50Ω, con una capacita fra i terminali(comprensiva dello strumento di misura) di 0.1 pF (difficile scendere ulteriormente sotto questovalore). Anche in queste condizioni ottimali, esiste un taglio in frequenza di circa νH ≈ 30 GHz,decisamente inferiore al limite fisico posto dalla meccanica quantistica (vedi la 15)).Calcoliamo ora la varianza totale di rumore ai capi di C:

〈v2Cn〉 =

∫ ∞

0

wCv dν =

∫ ∞

0

4kTR1 + 4π2ν2R2C2 dν =

4kT2πC

∫ ∞

0

d(2πRCν)1 + 4π2ν2R2C2 =

=2kTπC

∫ ∞

0

dx

1 + x2 =2kTπC

arctan(x)∣∣∣∣∞0

=kT

C

(V.25)

Troviamo quindi che il valore quadratico medio della tensione ai capi del condensatore posto inparallelo alla resistenza sorgente del rumore e costante e inversamente proporzionale a

√C.

La varianza in tensione ai capi di C si puo utilmente esprimere come la varianza di carica sullearmature del condensatore:

〈Q2C〉 = C2 · 〈v2

cn〉 = kTC (V.26)

o come energia media accumulata nel campo elettrico fra le armature:

〈EC〉 =12C〈v2

Cn〉 =12〈Q2

C〉C

=12kT (V.27)

Quest’ultimo risultato riguardo all’energia media accumulata sul condensatore corrisponde a quelloche si ottiene applicando il pricipio di equipartizione dell’energia; faremo vedere nel prossimo para-grafo che, partendo proprio dal principio di equipartizione dell’energia, cioe considerando la 27) comepunto di partenza, sia possibile dedurre la densita spettrale di rumore Johnson.Tornando alla espressione 24) e alla sua dipendenza dalla frequenza, puo essere istruttivo calco-lare la funzione di autocorrelazione RC(τ) corrispondente e confrontarla con quanto atteso. Sulla

base del teorema di Wiener-Khinchin (§4, Cap.III) RC(τ) = FT−1wCv

2 e pertanto, ricordando le

proprieta generali delle coppie trasformata-antitrasformata, abbiamo che, estendendosi la wCv fino a

Page 46: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

44 [Cap. V, § 3]

frequenze dell’ordine di 1/(2πRC), la funzione di autocorrelazione RC(τ) e concentrata proprio sutempi dell’ordine di RC. Il significato fisico di cio e relativamente semplice: mentre in una sequenzadi tensione di rumore perfettamente e idealmente bianco, essendo presenti tutte le frequenze conugual peso, ci possiamo aspettare che la tensione in un istante t sia completamente indipendentedalla tensione al tempo t+τ , quantunque piccolo sia τ , nel caso del condensatore C chiuso su una re-sistenza R le aspettative sono diverse. Ovvero se al tempo t la tensione ai capi di C (e di R ad essa inparallelo) vale vcn(t), ad un tempo t+τ , con τ RC, essa non potra assumere un valore qualunqueperche naturalmente essa tende a variare con costante di tempo θ = RC; si veda in proposito la Fig.4b, in basso a destra, dove il segnale passato attraverso la banda passante di 1 MHz presenta propriol’effetto sopradetto e non mostra forti variazioni su tempi attorno a θ = 1 10−6/(2π) s ≈ 160 ns.Calcoliamo quindi RC(τ). Secondo la 17) abbiamo:

RC(τ) =∫ ∞

0

wCv cos (2πντ) dν = 4kTR

∫ ∞

0

cos (2πντ)1 + 4π2ν2R2C2 dν =

=4kT2πC

∫ ∞

0

cos (2πντ)1 + 4π2ν2R2C2 d(2πRCν) =

4kT2πC

∫ ∞

0

cos (xτ/RC)1 + x2 dx

(V.28)

Valendo, per a > 0, ∫ ∞

0

cos mxa2 + x2 dx =

π

2ae−|m|a

abbiamoRC(τ) =

kT

Ce−|τ |/RC (V.29)

ovvero una cuspide esponenziale centrata nell’origine. La Fig.8 rappresenta proprio la funzione diautocorrelazione (in unita arbitrarie) per una sequenza simulata ottenuta filtrando rumore bianco at-traverso un filtro passa basso di RC = θ = 10 ns, ovvero con una frequenza di taglio νH = 16MHz.

Fig.V.8L’andamento mostrato nella Fig.8 (che in dettaglio si puo osservare nella parte b) della figura)

Page 47: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 4] 45

conferma quantitativamente quanto atteso e ci dice che la costante di tempo θ = RC del circuitomisura la “memoria” che il sistema possiede riguardo alle fluttuazioni e che per valori decisamentemaggiori di θ la funzione di autocorrelazione va a zero; l’annullarsi della RC(τ) per τ RC

e particolarmente chiaro nella parte a) della figura dove e presentato un ampio campo di valoridi τ . Un’altra maniera di interpretare questo risultato e quella di considerare θ = RC come iltempo caratteristico col quale le fluttuazioni vanno a regime (i valori della sequenza per tempi chedifferiscono di τ θ sono infatti completamente scorrelati).

4.– La misura di carica in un CCD

Come applicazione delle considerazioni sopra svolte, consideriamo un dispositivo CCD (ChargeCoupled Device): in esso, molto schematicamente, la raccolta della informazione associata alle misureche con tali dispositivi vengono fatte si riconduce alla misura della tensione ai capi di una capacitaCM (dell’ordine di alcuni decimi di pF ) sulla quale si e depositata una certa quantita di carica Qs. Lagrandezza alla quale siamo interessati e proprio la caricaQs, in quanto essa e proporzionale al numerodi fotoni assorbiti sulla superficie sensibile del pixel; in altre applicazioni, per la verita meno comuni,la carica risulta proporzionale all’energia depositata da una particella ionizzante all’interno del vo-lume di semiconduttore associato al pixel. La particolarita dei dispositivi CCD, che rende l’esempioche stiamo facendo particolarmente perspicuo, e che il trasferimento della carica sulla capacita CM

(preventivamente scaricata) avviene dietro nostro comando e che solo dopo tale trasferimento la ddp

vs ai capi del condensatore viene misurata con uno strumento ad alta impedenza: vs =Qs

CM.

CMr

vs vs

CMr

vs

QS

QS

QS

CMr

vsvs

R

= 0

R

vs = (Q + Q ) / C n S M

a)

b)

c)

R

= Q / Cn M

Fig.V.9

Page 48: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

46 [Cap. V, § 5]

La piccolezza di CM aiuta ad ottimizzare il rapporto segnale/rumore. Infatti sappiamo che sul con-densatore, indipendentemente dal valore della resistenzaR posta in parallelo ad esso (e a temperaturaT ), e presente una carica di valore aleatorio, con varianza 〈Q2

n〉 = kTCM , secondo la 26). Per ridurretale fluttuazione, da confrontare con Q2

s, le ricette possibili sono due: tenere il sistema a temperatura

ridotta e diminuire CM , che –a parita di Qs– aumenta il rapporto vs/√〈v2

cn〉 =Qs

CM

√CM√kT

∝ 1√CM

.

Queste ultime considerazioni potrebbero far supporre che di fatto fosse comunque impedita la deter-minazione di cariche Qs dell’ordine o inferiori delle fluttuazioni

√(kTCM ), ovvero che la presenza

delle fluttuazioni di carica di fatto stabilisca un limite invalicabile per la sensibilita di misura. Atemperatura ambiente e con CM = 0.2 pF , si trova che

√(〈Q2

n〉) ≈ 2.9 10−17C ≈ 180 caricheelettroniche. In realta, proprio a causa dell’andamento della funzione di autocorrelazione RC(τ)data dalla 29), questo limite puo essere superato. Infatti, dalle considerazioni sull’andamento diRC(τ), sappiamo che le fluttuazioni di carica hanno dei tempi propri di modificazione, dell’ordine diθ = RC: se la carica fluttuante sulle armature di C vale in un certo istante Qn, essa manterra questovalore sostanzialmente inalterato per tutti i tempi RC. Nei casi reali: CM ≈ 0.2 pF , R > 109Ω(comprensiva della resistenza di fuga e della resistenza di ingresso del misuratore di tensione) equindi θ = RC > 0.2 10−3 s. Quindi, sfruttando il fatto che nei CCD il trasferimento della carica damisurare Qs e comandato esternamente dall’utente e che l’operazione di trasferimento di carica e dimisura della stessa possono durare anche solo pochi µs, si puo procedere come segue: si scarica CM

chiudendola temporaneamente su una resistenza r R (fase riportata nella Fig.9a); poi, dopo averriaperto il contatto con r, si misura la carica fluttuante Qn (Fig.9b). Si trasferisce poi la carica Qs

su CM e si misura la tensione ai capi di CM , ottenendo per la carica Q = Qs +Q′n (Fig.9c). Poichela prima misura, il trasferimento e la seconda misura si svolgono in un lasso di tempo di pochi µs,allora Q′n = Qn con ottima approssimazione e dalla misura di Q si puo sottrarre Qn per ottenere Qs.

5.– Il rumore termico in un circuito RC e la densita

spettrale di rumore Johnson

In questo paragrafo proponiamo una maniera alternativa, rispetto alla procedura di Nyquist, dicalcolare la densita spettrale di rumore Johnson.Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che, partendo dalla densita spettrale di rumore Johnson,siamo arrivati a scrivere per il valore dell’energia media accumulata sul condensatore C in paralleload R:

〈EC〉 =12C〈v2

cn〉 =12C

∫ ∞

0

wJv

1 + 4π2ν2R2C2 dν =

=1

4πR

∫ ∞

0

wJv

1 + 4π2ν2R2C2 d(2πνRC) =1

4πR

∫ ∞

0

wJv

1 + a2ν2 d(aν)(V.30)

con a = 2πRC. Vogliamo far vedere che, dovendo essere per il principio di equipartizione dell’energia

classico 〈EC〉 =kT

2, di necessita allora wJ

v = 4kTR.

Posto quindi wJv = wJ

v (ν), ovvero una funzione in generale dipendente dalla frequenza, uguagliando〈EC〉 a kT/2 e sfruttando la 30), otteniamo:

〈EC〉 =12kT =

14πR

∫ ∞

0

wJv (ν)

1 + a2ν2 d(aν) (V.31)

Page 49: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 6] 47

La 31) puo essere riscritta: ∫ ∞

0

wJv (ν)

1 + a2ν2 d(aν) = 2πkTR = A (V.32)

con A costante. Vogliamo dimostare che dalla 32) discende:

wJv (ν) =

2Aπ

= 4kTR (V.33)

ovvero in particolare indipendente dalla frequenza. In pratica nel seguito si dimostra quello che unaattenta osservazione della 32) fa intuire, ovvero che essendo l’integrale in d(aν) del prodotto di unafunzione wJ

v (ν) per un’altra funzione di aν indipendente dal fattore si scala a (in particolare da C),necessariamente wJ

v (ν) non puo dipendere da ν.Poniamo quindi:

wJv (ν) =

2Aπ

+ w0(ν) (V.34)

con solo w0(ν) dipendente da ν. Dimostrare la 33), significa dimostrare:∫ ∞

0

w0(ν)1 + a2ν2 d(aν) = 0 (V.35)

ovvero ponendo y = aν: ∫ ∞

0

w0(y/a)1 + y2 dy = 0 (V.36)

Si tratta allora di dimostrare che la relazione 36) comporta w0(y/a) = 0.D’altronde w0(y/a) si puo scrivere come w0(y/a) = w0( elog(y/a) ) = w0( e(log y−log a) ) = f(log y −log a). Pertanto dalla 36) abbiamo: ∫ ∞

0

f(log y − log a)1 + y2 dy = 0 (V.37)

Ponendo log y = z e log a = µ, abbiamo

dy

y= dz ⇒ dy = dz · y = ez dz (V.38)

e quindi ∫ ∞

0

f(log y − log a)1 + y2 dy =

∫ ∞

−∞

f(z − µ)1 + e2z ez dz (V.39)

Posto g(z) =ez

1 + e2z , abbiamo:

∫ ∞

−∞f(z − µ) g(z) dz = 0 (V.40)

Ricordando che-FT

∫∞−∞ f(µ− z) g(z) dz = FTf · FTg,

-FT∫∞−∞ f(z + µ) g(z) dz = FTf · FT ∗g

e quindi-FT

∫∞−∞ f(z − µ) g(z) dz = FT

∫∞−∞ f(z) g(z + µ) dz = FT ∗f · FTg,

abbiamo:FT ∗f · FTg = 0 (V.41)

Page 50: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

48 [Cap. V, § 6]

Essendo FTg =∫∞−∞

ez

1 + e2z e−j2πνz dz 6= 0, abbiamo che la 41) comporta necessariamente:

FT ∗f = 0 (V.42)

e quindi f(z) = w0(y/a) = 0, come dovevasi dimostrare.

6.– Il modello di Drude di un conduttore e il rumore Johnson

In questo paragrafo riportiamo un ulteriore metodo per il calcolo del rumore Johnson di unaresistenza, basato sul modello di Drude della conduzione ohmica. Questo modello della conduzione enotoriamente un po’ rozzo; tuttavia il calcolo che si puo fare in questo ambito mette bene in evidenzasia i meccanismi fisici fondamentali, sia gli aspetti formalmente piu interessanti.Nel modello di Drude le proprieta ohmiche del conduttore sono ricondotte al moto caotico (di tipobrowniano) degli elettroni nel reticolo cristallino: in assenza di campo elettrico applicato (che e ilcaso di nostro interesse in quanto vogliamo proprio studiare cosa accade ad una resistenza “lasciataa se stessa” alla temperatura T ) il moto di ogni elettrone e una continua sequenza di urti alternataa tratti di moto rettilineo uniforme con direzione a caso, percorsi con velocita quadratica mediacrescente con la temperatura. La distanza λ fra il punto di una collisione e l’altra e detta liberocammino dell’elettrone (libero da urti cioe) e il suo valore medio λ (il libero cammino medio) e unacaratteristica del materiale in esame e della temperatura T alla quale si trova il conduttore.Consideriamo un conduttore in forma di sbarretta omogenea cilindrica, di sezione S e lunghezza L(Fig.10).

S

T

Fig.V.10Ammettendo l’equilibrio termodinamico alla temperatura T , abbiamo per la velocita media vrms

degli elettroni (consideriamo solo il grado di liberta lungo la direzione X della sbarretta, quella diL)

12mv2

x,rms =12kT (V.43)

ovverov2

x,rms =kT

m(V.44)

Il tempo θ fra una collisione e un’altra vale, detto λ il tratto di volo libero e v la velocita lungo ilvolo:

θ = λ/v (V.45)

Consideriamo ora il moto di un elettrone fra un urto e il successivo ed in particolare calcoliamo lacorrente associata a questo moto, lungo la solita direzione X. Per calcolare la corrente associata aquesto moto consideriamo un numero N molto grande di questi elettroni, uniformemente distribuiti

Page 51: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 6] 49

nel materiale, e ammettiamo che tutti traslino lungo X con velocita pari a vx; la corrente associataa questo moto sara allora data da:

I = |~j|S =eN

SLvxS =

eNvx

L(V.46)

Ad un singolo portatore sara quindi associata una corrente pari a 1/N della 46), ovvero:

ie =evx

L(V.47)

Nell’atto di moto costituito dal “volo libero” di un elettrone lungo λ con velocita v (volo che durapertanto, secondo la 45) un tempo θ = λ/v) abbiamo un impulso di corrente rettangolare di ampiezza

evx

L=e

L

θ

)x

(V.48)

e durata θ = λ/v (vedi Fig.11).

Fig.V.11

Nella 48)(λ

θ

)x

rappresenta la proiezione di ~v lungo la direzione X. L’area dell’impulso di corrente

e data daqex =

eλx

L(V.49)

con λx proiezione di λ su X. In questa schematizzazione il moto delle cariche produce impulsidi corrente del tipo rappresentato il Fig.12, con segno a caso (quello della proiezione lungo X di~v), ampiezza fluttuante e durata pure a caso; infatti, in linea di principio, sia la distanza fra unacollisione e l’altra sia il vettore velocita dell’elettrone sono variabili aleatorie (non necessariamenteindipendenti l’una dall’altra). Riprendendo i risultati III.37 e seguenti (ed in particolare il risultatoIII.42) in linea di principio siamo in grado di calcolare la funzione di autocorrelazione della sequenzacomplessiva costituita dalla successione degli impulsi associati agliN elettroni della sbarretta, ovvero:

R(τ) = Ψτν + (Ff )2 · ν2 (V.49)

con il significato dei simboli allora definito.Osserviamo che il secondo termine e nullo: infatti Ff =

∫∞−∞ ff (θ) dθ =

∫∞−∞ dθ (

∑forme l gl fl(θ))

vale 0, perche la media delle forme degli impulsi e nulla, essendo il segno degli impulsi rigorosamentea caso.Valutiamo ora ν, ovvero il numero di impulsi per unita di tempo. Ogni elettrone in ogni intervalloθ inizia un nuovo “volo” e quindi il numero di impulsi per unita di tempo del complesso degli N

elettroni, e dato da ν =N

θ, dove θ rappresenta la differenza media di tempo fra un urto e un altro.

Resta ora la parte piu difficile, ovvero il calcolo di Ψτ che e data da:

Ψτ =∫ ∞

−∞dθψτ (θ, 0, τ) =

∫ ∞

−∞dθ

∑forme l

gl fl(θ) fl(θ + τ) (V.50)

Page 52: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

50 [Cap. V, § 6]

La media delle forme deve tener conto che da impulso a impulso puo cambiare λ e vx (quindiampiezza e durata dell’impulso). Pertanto la sommatoria dei prodotti fl(θ) fl(θ + τ) pesati congl in realta dovrebbe essere calcolata come valore di aspettazione di quel prodotto, con la densitadi probabilita congiunta di avere un certo valore di λ e un certo valore di vx. Ovviamente il casoe estremamente complicato e non lo affronteremo in questo schema generale, ma piuttosto in unoschema semplificato che corrisponde esattamente al modello di Drude: ovvero ammetteremo λ = λ

sempre, vx = vx,rms sempre, cioe sostituendo alle variabili aleatorie i loro valori medi. Si noti checomunque, in ogni schema semplificato o no, Ψτ e positiva, indipendentemente dal fatto che ff siapositiva o negativa.

