G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

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Logica Matematica Corso A Corso di Laurea in Informatica Anno 2005-06

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Logica

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Logica MatematicaCorso A

Corso di Laurea in Informatica

Anno 2005-06

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Indice

Indice i

1 Introduzione 1

2 Dal linguaggio naturale alla logica 32.1 Predicati e relazioni 3

2.1.1 Termini 52.2 Connettivi 6

2.2.1 Esercizi 102.3 Variabili 122.4 Quantificatori 152.5 Esempi 18

2.5.1 dal linguaggio naturale 182.5.2 dalla matematica 22

2.6 Esercizi 27

3 Logica proposizionale 283.1 Sintassi 28

3.1.1 Il linguaggio proposizionale 293.1.2 Analisi sintattica 313.1.3 Esercizi 39

3.2 Semantica 413.2.1 Tavole di verita 423.2.2 Esercizi 443.2.3 Validita e conseguenza 453.2.4 Esercizi 50

3.3 Sull′implicazione 52

4 Insiemi e algebre di Boole 564.1 Algebra degli insiemi 57

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4.2 Algebre di Boole 674.2.1 Esercizi 70

4.3 Algebra delle proposizioni 714.4 Rapporti tra proposizioni e insiemi 76

5 Relazioni 815.1 Prodotto cartesiano 815.2 Relazioni 82

5.2.1 Esercizi 855.3 Relazioni d′ordine 865.4 Relazioni di equivalenza 905.5 Funzioni 93

6 Forme normali 976.1 Definibilita dei connettivi 97

6.1.1 Esercizi 996.2 Forme normali disgiuntive 1006.3 Forme normali congiuntive 1016.4 Esercizi 106

7 Alberi di refutazione 1087.1 Il metodo 1087.2 Correttezza e completezza 1157.3 Forme normali 1197.4 Esercizi 120

8 Linguaggi predicativi 122

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8.1 Alfabeto 1248.2 Termini e formule 1248.3 Variabili libere e vincolate 1288.4 Interpretazioni 1318.5 Esercizi 134

9 Leggi logiche 1369.1 Esercizi 1459.2 Quantificatori e dimostrazioni 145

10 Sillogismi 15510.1 Sillogismi categorici 15610.2 Diagrammi di Venn 165

11 Alberi di refutazione 17011.1 Regole per i quantificatori 170

11.1.1 Esercizi 17711.2 Applicazione ai sillogismi 177

11.2.1 Esercizi 180

12 Il principio di induzione 18112.1 I numeri naturali 18112.2 Il principio di induzione 18512.3 L′induzione empirica 19112.4 Il ragionamento induttivo 19512.5 Esercizi 19712.6 Definizioni ricorsive 200

12.6.1 Esercizi 20612.7 Il principio del minimo 20712.8 Varianti dell′induzione 21412.9 Errori e paradossi 21912.10 Definizioni induttive 221

12.10.1 Esercizi 229

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1 Introduzione

Lo scopo di questo corso e quello di rendere familiari con le forme di ragiona-mento tipiche degli argomenti matematici; in informatica in particolare inte-ressano soprattutto quelli che mirano a trovare la soluzione di un problema,a dimostrare che e una soluzione e a presentarla come un algoritmo.

Un algoritmo e un insieme articolato e connesso di istruzioni per risolvereun problema; gli algoritmi non sono scritti in un linguaggio di program-mazione, ma inizialmente nel linguaggio matematico o addirittura in quellonaturale, e in questo devono essere formulati e riconosciuti tali, prima che laloro descrizione guidi alla traduzione nei relativi programmi.

La maggior parte degli algoritmi che sostengono le prestazioni dei calcola-tori non sono numerici ma riguardano manipolazioni di simboli (ad esempiol’ordinamento di una lista, o la fusione di due liste in una), quindi la primaconsapevolezza - e competenza - da acquisire e che il linguaggio matematiconon e solo quello dei numeri, ma abbraccia qualsiasi argomento che si possariferire ad elementi strutturati.

I ragionamenti relativi devono avere ed hanno lo stesso rigore di quellinumerici, e si svolgono con l’ausilio di un simbolismo appropriato, che equello della logica matematica (= logica formale moderna).

In vista della precisione richiesta, che non ammette rilassamenti ne licen-ze, e bene realizzare che ogni ragionamento si puo rappresentare in formestandardizzate di passaggi, e imparare a farlo, usando regole logiche e laproprieta fondamentale dei numeri naturali che e il principio di induzione.

Il corso e l’equivalente di quelli che nelle universita americane si chiamanodi Introduction to Proofs , che contengono in genere anche elementi di ma-tematica discreta (strutture finite, combinatoria). Tali corsi sono concepiticome ponte tra la scuola secondaria e il college, rivolti a studenti che hannoappreso la matematica come un insieme di ricette e di calcoli, senza aver maiimparato a seguire e tanto meno a fare una dimostrazione. Soprattutto nonhanno coscienza del fatto che le dimostrazioni sono presenti ovunque, a laMoliere, in particolare ogni volta che si stabilisce in modo giusto e precisocosa fa e cosa deve fare un algoritmo.

Nella scuola italiana qualche esperienza con le dimostrazioni si acquisiscecon la geometria, ma limitatamente alle sue costruzioni, nulla relativamenteall’aritmetica o ad altre strutture simboliche e senza approfondire le ragio-ni di tale forma di ragionamento tipicamente matematica. Ne tale problemasara indagato in questo corso introduttivo: lo studio delle dimostrazioni e l’o-

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biettivo della familiarita con esse sono perseguiti qui non in vista di spiegareil senso dell’impostazione deduttiva delle teorie, ma solo per abituare a vede-re le connessioni tra i vari risultati, la loro mutua dipendenza e derivabilita,il che aiuta anche a ricordarli meglio.

Capire le dimostrazioni presuppone comunque la comprensione degli ar-gomenti trattati, e costituisce quindi un’occasione di ripasso di nozioni ele-mentari di aritmetica che sono alla base del pensiero informatico.

Nel testo, il segno !!! a margine segnala che si deve prestare particolareattenzione. !!!

Gli esercizi sono di due tipi; alcuni ripetitivi, per soddisfare le richieste distudenti che vogliono tanti esempi sui quali applicare le tecniche o verificarei concetti imparati; gli altri servono per approfondimento e non sono menoimportanti, anzi; tutti sono parte del programma.

I riferimenti in nota del tipo “Horstmann, p. 186 rimandano al testo delcorso di Programmazione C. S. Horstmann, Java 2 .

Le parti scritte in corpo minore sono letture con informazioni integrative.

Il segno 2 e usato per indicare la fine di una dimostrazione, al posto deltradizionale QED.

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2 Dal linguaggio naturale alla logica

La prima competenza che bisogna acquisire e quella della formalizzazione,ovvero della traduzione di frasi della lingua naturale o del gergo matematico- che e un misto di formule e di parole - in espressioni di un linguaggiosemplificato, schematico e dalla sintassi precisa.

Le frasi che si prendono in cosiderazione formano un sottoinsieme dellatotalita delle frasi. Non si considerano espressioni di interrogazione, esclama-zione o comando, ma solo frasi dichiarative. Ci si riduce, come primo livello disemplificazione, a frasi elementari che esprimono fatti, e a loro combinazionimediante particelle logiche.

Non si considerano inoltre frasi con indicatori di tempo e luogo (tempidei verbi, avverbi di tempo, luogo e modo).

La semplificazione e guidata dalla volonta di restringersi ad espressionimatematiche o comunque preparate alla loro traduzione in programmi (neilinguaggi imperativi si usano comandi, ma questi sono rivolti alla macchina,non costituiscono le frasi da elaborare).

Si devono evitare ambiguita e ridondanze, non per sfizio ma con l’obiettivodi capire e far emergere la struttura logica. Una frase come

La vecchia porta la sbarra

e ambigua perche non e chiara la sua struttura sintattica: se “vecchia” sia unaggettivo sostantivato o un aggettivo, se “porta” e “sbarra” siano sostantivi(nomi) o forme verbali.

Una frase come

Giovanni vede Mario che e malato e piange

e ambigua per ragioni di scansione, occorrono delimitatori come le virgole.

2.1 Predicati e relazioni

Le frasi elementari nel linguaggio naturale sono di diverso tipo, ma in tutte sipuo individuare un soggetto, un verbo e un complemento (eventualmente piusoggetti e piu complementi, o nessuno). I verbi possono essere intransitivi otransitivi, ed esprimere stati o azioni.

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Nella terminologia logica si introducono “predicati” (o “proprieta”) e “re-lazioni”; i primi corrispondono ai verbi intransitivi e alla copula “essere”, leseconde ai verbi transitivi.

Si dice che una proprieta e goduta da un soggetto, o che un soggetto hauna determinata proprieta o che soddisfa un predicato. Si dice anche cheuna proprieta e predicata di un soggetto, espressione dalla quale si vede ilcollegamento tra i due termini.

Con “la rosa e profumata” o “la rosa profuma” si esprime il fatto chela rosa ha una proprieta, quella di essere profumata. La frase “la rosa haprofumo” invece usa il verbo “avere”, che ha un soggetto e un complementooggetto; in logica si dice che sussiste una relazione tra la rosa e il profumo, oche rosa e profumo stanno in una relazione, che e la relazione di possesso.

Tutti i verbi si potrebbero standardizzare nella forma della attribuzionedi uno stato a uno o piu termini, e questo corrisponderebbe ad avere un so-lo verbo, la copula “essere”, nelle due versioni “essere qualcosa” per i verbiintransitivi e “essere nella relazione . . . con” per i verbi transitivi. Questoe il motivo per cui nella trattazione formale successiva (cap. 8) si usera ladizione unica “predicati” per proprieta e relazioni, distinguendo quelli a unargomento (proprieta) da quelli a piu argomenti (relazioni). Il “numero di ar-gomenti” e il numero di entita a cui si applica il predicato. Ma informalmentesi preferisce distinguere tra predicati in senso stretto (a un solo argomento),o predicati monadici, e relazioni (a piu argomenti).

La frase “Giovanni dorme” puo diventare “Giovanni ha la proprieta distare dormendo” (o “Giovanni e dormiente”, “Giovanni sta dormendo”, “Gio-vanni e nello stato di sonno”).

“Giovanni possiede un Piaggio 50” diventa “la relazione di possesso sussi-ste tra Giovanni e un Piaggio 50”, o meglio come vedremo “la relazione di pos-sesso sussiste tra Giovanni e una cosa, e questa cosa e un Piaggio 50”; “Gio-vanni ama Maria”, cosı come “Maria e amata da Giovanni”1, vuol dire chela relazione di amore sussiste tra Giovanni e Maria (ma non necessariamentetra Maria e Giovanni, perche la relazione di amore non e simmetrica).

Le frasi matematiche elementari, uguaglianze e disuguaglianze, “e ugualea”, “e minore di”, rientrano in questa tipologia. Cosı quelle insiemistiche con“appartiene a”, cioe “e un elemento di”.

1La distinzione tra forma attiva e passiva e inessenziale, salvo dal punto di vistapsicologico.

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Alcune frasi possono essere rese sia mediante relazioni che mediante pre-dicati; dipende da come si definiscono le relazioni e i predicati. In “Giovannie amico di Mario” si puo considerare la proprieta “essere amico di Mario” eattribuirla a Giovanni, oppure la relazione “essere amico di” e affermare chesussiste tra Giovanni e Mario.

Non si puo dire che una sia giusta e l’altra no; dipende dal contesto; sedopo la prima osservazione si vuole aggiungere che Giovanni piange percheMario e malato, e bisogna quindi citare di nuovo Mario, si deve usare ilnome “Mario” e allora e meglio la versione relazionale, perche in quella con ilpredicato in nome “Mario” scompare, nella versione formalizzata, assorbitodal simbolo per il predicato: “essere amico di Mario” in quanto predicato,nell’analisi logica, e una unita linguistica non scomponibile, anche se espressain italiano da una successione di parole tra le quali compare “Mario”.

Le relazioni a due argomenti, come quelle viste negli esempi, si chiamanobinarie. Le relazioni non sono solo binarie: “il punto C giace tra A e B” eun esempio di una relazione ternaria, o tra tre termini.

2.1.1 Termini

I soggetti o gli oggetti, piu in generale i termini tra cui sussiste una relazione,sono indicati da vari costrutti linguistici. Il piu semplice e il nome proprio,come “Giovanni” e “Maria”. Gli altri sono le descrizioni e i nomi comuni.

In “Maria ama il padre di Giovanni”, “padre di Giovanni” e una descri-zione, ben precisa, di una persona. Analogamente “il quadrato di 2” e unadescrizione di un numero; entrambe le descrizioni sono ottenute applicandouna funzione2, nel primo caso “padre di” nel secondo “il quadrato di”, adescrizioni piu semplici, che in questi esempi sono nomi. Si possono daredescrizioni piu complesse, come “la madre del padre di Giovanni” o “menoil quadrato di 2”.

I nomi comuni richiedono una trattazione indiretta. Nella frase “Giovannipossiede un Piaggio 50”, il Piaggio 50 di Giovanni e uno di una categoria dicose simili; “Piaggio 50” non e un nome proprio, ma un nome comune; ein effetti un predicato, ragione della versione sopra proposta per la frase,che Giovanni possiede una cosa che ha la proprieta di essere un Piaggio 50.Questa frase non e piu tuttavia elementare, e in effetti la congiunzione di duefrasi: “Giovanni possiede una cosa” e “questa cosa e un Piaggio 50”.

2Preciseremo in seguito cosa sono le funzioni dal punto di vista matematico.

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Da questo esempio si vede la necessita di chiarire ancora almeno tre aspet-ti: come rendere “cosa”, come rendere la congiunzione delle due frasi, e comerendere “questa cosa”, che nella seconda frase stabilisce un collegamento conla prima.

2.2 Connettivi

Le particelle logiche della lingua italiana sono parole come “e”, “oppure”,“se” e altre, che collegano frasi di senso compiuto. Nella lingua italianaqueste parole da una parte sono polivalenti e ambigue, hanno diversi sensi- in generale discriminati dal contesto - e dall’altra si presentano in tanteversioni equivalenti.

La congiunzione “e” puo ad esempio essere resa da una virgola, da “eanche”, da “ma” e ancora altre espressioni. Il senso avversativo di “ma” euno degli aspetti che vengono lasciati cadere nel passaggio ad un linguaggioformalizzato, in quanto esprime un’aspettativa soggettiva. La congiunzionee resa anche da costrutti piu complicati, come “sia . . . sia”: “parto sia chepiova sia che faccia bel tempo” significa “se fa bel tempo parto, e se pioveparto”, magari con l’aggiunta di un “ugualmente” che di nuovo esprime unadeterminazione soggettiva.

La stessa congiunzione talvolta esprime qualcosa di piu o di diverso dallasemplice affermazione di entrambe le proposizioni congiunte; talvolta puosignificare “e poi”, come in “si sposarono e vissero felici”; talvolta significa“e quindi”, come in “si immerge una cartina di tornasole, e diventa rossa” (sequesta frase e intesa non come una descrizione di avvenimenti, nel qual caso“e” significa “e dopo”, ma come come una caratterizzazione di particolarisostanze).

La disgiunzione, “o” o “oppure”, talvolta ha un senso debole (“uno ol’altro o tutt’e due”), talvolta un senso esclusivo (“uno o l’altro ma non tutt’edue”). L’affermazione “piove o c’e il sole” e compatibile con la situazione incui piove da una nuvola anche se c’e il sole. Il latino aveva due parole diversevel e aut , ma la distinzione non e rimasta nelle lingue moderne. La differenzaqualche volta e espressa dalla semplice ripetizione di “o” (“o piove o c’e ilsole”) ma piu spesso dall’enfasi della pronuncia; il tono e il contesto devonoessere tenuti presenti per capire il significato inteso. C’e voluto del tempo pertornare a riconoscere due particelle diverse, e anche per accettare vel comedisgiunzione:

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Alcuni dicono che per la verita di una disgiunzione si richiedesempre che uno dei disgiunti sia falso, perche se entrambi fosseroveri non sarebbe una vera disgiunzione, come dice Boezio. Questopero non mi piace. In realta io dico che se entrambe le parti diuna disgiunzione sono vere, l’intera disgiunzione e vera (WalterBurleigh, De Puritate, XCI, 3-19, XIV sec .)

La disgiunzione in italiano talvolta e resa con “ovvero”, ma questa parolasignifica anche “cioe”, “vale a dire”, cioe una precisazione, non un’alternativa.

La “o” si esprime anche con “altrimenti” come in “Lasciate un messaggio,altrimenti non sarete richiamati”, solo apparentemente piu ingiuntiva dellaversione con la “o” (si vedano gli esercizi).

Qualche volta la stessa frase puo essere espressa sia con la “e” che conla “o”. Si puo dire equivalentemente sia “Tutti, bianchi o neri, hanno un’a-nima”, sia “Tutti, bianchi e neri hanno un’anima”. L’affermazione “mele epere sono frutti” vuole anche dire che “una cosa che sia una mela o una perae un frutto”.

La negazione di una frase si realizza in diversi modi, di solito con laparticella “non”, inserita pero (o soppressa) in vari modi nella frase da negare,con diversi costrutti che coinvolgono altre parole, in particolare i verbi. Da“piove” a “non piove”, o “non e vero che piove”; da “qualche volta piove” a“non piove mai”; da “piove sempre” a “qualche volta non piove”; da “nonama nessuno” a “ama qualcuno”, da “e bello” a “e brutto”, e cosı via. Pernegare “non piove” non si dice “non non piove” ma “piove” o “non e veroche non piove”.

Per mettere in evidenza proprieta delle particelle logiche, che non dipen-dono dal significato delle frasi che connettono, negli esempi proposti useremod’ora in avanti le lettere A, B, . . . per indicare frasi imprecisate, e scriveremo:“A e B”, “A oppure B” e simili.

La parola “se” e un’altra particella dai molteplici sensi, e dalle molteplicirese, ad esempio con “B, se A”, “A solo se B”, “se A allora B”, “A implica !!!B”, “A, quindi B” - ma “quindi” ha anche un significato temporale, come“poi”.

Quando si afferma “se A allora B”, A e detta condizione sufficiente perB, e B condizione necessaria per A. “A e condizione sufficiente per B” e “Bcondizione necessaria per A” sono altri modi di esprimere “se A allora B”.

Al “se . . . allora” sara dedicata una discussione speciale per la sua impor-tanza rispetto all’inferenza logica.

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Spesso “se . . . allora” non e presente in frasi che tuttavia esprimono queltipo di collegamento: “un numero primo maggiore di 2 e dispari” signifi-ca “se un numero e primo e maggiore di 2 allora e dispari”. Torneremosull’argomento.

In considerazione delle ambiguita e molteplicita di espressione messe inluce, un primo passo e quello di introdurre una sola versione fissa delle par-ticelle logiche, sia come simboli che come significati; fatto questo tuttavia,la competenza piu importante consiste poi nel saper tradurre le frasi dellalingua naturale, disambiguandole quando necessario e possibile, e trovandola versione formale corrispondente.

La precedente discussione non esaurisce certo la complessita della lingua,ma e stata proposta a titolo esemplificativo. Solo una costante (auto)analisidelle varie forme espressive (leggi: tanti esercizi) aiuta a riconoscere le varieinsidie.

La standardizzazione e necessaria per poter comunicare con le macchine;ma prima di parlare alle macchine occorre parlare ad altre persone e a sestessi per costruire gli algoritmi. Nell’apprendere a formalizzare si deve ancheraffinare la propria logica naturale.

Tuttavia non esiste un elenco completo di quelle che nei linguaggi naturalisi riconoscono come particelle logiche. Non abbiamo menzionato ad esem-pio “ne . . . ne”, o “a meno che”3. Qualche volta, parole che non sembranoparticelle logiche possono essere usate in questo modo, e lo si riconosce nel-la formalizzazione: “quando” e di solito una determinazione temporale, ma“quando piove, prendo l’ombrello” viene resa quasi necessariamente da “sepiove, prendo l’ombrello”.

Nell’ottica della formalizzazione, chiedere cosa significa “quando piove,prendo l’ombrello” non e altro che la richiesta di tradurre la frase in un’al-tra in cui compaia una delle particelle logiche riconosciute tali e scompaia“quando”, se non e tra quelle; cosı si vede a quale delle particelle note laparola e equivalente; ma non sempre e evidente una possibile riduzione diuna frase ad un’altra, ne sempre una sola.

Esistono peraltro parole anche di difficile catalogazione, che sembrano particelle

3Si noti l’uso della “o” nella nostra frase, di nuovo scambiabile con “e”: si volevadire che non abbiamo menzionato “ne . . . ne” e non abbiamo menzionato “a meno che”;avremmo potuto dire che non abbiamo menzionato ne “ne . . . ne” ne “a meno che”, usandoproprio “ne . . . ne”; l’uso di “o” suggerisce un’altra versione equivalente: “una particellache sia “ne . . . ne” o “a meno che” non l’abbiamo menzionata”.

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logiche in quanto legano due frasi, ma hanno sfumature importanti che si perdononella formalizzazione: ad esempio “siccome piove, prendo l’ombrello”, o “prendol’ombrello perche piove” potrebbero essere espresse dall’asserzione unica “la pioggiae la causa del mio prendere l’ombrello”, che coinvolge peraltro la delicata parola“causa”; le frasi contengono tuttavia una determinazione temporale implicita (“stapiovendo”), o anche una qualitativa (un riferimento forse a un particolare tipo dipioggia - a dirotto) che non le rende del tutto equivalenti a “quando piove, prendol’ombrello” o a “la pioggia e la causa del mio prendere l’ombrello”.

Esistono parimenti frasi che ne assommano diverse; la stessa “siccome piove,prendo l’ombrello” invece che una frase puo essere considerata un argomento, poi-che in essa si afferma un fatto, che piove, oltre a un legame condizionale. Potrebbecorrispondere ad un esempio di modus ponens (si vedra a suo tempo): “Se piove,prendo l’ombrello. Piove. Quindi prendo l’ombrello”.

Useremo simboli speciali per rappresentare alcune particelle logiche chesembrano di uso piu comune, almeno nei discorsi meno sofisticati. Per questesi potrebbero usare parole della lingua italiana - o comunque di una linguanaturale - fissando per convenzione in modo rigido il loro significato, comesi fa ad esempio quando per la congiunzione si usa and, in informatica.Quando si usano and e simili, si vuole che il linguaggio sia friendly percheci si deve concentrare su altro; noi invece vogliamo concentrarci proprio suquelle parole, per cui sono meglio simboli nuovi, insoliti, che sorprendano.

Useremo per le particelle logiche i simboli:

¬ per la negazione∧ per la congiunzione∨ per la disgiunzione inclusiva⊕ per la disgiunzione esclusiva→ per il condizionale “se . . . allora”↔ per il bicondizionale “se e solo se”

senza escluderne a priori altri, e li chiameremo connettivi proposizionali. Lanegazione e un connettivo unario (cioe agisce su una proposizione), gli altriindicati sono connettivi binari (cioe connettono due proposizioni).

La scelta di simboli artificiali e piu vantaggiosa anche perche, proceden-do, questi simboli non saranno soltanto abbreviazioni, ma insieme ad altridiventeranno una struttura che e essa stessa, se si vuole, oggetto di una teoriamatematica, con suoi problemi specifici.

Ad esempio una prima questione, comprensibile anche solo sulla base diquanto detto finora, e se le particelle sopra scelte sono anche fondamentali,

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e in che senso, o se sono sufficienti, o quante ce ne potrebbero essere. Un’al-tra riguarda l’equivalenza, affermata per alcuni esempi precedenti, tra frasidiverse espresse con particelle diverse.

Queste strutture forniranno inoltre un ricco campo di scrittura di algo-ritmi non numerici ma simbolici, applicati a liste o alberi o altre strutture didati.

Il significato delle particelle logiche e lo stesso a prescindere dal lessico, eper studiarlo occorre non fissarsi su un linguaggio particolare; la trattazionedeve valere per tutti, quindi useremo lo stesso artificio matematico di usa-re lettere per indicare entita non precisate, che nelle applicazioni dovrannoessere asserzioni sensate.

La formalizzazione del linguaggio naturale non e qualcosa di meccanico e dicompiuto per l’intera gamma delle potenzialita espressive. Esistono argomenticontroversi e ancora oggetto di discussioni e di proposte per una formalizzazionesoddisfacente - che rientrano in studi piu avanzati.

La restrizione alle frasi dichiarative e uno di questi, dal momento che i comandiad esempio hanno un ruolo apparentemente importante nella programmazione.

Abbiamo visto qualche difficolta con “siccome” e il suo significato causale. Allostesso modo e discutibile se “e necessario che . . . ” sia da considerare una particellalogica: “e necessario che al giorno segua la notte” (o “al giorno segue necessaria-mente la notte”) non sembra equivalente a “al giorno segue la notte” e neanchea “al giorno segue sempre la notte”, che e equivalente alla precedente se “segue”,privo di determinazioni temporali, assorbe il “sempre”; anche “necessariamente 2+ 2 = 4” forse dice di piu di “2 + 2 = 4”, ma non e del tutto chiaro che cosa.

Ancora, e possibile sostenere che il costrutto “e vero che . . . ” e pleonastico,in quanto “e vero che piove” e equivalente a “piove”, ma e altrettanto possibilesostenere che non e possibile farne a meno.

Altre locuzioni della lingua naturale non formalizzabili le vedremo in seguito.

2.2.1 Esercizi

1. Esaminare i seguenti discorsi (e altri tratti a scelta da fonti letterarieo giornalistiche) ed individuare le particelle logiche e le frasi elementa-ri (racchiudendole tra parentesi e se necessario riformulando in modoequivalente i discorsi e le loro frasi).

Se non e possibile prevedere tutte le azioni delle persone allo-ra o l’universo non e deterministico o le persone non sono per-fettamente razionali. Chi sostiene il determinismo deve dun-

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que sostenere che se le azioni delle persone sono prevedibiliallora le persone sono perfettamente razionali.

Svolgimento. Introdurre abbreviazioni per le frasi che si ripetono, inmodo da arrivare, nel caso del primo brano, a

Se non Prev allora o non Det o non Raz. Chi sostiene Detallora deve sostenere che se Prev allora Raz

e ancora, togliendo il “chi sostiene”, a

Se non Prev allora o non Det o non Raz. Se Det allora si hache se Prev allora Raz.

Le abbreviazioni aprono la strada all’uso delle lettere per indicare pro-posizioni; quando si saranno viste alcune leggi logiche, sara si potra tor-nare a esprimere un giudizio sulla correttezza o meno dell’argomento,che per ora non interessa.

Altri esercizi:

Se non e possibile prevedere tutte le azioni delle persone al-lora o l’universo non e deterministico o le persone non so-no perfettamente razionali. Chi sostiene il determinismo de-ve dunque sostenere che se le azioni delle persone non sonoprevedibili allora le persone non sono perfettamente razionali.

Se le persone sono interamente razionali, allora o tutte leazioni di una persona possono essere previste in anticipo ol’universo e essenzialmente deterministico. Non tutte le azio-ni di una persona possono essere previste in anticipo. Dun-que, se l’universo non e essenzialmente deterministico, allorale persone non sono interamente razionali.

Il numero di queste e di tutte le altre frasi supera il numerodei neuroni del cervello, per cui, anche ammettendo - che none - che ogni frase richieda un neurone o una combinazione dineuroni per la memorizzazione, non si puo pensare che tutte

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le frasi della competenza linguistica siano immagazzinate inmemoria.

2. Con il costrutto “se . . . allora” e le frasi “dico x” e “x e una verita”esprimere: “dico tutta la verita e solo la verita”.

3. Scrivere con le giuste particelle logiche:

a) non c’e fumo senza arrosto

b) fumo vuol dire fuoco.

4. Come si puo esprimere (in almeno due modi) “Lasciate un messaggio,o non sarete richiamati” usando il condizionale?

5. Trasformare la frase

Gli studenti che hanno sostenuto la prima o la seconda provadi esonero devono . . .

nella congiunzione di due frasi.

6. Trovare altre particelle logiche della lingua italiana, oltre a quelle men-zionate nel testo.

7. Discutere se “cioe” e una particella logica o no, e a quali altre eeventualmente equivalente, in diversi contesti.

8. Cosa significa per voi “necessariamente 2 + 2 = 4”?

2.3 Variabili

Gli esempi dell’esercizio 1 mostrano che le semplificazioni sono troppo dra-stiche se si vogliono usare solo i connettivi tra frasi complete; quelle collegaterestano complesse e non analizzate. Torniamo percio a quanto lasciato insospeso, a come rappresentare “una cosa” e “questa cosa”. Nella grammati-ca, un ruolo fondamentale e svolto dai pronomi, che si presentano in grandevarieta, come “uno”, “chiunque”, “ogni”, “qualche” e simili.

I pronomi servono a formare nuove frasi collegandone alcune che hannoun riferimento in comune; nella frase “se uno ha un amico, e fortunato” siindividuano due proposizioni componenti “uno ha un amico” e “e fortunato”.

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La seconda frase non presenta il soggetto, ma s’intende che e lo stesso dellaprima; si puo ripetere (“uno e fortunato”) oppure piu spesso, in altri casi,si deve precisare, con un indicatore che faccia capire esplicitamente che ilsoggetto e lo stesso (ad esempio “egli”, “costui” e simili).

Nella seconda di due frasi collegate, il soggetto della prima puo esserepresente come oggetto, ad esempio in “se uno e generoso, tutti ne diconobene”, dove “ne” significa “di lui”.

Anche per questo tipo di parti del discorso, si hanno molte versioni equiva-lenti, ciascuna con i suoi vantaggi e la sua convenienza, ad esempio “chiunqueabbia un amico e fortunato”, “coloro che hanno un amico sono fortunati”;talvolta addirittura basta un’unica frase indecomponibile, come “i generosisono lodati” per “coloro che sono generosi sono lodati”4.

E necessario comunque mettere in rilievo il fatto che entrambe le frasihanno un riferimento comune; se si formalizza la frase “se uno ha un amico,uno e fortunato” introducendo una lettera A per la prima e una lettera Bper la seconda, si ottiene A → B che non mostra la struttura fine della frase,e non permette quindi di indagare se sia vera o no.

Il simbolismo deve essere arricchito. L’uso dei pronomi e standardizzatoper mezzo di simboli che si chiamano variabili: x, y, . . .. Il simbolo x sta per“una cosa”, “uno”, “una persona” se il discorso si riferisce a esseri umani,“un numero” se il discorso si riferisce ai numeri e cosı via.

La variabile e creduta un elemento alieno del linguaggio, che compare solonei simbolismi matematici, ma non e cosı.

“Se uno ha un amico, e fortunato” equivale nella semiformalizzazione “sex ha un amico, x e fortunato”.

Avendo introdotto questi simboli speciali, come peraltro abbiamo giafatto con i connettivi, tanto vale utilizzare anche altre schematizzazioni ecompletare il distacco del lessico naturale.

Introduciamo percio simboli per designare predicati, e altri per costruiretermini, che corrispondono alle descrizioni.

Useremo preferibilmente

le lettere P , Q, R, . . . per predicati e relazionile lettere f , g, . . . per funzioni

4La possibilita di questa espressione e all’origine di una diversa analisi del linguaggio,che ha portato alla prima logica formale della storia, nell’opera di Aristotele, come vedremotrattando i sillogismi.

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le lettere a, b, c, . . . per costanti (nomi propri)le lettere x, y, . . . per variabili, con o senza indici.

La struttura di una frase del tipo “Giovanni dorme” e rappresentata da“dorme(Giovanni)”, o

P (a).

“Giovanni ama Maria” da “ama(Giovanni, Maria)”, o

R(a, b),

Piu in generale, i termini a cui si applica la relazione non sono necessa-riamente costanti, o nomi, ma anche descrizioni, come “Il padre di Giovanniama Maria”, che diventa

R(f(a), b),

o descrizioni incomplete, cioe contenenti variabili, come

“Uno dorme”: P (x).

Tuttavia la rappresentazione grafica scelta per i simboli non e essenziale,per comodita di traduzione si possono anche usare altre lettere, come leiniziali delle parole italiane (A per “essere amici”), o addirittura complessidi lettere o parole intere, magari in caratteri particolari, come amici(x, y).

Anche la particolare forma R(a, b) non e rigida, talvolta puo essere so-stituita da aRb. Questo succede in particolare con i simboli per tradizionalirelazioni matematiche che hanno adottato tale notazione: 1 < x, x = y.