Nello schema di Drude, la media sulle forme non occorre piu e l’impulso medio ha ampiezzae

L

(λ)x

θ

e quindi area pari ae(λ)x

L. Ψτ assume cosı la forma triangolare rappresentata in Fig.12:

Fig.V.12A questo punto potremmo fare la FT della funzione rappresentata nella figura, per ottenere ladensita spettrale di rumore. Si noti che la FT della Ψτ da luogo ad una funzione della frequenzasostanzialmente piatta da 0 fino a frequenze dell’ordine di 1/(2θ). Essendo, secondo i valori noti dellibero cammino medio λ e delle velocita termiche degli elettroni a temperatura T , θ ≈ 10−13÷10−14 s,si ha uno spettro di potenza piatto a tutte le frequenze di interesse pratico (come si doveva trovare,visto che dobbiamo ottenere la densita di rumore Johnson, che e bianca).Dati i numeri in gioco, e naturale allora estremizzare la schematizzazione, considerando θ → 0; inquesta ipotesi tutti gli impulsi sono uguali e schematizzabili come:

iex =eλ

Lδ(t) (V.51)

Riprendendo quindi il risultato III.43 abbiamo:

R(τ) =e2λ

2

x

L2

N

θδ(ν) (V.52)

Esprimendo λx in funzione della velocita otteniamo:

R(τ) =e2v2

x,rms

L2 θNδ(ν) (V.53)

Utilizzando la III.16 abbiamo per la densita spettrale di rumore (in corrente, ovviamente):

wi =2e2v2

x,rmsθN

L2

Page 53: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 7] 51

Ricordando che v2x,rms =

kT

m, otteniamo:

wi = 2kT · e2θN

mL2

La densita spettrale di rumore e bianca e proporzionale a kT ; perche effettivamente questo risultatocoincida con il valore gia noto per lo spettro di potenza Johnson occorre che:

2kT · e2θN

mL2 =4kTR

con R resistenza della sbarretta; ovvero deve essere:

2mL2

e2θN= R (V.55)

Calcoliamo allora il valore della resistenza nel modello di Drude. Per il calcolo di R ammet-tiamo di applicare una ddp V al conduttore: detto Ex = −V/L il campo lungo la direzione Xdella sbarretta, l’acquisto di velocita nella direzione del campo fra una collisione e l’altra da partedell’elettrone e dato da:

∆vx =eEθ

m(V.56)

cui corrisponde un aumento medio di velocita nella direzione del campo pari vD = ∆vx/2 = eEθ/2m.la velocita vD rappresenta la velocita di deriva media degli elettroni. Pertanto il vettore densita dicorrente associato a questo moto (considerando gli N elettroni del volume S · L) e dato da:

|~j| = e n vD =e2 N Eθ

SL2m(V.57)

Quindi la conducibilita σ (~j = σ ~E) vale:

σ =e2Nθ

SL2m(V.58)

e per R =L

σSotteniamo:

R =2mL2

e2Nθ(V.59)

che conferma il risultato atteso.Al di la del compiacersi del risultato ottenuto nonostante le schematizzazioni introdotte, occorre

ribadire che:- il calcolo da il risultato giusto in virtu delle relazioni autoconsistenti introdotte- il calcolo insegna che un limite di alta frequenza (al di la del problema della formula della equipar-tizione classica dell’energia) viene anche naturalmente introdotto dal tempo finito che intercorre fraun urto e il successivo- il calcolo nel dominio del tempo mostra molto direttamente che la corrente di rumore Johnsonfluttuante (o equivalentemente la tensione ai capi di R) deriva dall’azione incoerente di un numeroenorme di impulsi e quindi riporta l’effetto finale (la corrente istantanea al tempo t) ad una sommadi N (N → ∞) variabili aleatorie indipendenti. Tutto questo ci sara utile quando vorremo sapereanche le distribuzioni dei valori i(t) o v(t), ovvero le densita di probabilita delle loro ampiezze.

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52 [Cap. V, § 7]

7.– Il rumore granulare o “shot”

Consideriamo ora un’altra sorgente di rumore, ovvero il cosidetto rumore shot o rumore gra-nulare che risulta essere sempre presente quando in un ramo di un circuito circola una correntecostituita dal moto di portatori di carica con tempi di transito completamente a caso, ovvero conuna distribuzione uniforme nel tempo.Ritorneremo nel seguito su questo aspetto, che gioca un ruolo fondamentale nel determinare la den-sita spettrale di rumore associata a questa corrente. Per ora limitiamoci ad osservare che siamo inpresenza di un fenomeno (la fluttuazione di una corrente) a media diversa da zero; infatti questefluttuazioni sono proprio associate alla presenza di una corrente macroscopica (il valor medio, perl’appunto) diversa da 0.

VA

K

i

+

Fig.V.13Per trattare quantitativamente questo tipo di rumore, tipicamente si inizia a considerare il caso deldiodo a vuoto, nella condizione di lavoro detta di “corrente limitata dalla temperatura”, ovveroil caso in cui tutta la carica emessa per effetto termoionico dal catodo venga raccolta dall’anodo;in altre parole assistiamo ad una corrente (vedi Fig.13) costituita da una serie di impulsi, ognunoassociato al transito del singolo portatore (l’elettrone) che, evaporato dal catodo, vola, sotto l’azioneaccelerante del campo elettrico, verso l’anodo e contemporaneamente induce corrente nel circuitoesterno. Poiche il processo di evaporazione (meglio detto di emissione termoionica) e completa-mente a caso per quanto riguarda gli istanti di emissione che sono oguno indipendente dagli altri,il fenomeno si puo considerare puramente stocastico e piu esplicitamente possiamo affermare che ilnumero di elettroni emessi dal catodo (e quindi raccolti dall’anodo) nell’unita di tempo fluttua inmaniera poissoniana.Il generico impulso di corrente iek(t) di un elettrone che vola dal catodo all’anodo (distanti D) hala forma approssimativamente triangolare riportata nella Fig.14:

Fig.V.14

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[Cap. V, § 7] 53

dove il valore iniziale dell’impulso, avente ampiezza media pari aev

D=e(vi + vf )

2D, e determinata

dalla velocita vi con la quale l’elettrone ha lasciato il catodo (normalmente esso e riscaldato at-torno a T = 800 ÷ 1000 K in maniera indiretta da un filamento); l’andamento successivo risentedell’accelerazione che l’elettrone subisce nell’attraversare lo spazio fra catodo e anodo dove e presenteil campo elettrico dovuto al generatore V . Normalmente il contributo iniziale vi dovuto alla tem-peratura del catodo e molto inferiore a quello impartito dall’accelerazione. Infatti l’energia termicadegli elettroni, nonostante la temperatura elevata del catodo, e dell’ordine del decimo di eV , mentrela ddp applicata fra anodo e catodo e dell’ordine del centinaio di V . In pratica tutti gli impulsi sonouguali fra loro.La corrente media di ogni impulso vale (ricordando anche quanto detto nel paragrafo precedente):

i =ev

D=e

θ(V.60)

con θ tempo di transito. L’area di ogni impulso vale allora e, cioe e identica per tutti gli impulsi(questo e vero, indipendentemente da una eventuale differenza nella velocita iniziale). Quanto alvalore medio θ dei tempi di transito, nelle geometrie tipiche dei diodi a vuoto, esso e attorno al ns.La corrente media associata alla presenza di questi impulsi, vale (vedi III.27):

〈i〉 = e · ν (V.61)

Per trovare la densita spettrale di rumore occorre calcolare la funzione di autocorrelazione ricorrendoalla formula III.42. L’operazione di media sulle forme non e pero necessaria, avendo ammesso –moltoragionevolmente– l’uguaglianza delle velocita vi di emissione. Semplifichiamo ancora il problema,trattando come infinitamente piccolo il tempo di transito. In questo schema il singolo impulso dicorrente e caratterizzato da una corrente:

iek(t) = e · δ(t− tk) (V.62)

e quindi applicando la III.43 abbiamo:

R(τ) = e2δ(τ) · ν + 〈i〉2 (V.63)

che puo essere scritta comeR(τ) = e · 〈i〉 · δ(τ) + 〈i〉2 (V.64)

Nella notazione standard in cui la 〈i〉 e scritta I e la carica del singolo portatore e indicata conq otteniamo:

R(τ) = qI · δ(τ) + I2 (V.65)

A questo punto, per trovare la densita spettrale di rumore, che e legata alla varianza dellasequenza casuale (cioe al termine fluttuante rispetto al valor medio), possiamo fare ricorso allaformula II.16 per la quale la funzione di autocorrelazione associata al termine a media nulla vale:

Rd(τ) = q I δ(τ) (V.66)

La densita spettrale di rumore associata alla corrente I e quindi data da (vedi III.16):

wSI = 2FT−1Rd(τ) = 2qI (V.67)

Page 56: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

54 [Cap. V, § 8]

Come aspettato, avendo confuso ogni nostro singolo impulso con una δ(t − tk), cioe avendoassunto il tempo di volo dell’elettrone (non troppo realisticamente, per la verita) nullo, otteniamouna densita spettrale di rumore indipendente dalla frequenza. Se avessimo considerato il tempo ditransito θ finito, avremmo trovato una densita spettrale di rumore sostanzialmente pari a quellacalcolata dalla 67) fino a frequenze dell’ordine di 1/θ (≈ 1 GHz, quindi) che sarebbe poi andata azero per frequenze superiori, con un andamento determinato dal dettaglio della distribuzione realedei tempi di volo.E’ importante ricordare che, qualora la corrente non sia costituita da sequenze di impulsi completa-mente a caso, in particolare il numero di impulsi per unita di tempo non fluttua piu poissonianamente(come richiesto per la correttezza del risultato III.42), il risultato 67) non e piu valido e le fluttuazionisono ridotte. Per esempio, se il diodo opera a tensioni V in cui si instaura il regime di carica spaziale,si trova una riduzione (anche molto forte) delle fluttuazioni e quindi della densita spettrale di rumore.

Risultati coerenti con il regime di fluttuazione puramente shot si ottengono per le componentidi corrente diretta e inversa di un diodo a semiconduttore. Questo non sorprende per niente, inquanto nel diodo a semiconduttore il regime delle correnti diretta e inversa e determinato dai pro-cessi statistici di superamento della barriera alla giunzione e dalla produzione termica dei portatoriminoritari. Quanto ai tempi di transito della barriera da parte dei portatori di carica, essi sono di2-3 ordini di grandezza inferiori rispetto ai tempi di volo catodo-anodo in un diodo a vuoto. Pertantoil valore di frequenza per il quale il rumore shot di un diodo a giunzione cesserebbe di essere biancoe dell’ordine delle centinaia di GHz *.Riprendendo la formula 67), valutiamo nel caso di puro rumore shot (o come si dice di full shotnoise), le varianze in corrente che si osservano: supponiamo di misurare una corrente di 1 mA e diavere uno strumento misuratore di corrente con una banda passante di 1 MHz e per il resto ideale.Allora abbiamo:

σ2(I = 1 mA) =∫ 106 Hz

0

wSi dν = 2qI · 106 ≈ 3.2 10−16A2 (V.68)

cui corrisponde un limite alla precisione relativa della misura di circa 1.8 10−5. Se misurassimo conlo stesso strumento una corrente di 1 nA otterremmo per la precisione relativa di misura un valore1000 volte peggiore.Nelle formule precedenti per la densita spettrale di rumore shot abbiamo riportato il valore mediodella corrente, indicato con I. Questo non significa che la formula 66) si possa solo applicare al casodi correnti rigorosamente continue. La corrente I(t) puo anche dipendere dal tempo e la formula 66)e ancora applicabile, almeno fino a che si considerano le densita spettrali di rumore ben al di sopradelle componenti di frequenza contenute nel segnale.Prima di passare ad affrontare argomenti piu pratici e meno speculativi, vogliamo ricordare che leconclusioni tratte in questo paragrafo e nel precedente potevano essere raggiunte anche calcolandole densita spettrali di rumore delle sequenze in funzione delle trasformate di Fourier degli impulsibase elementari (si veda la relazione III.44). Anzi, questo e il procedimento normalmente seguitonei testi classici che affrontano questi argomenti. Abbiamo preferito l’approccio del calcolo dellafunzione di autocorrelazione nel dominio del tempo perche –a nostro avviso– permette un miglioreapprofondimento della fisica di tutto il processo.

* Il motivo del condizionale “cesserebbe” va ricercato nel fatto che altri fattori, cui sara breve-mente accennato nel prossimo capitolo, modificano l’andamento in alta frequenza del rumore dicorrente nei diodi a giunzione

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[Cap. V, § 8] 55

8.– Una misura di corrente in presenza di rumore granulare e termico

Consideriamo ora una resistenza a temperatura T percorsa da una corrente I (a valor mediocostante) che presenta full shot noise: ci chiediamo quale sia la densita spettrale di rumore in tensionedella caduta di tensione vR ai capi di un resistore di resistenza R percorso dalla corrente I (vediFig.15 a)):

Fig.V.15La densita spettrale di rumore e determinata dalla somma (in quadratura) dei due contributi delrumore shot della corrente I e del rumore termico di R. Tenendo presente il circuito equivalente peril rumore della Fig.15 b), la ddp istantanea vR(t) vale:

vR(t) = vJn(t) + IR+ iSn(t)R (V.69)

e quindi per la densita spettrale di rumore in tensione otteniamo:

wtot = wJv + wS

i R2 = 4kTR+ 2qIR2 (V.70)

Se immaginiamo che la configurazione di Fig.15 rappresenti la misura della corrente I effettuatamisurando la caduta di tensione che essa provoca su una resistenza nota, ci possiamo chiedere qualesia il valore che R deve assumere affinche la parte di rumore associato all’effetto Johnson sia inferiorerispetto alle fluttuazioni shot. Piu esplicitamente, e ovvio che, fissata la sensibilita del voltmetro, siha un vantaggio per la precisione della misura ad aumentare di R; questo pero comporta un aumentodel contributo di rumore termico. Si tratta di valutare quantitativamente l’effetto, notando ancheche questo calcolo ha un senso se si ammette che I sia iniettata in R da un generatore ideale dicorrente, ovvero che essa non cambi al variare di R e che il voltmetro sia dotato di una impedenzadi ingresso molto elevata, in particolare R per tutti i valori di R considerati.I due contributi shot e Johnson diventano uguali quando:

R =2kTqI

(V.71)

che a temperatura ambiente da: R ≈ 0.05/I Ω. Per esempio, se vogliamo misurare una corrente di1 nA e vogliamo al piu aumentare di un fattore

√2 l’incertezza di misura (dovuta al rumore) rispetto

al valore limite associato all’effetto shot, R non deve superare 50 MΩ (a temperatura ambiente).Le considerazione svolte sopra trattano l’incertezza assoluta della misura di vR dovuta alle variesorgenti di rumore. Tuttavia, al variare di R, cambia non solo l’accuratezza assoluta di vR, ma

Page 58: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

56 [Cap. V, § 8]

anche, se non sopratutto, vR medesima. Pertanto, quello che di norma interessa e il rapporto ru-

more/segnale, ovvero la quantita:√wtot

v2R

=

√wJ

v + wSi R

2

I2R2 =√

4kT/IR+ 2q/I. Questa espressione

ci dice allora che l’ottimizzazione della precisione della misura (cioe del rapporto segnale/rumore) siottiene quando R e decisamente superiore al valore critico dato dalla 71).La conclusione alla quale siamo giunti circa il valore critico di R vale indipendentemente dallabanda passante dello strumento di misura: infatti entrambe le densita spettrali di rumore che com-paiono nella 70) sono indipendenti dalla frequenza e quindi le condizioni dedotte da formule chele contengono valgono anche se avessimo considerato le varianze, indipendentemente dai limiti difrequenza entro i quali gli spettri di potenza vengono integrati. E’ tuttavia istruttivo portare avantiil calcolo, non fosse altro che per vedere che nell’affrontare il problema in esame abbiamo compiutodelle schematizzazioni che possono risultare irrealistiche e sopratutto possono alterare le conclu-sioni. Ammettiamo pertanto che lo strumento presenti effettivamente una banda passante finita:per prima cosa e ovvio che il taglio introdotto deve agire esclusivamente nelle alte frequenze, vistoche in bassa frequenza non ci possiamo permettere alcuna soppressione, essendo la grandezza damisurare I continua (su questo punto torneremo con alcune precisazioni). In alta frequenza, oltreal limite proprio dello strumento, un altro taglio viene introdotto naturalmente dalle capacita diingresso del voltmetro, che fino ad ora abbiamo trascurato. Detta C tale capacita, sappiamo comesi modifica la 70) (si veda la V.24):

wCtot =

4kTR+ 2qIR2

1 + 4π2R2C2ν2 (V.72)

ovvero il circuito si comporta come un filtro passa basso con frequenza di taglio pari a νH =1/(2πRC). Supposto un valore realistico di C ≈ 10 pF abbiamo νH ≈ 300 Hz, che normalmente saradominante rispetto alla banda passante propria dello strumento. Abbiamo gia calcolato la varianzatotale della tensione in un caso analogo a questo (V.25); estendendo quel risultato abbiamo:

σ2(vR) =kT + qIR/2

C(V.73)

che, nel caso di aver scelto R in modo da avere due contributi uguali per i due effetti, da:

σ2(vR) =qIR

C(V.74)

Nel caso in esame otteniamo: σ2(vR) ≈ 8 10−10 V 2, ovvero σ(vR) ≈ 28 µV . In tali condizioni,l’effetto totale relativo delle fluttuazioni dovuto al rumore shot e al rumore Johnson ammonta aσ(vR)/vR ≈ 6 10−4.Probabilmente, a meno di non disporre di uno strumento particolarmente sofisticato, gli errori siste-matici dichiarati dal costruttore del voltmetro saranno superiori a questi limiti e pertanto potremmoconsiderarci soddisfatti. Se volessimo raggiungere precisioni superiori (per esempio perche lo stru-mento nominalmente lo consente) o volessimo misurare correnti piu piccole, allora altri sforzi andreb-bero fatti e facilmente incorreremmo nel problema che il misuratore stesso e una fonte di rumore,con la sua elettronica di ingresso. Questo problema, affrontato in dettaglio in un contesto differentedi misure, sara esaminato nel seguito.Nella pratica, le tecniche di misura delle piccole correnti quasi mai si riconducono al semplice schemasopra esposto, ma ricorrono a soluzioni assai piu sofisticate. L’esempio e piu che altro stato introdottoper mettere in evidenza alcuni dei problemi che si devono comunque affrontare nelle misure di altasensibilita, la dove non ci possiamo permettere di ignorare l’esistenza del rumore.

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[Cap. V, § 9] 57

Prima di chiudere questo paragrafo, notiamo ancora che precedentemente abbiamo sovrasemplificatoun aspetto del problema, precisamente quando abbiamo detto che la banda passante della misuradi necessita deve estendersi, in basso, fino alla continua. Questa necessita in realta proprio nonesiste: una misura rigorosamente in continua, ovvero a ν = 0, comporterebbe un tempo di acqui-sizione infinito e pertanto si tratta di un caso non fisico. Una reale misura in continua dura il temponecessario allo strumento per compiere la misura, per esempio il tempo di conversione di un ADCo il tempo necessario allo strumento ad ago per fermarsi; in pratica questo significa che il limitedi frequenza inferiore, anche per misurare una quantita continua, non deve essere ν = 0, bensı unvalore dell’ordine dell’inverso del tempo di misura del nostro strumento. Precisato questo, torniamoalla formula 74): essa suggerisce che qualunque aumento del valore della capacita C sarebbe beneficodal punto vista del rumore. Aumentata la capacita C, occorrerebbe caso mai allungare i tempi dimisura, se fossero tali entrare in conflitto col nuovo limite di banda. Normalmente questa proceduranon si puo estremizzare per un motivo almeno duplice: da una parte l’aumento del tempo di misuracomporta scomodita nella realizzazione della misura stessa, da un’altra –problema piu sostanziale–ci si imbatte in un significativo aumento del rumore, non riconducibile a nessuna delle sorgenti dirumore prima descritte; tale contributo aggiuntivo di rumore normalmente va sotto il nome di ru-more 1/f (a ricordarci il suo andamento approssimativo in funzione della frequenza) o rumore ineccesso e spesso si osserva nei contributi di rumore dei dispositivi elettronici. Di questo contributotratteremo brevemente nel prossimo paragrafo.

9.– Il rumore “1/f” o “rumore in eccesso”

Il rumore Johnson e il rumore granulare costituiscono due processi che spiegano bene moltedelle caratteristiche del rumore osservato nei circuiti elettrici ed elettronici. Tuttavia non tutte lecaratteristiche del rumore elettrico che si osservano sono riconducibili a questi processi: questo eparticolarmente vero per i dispositivi elettronici a semiconduttore nei quali e presente un andamentocaratteristico della densita spettrale di rumore che cresce in ragione inversa della frequenza. Ge-nericamente tali contributi di rumore, non riconducibili a effetti di selezione in banda (da partedelle funzioni di trasferimento) di processi noti (rumore termico e/o granulare), sono indicati perquesto come “rumore in eccesso” (excess noise) o, a causa dell’andamento generalmente osservatoin funzione della frequenza, “rumore 1/f”; un termine inglese assai diffuso e quello di flicker noise.Una caratteristica abbastanza sorprendente di questo rumore e proprio che, nonostante che alla suabase, caso per caso, si identifichino processi fisici differenti, per tutti si osservi un andamento similedello spettro di potenza, crescente circa con l’inverso della frequenza. In generale si osserva che ilrumore 1/f si manifesta in situazioni di non-equilibrio termodinamico, ovvero quando dell’energia eapportata dall’esterno sul sistema fisico che presenta il rumore in eccesso: per esempio quando unacorrente fluisce in un resistore, quando una ddp e applicata ad un condensatore o a una giunzione asemiconduttore.Non entreremo in alcun dettaglio riguardo ai processi alla base del fenomeno, ma ci limitiamo aricordare alcuni effetti fisici che sono riconosciuti essere alla base di casi osservati di rumore 1/f : neiresistori ad impasto di carbone, la presenza del rumore 1/f e associata alla resistenza di contattofra i granuli di conduttore costituenti l’impasto; nei condensatori ceramici, tale rumore si associaalla debole corrente di fuga dipendente dalla temperatura; nei dispositivi a semiconduttore, allefluttuazioni della generazione e ricombinazione dei portatori minoritari.

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58 [Cap. V, § 10]

Contrariamente al caso delle sorgenti fisiche di rumore “essenziali”, quali il rumore termico e quellogranulare, per il rumore 1/f e possibile una ottimizzazione delle caratteristiche di rumore tramitecontrolli attenti nei processi costruttivi dei dispositivi, per esempio mirati a migliorare le proprietafisiche e la purezza dei materiali impiegati.Quando nel seguito daremo una sommaria descrizione delle caratteristiche di rumore dei dispositivielettronici, vedremo che in un vasto campo di frequenze i processi di rumore termico e granularepresenti si possono schematizzare come generatori “equivalenti” di rumore (in corrente e tensione)posti all’ingresso dei dispositivi; nella Fig.16 sono riportati i circuiti equivalenti di rumore per unJFET canale n e un transistore bipolare npn.

R b

inBinF

vnBnFvG D

S e

cb

JFET npn

Fig.V.16Le densita spettrali di rumore di questi generatori sono ottenute calcolando le densita spettrali indi-cate sulla base della funzione di trasferimento fra l’ingresso e i generatori primari di rumore termico egranulare, dislocati nel dispositivo; per esempio –come vedremo– il rumore Johnson della resistenzadel canale del JFET e “riportato” nel generatore 〈vnF 〉 in serie al gate. In questa operazione ditrasferimento giocano un ruolo fondamentale il circuito equivalente per piccoli segnali del dispositi-vo, le resistenze dei contatti e del bulk nonche le capacita interelettrodiche. Invariabilmente si trovache tali effetti porterebbero a densita spettrali per i generatori equivalenti, riportati nella Fig.16,sostanzialmente costanti, almeno in bassa frequenza. Viceversa, in pratica si verifica, proprio a causadell’esistenza dei contributi –di varia origine– di rumore in eccesso, che gli andamenti osservati inbassa frequenza delle densita spettrali di rumore della Fig.16 sono meglio riprodotti da una leggedel tipo:

wJ,S′in = wJ,S

in (1 +ν0ν

) in bassa frequenza (V.75)

dove wJ,S rappresenta la densita spettrale di rumore per i generatori di Fig.16 prevista sulla basedelle sorgenti di rumore Johnson e shot individuate nel dispositivo e riportate in ingresso. Lafrequenza ν0 (detta corner frequency) rappresenta il valore di frequenza per la quale il rumore ineccesso uguaglia quello del contributo bianco; ν0 pertanto definisce la frequenza al di sotto dellaquale il rumore in eccesso risulta dominante. Le frequenze ν0, a seconda dei dispositivi, varianofortissimamente andando da pochi Hz fino ad alcuni MHz.Tutte le volte che nel seguito faremo riferimento al rumore 1/f sara solo per dire che esso da uncontributo in piu rispetto a quello calcolato e che sara necessario, volta volta, tenerne conto facendoprincipalmente affidamento alle informazioni che i costruttori di dispositivi avranno cura di fornire.

Page 61: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. V, § 10] 59

10.– La distribuzione gaussiana delle ampiezze del rumore termico

e granulare

In questo paragrafo affrontiamo un problema sul quale abbiamo completamente sorvolato, omeglio che abbiamo aggirato, quando abbiamo affrontato l’argomento della descrizione delle se-quenze casuali. Di fatto fin dall’inizio abbiamo rinunciato a dare una descrizione della sequenzacasuale che prevedesse la conoscenza della distribuzione delle ampiezze della sequenza, a favore delladeterminazione delle sue proprieta medie; piu precisamente dei valori medi e delle varianze.A questo punto della trattazione, avendo introdotto dei modelli –magari un po’ rozzi, ma fisici– perdescrivere l’origine microscopica di due delle principali sorgenti di rumore (Johnson e shot) siamoanche in grado di derivare in maniera relativamente semplice la legge con la quale i valori dellasequenza in osservazione sono distribuiti, ovvero la densita di probabilita delle variabili aleatoriefn(t) che costituiscono la sequenza.Facciamo innanzitutto una osservazione banale, ma auspicabilmente chiarificatrice di alcuni aspettifondamentali della discussione successiva: se il sistema di registrazione della sequenza fn(t) ea banda passante infinita, se la registrazione e istantanea, se il rumore e bianco ed in particolarese i processi fisici base sono quelli visti per il rumore Johnson e granulare, allora la distribuzionedelle ampiezze presenta infinite singolarita che impediscono ad essa di avere un andamento rego-lare, in particolare gaussiano; infatti, rappresentando la nostra f(t) come una successione di impulsiδ−formi, avremo:

f(t) =M∑

k=1

qk δ(t− tk) (V.76)

e quindi, avendo il nostro sistema tempo di registrazione infinitesimo (permesso dalla banda passanteinfinita ipotizzata), la f(t) assume o valore nullo (nessun impulso per quel t in esame) o valoredivergente; a causa degli andamenti elementari δ−formi, e irrilevante –purche finito– il numero diimpulsi nell’intervallo di quasi-periodicita −T/2, T/2 dove e definita la sequenza.Passando ora ad un caso fisicamente piu interessante (e sicuramente meno astratto), ammettiamo cheil processo non dia rumore bianco, ma dia uno spettro di potenza limitato in frequenza (supponiamoad esempio che il processo base, cioe l’impulso elementare, abbia una durata finita θ, che produceun taglio in frequenza dell’ordine di 1/θ) oppure che la funzione di trasferimento fra dove il processofisico e generato e la dove viene osservata la sequenza introduca un filtro passa basso oppure entrambele cose; al momento manteniamo l’ipotesi che il processo di registrazione sia istantaneo.Nelle ipotesi sopra dette, il valore della ampiezza della tensione (o corrente) misurata al tempo t

vale:

f(t) =M∑

k=1

qk φ(t− tk) (V.77)

con tk < t e con φ(t) che rappresenta l’impulso normalizzato di estensione finita θ. Ripensando aicasi studiati del rumore termico e granulare, sappiamo quale puo essere la variabilita delle ampiezzedei segnali elementari. Quanto ad M , il limite superiore della sommatoria, il suo valore dipendedalla estensione temporale di φ(t) e dal numero medio di impulsi nell’unita di tempo ν: M deveessere tale da includere tutti gli impulsi che al tempo t hanno un valore diverso da 0. M deve esserepertanto dell’ordine di M ≈ ν · θ (si faccia anche riferimento alla Fig.III.3). La rappresentazione delsegnale della sequenza espressa dalla 77) consente quindi di affermare che la funzione f(t) ad ogniistante risulta dalla somma di M contributi indipendenti, ovvero gli M segnali elementari φk(t− tk)che hanno ampiezza diversa da 0 al tempo t; per come sappiamo che sono fatti gli impulsi, ognuno

Page 62: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

60 [Cap. V, § 10]

di essi ha valor medio φk e varianza (φk − φk)2 finiti. Nel limite di M tendente all’infinito (comeaccade in tutti i casi realistici in cui si studia il rumore termico o granulare), quindi un ritmo mediodi impulsi ν pure tendente all’infinito, il Teorema del limite centrale assicura che f(t) presenta unadistribuzione gaussiana. Qualora (come nel caso del rumore Johnson) anche qk sia una variabilealeatoria, la conclusione resta –a maggior ragione– vera.

Infine, se la registrazione non avviene in maniera istantanea, ma dura piuttosto un tempo finitoe quindi rappresenta la media della f(t) su un tempo finito τ , le conclusioni non cambiano: infattipossiamo ragionare esattamente come sopra, salvo che ora le M variabili aleatorie che concorronoa costituire il valore della tensione media misurata nell’intervallo τ , sono a loro volta i valori medidi ognuno degli M impulsi φk(t − tk) nell’intervallo τ , che restano quindi M variabili aleatorieindipendenti, essendo comunque le loro origini indipendenti e distribuite a caso.

La gaussianita delle distribuzioni di rumore si puo verificare misurando le distribuzioni delleampiezze delle sequenze di rumore termico o shot: i risultati mostrano che esse sono effettivamentegaussiane con un ottimo grado di approssimazione.Si noti che viceversa se in una sequenza a caso e sovraimposto un contributo di disturbo ad una fre-quenza definita, la distribuzione delle ampiezze cambia corrispondentemente ed esso –se il contributodi disturbo monocromatico e dominante– invece di mostrare il profilo gaussiano (cerchi pieni) tipicodel rumore, presenta approssimativamente la forma disegnata a tratto continuo nella Fig.17:

Fig.V.17la distribuzione e adesso limitata (±A, dove A e l’ampiezza del disturbo sinusoidale puro) e i valoripiu probabili sono quelli estremi. In questo ultimo caso, riportato nella figura, abbiamo assuntol’assenza di contributi di rumore; se entrambi gli effetti sono presenti (rumore e disturbo sinusoidalepuro) la distribuzione assume un profilo del tipo mostrato come curva a cerchietti vuoti.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.V

Firenze, 1 dicembre 2006

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VI

IL RUMORE NEI DISPOSITIVI ELETTRONICI

1.– Premessa

Questo capitolo e piu che altro una modesta introduzione all’argomento e manca di un appro-fondimento dedicato alla fisica dei dispositivi attinente ai processi coinvolti. Il capitolo ha lo scopoprincipale di presentare alcuni dei problemi che si incontrano studiando il rumore nella rivelazione emisura dei segnali con circuiti elettronici. Esso dovrebbe anche servire a mettere in grado il lettoredi utilizzare le informazioni riguardo al rumore dei dispositivi, fornite dai costruttori.

2.– Il rumore nel diodo a giunzione

Nel capitolo precedente abbiamo affrontato il caso del diodo a vuoto, polarizzato in modo daoperare in regime di corrente limitata dalla temperatura, e abbiamo considerato il caso come ilparadigma per il rumore shot. Il diodo a giunzione, ovvero a semiconduttore, rappresenta anch’essoun tipico esempio in cui il rumore granulare descrive accuratamente i fenomeni osservati ed oltretuttomette bene in evidenza come per processi a caso indipendenti occorra sommare in quadratura lefluttuazioni associate.La dipendenza della corrente Id in un diodo a giunzione dalla tensione applicata e rappresentataragionevolmente bene dalla funzione:

Id = Is( eVd/ηVT − 1) (VI.1)

dove η e un parametro fenomenologico (η ≈ 1 per il diodo al Silicio), VT = kT/q ≈ 26 mV aT = 300 K e Is rappresenta il valore assoluto della corrente di saturazione inversa.La 1) non riproduce in maniera corretta ne gli andamenti per alte correnti (dove la curva tende alinearizzarsi a motivo della caduta ohmica nel bulk ne quelli per elevate tensioni di contropolariz-zazione (mancano infatti nella 1) gli effetti di correnti di perdita superficiale e qualunque tipo didescrizione del breakdown). Tuttavia la 1) contiene il grosso dell’informazione per quanto riguarda ilrumore shot nel diodo e le conclusioni che se ne traggono per quanto riguarda il rumore descrivonobene gli andamenti osservati. In particolare la 1) ci ricorda che la corrente stazionaria nel diodoa giunzione, per tutti i punti di lavoro, in realta consiste sempre di due contributi, piu o menoimportanti a seconda di Vd: un contributo Is eVd/ηVT di corrente diretta dovuta al superamento daparte dei maggioritari della barriera e un contributo −Is costante dovuto alla corrente di saturazioneinversa costituita dai minoritari prodotti per effetto termico nel materiale e che vengono “aiutati”

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62 [Cap. VI, § 2]

ad attraversare la barriera dal campo elettrico a loro favorevole. Poiche le due correnti traggonoorigine da due fenomeni totalmente indipendenti, le densita spettrali di rumore ad esse associatevanno sommate se si vuole considerare l’effetto complessivo. Precisamente per lo spettro di potenzain corrente si trova:

wdi = 2qIs eVd/ηVT + 2qIs (VI.2)

dove il primo termine rappresenta lo spettro di potenza della corrente dei maggioritari e il secondoquello della corrente dei minoritari. Per entrambi i contributi, la descrizione tramite la 2), che equi-vale ad assumere correnti caratterizzate da full shot noise, risulta essere sufficientemente accurata.E’ interessante notare che la 2) da contributi totali di rumore assai differenti a seconda della pola-rizzazione Vd del dispositivo. Inoltre spesso e utile esprimere lo spettro di potenza in funzione dellaresistenza dinamica del diodo in quanto essa gioca un ruolo fondamentale nella schematizzazionecircuitale del dispositivo:

rd =( dIddVd

)−1

=ηVTId + Is

≈ kT

q(Id + Is)(VI.3)

Consideriamo ora alcuni casi particolari, corrispondenti a differenti condizioni per la polarizzazionedel diodo, cominciando con Vd = 0. In questa situazione

wdi (Vd = 0) = 4qIs (VI.4)

Essendo rd0 = rd(Vd = 0) =kT

qIs, abbiamo qIs =

kT

rd0e pertanto

wdi (Vd = 0) =4kTrd0

(VI.5)

Questa espressione ci dice che la densita spettrale di rumore in corrente del diodo, in assenza dipolarizzazione, e identica a quella di un conduttore a temperatura T , con resistenza pari a rd0.Questo, lungi da sorprendere, conferma che il diodo non polarizzato, se si trova a temperatura T

costante, si comporta come un qualunque conduttore dotato di resistenza rd0 e presenta quindi unadensita spettrale Johnson che –espressa in corrente– ha proprio la forma 5). A Vd = 0 nel diodo lacorrente nulla e determinata da due contributi Is e −Is che in media si equilibrano e danno luogo afluttuazioni che si sommano in quadratura: la situazione ricorda molto da vicino quella studiata nel§5 del Cap.V, dove il rumore Johnson di una resistenza e stato ricavato schematizzando il sistemain maniera assolutamente equivalente a quella ora considerata del diodo non polarizzato.In condizioni di polarizzazione inversa, tale da rendere praticamente trascurabile il primo dei duetermini della 1), abbiamo:

wdi (Vd −kT/q) = 2qIs (VI.6)

risultato praticamente ovvio.In condizioni di polarizzazione diretta, cioe quando Vd kT/q, abbiamo

wdi (Vd kT/q) = 2qIs eqVd/kT = 2kT

rd=

4kT2rd

(VI.7)

cioe il rumore granulare osservato per il diodo in condizioni di polarizzazione diretta equivale aquello termico di una resistenza pari al doppio della resistenza dinamica del diodo al punto di lavoroconsiderato.Il rumore fino a qui esaminato e bianco, almeno nel limite in cui consideriamo frequenze inferioriall’inverso del tempo di transito dei portatori attraverso la zona della giunzione ((10−11÷ 10−12) s).Esistono nel diodo altri effetti che contribuiscono al rumore complessivo e che alterano i risultati fin

Page 65: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VI, § 3] 63

qui ottenuti, in alta e bassa frequenza. Specificamente, in alta frequenza si assiste ad un aumentodella densita spettrale di rumore dovuta al fatto che il passaggio dei portatori attraverso la giunzioneda una zona in cui essi sono maggioritari ad una dove sono minoritari comporta la possibilita peralcuni di essi di percorrere il cammino a ritroso, dopo un certo ritardo. Si trova che tutto questoproduce un aumento dello spettro di potenza che cresce come la conduttanza del diodo in funzionedella frequenza.In bassa frequenza assistiamo ad una crescita del rumore, del tipo 1/f , genericamente riconducibile aiprocessi di generazione e ricombinazione dei portatori minoritari e alle perdite di corrente superficiale(in ogni caso a dettagli costruttivi dei dispositivi). Sicuramente una analisi teorica accurata deicontributi di rumore in un diodo a giunzione, oltre ad esulare completamente dal compito checi siamo prefissi, sarebbe assai complicata e oltretutto difficilmente approderebbe a conclusionipassibili di accurati controlli sperimentali; molto spesso, alla luce di queste considerazioni, sonodi fondamentale importanza le indagini sistematiche svolte dai costruttori sui dispositivi da essiprodotti, che permettono poi di fornire agli utenti le curve (medie) delle densita spettrali di rumore;queste curve sono utilissime perche permettono una oculata scelta dei dispositivi nelle applicazioniin cui l’ottimizzazione del rapporto segnale/rumore e di particolare rilevanza.