Possiamo ora volgerci alla formalizzazione della frase “Giovanni possiedeun Piaggio 50”: con una costante g per “Giovanni”, un simbolo di relazione Rper “possedere”, un simbolo di predicato P per “Piaggio 50”, si puo provarea scrivere

R(g, x) ∧ P (x),

ma non e sufficiente.

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2.4 Quantificatori

L’uso delle variabili o della loro versione con pronomi presenta aspetti de-licati per trattare i quali il formalismo finora introdotto non e abbastanzadiscriminante.

Se si dice “A Giovanni piace il Piaggio 50” si intende che a Giovannipiacciono tutti i Piaggio 50, anche se probabilmente desidera averne solouno; se si usa R(y, x) per la relazione “a y piace x” la frase diventerebbeuguale alla precedente, pur avendo un altro senso (in particolare puo esserevera, mentre la precedente falsa).

Nella frase “se uno ha un amico, e fortunato” ci sono due tipi di “uno”,il primo “uno” e il soggetto, presente tacitamente anche come soggetto di“e fortunato”, e il secondo e l’“un” di “ha un amico”5. Il primo “uno”significa “chi”, nel senso di “chiunque”, il secondo significa “qualche”. Lastessa parola “uno”, e le corrispondenti variabili x e y possono cioe avere siaun senso universale che uno particolare.

Anche se il senso della frase e ovvio, per chiarezza e meglio dire “chiunqueabbia qualche amico e fortunato”. Cosı si potrebbe dire “A Giovanni piaceun qualunque Piaggio 50” o “A Giovanni piacciono tutti i Piaggio 50” o “AGiovanni piacciono i Piaggio 50”. La varieta di costrutti linguistici disponi-bili nelle lingue naturali ha la funzione di evitare possibili ambiguita in altrefrasi di non immediata decifrazione.

Un esempio di frase ambigua, se presa isolatamente, e “uno che segue ilcorso di Logica si addormenta”. Il professore spera che voglia solo dire chesi conosce uno studente che tende ad addormentarsi, ma magari gli studentiintendono che tutti si addormentano sempre.

L’uso delle variabili da sole non risolve le ambiguita, anzi le potrebbeaccrescere, se vengono a mancare le differenze di significato dei pronomispecifici; in “se x ha y come amico, x e fortunato”, se y fosse presa in sensouniversale, come la x, allora la frase significherebbe che chi e amico di tuttie fortunato, che e discutibile, piuttosto e un santo.

Un altro esempio e il seguente: nelle due frasi di argomento aritmetico

un numero moltiplicato per se stesso da 1

e

5Non c’e differenza tra “uno” e “un”; si potrebbe dire in entrambi i casi “una persona”,ristabilendo l’uniformita.

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un numero sommato al suo opposto da 0

“un numero” e da intendersi in modo diverso; nel primo caso l’unico numerocon quella proprieta e 1, e la frase potrebbe essere una sua descrizione estra-polata dal contesto, o un indovinello: “quale e . . . ?”; nel secondo caso “unnumero” significa “qualunque numero”.

La differenza non si coglie neanche se si formalizza, la prima frase conx · x = 1 e la seconda con x + (−x) = 0; per capire la differenza si devepensare a quali specifici numeri soddisfano le formule, −1 e 1 in un caso,tutti i numeri nell’altro. Nella terminologia usuale, la prima e un’equazione,la seconda un’identita.

Le variabili da sole non rendono la duttilita delle parole che indicano sesi parla di uno, qualcuno o tutti.

Si introducono due simboli che si chiamano quantificatori ,

∀ quantificatore universalee

∃ quantificatore esistenziale

e questi segni si premettono alle formule con variabili per segnalare che, nelloro raggio d’azione determinato dalle parentesi, le variabili stesse devonoessere intese nel senso di “tutti” ovvero nel senso di “qualcuno”.

La frase “uno che ha un amico e fortunato” diventa, schematizzata,

∀x(∃yA(x, y) → F (x)).

L’uso delle parentesi sara codificato quando si studiera il formalismo. Perora basti osservare che quando un quantificatore si riferisce a una variabilefissandone il senso, universale o particolare, in una frase, tutta la frase checontiene quelle occorrenze della variabile, nell’esempio ∃yA(x, y) → F (x), varacchiusa tra parentesi.

Quando si leggono frasi gia formalizzate, i quantificatori ∀x e ∃x si leggonousualmente sempre nello stesso modo: “per tutti gli x” (o “per ogni x”) e“esiste un x tale che” (o “esistono x tali che”), anche quando non e la letturapiu elegante. Invece in italiano ci sono diversi modi di esprimersi.

Alcune espressioni della lingua naturale hanno tuttavia significati collo-quiali che non hanno interesse logico e che comunque non sono esprimibilinel formalismo. Anzi bisogna fare attenzione a non lasciarsi influenzare. Adesempio “qualche” viene spesso usato per dire “pochi”, per indicare un certonumero ma non grande, e spesso maggiore di uno, che se e uno si dice “uno”.

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Invece ∃x vuol sempre dire “esiste almeno un . . . ”, e possono essere uno,dieci o centomila, o anche tutti.

Quando si usa “qualche” talvolta in italiano si sottintende “non tutti”6;invece ∃x . . . e compatibile col fatto che tutti soddisfino la condizione; esolo un’affermazione piu debole: se si sa che tutti i gamberi sono rossi, sipuo affermare ∃x(gambero(x) ∧ rosso(x)) come vero; naturalmente cosı nonsi afferma che tutti i gamberi sono rossi (che sarebbe ∀x(gambero(x) →rosso(x))) ma che esiste un gambero rosso.

In molte frasi i quantificatori apparentemente non si riferiscono a tutti glielementi dell’universo di discorso ma a parti piu ristrette; le frasi aritmeticheper esempio raramente iniziano con “tutti i numeri”, piuttosto con “tutti inumeri positivi”, o “tutti i numeri primi”; e raramente si parla di tutti gliesseri viventi, ma piuttosto di tutti gli uomini, o di tutte le donne, o di tuttigli italiani e cosı via restringendo.

Nel formalismo logico la restrizione dei quantificatori avviene nel seguentemodo. La frase “tutti i tedeschi sono biondi” si rappresenta con due predicati, !!!“tedesco” e “biondo”, e la forma

∀x(T (x) → B(x)),

dove il quantificatore ∀x e letto “per tutte le persone”, cioe con la x che variasu tutto l’universo del discorso (la specie umana): “per ogni x, se x e tedescoallora x e biondo.

Questa forma e corretta grazie alle proprieta del condizionale, che vedre-mo meglio in seguito. Se T (x) → B(x) e vero per tutte le persone, alloraogni tedesco rende vero il condizionale, l’antecedente e quindi vero il con-seguente, ed e vero che tutti i tedeschi sono biondi; se viceversa e vero chetutti i tedeschi sono biondi, anche l’enunciato di sopra che si riferisce con∀x non ai tedeschi ma a tutte le persone e vero: se uno e tedesco, allora ebiondo e il condizionale e vero; se Giovanni e brutto ma non e tedesco, losi vorra considerare un controesempio che falsifica l’affermazione? Non sem-bra ragionevole; si assume che T (Giovanni) → B(Giovanni) sia vero, e cosıT (x) → B(x) e vera per tutte le persone.

In pratica, gli aggettivi sono resi da predicati con l’ausilio del condizionale:in “tutte le persone tedesche sono bionde” l’aggettivo “tedesco” diventa ilpredicato “essere tedesco” e la frase “tutte le persone, se sono tedesche, sonobionde”.

6Da un compito in classe: “Se qualche triangolo isocele e equilatero, di conseguenzaqualche triangolo isocele non lo e”. La conclusione e vera, ma “di conseguenza” no.

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“Tutti i P sono . . . ” e “qualche P e . . . ”, dove P delimita il campo divariabilita del riferimento, si realizzano dunque introducendo un predicatounario P e scrivendo rispettivamente ∀x(P (x) → . . .) e ∃x(P (x) ∧ . . .). Sinoti ovviamente la differenza nel caso del quantificatore esistenziale, dove !!!la restrizione e realizzata con la congiunzione, che viene dalla traduzione di“esiste uno che e P e che . . . ”.

2.5 Esempi

2.5.1 dal linguaggio naturale

1. “Maria ama il padre di Giovanni” e formalizzata da

A(m, f(g))

dove m e g sono costanti, m per “Maria” e g per “Giovanni”, ed f unsimbolo funzionale per “il padre di . . . ”.

2. Per formalizzare “Maria ama il figlio di Giovanni” non si puo usareun simbolo f per “il figlio di”, perche “figlio di” non e una funzioneunivoca: a una persona possono corrispondere diversi figli, o nessuno.Allora “Maria ama il figlio di Giovanni” si formalizza come sotto “Mariaama un figlio di Giovanni” e a parte si afferma che Giovanni ha un solofiglio (vedremo come).

3. “Maria ama un figlio di Giovanni” e formalizzata da

∃x(A(m, x) ∧ F (x, g))

letta

esiste un x tale che Maria ama x e x e figlio di Giovanni,

dove F e un simbolo relazionale a due posti, e F (x, y) sta per “x e figliodi y”.

Si potrebbe anche dire “Maria ama uno, che e figlio di Giovanni” o“Maria ama un tizio che e figlio di Giovanni”.

In questo caso “figlio di Giovanni” ha la funzione di nome comune,come “Piaggio 50” in “Giovanni possiede in Piaggio 50”, e infatti siformalizza nello stesso modo.

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4. “Maria ama i figli di Giovanni”, che significa che Maria ama tutti i figlidi Giovanni, si formalizza con

∀x(F (x, g) → A(m, x))

e non con ∀x(A(m, x)∧ F (x, g)); questa significa che tutti sono figli diGiovanni, e che Maria li ama tutti; il che implica che Giovanni sia Dio,e forse Maria la Madonna.

Per la formalizzazione corretta, puo essere utile vedere nella frase un ca-so di quantificatore ristretto, ai figli di Giovanni, leggendola al passivo:“Tutti i figli di Giovanni sono amati da Maria”.

5. “Non tutte le ciambelle riescono col buco”.

Si scelga un predicato C per “essere una ciambella” e una relazioneB(x, y) per “x e un buco di y”. Quindi si trasforma la frase elimi-nando “non tutte” a favore di “qualche ciambella non riesce col buco”.“Riuscire con buco” o “avere il buco” possono essere trattate comeequivalenti: la prima versione allude al processo di fabbricazione chefinisce male, la seconda al risultato. Allora

∃y(C(y) ∧ ¬∃xB(x, y)).

6. “Ogni rosa ha le sue spine”.

Sia R il predicato “essere una rosa” e S(x, y) la relazione “x e una spinadi y”.

∀x(R(x) → ∃yS(y, x)).

Si noti che se S(x, y) e la relazione “x e una spina di y”, S(y, x) silegge “y e una spina di x”. C’e grande liberta nell’uso delle variabili:∃yS(y, x) si potrebbe scrivere anche ∃zS(z, x); in italiano hanno lastessa traduzione “x ha qualche spina”. Quello che importa e non usarela stessa variabile quando devono essere distinte: se si scrive ∃xS(x, x)si dice che c’e una rosa che e una spina.

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7. “Ogni rosa ha qualche spina”.

la frase e la stessa di prima, perche se una rosa ha delle spine questesono sue. Entrambe possono comunque essere formalizzate anche in unaltro modo, con un predicato per “essere una spina” e una relazionebinaria H di possesso:

∀x(R(x) → ∃y(S(y) ∧H(x, y))).

8. “Chi rompe paga e i cocci sono suoi”.

“Rompere” e verbo transitivo, salvo che in usi metaforici, quindi bi-sogna pensare che si dica “chi rompe qualcosa, una qualunque cosa”;sia R(x, y) la relazione “x rompe y”; sia quindi C(x, y) la relazione cheintercorre tra due pezzi di materia se il primo e un coccio dell’altro, cioeun pezzo che risulta dalla sua rottura; scegliamo la relazione S(x, y) aindicare che x paga il valore di y, e sia infine H(x, y) la relazione “xassume il possesso di y”. Allora

∀x∀y(R(x, y) → S(x, y) ∧ ∀z(C(z, y) → H(x, z))).

Il complesso ∀x∀y . . . si legge “per ogni x e per ogni y . . . ”. E anche !!!lecito abbreviare con ∀x, y . . ., cosı come ∃x∃y . . . con ∃x, y . . ..

“Chiunque rompa qualunque cosa . . . ” o “Qualunque cosa uno rompa. . . ” sono equivalenti: in base a questa lettura e evidente che risulterache ∀x∀y . . . e equivalente a ∀y∀x . . . e che ∃x∃y . . . e equivalente a∃y∃x . . .

La precedente formula e tuttavia ambigua, e deve essere corretta in

∀x∀y(R(x, y) → (S(x, y) ∧ ∀z(C(z, y) → H(x, z))))

in modo che entrambe le conseguenze (pagare e tenere i cocci) dipen-dano da R(x, y). Altrimenti se si pensasse a (R(x, y) → S(x, y)) ∧ . . .la frase ∀z(C(z, y) → H(x, z)) significherebbe che x si prende i cocci diogni cosa, che l’abbia rotta lui o no.

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9. “Un regalo conquista un amico”.

Cominciamo a riformulare la frase spogliandola di significati metaforici(un regalo e una cosa e non conquista nulla). Si intende ovviamentedire che chi fa un regalo acquista un amico, e piu dettagliatamenteche se una persona fa un regalo a un’altra persona, questa diventa suoamico. Usiamo una relazione ternaria R(x, y, z) per “x regala y a z” euna relazione binaria per A(x, y) “x diventa amico di y”.

∀x∀y(∃zR(x, z, y) → A(y, x)).

10. “A Natale si fanno regali agli amici”.

Si intende che a Natale ognuno fa un regalo a ciascuno dei suoi amici.Non e il caso di mettere in evidenza “Natale”, che non e rilevante perla struttura logica della frase. Usiamo una relazione ternaria R(x, y, z)per “x a Natale regala y a z” e una relazione binaria A(x, y) per “y eun amico di x”.

∀x∀y(A(x, y) → ∃zR(x, z, y)).

11. “Chi non risica non rosica”.

“Risicare” e verbo intransitivo (anche se qualche volta si dice “ha ri-schiato qualcosa”, ma si intende “ha rischiato un po’ ”). “Rosicare”e transitivo, anche se nella frase non compare il complemento oggetto,ma si intende “non rosica nulla”. Usiamo un predicato R per “risicare”e una relazione S(x, y) per “x rosica y”.

∀x(¬R(x) → ¬∃yS(x, y)).

12. “Sono eligibili tutti e soli gli studenti in corso”.

Non interessa a cosa siano eligibili; serve un predicato per “essereeligibile”, uno per “essere studente” e uno per “essere in corso”.

∀x(E(x) ↔ S(x) ∧ C(x)).

La dizione “tutti e soli” e strettamente legata a “se e solo se”. “Tutti !!!gli studenti in corso sono eligibili” e formalizzata da

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∀x(S(x) ∧ C(x) → E(x)),

mentre “solo gli studenti in corso sono eligibili” da

∀x(E(x) → S(x) ∧ C(x)).

La congiunzionne di queste due ultime frasi e equivalente, come vedre-mo, alla prima.

2.5.2 dalla matematica

1. La frase “dati due numeri, uno minore dell’altro, esiste un terzo numerocompreso tra i due”, vera nel campo dei razionali e in quello dei reali,falsa negli interi, puo essere resa da

∀x∀y(x < y → ∃z(x < z ∧ z < y)).

La congiunzione x < z ∧ z < y si puo abbreviare, secondo l’usomatematico, con x < z < y.

Non esiste un quantificatore che quantifichi sulle coppie; ci si comportacome se la frase fosse “dato un primo numero e dato un secondo numero. . . ”. Ma “un primo” e “un secondo” servono solo a facilitare l’espres-sione, si sarebbe potuto dire anche “dato un numero e dato un numero. . . ”, con qualche difficolta nel seguito per i riferimenti appropriati.

Si faccia attenzione che neanche la presenza di “due” vuol dire che inumeri devono essere considerati diversi; tale forma comune di espres-sione distingue il modo, il momento in cui i numeri sono presentati, opensati, ma non e escluso in generale che si presenti lo stesso numerodue volte.

Nell’esempio 10 precedente, a Natale uno fa anche regali a se stesso, sesi vuole bene.

“Dati due numeri” significa “fatta due volte la scelta di un numero”, ele scelte possono cadere sullo stesso numero. In termini probabilistici,si tratta di scelte con reimmissione; oppure si deve considerare che lascelta di un numero non lo toglie certo dall’insieme. “Dati due numeri,esiste la loro somma” si puo scrivere

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∀x∀y∃z(z = x + y)

ma esiste anche la somma di ogni numero con se stesso; x e y possonoprendere tutti i valori in tutte le combinazioni possibili, quindi anchevalori uguali.

Quando tuttavia si mette come sopra la condizione “uno minore del-l’altro” - come nella frase proposta - allora si esclude che possano essereuguali perche la relazione “minore di” non e riflessiva. Tuttavia lo siesclude solo attraverso una deduzione, non con la semplice scrittura:se x e y denotano lo stesso numero, e bisogna considerare anche questocaso per verificare se la frase e vera, in x < y → ∃z(x < z ∧ z < y)l’antecedente x < y risulta falso (come nell’esempio dei tedeschi).

Con “un terzo” di nuovo si vuol dire semplicemente “un numero”, e chesia diverso dai primi due segue automaticamente se “compreso” signi-fica “strettamente compreso”; altrimenti, se la relazione d’ordine fosseintesa come ≤ allora potrebbe anche essere uguale a uno dei due; none questo il senso della frase, che vuole esprimere la densita dell’ordinedei numeri reali - e anche dei razionali.

Se nella stessa formula il segno di relazione e interpretato su di unarelazione riflessiva, come

∀x∀y(x ≤ y → ∃z(x ≤ z ∧ z ≤ y)),

o piu in generale “se R e riflessiva allora . . . ”, ovvero

∀xR(x, x) → ∀x∀y(R(x, y) → ∃z(R(x, z) ∧R(z, y))),

allora la formula e banalmente vera per ogni relazione7.

2. “La relazione R e riflessiva”, che significa che ogni elemento sta nellarelazione R con se stesso, si scrive

∀xR(x, x),

come abbiamo fatto sopra.

7Con “banalmente” s’intende che dati x e y come z si puo prendere o x o y, e la formulanon ci da veramente informazioni.

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3. “La relazione R e simmetrica”, che significa che se la relazione R sus-siste tra uno primo e un secondo elemento allora sussiste anche tra ilsecondo e il primo, si scrive

∀x∀y(R(x, y) → R(y, x)).

4. “La relazione R e transitiva”, che significa che se R sussiste tra unprimo elemento e un secondo, e tra questo e un terzo, allora sussisteanche tra il primo e il terzo, si scrive,

∀x∀y∀z(R(x, y) ∧R(y, z) → R(x, z)).

5. Come non esiste un quantificatore sulle coppie, cosı non esiste un quan-tificatore che esprima “esiste esattamente un . . . ”, o “esiste un so-lo . . . ”. Tale locuzione si realizza mediante l’uguaglianza come nelseguente esempio.

La frase “dati due numeri, esiste un solo numero che e la loro somma”si formalizza come

∀x∀y∃z(z = x + y ∧ ∀u(u = x + y → u = z)).

6. In generale “Esiste un solo x tale che P (x)” si formalizza come

∃x(P (x) ∧ ∀y(P (y) → x = y)).

7. In modo analogo si puo esprimere la locuzione “esistono esattamentedue elementi tali che . . . ” (esercizio).

8. Non si riesce invece con nessun giro di formule del formalismo chestiamo usando ad esprimere “la maggior parte degli elementi . . . ” o“quasi tutti . . . ”.

9. Analogamente non si riesce ad esprimere “tanti”.

10. La frase “dati due numeri diversi tra loro, esiste un numero che epropriamente compreso tra i due numeri dati” si rappresenta con

∀x∀y(x 6= y → ∃z(x < z < y ∨ y < z < x)).

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11. La frase “ogni numero positivo ha una radice quadrata”, vera nei reali,falsa nei razionali, si rappresenta come

∀x(0 < x → ∃y(x = y2)),

dove con y2 si indica la funzione di elevamento al quadrato.

12. “un numero e divisibile per un altro numero se e solo se esiste un terzonumero che moltiplicato per il secondo da il primo”.

Scriviamo x|y per “y e divisibile per x” o “x divide y” e usiamo il solitosegno di moltiplicazione:

∀x∀y(x|y ↔ ∃z(y = x · z)).

13. “Esistono due numeri primi consecutivi”.

Per questa frase complicata procediamo in due passi; usiamo un’abbre-viazione pr(x) per “x e primo ”e scriviamo

∃x∃y(x = y + 1 ∧ pr(x) ∧ pr(y))

riservandoci di sostituire pr(x) con la sua scrittura corretta data nelprossimo esercizio.

Che i numeri siano due non risulta dallo scrivere ∃x∃y ma da x = y +1che implica x 6= y (vedremo che lo si deduce facilmente dagli assiomidei numeri naturali); si potrebbe anche scrivere:

∃x(pr(x) ∧ pr(x + 1)),

dando per scontato, come sopra, che x 6= x + 1.

14. “Un numero e primo se e solo se e maggiore di 1 ed e divisibile solo per1 e per se stesso”.

Per esprimere questa che e la definizione di un nuovo predicato usiamoun nuovo simbolo pr(x) e scriviamo

∀x(pr(x) ↔ x > 1 ∧ ∀z(z|x → z = 1 ∨ z = x)).

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15. “2 e l’unico numero primo pari”.

“Numero pari” significa “divisibile per 2”. La frase si puo trasformarein “2 e primo e pari e se un numero e primo e pari allora e uguale a 2”.Quindi

pr(2) ∧ 2|2 ∧ ∀x(pr(x) ∧ 2|x → x = 2).

16. “Esistono numeri pari arbitrariamente grandi”.

La locuzione “arbitrariamente grandi” o “grandi quanto si vuole” si-gnifica che comunque si dia un numero, ne esiste uno piu grande conla proprieta in oggetto - non che un numero e grande quanto si vuole,un numero e quello che e. Quindi

∀x∃y(x < y ∧ 2|y).

17. “Ci sono almeno due quadrati minori di 10”.

Consideriamo 10 una costante. “x e un quadrato” significa che x e ilquadrato di qualche numero, e si formalizza come ∃u(x = u2). Quindi

∃x∃y(x 6= y ∧ x < 10 ∧ y < 10 ∧ ∃u(x = u2) ∧ ∃u(y = u2)),

dove x 6= y e un’abbreviazione per ¬ (x = y).

Si noti che da ∃u(x = u2) ∧ ∃u(y = u2)) non segue che la u sia lastessa, e quindi x e y uguali; le due frasi sono indipendenti; e come sesi dicesse: “esiste un numero il cui quadrato e x ed esiste un numeroil cui quadrato e y”; non vuol dire che sia lo stesso numero. Ma sisarebbe potuto anche scrivere ∃u(x = u2) ∧ ∃v(y = v2)).

Dagli esempi si traggono diverse regole euristiche: riformulare la frase !!!in un italiano semplice, con soggetto, verbo e complementi; trasformare ipronomi quantitativi come “ognuno”, “alcuni”, “nessuno”, “uno” . . . usandosempre solo “per tutti . . . ” ed “esiste un . . . ”, anche se la frase diventabarocca; guardare i verbi, se sono intransitivi o transitivi, e sostituire lefrasi elementari con le dizioni “ha la proprieta . . . ” e “sussiste la relazione. . . ”; non prendere relazioni troppo inglobanti che nascondano la sintassiinformale, immaginando possibili proseguimenti della frase che richiedonodi riprendere certi elementi; invece lasciare cadere particolari empirici; nellefrasi matematiche, risalire sempre alle definizioni dei termini coinvolti.

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2.6 Esercizi

1. Formalizzare frasi del linguaggio comune come le seguenti e altre apiacere:

Il mio cellulare e migliore del tuo ma costa di piu.

Chi e senza peccato scagli la prima pietra.

Senza soldi si vive male.

Senza amici si e soli.

I supermercati abbondano di ogni ben di Dio.

Maria ama il figlio di Giovanni.

Il 33,3% circa degli italiani possiede due macchine.

Chi ha superato solo una delle due prove di esonero, all’esame portasolo la parte non superata.

Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quelche trova.

2. Formalizzare “A Giovanni piacciono i Piaggio 50”; trasformarla primain italiano in modo da far comparire un quantificatore ristretto.

3. Formalizzare “I professori premiano gli studenti meritevoli”.

4. In un’assemblea di politici, questi si dividono in onesti e disonesti, e sisa che a) esiste almeno un politico onesto; b) presi due politici a caso,uno almeno e disonesto. Si formalizzino le condizioni sui politici.

Se nell’assemblea ci sono cento politici, si puo decidere (dedurre) quantisono gli onesti e quanti i disonesti? Formalizzare anche la risposta.

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3 Logica proposizionale

La logica proposizionale studia quello che si puo dire sulle frasi considerandosolo la struttura determinata dai connettivi; si considerano cioe frasi formateda frasi piu semplici per mezzo dei connettivi.

Introdotti i simboli per i connettivi, occorre dare le loro precise regoled’uso - alcune delle quali abbiamo gia anticipato negli esempi - sia dal puntodi vista sintattico (dove scriviamo ad esempio ¬ per formare la negazionedi un’asserzione?), sia dal punto di vista semantico (come interpretiamo ilsignificato delle frasi composte, in funzione delle frasi componenti?).

3.1 Sintassi

La necessita di fornire regole rigide per la formazione delle frasi e data dallavolonta di evitare le ambiguita possibili nelle lingue naturali. Alcune am-biguita si riferiscono proprio alla distribuzione dei connettivi; supponiamoad esempio di leggere un problema rappresentato dall’insieme delle seguentidisequazioni:

x2 + 4x + 3 < 0 e x < −3 o x > −2.

Lo studente tende a rispondere “risolvo la prima, poi interseco con x < −3e unisco con x > −2, ma e l’ordine di queste operazioni che conta, che nonsempre e quello del first come, first served , con la scrittura da sinistra adestra.

Si puo intendere che si chieda quali siano i valori per cui si ha che

x2 + 4x + 3 < 0 e x < −3

oppure si ha che

x > −2;

si puo anche intendere che si chieda quali siano i valori per cui si ha

x2 + 4x + 3 < 0

ma ristretti ad essere

x < −3 o x > −2.

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Nel primo caso la risposta e (−2, +∞), nel secondo caso e (−2,−1).Naturalmente l’ambiguita, che nel parlato si risolve con le pause, nella

scrittura matematica si risolve con le parentesi, il primo caso essendo

(x2 + 4x + 3 < 0 e x < −3) o x > −2

e il secondo caso

x2 + 4x + 3 < 0 e (x < −3 o x > −2).

La stessa soluzione delle parentesi1 adotteremo per le formule logiche.

3.1.1 Il linguaggio proposizionale

Le frasi di ogni linguaggio sono stringhe2 di simboli dell’alfabeto. L’alfabetodel linguaggio proposizionale contiene, oltre ai connettivi, le parentesi sinistra“(” e destra “)”, e un insieme L di lettere, dette lettere proposizionali.

Tali lettere si chiamiamo anche variabili proposizionali, ma preferiamonon seguire questo uso perche il loro dominio di variabilita (le frasi) e perora troppo indefinito3.

Le parole accettabili di questo alfabeto si chiameranno proposizioni , untermine tecnico per distinguerle dalle asserzioni dei linguaggi dotati di senso.Quello che importa delle proposizioni e solo la loro struttura formale, che poisi dovra riconoscere nelle frasi dei linguaggi naturali o matematici, quandoil linguaggio proposizionale sara interpretato sostituendo alle lettere frasirelative ad un precisato argomento.

Non tutte le stringhe di simboli dell’alfabeto sono ammesse come propo-sizioni. Una generica stringa, anche illecita, e chiamata “parola”.

La definizione dell’insieme P delle proposizioni stipula innanzi tutto che:

Per ogni lettera p ∈ L, (p) e una proposizione atomica

1Le parentesi sono state anche aggiunte al linguaggio naturale - almeno nella saggistica,meno in letteratura - con un’altra funzione, quella di racchiudere un inciso (una fraseparentetica appunto) non di articolare una frase complessa.

2Con “stringa” s’intende una lista o una successione finita. Non e necessario entra-re nei particolari del tipo di rappresentazione dei dati che si sceglie, finche non si deveimplementare.

3Quando introdurremo la semantica formale diventera preciso.

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(cioe non ulteriormente analizzata e scomposta nel contesto della trattazio-ne).

Per il resto della definizione, occorre parlare di proposizioni qualunque edella loro composizione; e quindi necessario avere delle variabili che varianosull’insieme delle proposizioni, e che si chiamano metavariabili4; useremo lelettere A, B, . . .

Si danno quindi le seguenti clausole:

1 Se A e una proposizione, anche (¬A) lo e.

2 Se • e un connettivo binario, e se A e B sono proposizioni, anche (A •B)lo e.

Le clausole della definizione sono anche regole di costruzione. S’intende cheogni proposizione si ottiene applicando un numero finito di volte le clausoledella definizione.

Esempi

1. (p ∩ q) non e una proposizione perche ∩ non e un elemento dell’alfa-beto5.

2. p ∧ q non e una proposizione, perche:

Ogni proposizione contiene almeno una parentesi6.

3. )p( non e una proposizione, come non lo sono p o )p), perche:

Ogni proposizione inizia con una parentesi ( e termina con una parentesi).

4La ragione di questo termine, non usato altrove in matematica, se non in logica, e chequeste variabili indicano elementi di una struttura che e anch’essa un linguaggio, e checontiene a sua volta variabili (le lettere) che devono essere interpretate su frasi; “meta”significa “sopra”, “oltre”, e deriva dal greco, dove significava piuttosto “dopo”; ma da chesono stati chiamati “metafisica” i libri di Aristotele che seguivano quelli di fisca, e venutaquesta variante di significato.

5Per i linguaggi formali si chiede sempre che l’alfabeto e le sue diverse categorie disimboli siano insiemi decidibili , cioe tali che l’appartenenza o meno ad essi di un simbolopossa essere decisa da un algoritmo.

6Tutte queste proprieta diventeranno esercizi sul principio di induzione nel paragrafo12.

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4. ((p) → (q)) e una proposizione perche ottenuta dalle proposizioni ato-miche (p) e (q) con una applicazione della clausola induttiva relativa a→.

5. (¬((p) → (q))) e una proposizione perche ottenuta dalle proposizioniatomiche (p) e (q) con una prima applicazione della clausola induttivarelativa a → e una seconda applicazione della clausola relativa a ¬.

6. ((p) non e una proposizione perche:

In ogni proposizione il numero di parentesi sinistre e uguale al numerodi parentesi destre.

7. (pq) non e una proposizione perche non e atomica e non contiene nessunconnettivo.

Se una proposizione e della forma (¬A) o della forma (A •B), ¬ e • sonorispettivamente il suo connettivo principale, e A e B le sottoproposizioniimmediate.

Si dice che (¬A) e una negazione, citando il suo connettivo principale, lanegazione di A - e si legge “non A”; si dice che (A ∧B) e una congiunzione,la congiunzione di A e B - e si legge “A e B”; A e B sono le proposizionicongiunte in (A∧B); analogamente per la disgiunzione7 (A∨B) - che si legge“A o B”; (A⊕B) si puo leggere “o A o B”; (A → B) si dice un condizionale -e si legge di solito “se A allora B”; A si chiama antecedente, e B conseguente;(A ↔ B) si dice bicondizionale - e si legge “A se e solo se B”.

3.1.2 Analisi sintattica

Una proposizione e una lista di simboli, ma e anche passibile di una rap-presentazione con una diversa struttura. A ogni proposizione e associatoun albero di costruzione, o di analisi sintattica8, che e un albero etichettatofinito binario.

Un albero binario9 e un insieme parzialmente ordinato10 X con una re-lazione � con le seguenti proprieta. � e una relazione riflessiva, transitiva

7Chiameremo ∨ semplicemente disgiunzione, e ⊕ disgiunzione esclusiva o forte.8In inglese parsing .9Esistono definizioni leggermente diverse, piu o meno generali, ad esempio con una o

piu radici; diamo quella che serve ai nostri scopi.10Presenteremo in seguito la definizione di relazione d’ordine e della terminologia

connessa; per ora e sufficiente la rappresentazione grafica data sotto.