3.– Il rumore nel transistore bipolare

In questo paragrafo sara data una breve e veramente schematica descrizione del rumore neltransistore bipolare, praticamente al solo scopo di mettere in grado il lettore di comprendere, neimanuali forniti dai costruttori di transistori –se mai gli capitera di aprirne uno–, le specifiche dirumore dichiarate e di sapere utilizzare le informazioni fornite.Innazitutto va notato che mentre nel caso di un dispositivo a due poli (un resistore, un diodo,...) esufficiente, per caratterizzarlo in rumore, dare lo spettro di potenza o della corrente che lo attraversa odella tensione ai suoi capi, nel caso di un dispositivo a tre poli, come un transistore, la sua completacaratterizzazione per quanto riguarda il rumore si avrebbe dando, per ogni terminale, la densitaspettrale di rumore della corrente entrante e la densita spettrale di rumore della tensione rispetto adun riferimento comune. Per la verita, tale descrizione e ridondante (e le varie densita spettrali nonsarebbero quindi indipendenti) dato che la legge dei nodi permette di eliminare una delle tre correntie le tensioni indipendenti pure si riducono a due a causa della II legge di Kirchhoff. In ogni casoi generatori che fossero cosı rimasti non sarebbero indipendenti perche le curve caratteristiche deldispositivo riaccoppiano le tensioni e le correnti dei vari terminali. In pratica quello che generalmentesi cerca di fare e innanzitutto individuare le varie sorgenti fisiche di rumore, associare ad esse, la doveagiscono, i generatori equivalenti di rumore e poi cercare –adoperando le curve caratteristiche deldispositivo o piu semplicemente i modelli circuitali per piccoli segnali– di riportare tutti i generatorifra i terminali di ingresso del dispositivo stesso, invece di lasciarli dislocati fra i vari nodi.Questo modo di procedere e utile perche consente spesso un confronto diretto del rumore intrinsecodel dispositivo col segnale che vogliamo amplificare; inoltre la soluzione del problema circuitaleassociato allo studio della risposta al segnale aiuta a determinare anche la densita spettrale delrumore in uscita (che e poi quello che interessa), visto che i generatori di rumore si trovano inconfigurazioni o identiche o simili a quelle del segnale. Nei casi in cui, come nel transistore bipolare, iprocessi fisici che ne determinano le caratteristiche di rumore sono tali da richiedere schematizzazioniche dipendono dai dettagli del modello adottato per descrivere il dispositivo, allora si mantengono

Page 66: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

64 [Cap. VI, § 3]

talvolta i generatori nei rami o nei nodi dove essi naturalmente agiscono. Cosı facendo si approda adun modello equivalente per il rumore piu complicato, ma piu attinente alla fisica del processo. Peressere concreti, nel caso del transistore bipolare, un tipico schema, nella configurazione ad emettitorecomune che si adotta per il rumore del dispositivo, e quello riportato nella Fig.1a):

R b

ibn

vncvbn

e

cb

1/Y

R b

ibn

vbnicn

a) b)

e

cb

1/Y

Fig.VI.1dove Y rappresenta l’ammettenza di ingresso e Rb la resistenza in base. Molto schematicamente: ilgeneratore 〈vbn〉 rappresenta il rumore Johnson associato alla resistenza di base Rb, il generatore 〈ibn〉rappresenta il rumore shot associato alla corrente di base e infine il generatore 〈vcn〉 e l’equivalente inbase del rumore shot di corrente di collettore (disegnato nella parte b) della Fig.1). In altri terminila parte b) della Fig.1 rappresenta meglio la fisica alla base del rumore nel dispositivo; il passaggiodalla rappresentazione b) a quella a) e fatto sulla base del modello circuitale del transistore perpiccoli segnali, che ci assicura:

〈vcn〉 =〈icn〉gm

(VI.8)

dove gm rappresenta la tranconduttanza del transistore.In bassa frequenza quindi tutti i generatori introdotti nello schema della Fig.1 sono caratterizzatida rumore bianco e quindi le densita spettrali associate si possono esprimere come segue:

〈v2bn〉/δν = 4kTRb (VI.9a)

〈i2bn〉/δν = 2qIB ≈ 2kTgm/βF (VI.9b)

〈i2cn〉/δν = 2qIC ≈ 2kTgm (VI.9c)

〈v2nc〉/δν = (〈i2cn〉/δν)/g2

m = 2kT/gm (VI.9d)

La prima delle 9) e la banale espressione del rumore Johnson alla Rb; la seconda si ottiene dallarelazione:

IB =ICβF

=IEβF

αF (αF ≈ 1, βF 1) (VI.10)

che, sostituita nella seconda delle 9), da:

〈i2bn〉/δν = 2qIEβF

αF (VI.11)

D’altra parte la corrente di emettitore IE e esprimibile, in funzione della resistenza dinamica re come

IE =kT

qree quindi, ricordando che re =

αFgm

, otteniamo finalmente:

〈i2bn〉/δν = 2qαFβF

kT

qre=

2kTβF· gm (VI.12)

Page 67: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VI, § 4] 65

Similmente per 〈i2cn〉/δν, tenendo conto che IC = αF IE = αFkT

qre= kTgm, abbiamo:

〈i2cn〉/δν = 2kTgm (VI.13)

In questo modello si considerano indipendenti le fluttuazioni delle correnti di base e di collettore.La schematizzazione corrispondente alle 9) e sicuramente assai rozza. Una piu attenta analisi mostrache le densita spettrali che compaiono nella 9) non sono bianche: in particolare il rumore dellacorrente di base 〈i2bn〉/δν aumenta in bassa frequenza sensibilmente (un tipico contributo 1/f) eaumenta anche in alta frequenza. Sara il costruttore a darci gli andamenti delle densita spettraliassociate ai vari generatori. Se il costruttore adotta un modello specifico per i generatori di rumore,sara sua cura indicarlo, insieme con gli spettri di potenza dei generatori introdotti.Molto grossolanamente (e nelle zone dove gli spettri di potenza sono approssimativamente costanti)gli ordini di grandezza del rumore sono:

√〈v2nc〉/δν ≈ nV/

√Hz e

√〈i2bn〉/δν ≈ pA/

√Hz. Il

costruttore, quando sia rilevante, riporta gli spettri di potenza associati ai vari generatori anche infunzione della polarizzazione del transistore (cioe del punto di lavoro).

4.– Il rumore nel transistore a effetto di campo a giunzione

Il transistore a effetto di campo a giunzione (JFET) e uno dei dispositivi elettronici che meglio siprestano a fungere da primo stadio di amplificazione, principalmente perche presenta ottime caratte-ristiche di rumore. Le due principali sorgenti di rumore nel JFET sono: la corrente di polarizzazioneinversa IG del diodo gate-canale (contropolarizzato nelle condizioni normali di lavoro) e il rumoreJohnson associato alla resistivita della zona del canale. Sfruttando la relazione che lega la variazionedella differenza di potenziale fra gate e source alla variazione della corrente di drain: vgs = ids/gm,abbiamo la rappresentazione circuitale equivalente del rumore del JFET, rappresentata nella Fig.2,parte a), mentre la parte b) colloca i generatori la dove le fluttuazioni traggono vera origine:

vnD

iGn iGn

a)

G D

S

b)

G D

SiDn

Fig.VI.2In prima approssimazione (Rc rappresenta la resistenza di canale):

〈i2Gn〉/δν = 2qIG (VI.14a)

〈i2Dn〉/δν = 4kT/Rc (VI.14b)

〈v2nD〉/δν = (〈i2Dn〉/δν)/g2

m = 4kT/(Rcg2m) (VI.14c)

Page 68: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

66 [Cap. VI, § 5]

Con riferimento alla Fig.2 a), il generatore di tensione e spesso indicato col nome di generatore dirumore serie, mentre quello di corrente come generatore di rumore parallelo.Nelle geometrie tipiche dei JFET la transconduttanza gm e la resistenza di canale Rc sono legateda una relazione di proporzionalita inversa, per cui –euristicamente– abbiamo una espressione per〈v2nD〉/δν del tipo:

〈v2nD〉/δν = 2.7kT/gm (VI.15)

Quantitativamente la 15) per un JFET con gm ≈ 10 mAV −1 da, a T = 300 K,√〈v2nD/δν ≈

1 nV/√Hz.

La piccolezza della corrente IG, caratteristica di un diodo contropolarizzato, fa sı che nelle normalicondizioni di impiego, ovvero quelle in cui la resistenza serie del generatore di tensione applicatoal gate e decisamente inferiore ai MΩ, la parte dovuta al rumore parallelo (alcuni fA/

√Hz) sia

trascurabile rispetto all’effetto associato al generatore serie. Quanto al contributo di rumore serie sivede dalla 15) che –a parita di altre condizioni, in particolare IG e la temperatura– per applicazionidi basso rumore sono da preferire i JFET con transconduttanza elevata; oltretutto questa ricetta eabbastanza naturale e ovvia, visto che nell’utilizzo del JFET come amplificatore il guadagno (o lastabilita, se il sistema e reazionato) cresce con gm ed e quindi di interesse che essa sia elevata.Per quanto riguarda gli spettri di potenza dei generatori serie e parallelo, che fino a questo puntosono da aspettarsi bianchi, in realta si osserva un aumento dei contributi di rumore a frequenzebasse (in particolare le fluttuazioni della corrente IG dovute alle perdite superficiali contribuisconocon rumore 1/f con ν0 della V.75 attorno alla decina di kHz) e a frequenze elevate.Anche per il JFET valgono le considerazioni svolte per il transistore bipolare: il costruttore forniscegli andamenti dello spettro di potenza serie e parallelo in funzione della frequenza, normalmenteattenendosi allo schema presentato nella Fig.2. Poiche le caratteristiche di rumore possono dipendereanche dal punto di lavoro (oltre alla ovvia dipendenza dal punto di lavoro di gm nel generatore serie),il costruttore riporta talvolta gli andamenti degli spettri di potenza serie e parallelo in funzione deiparameri di polarizzazione.

5.– Il rumore negli amplificatori

Dato un amplificatore base del tipo riportato in Fig.3

+ A

Fig.VI.3e spesso di interesse conoscerne le caratteristiche in termini di rumore. Normalmente vengonointrodotti i contributi serie e parallelo, come visto nel caso del JFET, riportati nel circuito equivalente

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[Cap. VI, § 5] 67

di Fig.4 nella quale l’amplificatore ideale e completato dai generatori di rumore anzidetti.

in

en

A+

Fig.VI.4Ovviamente il terminale di ingresso accessibile all’utente e quello marcato “+” nella Fig.4.

Naturalmente i due generatori di rumore introdotti schematizzano l’effetto del rumore associato aidispositivi elettronici presenti nell’amplificatore, descritti nei paragrafi precedenti.Il costruttore del dispositivo avra cura di fornire le densita spettrali di rumore dei due generatori infunzione della frequenza ed eventualmente delle condizioni di polarizzazione del dispositivo.Nella Fig.4 si e implicitamente assunto che l’impedenza di ingresso dell’amplificatore sia sostanzial-mente infinita; in altre parole si assume che l’amplificatore in studio, almeno per quanto riguardagli ingressi (il terminale + e il riferimento) sia un misuratore ideale di tensione. Tenendo presentequesta precisazione, e spesso utile caratterizzare l’amplificatore con la cosidetta “cifra di rumore”NF (noise figure). Essa e definita considerando l’amplificatore in questione e collegando l’ingressoal terminale di riferimento tramite una resistenza Rs, pari a quella del generatore di segnale chevogliamo poi utilizzare (Fig.5):

in

en

AR vouts

Fig.VI.5La cifra di rumore NF e definita come:

NF = 10 log10 F (VI.16)

dove F e il rapporto fra la densita spettrale di rumore in uscita dell’amplificatore reale e quelladell’amplificatore ideale (quello cioe senza i generatori di rumore). Ammettendo, come stiamofacendo, che l’impedenza di ingresso sia infinita e che il guadagno A sia un numero reale su tuttol’ambito di frequenze studiato, F vale:

F =4kTRs + 〈e2

n〉/δν + 〈i2n〉/δν ·R2s

4kTRs(VI.17)

Pertanto

NF = 10 log10

(1 +〈e2n〉/δν + 〈i2n〉/δν ·R2

s

4kTRs

)(VI.18)

Page 70: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

68 [Cap. VI, § 5]

L’interesse della conoscenza di NF risiede principalmente nel fatto che, almeno nei limiti delleschematizzazioni adottate, la cifra di rumore permette di valutare direttamente il contributo ag-giuntivo di rumore introdotto dall’amplificatore rispetto a quello che sarebbe comunque presente inquanto dovuto al rumore Johnson associato alla resistenza Rs in serie al generatore.Va da se che, a parita di altre caratteristiche, in particolare della resistenza Rs, della risposta infrequenza e del guadagno A, la scelta dell’amplificatore cadra su quello che da la cifra di rumore piupiccola.Per un dato amplificatore il costruttore talvolta indica la cosidetta “resistenza ottimale” Rso, ovveroquella resistenza in serie al generatore che minimizza la cifra di rumore. Derivando l’argomento dellogaritmo nella 18) e imponendo la stazionarieta, otteniamo:

Rso =

√〈e2n〉/δν〈i2n〉/δν

(VI.19)

Si badi bene che la indicazione della resistenza ottimale significa che, in presenza di un gene-ratore con Rso in serie, il nostro amplificatore funziona meglio di un altro con pari caratteristichema con resistenza ottimale differente. Non vuole certo dire che se per caso il nostro generatoreha una resistenza in serie inferiore alla Rso dell’amplificatore che stiamo utilizzando, sia opportunoaggiungerne una in serie fino a raggiungere Rso.Nel prossimo capitolo, invece di esaminare l’amplissima casistica che potrebbe essere riportatariguardo al calcolo del rumore elettronico e della ottimizzazione del rapporto segnale/rumore, faremoun solo esempio di ottimizzazione di questo rapporto su un caso di notevole interesse nel campo dellemisure di fisica, ovvero della misura di (piccole) quantita di carica, rilasciate nei rivelatori a semi-conduttore dalle radiazioni ionizzanti.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.VI

Firenze, 11 giugno 2004

Page 71: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

VII

UN ESEMPIO DI CALCOLO DI RUMORE

ELETTRONICO

1.– Il rivelatore al Silicio

In questo capitolo esaminiamo in dettaglio un rivelatore al Silicio e la sua catena elettronica dipreamplificazione, amplificazione e formazione.Non descriveremo in dettaglio il funzionamento di un rivelatore al Silicio, ma ci limitiamo a direche esso, almeno nella applicazione che ci interessa, e costituito da un diodo a giunzione con la zonan++ fortemente drogata e molto sottile e una zona di bulk di tipo p a drogaggio molto inferiore. Lasuperficie della giunzione (nel piano perpendicolare alla direzione lungo la quale si sviluppa la bar-riera) puo essere di alcuni cm2, lo spessore della zona n++ di meno di 1 µm e lo spessore della zonap di alcune centinaia di µm. Quando il diodo che costituisce il rivelatore viene contropolarizzato(30 ÷ 50 V o piu) si forma una zona di svuotamento che – a causa del basso drogaggio della zonap del bulk– arriva ad estendersi per tutto lo spessore del rivelatore. La zona di svuotamento, liberada portatori di carica, e sede di un forte campo elettrico.Uno schizzo del rivelatore che mostra una sua sezione trasversale e mostrata nell’inserto b) dellaFig.1. Il rivelatore e indicato col simbolo circuitale del diodo, affiancato dal valore di capacita CD

che gli compete e che lo caratterizza dal punto di vista sia del segnale che del rumore, come sarachiaro nel seguito.

R f

C fC A

R B

Q s i(t)

vOPA vOSH

b)

RIVELATORE+ −+ −+

C PC D

a)

SHAPER

PA

HV

n

p

++

+

+

Fig.VII.1

Page 72: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

70 [Cap. VII, § 2]

Se una particella ionizzante penetra nel rivelatore (o della radiazione luminosa investe la superfi-cie della zona n++) vengono prodotte delle coppie elettrone-lacuna nella zona di svuotamento *.Le cariche prodotte, sotto l’azione del campo elettrico applicato, cominciano a muoversi verso glielettrodi (gli elettroni verso il catodo n++ e le lacune verso l’anodo). Durante il loro moto nellazona della barriera le cariche inducono nel circuito esterno una corrente, che si esaurisce quando esseraggiungono gli elettrodi (trascurando gli effetti dovuti alla propagazione del campo elettromagne-tico sulle dimensioni finite del circuito connesso al rivelatore). L’integrale dell’impluso di correnteprodotto dal moto delle cariche e uguale al valore assoluto dei due tipi di carica (lacune e elettroni)liberati dalla particella (o dai fotoni) nel rivelatore. A sua volta la carica e proporzionale alla energiaperduta dalla particella ionizzante (o al numero di fotoni che hanno investito l’anodo). Pertantol’interesse primario consiste nella misura della carica e infatti la catena elettronica accoppiata alrivelatore e proprio dedicata alla amplificazione e misura di questa carica, ottimizzando il rapportosegnale/rumore.

2.– La catena di misura

La catena elettronica di misura e riportata nella Fig.1. Qs · i(t) rappresenta il generatore dicorrente che descrive il comportamento del rivelatore al Silicio in seguito al passaggio della particellaionizzante. Il segnale i(t) e pensato normalizzato ad area unitaria; esso ha usualmente una estensionetemporale di alcuni ns o meno, in pratica il tempo che le cariche “liberate” impiegano a raggiun-gere gli elettrodi (lo spessore della zona di barriera e di almeno due ordini di grandezza superiorea quella dei diodi progettati per applicazioni circuitali); nel seguito assumeremo i(t) = δ(t), ovveroun segnale di durata nulla. Il rivelatore, dal punto di vista circuitale, in quanto costituito da undiodo contropolarizzato si rappresenta assai fedelmente con una capacita CD (che ammonta a circa100 pF per ogni cm2 di superficie e per 100 µm di spessore di svuotamento). RB (10 MΩ o piu) e laresistenza in serie al generatore di tensione HV che assicura la contropolarizzazione del rivelatore.La resistenza RB deve essere inserita (e poi vedremo che deve essere anche di valore elevato) nonfosse altro perche, se HV fosse collegato direttamente al rivelatore, tutta la corrente Qs ·i(t) verrebbeassorbita dal generatore ideale di tensione HV (un cortocircuito per il segnale). CA (dell’ordine di0.1 µF ) e una capacita che serve a disaccoppiare la tensione ai capi del rivelatore dalla massa virtualedell’operazionale. Il valore di CA e talmente superiore a CD che il suo effetto sul segnale sara igno-rato nel seguito e la sostituiremo concettualmente con un cortocircuito. CP (< 10 pF , tipicamente)rappresenta la capacita “parassita” all’ingresso del circuito operazionale, dovuta ai collegamenti eallo stadio di ingresso. Il blocco PA e il cosidetto preamplificatore (di carica): esso ha il compito difornire in uscita una tensione VOPA (“V output pre-amplifier”) proporzionale all’integrale di Qs ·i(t),ovvero Qs. Cf (1÷ 2 pF ) e la capacita in reazione all’operazionale che funge quindi da integratoredi Miller. A ( 1) rappresenta il guadagno del blocco base. Spesso la capacita Cf si richiude (comenel tratteggio) a monte di CA, cosı da rendere l’effetto di CA sul segnale ancor meno importante.Rf (tipicamente > 100 MΩ) ha la funzione principale di correggere –come vedremo nel seguito–

* Per la rivelazione di particelle ionizzanti si ha spesso interesse ad avere spessori elevati perfrenarle maggiormente e far loro perdere piu energia; per i fotoni nel visibile questo interesse nonesiste dato il loro bassissimo potere penetrante. Comunque una profonda zona di svuotamento e utilelo stesso, come vedremo successivamente, per il benefico effetto associato alla diminuita capacita

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[Cap. VII, § 3] 71

la risposta ideale di un integratore “matematico” e permette di scaricare dinamicamente l’uscitadell’operazionale senza che si debba ricorrere a circuiti dedicati per la scarica del condensatore Cf

dopo ogni integrazione. Nel seguito, in gran parte della trattazione, il suo effetto sul segnale verratrascurato.Lo shaper o formatore, che riceve ai terminali di ingresso l’uscita del PA, ha la funzione, chesara ampiamente discussa nel seguito, di amplificare e filtrare in frequenza il segnale, preservandol’informazione della carica raccolta Qs e ottimizzando il rapporto segnale/rumore.

3.– La risposta della catena elettronica al segnale

Consideriamo ora la risposta del nostro circuito ad un segnale in ingresso, con andamento aδ(t). Come anticipato, trascuriamo l’effetto sul segnale di RB , Rf e CA, almeno per ora. Lostudio della risposta al segnale viene fatto ammettendo l’assenza di effetti di rumore elettrico, chesaranno considerati nel seguito; ammettiamo il circuito perfettamente lineare, per cui tratteremoseparatamente gli effetti del segnale e del rumore.Con riferimemto alla Fig.2, sappiamo che nel limA→∞, la risposta del PA vale

vOPAC P

vOPAC f

Q sδ(τ)

t

C D

+

Fig.VII.2

VOPA =Qs

Cf∀ t ≥ 0, = 0 ∀ t < 0 (VII.1)

dove la polarita del segnale dipende dall’aver assunto (coerentemente con la polarizzazione del rivela-tore) una corrente positiva come disegnata. Nella Fig.2, a destra, e riportato l’andamento a gradinodel segnale di uscita.

C DC P

vi viA

Q sδ(τ)

+ +

C M

−+

Page 74: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

72 [Cap. VII, § 3]

Fig.VII.3Se A e finito, sfruttando il teorema di Miller, abbiamo lo schema equivalente di Fig.3, dove CM

rappresenta la capacita Miller riportata in ingresso: CM = Cf (1 +A):

vi = − Qs

CD + CP + CM= − Qs

CD + CP + Cf (1 +A)= − Qs

ΣC +ACf∀ t ≥ 0 (VII.2)

VOPA = −Avi = AQs

ΣC +ACf=

Qs

Cf + ΣC/A∀ t ≥ 0 (VII.3)

con ΣC = CD + CP + Cf . Si vede che rispetto al caso di aver assunto un guadagno infinito, adenominatore c’e un termine correttivo tanto piu piccolo quanto maggiore e A. Nella Fig.4 riportiamol’andamento della tensione VOPA:

Fig.VII.4Se teniamo conto della resistenza Rf , la risposta al tempo t = 0 non cambia, ma per t > 0 la ddpdecade esponenzialmente con costante di tempo τf = CfRf :

VOPA =Qs

Cf + ΣC/A· e−t/τf (VII.4)

Valori tipici: Cf ≈ 1 pF , Rf ≈ 100 MΩ÷ 1 GΩ e pertanto τf ≈ 100 µs÷ 1 ms.Studiamo ora il trattamento di questo segnale effettuato dal cosidetto Shaper o Formatore. In realtasi tratta di un Formatore + Amplificatore. Esso e tipicamente costituito da un filtro passa banda,con frequenza centrale attorno al MHz. Al momento sorvoliamo sui motivi che portano ad uti-lizzare un Formatore siffatto. Ricordiamo soltanto che la grandezza che vogliamo misurare e Qs eche il preamplificatore presenta una uscita che raggiunge una ampiezza proporzionale a Qs in tempibrevissimi; pertanto, all’uscita del PA l’informazione su Qs e disponibile non appena e avvenutoil passaggio di corrente. Nel caso semplificato che stiamo trattando, il tempo di passaggio dellacorrente e addirittura nullo (corrente con andamento a δ(t)) e nei casi reali comunque il segnale dicorrente dura alcuni ns. Tutto questo significa che l’informazione su Qs e estraibile senza problemisui tempi tipici corrispondenti alla banda passante definita dallo Shaper (≈ MHz). Vediamo indettaglio come questo avviene.Il filtro passa banda puo essere realizzato come la successione di di un filtro C − R passa alto e diun filtro R − C passa basso, disaccoppiati da un amplificatore ideale di tensione con guadagno G(l’amplificatore di cui si diceva prima). Lo schema e riportato il Fig.5a.

Page 75: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VII, § 3] 73

C1 V1 R1

R2

C2

R1

R2

C2

C1

a) b)

ISH OSH ISH OSHOPAv v v v v

G

+

Fig.VII.5Il disaccoppiamento fra i due filtri non e essenziale, ma semplifica leggermente lo studio della risposta;tuttavia in pratica quasi mai si ricorre allo schema del tipo proposto in Fig.5a; si preferiscono piut-tosto schemi del tipo di Fig.5b, per il quale e semplice far vedere che, a parte un fattore realemoltiplicativo, la funzione di trasferimento e uguale a quella del circuito mostrato in Fig.5a. Co-munque nel seguito faremo sempre riferimento allo schema di principio di Fig.5a.Si tratta ora di calcolare l’uscita VOSH in risposta alla tensione a gradino (step) in ingresso. Ilmetodo piu semplice per trovare la soluzione sarebbe quello di utilizzare le tecniche di Trasformatadi Laplace. Tuttavia e relativamente semplice trovare l’andamento del segnale nei vari stadi delFormatore risolvendo il circuito elementarmente nel dominio del tempo.

Calcoliamo innazitutto l’andamento temporale della tensione V1; la step (V0 =Qs

Cf + ΣC/A) e simu-

lata da un generatore di tensione (ammettiamo che l’impedenza di uscita del PA sia trascurabile)che si chiude istantaneamente al tempo t = 0 sul partitore C1 −R1 (Fig.6; nel seguito τ1 = R1C1 eτ2 = R2C2):

0

1

1

1

R

CV

V

+

Fig.VII.6dalla II legge di Kirchhoff abbiamo (per t > 0):

V0 = i1R1 +q1C1

=dq1dtR1 +

q1C1

(VII.5)

Come soluzione particolare possiamo prendere:

Qp1 = C1V0 = cost (VII.6)

e quindi aggiungere la soluzione della equazione omogenea associata:

qo1(t) = Qo

1 e−t/τ1 (VII.7)

Page 76: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

74 [Cap. VII, § 3]

Per la soluzione completa (qo1(t) +Qp

1), imponendo le condizioni iniziali (Q1 = 0), abbiamo:

V1(t) = V0 −Q1(t)/C1 = V0 e−t/τ1 (VII.8)

Questa tensione viene presentata tal quale all’ingresso del secondo filtro (passa basso) dal ripetitoredi tensione (poniamo al momento G = 1).Nella Fig.7 e rappresentata la seconda parte della formazione del segnale:

1V (t)

V e0− t/τ

1V

R

C2

2

(t)

Fig.VII.7Applicando la II legge di Kirchhoff abbiamo:

V1(t) = i2R2 +q2C2

=dq2dtR2 +

q2C2

(VII.9)

Cerchiamo la soluzione particolare nella forma

qp2 = Qp

0 e−t/τ1 (VII.10a)

dqp2

dt= −Q

p0

τ1e−t/τ1 (VII.10b)

La 10b), sostituita nella 9) da:

V0 = −R2

τ1Qp

o +Qp

o

c2(VII.11)

ovvero otteniamoQp

o =V0C2τ1τ1 − τ2

(VII.12)

Troviamo ora la soluzione dell’equazione omogenea associata nella forma:

qo2(t) = Qo

2 e−t/τ2 (VII.13)

Pertanto per la soluzione completa q2(t) otteniamo:

q2(t) =V0C2τ1τ2 − τ1

· e−t/τ1 +Qo2 e−t/τ2 (VII.14)

Per la derivata di q2(t) otteniamo:

dq2(t)dt

= i2(t) = − V0C2

τ2 − τ1· e−t/τ1 − Qo

2

τ2e−t/τ2 (VII.15)

Imponendo che la corrente a t = 0 valgaV0

R2(il condensatore ha una ddp nulla ai suoi capi inizial-

mente in quanto scarico), abbiamo la prescrizione su Qo2:

V0

R2= − V0C2

τ2 − τ1− Qo

2

τ2(VII.16)

Page 77: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VII, § 3] 75

e quindi

Qo2 = τ2V0(

C2

τ2 − τ1− 1R2

) = V0C2τ1τ2 − τ1

(VII.17)

Pertanto:q2(t) =

V0C2τ1τ2 − τ1

( e−t/τ2 − e−t/τ1 ) (VII.18)

e

VOSH =q2(t)C2

=V0τ1τ2 − τ1

( e−t/τ2 − e−t/τ1 ) (VII.19)

Nella pratica si pone τ1 = τ2 e quindi occorre calcolare il limite della 19) per τ1 → τ2 = τ (si noti lozero al numeratore e al denominatore per τ1 = τ2). Otteniamo allora:

VOSH(τ1 = τ2 = τ) = limτ1→τ2

V0τ1τ2 − τ1

e−t/τ2 (1− e−t·(1/τ1−1/τ2) ) =

=V0τ1τ2 − τ1

e−t/τ2 t · (1/τ1 − 1/τ2) = V0t

τe−t/τ

(VII.20)

con, ricordiamolo, V0 =Qs

Cf + ΣC/A. L’andamento di VOSH e riportato in Fig.8.

Fig.VII.8Il massimo, che e raggiunto per tM = τ , vale V0/e, con e numero di Nepero. Il segnale ha unaestensione temporale effettiva dell’ordine di alcuni τ , che vedremo essere nei casi reali attorno al µs.L’informazione sulla quantita da misurare e tutta contenuta nel massimo (detto anche “ampiezzadel segnale”). Se l’amplificatore che disaccoppia i due filtri presenta un guadagno G, la tensionein uscita dallo Shaper viene semplicemente moltiplicata per G (nella solita ipotesi che G sia unacostante reale, ovvero che l’amplificatore abbia una risposta indipendente dalla frequenza).La misura di Qs quindi puo essere fatta da un ADC che misura l’ampiezza del segnale all’uscita delFormatore. Questa e infatti la procedura normalmente seguita; le conversioni dell’ADC (detto “dipicco” per la funzione svolta di misura del massimo) vengono poi classificate in modo da disporredelle distribuzioni delle ampiezze dei segnali provenienti dal rivelatore. Se i segnali fossero tuttiidentici, ovvero fossero identiche le cariche Qs depositate dalle particelle, se fossimo in assenza dirumore e le fluttuazioni nelle conversioni assenti, le classificazioni nell’istogramma interesserebberoun unico canale in cui si addenserebbero tutti i conteggi. La presenza del rumore, come vedremo indettaglio, allarga questa distribuzione.Prima di passare ad affrontare il problema del calcolo del rumore nel nostro sistema, ricordiamo lafunzione complessiva svolta dal sistema preamplificatore+formatore:1. il preamplificatore di carica produce in uscita un segnale a gradino con una altezza proporzionalealla carica; se il guadagno A del blocco amplificatore base e 1 (e tipicamente vale 104 ÷ 105),

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76 [Cap. VII, § 3]

l’uscita dipende solo da Qs e dal valore della capacita Cf che deve essere ad alta stabilita, inparticolare con bassissimo coefficiente di temperatura. La preamplificazione di carica si preferiscein genere rispetto ad altre soluzioni proprio perche essa da una risposta praticamente indipendente(nel solito limite su A molto grande) dalla capacita CD del rivelatore che non e particolarmentestabile e controllata: per esempio, se invece di usare un preamplificatire di carica avessimo usato unpreamplificatore di tensione, avessimo cioe misurato la tensione che si sviluppa ai capi del rivelatore

a seguito dell’impulso di corrente, avremmo in questo caso avuto VD = − Qs

CD + CPe quindi la

risposta sarebbe venuta a dipendere da CD e CP , entrambe molto poco sotto il nostro controllo enon particolarmente stabili in funzione della temperatura (inoltre si ricordera che CD varia con latensione di contropolarizzazione applicata al rivelatore).2. il formatore preserva l’informazione su Qs, ma confina temporalmente il segnale in un ambitoristretto di tempo. Vedremo che questo ha un effetto benefico sul rapporto segnale/rumore. Tuttavia,anche se il rumore non fosse presente, esiste comunque un vantaggio nella formazione su tempibrevi. Infatti, supponiamo che i segnali arrivino sul rivelatore, separati da una differenza di tempodell’ordine di una decina di µs; si ricorda che i tempi di arrivo delle particelle sono normalmentefuori dal controllo stretto dello sperimentatore e quindi quei 10 µs vanno pensati come valore mediodi un intervallo di tempo fluttuante fra un impulso e un altro. Se volessimo misurare le ampiezzeall’uscita del PA andremmo rapidamente in difficolta a causa del cosidetto “impilamento” dei segnali(vedi Fig.9a).

Fig.VII.9Invece, come mostrato nella parte b della figura, all’uscita del formatore i segnali compaiono benseparati e la determinazione del massimo non presenta alcuna difficolta aggiuntiva rispetto al casodi segnale isolato. Sulla base di questo argomento, sembrerebbe anzi che convenisse diminuire almassimo la durata della formazione, preservando solo il vincolo ovvio che il tempo della formazione τfosse superiore alla durata dell’impulso di corrente (che, come sappiamo, non e proprio una δ(t)). Aparte quest’ultimo vincolo, che in pratica porrebbe un limite inferiore per τ dell’ordine di 10÷50 nsper rivelatori al Silicio, sara proprio l’esame del rumore del nostro sistema a insegnarci che il valore

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[Cap. VII, § 4] 77

di τ e determinato da un compromesso che ottimizza il rapporto segnale/rumore e di fatto precludeuna riduzione acritica del tempo di formazione τ .

4.– La risposta dello shaper nel dominio delle frequenze

Per quanto riguarda il segnale non ha alcun interesse la risposta del formatore (ne del pream-plificatore) nel dominio delle frequenze, ovvero all’eccitazione sinusoidale. Tuttavia sappiamo chenon appena si voglia affrontare il problema del rumore diventa fondamentale conoscere la funzionedi trasferimento della rete lineare esaminata.Esaminiamo quindi la funzione di trasferimento del formatore fra ingresso e uscita, rimandando alparagrafo successivo l’analogo calcolo per il PA: per quest’ultimo, a causa delle diverse collocazionidelle sorgenti fisiche di rumore, l’analisi si deve differenziare per le diverse funzioni di trasferimento,mentre nel caso del formatore una sola e la funzione di trasferimento di interesse (appunto quellafra ingresso e uscita).L’analisi in frequenza dello shaper e banale in quanto si tratta di calcolare la funzione di trasferimentodi un circuito CR−RC passabanda, con due filtri totalmente disaccoppiati:

ASH =jωτ1

1 + jωτ1

11 + jωτ2

(VII.21)

Per τ1 = τ2 = τ otteniamo:

ASH =jωτ

(1 + jωτ)2(VII.22)

e per il modulo:

|ASH | =ωτ

1 + ω2τ2 (VII.23)

Calcoliamo ora quanto vale il massimo di |ASH | e dove si colloca in funzione della frequenza.Si trova che :

d|ASH |dω

= 0 (VII.24)

comporta:

ωM = 1/τ (VII.25)

come era facilmente immaginabile, ricordando gli effetti di taglio dei due filtri separati. Propriobasandosi sulle proprieta dei filtri separati, si deduce subito una attenuazione di −6dB; infattiognuno dei due filtri alla pulsazione ωM = 1/τ riduce l’ampiezza di −3dB.Nella rappresentazione |ASH |dB in funzione del logaritmo della pulsazione, abbiamo la curva mo-strata in Fig.10.

Page 80: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

78 [Cap. VII, § 5]

Fig.VII.10Nella figura sono mostrati anche gli andamenti separati del filtro passa basso e passa alto.E’ di notevole interesse per la discussione che seguira determinare la larghezza della curva |ASH |in funzione della pulsazione; determiniamo quindi qual e l’ambito di pulsazioni per cui la curva simantiene al di sopra di 1/

√2 volte del massimo.

Imponiamo quindi (i pedici i e s si riferiscono al valore inferiore e superiore rispettivamente):

ωi,sτ

1 + ω2i,sτ

2 =1

2√

2(VII.26)

Svolgendo i calcoli si trova che la zona in cui la curva si mantiene al di sopra di 1/√

2 volte delmassimo, vale:

(∆ω)−9dB =2τ

(VII.27)

ovvero (∆ν)−9dB =1πτ

. Il calcolo mostra che l’intervallo e simmetrico attorno al massimo su carta

logaritmica, ma non su scala lineare: il limite inferiore vale ωi = (√

2−1)/τ , mentre quello superioreωs = (

√2 + 1)/τ .

In ogni caso la larghezza della banda di frequenze “trasmesse” dal filtro e proporzionale all’inversodella costante di tempo τ , ovvero e direttamente proporzionale al valore della pulsazione ωM dicentro banda.

5.– L’individuazione delle sorgenti di rumore

Se si monta una catena di misura del tipo rappresentato in Fig.1 e si vanno ad esaminareall’oscilloscopio le varie tensioni di interesse, ci si accorge della presenza di significative componentidi rumore. Questo avviene semplicemente perche, essendo la catena di misura progettata per misu-rare segnali di entita molto piccola (anche solo poche centinaia di cariche elettroniche), di necessitasi riesce a mettere in evidenza il rumore che e sempre presente, ma percepito solo in presenza disistemi ad alta sensibilita come il nostro.E’ opportuno, per prima cosa, individuare le sorgenti di rumore presenti nel circuito: per far questosfrutteremo –ovviamente– quello che abbiamo imparato sulle sorgenti fisiche di rumore nei capitoli

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[Cap. VII, § 6] 79

precedenti. Concentreremo comunque la nostra analisi in quelle zone del circuito dove il segnale vienegenerato e subisce il primo trattamento: infatti e quella la zona nella quale qualunque disturbo vieneamplificato e comparira all’uscita. Chiariamo a questo proposito fin d’ora che per questo motivonon considereremo le sorgenti di rumore nella parte di circuito a valle del primo stadio di pream-plificazione; quindi in particolare il rumore termico delle resistenze, il rumore shot delle correnti etutte le sorgenti di rumore dei dispositivi elettronici che non siano quelli del primo stadio di ingresso,saranno ignorati; nei casi pratici, sara opportuno verificare l’accuratezza di questa schematizzazione,eventualmente ricorrendo a misure dedicate.I contributi al rumore elettronico nella “zona di ingresso” del PA sono identificati in maniera rela-tivamente semplice e qui di seguito li elenchiamo, rimandando a dopo l’analisi quantitativa del loroeffetto:1. il rivelatore e un diodo a giunzione contropolarizzato e pertanto presenta una corrente di satura-zione inversa IB (detta anche corrente di buio), caratterizzata da full shot noise con densita spettraledi rumore: wIB

I = 2qIB . Questa corrente, essendo le dimensioni del diodo molto superiori a quelledei diodi impiegati per applicazioni circuitali, e spesso abbastanza superiore al nA e normalmentecresce con il prolungarsi dell’utilizzo del rivelatore, a causa del danneggiamento da radiazione. Topo-logicamente il generatore di corrente di rumore si colloca esattamente come quello di segnale: infattitale corrente, come quella di segnale, e generata all’interno del rivelatore;2. la resistenza RB di polarizzazione (o di Bias) presenta rumore Johnson. Conviene adottare peressa la rappresentazione di un generatore di corrente con densita spettrale wRB

I = (4kT )/RB , inparallelo a RB . In questo modo, essendo HV schematizzabile come un generatore ideale di tensionee quindi sostituibile con un cortocircuito verso massa secondo il Principio di sovrapposizione, il gene-ratore di corrente di rumore si colloca anch’esso nella stessa configurazione circuitale del generatoreassociato alla corrente di buio e quindi di segnale;3. la resistenza in reazione Rf presenta pure rumore Johnson. Schematizzando anche in questo casoil rumore col generatore di corrente associato, si approda, come vedremo meglio nel seguito, ad unaconfigurazione uguale a quella degli altri generatori di rumore finora considerati;4. lo stadio di ingresso del PA, che e normalmente costituito da un JFET, presenta rumore. Come sifa usualmente, si rappresenta l’effetto complessivo tramite due generatori, uno di corrente IFet condensita spettrale wFet

i = 2qIFet che rappresenta il cosidetto rumore parallelo e uno di tensione condensita spettrale wFet

v che rappresenta il rumore serie. Il generatore di corrente, essendo posto fral’ingresso e massa, si colloca esattamente come tutti gli altri generatori di rumore fin qui considerati,mentre il generatore di rumore serie ha una sua collocazione circuitale particolare.