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e antisimmetrica11. Gli elementi dell’albero si chiamano nodi . Se x � y, sidice che y e un successore, o un discendente di x. Esiste un nodo minimor tale che r � x per ogni nodo di X, e si chiama radice. I nodi a tali chenon esiste b 6= a per cui a � b si chiamano foglie12. Ogni nodo che non siauna foglia ha uno o al massimo due successori immediati13, dove si dice cheb e un successore immediato di a se a � b, a 6= b e non esiste un c tale chea � c � b, con c 6= a e c 6= b.

La rappresentazione usuale di un albero binario e di questo tipo:

•↙ ↘• •

↙ ↘ ↓• • •

↓•

dove con la freccia si indica il successore immediato, la radice e in alto el’albero cresce verso il basso.

Un ramo e un insieme totalmente ordinato14 di nodi che va dalla radicea una foglia. La sua lunghezza e il numero di nodi che vi appartengono.L’altezza dell’albero e la massima lunghezza dei suoi nodi.

Un albero si dice etichettato se ad ogni nodo e associato un elemento diqualche insieme prefissato, che si chiama etichetta (label). Le etichette sipossono sovrapporre ed identificare con i nodi.

L’albero sintattico di una proposizione e definito in questo modo:

• la radice e (etichettata con) la proposizione data

11Questo significa come vedremo che: a) x � x, b) se x � y e y � z allora x � z e c) sex � y e y � x allora x = y.

12Esistono sempre se l’albero, ovvero l’insieme dei nodi X, e finito.13Un’altra terminologia e “figli”. Se ci sono due figli, s’intende che sono esplicitamente

distinti il primo e il secondo - sulla pagina, a sinistra e a destra.14Per ora basti intendere che ogni nodo del ramo salvo l’ultimo ha esattamente un

successore immediato, e con ogni nodo ci sono i precedenti.

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• ogni nodo ha nessuno, uno o due successori immediati a seconda chela proposizione etichetta del nodo sia atomica, o della forma (¬A), odella forma (A • B). Nel secondo caso il successore e etichettato conA, nel terzo caso i due successori sono etichettati rispettivamente conA e con B.

Si chiama altezza della proposizione l’altezza del suo albero di costruzione.

Esempio L’albero per (((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))) e il seguente:

(((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p)))↙ ↘

((p) ∧ (¬(q))) (¬(p))↙ ↘ ↓

(p) (¬(q)) (p)↓

(q)

La sua altezza e quattro.

Le etichette dei nodi dell’albero di costruzione di una proposizione sono lesue sottoproposizioni . Le lettere che compaiono nelle (proposizioni atomichenelle) foglie sono le lettere che occorrono nella proposizione; si dice che unsimbolo occorre in una proposizione se e un elemento della lista (che e laproposizione); le occorrenze di un simbolo in una proposizione sono i variposti della lista in cui il simbolo si presenta. Se p, . . . , q sono le lettere cheoccorrono nella proposizione A, si scrive anche A[p, . . . , q]. Qualche voltasi usa questa notazione anche se p, . . . , q sono solo alcune delle lettere cheoccorrono in A, o viceversa se le lettere che occorrono in A sono incluse trale p, . . . , q; invece di introdurre notazioni distinte apposite, la differenza sarachiarita dal contesto o da esplicite precisazioni.

Le parentesi sono essenziali per individuare il connettivo principale di unaproposizione, e quindi per costruire il suo albero sintattico. Per individuareil connettivo principale, si usa un contatore di parentesi15.

Il contatore scansisce la lista da sinistra verso destra, e scatta di +1quando incontra una parentesi sinistra, di −1 quando incontra una parentesidestra. Condizione necessaria affinche una parola sia una proposizione e che

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il contatore, inizializzato a 0, torni a 0 solo alla fine della parola. Perche poi !!!la parola sia una proposizione bisogna che gli altri simboli siano distribuitiin mezzo alle parentesi in modo corretto.

Ad esempio per

(((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p)))

il contatore assume i valori:

0 1 2 3 2 3 4 3 2 1 2 3 2 1 0.

Per individuare il suo possibile connettivo principale, si elimina la coppia diparentesi esterne, e si mette di nuovo in funzione il contatore su

((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))

notando che esso assume questa volta i valori

0 1 2 1 2 3 2 1 0 1 2 1 0

tornando a 0 la prima volta quando arriva alla fine di

((p) ∧ (¬(q))),

e a destra c’e un connettivo binario.(Siccome il contatore e stato applicato ad una parola che non e una propo-

sizione - se anche quella originaria lo e, per l’eliminazione delle due parentesi- non sorprende il suo comportamento16.)

La parola ((p) ∧ (¬(q))) e candidata ad essere una sottoproposizione; ilconnettivo ∨ che compare nel prossimo posto a destra e candidato a essereil connettivo principale; l’ipotesi cioe e che se il procedimento va a buon finela proposizione sia della forma (A ∨B). Se anche la parte restante

(¬(p))

e una proposizione si sara trovato che la parola data e la disgiunzione di((p) ∧ (¬(q)) e di (¬(p)).

Poiche quest’ultima si vede facilmente che e una proposizione, proseguia-mo l’analisi di

15Horstmann, p. 76.16Invece di prendere nota di dove il contatore torna a 0 sulla parola ridotta, si puo

ovviamente prendere nota di dove torna a 1 in quella originaria.

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((p) ∧ (¬(q))).

Il contatore applicato a questa assume i valori

0 1 2 1 2 3 2 1 0

e applicato a

(p) ∧ (¬(q))

i valori

0 1 0 1 2 1 0

tornando la prima volta a 0 alla fine di (p), individuando a destra il connet-tivo ∧, che lega (p) e (¬(q)). In questo modo si arriva a costruire l’alberosintattico.

Invece

(((p) ∧ (q(¬))) ∨ (¬(p)))

non e una proposizione, nonostante il contatore si comporti come nel casoprecedente (esercizio).

Oltre ai casi che si presentano nel precedente esempio, un altro possibilee il seguente. Data la parola

(¬((p) → ((p)⊕ (q))))

il contatore assume i valori

0 1 2 3 2 3 4 3 4 3 2 1 0

ma se si tolgono le parentesi esterne e si riapplica il contatore, esso torna a 0solo alla fine. In questo caso il connettivo, che deve esserci perche e ovvio chenon si tratta di formula atomica, non puo che essere la negazione, all’inizio.Infatti in questo caso c’e. Se non ci fosse, la parola sarebbe della forma ((A)),che non e una proposizione.

Alcune parentesi sono sovrabbondanti, ma solo quelle della coppia piuesterna e quelle nelle proposizioni atomiche, dove sono usate sia per unifor-mita sia per sottolineare la differenza tra una lettera come elemento dell’al-fabeto e la lettera come proposizione17. Ma ora per comodita di scrittura e

17Tra simboli dell’alfabeto e parole c’e una differenza di tipo logico. Nei linguagginaturali si presentano alcune eccezioni, ma solo le vocali “a”, “e”, “i”, “o” sono usatecome parole; tuttavia e raro che si parli dell’alfabeto; quando lo si fa, si scrive appunto“e” e non e.

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lettura e meglio ridurre il numero di parentesi con le seguenti convenzioni:non si scrivono le parentesi intorno alle lettere nelle proposizioni atomiche,non si scrivono le parentesi piu esterne, e si eliminano alcune coppie di pa-rentesi intorno ad alcune sottoproposizioni, con un criterio sufficiente a farleripristinare in modo corretto e univoco che e formulato nel seguente modo.

Si ordinano per priorita i connettivi secondo le seguente graduatoria:

¬∧∨⊕→↔

Data quindi una parola le cui parentesi non rispettano le condizioni peressere una proposizione (sı pero la parita, il fatto che il numero di parentesisinistre sia uguale a quello delle parentesi destre, il fatto che in ogni puntoche non sia l’ultimo il numero di sinistre e maggiore o uguale di quello delledestre, e tutte le proprieta che si mantengono quando si eliminano alcunecoppie di parentesi corrispondenti) le parentesi si rimettono secondo questoprocedimento: prima si rimettono le parentesi a sinistra e a destra dellelettere18; quindi si prende in esame la negazione, se occorre nella parola; siesamina un’occorrenza della negazione che non abbia immediatamente allasua destra un’altra negazione19. Alla sua destra c’e una parentesi sinistra -altrimenti si puo dire che quella parola non proviene dalla eliminazione dicoppie di parentesi da una genuina proposizione (brevemente, che non e unaproposizione). Sia σ la parola alla sua destra che termina con la parentesidestra che chiude la parentesi sinistra. Per trovare la parentesi destra che“chiude” la parentesi sinistra si usa di nuovo il contatore in modo ovvio. !!!Allora si rimette una parentesi sinistra alla sinistra della negazione, se non

18Questo praticamente si puo fare anche alla fine, per non appesantire la scrittura,ma si faccia attenzione che in questo caso, nel procedimento sotto descritto, adiacenti aiconnettivi si possono trovare anche lettere, oltre a parole che sono delimitate da parentesi.In particolare la negazione che non abbia alla sua destra un’altra negazione puo avere ouna parentesi, e si procede come nel testo, oppure una lettera p e allora si introducono leparentesi (¬p) se non ci sono gia. Si veda oltre l’esempio.

19A parte questa condizione, l’ordine in cui si lavora sulle eventuali diverse occorrenzedella negazione, se ce ne e piu di una, non e rilevante; lo si puo anche (immaginare di)fare in simultanea. Un calcolatore lo puo fare in parallelo. Lo stesso vale per gli altriconnettivi.

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c’e gia, e una parentesi destra a destra di σ, se non c’e gia, ottenendo (¬σ);si ripete per ogni occorrenza di ¬, quindi si passa ai connettivi binari e perciascuno di essi, indicato con •, nell’ordine di priorita, si considerano le piucorte sottoparole σ e τ a sinistra e a destra di • che sono chiuse tra dueparentesi sinistre e destre, e si introduce una parentesi ( a sinistra di σ e ) adestra di τ , se non ci sono gia, ottenendo (σ • τ), e cosı via.

Per occorrenze dello stesso connettivo si conviene l’associazione a destra,cioe ad esempio con A → B → C si intende A → (B → C).

EsempiData p ∧ ¬q ∨ ¬p, la reintroduzione delle parentesi avviene attraverso

questa successione di passi:

1 (p) ∧ ¬(q) ∨ ¬(p)

2 (p) ∧ ¬(q) ∨ (¬(p))

3 (p) ∧ (¬(q)) ∨ (¬(p))

4 ((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))

5 (((p) ∧ (¬(q))) ∨ (¬(p))).

I passi 2 e 3 si possono naturalmente fare in parallelo.

Data p → ¬(q ∧ ¬¬r)

1 (p) → ¬((q) ∧ ¬¬(r))

2 (p) → ¬((q) ∧ ¬(¬(r)))

3 (p) → ¬((q) ∧ (¬(¬(r))))

4 (p) → (¬((q) ∧ (¬(¬(r)))))

5 ((p) → (¬((q) ∧ (¬(¬(r))))))

oppure, per rendere piu chiara la lettura

1 p → ¬(q ∧ ¬(¬r))

2 p → ¬(q ∧ (¬(¬r)))

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3 p → (¬(q ∧ (¬(¬r))))

4 (p → (¬(q ∧ (¬(¬r)))))

rimettendo infine le parentesi intorno alle lettere.Si noti che se fosse stata data p → ¬q ∧ ¬¬r la reintroduzione delle

parentesi avrebbe portato a una diversa proposizione:

((p) → ((¬(q)) ∧ (¬(¬(r)))))

(esercizio, e si confrontino i due alberi sintattici), per cui le due parentesi la-sciate in p → ¬(q∧¬¬r) sono essenziali, se si vuole parlare della proposizione !!!((p) → (¬((q) ∧ (¬(¬(r))))) .

Non e comunque necessario ne obbligatorio togliere tutte le parentesi;per agevolare la lettura, o all’inizio quando non si e ancora fatta esperienza,puo essere conveniente lasciarne alcune, che pure grazie alle convenzioni sipotrebbero eliminare. Cosı ad esempio si potra scrivere p → (q ∧ r) invecedi p → q ∧ r oppure (p ∨ q) → r invece di p ∨ q → r.

Le parentesi si rimettono solo se si ha necessita di capire quale e il connet-tivo principale, per svolgere l’analisi sintattica. Le parentesi esterne posso-no tranquillamente essere tralasciate, finche la proposizione non deve esserecombinata con altre mediante qualche connettivo - allora si devono rimettere.

L’albero sintattico si puo costruire direttamente anche per le espressioniprive di tutte le parentesi, se si tiene presente la priorita dei connettivi. Ilconnettivo principale e sempre quello di priorita piu bassa. !!!

Esempio L’albero per p ∧ ¬q ∨ ¬p e il seguente, essendo ∨ il connettivoprincipale:

p ∧ ¬q ∨ ¬p↙ ↘

p ∧ ¬q ¬p↙ ↘ ↓p ¬q p

↓q.

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Le etichette sono diverse, ma l’albero e lo stesso della proposizione analizzatain precedenza.

Dal prossimo paragrafo, chiameremo “proposizioni” anche le parole otte-nute da proposizioni per eliminazione di parentesi.

3.1.3 Esercizi

1. Discutere se le seguenti parole sono proposizioni:

(p ∧ (q)

(p)) ∧ q)

((p) ∧ q)

((p) ∧ (¬(q)))

((p) → ∧)

p

((p)).

2. Verificare quali delle seguenti parole sono proposizioni - secondo la defi-nizione originaria - e quali no, costruendo l’albero sintattico e spiegandodove eventualmente la costruzione fallisce e per quale ragione:

(¬(¬p))

((p) → ((q) ∨ (¬(r))))

(¬¬((p) → (q)))

((((p) → (q)) ∧ (p)) → (q))

((¬(p)) ∧ (q)) ∨ (r))

(((¬(p)) ∧ (q)) ∨ (r))

((p) ∧ (q) ∧ (r)).

3. Dare ragioni per le seguenti proprieta (e si vedano poi gli esercizi in12.10.1):

Ogni proposizione ha lunghezza maggiore o uguale a 3.

In ogni proposizione non atomica occorre un connettivo.

In nessuna proposizione occorrono due connettivi consecutivi.

In nessuna proposizione occorre la sottosequenza (), ne )p.

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In ogni proposizione la sua lunghezza (come lista) e maggiore della suaaltezza.

4. Una misura di complessita delle proposizioni e una funzione dalle pro-posizioni nei numeri naturali che soddisfa la condizione che la misuradi una proposizione e maggiore delle misure delle proposizioni compo-nenti, e le atomiche hanno tutte la stessa misura minima. Il numero (dioccorrenze) dei connettivi e una misura di complessita, come lo sono lalunghezza (della stringa) e l’altezza (dell’albero sintattico).

Trovare la relazione tra il numero di occorrenze di connettivi e l’altezza.

Dimostrare con un controesempio che il numero di connettivi diversinon e una misura di complessita.

5. Eliminare le parentesi, applicando le convenzioni sulla priorita dei con-nettivi, dalle seguenti proposizioni:

((p) ∧ ((¬(q)) → (¬(p))))

((¬(¬(¬(p)))) ∨ ((p) ∧ (q)))

(((¬(p)) ∨ (¬(q))) ∧ ((¬(p)) ∨ (q)))

(((p)⊕ (¬(q))) → ((p) ∨ (¬(q)))).

6. Reintrodurre le parentesi nelle seguenti parole in modo da ottenere, sepossibile, proposizioni, o se no spiegare il perche:

¬¬p

¬p ∧ q ∨ r

p → q ∨ ¬r

(p → q) ∧ p → q

p → q ∧ p → q

p ∨ q ∧ r → ¬p

p ∧ q ∧ r ∨ ¬r

p ∧ (→ r ∨ q)

p⊕ ¬q → ¬p⊕ q

p⊕ q ∨ r.

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7. Definire le proposizioni nel seguente modo: Ogni lettera p e una pro-posizione; se A e una proposizione, anche ¬(A) e una proposizione; se• e un connettivo binario e A e B sono proposizioni, anche (A) • (B) euna proposizione.

Definire il nuovo procedimento per decidere se una parola e una pro-posizione e costruire l’albero sintattico.

Discutere eventuali vantaggi e svantaggi della definizione alternativa.

3.2 Semantica

La semantica ha a che fare con le interpretazioni, grazie alle quali le proposi-zioni, con la sostituzione di frasi alle lettere, vengono ad assumere un senso(che a noi non interessa, lo bypassiamo) e diventano vere o false. Tale attri-buzione finale di valori di verita e per noi l’operazione di interpretazione, cheviene studiata in astratto per vedere se abbia proprieta generali, indipendentidalle interpretazioni concrete.

I valori di verita saranno rappresentati dall’insieme20 {0, 1}. Ci si collocacon tale scelta nell’ottica della logica classica a due valori.

Nell’insieme {0, 1} e necessario introdurre un minimo di struttura21: lapiu semplice consiste in convenire che 0 < 1 e usare la sottrazione come se 0e 1 fossero numeri interi, con | x | a indicare il valore assoluto.

Un’interpretazione e una funzione22 i : L −→ {0, 1}; una valutazione euna funzione v : P −→ {0, 1} che soddisfa le seguenti condizioni23:

v((¬A)) = 1− v(A)v((A ∧B)) = min{v(A), v(B)}v((A ∨B)) = max{v(A), v(B)}v((A⊕B)) = | v(A)− v(B) |v((A → B)) = max{1− v(A), v(B)}v((A ↔ B)) = 1− | v(A)− v(B) | .

20Altre notazioni per i valori di verita sono {V, F}, {T, F}, {>,⊥}, {True, False}.21Vedremo in seguito che si puo considerare un’algebra di Boole.22La notazione con la freccia sara spiegata in seguito; per ora si intenda che a ogni lettera

corrisponde un valore di verita, e per la valutazione v che a ogni proposizione corrispondeo 0 o 1.

23Si noti che in v((¬A)) e in altre espressioni analoghe ci sono due tipi di parentesi, cheandrebbero tipograficamente distinte; quelle interne sono le parentesi della proposizione,quelle esterne servono per la notazione funzionale v(x).

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In alternativa, si considerano 0 e 1 come interi modulo24 2, {0, 1} = Z2, e siscrivono le condizioni:

v((¬A)) = 1 + v(A)v((A ∧B)) = v(A) · v(B)v((A ∨B)) = v(A) + v(B) + v(A) · v(B)v((A⊕B)) = v(A) + v(B)v((A → B)) = 1 + v(A) · (1 + v(B))v((A ↔ B)) = 1 + (v(A) + v(B)).

Ogni interpretazione i si estende a una valutazione i∗ ponendo

i∗((p)) = i(p)

e definendo i∗ sulle proposizioni composte in modo da soddisfare le condizionidella definizione di valutazione.

Per ogni valutazione v il valore di verita di una proposizione A si ottieneapplicando ai valori delle sottoproposizioni immediate di A una funzione, chedipende dal connettivo principale di A.

3.2.1 Tavole di verita

Ad ogni connettivo e associata una funzione di verita, cioe una funzione da{0, 1}n in {0, 1}, dove n e il numero di argomenti del connettivo ({0, 1}n el’insieme delle n-uple di 0 e 1). Per il loro carattere finito queste funzionisono rappresentate da tabelle, che sono dette tavole di verita.

La tavola di verita della negazione e:

A ¬A

0 11 0

la tavola di verita della congiunzione:

A B A ∧B

0 0 00 1 01 0 01 1 1

24Per chi non sa cosa significa, sara spiegato in seguito, l’importante e che 1 + 1 = 0.

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la tavola di verita della disgiunzione:

A B A ∨B

0 0 00 1 11 0 11 1 1

la tavola di verita della disgiunzione esclusiva:

A B A⊕B

0 0 00 1 11 0 11 1 0

la tavola di verita del condizionale:

A B A → B

0 0 10 1 11 0 01 1 1

e la tavola di verita del bicondizionale:

A B A ↔ B

0 0 10 1 01 0 01 1 1

Quando si deve trovare il valore di verita di una proposizione, o di un nu-mero finito di esse, sotto un’interpretazione, e sufficiente considerare i valoriassunti dalle lettere che vi compaiono, quindi le interpretazioni diventanoassegnazioni di valori 0 o 1 ad un numero finito di lettere, e per ogni propo-sizione ce ne e un numero finito. Data una proposizione, il calcolo dei suoivalori di verita per ogni possibile interpretazione si puo organizzare in unatabella con i valori progressivi attribuiti alle sottoproposizioni (individuatedall’analisi sintattica), come nei seguenti esempi:

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Page 48: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Se A e p ∧ ¬p → q:

p q ¬p p ∧ ¬p p ∧ ¬p → q

0 0 1 0 10 1 1 0 11 0 0 0 11 1 0 0 1

Se A e p ∨ r → ¬p ∧ (q → r):

p q r ¬p q → r ¬p ∧ (q → r) p ∨ r A

0 0 0 1 1 1 0 10 0 1 1 1 1 1 10 1 0 1 0 0 0 10 1 1 1 1 1 1 11 0 0 0 1 0 1 01 0 1 0 1 0 1 01 1 0 0 0 0 1 01 1 1 0 1 0 1 0

Tali tabelle si chiamano tavole di verita delle proposizioni.Come si vede dagli esempi, ci sono proposizioni che per ogni interpreta-

zione hanno il valore 1, altre che per alcune interpretazioni hanno il valore 0e per altre interpretazioni il valore 1. Si possono dare esempi di proposizioniche per ogni interpretazione assumono il valore 0 (esercizio).

Si ricordi che una proposizione, in quanto schema, non e ne vera ne falsa; !!!solo la sua tavola di verita completa spiega tutti i possibili modi in cui loschema puo realizzarsi nelle diverse interpretazioni.

3.2.2 Esercizi

1. Costruire la tavola di verita delle proposizioni:

(p → p) → p

p → (p → p)

p ∨ q → p ∧ q

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Page 49: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

p ∨ q ∧ r → p ∧ r ∨ s

(p ∨ q) ∧ r → p ∧ (r ∨ s)

p → (q → p).

2. Spiegare quale e la disgiunzione usata nella programmazione, in consi-derazione del fatto che ivi si adotta la valutazione pigra: “quando vie-ne valutata una disgiunzione, e la prima condizione e vera, la secondacondizione non viene esaminata”25.

3. Trovare le tavole di verita corrispondenti a “a meno che”, “anche se”.

4. Scrivere la tavola di verita per le particelle logiche “ne . . . ne” e “non(e vero che) sia . . . sia . . . ”.

5. Costruire la tavola di verita per “se . . . allora . . . , altrimenti . . . ”.

Avvertenza. Si faccia attenzione che il costrutto if . . . then nei lin-guaggi di programmazione e usato piuttosto come ↔; se lo statemente falso l’istruzione non viene eseguita: ad esempio “se si esegue

if importo ≤ saldo then saldo := saldo - importo,

l’enunciato dell’assegnazione verra eseguito solo se l’importo da prele-vare e minore o uguale al saldo”26.

3.2.3 Validita e conseguenza

Se i∗(A) = 1, si dice che A e vera nell’interpretazione i, o che i soddisfa A,o che i e un modello di A, e si scrive anche !!!

i |= A.

Se esiste almeno una i tale che i |= A, si dice che A e soddisfacibile, o(semanticamente) consistente. Se non esiste alcun modello di A, si dice cheA e insoddisfacibile, o (semanticamente) inconsistente, o contraddittoria, ouna contraddizione. Se per ogni i si ha i |= A, si dice che A e logicamentevalida, o logicamente vera, o una tautologia, e si scrive

|= A.

25Horstmann, p. 212.26Horstmann, p. 186.

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Page 50: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Si dice che B e conseguenza logica di A, o che A implica B, e si scrive

A |= B

se per ogni i, se i |= A allora i |= B. Si noti che, grazie alla tavola di veritadel condizionale,

Osservazione 3.2.1 Per ogni A e B,

A |= B se e solo se |= A → B.

Se A e27 A1∧. . .∧An, invece di A1∧. . .∧An |= B si scrive A1, . . . , An |= B.Se T = {A1, . . . , An}, allora si dice che i soddisfa T se e solo se i |= A1 ∧. . . ∧ An.

Se A |= B e B |= A, si dice che A e B sono logicamente equivalenti , oanche solo equivalenti, e si scrive A ≡ B.

Osservazione 3.2.2 Per ogni A e B,

A ≡ B se e solo se |= A ↔ B.

Si noti che |= e ≡ sono segni metalinguistici, non connettivi.Le tautologie, in particolare quelle che sono nella forma di equivalenze o

implicazioni, sono dette anche leggi logiche.Un elenco di leggi logiche notevoli e presentato nella pagina successiva.

27Si veda fra due pagine per la notazione.

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Page 51: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Leggi logiche notevoli 1

A → A legge dell′identitaA ↔ ¬¬A legge della doppia negazioneA ∧B ↔ B ∧ A commutativita di ∧(A ∧B) ∧ C ↔ A ∧ (B ∧ C) associativita di ∧A ∨B ↔ B ∨ A commutativita di ∨(A ∨B) ∨ C ↔ A ∨ (B ∨ C) associativita di ∨A ∧ A ↔ A idempotenza di ∧A ∨ A ↔ A idempotenza di ∨A ∧B → A eliminazione di ∧A → A ∨B introduzione di ∨A ∧ (B ∨ C) ↔ (A ∧B) ∨ (A ∧ C) distributivitaA ∨ (B ∧ C) ↔ (A ∨B) ∧ (A ∨ C) distributivitaA ∧ (A ∨B) ↔ A legge di assorbimentoA ∨ (A ∧B) ↔ A legge di assorbimento¬(A ∧B) ↔ (¬A ∨ ¬B) legge di De Morgan¬(A ∨B) ↔ (¬A ∧ ¬B) legge di De Morgan¬A ∨ A legge del terzo escluso¬(A ∧ ¬A) legge di non contraddizioneA → B ↔ ¬B → ¬A legge di contrapposizioneA ∧ ¬A → B Lewis, o ex falso quodlibetA → (B → A) affermazione del conseguente¬A → (A → B) negazione dell ′antecedente(A → B ∧ ¬B) → ¬A legge di riduzione all′assurdo(A → ¬A) → ¬A riduzione all′assurdo debole(¬A → A) → A consequentia mirabilis((A → B) → A) → A legge di Peirce(A → B) ∨ (B → A) legge di DummettA → ((A → B) → B) modus ponensA → (B → C) ↔ B → (A → C) scambio antecedenti(A → C) ∧ (B → C) ↔ A ∨B → C distinzione di casi(A → B) ∧ (¬A → B) → B distinzione di casi(A → (B → C)) → ((A → B) → (A → C)) distributivita di →(A → B) ∧ (B → C) → (A → C) transitivita di →A → (B → C) ↔ (A ∧B) → C importazione/esportazione

delle premesse

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Page 52: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Per verificare queste leggi, dove A, B, . . . sono qualunque, si devono pri-ma verificare le stesse nel caso particolare che A, B, . . . siano atomiche (adesempio p → p per la legge dell’identita), e poi sfruttare il fatto che se A[p]e una tautologia e B e qualunque, allora anche il risultato della sostituzionedi B a p in A e una tautologia (vedi esercizi).

Per le leggi che nella tabella sono scritte come condizionali e non bicondi-zionali, si vedra in seguito che l’implicazione inversa in generale non sussiste(salvo alcuni casi, ad esempio per l’inverso della riduzione all’assurdo debole¬A → (A → ¬A), che rientra nell’affermazione del conseguente).

L’associativita della congiunzione giustifica che si possa scrivere senzaambiguita, indipendentemente dalle convenzioni sulle parentesi, A ∧ B ∧ Cper (indifferentemente) A∧ (B∧C) o (A∧B)∧C, o in generale A1∧ . . .∧An

(e lo stesso per la disgiunzione). A ∧ (B ∧ C) e (A ∧ B) ∧ C sono diverse(si disegni il loro albero sintattico) ma si dice che sono uguali a meno diequivalenza logica.

Anche le seguenti sono leggi logiche:

A → B ↔ ¬A ∨B(A ↔ B) ↔ (A → B) ∧ (B → A)A⊕B ↔ (A ∧ ¬B) ∨ (B ∧ ¬A)A⊕B ↔ (A ∨B) ∧ ¬(A ∧B).

Si noti che le due leggi per ⊕ forniscono un esempio di come una particellalogica possa essere espressa con diversi giri di frase equivalenti; queste equi-valenze in genere mostrano cosa significa che frasi diverse vogliono dire lastessa cosa.

Per mezzo di esse, dalle leggi elencate sopra se ne derivano altre; adesempio dal modus ponens e dall’esportazione, con la prima, si ricava

A ∧ (¬A ∨B) → B sillogismo disgiuntivo.

Ma queste leggi soprattutto permettono di vedere che i connettivi ⊕,→,↔sono definibili in termini di ¬,∧ e ∨.

Alcune leggi sono spesso presentate in forma di regole di inferenza; adesempio il modus ponens , invece che da A, A → B |= B, da

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Page 53: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

A, A → B

B,

il sillogismo disgiuntivo da

A, ¬A ∨B

B

o da

¬A, A ∨B

B,

l’eliminazione della congiunzione da

A ∧B

Ae

A ∧B

B

e l’introduzione della disgiunzione da

A

A ∨Be

B

A ∨B

e altre ancora possibili.

Le regole e la loro rappresentazione grafica si interpretano nel seguentemodo. Le leggi corrispondenti permettono di asserire che se sono vere leproposizioni sopra la riga, o premesse della regola, allora e vera anche laproposizione sotto la riga, o conclusione. Regole d’inferenza di questo generesi dicono corrette se le premesse implicano logicamente la conclusione - quindile regole sopra elencate sono corrette.

Per mezzo delle regole di inferenza si deduce una proposizione da un’altra,o da altre date, che si chiamano assunzioni; si dice che una proposizione B sideduce da un’altra A se A |= B e se questo fatto e riconosciuto e certificatoda una spiegazione.

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Un modo per riconoscere la sussistenza di A |= B e quello di inserire tra Ae B altre proposizioni legate tra loro dalla relazione di premesse-conclusionedi regole corrette.

Ad esempio per stabilire

(r → p ∨ q) ∧ r ∧ ¬p |= q

si puo eseguire la seguente deduzione:

(r → p ∨ q) ∧ r ∧ ¬pr → p ∨ q

r¬p

p ∨ qq

usando l’eliminazione della congiunzione, il modus ponens e il sillogismodisgiuntivo.

La relazione di conseguenza logica e evidentemente transitiva: se A |= Ce C |= B allora A |= B (esercizio).

3.2.4 Esercizi

1. Verificare con le tavole di verita le precedenti leggi logiche.

2. Spiegare perche

• Se |= A allora B |= A per ogni B.

• Se |= A allora |= A ∨B per ogni B.

• Se |= A e |= A → B allora |= B.

3. Spiegare perche se A[p] e una tautologia, anche la proposizione che siottiene sostituendo p con una B qualunque e una tautologia.

4. Verificare la seguente generalizzazione delle leggi di assorbimento, cheA ≡ A ∨ C se C |= A, e che A ≡ A ∧ C se A |= C. !!!

5. Verificare che A ≡ T ∧ A se T e una tautologia e che A ≡ F ∨ A se Fe una contraddizione, e dedurlo dal risultato del precedente esercizio.

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6. Verificare che A → B ≡ ¬(A ∧ ¬B) (sia con le tavole, sia in base alladefinizione di interpretazione).

7. Verificare che A⊕B e equivalente a ¬(A ↔ B), in base alla definizionedi interpretazione.

8. Verificare che |= A⊕ ¬A.

9. Verificare che |= A⊕B → A ∨B ma non viceversa.

10. Spiegare perche A → A⊕B non e logicamente vera.

11. Verificare che p ∨ q e equivalente a p ∨ (q ∧ ¬p) ed a p⊕ (q ∧ ¬p).

12. Verificare che la regola del sillogismo disgiuntivo e corretta anche con⊕ al posto di ∨.

13. Notare che ¬(A⊕B) ≡ ¬A⊕B (provare a trovare frasi in italiano chesi possono dire bene in entrambi i modi).

14. Verificare se valgono le distributive tra ∧ e ⊕.

15. Verificare se A⊕ (B ⊕ C) ≡ (A⊕B)⊕ C.

16. In base al precedente esercizio, discutere quando A1 ⊕ . . .⊕An e vera.

17. Verificare che ¬¬¬¬A ≡ A e che ¬¬¬¬¬¬¬A ≡ ¬A. Generalizzare.

18. Si consideri il problema del merging di due liste List1 e List2 in unaterza lista List3 (ad esempio nomi, in ordine alfabetico).