Sappiamo che per trovare l’effetto che questi generatori di rumore hanno sull’uscita dello shaper,dobbiamo calcolare la funzione di trasferimento fra i generatori di rumore considerati e l’uscita sopradetta. Per tutti i generatori che abbiamo individuato, salvo il generatore di rumore serie all’ingressodel JFET, la funzione di trasferimento e sempre la stessa e uguale a quella del segnale. Questa euna grossa semplificazione nel calcolo, che purtroppo non interviene quando si trattera di studiareil rumore serie del JFET.Per entrambi le due configurazioni, il calcolo della funzione di trasferimento verra effettuato in duepassi: prima la funzione di trasferimento fra i generatori di rumore e l’uscita del PA e poi la funzionedi trasferimento fra l’ingresso dello shaper (ovvero l’uscita del PA) e la sua uscita. La funzione ditrasferimento complessiva, ovvero dal generatore di rumore all’uscita dello shaper, sara data dalprodotto delle due funzioni, visto che abbiamo ammesso impedenza nulla di uscita del PA.Procediamo quindi al calcolo delle funzioni di trasferimento fra i generatori di rumore e l’uscita del

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80 [Cap. VII, § 6]

PA.

6.– Il calcolo della funzione di trasferimento fra i generatori di rumore

e l’uscita del preamplificatore

Come abbiamo appena visto, tutte le sorgenti di rumore, salvo quella del rumore serie delJFET, hanno la medesima configurazione circuitale del generatore di corrente di segnale. Per primacosa, quindi, calcoliamo la funzione di trasferimento del segnale (rispetto ai terminali di uscita delPA). Ricordiamo che non abbiamo effettuato questo calcolo quando abbiamo studiato la rispostaal segnale in quanto quest’ultimo non e sinusoidale, ma approssimativamente rappresentabile conuna δ(t) (la conoscenza della funzione di trasferimento ci sarebbe stata comunque utile perchela sua FT−1 ci avrebbe dato proprio la risposta alla quale eravamo interessati). Per ottenere lafunzione di trasferimento, potremmo ora calcolare la FT della funzione di risposta, data dalla 3) o-piu accuratamente dalla 4); comunque, pur essendo possibile procedere con questo metodo, moltorapido e formale e tutto sommato non particolarmente istruttivo, preferiamo affrontare il calcoloesplicito della funzione di trasferimento, per altro estremamente semplice.Con riferimento alla Fig.11 e applicando il metodo simbolico, abbiamo:

C P

C f

Is VsC D

+

Fig.VII.11

Vs = − Is

jωCf(VII.28)

cioe per la funzione di trasferimento otteniamo:

AI =Vs

Is= − 1

jωCf(VII.29)

Si sara notato che abbiamo fatto il calcolo nella ipotesi semplificativa di guadagno A infinita-mente grande del blocco base: in particolare questo ci ha permesso di trattare l’ingresso “-” comeuna massa virtuale. Abbiamo anche trascurato l’effetto di RB , Rf e CA. Anche nel seguito, per ilcalcolo del rumore, procederemo con queste semplificazioni che riducono notevolmente il calcolo ecostituiscono una ottima approssimazione, sopratutto per la valutazione del rumore.Il modulo quadro di AI vale allora:

|AI |2 =1

ω2C2f

(VII.30)

Il generatore di rumore associato alla corrente di saturazione inversa del rivelatore IB (tipica-mente da alcuni nA fino ad alcuni µA) si schematizza come un generatore di corrente ubicato come

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[Cap. VII, § 6] 81

Is nella Fig.11 e quindi, avendo il generatore uno spettro di potenza wIBi = 2qIB , esso produce

all’uscita del PA una densita spettrale:

W IB

OPA =2qIBω2C2

f

(VII.31a)

Si noti che, pur essendo il rumore originario bianco, la funzione di trasferimento verso l’uscita delpreamplificatore (un integratore matematico) comporta in uscita una spettro di potenza che crescein maniera inversa a ω2, ovvero presenta una divergenza in continua.Il generatore di rumore in corrente associato a RB puo rappresentarsi esattamente come quello diIs e quindi anche per questo contributo abbiamo (vedi Fig.12):

C P

C fR B

R BwOPA

4kTRB

i / δνn2 =

C D

+

Fig.VII.12

WRB

OPA =4kTRB

1ω2C2

f

(VII.31b)

Nella Fig.12 abbiamo disegnato a tratteggio la resistenza RB in quanto essa, pur determinandol’esistenza del generatore di rumore che stiamo considerando, viene tuttavia ignorata per quantoattiene al calcolo della funzione di trasferimento.La corrente di rumore parallelo all’ingresso del JFET si colloca come le altre sorgenti (vedi Fig.13)e quindi da un contributo del tipo:

C f

IFET

C P

C Di /n2 =δν 2q IFET wOPA

+

Fig.VII.13

W IF et

OPA =2qIFet

ω2C2f

(VII.32)

L’effetto del rumore Johnson della resistenza Rf merita una breve discussione.

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82 [Cap. VII, § 6]

C f

R fwOPA

R f

C P

i / δνn2 =

4kT

R f

CDVout

I

I0

fn

+

Fig.VII.14Con riferimento alla Fig.14, dove abbiamo indicato il generatore di rumore associato a Rf , maabbiamo disegnato a tratteggio Rf per ricordare che non ne consideremo l’effetto nella funzione ditrasferimento, notiamo che: un estremo del generatore di rumore Johnson di Rf coincide –cometutti i generatori fino ad ora considerati– con la massa virtuale. L’altro estremo e collegato al gene-ratore equivalente di tensione all’uscita del PA. Potremmo pensare che la situazione fosse identicaa quella incontrata per RB : ovvero potremmo sostituire il generatore Vout con la sua resistenzainterna (idealmente nulla). Questa procedura e sbagliata: infatti l’applicazione del Principio disovrapposizione, che permette la sostituzione dei generatori con le loro resistenze interne, e correttasolo se i generatori sono indipendenti; non e questo il caso di Vout, che e un generatore controllatodalla ddp v− − v+. Per risolvere il problema possiamo procedere come segue, assumendo che ilguadagno del blocco base A sia estremamente grande: la corrente iniettata dal generatore nellamassa virtuale non puo che entrare nel ramo Cf ; infatti se cosı non fosse e una parte di correntepercorresse il parallelo di CD e CP , questo provocherebbe una ddp sulla massa virtuale, che lareazione, a causa del guadagno A infinito, immediatamente annullerebbe. Quindi, percorrendo tuttala corrente il ramo di Cf , all’altro nodo (quello dell’uscita del PA) non vi e possibilita per la correnteIfn di richiudersi verso Vout: la legge dei nodi impone che Io sia zero. Pertanto la ddp in uscitadovuta al generatore di rumore associato a Rf , calcolata come caduta prodotta su Cf , rispetto allo0 della massa virtuale, vale:

Vout = − Ifn

jωCf(VII.33)

e quindi possiede la medesima funzione di trasferimento degli altri generatori (e il risultato ottenutoapplicando in maniera sbagliata il Principio di sovrapposizione, avrebbe dato un risultato correttoper la tensione in uscita, ma non per la corrente). Pertanto:

WRf

OPA =4kTRf

1ω2C2

f

(VII.34)

Consideriamo ora la funzione di trasferimento fra il generatore di rumore serie con densita spettrale〈v2

Fet〉/δν che sappiamo rappresentare il rumore termico del canale del JFET. Nella pratica dovremodavvero vedere (e questo andrebbe fatto anche per il rumore parallelo) cosa dice il costruttore perl’andamento dello spettro di potenza di 〈v2

Fet〉/δν; siccome sappiamo che il grosso dell’effetto e uncontributo di rumore bianco, ammettiamo che per la densita spettrale valga l’espressione VI.15:

wFetv = 〈v2

Fet〉/δν =2.7kTgm

(VII.35)

Page 85: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VII, § 6] 83

Per trovare ora la funzione di trasferimento per il generatore di rumore serie, osserviamo la Fig.15:

C f

C D

C PVFet

1 iV

0 i

v

V = −Av+

Fig.VII.15La tensione V1 in ogni istante e data da: vi (la ddp all’ingresso “-” dell’operazionale senza rumore)piu la tensione istantanea di rumore serie del JFET, ovvero V1 = vi+vFet. L’uscita dell’amplificatore,istante per istante, soddisfa la relazione:

Vo = −Avi (VII.36)

Inoltre, a causa del fatto che A 1, per ogni tensione finita Vo osservata all’uscita dell’amplificatore,vi = −Vo/A ≈ 0. Questo comporta che, essendo l’impedenza fra l’ingresso “-” e “+” dell’operazionalefinita, la corrente nel ramo interno fra “-” e “+” deve essere di fatto nulla. Pertanto la ddp V1, istanteper istante, si puo esprimere mediante la ripartizione capacitiva di Vo sulla serie della capacita Cf

con il parallelo di CD con CP . Pertanto:

V1 = vi + vFet = −Vo

A+ vFet (VII.37)

e

V1 = Vo

1jω(CD + CP )

1jωCf

+1

jω(CD + CP )

= VoCf

CD + CP + Cf= Vo

Cf

ΣC(VII.38)

Uguagliando la 37) e la 38), abbiamo:

Vo(1A

+Cf

ΣC) = vFet (VII.39)

ovveroVo = vFet

A ΣCACf + ΣC

= vFetΣC

Cf +ΣCA

≈ vFetΣCCf

(VII.40)

Quindi la funzione di trasferimento per il generatore serie e l’uscita del PA e reale e valeΣCCf

. Al

medesimo risultato si puo giungere osservando che la configurazione ora esaminata e equivalente(e infatti ha la medesima funzione di trasferimento) a quella di un amplificatore operazionale non-invertente con vFet applicato all’ingresso “+”; infatti, comparendo vFet in serie agli ingressi, ilcircuito e completamente equivalente a quello che si ottiene facendo “slittare” il generatore vFet finoa porlo nel ramo fra l’ingresso “+” e massa. Quindi per lo spettro di potenza in uscita abbiamo:

wvF et

OPA = 〈v2Fet〉/δν

(ΣCCf

)2

≈ 2.7kTgm

(ΣCCf

)2

(VII.41)

Page 86: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

84 [Cap. VII, § 6]

Questo contributo quindi, a causa della funzione di trasferimento che gli compete, appare in uscitacon la medesima dipendenza dalla frequenza di quella del generatore serie; in particolare se il rumoreserie e ben descritto dal rumore Johnson della resistenza del canale del JFET, anche il rumore inuscita e bianco.

A questo punto, ammettendo di aver considerato tutte le sorgenti di rumore significative, ab-biamo per la densita spettrale di rumore totale in uscita dal PA:

wtotOPA = wIB

OPA + wIF et

OPA + wRB

OPA + wRf

OPA + wvF et

OPA =a

ω2 + b (VII.41)

cona = (2qIB +

4kTRB

+4kTRf

+ 2qIFet)/C2f (VII.42a)

e

b =2.7kTgm

(ΣC)2

C2f

(VII.42b)

Riportiamo nella Fig.16, a tratto continuo, l’andamento rappresentato dalle 41) e 42) con l’asse dellepulsazioni sia in carta lineare che logaritmica, rispettivamente nelle parti a) e b).

Fig.VII.16Il rumore all’uscita del preamplificatore consiste quindi (almeno nelle schematizzazioni fatte, che sonoassai realistiche) di due contributi con comportamento differente in funzione della frequenza: unobianco che cresce con la temperatura, e inversamente proporzionale alla transconduttanza del JFETin ingresso e cresce col quadrato della somma delle capacita in ingresso (normalmente dominata daCD); l’altro contributo cresce fortemente al diminuire della frequenza, cresce per una parte con lecorrenti di fuga e per un’altra con l’inverso delle resistenze connesse alla massa virtuale (questa partedipende anche dalla temperatura). Se osserviamo allora l’uscita del preamplificatore all’oscillografoil rumore sara in generale evidente e l’effetto piu marcatamente percepibile sara quello di una linea

Page 87: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VII, § 7] 85

di base fortemente fluttuante in bassa frequenza. Lo spettro di potenza all’uscita del preamplifica-tore e gia stato mostrato nella Fig.IV.3, con anche le fluttuazioni tipiche di queste determinazionisperimentali.Nella Fig.17, parte a), e riportata la simulazione numerica dell’uscita del preamplificatore; si notinole fluttuazioni lente, dovuta ai grossi contributi in bassa frequenza, nonche la frastagliatura piu fine,indotta dalla componente del rumore bianco. Nella parte b) della Fig.17 e riportata la stessa uscita,con due segnali sovraimposti, che nascono sulle fluttuazioni della linea di base (si e assunto un valoredi Rf tale per cui τf = 100 µs). Osservando la figura e sulla base delle considerazioni svolte so-pra, e facile convincersi che all’uscita del PA e praticamente impossibile determinare con precisionele ampiezze delle transizioni del segnale, perche esse nascono su imponenti fluttuazioni di quelloche dovrebbe essere lo zero. E’ naturale quindi trattare il segnale con lo shaper che sappiamo averecome funzione principale quella di rimuovere i contributi in bassa frequenza (e limitare quelli in alta).

Fig.VII.17

7.– L’effetto del formatore e il rumore finale in uscita

A questo punto siamo in grado di trovare la densita spettrale di rumore in uscita del formatore,ovvero quella finale. Basta allo scopo calcolare (vedi 23) e 41)):

wtotOSH = |ASH |2 · wtot

OPA =ω2τ2

(1 + ω2τ2)2(a

ω2 + b) =τ2(a+ ω2 b)(1 + ω2τ2)2

(VII.43)

Page 88: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

86 [Cap. VII, § 7]

con a e b dati dalle 42). Si noti che la densita spettrale definita dalla 43) assume un valore finitoper ω = 0 e tende a 0 all’aumentare di ω.Un effetto importante dello shaper e quello di rimuovere le componenti di rumore in bassa frequenza(grazie alla presenza del filtro CR passa alto). In particolare esso rimuove le divergenze della densitaspettrale di rumore osservata all’uscita del PA. Da questo punto di vista sembrerebbe addiritturavantaggioso impiegare un filtro caratterizzato dall’avere una τ la piu piccola possibile; come accen-nato precedentemente questa soluzione avrebbe anche il vantaggio di ridurre il tempo di accupazionedella linea di base da parte del segnale e quindi abbattere la probabilita di impilamento dei segnalinel caso di alti ritmi di arrivo di particelle sul rivelatore. Si ricorda pero che la diminuzione di τ com-porta sı uno spostamento verso l’alto della frequenza centrale del filtro e quindi un maggior rifiutodella basse frequenze, ma comporta anche un allargamento della banda accettata (si ricordi che la27) insegna che la larghezza cresce come la frequenza di centro banda): per evitare il contributo dellebasse frequenze si e cioe costretti ad aumentare quello delle alte. In Fig.16 sono disegnati, sovrap-posti allo spettro di potenza in uscita del preamplificatore, gli andamenti di due filtri passa banda,caratterizzati da frequenze di centro banda che differiscono di un fattore 10. L’asse lineare dellepulsazioni (parte a), permette di apprezzare il sensibile allargamento delle larghezze, all’aumentaredella pulsazione centrale. Esiste, come vedremo fra poco, un valore ottimale per τ , ovvero quelloper cui e massimo il rapporto segnale/rumore.

Per affrontare il problema dell’ottimizzazione del rapporto segnale/rumore bisogna innanzituttodefinire completamente il metodo di misura della grandezza cui siamo interessati, compresi gli ul-teriori interventi in banda passante che il metodo di misura eventualmente comporta. Abbiamovisto che nel nostro caso la quantita di interesse e la carica Qs: essa si determina –dopo opportunataratura– in base alla misura del massimo del segnale all’uscita dello shaper, che sappiamo valere, aparte il banale fattore moltiplicativo G che abbiamo deciso di ignorare:

V MOSH =

Qs

Cf · e(VII.44)

con e base dei logaritmi neperiani. In presenza di rumore con la densita spettrale definita dalla43) la conversione del massimo da parte dell’ADC di picco subisce una dispersione. Nella Fig.18 lacurva continua rappresenta il segnale in presenza di rumore, mentre la curva punteggiata raffigurala risposta ideale, in assenza di rumore; ∆VM rappresenta la differenza fra il valore vero e quello cheverra registrato dal convertitore.