Una prima formulazione dell’algoritmo e la seguente: nello scorrere ledue liste, se List1 non e esaurita e List2 e esaurita oppure l’elementoin considerazione di List1 precede il primo non ancora inserito di List2,allora l’elemento di List1 e inserito in List3.

Un’altra formulazione potrebbe essere la seguente: il prossimo elementoin List3 e preso da List1, ed e il primo elemento di List1 non ancorainserito, quando List1 non e esaurita e List2 sı, oppure quando List1non e esaurita e l’elemento in considerazione di List1 precede il primonon ancora inserito di List2.

Usando lettere p, q, r per rappresentare rispettivamente “List1 non eesaurita”, “List2 e esaurita” e “l’elemento di List1 precede quello di

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List2”, scrivere le proposizioni corrispondenti alle due versioni dellecondizioni (che portano entrambe a mettere in List3 l’elemento in esamedi List1), e discutere se siano o no equivalenti, in base a quali leggi.

Si noti che ovviamente nella prima versione c’e un’ambiguita dovutaalla presenza di congiunzione e disgiunzione; discutere le due versionie scegliere quella giusta.

19. Si distribuiscono carte da gioco, piu di una per giocatore, e si sa cheun giocatore ha in mano un Asso o un Re. Si considerino le seguentidue proposizioni:

A: se in mano ha un Asso, ha un 2B: se in mano ha un Re, ha un 2.

Che cosa si puo dedurre da A ⊕ B, cioe se esattamente una tra leproposizioni A e B e vera?Che cosa si puo dedurre se entrambe le proposizioni A e B sono vere?

20. Per conquistare la principessa, Aladino deve scegliere di aprire una didue scatole A e B; sa che in una c’e un anello di fidanzamento, nell’altraun serpente velenoso. Sulla scatola A e scritto: “Almeno una di questescatole contiene un anello”; sulla scatola B e scritto: “Nella scatolaA c’e un serpente velenoso che uccide all’istante”. Ad Aladino vienedetto che o entrambe le scritte sono vere, o entrambe false. Qualescatola apre?

21. “Se io ho ragione, tu hai torto; se tu hai ragione, io ho torto; quindiuno di noi ha ragione”. Corretto o no? Perche?

22. “La storia insegna che non si impara niente dalla storia”. Vero o falso?Perche?

Suggerimento. Riduzione all’assurdo debole.

3.3 Sull’implicazione

Abbiamo distinto il condizionale, che e un connettivo, o il nome di una pro-posizione della forma A → B, dall’implicazione, che e una relazione traproposizioni, e non si scrive A → B ma |= A → B. “A implica B” significa“il condizionale A → B e una tautologia”.

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La terminologia e qualche volta ambigua perche per leggere ad esempiouna regola come il sillogismo disgiuntivo si trova anche detto “se A e ¬A∨Ballora B”, in alternativa a “A e ¬A∨B implicano B”. Se si e in un contestodeduttivo si capisce forse che si sta parlando dell’implicazione e non leggendosemplicemente la forma di una proposizione. L’importante ad ogni modo none la terminologia quanto capire la differenza.

Il soggetto di “A implica B” non e A ma A → B. Qualche volta, inanalogia al caso dell’equivalenza, si introduce un simbolo speciale per l’im-plicazione, che assomigli a un connettivo, ad esempio A ⇒ B; il nostrosimbolo e |=.

Si dice ad esempio “il condizionale p → p ∨ q ha cinque simboli”, non“l’implicazione p → p ∨ q ha cinque simboli”, perche l’implicazione e unfatto che sussiste o no, e un fatto non e formato da simboli. Al massimo eun predicato, sotto cui cadono alcuni condizionali, come in “il condizionalep → p ∨ q e un’implicazione”. Oppure si puo dire che vale l’implicazionep → p∨ q, ma non si parlera ad esempio dell’implicazione p → q ∨ r, che none una tautologia.

Siccome purtroppo la terminologia non e uniforme, e si possono trovareusate entrambe le parole, bisogna fare attenzione al contesto.

Nella tradizione logica, il condizionale era anche chiamato “implicazione mate-riale”, per distinguere la relazione di conseguenza da altre forme di implicazione,o da altri sensi del costrutto “se . . . allora”.

In effetti, il significato di “se . . . allora” e polimorfo:

• significato logico (o inferenziale):

Se tutti gli uomini sono mortali e Socrate e un uomo, allora Socrate emortale.

• significato definitorio:

Se e scapolo, allora non e sposato.

• significato causale:

Se si immerge una cartina di tornasole e diventa rossa, allora il liquido e unacido.

• significato materiale:

Se la Terra vola, allora la Terra e piatta.

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E difficile trovare qualcosa di positivo in comune tra queste diverse accezioni del“se . . . allora”. In particolare il caso che ha sollevato maggiori discussioni e l’ultimo,come considerare il condizionale se antecedente e conseguente sono entrambe false.

Una cosa in comune ce l’hanno, ed e che in tutte le accezioni l’unico modoper dichiarare il condizionale falso e quello di riscontrare antecedente vera e con-seguente falsa, anche per il significato materiale: “se la Terra e rotonda, allora ilSole e freddo” si considera falso.

Allora il significato parziale comune si puo esprimere riempiendo la tavola diverita con i valori che sono di fatto quelli di ¬(A ∧ ¬B): !!!

Un condizionale e corretto [secondo Crisippo] se la negazione dellasua conclusione e incompatibile con la sua premessa (Sesto Empirico,Schizzi pirroniani , II, 110-2).

Si ottiene cosı quella che gli antichi chiamavano implicazione materiale:

Secondo lui [Filone di Megara] ci sono tre modi in cui un condizionalepuo essere vero, e uno in cui puo essere falso. Perche un condizio-nale e vero quando inizia con una verita e termina con una verita,come “se e giorno, e chiaro”. Ed e vero anche quando inizia con unafalsita e termina con una falsita, come “se la terra vola, la terra haali”. Analogamente, e vero un condizionale che inizia con una falsitae termina con una verita, come “se la terra vola, la terra esiste”. Uncondizionale e falso soltanto quando inizia con una verita e terminacon una falsita, come “se e giorno, e notte” (Sesto Empirico, Contro imatematici , VIII, 113).

Con questa scelta per la tavola di → si giustifica la regola del modus ponens, chee quello che interessa, per l’uso che se ne fa nei discorsi con “se . . . allora”.

Il motivo per cui il condizionale e difficile e controverso e che non gli si puoassociare una rappresentazione mentale immediata di quello che descrive. Quandosi ascolta A∧B, le rappresentazioni nella mente del fatto descritto da A e di quellodescritto da B vengono fuse in un’unica rappresentazione, del fatto descritto da A∧B, affiancandole o integrandole; anche con A ∨B le due rappresentazioni possonoessere compresenti, con l’attenzione che si sposta dall’una all’altra e viceversa,come se si guardassero alternativamente due quadri vicini. Con il condizionale none possibile avere una rappresentazione del fatto descritto da A → B, combinandoquelle relative ad A e B. Non esiste una rappresentazione unica della falsita diA. Vengono meno percio gli ausili dell’immaginazione e della sensibilita; l’unicomodo per dominare il condizionale e quello di imparare bene fino a interiorizzarle

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le sue condizioni d’uso, sia il calcolo dei valori di verita sia le leggi e le regole chelo concernono.

La definizione del condizionale tuttavia non e solo adeguata per svolgere ledimostrazioni, grazie alla giustificazione del modus ponens, ma e anche comoda(nella scelta di dare il valore vero quando l’antecedente e falsa) per la costruzionegenerale dei linguaggi formali, e la trattazione dei quantificatori universali ristretti,come abbiamo visto.

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4 Insiemi e algebre di Boole

Esempi di proposizioni a cui si applicano utilmente le nozioni e le tecnichelogiche sono le formule matematiche; consideriamo dapprima formule senzaquantificatori, che sono quelle a cui gli studenti sono abituati, anzi le unicheche sono abituati a chiamare formule. In esse compaiono le variabili x, y, . . .

Le variabili che occorrono in una formula, ad esempio x in 1 < x <3, si chiamano anche variabili individuali, perche prendono come valori glielementi dell’universo del discorso. In generale, un’asserzione in cui comparela variabile x sara indicata con p(x).

Una formula del genere, ad esempio 1 < x < 3, non si puo dire ne verane falsa, in quanto non e precisato se la variabile della essere intesa in sensouniversale o particolare. Non la si riesce neanche a leggere in italiano: “unnumero compreso tra 1 e 3”? “i numeri compresi tra 1 e 3”? ma manca ilverbo. Non si puo leggere “un numero e compreso tra 1 e 3” perche alloracome leggere 3 < x < 1? Di fronte a questa si dice “non esiste un numeromaggiore di 3 e minore di 1”, ma allora si introducono i quantificatori.

Di solito la si legge tuttavia come una proposizione che afferma qualcosaa proposito di x, dove x denota un elemento non precisato dell’universo: “xe compreso tra 1 e 3”; e come se fosse presente un numero incappucciato, chedice “io sono compreso tra 1 e 3”. Se si toglie il cappuccio ed appare 2 hadetto il vero, se appare 0, o 3 o 5 ha detto il falso.

Supponiamo che l’universo sia costituito dai numeri naturali. Se il nu-mero incappucciato continua dicendo “quindi io sono il numero 2”, bisognaammettere che l’inferenza e corretta, anche senza togliergli il cappuccio. Laformula 1 < x < 3 e soddisfatta dal solo elemento 2, e possiamo affermare1 < x < 3 → x = 2.

Se invece l’universo di discorso, che dalla formula in se non si evince, e !!!quello dei numeri reali, la formula e soddisfatta anche da 1.1, da 1.9, da 2.5,da√

2 e da tutti gli infiniti elementi dell’intervallo (1, 3).Le formule p(x) senza quantificatori sono usate in matematica per studiare

da quali elementi sono soddisfatte: innanzi tutto se ∀xp(x) e vero o falso,e se ∃xp(x) e vero o falso; ma soprattutto, quando ∃xp(x) e vero, quale el’insieme dei valori che soddisfano p(x).

La formula 1 < x < 3 d’altra parte e un’abbreviazione per 1 < x∧ x < 3;perche un valore di x la soddisfi, questo valore deve soddisfare sia 1 < x siax < 3.

Abbiamo dunque formule che assomigliano a quelle le linguaggio propo-

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sizionale, in quanto sono composizione mediante connettivi di formule atom-iche, solo che queste ultime invece di lettere sono espressioni che contengonoanche x. Si potrebbe dire che si tratta di un linguaggio proposizionale ap-plicato. Ogni volta che si da a x un valore, nell’universo fissato, e comeassegnare il valore vero o falso alle componenti atomiche. Parleremo persemplicita anche in questo caso per ora di proposizioni, per non complicarela terminologia, quando applicheremo risultati della logica proposizionale,oppure le chiameremo formule, in analogia alle formule matematiche.

4.1 Algebra degli insiemi

Se le proposizioni si riferiscono a un dominio di discorso costituito da uninsieme U , “U” per “universo”, ad ognuna di queste proposizioni p(x) eassociato un insieme, che si puo chiamare insieme di verita di p(x):

Vp(x) = {x ∈ U | p(x) e vero in U}.

Nel linguaggio insiemistico, x ∈ X significa che x e un elemento di X,o che x appartiene a X; x 6∈ X significa che x non appartiene a X, eun’abbreviazione per ¬ (x ∈ X).

Con la notazione {x ∈ U | p(x) e vero in U}, si indica l’insieme deglielementi di U per cui p(x) e vero in U , o che soddisfano la condizione p(x)in U . Talvolta si scrive anche {x ∈ U | p(x)} o addirittura {x | p(x)} se echiaro l’insieme ambiente U .

Con la notazione {x1, . . . , xn} si indica l’insieme i cui elementi sono x1,. . . , xn.

L’insieme {x, y} si chiama coppia (non ordinata) di x e y, che sono gliunici elementi di {x, y}: x ∈ {x, y} e y ∈ {x, y}1, e inoltre z ∈ {x, y} → z =x∨ z = y. La coppia {x, y} ha due elementi se x 6= y; altrimenti se x = y neha uno solo, si indica {x} e si chiama anche insieme unitario, o singoletto dix.

L’insieme di verita di p(x) e anche l’insieme definito da p(x) in U . Adesempio, se U = {a, b, c, d} e p(x) e x = a ∨ x = b, l’insieme definito da p(x)in U e {a, b}.

1Talvolta si scrive x, y ∈ X per “x ∈ X e y ∈ X”, quindi x, y ∈ {x, y}.

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Se U e l’insieme dei numeri naturali e p(x) e la condizione “x e divisibileper 2”, l’insieme di verita di p(x) e l’insieme dei numeri pari, e tale insiemee definito dalla condizione “x e divisibile per 2”.

Un insieme di verita e un sottoinsieme di U ; si dice che X e un sottoin-sieme di Y , o che e contenuto2 in Y , in simboli X ⊆ Y , se ogni elemento diX e anche elemento di Y : per ogni x, se x ∈ X allora x ∈ Y .

Qualche volta, raramente, si scrive Y ⊇ X per X ⊆ Y .Si dice che X e un sottoinsieme proprio di Y , e si scrive X ⊂ Y , se X ⊆ Y

ma X 6= Y .Se X ⊆ Y e Y ⊆ X allora X e Y hanno gli stessi elementi; questo

per definizione significa che X = Y . Quello che caratterizza gli insiemi nonsono le loro eventuali definizioni ma i loro elementi; ad esempio l’insieme deitriangoli con tre lati uguali e l’insieme dei triangoli con tre angoli uguali sonolo stesso insieme. Cosı pure {x, y} = {y, x}, da cui la dizione “non ordinata”per la coppia.

Le operazioni insiemistiche principali, sui sottoinsiemi di un insieme U ,sono le seguenti:

Complemento. Il complemento di X (rispetto a U) e l’insieme degli elementidi U che non appartengono a X:

∼ X = {x ∈ U | x 6∈ X}.

Differenza. La differenza di X meno Y e l’insieme degli elementi di U cheappartengono a X e non a Y :

X \ Y = {x ∈ U | x ∈ X ∧ x 6∈ Y }.

Differenza simmetrica. La differenza simmetrica di X e Y e l’insieme deglielementi di U che appartengono a X e non a Y o a Y e non a X:

X4Y = {x ∈ U | x ∈ X ⊕ x ∈ Y }.

Intersezione. L’intersezione di X e Y e l’insieme degli elementi di U cheappartengono sia a X sia a Y :

2Si distingue tra “essere contenuto”, che si riferisce a sottoinsiemi, ed “appartenere”,che si riferisce ad elementi.

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X ∩ Y = {x ∈ U | x ∈ X ∧ x ∈ Y }.

X ∩Y si legge: “X intersezione Y ” o “X intersecato con Y ” o “l’intersezionedi X e Y ”.

Unione. L’unione di X e Y e l’insieme degli elementi di U che appartengonoad almeno uno dei due insiemi X e Y :

X ∪ Y = {x ∈ U | x ∈ X ∨ x ∈ Y }

X ∪ Y si legge: “X unione Y ” o “X unito a Y ” o “l’unione di X e Y ”.

L’intersezione di X e Y e il piu grande insieme che e contenuto sia in Xsia in Y , nel senso che

X ∩ Y ⊆ X3

X ∩ Y ⊆ Y

e

se Z ⊆ X e Z ⊆ Y allora Z ⊆ X ∩ Y

mentre l’unione di X e Y e il piu piccolo insieme che contiene sia X sia Y ,nel senso che

X ⊆ X ∪ YY ⊆ X ∪ Y

e

se Y ⊆ X e Z ⊆ X allora Y ∪ Z ⊆ X.

Per dimostrare X ∩ Y ⊆ X ad esempio, si osservi che se x ∈ X ∩ Y allorax ∈ X ∧ x ∈ Y , ma x ∈ X ∧ x ∈ Y → x ∈ X, quindi x ∈ X. Inoltrex ∈ X ∧ x ∈ Y → x ∈ Y , quindi X ∩ Y ⊆ Y . In modo analogo per le altre.

Si faccia attenzione che in italiano l’unione e descritta anche con la con-giunzione: l’unione di X e di Y contiene gli elementi di X e di Y .

3Si noti che non occorrono parentesi perche non e possibile interpretare questa formulacome X ∩ (Y ⊆ X) in quanto si avrebbe un’operazione tra un insieme e una proposizione- un errore di tipo, si dice in logica. Qualche volta le parentesi di mettono per agevolarela lettura.

59

Page 64: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Nella proprieta di minimalita dell’unione troviamo la spiegazione delloscambio di “e” ed “o” osservato in precedenza in certe frasi. Se si indicacon Y l’insieme delle mele, con Z l’insieme delle pere, e con X l’insieme deifrutti, allora la frase “mele e pere sono frutti”, intesa come “le mele sonofrutti e le pere sono frutti” significa che Y ⊆ X ∧Z ⊆ X, ma questa implicaY ∪ Z ⊆ X, cioe che “mele o pere sono frutti”.

Viceversa, se Y ∪Z ⊆ X, allora siccome Y ⊆ Y ∪Z si ha, per la transitivitadi ⊆ - vedi oltre - che Y ⊆ X e analogamente Z ⊆ X, cioe “mele o pere sonofrutti” implica a sua volta “le mele sono frutti e le pere sono frutti”.

Le operazioni insiemistiche corrispondono ai connettivi: l’appartenenza alcomplemento e definita mediante la negazione, l’appartenenza all’intersezionemediante la congiunzione, e cosı via. In analogia, si possono usare le stesseconvenzioni sull’ordine di priorita dei simboli di operazione (∼,∩,∪) per !!!ridurre il numero di parentesi.

Viceversa, ai connettivi proposizionali corrispondono le operazioni in-siemistiche sugli insiemi di verita delle proposizioni componenti.

V¬p(x) = ∼ Vp(x)

Vp(x)∧q(x) = Vp(x) ∩ Vq(x)

Vp(x)∨q(x) = Vp(x) ∪ Vq(x).

In particolare si ha Vx∈X = X.Si puo osservare allora che le operazioni non sono tutte indipendenti, ad

esempio:

X \ Y = X ∩ (∼ Y ).

Infatti

X \ Y = {x | x ∈ X ∧ x 6∈ Y }= {x | x ∈ X ∧ x ∈∼ Y }= {x | x ∈ X ∩ (∼ Y )}= X ∩ (∼ Y ).

Ma le mutue relazioni delle operazioni le vedremo meglio piu avanti.

L’insieme vuoto ∅ e l’insieme che non ha alcun elemento, ed e un sottoin-sieme di qualsiasi U , definito da una condizione contraddittoria qualunque:

60

Page 65: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

∅ = {x ∈ U |p(x) ∧ ¬p(x)},

o

∅ = {x ∈ U |x 6= x}.

Se si denotasse questo insieme ∅U e si definisse ∅V = {x ∈ V | x 6= x} siavrebbe ∅U = ∅V perche i due insiemi hanno gli stessi elementi, nessuno perentrambi.

Caratteristica dell’insieme vuoto e che per ogni x, in qualunque U , x 6∈ ∅.Due insiemi X e Y la cui intersezione sia vuota, X ∩ Y = ∅, cioe non

abbiano alcun elemento in comune, si dicono disgiunti .

Le relazioni tra le operazioni insiemistiche sono espresse da un gruppo dileggi.

1 X ∩X = X idempotenza dell′intersezione2 X ∪X = X idempotenza dell′unione3 X ∩ Y = Y ∩X commutativita dell′intersezione4 X ∪ Y = Y ∪X commutativita dell′unione5 X ∩ (Y ∩ Z) = (X ∩ Y ) ∩ Z associativita dell′intersezione6 X ∪ (Y ∪ Z) = (X ∪ Y ) ∪ Z associativita dell′unione7 X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) distributivita di ∩ rispetto a ∪8 X ∪ (Y ∩ Z) = (X ∪ Y ) ∩ (X ∪ Z) distributivita di ∪ rispetto a ∩9 X ∩ (X ∪ Y ) = X assorbimento

10 X ∪ (X ∩ Y ) = X assorbimento11 ∼ (∼ X) = X doppio complemento12 ∼ (X ∩ Y ) = (∼ X) ∪ (∼ Y ) legge di De Morgan13 ∼ (X ∪ Y ) = (∼ X) ∩ (∼ Y ) legge di De Morgan14 ∼ ∅ = U15 ∼ U = ∅16 X ∩ (∼ X) = ∅ legge dell′inverso per ∩17 X ∪ (∼ X) = U legge dell′inverso per ∪18 X ∩ U = X legge dell′elemento neutro per ∩19 X ∪ U = U20 X ∩ ∅ = ∅21 X ∪ ∅ = X legge dell′elemento neutro per ∪ .

61

Page 66: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Esistono altre leggi che riguardano la relazione ⊆ (alcune gia menzionate),come

22 X ⊆ X23 ∅ ⊆ X24 X ⊆ U25 X ⊆ X ∪ Y26 X ∩ Y ⊆ X

e proprieta come

27 se X ⊆ Y e Y ⊆ Z allora X ⊆ Z28 X ⊆ Y se e solo se X ∩ Y = X29 X ⊆ Y se e solo se X ∪ Y = Y30 X ⊆ Y se e solo se X ∩ (∼ Y ) = ∅31 X ⊆ Y se e solo se ∼ X ∪ Y = U32 se X ⊆ Y e X ⊆ Z allora X ⊆ (Y ∩ Z)33 se Y ⊆ X e Z ⊆ X allora (Y ∪ Z) ⊆ X.

Ma non tutte sono indipendenti. La loro dimostrazione puo consistere nelmostrare direttamente che i due insiemi implicati hanno gli stessi elementi.

Esempi

3 X ∩ Y = Y ∩X.

Dimostrazione Se x ∈ X ∩ Y , allora x ∈ X ∧ x ∈ Y ; ma per lacommutativita della congiunzione si ha allora x ∈ Y ∧ x ∈ X, quindix ∈ Y ∩X. Il viceversa, partendo da x ∈ Y ∩X, e analogo.

4 X ∪ Y = Y ∪X.

Dimostrazione Se x ∈ X ∪ Y allora x ∈ X ∨ x ∈ Y . La conclusionesegue come sopra per la commutativita della disgiunzione. Oppureusiamo la distinzione di casi: se x ∈ X, allora x ∈ Y ∨ x ∈ X per latautologia A → B ∨ A. Se x ∈ Y allora per la tautologia A → A ∨ B

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Page 67: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

si ha x ∈ Y ∨ x ∈ X. Quindi x ∈ X ∨ x ∈ Y → x ∈ Y ∨ x ∈ X eX ∪ Y ⊆ Y ∪X. Il viceversa e analogo.

5 X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z).

Dimostrazione Mostriamo prima che X ∩ (Y ∪Z) ⊆ (X ∩Y )∪ (X ∩Z).Se x ∈ X∩(Y ∪Z) allora x ∈ X e x ∈ Y ∪Z. Ci sono due casi: o x ∈ Yo x ∈ Z. Nel primo caso, x ∈ X e x ∈ Y , quindi x ∈ X ∩ Y , e quindix ∈ (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) per la 25, che supponiamo dimostrata4. Nelsecondo caso, x ∈ X e x ∈ Z, quindi x ∈ X ∩ Z e quindi x appartienea (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z), per la 25 e la 4.

Si mostri ora nello stesso modo (esercizio) che (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) ⊆X ∩ (Y ∪ Z), e l’uguaglianza e provata.

21 X ∪ ∅ = X.

Dimostrazione Se x ∈ X ∪ ∅, allora x ∈ X ∨ x ∈ ∅, ma x 6∈ ∅ quindiper il sillogismo disgiuntivo x ∈ X. Il viceversa segue dalla 25.

24 X ⊆ U .

Dimostrazione x ∈ U → (x ∈ X → x ∈ U) - quale legge logicainterviene?

23 ∅ ⊆ X.

Dimostrazione Per ogni x, x ∈ ∅ → x ∈ X e vera, qualunque sia X,perche l’antecedente e falso.

17 X ∪ (∼ X) = U .

Dimostrazione Per ogni x, x ∈ X ∨ ¬(x ∈ X) e vera per la legge delterzo escluso. Cosı si dimostra ⊇, il viceversa e 24.

30 X ⊆ Y se e solo se X ∩ (∼ Y ) = ∅.Dimostrazione Da sinistra a destra. Se x ∈ X allora x ∈ Y ; se oraesistesse un x ∈ X∩(∼ Y ) si avrebbe una contraddizione x ∈ Y e x ∈∼Y . La dimostrazione e per assurdo, ma di questa forma particolare:per dimostrare A → B si assume A ∧ ¬B. Da questa si deriva unacontradizione, quindi ¬(A ∧ ¬B), cioe A → B.

Il viceversa per esercizio.

4La dimostrazione e implicita nella precedente dimostrazione di 4.

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Come si vede dagli esempi, alcune proprieta delle operazioni sono di-retta conseguenza delle omonime proprieta dei connettivi corrispondenti; dalterzo esempio relativo alla 5 si vede anche che in dimostrazioni di questotipo fa comodo, per saltare qualche passaggio, fare appello ad altre delleleggi elencate - piu semplici, o intuitive o gia dimostrate. Piu in generale,una volta dimostrate alcune delle suddette leggi in modo diretto, e possibilederivare le altre in stile algebrico, usando quelle gia dimostrate e le leggidell’uguaglianza.

Con leggi dell’uguaglianza si intendono le proprieta riflessiva, simmetricae transitiva di =, rappresentate dalle formule

x = xx = y → y = x

x = y ∧ y = z → x = z,

e le proprieta di sostituzione, che sono di due tipi:

t = s → f(t) = f(s),

dove t ed s sono termini del linguaggio in uso, e f(x) un altro termine con-tenente la x, e

t = s → (p(t) ↔ p(s)),

dove p(x) sta per una proposizione qualunque contenente x.Queste leggi sono tacitamente usate nei passaggi di trasformazione di

formule algebriche, o di proposizioni di qualunque linguaggio che contengal’uguaglianza. I passaggi da un’uguaglianza ad un’altra presuppongono ilmodus ponens : da t = s a f(t) = f(s) grazie a t = s → f(t) = f(s).

Nel caso delle leggi insiemistiche in esame le variabili sono X, Y, . . . inveceche x, y . . ., perche tali leggi non si riferiscono agli elementi ma ai sottoinsiemi.

Esempi

1. La 15 segue dalla 14 e dalla 11 con i passaggi

∼ ∅ = U

∼ (∼ ∅) =∼ U

∅ =∼ U

∼ U = ∅.

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Page 69: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

2. La 17 segue dalla 16 e dalle 12, 14, 11, 4, nell’ordine, con i seguentipassaggi

X ∩ (∼ X) = ∅∼ (X ∩ (∼ X)) =∼ ∅

(∼ X) ∪ (∼ (∼ X)) = U

(∼ X) ∪X = U

X ∪ (∼ X) = U .

3. La 18 segue da 17, 7, 1, 16 e 21 con i seguenti passaggi

X ∪ (∼ X) = U

U = X ∪ (∼ X)

X ∩ U = X ∩ (X ∪ (∼ X))

X ∩ U = (X ∩X) ∪ (X ∩ (∼ X))

X ∩ U = X ∪ ∅X ∩ U = X.

4. La 31: X ⊆ Y se e solo se ∼ X ∪ Y = U , segue dalla 30 e da DeMorgan con 11 e 14.

Grazie alla validita delle leggi associative per unione e intersezione, questeoperazioni possono essere generalizzate a piu di due insiemi.

Se A1, . . . , An sono n sottoinsiemi di U , la loro unione e l’insieme i cuielementi sono gli elementi di U che appartengono a qualche Ai, in simboli:

n⋃i=1

Ai = {x ∈ U | per qualche i, 1 ≤ i ≤ n, x ∈ Ai}

o anche ⋃ni=1 Ai, o semplicemente

⋃Ai.

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Page 70: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

L’intersezione generalizzata degli n insiemi e l’insieme degli elementi cheappartengono a tutti gli Ai, in simboli:

n⋂i=1

Ai = {x ∈ U | per ogni i, 1 ≤ i ≤ n, x ∈ Ai}

o anche ⋂ni=1 Ai, o semplicemente

⋂Ai.

Per queste operazioni generalizzate valgono molte delle leggi dell’unionee intersezione, opportunamente riformulate, ad esempio le proprieta commu-tativa, associativa e di assorbimento; valgono le leggi di De Morgan:

∼ (⋂n

i=1 Ai) =⋃n

i=1(∼ Ai)

e

∼ (⋃n

i=1 Ai) =⋂n

i=1(∼ Ai).

Valgono le leggi distributive di una operazione generalizzata rispetto a unanormale (non con entrambe generalizzate):

(n⋂

i=1

Ai) ∪B =n⋂

i=1

(Ai ∪B)

e

(n⋃

i=1

Ai) ∩B =n⋃

i=1

(Ai ∩B).

Piu in generale ancora, si definisce l’unione⋃i∈I Ai o

⋃{Ai | i ∈ I}

per una famiglia di insiemi indiciata5 da I ponendo che

x ∈⋃

i∈I Ai se e solo se esiste un i ∈ I per cui x ∈ Ai,

e analogamente per l’intersezione. La definizione come si vede e la stessa,con “i ∈ I” al posto di “1 ≤ i ≤ n”.

5Si chiama cosı e si indica anche con {Ai}i∈I un insieme i cui elementi corrispondonociascuno ad un elemento di un insieme I, detto insieme degli indici. Si veda alla fine delparagrafo 5.

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4.2 Algebre di Boole

Indagando la reciproca derivabilita delle varie leggi, ci si accorge che tutte(sia quelle elencate che altre, quelle che sono valide per ogni famiglia disottoinsiemi di un insieme) sono derivabili dalle seguenti:

3 X ∩ Y = Y ∩X commutativita dell′intersezione4 X ∪ Y = Y ∪X commutativita dell′unione5 X ∩ (Y ∩ Z) = (X ∩ Y ) ∩ Z associativita dell′intersezione6 X ∪ (Y ∪ Z) = (X ∪ Y ) ∪ Z associativita dell′unione7 X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z) distributivita di ∩ rispetto a ∪8 X ∪ (Y ∩ Z) = (X ∪ Y ) ∩ (X ∪ Z) distributivita di ∪ rispetto a ∩

16 X∩ ∼ X = ∅ legge dell′inverso per ∩17 X∪ ∼ X = U legge dell′inverso per ∪18 X ∩ U = X legge dell′elemento neutro per ∩21 X ∪ ∅ = X legge dell′elemento neutro per ∪ .

Queste leggi si chiamano assiomi delle algebre di Boole. La scelta degliassiomi non e arbitraria (ci sono ragioni di analogia con altri sistemi di as-siomi per altre strutture) ma non e univoca. Abbiamo visto ad esempio chese ci fosse la 1, la 18 sarebbe superflua. L’importante e la mutua e varia in-terderivabilita delle leggi tra loro, e che tutte le leggi valide per i sottoinsiemidi un insieme non vuoto U siano derivabili da quelle scelte come assiomi. Laraccolta di queste negli assiomi e solo, inizialmente, una comodita mnemon-ica.

L’insieme dei sottoinsiemi di un insieme non vuoto U , con le operazioni∼,∩,∪ e gli elementi speciali ∅ e U e un particolare esempio di algebra diBoole, che si chiama algebra di insiemi ; ne vedremo altre.

Vediamo come si derivano dagli assiomi alcune delle altre leggi primaelencate.

1 X = X ∩X

X = X ∩ U per la 18X = X ∩ (X∪ ∼ X) per la 17X = (X ∩X) ∪ (X∩ ∼ X) per la 7X = (X ∩X) ∪ ∅ per la 16X = X ∩X per la 21.

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2 X = X ∪X (esercizio)

20 X ∩ ∅ = ∅X ∩ ∅ = X ∩ (X∩ ∼ X) per la 16X ∩ ∅ = (X ∩X)∩ ∼ X per la 5X ∩ ∅ = X∩ ∼ X per la 1X ∩ ∅ = ∅ per la 16.

19 X ∪ U = U (esercizio).

Prima di considerare altre leggi, occorre dimostrare l’unicita degli ele-menti neutri e del complemento. Per quello dell’intersezione, questo significa:

34 Se X ∩ Y = Y per ogni Y , allora X = U .

Dimostrazione Sostituendo U a Y si ha X ∩U = U ma X ∩U = X perla 18, quindi X = U .

Per l’elemento neutro dell’unione, l’unicita significa:

35 Se X ∪ Y = Y per ogni Y , allora X = ∅ (esercizio).

L’unicita del complemento, o dell’inverso, e la proprieta che:

36 Se X ∩ Y = ∅ e X ∪ Y = U allora X =∼ Y .

Dimostrazione

X = X ∩ U per la 18= X ∩ (Y ∪ ∼ Y ) per la 17= (X ∩ Y ) ∪ (X∩ ∼ Y ) per la 7= ∅ ∪ (X∩ ∼ Y ) per l′ipotesi= (Y ∩ ∼ Y ) ∪ (X∩ ∼ Y ) per la 16= (Y ∪X)∩ ∼ Y per la 7= U∩ ∼ Y per l′ipotesi=∼ Y per la 18,

usando anche la 3.

11 X =∼∼ X

Dimostrazione Siccome X∩ ∼ X = ∅ e X∪ ∼ X = U , per la 36 oravista con ∼ X al posto di Y da 16 e 17 si ha X =∼∼ X.

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Page 73: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

13 ∼ (X ∪ Y ) =∼ X∩ ∼ Y

Dimostrazione Per applicare la 36, facciamo vedere che

(∼ X∩ ∼ Y ) ∪ (X ∪ Y ) = U

e

(∼ X∩ ∼ Y ) ∩ (X ∪ Y ) = ∅.

La prima segue da questi passaggi (abbreviati, esplicitarli tutti peresercizio, serve anche la 19 di sopra):

(∼ X∩ ∼ Y ) ∪ (X ∩ Y ) = (∼ X ∪X ∪ Y ) ∩ (∼ Y ∪X ∪ Y )

= U ∩ U = U

e la seconda (utilizzando 20) da:

(∼ X∩ ∼ Y ) ∩ (X ∪ Y ) = (∼ X∩ ∼ Y ∩X) ∪ (∼ X∩ ∼ Y ∩ Y )

= ∅ ∪ ∅ = ∅.

37 X ∩ Y = X se e solo se X∩ ∼ Y = ∅

Dimostrazione

X = X ∩ U per la 18= X ∩ (Y ∪ ∼ Y ) per la 17= (X ∩ Y ) ∪ (X∩ ∼ Y ) per la 5

quindi se X∩ ∼ Y = ∅ allora X = X ∩ Y .

Viceversa se X = X ∩ Y

U =∼X ∪X per la 17=∼X ∪ (X ∩ Y )= (∼ X ∪X) ∩ (∼ X ∪ Y ) per la 6= U ∩ (∼ X ∪ Y ) per la 17= ∼X ∪ Y per la 18

Quindi ∅ = X∩ ∼Y per la 13 e la 15 (esercizio).

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Page 74: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

9 X ∩ (X ∪ Y ) = X

Dimostrazione Si noti che

X ∩ (X ∪ Y ) = (X ∩X) ∪ (X ∩ Y ) = X ∪ (X ∩ Y )

per la 1 e la 5, per cui la 9 e la 10 si dimostrano insieme.

Per la 37 e la 13

X ∩ (X ∪ Y ) = X se e solo se X ∩ (∼X∩ ∼ Y ) = ∅

ma X ∩ (∼ X∩ ∼ Y ) = (X ∩ ∼ X)∩ ∼ Y = ∅∩ ∼ Y = ∅, perl’associativita, la commutativita e la 20.

4.2.1 Esercizi

1. Dimostrare

A ∩ (B ∪ (C \ A)) = A ∩B

A ∩B ∩ (A ∪B) = A ∩B

A ∪ (C ∩ (A ∪B)) = A ∪ (C ∩B)

(A \B) ∪ (B ∩ A) = A

(A ∩ (B ∪ C)) ∩ (∼ B ∪ A) = (A ∩B) ∪ (A ∩ C).

2. Dimostrare le proprieta 22 - 33 della relazione⊆, a partire dagli assiomi,usando 28 come definizione di ⊆6.

3. Lo stesso, usando una volta 29, una volta 30 e una volta 31 comedefinizione di ⊆

4. Dimostrare, a partire dagli assiomi delle algebre di Boole, tutte le altreleggi sopra elencate per le operazioni di un’algebra di insiemi.

6La 22 e la 27, insieme a “X = Y se e solo se X ⊆ Y e Y ⊆ X” stabiliscono che ⊆ euna relazione di ordine parziale, secondo la definizione che sara data nel paragrafo 5.

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4.3 Algebra delle proposizioni

Due altre notevoli algebre di Boole sono importanti, l’algebra 2 e l’algebradelle proposizioni.

Quando si dice che gli assiomi sopra elencati sono gli assiomi delle algebredi Boole, non si intende che i simboli di operazioni usati nella formulazionedegli assiomi denotino le operazioni insiemistiche di unione, intersezione ecomplemento; altrimenti le uniche algebre di Boole sarebbero le algebre diinsiemi. S’intende solo che siano operazioni rispettivamente binarie (le primedue) e unaria (la terza), e che soddisfino le proprieta espresse dagli assiomi.Puo essere utile addirittura riscrivere gli assiomi con altri simboli che nonabbiamo un significato gia consolidato7:

x ◦ y = y ◦ x commutativitax + y = y + x commutativitax ◦ (y ◦ z) = (x ◦ y) ◦ z associativitax + (y + z) = (x + y) + z associativitax ◦ (y + z) = (x ◦ y) + (x ◦ z) distributivitax + (y ◦ z) = (x + y) ◦ (x + z) distributivitax ◦ (−x) = 0 inversox + (−x) = 1 inversox ◦ 1 = x elemento neutrox + 0 = x elemento neutro

e indicare la relazione definita da x ◦ y = x con ≤.Si ha 0 ≤ x ≤ 1 per ogni x (esercizio). La relazione ≤ e un ordine parziale

per l’esercizio 1 di 4.3.1.L’algebra 2 e l’algebra il cui universo e {0, 1} con 0 < 1, rappresentata

dal diagramma

1↑0

dove ↑ e < e x + y = max{x, y} e x ◦ y = min{x, y}.7Con l’ordine di priorita −, ◦, +. ◦ e una pallina e non un punto, per distinguerla dalla

moltiplicazione.

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Page 76: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

L’algebra 2 e l’algebra dei valori di verita. Le sue tre operazioni sonoquelle che intervengono nel calcolo dei valori di verita di negazioni, disgiun-zioni e congiunzioni.

Esistono altre algebre di Boole finite, come ad esempio l’algebra 4

1↗ ↖

a b↖ ↗

0

dove a e b sono inconfrontabili rispetto a ≤; ≤ e proprio parziale.Esercizio: definire le operazioni in modo che questa struttura diventi

un’algebra di Boole.Esercizio. Dimostrare che e l’algebra dei sottoinsiemi di un universo con

due elementi.

L’algebra delle proposizioni si ottiene nel seguente modo; gia si sono di-mostrate (considerando anche gli esercizi) quasi tutte le leggi logiche chehanno lo stesso nome degli assiomi delle algebre di Boole:

A ∧B ↔ B ∧ A commutativitaA ∨B ↔ B ∨ A commutativitaA ∧ (B ∧ C) ↔ (A ∧B) ∧ C associativitaA ∨ (B ∨ C) ↔ (A ∨B) ∨ C associativitaA ∧ (B ∨ C) ↔ (A ∧B) ∨ (A ∧ C) distributivitaA ∨ (B ∧ C) ↔ (A ∨B) ∧ (A ∨ C) distributivita.

Le equivalenze non sono uguaglianze ma si possono trasformare in vereuguaglianze tra (nuovi) oggetti con la seguente costruzione.

La relazione ≡ e una relazione di equivalenza, vale a dire soddisfa leproprieta:

A ≡ A riflessivase A ≡ B allora B ≡ A simmetricase A ≡ B e B ≡ C allora A ≡ C transitiva.

Si definisce allora per ogni A la classe di equivalenza di A come

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Page 77: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

[A] = {B | A ≡ B}

e si ha che

[A] = [B] se e solo se A ≡ B

(esercizio).Date due proposizioni A e B, esse o sono logicamente equivalenti o no.

Nel primo caso, [A] = [B]. Nel secondo caso le due classi [A] e [B] sonodisgiunte: se infatti ci fosse un elemento C in comune, vorrebbe dire cheA ≡ C e che B ≡ C, ma allora per la transitivita si avrebbe A ≡ B e[A] = [B].

A si dice un rappresentante della classe [A]; ogni classe ha piu rappresen-tanti, anzi infiniti. Se B ∈ [A] allora B ≡ A quindi [A] = [B] e B e un altrorappresentante di [A]. In particolare ad esempio [A] = [A∧A] = [A∧A∧A] . . .

Si possono definire tra queste classi le seguenti operazioni:

−[A] = [¬A][A] ◦ [B] = [A ∧B][A] + [B] = [A ∨B].

Le definizioni sono ben poste, in questo senso. Si tratta di operazioni sulleclassi, ma la loro definizione fa riferimento ad un particolare rappresentantedelle classi. Ad esempio −[A] e definita con ¬A e non ad esempio con ¬¬¬A.Se si cambia il rappresentante di una classe, si vuole che il risultato, che euna classe, sia lo stesso.

In effetti e cosı per le operazioni sopra definite. Ad esempio se A1 ≡ Ae B1 ≡ B, siccome A1 ∧ B1 ≡ A ∧ B (esercizio - si veda anche paragrafo6.1) si ha [A1] ◦ [B1] = [A ∧ B], cosı come [A] ◦ [B] = [A ∧ B], quindi[A1] ◦ [B1] = [A] ◦ [B].

Si giustifica in questo modo la dizione “a meno di equivalenza” con cui unaproposizione e considerata uguale ad ogni altra ad essa logicamente equiva-lente, o almeno indistinguibile da quelle, ai fini della trattazione semantica.

Date queste definizioni, le precedenti equivalenze danno allora origine alleuguaglianze:

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[A] ◦ [B] = [B] ◦ [A] commutativita di ◦[A] + [B] = [B] + [A] commutativita di +[A] ◦ ([B] ◦ [C]) = ([A] ◦ [B]) ◦ [C] associativita di ◦[A] + ([B] + [C]) = ([A] + [B]) + [C] associativita di +[A] ◦ ([B] + [C]) = ([A] ◦ [B]) + ([A] ◦ [C]) distributivita[A] + ([B] ◦ [C]) = ([A] + [B]) ◦ ([A] + [C]) distributivita.

Tutte le tautologie sono tra loro equivalenti, e non equivalenti a nessunaproposizione non logicamente valida; lo stesso per le contraddizioni; denoti-amo con 1 la classe delle tautologie, e con 0 la classe delle contraddizioni.

Allora [A] ◦ (−[A]) = [A ∧ ¬A] = 0 e [A] + (−[A]) = [A ∨ ¬A] = 1 epossiamo quindi aggiungere:

[A] ◦ (−[A]) = 0 inverso[A] + (−[A]) = 1 inverso[A] ◦ 1 = [A] elemento neutro[A] + 0 = [A] elemento neutro

completando la lista degli assiomi delle algebre di Boole.Le ultime due leggi seguono dal fatto (o lo esprimono in altra forma) che

se T e una tautologia A∧T ≡ A e se F e una contraddizione allora A∨F ≡ A.

La relazione [A] ≤ [B] e definita da [A]◦[B] = [A], oppure dall’equivalente[A] ◦ −[B] = 08.

Inseriamo qui una dimostrazione dell’equivalenza tra due definizioni di≤, dove si notera l’analogia formale con quella fatta per 37.

Se

x ◦ y = x

allora

1 = x + (−x)1 = (x ◦ y) + (−x)

1 = (x + (−x)) ◦ (y + (−x))1 = y + (−x)0 = x ◦ (−y).

8O anche da [A]+[B] = [B]; a seconda dei casi converra usare l’una o l’altra definizione.

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Viceversa se

x ◦ (−y) = 0

allora

x = x ◦ 1x = x ◦ (y + (−y))

x = (x ◦ y) + (x ◦ (−y))x = x ◦ y.

Esercizio. Dimostrare l’equivalenza con la (versione corrispondente della) 29.

Dall’equivalenza booleana delle due definizioni di ≤ si deriva la seguenteproprieta logica, che

A ≡ A ∧B se e solo se |= A → B.

Una dimostrazione logica di questo fatto ricalca la dimostrazione algebricadi sopra.

Allora la seguente e una deduzione del fatto che |= A → B segue daA ≡ A ∧B:

A ∨ ¬A(A ∧B) ∨ ¬A

(A ∨ ¬A) ∧ (B ∨ ¬AB ∨ ¬AA → B.

Ogni proposizione di questa lista o e una tautologia o segue logicamente dalleprecedenti e da A ≡ A ∧B, quindi l’ultima e una tautologia.

Viceversa, se |= A → B, quindi A ∧ ¬B e una contraddizione

A ↔ A ∧ (B ∨ ¬B)A ↔ (A ∧B) ∨ (A ∧ ¬B)

A ↔ A ∧B.

Esercizio. Dimostrare in modo analogo che A ≡ A∨B se e solo se |= B → A.

La corrispondenza tra le deduzioni algebriche e quelle logiche e fondatasulla corrispondenza tra [A] ≤ [B] e |= A → B.

75

Page 80: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Il fatto che per ogni A, 0 ≤ [A] ≤ 1 corrisponde al fatto che una con-traddizione implica qualsiasi proposizione, e una tautologia e implicata daqualsiasi proposizione.

La relazione booleana ≤ ha le seguenti proprieta, che se a ≤ b allora−b ≤ −a e per ogni c, c ◦ a ≤ c ◦ b e c + a ≤ c + b (esercizio).

Queste proprieta corrispondono per l’implicazione al fatto che se |= A →B allora |= ¬B → ¬A e per ogni C, |= C ∧A → C ∧B e |= C ∨A → C ∨B(esercizio).

La proprieta transitiva di ≤ corrisponde alla transitivita del condizionale,mentre la proprieta di sostituzione t = s → f(t) = f(s) corrisponde adun’analoga proprieta logica: se in una proposizione si sostituisce una sotto-proposizione con una equivalente, il risultato e una proposizione equivalentea quella iniziale.

Conviene indicare l’operazione di rimpiazzamento di una sottopropo-sizione B con C in una proposizione A, con la notazione: A[B//C].

Si ha allora che

se B ≡ C allora A ≡ A[B//C].

Nell’esempio di sopra A ∨ ¬A ≡ (A ∧B) ∨ ¬A poiche A ≡ A ∧B.Nella dimostrazione, per trattare i vari casi, si fa uso dei seguenti fattiPer ogni A e B,

se A ≡ B, allora ¬A ≡ ¬Bse A1 ≡ A2 e B1 ≡ B2, allora A1 •B1 ≡ A2 •B2

che si dimostrano facilmente con le tavole di verita per i vari connettivi.

4.4 Rapporti tra proposizioni e insiemi

I rapporti tra algebra degli insiemi con operazioni insiemistiche, logica propo-sizionale con connettivi e algebra boleana sono molteplici e bidirezionali.Sostanzialmente l’argomento e sempre lo stesso, con varianti formali, e a sec-onda delle preferenze si puo adottare l’uno o l’altro dei tipi di simbolismocoinvolti; la familiarita con l’uno aiuta anche nello svolgimento dell’altro, mail ragionamento e identico.

Abbiamo visto come, per dimostrare le leggi dell’algebra degli insiemi(cioe identita valide per tutti i sottinsiemi di un qualunque insieme non vuoto

76

Page 81: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

U), procedendo direttamente in base alla definizione di uguaglianza tra in-siemi (X = Y se e solo se X ⊆ Y e Y ⊆ X) ci si riconduca ad applicare leggilogiche a proposizioni costruite su atomiche della forma x ∈ X, x ∈ Y, . . .

Si possono anche al contrario derivare le leggi logiche dalle leggi dell’algebradegli insiemi.

In generale due proposizioni (con o senza la x) logicamente equivalenti9

hanno lo stesso insieme di verita in ogni U .Supponiamo infatti che p(x) sia equivalente a q(x). Allora siccome p(x) →

q(x) e q(x) → p(x) sono sempre vere, Vp(x)→q(x) e Vq(x)→p(x) sono entrambiuguali a U ; ma siccome Vp(x)→q(x) = (∼ Vp(x)) ∪ Vq(x), se questo e uguale aU allora Vp(x) ⊆ Vq(x); stabilito nello stesso modo il viceversa, partendo daVq(x)→p(x), si ha Vp(x) = Vq(x).

Vale anche il viceversa; diciamo che una proposizione p(x) e valida in Use Vp(x) = U ; allora se Vp(x) = Vq(x) in U si ha che p(x) ↔ q(x) e valida in U .Basta ripercorrere all’indietro i precedenti passaggi.

Supponiamo allora di voler dimostrare |= ¬(p ∨ q) ↔ ¬p ∧ ¬q.Pensiamo ad un insieme qualunque U (che non c’e bisogno di precisare,

in accordo col fatto che usiamo leggi valide per insiemi qualunque). Conside-riamo i sottoinsiemi Vp = {x ∈ U | p } e Vq = {x ∈ U | q }. Per definizione diinsieme di verita, x ∈ Vp ↔ p, cioe Vp e definito ponendo che x ∈ Vp e vero see solo se p e vero. Se p non contiene x, p o e vera o e falsa, indipendentementeda x. In tal caso Vp = {x ∈ U | p } o e ∅ o e U .

Dalla definizione di insieme di verita e dalla legge insiemistica

∼ (Vp ∪ Vq) = (∼ Vp) ∩ (∼ Vq),

cioe

x ∈∼ (Vp ∪ Vq) se e solo se x∈ (∼ Vp) ∩ (∼ Vq),

segue, siccome x ∈∼ (Vp ∪ Vq) se e solo se ¬(p ∨ q), e analogamente perx ∈ (∼ Vp) ∩ (∼ Vq), che

¬(p ∨ q) ↔ ¬p ∧ ¬q

9Nel senso che p(x) e q(x) hanno sempre lo stesso valore di verita calcolato a partiredalla attribuzione di 0 e 1 alle loro componenti atomiche, anche se contengono x.

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Page 82: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

e vero qualsiasi siano p e q, la cui verita o falsita non gioca alcun ruolo nelladimostrazione10.

Un altro modo piu semantico e il seguente. Siccome p e q non contengonola x, gli insiemi Vp = {x ∈ U | p } e Vq = {x ∈ U | q } come abbiamo dettosono o ∅ o U .

Possiamo interpretare allora ∼ (Vp∪Vq) = (∼ Vp)∩(∼ Vq) o direttamente¬(p ∨ q) ≡ ¬p ∧ ¬q nell’algebra 2, riscrivendola formalmente come

−(x + y) = −x ◦ −y,

che e una legge valida in 2. Questo significa che comunque si sostituiscano ivalori 0 o 1 a x e y l’uguaglianza vale, e questo e un altro modo di dire checomunque si diano a p e q i valori 0 o 1 si ottiene che ¬(p ∨ q) e ¬p ∧ ¬qhanno lo stesso valore, cioe la tavola del bicondizionale ¬(p ∨ q) ↔ ¬p ∧ ¬qha tutti 1 nella colonna finale.

Un ragionamento semantico del genere puo sostituire il modo di procedereformale diretto, in cui una deduzione algebrica viene trasformata in una logica,come negli esempi visti sopra; occorre prestare attenzione alle insidie delle analogieformali quando e coinvolta la relazione ≤.

Consideriamo la seguente dimostrazione booleana di una proprieta di x ◦ y cheformalmente corrisponde alla massimalita dell’intersezione:

se z ≤ x e z ≤ y allora z ≤ x ◦ y.

Algebricamente, nel senso delle algebre di Boole, se

z ◦ (−x) = 0

e

z ◦ (−y) = 0

allora

z ◦ (−x) + z ◦ (−y) = 0z ◦ (−x +−y) = 0z ◦ −(x ◦ y) = 0

z ≤ x ◦ y.

10Si vede in particolare che le leggi logiche dimostrate per il linguaggio proposizionalecostruito astrattamente sulle lettere, valgono anche per proposizioni contententi variabili.

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Page 83: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Si conclude quindi correttamente che

z ≤ x ∧ z ≤ y → z ≤ x ◦ y

vale in tutte le algebre di Boole.Poiche sappiamo che ≤ corrisponde a →, siamo tentati di scrivere

|= (C → A) ∧ (C → B) → (C → A ∧B),

ottenendo in tal modo la versione corrispondente della massimalita della congiun-zione.

Ma questo passaggio non e corretto. Infatti se interpretiamo direttamente lalegge booleana z ≤ x∧ z ≤ y → z ≤ x ◦ y nell’algebra delle proposizioni dobbiamoscrivere

[C] ≤ [A] ∧ [C] ≤ [B] → [C] ≤ [A ∧B],

che equivale a

se [C → A] = 1 e [C → B] = 1 allora [C → A ∧B] = 1,

o

se |= C → A e |= C → B allora |= C → A ∧B.

Questa affermazione e diversa e piu debole di quella voluta (spiegare perche).Per ricavare booleanamente la legge della massimalita della congiunzione ci

sono due strade. Bisogna dimostrare che e uguale a 1 l’elemento booleano cor-rispondente alla proposizione in questione; siccome essa contiene il condizionale,una possibilita e quella di eliminare il condizionale a favore di altri connettivibooleani, quindi ad esempio di dimostrare che

−((−z + x) ◦ (−z + y)) + (−z + x ◦ y) = 1;

ma

(−z + x) ◦ (−z + y)) = −z + x ◦ y

per la proprieta distributiva, quindi ci si riduce a −a + a = 1, che e vero.Altrimenti, si puo associare anche al connettivo → un’operazione booleana

(non un’asserzione quale e x ◦ (−y) = 0), come per negazione, congiunzione e !!!disgiunzione. L’operazione binaria x ⇒ y associata11 a → e introdotta come ci siaspetta con la definizione

11Questo e il motivo per cui non usiamo questo segno per indicare l’implicazione |= A →B, che booleanamente corrisponde all’asserzione x ≤ y.

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Page 84: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

x ⇒ y = −x + y.

Si ha che x ⇒ y = 1 se e solo se x ≤ y (esercizio).La legge proposizionale |= (C → A) ∧ (C → B) → (C → A ∧ B) si ottiene

dimostrando che

((z ⇒ x) ◦ (z ⇒ y)) ⇒ (z ⇒ (x ◦ y)) = 1

nel seguente modo:

(z ⇒ x) ◦ (z ⇒ y) = (−z + x) ◦ (−z + y)= −z + (x ◦ y)= z ⇒ x ◦ y

quindi(z ⇒ x) ◦ (z ⇒ y) = z ⇒ (x ◦ y).

Ma si noti che se a = b allora a ≤ b e quindi a ⇒ b = 1, e anche b ⇒ a = 1.Quindi risulta dalla dimostrazione anche il viceversa, e in effetti

|= (C → A) ∧ (C → B) ↔ (C → A ∧B).

Le mutue relazioni illustrate tra insiemi, algebre di Boole e proposizioniche secondo gli assiomi valgono per le proposizioni scritte con i connettivi¬,∧,∨ si estendono a tutte le proposizioni che contengono gli altri connettiviche sono definibili in termini di questi, come ⊕,→,↔.

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Page 85: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

5 Relazioni

5.1 Prodotto cartesiano

Un’operazione su insiemi diversa, e in un certo senso piu importante di quellebooleane e il prodotto cartesiano di due insiemi.

Si indica 〈x, y〉 la coppia ordinata di x e y, e x e y si chiamano rispettiva-mente prima e seconda componente di 〈x, y〉, o proiezioni. La coppia ordinatae ben diversa dalla coppia non ordinata {x, y}, per cui vale {x, y} = {y, x}e non ha senso parlare di primo o secondo elemento. Invece 〈x, y〉 6= 〈y, x〉a meno che non sia x = y; inoltre 〈x, y〉 = 〈z, u〉 se e solo se x = z e y = u,cioe se le due coppie hanno uguali rispettivamente le prime e le secondeproiezioni1.

Il prodotto cartesiano di X e Y e

X × Y = {〈x, y〉 | x ∈ X e y ∈ Y }.

L’operazione × e diversa da quelle booleane in quanto se anche X ⊆ Ue Y ⊆ U , X × Y non e un sottoinsieme di U ; e un insieme di elementistrutturati, in generale un insieme piu ricco; se ad esempio U e la rettanumerica2, U ×U e il piano (cartesiano), dove ogni punto e individuato dallesue due coordinate, che sono le due componenti della coppia, e sono detteascissa la prima componente, ordinata la seconda. Le coppie 〈x, x〉 formanola diagonale di U .

Esempio Se X e {a, b, c, . . . , h} e Y e {1, 2, 3, . . . , 8}, X × Y si puoidentificare con la scacchiera.

Se X e Y sono due insiemi finiti, il numero di elementi di X × Y e ilprodotto del numero di elementi di X e del numero di elementi di Y , da cuiil nome.

Il prodotto cartesiano di due insiemi non e commutativo3.

1Non spieghiamo l’artificio con cui si definisce la coppia ordinata; risulta tuttavia chex e y non sono elementi di 〈x, y〉, e infatti si chiamano componenti, o proiezioni.

2Con “retta numerica” si intende di solito l’insieme dei numeri reali; tuttavia a secondadel contesto puo anche significare un altro sistema numerico. Ricordiamo che gli insiemidei numeri naturali, interi, razionali e reali si indicano usualmente con N, Z, Q, R. Sela retta numerica e N o Z, il piano e il reticolo infinito dei punti a coordinate naturali, ointere.

3Non e neanche associativo, anche se X × (Y ×Z) e (X × Y )×Z possono essere messiin corrispondeza biunivoca e identificati; quindi con una opportuna definizione delle terne

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Page 86: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Il prodotto X×X si indica anche con X2, e X × · · · ×X︸ ︷︷ ︸n

con Xn, insieme

delle n-uple di elementi non necessariamente distinti di X.

5.2 Relazioni

Un sottoinsieme di un insieme X × Y si chiama anche relazione tra X e Y . !!!Se X = Y una relazione R ⊆ X ×X si dice anche relazione in X.

La rappresentazione grafica usuale delle relazioni e quella per mezzo diun diagramma cartesiano, come il seguente:

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

1

2

X//

YOO

dove X = {0, . . . , 8} e Y = {0, . . . 9} e la relazione e {〈x, y〉 | y = 2x} ={〈0, 0〉, 〈1, 2〉, 〈2, 4〉, 〈3, 6〉, 〈4, 8〉}.

Se gli insiemi sono infiniti, se ne puo indicare solo una porzione; ad es-empio la diagonale

·········

·········

·········

·········

·········

···

·····

·········

·········

·········

••

•••

••

Z//

ZOO

〈x, y, z〉 si puo definire il prodotto a tre fattori X × Y × Z, e anche quello a n fattori conle n-uple come elementi.

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Page 87: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

rappresenta la relazione {〈x, y〉 ∈ Z×Z | x = y } solo in una regione limitatadel piano a coordinate intere, ma si intende che va estesa uniformementeall’infinito.

EsempiLa relazione di paternita e una relazione nell’insieme del genere umano,

l’insieme di tutte le coppie 〈x, y〉 dove x e un maschio che ha generato, e yuno dei suoi figli.

La relazione di discendenza genealogica nell’insieme del genere umano el’insieme di tutte le coppie 〈x, y〉 dove x e un antenato (maschile o femminile)di y.

La relazione di divisibilita4 {〈x, y〉 ∈ N × N | x | y } tra numeri naturalie rappresentata, nell’area limitata disegnata, dal diagramma:

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

··········

•••••••••

•••••

• • • • • • • • • N//

NOO

La relazione {〈x, y〉 ∈ Z× Z | x = y2} e parzialmente rappresentata da

4Con x | y indichiamo che esiste uno z tale che xz = y, e diciamo che x divide y o e undivisore di y o che y e divisibile per x, o y e un multiplo di x. Con questa definizione x | 0perche x0 = 0, mentre escludiamo 0 | 0, che pure rientrerebbe nella definizione, perchequando si introduce la divisione si vuole l’unicita del quoziente z in xz = y, mentre 0z = 0per ogni z.

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···········

···········

···········

···········

···········

···········

····

······

···········

···········

···········

···········

••

Z//

ZOO

La relazione {〈x, y〉 ∈ Z × Z | xy = 4} e un insieme finito i cui elementisono tutti indicati nel grafico:

···········

···········

···········

···········

···········

···········

····

······

···········

···········

···········

···········

·•Z//

ZOO

mentre {〈x, y〉 ∈ Q × Q | xy = 4} e un insieme infinito; alcuni suoi punti5

sono indicati nel grafico:

5Le coppie ordinate che sono elementi di una relazione si chiamano anche punti, inanalogia ai punti del piano.

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···········

···········

···········

···········

···········

···········

····

······

···········

···········

···········

···········

•• •

·••

•Q//

QOO

Si dice talvolta che {〈x, y〉 ∈ Q × Q | xy = 4} e {〈x, y〉 ∈ Z × Z | xy =4} sono la stessa relazione, {〈x, y〉 | xy = 4} considerata una volta in Qe una volta in Z. Tale modo di esprimersi non e corretto (al massimo, la !!!seconda e una restrizione della prima), ancorche diffuso e innocuo, una voltache si abbiano le idee chiare: uguale e la formula xy = 4 che definisce ledue relazioni, ma le relazioni in se sono due insiemi diversi. Spesso, negliinsiemi finiti soprattutto, perche gli insiemi infiniti trattabili sono solo quellidefinibili, non c’e alcuna formula definitoria.

Ad esempio, se U = {0, 1, . . . , 9}, l’insieme {〈2, 4〉, 〈2, 6〉, 〈2, 8〉} e unarelazione in U . L’unico modo di caratterizzarla e quella di elencare le suecoppie.

Considerare una relazione solo come l’insieme delle coppie di individuiche stanno nella relazione stessa, e non la definizione (la proprieta che legale componenti delle coppie), significa trattare le relazioni dal punto di vistaestensionale.

Talvolta come notazione invece di scrivere che 〈x, y〉 ∈ R si scrive ancheR(x, y), o anche x R y.

5.2.1 Esercizi

1. Disegnare in un diagramma cartesiano le relazioni (o parte di esse):

{〈x, y〉 ∈ N× N | x2 + y2 < 20}{〈x, y〉 ∈ Z× Z | x2 + y2 < 20}{〈x, y〉 ∈ N× N | x < 6 ∧ y < 4}.

2. Abbiamo visto esempi di relazioni finite e infinite; come e {〈x, y〉 ∈

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Page 90: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Z× Z | xy = 12}?

5.3 Relazioni d’ordine

Data una relazione R ⊆ X × Y si chiama dominio di R l’insieme

dom(R) = {x ∈ X | esiste un y ∈ Y tale che 〈x, y〉 ∈ R } ⊆ X

e si chiama immagine l’insieme

im(R) = {y ∈ Y | esiste un x ∈ X tale che 〈x, y〉 ∈ R } ⊆ Y .

Se R e una relazione in U si ha sia dom(R) ⊆ U sia im(R) ⊆ U . L’unionedom(R) ∪ im(R) si chiama anche campo di R e si denota campo(R)6.

Esempio Nella relazione di paternita il dominio e l’insieme di tutti gliuomini che hanno generato, l’immagine l’insieme di tutti gli uomini e tuttele donne7.

Le relazioni si distinguono e si classificano in base ad alcune proprieta dicui possono o no godere.

Una relazione R in un insieme U soddisfa la proprieta riflessiva se perogni x ∈ campo(R) 〈x, x〉 ∈ R. Invece si dice antiriflessiva se per ognix ∈ campo(R) 〈x, x〉 6∈ R.

Una relazione R in un insieme U soddisfa la proprieta transitiva se perogni x, y, z ∈ campo(R), se succede che 〈x, y〉 ∈ R e 〈y, z〉 ∈ R allora anche〈x, z〉 ∈ R.