Fig.VII.18Ammettendo che il sistema mantenga il comportamento lineare ipotizzato, le fluttuazioni (e quindi

Page 89: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VII, § 7] 87

la varianza) che si hanno nella determinazione del massimo (nella ipotesi di segnale, ovvero di caricaQs costante) saranno le stesse che si otterebbero misurando la linea di base (cioe il solo rumore).Poiche inoltre gli ADC di picco che vengono normalmente utilizzati in questo tipo di misure possonoessere considerati ideali quanto a banda passante, ovvero non introducono ulteriori tagli in frequenza,possiamo valutare la varianza sulla misura del massimo semplicemente integrando la densita spettraledi rumore all’uscita dello shaper su tutta la banda:

σ2(vOSH) =∫ ∞

0

wtotOSH dν =

∫ ∞

0

ω2τ2

(1 + ω2τ2)2(a

ω2 + b) dν =

=aτ

∫ ∞

0

d(ωτ)(1 + ω2τ2)2

+b

2πτ

∫ ∞

0

ω2τ2

(1 + ω2τ2)2d(ωτ)

(VII.45)

I due integrali hanno lo stesso valore:∫ ∞

0

1(1 + ω2τ2)2

d(ωτ) =∫ ∞

0

ω2τ2

(1 + ω2τ2)2d(ωτ) =

π

4(VII.46)

Quindi finalmente otteniamo:

σ2(vOSH) =a

8τ +

b

8τ(VII.47)

Si noti che la 47) presenta un minimo in funzione di τ . Sperimentalmente la valutazione di σ2(vOSH)si fa in genere proprio osservando la distribuzione delle ampiezze (dei massimi) in corrispondenzadi segnali di particelle monocromatiche che depositano tutte la stessa energia nel rivelatore e mis-urandone la larghezza. La distribuzione, in assenza di ulteriori effetti spuri, quali oscillazioni dovutea disturbi a 50 Hz o a radiofrequenze, appare gaussiana e la standard deviation della gaussiana eproprio la radice della 47). In pratica la larghezza osservata con questa tecnica soffre di allargamentidovuti anche al meccanismo di rivelazione, che nulla hanno a che vedere col rumore elettronico; per-tanto, se interessa la determinazione del solo contributo elettronico, si procede in maniera diversa,precisamente inserendo all’ingresso del preamplificatore impulsi che simulano particelle monocro-matiche e poi procedendo come sopra.Come gia anticipato, la dipedenza funzionale della 47) dalla costante di tempo τ , suggerisce imme-diatamente l’esistenza di un valore ottimale che massimizza il rapporto segnale/rumore. Poiche il

segnaleQs

Cf · enon dipende da τ , il rapporto segnale/rumore si massimizza semplicemente minimiz-

zando la 47); non sempre la procedura e cosı semplice; altre formazioni del segnale danno risposteinfluenzate dai dettagli dei parametri introdotti. Il guadagno G e al solito ignorato, perche essoinfluenzerebbe allo stesso modo segnale e rumore, comparendo esso nella funzione di trasferimentodel formatore.Minimizzando la 47) rispetto a τ si trova il valore ottimale τopt per la costante di tempo di formazione:

τopt =

√b

a(VII.48)

Riprendiamo le espressioni per a e b date dalle 42), che riportiamo qui per comodita:

a = (2qIB +4kTRB

+4kTRf

+ 2qIFet)/C2f (VII.49a)

e

b =2.7kTgm

(ΣC)2

C2f

(VII.49b)

Gabriele Pasquali
Gabriele Pasquali
Gabriele Pasquali
è il valore per cui i due addendi della VII.47 sono uguali
Page 90: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

88 [Cap. VII, § 7]

Usando dei valori realistici per le grandezze che entrano nelle 49), si trova tipicamente τopt ≈1 µs. Nella Fig.19 sono riportate le uscite dello shaper al primo dei due segnali mostrati nellaFig.17 b), per tre diversi valori della costante di tempo τ : 100 ns, 1 µs e 10 µs, nelle parti a),b) e c) rispettivamente. Le scale sono sempre le stesse per tutti e tre gli andamenti riportati. Sinotino le diverse durate dei segnali e il diverso rapporto segnale/disturbo. Quest’ultimo aspetto sipercepisce ancora meglio nella Fig.20, dove la scala verticale e espansa di un fattore 10 e quellaorizzontale abbraccia un intervallo piu ampio. Manifestamente la situazione ottimale e proprioquella che corrisponde alla costante di tempo di formazione di 1 µs. Al lettore attento non sarasfuggito nella Fig.20 b) e c) la presenza di un riattraversamento da parte del segnale dello zeroprima del recupero definitivo della linea di base; questo comportamento e dovuto al fatto che lasimulazione, come anticipato durante la illustrazione della Fig.17, ha ammesso per l’uscita del PAun decadimento esponenziale con τf = 100 µs ed ha coerentemente calcolato il segnale di uscita delloshaper. Si osservi che i tempi di formazione piu lunghi sono piu sensibili all’effetto e si sappia che essoe facilmente correggibile tramite la cosidetta compensazione “polo-zero”, che pero non discuteremo.

Fig.VII.19

Page 91: G. Poggi - Appunti sul rumore elettronico

[Cap. VII, § 7] 89

Fig.VII.20

Ovviamente esistono situazioni di lavoro dei rivelatori per le quali il valore ottimale di τ sidiscosta anche molto da quello tipico: in particolare, se la corrente di buio IB del rivelatore e par-ticolarmente alta, la prescrizione 48) suggerisce l’utilizzo –a parita di altri parametri– di costanti ditempo piu brevi, mentre l’impiego di rivelatori ad alta capacita CD richiede, a parita di tutto il resto,l’allungamento delle costanti di tempo. Nei due casi considerati sappiamo infatti che l’aumento dellacorrente di buio provoca l’aumento del rumore in bassa frequenza e costringe ad spostare verso lealte frequenze il centro banda e che l’opposto accade (cioe aumenta il rumore in alta frequenza)quando aumentano le capacita ΣC in ingresso.Prima di affrontare nel paragrafo successivo alcuni altri aspetti legati al rapporto segnale/rumore,vorremmo spendere una parola per rimuovere un equivoco nel quale si corre il rischio di cadere:

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90 [Cap. VII, § 8]

si sente talvolta dire –propriamente– che, a parita di tutti gli altri parametri, l’utilizzo di un ri-velatore ad alta capacita peggiora il rapporto segnale/disturbo. Altre volte invece si sente parlare–impropriamente– di rumore “dovuto alla capacita del rivelatore”. Questa ultima affermazione, senon errata, e perlomeno fuorviante perche suggerisce che la capacita sia l’origine del rumore, chee ovviamente falso: come abbiamo visto la sorgente del rumore in questione e il rumore serie deldispositivo elettronico in ingresso (il JFET, tipicamente) che ha un effetto crescente con le capacitain ingresso al dispositivo, fra cui spesso preponderante quella del rivelatore.

8.– Considerazioni ulteriori sul rumore della catena

Le espressioni 49) per a e b dicono alcune cose ovvie ed altre assai meno, che meritano unabreve discussione: la parte ovvia e che operare a temperatura ridotta, a parte le complicazioniche ne derivano, e utile per ridurre tutti quei contributi di origine –appunto– termica. Allo scopo,talvolta il JFET di ingresso e separato dal resto del preamplificatore, collocato in prossimita delrivelatore e posto a temperatura notevolmente ridotta (non conviene ridurre eccessivamente la tem-peratura perche la conseguente riduzione della mobilita dei portatori di carica nei semiconduttoricompromette il funzionamento del dispositivo). Talvolta si provvede anche a raffreddare le resistenzeRB e Rf . Altrettanto banale e la considerazione sulle correnti di fuga che devono essere le piu piccolepossibile (anche in questi casi il raffreddamento puo essere benefico).Meno banali sono le considerazioni che si possono fare sulla parte di rumore serie del JFET (a partel’aspetto della temperatura, gia affrontato). La formula 49b) suggerisce che conviene minimizzareΣC: la parte CD che deriva dal rivelatore normalmente non si puo considerare come un parametroda variare a piacere, ma deve essere piuttosto considerata come un dato di fatto. Infatti la ca-pacita del rivelatore CD sara senz’altro minimizzata contropolarizzando il rivelatore fino al massimosvuotamento possibile, ma per il resto (superficie del rivelatore) ci teniamo la capacita che il rive-latore possiede e che sara presumibilmente dettata dalla efficienza geometrica che il rivelatore devepossedere per soddisfare le esigenze del nostro esperimento. A ΣC contribuisce anche CP in cuila parte dovuta alla capacita verso massa del gate del JFET e spesso dominante. Pertanto sembraovvio che la migliore scelta per ridurre b sia quella di cercare il JFET con la minima CP e la massimatransconduttanza gm. La ricetta, cosı lapalissiana, purtroppo non funziona quasi per nulla, perchedi fatto le due richieste sono conflittuali: infatti invariabilmente accade che un JFET con piccolacapacita Cg = Cgs + Cgd abbia anche piccola transconduttanza gm e viceversa. In altre parole, ilprocesso costruttivo dei JFET intrinsecamente fornisce dispositivi con un rapporto Cg/gm pratica-mente costante. Questo significa, un po’ semplicisticamente ma non troppo, che occorre innanzituttoindividuare un costruttore di JFET che abbia effettivamente ottimizzato il processo che garantiscala minimizzazione del rapporto Cg/gm e selezionare eventualmente i JFET migliori da questo puntodi vista; quindi, sopratutto nel caso in cui la capacita CD sia grande rispetto alla capacita Cg delsingolo JFET, si possono aggiungere altri JFET in parallelo. L’effetto risulta benefico perche unparallelo di JFET e equivalente ad un unico JFET con transconduttanza pari alla somma delletransconduttanze, capacita di ingresso pari alla somma delle capacita e densita spettrale di rumoreserie uguale. Finche la somma delle capacita non supera il termine fisso CD + Cf otteniamo solovantaggi (il denominatore di b della 49b) aumenta piu di quanto faccia il numeratore). E’ semplice

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[Cap. VII, § 10] 91

convincersi che si smette di avere vantaggio quando il parallelo dei JFET presenta una capacitacomplessiva pari a quella CD + Cf .

Come abbiamo gia sottolineato precedentemente, in questa trattazione non abbiamo consideratoaltre sorgenti di rumore oltre a quelle di tipo granulare e termica. Sappiamo viceversa che, almenoper quanto riguarda il rumore parallelo nel JFET, ovvero la parte di generatore di corrente, esiste unsignificativo contributo di rumore 1/f . Nella selezione del JFET di ingresso occorrera tener contoanche di questo fatto, esaminando attentamente le caratteristiche che il costruttore ci fornira inproposito.

9.– Il rumore espresso in unita di interesse fisico

Abbiamo gia detto che molte delle applicazioni dei rivelatori al Silicio e della catena di misuradel tipo appena descritto riguardano la misura dell’energia depositata dalle particelle nei rivelatori.In questa prospettiva vale quindi la pena di valutare il tipo di precisione nella misura di energia chesi puo ottenere con la strumentazione descritta.Il primo passo e quello di conoscere il legame che intercorre fra l’energia depositata in un Silicioda una radiazione ionizzante (sperando che non dipenda dal tipo di radiazione) e la quantita dicarica che in esso viene liberata. Sperimentalmente e noto che per ogni legame covalente rotto nelSilicio, la radiazione ionizzante deve aver deposto, in media, circa 3.6 eV di energia; si osservi chetale energia e circa 3 volte superiore all’energia di legame elettrone-lacuna nel Silico: cio significache solo una frazione dell’ordine di un terzo di tutta l’energia depositata finisce in ionizzazione.L’altro fatto sperimentalmente ben accertato e che tale coefficiente e largamenete indipendente daltipo di radiazione γ, β, α o particelle subnucleari che hanno colpito il rivelatore; si hanno deviazionisignificative, nel senso di una ulteriore riduzione dell’efficienza di conversione energia-carica, solo pernuclei molto pesanti e relativamente poco energetici che hanno densita di ionizzazone particolarmenteelevate. A questo punto possiamo valutare, sulla base del rumore tipico di una catena elettronicadi misura, qual e la minima carica che si riesce a misurare e poi passare, tramite il coefficienteε = 3.6 eV/coppia alla determinazione della corrispondente energia.Se consideriamo come minima carica misurabile Qmin

s quella che in uscita fornisce un segnale conuna ampiezza corrispondente a 3 volte la σ del rumore, utilizzando la 44) e la 47), otteniamo:

Qmins = 3 · Cf · e

√a

8τ +

b

8τ(VII.50)

Il risultato, tenendo conto delle 49) non dipende da Cf , comune al segnale e al rumore. Adot-tando per i vari parametri che entrano nelle 49) dei valori tipici, ovvero: IB = 10 nA, IFet IB ,RB = 10 MΩ, Rf RB , ΣC = 100 pF , gm = 30 mAV −1 e τ = 1 µs otteniamo:

Qsmin ≈ 1.7 103q (VII.51)

dove q rappresenta la carica dell’elettrone. Il sistema, in altri termini ha una sensibilita tale damisurare una energia depositata di circa

Emin ≈ 1.7 103q · 3.6eV/q ≈ 6 keV

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92 [Cap. VII, § 10]

Invece di esprimere questo risultato in termini di energia minima rivelabile, si puo dire equiva-lentemente che per effetto del rumore elettronico, qualunque energia depositata nel Silicio da unaparticella ionizzante, ha una σ associata dell’ordine di 2 keV . Questo limite va considerato piu chealtro come indicativo in quanto con particolari accorgimenti, alcuni dei quali esposti nel paragrafoprecedente, si riescono ad ottenere anche dei valori significativamente migliori.

10.– Il calcolo nel dominio del tempo

Vogliamo ora far vedere come, a causa del fatto che tutte le sorgenti di rumore del nostrosistema in studio sono a spettro bianco (onestamente: avendo ipotizzato ...), sia abbastanza semplicecalcolare la varianza totale all’uscita del formatore nel dominio del tempo, utilizzando il Teorema diCampbell (seconda parte, formula III.35 e III.36). Infatti, l’ipotesi che le sorgenti di rumore siano odi tipo granulare o termico corrisponde ad assumere che nelle sorgenti considerate gli impulsi dellesequenze siano tutti uguali e δ−formi. Allora possiamo applicare la III.36 ed essa ci dice che, perogni sorgente di rumore caratterizzata da una sequenza di impulsi δ−formi con area individuale qe ritmo di ripetizione medio ν, in un qualunque ramo della rete per il quale la funzione di rispostarispetto al ramo (o nodo) dove origina il rumore considerato sia φ(t), si ha una varianza totale datada:

σ2 = q2ν

∫ ∞

−∞φ2(t) dt (VII.53)

Prima di procedere, vediamo come sia possibile porre la 53) in una forma ancor piu sempliceper i calcoli che dobbiamo svolgere. Notiamo intanto che per il rumore shot vale

qν = I (VII.54)

e quindi

σ2shot = qI

∫ ∞

−∞φ2(t) dt (VII.55)

Riprendendo la deduzione del rumore termico del Cap.V, §.5, troviamo che in quel caso: q =eλ

L,

ν =N

θe quindi q2ν =

2kTR

e pertanto:

σ2i−Johnson =

2kTR

∫ ∞

−∞φ2(t) dt (VII.56)

Le relazioni di sopra sono state dedotte assumendo sequenze di corrente, ma la matematica noncambia se esaminiamo impulsi di tensione; questo significa che, ad esempio, se avessimo esaminatoil rumore Johnson in termini di impulsi elementari di tensione, avremmo ottenuto

σ2v−Johnson = 2kTR

∫ ∞

−∞ψ2(t) dt (VII.57)

dove ψ(t) rappresenta la funzione di risposta agli impulsi di tensione.Nelle formule 55), 56) e 57) la varianza calcolata e quella che corriponde al tipo di grandezza misuratain uscita, corrente o tensione. Si sara notato che i fattori numerici a moltiplicare l’integrale nientealtro sono che meta delle densita spettrali di rumore delle sorgenti originarie; infatti al risultato

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[Cap. VII, § 10] 93

espresso dalle 55), 56) e 57) si poteva anche giungere applicando il teorema di Parseval alle espressionidelle varianze in uscita calcolate nel dominio delle frequenze, sfruttando la indipendenza degli spettridi potenza dalla frequenza (wor rappresenta lo spettro di potenza “originario” delle sorgenti primariedi rumore bianco):

σ2 =∫ ∞

0

w dν =∫ ∞

0

wor|A|2 dν =wor

2

∫ ∞

−∞|A|2 dν =

wor

2

∫ ∞

−∞φ2(t) dt (VII.57)

in quanto la funzione di risposta coincide con FT−1 della funzione di trasferimento A.Venendo quindi al nostro caso della catena elettronica di misura della carica, per quanto riguardatutti i contributi di rumore riconducibili a generatori di rumore in corrente all’ingresso nella stessaconfigurazione circuitale del generatore di segnale, il calcolo e gia tutto impostato. Infatti la funzionedi risposta in tensione all’uscita dello shaper, ovvero la risposta alla δ(t) di corrente all’ingresso delpreamplificatore, e gia stata calcolata (vedi 20)):

φiv(t) =t

Cf · τe−t/τ ∀ t ≥ 0 (VII.58)

Pertanto, per quanto riguarda la varianza associata ai generatori di corrente di rumore all’ingressodella massa virtuale, abbiamo:

σ2i (vOSH) =

12(2qIB + 2qIFet +

4kTRB

+4kTRf

)∫ ∞

0

(t

Cf · τe−t/τ )2 dt (VII.59)

Essendo ∫ ∞

0

x2 e−x dx = 2 (VII.60)

abbiamo:σ2

i (vOSH) =aτ

8(VII.61)

dove, come sopra, a = (2qIB + 2qIFet +4kTRB

+4kTRf

)/C2f .

Quanto al secondo termine occorre calcolare la funzione di trasferimento φvv(t) del formatore,in risposta alla δ(t) inviata dal generatore del rumore serie della Fig.15. Per determinare φvv(t)possiamo procedere in vari modi: uno potrebbe essere quello di applicare la FT−1 alla funzione ditrasferimento fra la δ(t) generata la dove opera il generatore di rumore serie e l’uscita dello shaper,che conosciamo. Noi seguiremo una procedura differente, un po’ meno formale: sappiamo che latensione di uscita del preamplificatore riproduce, istante per istante, il segnale del generatore di

rumore serie (la funzione di trasferimento e reale e pari al rapporto dell capacitaΣCCf

(vedi 40)).

Quindi l’uscita del preamplificatore in risposta alla δ(t) nel generatore serie vale:

vδOSH =

ΣCCf

δ(t) (VII.62)

Si tratta ora di calcolare la risposta dello shaper alla δ(t) al suo ingresso. Questo risultato e presto

ottenuto notando che la funzione di risposta φiv(t) =t

Cf · τe−t/τ ∀ t ≥ 0 corrisponde alla risposta

dello shaper ad una funzione a gradino al suo ingresso: infatti la risposta del preamplificatore allacorrente di segnale in ingresso (anch’essa una δ(t), per l’appunto) e la funzione a gradino. Ora,essendo la δ(t) rappresentabile come la derivata della funzione gradino ed essendo il sistema lineare,la φvv, funzione di risposta alla δ(t) in ingresso allo shaper si puo ottenere semplicemente derivando

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94 [Cap. VII, § 10]

la φiv(t) (e ovviamente risistemando le costanti).Pertanto, essendo

φiv(t) =t

Cf · τe−t/τ ∀ t ≥ 0 (VII.63)

la risposta al gradino di ampiezza 1/Cf , otteniamo

φvv(t) = ΣC · dφiv(t)dt

=ΣCCf

(1− t

τ) e−t/τ ∀ t ≥ 0 (VII.64)

A questo punto non resta che calcolare

σ2v(vOSH) =

2.7kT2gm

∫ ∞

−∞φ2

vv(t) dt (VII.65)

Sostituendo la 64) nella 65) e calcolando l’integrale si ottiene:

σ2v(vOSH) =

2.7kT8gm

(ΣC)2

C2f

=b

8τ(VII.66)

dove, come prima, b =2.7kTgm

(ΣC)2

C2f

.