Una relazione R in un insieme U soddisfa la proprieta simmetrica se perogni x, y ∈ campo(R), se succede che 〈x, y〉 ∈ R allora anche 〈y, x〉 ∈ R. Unarelazione e simmetrica se e uguale alla sua simmetrica (nel piano, rispettoalla diagonale) che si ottiene scambiando ogni coppia 〈x, y〉 con 〈y, x〉.

Invece una relazione R si dice antisimmetrica se 〈x, y〉 ∈ R e x 6= yimplicano 〈y, x〉 6∈ R, o in modo equivalente, per contrapposizione, se 〈x, y〉 ∈R e 〈y, x〉 ∈ R implicano x = y.

EsempiLa relazione di paternita e antiriflessiva e non e transitiva, ed e antisim-

metrica. La relazione di discendenza e transitiva.

6La notazione non e del tutto standard.7Qualcuno puo non essere d’accordo sul caso critico di Adamo ed Eva, se ci crede; non

consideriamo i problemi della clonazione.

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Page 91: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Le relazioni {〈x, y〉 | xy = 4} e {〈x, y〉 | x = y} sono simmetriche8. Laprima non e riflessiva, ma neanche antiriflessiva. La seconda e riflessiva. Larelazione {〈x, y〉 | x = y2} non e simmetrica.

La relazione di conseguenza logica, nell’insieme delle proposizioni, e rif-lessiva (legge dell’identita) e transitiva (transitivita del condizionale).

Un tipo importante di relazioni e quello costituito dalle relazioni d’ordine. !!!Una relazione R in un insieme U si chiama relazione d’ordine se soddisfa leproprieta riflessiva, transitiva e antisimmetrica per gli elementi nel campo(R).Si dice anche che R e un ordine in U , un ordine del campo(R).

Per le relazioni d’ordine si suole usare il simbolo �; le condizioni a cuideve soddisfare � sono dunque

x � xx � y ∧ y � z → x � zx � y ∧ y � x → x = y.

Se a queste si aggiunge la condizione che due elementi qualunque siano con-frontabili:

x � y ∨ y � x

per ogni x, y ∈ campo(�), che si chiama anche condizione di connessione,allora � e un ordine totale di campo(�).

Altrimenti, se non e verificata la condizione di connessione, si parla diordine parziale.

Un insieme U si dice totalmente, o parzialmente ordinato, se esiste unarelazione � in U con campo(�) = U che e un ordine totale o rispettivamenteparziale. Un insieme ordinato si indica spesso con la coppia 〈U,�〉, che mettein evidenza la relazione d’ordine.

EsempiL’insieme N con la relazione ≤ e totalmente ordinato.L’insieme {0, 1, . . . n} con la relazione ≤ e totalmente ordinato.La relazione ⊆ nell’insieme dei sottoinsiemi di U e un ordine parziale.Un albero e un insieme parzialmente ordinato.Un ramo di un albero e un insieme totalmente ordinato, e chiuso verso il

basso9.

8In un insieme numerico qualunque.9Questo significa che se x appartiene al ramo e y � x anche y appartiene al ramo.

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Page 92: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Dato un ordine � si puo sempre introdurre una nuova relazione ≺ con ladefinizione x ≺ y ↔ x � y ∧ x 6= y, che risulta antiriflessiva, antisimmetricae transitiva.

Osservazione. L’antiriflessivita vale in generale per una relazione R taleche 〈x, y〉 ∈ R → x 6= y.

Viceversa, data una relazione≺ antisimmetrica e transitiva, si puo definirex � y ↔ x ≺ y ∨ x = y e si ha una relazione d’ordine.

Un minorante di x - rispetto a un ordine 〈U,�〉 - e un elemento y ∈ Utale che y � x. Il minorante e stretto, o proprio, se x 6= y.

Un maggiorante di x e un elemento y ∈ U tale che x � y. Il maggiorantee stretto, o proprio, se x 6= y.

Dato un insieme totalmente o parzialmente ordinato 〈U,�〉, un elementox ∈ U si dice minimo - rispetto all’ordine - se x � y per ogni y ∈ U . Si dicemassimo se y � x per ogni y ∈ U .

Dato X ⊆ U , un minimo di X e un elemento x ∈ X tale che x � y perogni y ∈ X; simmetricamente per il massimo.

Il minimo di un insieme X e unico; analogamente il massimo.

Dato un insieme parzialmente ordinato 〈U,�〉, un elemento x ∈ U si diceminimale - rispetto all’ordine - se non ha minoranti propri. Si dice massimalese non ha maggioranti propri.

Se X ⊆ U , un elemento minimale di X e un elemento x ∈ X tale cheper nessun y ∈ X, y 6= x si ha y � x, cioe che non ha minoranti propriappartenenti a X; simmetricamente per un elemento massimale. Gli elementiminimali o massimali non sono necessariamente unici.

EsempiLa relazione d’ordine totale ≤ nell’insieme dei numeri naturali ha un min-

imo, nessun massimo. Negli altri insiemi numerici degli interi, dei razionalie dei reali10 ≤ e un ordine totale senza ne minimo ne massimo.

La relazione d’ordine parziale ⊆ nell’insieme dei sottinsiemi di un insiemeU ha un massimo U e un minimo ∅. Nell’insieme dei sottoinsiemi non vuoti diU esistono tanti elementi minimali, gli {x}, quanti sono gli elementi x ∈ U .Nell’insieme di tutti gli insiemi contenuti sia in X sia in Y l’intersezioneX ∩ Y e il massimo.

10I numeri complessi invece non possono essere ordinati in modo che la relazione d’ordinesia compatibile con le operazioni, ad esempio nel senso che se x � y allora x + z � y + z.

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Page 93: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

In generale, in un’algebra di Boole, la relazione {〈x, y〉 | x ◦−y = 0} e unordine parziale con minimo 0 e massimo 1.

Dato un insieme X ⊆ campo(�), un elemento x ∈ U , anche non apparte-nente a X, si dice minorante di X se x � y per ogni y ∈ X; simmetricamenteper il maggiorante.

Se un insieme ha un minorante, si dice che e limitato inferiormente. Seha un maggiorante, si dice che e limitato superiormente.

Se esiste il minimo dell’insieme dei maggioranti di X, questo elemento diU si chiama estremo superiore di X; il massimo dell’insieme dei minoranti,se esiste, si chiama estremo inferiore di X.

Esempio√

2 e in R l’estremo superiore dell’insieme {x ∈ Q | x2 < 2}.Tale insieme non ha estremo superiore in Q.

Un ordine si dice discreto se per ogni elemento x che abbia maggiorantipropri esiste un elemento z, che si puo chiamare successore immediato, taleche x ≺ z e per nessun v sia x ≺ v ≺ z, e per ogni elemento x che ab-bia minoranti propri esiste un elemento y, che si puo chiamare predecessoreimmediato, tale che y ≺ x e per nessun u sia y ≺ u ≺ x.

t t t tt zxy

Esempio L’ordine dei numeri naturali e quello dei numeri interi sonoordini discreti.

Un ordine si dice denso se dati due qualunque elementi distinti x e y, conx ≺ y, esiste uno z tale che x ≺ z ≺ y.

Esempio L’ordine dei razionali e quello dei reali sono ordini densi.

Una relazione d’ordine totale � di un insieme U si dice un buon ordinese ogni X ⊆ U non vuoto ha minimo. Un insieme con un buon ordine si dicebene ordinato.

EsempiTipici insiemi bene ordinati sono {0, . . . , n} con la relazione ≤ e l’insieme

N = {0, . . . , n, . . .} con la stessa relazione.L’insieme degli interi non e bene ordinato da ≤. L’insieme dei razionali

non e bene ordinato da ≤.

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Page 94: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Il fatto che l’insieme dei naturali sia bene ordinato significa che al di ladella catena formata da 0 e dal successore di 0, e dal successore del successoredi 0 e cosı via, non ci sono altri elementi, come sarebbe ad esempio in unastruttura del genere:

t t t tttt s s s s r q q t0

e questo e importante per le proprieta dei naturali che studieremo nel para-grafo 12.

La struttura ordinata disegnata sopra ha un massimo, e certo non puoessere fatta cosı una struttura con le proprieta dei numeri naturali. Ognielemento deve avere un successore e ogni elemento diverso da 0 un predeces-sore. Al di la di tutti i numeri raggiungibili da 0 ci potrebbe essere ancoraad esempio una struttura ordinata come quella degli interi; ma se ci fosseroelementi non standard ci sarebbe una catena discendente

t t t tttt s s s s r q q qq q q r r s0

l’insieme non sarebbe bene ordinato; il sottoinsieme formato dalla catenadiscendente da destra non avrebbe minimo.

5.4 Relazioni di equivalenza

L’essenziale sulle relazioni di equivalenza e stato detto a proposito dell’algebradelle proposizioni. Ricordiamo che una relazione R in un insieme U si diceuna equivalenza se essa e riflessiva, simmetrica a transitiva, vale a dire, pergli elementi di campo(R):

xR xxR y → yR x

xR y ∧ yR z → xR z.

Non ci sarebbe bisogno di richiedere la riflessivita in quanto essa e con-seguenza delle altre due: infatti

xR y ∧ yR x → xR x,

quindi basta che x sia in relazione R con un elemento qualsiasi11, xRy o yRx,e lo e se x e nel campo, perche xR x. Tuttavia si menziona la riflessivita perla sua importanza.

11Se c’e solo x nel campo di R, allora deve gia essere xR x.

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Page 95: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Esempi

1. La relazione di uguaglianza e una equivalenza.

2. Nell’insieme U = {a, b, c, d, e} la relazione

R = {〈a, a〉, 〈b, b〉, 〈c, c〉, 〈d, d〉, 〈e, e〉,〈a, b〉, 〈b, a〉, 〈a, c〉, 〈c, a〉, 〈b, c〉, 〈c, b〉,

〈d, e〉, 〈e, d〉}

e una relazione di equivalenza, rappresentata dal seguente diagramma.

·····

·····

·····

·····

·····

•a••••••

••b•

•b•c d e

•cde

U//

UOO

3. Nel dominio degli interi, la relazione di congruenza x ≡ y (mod p),p ≥ 2, che vale se la differenza x− y e divisibile per p, e una relazionedi equivalenza12.

4. La relazione di parallelismo tra rette in un piano e una relazione diequivalenza.

5. La relazione di similitudine tra triangoli e una equivalenza.

6. La relazione di equivalenza logica e una equivalenza.

Data una relazione di equivalenza R in un insieme U = campo(R), sidefinisce per ogni x ∈ U la classe di equivalenza di x come

[x] = {y ∈ U | xR y }12x ≡ y (mod p) si legge“x congruo a y modulo p”.

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Page 96: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

e x si chiama rappresentante della classe [x].Date due classi [x] e [y ], queste o sono uguali (hanno gli stessi elementi)

o sono disgiunte. Se xR y, allora ogni z ∈ [x], essendo xR z, e anche zR y,quindi z ∈ [y], e viceversa. Allora x e y sono due diversi rappresentanti dellastessa classe.

Se x non sta nella relazione R con y, allora non ci puo essere uno z ∈[x] ∩ [y ], altrimenti si avrebbe zR x e zR y, e quindi xR y.

L’insieme U e ripartito dalla relazione di equivalenza R in una famigliadi insiemi disgiunti, di cui U e l’unione. Una tale famiglia si chiama appuntopartizione di U .

EsempiPer la relazione dell’esempio 2 di sopra, [a] = [b] = [c] = {a, b, c} e

[d] = [e] = {d, e}. Nel grafico si vedono i due agglomerati di punti cheformano le due classi disgiunte.

Per la relazione di congruenza x ≡ y (mod 2) ci sono due classi, quelladei numeri pari e quella dei numeri dispari.

L’insieme {[x] | x ∈ U} delle classi di equivalenza di un insieme U ,rispetto alla relazione R, e detto il quoziente di U rispetto ad R, ed e indicatocon U/R.

Il quoziente dell’insieme dei numeri naturali rispetto a x ≡ y (mod 2) el’insieme {0, 1}.

Se si definiscono operazioni e relazioni nel quoziente, a partire da oper-azioni e relazioni tra gli elementi di U , occorre sempre fare attenzione chesiano bene definite, vale a dire che, nel caso di operazioni ad esempio, la classerisultante non dipenda dalla scelta dei rappresentanti delle classi argomento.

Esempio Nel quoziente degli interi rispetto alla relazione x ≡ y (mod p),che si indica Zp, si definisce la somma +p con13

[x] +p [y] = [x + y],

e analogamente il prodotto, rendendo possibile la cosiddetta aritmetica mod-ulare.

L’operazione +p e ben definita perche se [x1] = [x] e [y1] = [y ], allorax = mp+r, y = np+s e x1 = m1p+r e y1 = n1p+s; quindi (x+y)−(x1+y1) =

13Usiamo questo segno per distinguere la somma delle classi dalla somma degli interi.

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Page 97: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

(m + n − m1 − n1)p e divisibile per p e x + y e x1 + y1 appartengono allastessa classe.

Nella congruenza (mod 2), in Z2, 1 +2 1 = 0 corrisponde al fatto che lasomma di due dispari qualunque e pari.

5.5 Funzioni

Una relazione R si dice funzionale se per ogni x ∈ dom(R) esiste un solo ytale che 〈x, y〉 ∈ R.

Una relazione funzionale R tra X e Y si dice anche una funzione tra Xe Y , o una funzione da dom(R) in Y . Se si parla di una funzione da X in Ys’intende che il suo dominio e tutto X.

Per le funzioni si usano di solito i simboli f, g, . . .. Se f e una funzioneda X in Y si scrive anche

f : X −→ Y .

Se 〈x, y〉 ∈ f , si scrive y = f(x) e si dice che y e il valore di f per l’argomentox, o l’immagine di x mediante f .

Sinonimi per “funzione” sono “applicazione”, “mappa” o “corrispondenza”.Si dice pure che y corrisponde a x o che e il valore associato all’argomentox, e talvolta si scrive f : x 7→ y per y = f(x).

Se Z ⊆ X, l’immagine di Z mediante f e l’insieme delle immagini f(y),per ogni y ∈ Z: {f(y) | x ∈ Z}.

Tale insieme si indica anche con f“Z, non con f(Z), che Z 6∈ dom(f). !!!Se y ∈ im(f), l’insieme {x ∈ X | f(x) = y} si chiama controimmagine

di y e si indica f−1(y). f−1(y) e un insieme, e in generale con piu di unelemento.

Un modo abbreviato di presentare una funzione e quello di scrivere laformula che definisce la relazione, ad esempio si parla della funzione y = x2,ma occorre allora precisare a parte il dominio e l’immagine della funzione.

Una funzione f : X −→ Y si dice iniettiva o uno-uno se a elementi diversicorrispondono valori diversi: x 6= y → f(x) 6= f(y).

Una funzione iniettiva si indica talvolta con la notazione:

f : X ↪→ Y .

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Page 98: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Se una funzione f e iniettiva, per ogni y ∈ im(f) f−1(y) ha un solo elementox che si chiama lui controimmagine di y. Quindi f−1 e una funzione, condominio im(f).

Viceversa, se ogni f−1(y) ha un solo elemento, per y ∈ im(f), f e iniettiva.

Una funzione f : X −→ Y si dice suriettiva, o sopra se Y = im(f),ovvero se per ogni y ∈ Y esiste almeno un x ∈ X tale che y = f(x).

EsempiLa funzione

f : Z −→ Zx 7→ 2x

e iniettiva, non suriettiva.La funzione

f : Q −→ Qx 7→ 2x

e iniettiva e suriettiva.La funzione

f : Q −→ Qx 7→ x2

non e iniettiva e non e suriettiva, cosı come14

f : R −→ Rx 7→

√|x|.

La funzione

f : R −→ Rx 7→ x3 − x.

invece non e iniettiva ma e suriettiva.La corrispondenza definita da x 7→ 1

x, o dalla formula y = 1

x, definisce

una funzione tra Q e Q il cui dominio e Q \ {0}:

f : Q \ {0} −→ Qx 7→ 1

x

14Se√

x e presa col segno positivo; altrimenti {〈x, y〉 | y =√|x|} non e una funzione.

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Page 99: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

e iniettiva e non e suriettiva.La funzione

f : Q \ {0} −→ Q \ {0}x 7→ 1

x

e iniettiva e suriettiva.

Una funzione f : X −→ Y che sia iniettiva e suriettiva si dice biiettiva, ouna biiezione tra X e Y o una corrispondenza biunivoca tra X e Y .

Se X = Y si parla di una biiezione di X in se.

EsempiLa funzione

f : Q −→ Qx 7→ 2x

e una biiezione di Q in se stesso.La funzione

f : Z −→ Zx 7→ 2x

e invece solo una iniezione di Z in se.La funzione

f : Q \ {0} −→ Q \ {0}x 7→ 1

x

e una biiezione di Q \ {0} in se..La funzione che a ogni i < n associa i + 1 e a n associa 0 e una biiezione

di {0, 1, . . . , n} in se.

Le biiezioni di un insieme finito in se si chiamano permutazioni dell’insieme.

Il concetto di “funzione” e molto comodo per definire o collegare diversialtri concetti matematici; abbiamo visto quello di “permutazione”; le se-quenze 〈a0, . . . , an〉 di elementi di X si possono definire come funzioni da{0, 1, . . . , n} in X; le disposizioni di X a n elementi, se X ha piu di n el-ementi, sono le funzioni iniettive da {0, 1, . . . , n} in X; un insieme {ai}i∈I

indiciato da I e l’immagine di una funzione da I nell’insieme cui apparten-gono gli ai; un sottoinsieme X ⊆ U e anche uguale a c−1

X (1), dove cX e lafunzione caratteristica di X, cioe la funzione U −→ {0, 1} definita da

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Page 100: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

cX(x) =

{1 se x ∈ X0 se x 6∈ X,

e cosı via, tutte le nozioni matematiche si possono esprimere in termini in-siemistici.

Se per una funzione f : X −→ Y il dominio e un prodotto cartesianoX = V ×W , allora si dice che la f e una funzione di due variabili, o di dueargomenti, e per ogni 〈v, w〉 ∈ V ×W il valore di f si indica con f(v, w).

Analogamente se il dominio e un prodotto di piu di due fattori. Per unafunzione f di n argomenti il valore della funzione per la n-upla 〈x1, . . . , xn〉si indica con f(x1, . . . , xn).

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Page 101: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

6 Forme normali

Dopo aver imparato le definizioni riguardanti la semantica delle proposizioni,e alcune prime tecniche per stabilire in particolare se sono tautologie, sia di-rettamente con il calcolo del valori di verita sia deducendole da altre conpassaggi logici o algebrici booleani, passiamo a porci alcuni problemi meta-teorici sul linguaggio proposizionale.

6.1 Definibilita dei connettivi

Ad ogni proposizione e associata una tavola di verita, come abbiamo vistonegli esempi di 3.3.1. Viceversa, data una qualunque tavola di verita, comead esempio

p q r ?

0 0 0 10 0 1 10 1 0 10 1 1 11 0 0 01 0 1 01 1 0 01 1 1 0

esiste una proposizione scritta utilizzando soltanto i connettivi ¬, ∧, ∨ cheha quella data come sua tavola di verita associata.

La proposizione si costruisce nel seguente modo, appoggiandosi come es-empio alla tavola di sopra. Sara una disgiunzione con tanti disgiunti quantesono nella tavola le righe che hanno il valore 1, quindi A1 ∨ A2 ∨ A3 ∨ A4;ogni disgiunto Ai dovra essere vero solo per l’interpretazione della riga cor-rispondente; la riga assegna valori 0,1 alle lettere, quindi 1 a certe lettere e1 alle negazioni di certe altre lettere; una congiunzione e vera se e solo setutti i congiunti sono veri; Ai potra quindi essere una congiunzione di tanteproposizioni quante sono le colonne di entrata della tavola, nell’esempio 3,e ciascuna di queste proposizioni sara una lettera o la negazione di quellalettera a seconda che nella riga corrispondente la lettera abbia il valore 1oppure 0. Quindi

(¬p ∧ ¬q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ ¬q ∧ r) ∨ (¬p ∧ q ∧ ¬r) ∨ (¬p ∧ q ∧ r).

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Page 102: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Per le proprieta della valutazione della disgiunzione e congiunzione - che unadisgiunzione e vera se e solo se almeno un disgiunto e vero, e una congiunzionese e solo se tutti i congiunti sono veri - e della negazione, si puo facilmentevedere procedendo al contrario che la tavola associata a questa proposizionee uguale alla tavola data, che era la tavola di p ∨ q → ¬p ∧ (q → r). 2

Il risultato si esprime anche dicendo che tutte le funzioni di verita sonodefinibili in termini dell’insieme di connettivi {¬,∧,∨}, o che questo e uninsieme adeguato di connettivi. Questo significa che non si e perso nulla, !!!quanto a capacita espressiva, non ammettendo nell’alfabeto altri connettivi,ad esempio quello per la duplice negazione “ne . . . ne”; se avessimo introdottoun connettivo ↑ o nor per questa combinazione di proposizioni, con la tavola

A B A ↑ B

0 0 10 1 01 0 01 1 0

a posteriori potremmo ora sostituire ogni occorrenza della proposizione p ↑ qcon l’equivalente ¬p ∧ ¬q1.

Si faccia attenzione a cosa significa che un simbolo e definibile, a differenza !!!ad esempio dalla definibilita di un insieme.

Un insieme X ⊆ U e definibile in U se X e l’insieme di verita in U di unaformula.

Un simbolo di operatore binario • si dice definibile (in termini di altri) sep • q ↔ A(p, q) oppure p • q = A(p, q), a seconda che p • q sia una formulaoppure un termine, dove A e un’espressione che non contiene • e contienesolo gli altri simboli o nozioni nei termini dei quali • si dice definito.

S’intende che il bicondizionale o l’uguaglianza definitorie devono esserevalide nel contesto in esame: in logica sara |= p • q ↔ A(p, q), mentre unauguaglianza p • q = A(p, q) deve essere dimostrata nella relativa teoria, arit-metica o algebra o altro.

Analogamente se il numero di argomenti e diverso da 2.

1Se c’e una sola riga con valore 1, la proposizione costruita come detto sopra e dellaforma A1, dove A1 e una congiunzione. Si puo dire tuttavia che anche in questo caso laproposizione associata alla tavola e una disgiunzione, pensando che A1 ≡ A1 ∨A1.

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Ad esempio in geometria piana per due rette “r//s ↔ r e s non siintersecano”, in aritmetica “x | y ↔ esiste uno z per cui xz = y”, oil simbolo di potenza al quadrato “x2 = x · x”, nell’algebra degli insiemi“X \ Y = X∩ ∼ Y ”.

Ma il precedente risultato dice anche che gli stessi connettivi del lin-guaggio proposizionale sono sovrabbondanti, perche {¬,∧,∨} e adeguato, eneanche il piu ridotto possibile. Quando un sistema adeguato e minimale,nel senso che nessun suo sottoinsieme proprio e ancora adeguato, si chiamauna base, in analogia con le basi degli spazi vettoriali (si vedano gli esercizi).

Si ha che p ⊕ q risulta equivalente a (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ ¬q), e p → q ≡(¬p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ q) e analogamente p ↔ q (esercizio).

Ognuna di queste equivalenze comporta l’eliminabilita del connettivodefinito, cioe che all’interno di una proposizione una sottoproposizione, adesempio della forma A → B, puo essere rimpiazzata dalla proposizione equiv-alente (¬A ∧ ¬B) ∨ (¬A ∧B) ∨ (A ∧B).

6.1.1 Esercizi

1. Dimostrare che {¬,∧} e {¬,∨} sono due basi di connettivi, definendola disgiunzione nel primo e la congiunzione nel secondo.

2. Dimostrare che {¬,→} e una base di connettivi.

3. Dimostrare che il connettivo “ne . . . ne” da solo costituisce una base,definendo in termini di esso la negazione e la congiunzione.

4. Scrivere la funzione di verita del connettivo ↓ o nand, “non entrambe”,o “non sia . . . sia”, e dimostrare che costituisce da solo una base diconnettivi.

5. Esaminare tutte le tavole di verita a una entrata, e spiegare perche nonesiste un connettivo per “e necessario che”.

6. Discutere se e possibile ripetere la trattazione di questo paragrafo con⊕al posto di ∨ (cioe associare a ogni tavola una proposizione con ¬,∧,⊕che abbia quella data come sua tavola di verita).

L’insieme {¬,∧,⊕} e adeguato? E {¬,⊕}? E {⊕,∧}?

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6.2 Forme normali disgiuntive

La proposizione costruita a partire da una tavola di verita nel modo sopradescritto ha una forma particolare. Si chiami letterale una proposizione chesia o una lettera p, letterale positivo, o la negazione di una lettera ¬p, letteralenegativo.

La proposizione associata alla tavola ha dunque la forma di una disgiun-zione di congiunzioni di letterali. Una tale forma di chiama forma normaledisgiuntiva. Poiche e evidente che

Osservazione 6.2.1 Per ogni A e B che contengano le stesse lettere,

A ≡ B se e solo se A e B hanno la stessa tavola di verita

si puo concludere che

Teorema 6.2.1 Per ogni proposizione A esiste una proposizione con le stesselettere che e in forma normale disgiuntiva ed e logicamente equivalente ad A.

Dimostrazione. Come nell’esempio di sopra, data A si calcoli la sua tavola,quindi si costruisca la proposizione in forma normale disgiuntiva associataalla tavola.

Nel caso che la tavola di A non abbia alcun 1 nella colonna dei valori,quindi che A sia una contraddizione, la proposizione equivalente in formanormale disgiuntiva si puo scrivere nella forma (¬p∧ p)∨ . . .∨ (¬q ∧ q) comedisgiunzione di contraddizioni elementari, una per ogni lettera di A. 2

Anche una proposizione come ¬p ∨ q e in forma normale disgiuntiva,perche il concetto di congiunzione e disgiunzione e usato ovviamente in sensogeneralizzato, ammettendo due o piu componenti, o anche una sola2. Leproposizioni in forma normale disgiuntiva associate a tavole di proposizioninon contraddittorie hanno l’ulteriore proprieta che in ogni disgiunto com-paiono le stesse lettere, e che in ogni congiunzione ogni lettera compare unasola volta, o positiva o negata3. Qualche volta si usa l’aggettivo regolare perindicare questa caratteristica delle forme normali. Una proposizione in formanormale disgiuntiva regolare permette di leggere direttamente i modelli dellaproposizioni, uno per ogni disgiunto:

2Vedi anche la nota 1 del paragrafo.3Questa disgiunzione nel testo e esclusiva.

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(¬p ∧ q) ∨ (p ∧ ¬q)

ha due modelli, i1(p) = 0 e i1(q) = 1, e i2(p) = 1 e i2(q) = 0.Tale possibilita di lettura dei modelli sussiste peraltro anche per le forme

normali disgiuntive non regolari, considerando pero le interpretazioni comedefinite in modo arbitrario sulle lettere che non occorrono in alcuni disgiunti:

(¬p ∧ q) ∨ p

ha tre modelli: da ¬p ∧ q viene i1(p) = 0 e i1(q) = 1, e da p viene i(p) = 1,che pero ne riassume due: i2(p) = 1 e i2(q) = 1, e i3(p) = 1 e i3(q) = 0.

Qualche volta, sempre per le forme non regolari, disgiunti diversi hannomodelli in comune; e ovviamente se in una congiunzione occorre sia unalettera sia la sua negazione quella congiunzione non ha modelli.

6.3 Forme normali congiuntive

Un altro modo di associare a una tavola una proposizione scritta solo coni connettivi ¬, ∧ e ∨ e il seguente, dove sono scambiati i ruoli di 0 e 1 edi congiunzione e disgiunzione: si cerca ora una proposizione che sia falsaesattamente nei casi prescritti dalla tavola data. In riferimento allo stessoesempio di prima, la proposizione deve essere falsa solo ed esattamente incorrispondenza alle ultime quattro righe della tavola, sara percio una con-giunzione A5 ∧ A6 ∧ A7 ∧A8, e ogni Ai sara la disgiunzione di tre letterali,ogni letterale positivo o negativo a seconda che nella riga in questione la !!!lettera abbia il valore 0 oppure 1. Quindi:

(¬p ∨ q ∨ r) ∧ (¬p ∨ q ∨ ¬r) ∧ (¬p ∨ ¬q ∨ r) ∧ (¬p ∨ ¬q ∨ ¬r).

Per confermare che questa proposizione ha la tavola data come sua tavola diverita occorre questa volta ricordare che una congiunzione e falsa se e solose una delle proposizioni congiunte e falsa, e che una disgiunzione e falsa see solo se tutte le proposizioni disgiunte sono false.

Una proposizione che sia una congiunzione di disgiunzioni di letterali sidice in forma normale congiuntiva.

Esempio La forma normale congiuntiva di p → q, applicando il proced-imento descritto, e ¬p ∨ q, che e forma congiuntiva, se si considera, come siconsidera, la congiunzione in senso generalizzato; ¬p ∨ q e dunque in formasia congiuntiva sia disgiuntiva.

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Come sopra, risolvendo a parte anche il caso in cui nella tavola non cisiano 0, si ha:

Teorema 6.3.1 Per ogni proposizione A esiste una proposizione con le stesselettere che e in forma normale congiuntiva ed e equivalente ad A.

Le forme normali, non necessariamente regolari, sono convenienti per verifi-care in modo efficiente (alla sola scansione e ispezione della lista) la validita !!!logica o l’insoddisfacibilita, ma ciascuna forma e adeguata solo per una delledue proprieta.

Teorema 6.3.2 Una proposizione in forma normale congiuntiva e una tau-tologia se e solo se in ogni sua clausola c’e una lettera che occorre sia positivasia negata.

Una proposizione in forma normale disgiuntiva e insoddisfacibile se e solose in ogni suo disgiunto c’e una lettera che occorre sia positiva sia negata.

Dimostrazione. Per le forme congiuntive, una clausola in cui occorra unalettera e la negazione della stessa lettera e una tautologia, e una congiunzionee una tautologia se e solo se lo sono le sue componenti. Una clausola in cuinon si verifichi la presenza di una lettera e della sua negazione puo assumereil valore 1 se a tutti i letterali si assegna il valore 1 interpretando a 1 le letteredei letterali positivi e a 0 le lettere dei letterali negativi.

Un ragionamento analogo vale per le forme disgiuntive. 2

Si noti che due proposizioni equivalenti non debbono necessariamenteavere le stesse lettere, ad esempio q ∧ (¬p ∨ p) e equivalente a q, e ¬p ∨p e equivalente a q → q (sono tutt’e due tautologie); quando si controllache per ogni interpretazione le due proposizioni hanno lo stesso valore siconsiderano interpretazioni definite sull’insieme piu ampio di lettere, ma sipossono trascurare in una proposizione i valori delle lettere non occorrenti.

Le proposizioni in forma normale che si ottengono da una tavola non sonosempre le piu semplici possibili. Se ad esempio il criterio che interessa e quellodella lunghezza, la forma ¬p∨ q, e preferibile alla forma normale disgiuntivaregolare che si ottiene dalla tavola del condizionale. A ¬p ∨ q si puo passaredalla forma normale disgiuntiva regolare (¬p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ q) con iseguenti passaggi:

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(¬p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ (p ∧ q)(¬p ∧ (¬q ∨ q)) ∨ (p ∧ q)

¬p ∨ (p ∧ q)(¬p ∨ p) ∧ (¬p ∨ q)

¬p ∨ q

applicando le leggi distributive e la semplificazione delle tautologie (si notiche la seconda proposizione non e in forma normale).

Come mostra l’esempio, esistono quindi diverse forme normali disgiuntive(e lo stesso per le congiuntive) equivalenti a una data proposizione; si parlerapercio solo impropriamente della forma normale disgiuntiva (o congiuntiva)di una proposizione A, ma si usera ugualmente tale dizione, intendendola ameno di equivalenza logica; si chiamera in tal modo una qualunque formanormale disgiuntiva (o congiuntiva) che sia equivalente ad A4, e si potraanche scrivere, se conveniente, dnf(A) (rispettivamente cnf(A)).

Il risultato generale che ogni proposizione e equivalente a una propo-sizione in forma normale disgiuntiva o congiuntiva si puo ottenere anche ap-plicando un algoritmo forma normale di trasformazioni successive comenell’esempio di sopra per il condizionale.