La varianza totale su vOSH , data dalla somma della 61) e della 66) restituisce allora il risultato47), ottenuto svolgendo i calcoli nel dominio delle frequenze.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.VII

Firenze, 11 maggio 2006

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VIII

I DISCRIMINATORI A FRAZIONE COSTANTE

1.– La determinazione di marche di tempo o del “timing”

Esistono numerosi esempi in fisica nei quali ha interesse conoscere l’istante di tempo in cui uncerto evento si e verificato. Va da se che la misura, in generale, deve essere fatta con una precisioneadeguata allo scopo che ci prefiggiamo. Tali misure di tempo quasi sempre hanno un interesse perpoter determinare poi differenze di tempo. Possiamo per esempio immaginare la misura della velocitamedia di una sferetta che rotola lungo un piano inclinato (ottenuta dalla conoscenza della differenzadei tempi di passaggio fra due fotocelle poste a distanza nota), oppure la misura della velocita mediadi una particella che ha attraversato in successione due rivelatori, pure posti a distanza nota, oppurela misura della differenza di tempo fra l’istante in cui una particella instabile penetra e si ferma inun rivelatore e l’istante in cui essa decade. Tutti questi processi producono, o nelle cellule fotoelet-triche posto lungo il piano inclinato o nei rivelatori di particelle predisposti all’uopo, dei segnalielettrici che opportunamente trattati devono fornire l’informazione alla quale siamo interessati. Letecniche che consistono nell’estrarre dai segnali detti un’informazione riguardante l’istante di tempoin cui l’evento si e prodotto vanno genericamente sotto il nome di timing, con una corrispondenteespressione italiana di temporizzazione per la verita molto poco usata.Consideriamo l’ultimo dei casi considerati che sperimentalmente e sufficientemente articolato damettere in evidenza i vari aspetti associati alla soluzione del problema; oltretutto e chiaro che ilnostro interesse va verso l’illustrazione delle tecniche piu sofisticate, ovvero quelle che consentonomisure di intervalli di tempo anche inferiori al ns.Facciamo inizialmente l’ipotesi che il segnale associato alla rivelazione della particella che arriva sulrivelatore, alla fine della catena di misura ad esso associata, abbia un andamento del tipo rappre-sentato nella Fig.1:

t

t0i(t)

Fig.VIII.1

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96 [Cap. VIII, § 1]

Per essere concreti ammettiamo che il segnale i(t) sia la corrente di anodo di un fotomoltiplicatore(PMT , PhotoMultiplier Tube) accoppiato otticamente al rivelatore a scintillazione che viene colpitodalla particella. L’andamento riportato nella Fig.1 e determinato, almeno per la prima parte (frontedi salita del segnale), quella piu rapida, dal tempo di risposta del PMT che puo essere di pochi ns eper la seconda parte dal tempo di decadimento della fluorescenza dello scintillatore; a seconda degliscintillatori impiegati si possono avere delle costanti di tempo di decadimento della fluorescenza daalcuni ns ad alcuni µs. Ripensando all’esempio del capitolo precedente, il segnale della Fig.1 puoanche rappresentare abbastanza fedelmente l’uscita del preamplificatore accoppiato ad un rivelatoreal Silicio.Supponiamo ora che il decadimento della particella che si e arrestata nello scintillatore avvengatramite l’emissione di almeno una particella carica, la quale produce allora nel rivelatore una secon-da scintillazione, che a sua volta produce un secondo segnale di corrente all’uscita del PMT . Questosegnale e del tutto simile al primo, in particolare avra la stessa forma. Supponiamo anche per ilmomento, salvo abbandonare presto questa ipotesi veramente poco realistica, che i due segnali di“arrivo” della particella e di “decadimento” abbiano anche la stessa ampiezza, cioe siano identici.Ammettiamo anche che l’uscita del PMT sia esente da rumore. In queste ipotesi, vergognosamentesemplificative, la informazione sull’istante di arrivo della particella e sull’istante del suo decadimentosi potrebbero ottenere semplicemente inviando la corrente i(t) all’ingresso di un discriminatore (conresistenza di ingresso di 50 Ω, per assicurare la terminazione al cavo che trasmette il segnale) conuna soglia di discriminazione posta ad un un valore negativo, piccolo quanto si vuole. Il discrimina-tore al passaggio della soglia, quindi appena il segnale inizia a discostarsi dallo 0, produce in uscitaun segnale logico vero “1” la cui transizione dallo stato “0” allo stato “1” e contemporanea alla“nascita” del segnale e costituisce quindi il nostro segnale di timing. Il ritorno del segnale logico(che supponiamo sia in logica negativa) allo stato falso “0” avviene dopo un tempo che possiamoimpostare secondo la nostra convenienza e che, in prima approssimazione, non e di alcun interesse.Nella Fig.2 riportiamo con lo stesso asse dei tempi le tensioni all’uscita del PMT e l’uscita delcomparatore al cui ingresso il segnale viene applicato.

UC

t0

tdta

i(t)

t

tarrivo della particella decadimento

"0"

"1"

Fig.VIII.2Si ammette che i fronti dei segnali logici, ed in particolare quello di interesse 0 → 1, siano estrema-mente brevi. In questo schema la differenza fra l’istante della transizione 0 → 1 dell’uscita deldiscriminatore in risposta all’arrivo della particella e quello in risposta al suo decadimento dannoproprio la differenza di tempo fra gli istanti del processo fisico ai quali siamo interessati. In pra-

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[Cap. VIII, § 2] 97

tica la transizione 0 → 1 del primo segnale logico da lo start ad un convertitore Tempo-Ampiezzae il secondo da lo stop al medesimo dispositivo. Il convertitore Tempo-Ampiezza agisce come uncronometro e fornisce all’utente la differenza di tempo come segnale analogico di tensione.L’utilizzo nel comparatore di una soglia estremamente “bassa” e fondamentale per non introdurreritardo fra l’istante in cui “nasce” l’evento che produce il segnale di anodo e quello in cui l’uscita delcomparatore compie la transizione 0 → 1 o –come si dice– il comparatore scatta. La soglia infinite-simamente bassa permette al sistema di funzionare correttamente anche quando i segnali avesseroampiezze diverse: lo scatto del comparatore avverrebbe non appena il segnale si discostasse da zero(ed avesse derivata negativa).Rilasciamo ora l’ipotesi –per altro insostenibile– che non esista rumore all’uscita di anodo del PMT .La presenza di un rumore non nullo, dovuta principalmente ai termoelettroni emessi con tempi acaso dal fotocatodo e che producono sequenze di impulsi a caso all’uscita di anodo, ognuno ampio al-cuni mV su 50 Ω, impedisce di collocare la soglia del discriminatore bassa come abbiamo ipotizzato.Infatti, se lo facessimo, il discriminatore “scatterebbe sul rumore”, ovvero produrebbe un’uscitalogica ad ogni arrivo di termoelettrone; a parte lo scarso nostro interesse per queste uscite, il veroproblema sarebbe che tale modo di funzionare di fatto impedirebbe di compiere misure corrette erenderebbe praticamente impossibile distinguere le transizioni alle quali siamo interessati da quelle(la maggioranza) dovute al rumore. La presenza del rumore ci forza quindi a posizionare la sogliaad un valore significativamente diverso da 0, comunque in valore assoluto superiore alle “creste” dirumore che nel caso specifico significa l’ampiezza dei segnali dei termoelettroni (vedi Fig.3).

2.– La tecnica Leading Edge

La tecnica di timing appena detta, ovvero la creazione di un segnale logico associata al passaggiodi una soglia da parte del primo fronte del segnale e detta di Leading Edge (LE). L’ampiezza finitadella soglia porta ad un ritardo sistematico (vedi Fig.3) fra l’istante ta in cui l’uscita del comparatorescatta e l’istante di “vero” inizio del segnale t0.

UC

t0

t0

ta

i(t)soglia V

T

t

t

walk

Fig.VIII.3Tuttavia, se il segnale di decadimento avesse esattamente la stessa ampiezza e forma del primo, la

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98 [Cap. VIII, § 2]

differenza fra i fronti 0 → 1 delle uscite del comparatore sarebbe esente da errori sistematici. Seviceversa le ampiezze dei segnali cambiano di volta in volta, cambiano anche di volta in volta i ritardiintrodotti dalla tecnica LE (essi aumentano al diminuire dell’ampiezza dei segnali) e le differenze ditempo fra le transizioni 0 → 1 dei segnali logici non riproducono piu le corrette differenze di tempo.Si osservi che un segnale cosı poco ampio da essere inferiore al valore della soglia non produce loscatto del comparatore e che un segnale con ampiezza pari al valore di soglia produce un timingritardato rispetto al valore corretto (inizio del segnale) dell’intervallo di tempo che intercorre fra lapartenza del segnale e il raggiungimento del massimo.La dipendenza del timing dall’ampiezza del segnale e detta, con locuzione pregnante, walk (vediFig.3). Sinteticamente, indulgendo sicuramente a qualche inglesismo di troppo, la tecnica di timingbasata sul leading edge presenta un sensibile effetto di walk.Non basta: la Fig.3 e fortemente irrealistica. Infatti il rumore e sempre presente e in particolarei termoelettroni non si fanno scrupolo ad abbandonare il fotocatodo quando avviene la rivelazionedella particella. Pertanto una piu corretta rappresentazione dell’uscita di anodo e suggerita dallaFig.4, dove anche il segnale, non solo la linea di base, e “corrugato” dal rumore *.

UC

t0

t0

ta

i(t)soglia V

T

t

t

jitter

Fig.VIII.4

Si noti che i fronti dell’uscita UC del comparatore sono disegnati sfumati, a ricordarci che lapresenza del rumore sovraimposto al segnale, fa sı che anche segnali identici, combinandosi diver-samente col rumore, diano luogo a istanti di passaggio della soglia (e quindi a transizioni 0 → 1 diUC) differenti. Questo effetto, cioe della fluttuazione statistica del timing dovuta alla presenza delrumore, e detto jitter. E’ ovvio che il jitter e tanto maggiore, a parita di ampiezza di segnale, quantomaggiore e il rumore e, a parita di rumore, quanto piu piccola e l’ampiezza del segnale: infatti aparita di forma e con segnali che crescono linearmente col tempo, segnali piu piccoli hanno pendenzein valore assoluto inferiori e la stessa “increspatura” sul segnale induce una variabilita maggiore nelpassaggio di soglia.

* A volere essere pignoli, se il PMT e raffreddato cosı da avere una emissione termoionica vera-mente contenuta, il ritmo di produzione dei termoelettroni puo essere talmente basso che la proba-bilita che essi si impilino sul segnale sia irrelevante e allora una tecnica di timing con soglia bassissimafunziona davvero bene.

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[Cap. VIII, § 3] 99

Il jitter rappresenta un errore di tipo casuale sul timing, mentre lo walk rappresenta un errore ditipo sistematico.A questo punto vale la pena di rimarcare che stiamo assumendo che i segnali abbiano tutti la stessaforma, ovvero che segnali diversi fra loro differiscano unicamente per un fattore di scala sull’ampiezza.In particolare cio implica che, dato un segnale qualsiasi, il suo massimo (o una qualunque frazioneprefissata di esso) viene raggiunto sempre dopo lo stesso tempo a partire dall’inizio del segnale stesso.Questa ipotesi e coerente col fatto che il sistema di rivelazione abbia un comportamento lineare eche le varie eccitazioni (fluorescenza indotta dal passaggio delle particelle attraverso lo scintillatoreo dal loro decadimento, quindi segnali prodotti da altre particelle) possano differire fra loro solo perampiezza e non per forma. La realta dei fatti e tale per cui questo non e esattamente vero per tuttii rivelatori: comunque noi assumeremo, a meno che non sia detto esplicitamente il contrario, che leforme siano effettivamente sempre le stesse. Inoltre assumeremo che i segnali abbiano, almeno per ilprimo fronte, andamenti lineari in funzione del tempo. Questa e sicuramente una schematizzazionenon particolarmente realistica, perche qualunque segnale, essendo generato in un processo fisicoreale, parte sempre con derivata prima nulla e quindi assume inizialmente un andamento parabolico(ovviamente un andamento analogo si osserva quando esso raggiunge il massimo). Tuttavia, quelloche non e particolarmente irrealistico ipotizzare e che per tutti i segnali esista una zona, sufficiente-mente lontana dall’inizio del segnale e dal suo massimo, nella quale il segnale ha un andamento neltempo ben confondibile con quello di un segmento di retta.L’uguaglianza delle forme, al variare dell’ampiezza, ci suggerisce che una tecnica di timing esenteda walk consisterebbe nel produrre la transizione del segnale logico di timing in corrispondenza delpassaggio di una soglia che idealmente, per ogni segnale, si adeguasse ad una definita frazione del mas-simo, per esempio quando i segnali raggiungessero la meta della loro ampiezza finale. La creazionedi questa soglia “mobile” e effettivamente possibile e consiste nella realizzazione del cosidetto timinga “frazione costante” o Constant Fraction Timing.

3.– Il discriminatore a frazione costante

Consideriamo un segnale del tipo riportato in Fig.1, cioe con andamento iniziale lineare. In-dichiamo con TM il tempo di raggiungimento del massimo. Mediante la catena elettronica riportatain Fig.5 compiamo le seguenti operazioni (lineari) sul segnale:

t0

t0

1R

FV

t0

t0

DT

DT

/(R1+R

21F=R )

MT

R

T > TD M

VD

2 Σ +

+

Cc

U

t = t + T + F TZ 0 D M

tZ

Ro

2

Fig.VIII.5il segnale e innanzitutto diviso su rami; uno dei due rami presenta il segnale VF attenuato di un

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100 [Cap. VIII, § 3]

fattore F = R2/(R1 + R2) all’ingresso “+” dell’amplificatore-sommatore Σ; all’ingresso “-” del som-matore giunge l’altro segnale VD inalterato in ampiezza, ma ritardato –tramite linea di trasmissionechiusa sulla sua impedenza caratteristica– di un tempo TD appena superiore al tempo TM di rag-giungimento del massimo (che, si ricorda, e uguale per tutti i segnali). L’uscita del sommatore UΣ

e cosı costituita da un segnale bipolare che presenta sempre un passaggio del valore 0 V al tempotZ indipendente dal valore del massimo (vedi Fig.5):

tZ = t0 + TD + F · TM (VIII.1)

Se TD sopravanza significativamente TM , cosa che si cerca di evitare, allora la schematizzazionenon e piu corretta e in particolare cambia il tempo di passaggio dello 0.Se tutti i segnali vengono trattati con questa procedura, le corrispondenti uscite UΣ presentano unpassaggio del valore 0 ad un istante di tempo che ha un ritardo fisso, cioe uguale per tutti i segnali,rispetto alla loro origine. L’uscita UΣ viene pertanto inviata ad un comparatore con soglia posta a0 e quindi produce una transizione logica 0 → 1 al tempo tZ dato dalla 1).Un dispositivo che opera sul principio appena descritto, e detto “Discriminatore a frazione costante”o Constant Fraction Timing Discriminator (CFTD) e ha la caratteristica di essere, almeno per se-gnali fatti come abbiamo ipotizzato, esente da walk. La scelta della frazione F non provoca, nelleapprossimazioni di segnali con andamento lineare sul fronte di salita, alcun cambiamento significativo(si sposta per tutti i segnali tZ , ma per tutti allo stesso modo e lo walk resta assente). Ancora unavolta, le cose stanno in maniera leggermente diversa: occorre cioe tener conto dell’esistenza delrumore e del fatto che tipicamente, come gia detto, i segnali reali presentano all’inizio un andamentoalmeno parabolico (se non piu lento), poi tendono a linearizzarsi in funzione del tempo e quindi–raggiunta una pendenza massima– cominciano ad incurvarsi, rivolgendo la concavita dalla parteopposta, all’avvicinarsi del massimo. Ora, dalle considerazioni prima fatte riguardo al jitter, sap-piamo che esso, a parita di rumore, e minimo se il passaggio della soglia (in questo caso lo 0del segnale UΣ) avviene in corrispondenza della pendenza massima del segnale, ovvero nel flesso;pertanto il criterio normalmente adottato nella scelta di F e proprio di quello di selezionare lafrazione del segnale in cui esso presenta il flesso; di norma la zona del segnale con pendenza massimae sufficientemente ampia da non rendere criticissima la scelta di F .Con CFD aggiustati al meglio per quanto riguarda TD e F e utilizzati con segnali aventi tempi disalita di alcuni ns, si possono avere walk residui, dovuti alla non perfetta linearita degli andamentio uguaglianza delle forme, di assai meno di un decimo di ns. Le ottime caratteristiche in terminidi walk vanno presto perdute se i segnali non hanno tutti forme identiche. E’ facile vedere che ilsistema descritto presenta, ad esempio, una marcata dipendenza del tempo di passaggio di zero daltempo di salita: nella nostra schematizzazione di pendenza costante abbiamo visto che il tempo dipassaggio di zero tZ dipende proprio linearmente da TM .Alcuni rivelatori (per esempio i rivelatori a semiconduttore) presentano una piu o meno marcatadispersione di forme; diciamo, in prima approssimazione, che abbiamo diversi tipi di segnale che,oltre ad avere ampiezze diverse, presentano pendenze nella parte iniziale differenti (continuiamo adammettere andamenti lineari). Il motivo di questi diversi tempi di salita puo essere molteplice:puo essere la differente risposta del rivelatore alle diverse particelle o la differente penetrazionedi queste nel rivelatore, che comporta diversi tempi di raccolta delle cariche; non approfondiremoulteriormente la fisica di questo fenomeno, ma, stando “contenti al quia”, prendiamo atto della suaesistenza, sapendo tuttavia che esiste una variante del CFTD, detta ARC-CFTD per AmplitudeRisetime Compensated CFTD, che permette di rimediare al problema. Il metodo di compensazionesi basa su una procedura identica a quella descritta prima, eccezion fatta per il ritardo TD che ora

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[Cap. VIII, § 3] 101

deve essere inferiore al tempo TM del raggiungimento del massimo. Considerando in dettaglio ilsegnale somma abbiamo la situazione riportata nella Fig.6:

TD

−V

t

VV

t

F0

segnale somma per il comparatore

D

0

Z

Fig.VIII.6Imponendo che la somma −VD + VF sia nulla (la condizione per cui scatta il comparatore con lasoglia a 0), ovvero:

F · V0

TMtZ =

V0

TM(tZ − TD) (VIII.2)

otteniamo:tZ =

TD

1− F(VIII.3)

indipendente, come desiderato, sia dall’ampiezza che dal tempo di salita, ovvero, nella nostra schema-tizzazione, dal tempo di raggiungimento del massimo TM .Un’ultima considerazione per quanto riguarda il jitter : i metodi di discriminazione a frazionecostante, come abbiamo visto, si basano su una combinazione lineare del segnale a tempi diversi;pertanto il segnale utilizzato per il passaggio di zero ha sempre una varianza complessiva di rumoresuperiore a quella che possiede il segnale originario; ad essere precisi, nel fare questa affermazionedovremmo anche considerare la funzione di autocorrelazione dell’uscita sommata, ma assumiamoche la sua R(τ) sia differente da 0 solo su tempi molto minori di TD, per cui i due membri dellacombinazione lineare si possano considerare indipendenti. Pertanto le tecniche CFTD, pur essendoincomparabilmente superiori a quelle LE per quanto riguarda lo walk, sono ad esse inferiori perquanto attiene al jitter. La tecnica LE, usando il solo segnale originario, presenta la minima varian-za possibile nel timing.

G.Poggi: Appunti sul rumore elettrico; Cap.VIII

Firenze, 9 giugno 2006