Il procedimento e il seguente:

• eliminare ⊕, ↔ e →

• spostare ¬ verso l’interno con le leggi di De Morgan

• cancellare le doppie negazioni, con la legge della doppia negazione

• cancellare le ripetizioni, con le leggi di idempotenza

• applicare ripetutamente le leggi distributive.

L’ultima indicazione puo sembrare vaga, ma si puo rendere piu precisa edeterministica. Con i passi precedenti si e ottenuta una proposizione equiv-alente che e formata a partire da letterali con applicazioni ripetute di ∧e ∨, anche se non necessariamente nell’ordine che produce una forma nor-male. Supponiamo di volerla trasformare in forma normale congiuntiva (per

4Non necessariamente con le stesse lettere, come mostra l’esempio delle due formenormali disgiuntive p ∨ (q ∧ ¬q) ≡ p.

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Page 108: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

la forma normale disgiuntiva il procedimento e lo stesso con scambiati i ruolidi ∧ e ∨).

Consideriamo il connettivo principale della proposizione; se e ∧, passiamoalle due sottoproposizioni immediate trasformandole separatamente con ilprocedimento sotto descritto5 e facendo alla fine la congiunzione delle dueforme congiuntive cosı ottenute; se e ∨, e la proposizione e della forma A∨B,e necessaria qualche preparazione.

Se in A non occorresse per nulla ∧, potremmo lavorare su B come dettosotto, dopo aver fatto, per la precisione, lo scambio con B ∨ A. Possiamoallora supporre che A sia della forma C ∧ D, perche se A a sua volta fosseuna disgiunzione C ∨ D, potremmo considerare al suo posto l’equivalenteC ∨ (D ∨ B) e andare a cercare ∧ in C, oppure in D dopo aver fatto loscambio con l’equivalente D ∨ (C ∨B).

La proposizione data si trasforma allora nella equivalente (C∨B)∧(D∨B)e possiamo applicare ricorsivamente il procedimento alle due proposizioni piucorte C ∨ B e D ∨ B. Quando procedendo in questo modo si e portato ilconnettivo ∧ a legare solo letterali a sinistra di B, si passa a lavorare nellostesso modo su B.

Esempio Da

(p → q) → (r ∨ ¬p)¬(p → q) ∨ (r ∨ ¬p)¬(¬p ∨ q) ∨ (r ∨ ¬p)

(¬¬p ∧ ¬q) ∨ (r ∨ ¬p)(p ∧ ¬q) ∨ (r ∨ ¬p),

che e in forma normale disgiuntiva

(p ∧ ¬q) ∨ r ∨ ¬p

con due disgiunti unitari r e ¬p. Se invece si vuole la forma normale con-giuntiva, si continua con

(p ∨ (r ∨ ¬p)) ∧ (¬q ∨ (r ∨ ¬p))(p ∨ r ∨ ¬p) ∧ (¬q ∨ r ∨ ¬p).

Esempio Trasformare la forma normale disgiuntiva (p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q)in forma normale congiuntiva:

5L’algoritmo che stiamo presentando e ricorsivo - si veda il paragrafo 12.

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(p ∧ ¬q) ∨ (¬p ∧ q)(p ∨ (¬p ∧ q)) ∧ (¬q ∨ (¬p ∧ q)).

Il primo congiunto si trasforma in

(p ∨ ¬p) ∧ (p ∨ q),

il secondo in

(¬q ∨ ¬p) ∧ (¬q ∨ q),

quindi la proposizione in

(p ∨ ¬p) ∧ (p ∨ q) ∧ (¬q ∨ ¬p) ∧ (¬q ∨ q),

da cui si possono ancora eliminare le tautologie, ottenendo

(p ∨ q) ∧ (¬q ∨ ¬p).

Non e detto che questo procedimento, che ha il merito di far vederela terminazione del compito, se lo si segue come filo d’Arianna, sia sem-pre il piu efficiente; puo essere utilmente integrato con l’applicazione initinere dell’eliminazione delle ripetizioni, e con l’eliminazione delle tautolo-gie dalle congiunzioni, e della contraddizioni dalle disgiunzioni, ogni voltache sia possibile; sono utili le leggi di assorbimento ed equivalenze come !!!¬(A → B) ≡ A ∧ ¬B; oppure ci sono scorciatoie come quando, volendo mi-rare a una forma congiuntiva, si incontra una sottoproposizione della forma(A ∧B) ∨ (C ∧B) che conviene rimpiazzare direttamente con (A ∨ C) ∧B.

Esempio Trasformare (¬p∧q)∨ (¬q∧¬p) in forma normale congiuntiva.Con la distributivita (e la commutativita) si ottiene subito

¬p ∧ (q ∨ ¬q)

e quindi ¬p.Applicando invece l’algoritmo forma normale si ottiene

((¬p ∧ q) ∨ ¬q) ∧ ((¬p ∧ q) ∨ ¬p).

Il secondo congiunto e equivalente a ¬p per assorbimento; il primo e equiva-lente a (¬p ∨ ¬q) ∧ (q ∨ ¬q), quindi a ¬p ∨ ¬q, e in definitiva

(¬p ∨ ¬q) ∧ ¬p,

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Page 110: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

che per l’assorbimento e equivalente a ¬p. Questa seconda strada e piu lunga,ma e proposta solo per illustrare l’effetto delle varie mosse possibili.

Le forme normali disgiuntive e congiuntive si trovano ai poli estremi diuno spettro su cui si immagini di collocare le proposizioni misurando la lorodistanza con il numero di applicazioni delle proprieta distributive necessarieper passare dall’una all’altra. Se si pensasse di decidere se una proposizionein forma normale disgiuntiva e una tautologia applicando il teorema 6.3.2,dovendola prima trasformare in forma congiuntiva, si affronterebbe un com-pito non inferiore come complessita a quello di costruire la tavola di veritacompleta (e forse piu rischioso, se fatto a mano).

6.4 Esercizi

1. Scrivere la forma normale congiuntiva e disgiuntiva, usando le tavoledi verita, delle seguenti proposizioni:

(p ∨ q → r) ∧ ¬p ∧ ¬r

¬p → ¬(q → p)

(¬(p → q) ∨ ¬q) → p.

2. Per le proposizioni del precedente esercizio, trasformare la forma nor-male disgiuntiva in quella congiuntiva e viceversa con l’algoritmo formanormale.

3. Scrivere la forma normale disgiuntiva e congiuntiva, usando l’algoritmoforma normale, delle seguenti proposizioni:

(p ∨ q) → ¬(p → (q → r))

(p ∨ q) → ¬(p ∧ (q → r))

p → (¬q ∨ p → (r → p))

p⊕ (¬p⊕ q) → q.

4. Trasformare le leggi logiche del paragrafo 3.3.3 in forma normale con-giuntiva e disgiuntiva.

5. Osservare che la tavola della proposizione p∨ q → ¬p∧ (q → r) di 3.3.1e uguale a quella di ¬p (se questa e estesa a una tavola a tre entratep, q, r indipendente da q e r) e trasformare in ¬p la sua forma normaledisgiuntiva ottenuta dalla tavola.

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Page 111: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

6. Scrivere ¬p ∨ q → ¬p ∧ q in forma normale disgiuntiva e leggerne imodelli. Discutere le relazioni con p⊕ q.

7. Verificare, ai fini dell’applicazione delle trasformazioni con le leggi dis-tributive, che e

(A ∨B) ∧ (C ∨D) ≡ (A ∧ C) ∨ (A ∧D) ∨ (B ∧ C) ∨ (B ∧D)

e analogamente

(A ∧B) ∨ (C ∧D) ≡ (A ∨ C) ∧ (A ∨D) ∧ (B ∨ C) ∧ (B ∨D).

8. Verificare come si trasforma, applicando le leggi di De Morgan, lanegazione di una forma normale congiuntiva (rispettivamente disgiun-tiva) in una forma normale disgiuntiva (rispettivamente congiuntiva).

9. Spiegare, utilizzando le leggi di De Morgan e la legge della doppianegazione, perche cnf(A) ≡ ¬dnf(¬A) e dnf(A) ≡ ¬cnf(¬A).

L’osservazione fornisce un altro modo per ottenere la forma normaledisgiuntiva, o congiuntiva, di una proposizione. Se si vuole ad esempiola forma normale disgiuntiva di A, si puo provare a vedere se non siarelativamente facile ottenere cnf(¬A); ottenuta questa, la si nega esi applica De Morgan; spesso si evita cosı l’applicazione ripetuta delleleggi distributive.

Errore frequente: lo studente ha trovato dnf(A) e per ottenere cnf(A) !!!nega dnf(A) e applica De Morgan, ricordando malamente l’esercizio 8,perche ottiene sı una forma congiuntiva, ma quella della negazione:cnf(¬A). E forse il residuo dell’idea di premettere due negazioni, us-andone una per trasformare dnf in cnf con De Morgan: ¬¬dnf(A),¬(¬dnf(A)), ¬cnf(¬A). Di quella esterna pero ci si dimentica - se sitenesse conto dell’altra negazione, una nuova applicazione di De Mor-gan riporterebbe a dnf(A). Due negazioni consecutive non possonocreare nulla di nuovo.

10. In riferimento alle osservazioni del precedente esercizio, trovare la formanormale disgiuntiva e congiuntiva e confrontare i diversi modi per ot-tenerle, per le proposizioni

(p → q) → (r → ¬p)

p ∨ q → ¬p ∨ q

p ∨ (q ∧ r) → (¬r → p).

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Page 112: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

7 Alberi di refutazione

7.1 Il metodo

La risposta alle domande semantiche, sulla verita logica o sulla insoddisfaci-bilita delle proposizioni, si puo dare con metodi piu efficienti della ricercaesaustiva offerta dalla costruzione delle tavole di verita, che e di complessitaesponenziale. Uno di questi e il metodo degli alberi di refutazione1. Il nomederiva dal fatto che sono impostati, per rispondere alla domanda sulla veritalogica, secondo la ricerca del controesempio: si cerca di scoprire se esisteun’interpretazione che falsifichi la proposizione. Il metodo ha la proprieta cheo la trova, se esiste, e quindi fornisce un’interpretazione in cui la negazionedella proposizione e vera (controesempio: la proposizione e falsa) oppure !!!mostra che non e possibile che esista, e quindi la proposizione e una tautolo-gia.

Piu in generale, il metodo serve a stabilire se esista o no un’interpretazioneche soddisfa una proposizione composta, non partendo dal basso dalle possi-bili interpretazioni delle lettere (bottom up) ma dall’alto, dalla proposizionedata, scendendo verso le sottoproposizioni componenti (top down); nel pro-cesso, si accumulano condizioni necessarie che l’ipotetica interpretazione, seesiste e soddisfa la radice, dovrebbe pure soddisfare - nel senso di qualialtre proposizioni essa dovrebbe soddisfare o no - fino alle condizioni nec-essarie riguardanti le proposizioni atomiche; queste, se non sono incom-patibili tra di loro, si traducono in condizioni sufficienti per la definizionedell’interpretazione.

Gli alberi di refutazione possono dunque essere usati anche per risponderealle altre domande semantiche, ad esempio quella sulla soddisfacibilita.

Si chiamano in generale calcoli logici i metodi per rispondere ai quesitilogici sulla verita, l’insoddisfacibilita, la conseguenza, metodi che sono pro-cedure guidate dalla sintassi, e che si articolano in applicazioni iterate diregole che producono strutture come sequenze o alberi di proposizioni, che sichiamano derivazioni o dimostrazioni .

Gli alberi di refutazione sono alberi etichettati con proposizioni. Identi-fichiamo per comodita di scrittura i nodi con le loro etichette. Nella radicee una proposizione, di cui si vuole sapere se esiste un modello. L’albero e

1Altri nomi usati, insieme a qualche variante di presentazione, sono quelli di alberisemantici , oppure di tableaux semantici.

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Page 113: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

sviluppato secondo la seguente procedura.Ad ogni stadio, si saranno gia prese in considerazione alcune proposizioni,

messe tra parentesi quadre o segnate con un asterisco, e ne resteranno daconsiderare altre. Se sono gia state considerate tutte, l’albero e terminato;se no, si prende in esame una proposizione A non ancora considerata, e aseconda della sua forma si prolunga l’albero nel modo seguente, dopo aversegnato A e aver notato quali sono i rami non chiusi che passano per A, doveun ramo si dice chiuso se su di esso occorre sia una proposizone sia la suanegazione:

• Se A e una proposizione senza connettivi, non si fa nulla (si va al passosuccessivo).

• Se A e B ∧ C, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siappendono alla foglia due nodi in serie etichettati con B e C, comenello schema:

[B ∧ C]...↓F↓B↓C

• Se A e B ∨ C, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siaggiunge alla foglia una diramazione con due nodi B e C, come nelloschema:

[B ∨ C]...↓F

↙ ↘B C

con l’ovvia generalizzazione (qui e nella prececente regola) che se sitratta di congiunzioni o disgiunzioni generalizzate si appendono in serieo rispettivamente si fanno diramazioni con tanti nodi quante sono lesottoproposizioni immediate.

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• Se A e B → C, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siaggiunge alla foglia una diramazione con due nodi ¬B e C, come nelloschema:

[B → C]...↓F

↙ ↘¬B C

• Se A e ¬B e B non ha connettivi, non si fa nulla.

• Se A e della forma ¬B e B e ¬C, al fondo di ogni ramo non chiusopassante per A si appende alla foglia il successore C, come nello schema:

[¬¬C]...↓F↓C

• Se A e della forma ¬B e B e B1∨B2, alla fine di ogni ramo non chiusopassante per A si aggiungono alla foglia due nodi in serie ¬B1 e ¬B2,come nello schema:

[¬(B1 ∨B2)]...↓F↓¬B1

↓¬B2

con l’ovvia generalizzazione se B e una disgiunzione generalizzata.

• Se A e della forma ¬B e B e B1 → B2, alla fine di ogni ramo nonchiuso passante per A si appendono alla foglia due successori in serie

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Page 115: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

B1 e ¬B2, come nello schema:

[¬(B1 → B2)]...↓F↓B1

↓¬B2

• Se A e della forma ¬B e B e B1∧B2, alla fine di ogni ramo non chiusopassante per A si aggiunge alla foglia una diramazione con due nodi¬B1 e ¬B2, come nello schema:

[¬(B1 ∧B2)]...↓F

↙ ↘¬B1 ¬B2

Ovviamente se per il nodo in considerazione non passa alcun ramo non chiuso,non si fa nulla. Dalla formulazione e chiaro che quando tutti i rami sonochiusi il procedimento termina, anche se non tutte le proposizioni sono stateconsiderate, e in tal caso l’albero si considera terminato e si dice chiuso.

Non diamo le regole per il bicondizionale (esercizio) perche non sareb-bero altro che l’adattamento di quelle che derivano dal fatto che p ↔ q eequivalente a (p → q) ∧ (q → p). Lo stesso per ⊕, ma si preferisce eliminareprima questi connettivi (comunque, si diano le regole per ⊕ - esercizio), equesta e l’unica preparazione o trasformazione che si fa sulle proposizioni;altrimenti si prendono cosı come sono, e questo e un vantaggio del metodo, !!!nessun preprocessing .

Si leggano con attenzione le regole, cogliendone tutte le informazioni e ivincoli: ad esempio, quando si lavora su di un nodo, si aggiungono propo-sizioni su tutti i rami passanti per quel nodo, ma non sugli altri. !!!

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Page 116: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Esempio

1. Consideriamo la proposizione ¬((¬p ∨ q) ∧ p → q) che mettiamo nellaradice dell’albero

¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)

2. Lavorando su di esso, che e la negazione di un condizionale, otteniamo

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]↓

(¬p ∨ q) ∧ p↓¬q

3. Lavorando su (¬p ∨ q) ∧ p otteniamo

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]↓

[(¬p ∨ q) ∧ p]↓¬q↓

¬p ∨ q↓p

4. Lavorando prima su ¬q, senza alcun effetto, e poi su ¬p ∨ q

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]↓

[(¬p ∨ q) ∧ p]↓

[¬q]↓

[¬p ∨ q]↓p

↙ ↘¬p q .

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Page 117: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Non e neanche necessario indicare che si sono presi in considerazione lerestanti proposizioni, perche il loro effetto e nullo. L’albero e chiuso, perchesu uno dei sue due rami occorrono p e ¬p, e sull’altro occorrono q e ¬q.

Se si deve interpretare come e stato ottenuto un albero sviluppato, e diaiuto che sia segnato a fianco di ogni proposizione l’ordine in cui e stata presain considerazione, come in

[¬((¬p ∨ q) ∧ p → q)]1↓

[(¬p ∨ q) ∧ p]2↓

[¬q]3↓

[¬p ∨ q]4↓p

↙ ↘¬p q .

Esempio

¬((p ∧ q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ ¬q)1

↓¬(p ∧ q)3

↓¬(¬p ∧ q)4

↓¬¬q2

↓q

↙ ↘¬p ¬q↙ ↘ chiuso

¬¬p ¬qchiuso

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Page 118: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

dove il ramo di destra con foglia ¬q non e sviluppato con

¬q↙ ↘

¬¬p ¬q

come dovrebbe essere per il lavoro su ¬(¬p∧ q), perche il ramo e gia chiuso;il ramo di sinistra non e prolungato con

¬¬p↓p

perche anch’esso chiuso.

Avvertenza Non si confondano gli alberi di refutazione con gli alberi !!!sintattici. L’albero sintattico si una proposizione contiene solo le sottopropo-sizioni di quella data, l’albero di refutazione anche altre. Ad esempio

p ∨ q → p ∧ q↙↘

p ∨ q p ∧ q↙↘ ↙↘p q p q

e l’albero sintattico di p ∨ q → p ∧ q. Il suo albero di refutazione e invece

p ∨ q → p ∧ q↙↘

¬(p ∨ q) p ∧ q↓ ↓¬p p↓ ↓¬q q

dove, oltre a una struttura diversa, compaiono proposizioni come ¬p, ¬q,¬(p ∨ q).

In alcune presentazioni gli alberi di refutazione sono alberi i cui nodisono proposizioni etichettate con i simboli V ed F , per “vero” e “falso”. La

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Page 119: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

corrispondenza con la presente versione si ottiene sostituendo V A con A eF A con ¬A, e viceversa.

Ad esempio le due regole per la congiunzione sono:V ∧: Quando si lavora su V (A∧B) (al fondo di ogni ramo . . . ) si appen-

dono in serie V A e V B.F∧: Quando si lavora su A F (A ∧ B) (al fondo di ogni ramo . . . ) si

appende una diramazione con con F A e F B.

7.2 Correttezza e completezza

Il primo problema con ogni algoritmo e quello della terminazione, in parti-colare per gli algoritmi di decisione; se l’algoritmo non si ferma sempre, conuna risposta, dopo un numero finito di passi, non ci si puo affidare ad essoper decidere le questioni che interessano (nel senso di lanciarlo e stare adaspettare).

Lemma 7.2.1 (Terminazione) La costruzione dell’albero di refutazione in-izializzato con una proposizione termina sempre in un numero finito di passi.

Dimostrazione. Se ad ogni stadio si lavora su una proposizione di quelle chehanno altezza massima n tra quelle non ancora considerate, l’applicazionedelle regole fa sı che dopo un numero finito di passi tutte quelle di altezzan siano state considerate, e l’altezza massima delle proposizioni non ancoraconsiderate sia quindi < n. Infatti le proposizioni introdotte nell’albero conle regole hanno tutte altezza minore della proposizione che governa la regola,salvo il caso di B → C, per cui si introducono ¬B e C, e ¬B puo avere lastessa altezza di B → C (quando? esercizio); ma la successiva applicazionedi una delle regole per proposizioni negate a ¬B, che si puo eseguire subito,la sostituisce con proposizioni di altezza minore.

Anche se dunque nel corso del procedimento il numero di proposizioninei nodi dell’albero cresce con il crescere dell’albero, diminuisce quello delleproposizioni di altezza massima, e dopo un numero finito di passi ci sarannosolo proposizioni di altezza minima, senza connettivi, non ancora considerate,e a quel punto il processo termina, se non e terminato prima per la chiusuradell’albero. 2

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Page 120: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Quando si da un metodo sintattico per rispondere a quesiti di naturasemantica (o un calcolo per risolvere un problema), si pone la questione, e larichiesta, della correttezza e completezza del metodo. Correttezza significache le risposte che da il metodo sono giuste, completezza significa che quandola risposta c’e il metodo la da, quella giusta.

Qualche ambiguita puo sussistere quando le domande possibili sono di-verse, e tuttavia collegate. Ad esempio per il fatto che

Osservazione 7.2.2 Per ogni p,

A e una tautologia se e solo se ¬A e insoddisfacibile

ci si puo porre come problema semantico sia il problema della verita log-ica sia il problema dell’insoddisfacibilita. Un calcolo si puo pensare siacome calcolo per stabilire la verita logica sia come un calcolo per stabilirel’insoddisfacibilita. Scegliamo il metodo degli alberi di refutazione per ilproblema dell’insoddisfacibilita, e come risposta preferenziale affermativa lachiusura dell’albero (un esito in generale piu rapido e che non richiede ulte-riori elaborazioni); abbiamo allora

Teorema 7.2.3 (Correttezza) Se l’albero di refutazione con radice A sichiude, allora A e insoddisfacibile.

Dimostrazione2. Procediamo per contrapposizione dimostrando che se esisteun’interpretazione i che soddisfa A, allora a ogni stadio di sviluppo dell’alberoesiste almeno un ramo tale che i soddisfa tutti le proposizioni del ramo.Allora l’albero non e mai chiuso, perche se un ramo e chiuso non tutte le sueproposizioni possono essere vere in una stessa interpretazione.

Allo stadio n, consideriamo un ramo σ le cui proposizioni siano tuttesoddisfatte da i, e una proposizione B su di esso, quindi vera in i, e nonancora considerata (se non ce ne sono, il lavoro su quel ramo e terminatosenza che esso sia chiuso, e tale rimane alla fine, e l’albero finale non echiuso). Se B e una congiunzione, al ramo sono aggiunti due nodi che sonoanch’essi etichettati con proposizioni vere in i, e il ramo prolungato soddisfa,allo stadio successivo, la proprieta richiesta. Se B e una disgiunzione B1∨B2,

2Per questo e per il successivo teorema diamo dimostrazioni complete, anche se, es-sendo per induzione, si potranno apprezzare solo in seguito. Si puo tuttavia gia cogliereugualmente l’essenza del ragionamento e la ragione della validita del risultato.

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Page 121: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

o il ramo3 σ_B1 o il ramo σ_B2 soddisfano la proprieta richiesta, a secondache B1 o B2 siano vere in i. Lo stesso vale per gli altri casi (esercizio). 2

Viceversa

Teorema 7.2.4 (Completezza) Se A e insoddisfacibile, l’albero di refu-tazione con radice p si chiude.

Dimostrazione. Dimostriamo che

Lemma 7.2.5 Se l’albero non si chiude, allora per ogni ramo non chiusoe terminato esiste un’interpretazione i che soddisfa tutti le proposizioni delramo, inclusa la radice.

Dimostrazione del lemma. Sia σ un ramo non chiuso dell’albero terminato.Si definisca un’interpretazione i ponendo i(p) = 1 per ogni proposizioneatomica p che occorre come nodo nel ramo σ, e i(p) = 0 per ogni proposizioneatomica tale che ¬p occorre come nodo nel ramo σ. Si dimostra ora che ogniproposizione di σ e vera in i. Supponiamo questo verificato per tutte leproposizioni sul ramo che hanno un’altezza minore di un numero fissato n,e facciamo vedere che lo stesso vale per quelle di altezza n. Se B e unacongiunzione B1 ∧ B2, quando e stata presa in considerazione B si sonoaggiunti come nodi del ramo sia B1 che B2, che sono quindi in σ e hannoaltezza minore di n e quindi si suppongono vere in i; dunque anche B e verain i. Se B e una disgiunzione B1∨B2, quando e stata presa in considerazioneB si sono aggiunti a tutti i rami passanti per B, incluso (quello che sarebbediventato) σ, o B1 o B2; quindi una delle due e su σ, e vera in i, quindi ancheB e vera. Gli altri casi si trattano nello stesso modo. 2 2

Se in un ramo terminato non chiuso manca una lettera che occorre nellaradice, nel definire l’interpretazione si puo dare ad essa il valore che si vuole;cio significa che al ramo e associata piu di una interpretazione.

L’esito complessivo dei teoremi di correttezza e completezza e che ilmetodo degli alberi prende in esame tutte le possibili strade per provarea definire interpretazioni, e se ce ne sono le fornisce tutte, e se non ce ne sonolo rivela.

3σ_B1 e il ramo prolungato con B1; la notazione e quella della concatenazione di liste.

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La dimostrazione delle proprieta di correttezza e completezza non prendein considerazione l’ordine in cui si sviluppa l’albero. Il procedimento deglialberi di refutazione si puo rendere deterministico fissando un ordine progres-sivo per le proposizioni introdotte e quelle da prendere in considerazione maproprio il fatto che la dimostrazione e indipendente dall’ordine permette divedere che la risposta dell’albero e le sue proprieta non dipendono dall’ordineeventualmente fissato; lavorare su una proposizione prima che su di un’altrapuo modificare l’albero ma non la risposta finale; ogni mossa dipende solodalla proposizione in considerazione e non dalle altre presenti in altri nodi.

Si puo sfruttare questa circostanza (oltre che come si e fatto nella di-mostrazione della terminazione) per formulare utili regole euristiche, comequella di prendere in esame prima le proposizioni che si limitano ad allungare !!!i rami e non introducono diramazioni.

Riassumendo

Corollario 7.2.6 Per ogni A,A e soddisfacibile se e solo se l’albero di refutazione con radice A non sichiude

mentre, nello spirito del controesempio,

Corollario 7.2.7 Per ogni A,A e una tautologia se e solo se l’albero di refutazione con radice ¬A si chiude.

Per la nozione di conseguenza logica, serve infine il

Corollario 7.2.8 Per ogni A e B,|= A → B se e solo se l’albero di refutazione con radice ¬(A → B), o conradice A ∧ ¬B, si chiude.

Si noti che e indifferente avere nella radice ¬(A → B) oppure l’equivalenteA ∧¬B perche in entrambi i casi l’applicazione delle regole per la negazionedi un condizionale o per la congiunzione portano ad aggiungere alla radice

↓A↓¬B

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dopo di che si continua lavorando solo su A e su ¬B e loro sottoproposizioni.Si puo addirittura partire con

A↓¬B

se interessa la domanda A |= B.

7.3 Forme normali

Gli alberi di refutazione permettono di ottenere altre informazioni sulle propo-sizioni a cui si applicano. Se A e una proposizione soddisfacibile, e quindil’albero di refutazione con radice A non si chiude, una forma normale dis-giuntiva di A si puo ottenere nel seguente modo: per ogni ramo terminatoe non chiuso, si faccia la congiunzione di tutti i letterali che sono nodi del !!!ramo, quindi si faccia la disgiunzione di queste congiunzioni. Le proprietadimostrate della correttezza e della completezza garantiscono che questa dis-giunzione e proprio equivalente a A (esercizio).

Esempio

¬(p ∨ ¬q) ∨ q ∨ ¬(p → q)↙ ↓ ↘

¬(p ∨ ¬q) q ¬(p → q)↓ ↓¬p p↓ ↓¬¬q ¬q↓q .

L’albero non e chiuso e la forma normale disgiuntiva della radice e (¬p∧ q)∨q ∨ (p ∧ ¬q); i tre modelli dati dai tre rami non chiusi sono

i1(p) = 0, i1(q) = 1,i2(q) = 1,i3(p) = 1, i3(q) = 0

dove il secondo sta per due interpretazioni, di cui una pero coincide con la

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prima; rami diversi non danno necessariamente interpretazioni diverse. La !!!proposizione non e una tautologia in quanto manca l’interpretazione i(p) =i(q) = 0 tra i suoi modelli.

Se l’albero per A si chiude, si sa che A e una contraddizione e una formanormale disgiuntiva si scrive direttamente.

Dall’albero di A non si legge invece la forma normale congiuntiva di A;per ottenere questa, una via indiretta e la seguente: si mette nella radice ¬A, !!!si sviluppa l’albero per ¬A e si trova una forma normale disgiuntiva di ¬A.Quindi si nega questa premettendo una negazione, e si applicano le leggi diDe Morgan.

Poiche l’albero terminato e non chiuso permette di leggere i modelli dellaradice, per verificare che A e una tautologia si puo anche sviluppare l’alberocon radice A, e controllare che ci siano alla fine 2n interpretazioni associate airami non chiusi, se A ha n lettere. Ma se la domanda e se A sia una tautologia,e piu conveniente impostare l’albero con ¬A, perche se la risposta e positiva !!!essa arriva dalla chiusura dell’albero, in generale piu in fretta dello sviluppointegrale dell’albero con radice A e del conteggio dei modelli.

7.4 Esercizi

1. Verificare con gli alberi di refutazione le leggi logiche del paragrafo3.3.3.

2. Verificare con gli alberi di refutazione se le seguenti proposizioni sonotautologie, e se no indicare i controesempi:

(p ∨ q) ∧ (r → ¬p) → (r → q)

((p → ¬p) ∧ (q → p)) → ¬q

(p ∧ q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ q

(p ∧ q) ∨ (¬p ∧ q) ∨ ¬q.

3. Verificare con gli alberi di refutazione che le seguenti proposizioni sonoinsoddisfacibili:

((p ∨ q) ∧ (¬p ∨ q) ∧ ¬q) → q

(p → ¬q) ∧ (¬p ∨ q)

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Page 125: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

(p → ¬q) ∧ ¬p ∧ q

(p → ¬q) ∧ p ∧ q

(p ∨ ¬q ∨ r) ∧ ¬r ∧ (¬p ∨ q) ∧ ¬p.

4. Trovare con gli alberi di refutazione la forma normale disgiuntiva e imodelli delle seguenti proposizioni:

p ∧ q → (p → q)

p ∧ q → (p → q ∧ r)

(p → (q ∨ (p ∧ r))) ∧ (¬p ∧ (q → p)).

5. Con gli alberi di refutazione trovare la forma normale congiuntiva delleseguenti proposizioni:

p ∧ q → (p → q ∧ r)

(p ∨ q → r) ∧ ¬p → (p ∨ r)

(p → (q ∨ (p ∧ r))) ∧ (¬p ∧ (q → p)).

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8 Linguaggi predicativi

Finora abbiamo considerato, nell’algebra degli insiemi, solo formule conte-nenti una variabile x, a cui abbiamo associato, in ogni universo U , un insiemedi verita.

Gli insiemi di verita si incontrano invero quasi solo in matematica, dove eproprio tipico lo studio di insiemi definibili. Ad esempio dopo aver introdottola definizione dei numeri primi ci si chiede come e l’insieme dei numeri primi(se finito o infinito), si elaborano algoritmi per trovare i suoi elementi, sene studiano sottoinsiemi. Studiare il concetto di “numero primo” significastudiare l’insieme dei numeri definiti dal concetto “primo”.

Tuttavia la definizione dei numeri primi richiede i quantificatori. Ledefinizioni riguardanti le proprieta delle relazioni coinvolgono quantificatori.In generale tutte le frasi che intervengono in matematica coinvolgono quantifi-catori che devono essere padroneggiati correttamente per fare dimostrazionicorrette.

Supponiamo di stare ragionando su questioni di aritmetica, e di voler adesempio dimostrare che

il successore di un numero pari e dispari.

Il primo passo della versione aritmetica e quello di scrivere:

se x e pari, allora x + 1 e dispari.

Questa abbiamo visto che e una delle funzioni delle variabili, quella di indicareun elemento generico. Quindi occorre sostituire i termini tecnici con le lorodefinizioni, continuando con

se x e divisibile per 2, allora x + 1 non e divisibile per 2.

La frase “x e divisibile per 2” si formalizza con ∃y(x = 2 · y), che traduce:“esiste un numero che moltiplicato per 2 da x”; tale numero e indicato cony, perche non lo conosciamo, e non possiamo conoscerlo se non conosciamox, o finche non conosciamo x; non possiamo dire che y e x/2 perche a rigorenon abbiamo l’operazione di divisione, se stiamo considerando solo i numerinaturali (la si introduce proprio cosı, come inversa della moltiplicazione, main generale insieme a un resto)1.

1Naturalmente una possibilita di espressione esplicita con un termine del linguaggio ecomoda, quando e disponibile; in generale pero y non e una funzione esplicita di x con unsimbolo dell’alfabeto.

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La frase successiva “x + 1 e dispari” significa che tutti i numeri z molti-plicati per 2 sono diversi da x + 1.

In italiano, si direbbe correttamente:

se per qualche y si ha x = 2y, allora per nessun z si ha x + 1 = 2z.

Nel gergo matematico, si scrive soltanto

se x = 2y, allora x + 1 6= 2z,

ma la scrittura precisa e

∃y(x = 2y) → ∀z(x + 1 6= 2z).

Vero e che i quantificatori devono essere eliminati per svolgere le dimostrazioniche richiedono manipolazioni algebriche di formule, e si dovra arrivare, comevedremo, a

x = 2y → x + 1 6= 2z,

ma l’aver scritto i quantificatori aiuta a ricordare come devono essere trattatele variabili.

In questo caso, dato x, anche y e determinato e fissato; invece x+1 6= 2z eun’affermazione relativa a tutti gli z (a tutti i numeri da pensare presi comevalori di z) e va dimostrato come si dimostrano le affermazioni universali,riferite a z. Ad esempio per assurdo, oppure per induzione, tecnica chevedremo in seguito.

Si noti che anche in italiano si passa spesso, nei ragionamenti, da frasiche contengono i quantificatori “qualche”, “tutti”, o equivalenti, a frasi con“uno”, o equivalenti, vale a dire di quelle che prese isolatamente sarebberoambigue. Ad esempio, per giustificare l’affermazione “chi segue il corso diLogica non impara niente” si potrebbe argomentare nel seguente modo, primaeliminando un quantificatore universale e infine ripristinandolo: chiunquesegue il corso di Logica (prima o poi) si addormenta; uno che segue il corso diLogica si addormenta; uno che si addormenta perde qualche spiegazione; unoche perde una spiegazione non capisce neanche il resto; quindi uno che segueil corso di Logica non capisce la materia, quindi, come volevasi dimostrare,tutti quelli che seguono il corso di Logica non imparano niente. Vedremo inseguito l’organizzazione in un formato standard di queste mosse logiche.

I quantificatori si tolgono nel corso di un argomento per poter lavoraresolo a livello proposizionale o algebrico; tale eliminazione e soggetta a precisi

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vincoli che vedremo. Nelle definizioni invece occorre scrivere tutti i necessariquantificatori nel modo corretto; non e lecito ometterne alcuni.

Per una trattazione rigorosa dei quantificatori occorrono altre precisazioni,che si possono dare meglio nel contesto di un linguaggio formale, adatto allaformalizzazione di tutte le frasi, che presentiamo in maniera analoga a quantofatto per il linguaggio proposizionale.

8.1 Alfabeto

L’alfabeto e stato gia descritto informalmente nel capitolo 1.Per ottenere i linguaggi predicativi, all’alfabeto costituito dai connettivi e

dalle parentesi si aggiungono le variabili, con i due quantificatori, e simboli dipredicato, di funzione e di costante. Le variabili sono disponibili in quantitaillimitata, anche se ogni volta se ne utilizzeranno solo un numero finito. Glialtri simboli differiscono da linguaggio a linguaggio, possono anche mancare,anche se almeno un simbolo di predicato deve sempre essere presente.

I simboli di predicato, di funzione e di costante costituiscono la parteextralogica dell’alfabeto di un linguaggio.

8.2 Termini e formule

La struttura di base di un’affermazione atomica e l’attribuzione di un pred-icato a uno o piu termini. Se t1, . . . , tn sono termini, non necessariamentedistinti2, si scrivera

P (t1, . . . , tn)

a indicare che il predicato P (o piu precisamente la proprieta P se n = 1, ola relazione P se n > 1) sussiste per gli individui denotati dagli n termini.

I termini sono le costanti, le variabili e, se f e un simbolo di funzione a nposti, e t1, . . . , tn sono n termini, non necessariamente distinti, f(t1, . . . , tn)e un termine.

La scrittura f(t1, . . . , tn), come abbiamo detto parlando delle funzioni,e quella usuale per indicare il valore di f in corrispondenza agli argomentit1, . . . , tn. Ma le virgole non appartengono al linguaggio predicativo; le parole

2Si potrebbe anche dire: “data una n-upla di termini”, dove le componenti di unan-upla non sono necessariamente distinte.

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sono liste di simboli dell’alfabeto e quella che costituisce in effetti il terminein questione e semplicemente la concatenazione ft1 . . . tn.

Si puo dimostrare che non esiste ambiguita nel ricostruire come e com-posto il termine a partire da quali argomenti e quale simbolo funzionale,anche senza parentesi (e tanto meno virgole). Si deve solo supporre che neldare l’alfabeto a ogni simbolo f sia associato in modo esplicito il numerodi argomenti di f . Questo fatto mostra i vantaggi della notazione prefissarispetto a quella infissa nella manipolazione meccanica.

Lo stesso vale per la scrittura P (t1, . . . , tn), che useremo ma che cor-risponde alla parola Pt1 . . . tn.

I termini chiusi sono i termini che non contengono variabili. !!!Quando si trattano argomenti matematici, si usano le convenzioni a cui

si e abituati, di scrivere i simboli delle operazioni usuali3 in mezzo ai termini,laddove la notazione funzionale preferisce mettere il simbolo di funzione da-vanti; la stessa notazione infissa si adotta per le relazioni =, < e ≤.

Esempio Supponiamo di avere una costante 0 e un simbolo funzionale aun argomento, indicato con ′; scriveremo x′ per ′(x) e quindi x′′ per ′(′(x)), . . .I termini sono

0, x, y, . . . per tutte le variabili0′, x′, y′, . . .0′′, x′′, y′′, . . .. . .

L’insieme degli infiniti termini puo essere enumerato in una successione unica,ad esempio

0, 0′, x, 0′′, x′, y, 0′′′, x′′, y′, z, . . .

Il criterio che guida l’enumerazione e quello, dopo il primo passo iniziale 0, 0′,di introdurre una nuova variabile, aggiungere un apice ai termini precedenti,e ricominciare con una nuova variabile.

L’insieme dei termini distribuito in una matrice infinita viene percorsosecondo le diagonali:

3In aritmetica e algebra si parla preferibilmente di operazioni, ma sono la stessa cosadelle funzioni. Qualche volta il segno di moltiplicazione non si scrive.

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Page 130: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

...

0′′′

0 x y z . . .

0′ x′ y′ . . .

0′′ x′′ y′′ . . .

?��7

��7

��7

��7

Se le variabili sono indicate con t2, t3, . . ., e 0 con t1, si puo determinare

esplicitamente con operazioni aritmetiche il posto di t

m︷︸︸︷′′ . . .′n , in funzione di n

ed m4.L’enumerazione per diagonali della matrice infinita i cui posti sono indi-

viduati dalla riga n-esima e dalla colonna m-esima dimostra che N× N e in !!!corrispondenza biunivoca con N.

I termini 0, 0′, 0′′, . . . sono quelli che denotano i numeri naturali. Talvoltasi pensa che ci sia a disposizione una costante diversa per ogni numero nat-urale, perche si pensa a 0, 1, 2, 3, . . ., ma le cifre distinte sono solo dieci. Glialtri numeri sono denotati da termini chiusi, quelli che si possono formarecon la rappresentazione posizionale. Pensare di disporre di infinite costantie possibile teoricamente, ma non e realizzabile in concreto.

Se e presente anche un solo simbolo di funzione a due argomenti l’insiemedei termini e molto piu complicato.

Le versioni formali delle frasi saranno chiamate formule, in analogia alleformule matematiche.

Le formule sono definite nel seguente modo:

1 Se P e un predicato a n posti e t1, . . . , tn termini, (P (t1, . . . , tn)) e unaformula.

2 Se A e una formula, anche (¬A) lo e.

4Esercizio, dopo il principio di induzione.

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3 Se A e B sono formule e • un connettivo binario, anche (A • B) e unaformula.

4 Se A e una formula, e x una variabile, anche (∀xA) e (∃xA) sono formule.

Le parentesi si riducono con le stesse convenzioni viste per le proposizioni,dove ora i quantificatori sono al primo posto nell’ordine di priorita, insieme !!!alla negazione (se adiacenti, si procede prima dall’interno, o da destra versosinistra, come gia per la negazione nel linguaggio proposizionale).

Esempio ∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x∃yR(x, y) rimettendo le parentesi,non intorno alle formule atomiche e la coppia esterna, diventa

∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x(∃yR(x, y))∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬(∃x(∃yR(x, y)))∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))∃xP (x) ∧ ∃y(¬Q(y)) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))∃xP (x) ∧ (∃y(¬Q(y))) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))

(∃xP (x)) ∧ (∃y(¬Q(y))) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))((∃xP (x)) ∧ (∃y(¬Q(y)))) → (¬(∃x(∃yR(x, y))))

da cui si vede la struttura, che e quella di un condizionale con l’antecedenteche e una congiunzione e il conseguente che e una negazione; ∧,→ e ¬ col-legano tra loro formule quantificate (cioe che iniziano con un quantificatore).

Per le formule si possono costruire gli alberi sintattici individuando ilsegno logico principale, che ora puo essere un connettivo oppure un quantifi-catore, per le formule del tipo (∀xA) e (∃xA).

Nei nodi dell’albero sintattico di una formula occorrono le sottoformuledella formula stessa.

L’albero sintattico per ∃xP (x)∧∃y¬Q(y) → ¬∃x∃yR(x, y) e il seguente:

∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) → ¬∃x∃yR(x, y)↙ ↘

∃xP (x) ∧ ∃y¬Q(y) ¬∃x∃yR(x, y)↙ ↘ ↓

∃xP (x) ∃y¬Q(y) ∃x∃yR(x, y)↓ ↓ ↓

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P (x) ¬Q(y) ∃yR(x, y)↓ ↓

Q(y) R(x, y).

Esempi

1. Tipiche formule atomiche di argomenti aritmetici e algebrici sono x −1 = 0, x · y + x = x · (y + 1), x + (y + z) = (x + y + z), x < x + 1, e ingenerale t1 = t2 e t1 ≤ t2 o t1 < t2 dove t1 e t2 sono termini.

2. Le identita booleane sono altri esempi di formule atomiche, ma si sonoanche incontrate altre formule piu complesse del linguaggio insiemistico,ad esempio le definizioni

∀x(x ∈ X ∩ Y ↔ x ∈ X ∧ x ∈ Y )

X ⊆ Y ↔ ∀x(x ∈ X → x ∈ Y )

o teoremi come

∀x(x ∈ X → x ∈ X ∨ x ∈ Y ),

che prima avevamo scritto senza quantificatori universali per l’abitudineche c’e nell’esposizione matematica di ometterli quando si tratta diidentita (cioe di formule valide per ogni x).

In queste formule X,Y, . . . non sono variabili, ma simboli predicativi aun posto; x ∈ X e una scrittura alternativa per la notazione predicativaX(x)5.

3. “La funzione y = x3 e iniettiva e suriettiva”.

∀x1∀x2(x1 6= x2 → x31 6= x3

2) ∧ ∀y∃x(y = x3)

4. Un enunciato del linguaggio aritmetico che afferma che la relazione“y = 2 · x” e una relazione funzionale e iniettiva e il seguente:

∀x∃y(y = 2·x∧∀z(z = 2·x → z = y))∧∀x1∀x2(x1 6= x2 → 2·x1 6= 2·x2).

5Si puo anche considerare ∈ come un simbolo di relazione tra insiemi, quando si studianoquestioni piu avanzate che coinvolgono insiemi di insiemi, insiemi i cui elementi sonoinsiemi, e non si fa una distinzione logica tra individui ed insiemi; tutte le variabili varianosu insiemi e si possono trovare formule come x ∈ y ∧ y ∈ z.

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8.3 Variabili libere e vincolate

La clausola 4 della definizione del linguaggio predicativo6 e la clausola nuova,rispetto al linguaggio proposizionale.

In una formula del tipo (∀xA), o (∃xA), A si chiama raggio d’azionedel primo quantificatore universale, o rispettivamente esistenziale. Tuttele occorrenze di x all’interno del raggio d’azione vanno intese in senso ouniversale, o rispettivamente esistenziale (con una riserva che vedremo).

Naturalmente in (∀xA) fuori dal raggio d’azione del primo quantificatorenon c’e nulla, ma si potrebbe pensare a (∀xA) come parte di un’altra formula,ad esempio (∀xA) ∧B.

Per le occorrenze di x al di fuori del raggio d’azione del quantificatore, senon cadono dentro al raggio d’azione di un altro quantificatore, il senso in cuivanno interpretate non e determinato. L’interpretazione di tutta la formulaallora e ambigua, o necessita di ulteriori precisazioni per essere compresa.

Ad esempio ∀x(x2 + 1 > 0), che si legge “per tutti gli x, x2 + 1 > 0”,ha un senso compiuto, e l’affermazione di un fatto, e in particolare e vera intutti i domini numerici usuali ordinati; nella formula

(∀x(x2 + 1 > 0)) ∧ x < 0

invece l’ultima x e indeterminata, non cadendo nel raggio d’azione di nessunquantificatore7. Si puo studiare l’insieme di verita associato; nell’universo deireali, per esempio, tale insieme e l’insieme dei numeri negativi; nell’universodei naturali, e vuoto. La prima parte ∀x(x2 + 1 > 0) della congiunzione evera in entrambi i casi e non contribuisce nulla alla delimitazione dell’insiemedi verita.

In ∀x(x2 + 1 > 0) ∧ ∃x(x < 0) l’ultima occorrenza di x cade nel raggiod’azione di ∃x, e si ha la congiunzione di due formule che corrispondonoentrambe ad affermazioni di senso compiuto, vere negli interi, razionali oreali, mentre la seconda e falsa nei naturali.

Le occorrenze di una variabile entro il raggio d’azione di un quantificatorerelativo a quella variabile si dicono vincolate dal quantificatore nella formula

6Con “linguaggio” s’intende talvolta il complesso di alfabeto, regole sintattiche e nozionisemantiche, altre volte semplicemente l’insieme delle formule (o delle proposizioni nel casodel linguaggio proposizionale).

7Abbiamo messo ancora le parentesi esterne a (∀x(x2 +1 > 0)) perche fosse chiaro dovefinisce il raggio d’azione del quantificatore universale.

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(e cosı pure la x adiacente a ∀ in ∀x o a ∃ in ∃x, che spesso non viene neanchemenzionata); le altre si dicono libere.

Se si vuole mettere in evidenza che la formula A contiene occorrenze liberedi x si scrive A(x), se contiene occorrenze libere di x e di y A(x, y).

Qualche volta si dice brevemente che x e libera in A per dire che inA vi sono occorrenze libere di x, o che x e vincolata per dire che vi sonooccorrenze vincolate, ma bisogna fare attenzione che allora come abbiamovisto una variabile puo essere sia libera sia vincolata in una formula.

Le formule in cui non ci sono occorrenze libere di variabili si dicono enun-ciati . Sono le formule per cui ha senso chiedere se sono vere o false (una voltafissata l’interpretazione con il dominio di discorso).

Le formule che non sono enunciati saranno anche chiamate, per sottolin-eare la differenza, formule aperte; esse non esprimono frasi, piuttosto definis-cono insiemi, o relazioni, a seconda di quante variabili libere hanno.

Un’altra loro funzione e quella di intervenire nel procedimento per de-cidere se gli enunciati sono veri o falsi.

EsempiIn ∀x(x2 + 1 > 0)∧ x < 0 le prime due occorrenze di x sono vincolate; la

terza e libera.In ∀x(x2 + 1 > 0) ∧ ∃x(x < 0) tutte le occorrenze della x sono vinco-

late, ma le prime due dal quantificatore universale, le altre dal quantificatoreesistenziale.

Un quantificatore puo cadere entro il raggio d’azione di un altro quantifi-catore, come si e visto in diversi esempi.

Ma un quantificatore relativo a una variabile x puo anche cadere entro il !!!raggio d’azione di un altro quantificatore relativo alla stessa x. Ad esempio,dopo aver considerato la formula del tipo p(x), con una variabile x che occorrelibera:

∀x(x2 + 1 > 0) ∧ x < 0

nel dominio degli interi, e aver verificato che il suo insieme di verita non evuoto, si ottiene un enunciato vero premettendo ∃x. Infatti

Vp(x) 6= ∅ se e solo se ∃x(x ∈ Vp(x)) se e solo se ∃xp(x).

Ma allora si ottiene l’enunciato

∃x(∀x(x2 + 1 > 0) ∧ x < 0),

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che richiede di essere letto con attenzione. Quando nella costruzione di unaformula si premette ad A un quantificatore con la variabile x, questo quan-tificatore vincola tutte le occorrenze di x che sono libere in A, e solo quelle. !!!Proprio per come e stato ottenuto, e chiaro che il quantificatore esistenzialenell’esempio vincola l’occorrenza di x che prima era libera, cioe l’ultima, esolo quella. L’azione del quantificatore esistenziale premesso ∃x scavalca la !!!parte d. . .e in

d∀x(x2 + 1 > 0)∧ex < 0,

dove non ci sono occorrenze libere di x, per agire su x < 0 dove x occorrelibera. Le occorrenze vincolate di x in d. . .e, essendo gia vincolate, sonoinsensibili all’azione di un altro quantificatore. In effetti, e come se fossescritto ad esempio

∀z(z2 + 1 > 0) ∧ x < 0,

e si ottenesse percio

∃x(∀z(z2 + 1 > 0) ∧ x < 0),

che e un modo di scrivere l’enunciato piu chiaro, ed equivalente. Se si legge lafrase in italiano si vede bene che non c’e interferenza tra le occorrenze liberee vincolate di x, perche si possono usare locuzioni diverse; “esiste un numerotale che, mentre ogni numero elevato al quadrato e aumentato di 1 e maggioredi 0, lui e negativo”8. Ancor meglio, conviene leggere: “mentre ogni numeroelevato al quadrato e aumentato di 1 e maggiore di 0, esiste un numero chee negativo”. Infatti un altro modo di evitare difficolta interpretative e quellodi andare a piazzare il nuovo ∃x dove e richiesto, cioe scrivendo

∀x(x2 + 1 > 0) ∧ ∃x(x < 0).

Vedremo in seguito che tali trasformazioni equivalenti sono legittime.Infine un quantificatore relativo ad una variabile x si puo premettere

anche a una formula che non contenga alcuna occorrenza di x libera, adesempio ∃x∀y(y2 + 1 > 0) o ∀x(y < 0). La definizione di “formula” nonlo esclude9. In questi casi l’effetto del primo quantificatore e nullo, la suapresenza superflua, e la formula ottenuta equivalente a quella originaria.

8Si e usato qui “mentre” come congiunzione, per sottolineare la non connessione tra ledue parti della frase.

9Non lo esclude perche sarebbe stato complicato inserire la condizione sulle occorrenzelibere nella definizione stessa iniziale.

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8.4 Interpretazioni

Le formule matematiche presentate negli esempi visti finora possono essereinterpretate in diversi domini numerici; alcune sono vere negli uni e falsenegli altri. La possibilita di diverse interpretazioni e ancora piu evidente informule del tipo ∀x(∃yA(x, y) ↔ F (x)), dove ci sono simboli predicativi Ae F che non hanno un’interpretazione nemmeno nell’uso comune (come e ilcaso dei simboli matematici), e questa e la caratteristica della logica formale.

∀x(∃yA(x, y) ↔ F (x)) puo essere interpretato nell’universo delle persone,e significare che chi ha un amico e felice, e solo se ha un amico - se A e Fsono interpretati in questo modo10; potrebbe significare che uno e felice se esolo se ha un lavoro, o ancora avere altri significati; ma lo stesso enunciatopuo essere interpretato nei numeri naturali, usando A(x, y) per “x e divisibileper y con quoziente maggiore di 1 e minore di x” e F (x) per “x e un numerocomposto”, e l’enunciato e vero in questa intepretazione.

Prima di chiedersi se un enunciato e vero o no occorre precisare qualeinterpretazione si ha in mente, vale a dire innanzi tutto quale sia l’universo deldiscorso, che deve essere un insieme non vuoto U ; quindi si devono stabilire lerelazioni e funzioni su questo insieme che corrispondono ai simboli predicativie funzionali che occorrono nell’enunciato. Se ci sono costanti, bisogna fissaregli elementi di U di cui le costanti sono nomi.

Dare un’interpretazione significa conoscere gli insiemi definiti dalle loro !!!formule atomiche, o i loro insiemi di verita11

Dare un’interpretazione comporta anche in particolare di determinarequali elementi denotano le costanti e tutti i termini chiusi, e se questi el-ementi stanno o no nelle relazioni in esame, e quindi se gli enunciati atomicisono veri o no.

Un enunciato privo di quantificatori, ma contenente connettivi, ad esem-pio 1 = 1 + 0 ∨ 1 6= 1 e vero in un’interpretazione U se assume il valore 1quando sia considerato come una proposizione costruita a partire dagli enun-ciati atomici, ai quali sono assegnati 1 o 0 a seconda che siano veri o nonell’interpretazione U .

10Qualcuno potrebbe non essere d’accordo che l’enunciato e vero, perche il suo amicoe un cane, e se l’universo e l’universo delle persone, l’∃y non e verificato dal cane; se sivuole inserire anche gli animali nel discorso, allora l’universo deve essere modificato diconseguenza a tutti gli esseri viventi.

11Non si intende che queste conoscenze siano effettive, ma solo determinate in linea diprincipio.

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Un enunciato che inizia con un quantificatore universale ∀xA e vero in !!!un’interpretazione U se l’insieme di verita di A e tutto U . Si dice anche intal caso che la formula A e valida nell’interpretazione.

Un enunciato che inizia con un quantificatore universale ∃xA e vero inun’interpretazione U se l’insieme di verita di A non e vuoto. Si dice ancheche la formula A e soddisfacibile nell’interpretazione U .

L’insieme di verita di una formula composta si ottiene, a partire dagliinsiemi corrispondenti alle formule atomiche, ricordando la corrispondenzatra i connettivi e le operazioni insiemistiche.

Tuttavia l’interrelazione tra quantificatori e connettivi nella valutazione12

di una formula e resa complicata dal fatto che i quantificatori possono trovarsinon solo all’inizio di una formula, e quindi occorre saper trovare anche gliinsiemi di verita di formule che contengono quantificatori.

Ad esempio nell’insieme dei numeri interi Z, l’insieme di verita di

x > 0 ∧ ∃y(x = 2y)

e l’intersezione dell’insieme dei numeri positivi {x | x > 0} e dell’insieme{x | ∃y(x = 2y)}.

Per determinare questo insieme, occorre prima considerare l’insieme dicoppie {〈x, y〉 | x = 2y }, che e una relazione, ed e l’insieme di verita dellaformula x = 2 · y nell’insieme Z×Z (esercizio: rappresentare questo insiemein un sistema di assi cartesiani xy nel piano), e quindi prendere le ascisse x diqueste coppie. Questo e in generale l’effetto di un quantificatore esistenziale∃, quello di eseguire una proiezione secondo l’asse della sua variabile.

Per quel che riguarda ∀, l’insieme {x | ∀yA(x, y)} si ottiene dall’insieme{〈x, y〉 | A(x, y)} considerando tutti e soli gli x tali che tutti i punti dellaretta parallela all’asse y passante per l’ascissa x stanno nella relazione definitada A. Per questo l’effetto di una quantificatore universale si chiama anchecilindrificazione.

La definizione di verita in U di un enunciato A e allora la seguente:siccome se un enunciato A e vero in un’interpretazione su U , l’insieme {x ∈U | A vero in U} e U , e se A e falso e ∅, possiamo dire in generale che unenunciato e vero in U se il suo insieme di verita e tutto U .

In particolare ritroviamo che ∀xA e vero in U se e solo se A e valida inU . Si giustifica cosı l’abitudine delle esposizioni di matematica di omettere

12Si chiama anche qui valutazione l’estensione dell’interpretazione a tutte le formule.

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i quantificatori universali, ad esempio davanti agli assiomi, presentati comeformule valide.

La verifica della verita di un enunciato si riduce dunque al calcolo delsuo insieme di verita, ∅ o U , calcolo che puo richiedere, come si e vistonell’esempio di sopra, la considerazioni di sottoinsiemi di U ×U o di spazi dimaggiori dimensioni.

L’insieme di verita di una formula soddisfa le seguenti condizioni:

se A e della forma ∀xB, l’insieme di verita di A e la cilindrificazionedell’insieme di verita di B; se A e un enunciato, il suo insieme di verita e Use l’insieme di verita di B e U , altrimenti e ∅;

se A e della forma ∃xB, l’insieme di verita di A e la proiezione dell’insiemedi verita di B; se A e un enunciato, il suo insieme di verita e U se l’insiemedi verita di B non e vuoto, altrimenti e ∅;

se A e della forma ¬B, l’insieme di verita di A e il complemento dell’insiemedi verita di B;

se A e della forma B ∧ C, l’insieme di verita di A e l’intersezione degliinsiemi di verita di B e di C;

se A e della forma B ∨C, l’insieme di verita di A e l’unione degli insiemidi verita di B e di C;

se A e atomica, il suo insieme di verita e dato dalla relazione corrispon-dente al suo simbolo relazionale.

E palese la maggiore complessita della valutazione delle formule rispettoalle valutazioni proposizionali, e tanto piu e auspicabile trovare un riduzionemeccanica di tale compito.

Per lo studio di questioni logiche, si cerchera di usare ove possibile inter-pretazioni costruite su insiemi finiti, ovviamente piu maneggevoli; ma nonsara sempre possibile, perche esistono enunciati che hanno solo modelli in- !!!finiti, ad esempio l’enunciato ∀x∃yR(x, y) ∧ ∀x¬R(x, x).

Ricordiamo infine le abbreviazioni che si adottano per i quantificatoriristretti (si veda il capitolo 1) del tipo ∀x < 0 . . . per ∀x(x < 0 → . . .), ∀x ∈X . . . per ∀x(x ∈ X → . . .) e rispettivamente ∃x < 0 . . . per ∃x(x < 0 ∧ . . .)o ∃x ∈ X . . . per ∃x(x ∈ X ∧ . . .)

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8.5 Esercizi

1. Scrivere in linguaggio predicativo tutte le definizioni relative alle re-lazioni d’ordine del paragrafo 5.3 (massimo, maggiorante, . . . ).

2. Quali sono gli insiemi di verita in N di

∃y(2y = x ∧ ∃z(2z = y))

e

∃y(2y = x ∧ ∃y(2y = x)) ?

3. Quali sono gli insiemi di verita in N di

∃y(xy = 2 ∧ ∃z(yz = 2))

e

∃y(xy = 2 ∧ ∃y(xy = 2)) ?

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9 Leggi logiche

La terminologia semantica introdotta per i linguaggi proposizionali si estendeagli enunciati predicativi. Un’interpretazione (del linguaggio) dell’enunciatoA si dice modello di A se A e vero nell’interpretazione.

Un enunciato A si dice logicamente vero se e vero in ogni interpretazione,e si scrivera |= A.

Un enunciato B si dice conseguenza logica di A se in ogni interpretazionein cui A e vero anche B e vero, e si scrivera A |= B.

Un enunciato B si dice logicamente equivalente a un enunciato A se A |=B e B |= A.

Un enunciato A si dice insoddisfacibile o contraddittorio o inconsistentese non e vero in nessuna interpretazione.

Vale ancora che per ogni A e B, A |= B se e solo se |= A → B se e solose A ∧ ¬B e insoddisfacibile.

Qualche volta, poiche gli enunciati sono pur sempre formule, si dice anche“A logicamente valida” per |= A.

Ma inoltre si estendono le definizioni in modo da applicarle proprio anchea formule aperte. Se A e una formula in cui occorre x libera, A si dicelogicamente valida se ∀xA e logicamente vero, cosı come si dice valida inun’interpretazione se ∀xA e vero in quell’interpretazione. Una formula sidice soddisfacibile se esiste un’interpretazione in cui essa e valida1.

Le formule logicamente valide continuano a chiamarsi anche leggi logiche.

Esempi di leggi logiche si ottengono facilmente partendo da tautolo-gie proposizionali e rimpiazzando le lettere che vi compaiono con formulequalunque di un linguaggio predicativo, la stessa formula a tutte le occor-renze della stessa lettera.

Ad esempio da |= p ∨ ¬p segue |= ∃xP (x) ∨ ¬∃xP (x). Infatti, data unaqualunque intepretazione, con un qualunque predicato per P , in essa ∃xP (x)risultera o vero o falso. Se risulta vero, e come se si assegnasse il valore 1a p nella proposizione; se risulta falso, e come se si assegnasse 0 a p nellaproposizione; ma questa e una tautologia, per cui risulta vera in entrambii casi, e i calcoli che si fanno a partire dai valori di p per arrivare al valoredalla proposizione p ∨ ¬p sono gli stessi che si fanno a partire dal fatto che∃xP (x) e vero o no per arrivare a dire se ∃xP (x)∨¬∃xP (x) e vero o no. Non

1Si ricordi che invece una formula A si dice soddisfacibile in un’interpretazione U se∃xA e vero in U ; e generalizzando, se A e del tipo A(x, y), s’intende ∃x∃yA(x, y) vero.

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c’e bisogno di considerare alcuna interpretazione e vedere se in essa ∃xP (x)e vero o falso, perche comunque essa sia, e comunque sia l’interpretazione diP , e quindi il valore di ∃xP (x), in essa ∃xP (x) ∨ ¬∃xP (x) risultera vero.

Lo stesso succede con qualsiasi altra tautologia, e con la sostituzione diuna qualunque formula.

Quindi tutte le leggi logiche proposizionali restano tali considerando orale lettere A, B, . . . che vi compaiono come formule di un qualunque linguaggiopredicativo.

Ma esistono anche altre leggi logiche per formule con quantificatori chenon si ottengono in questo modo e dipendono proprio dal significato deiquantificatori. Ad esempio

∀x¬A ↔ ¬∃xA

e una di queste2.Per verificarlo si ragiona nel seguente modo: in una qualunque interpre-

tazione, se ∀x¬A e vero, l’insieme di verita di ¬A e tutto l’universo, quindil’insieme di verita di A e vuoto; allora ∃xA e falso, e quindi ¬∃xA e vero.Analogamente nell’altra direzione (esercizio)3. 2

La legge si puo considerare una generalizzazione di quelle di De Morgan,se si pensa che affermare ∀xA(x) sia come fare una grande congiunzione pertutte le A(x), al variare di x nell’universo, e affermare ∃xA(x), cioe che Avale per almeno un x, sia come fare una grande disgiunzione.

Si e visto gia nella definizione di unione e intersezione generalizzate comei quantificatori esistenziale ed universale siano usati come generalizzazionedella disgiunzione e della congiunzione.

Se si combina questa legge logica con quella della doppia negazione siottengono altre versioni, come

¬∀x¬A ↔ ∃xA

o

∀xA ↔ ¬∃x¬A

2Nella verifica di questa e delle successive leggi logiche, come gia nella precedente dellaforma A ∨ ¬A, supporremo per semplicita che si tratti di enunciati, solo per mostrare inmodo piu facile l’idea soggiacente.

3La legge vale naturalmente anche se x non occorre libera in A, ma in tal caso non dicenulla, si riduce a ¬A ↔ ¬A.

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che mostrano come i due quantificatori non siano indipendenti, ma l’unodefinibile in termini dell’altro, e della negazione. Si chiamano anche leggidella interdefinibilita dei quantificatori.

La legge tipica del quantificatore universale e la legge di particolariz-zazione

∀xA(x) → A(t),

dove A(t) si ottiene sostituendo il termine t a tutte le occorrenze libere di xin A4.

Questa legge intuitivamente esprime il fatto che, se in una qualunqueinterpretazione vale ∀xA(x), allora A vale per un qualsiasi individuo, in par-ticolare quello descritto da t; ma occorre prestare attenzione alle insidie lin-guistiche non percepibili in una trattazione formale. La lettura della legge ecorretta se affermando che vale A(t) si intende che la proprieta espressa daA vale per l’individuo rappresentato da t, sempre la stessa proprieta appli-cata a diversi individui. Alcune sostituzioni sintatticamente lecite tuttaviamodificano il senso di A(t).

Se ad esempio A(x) e la formula ∃y(x 6= y), allora e vero che, poniamonei naturali, ma qualsiasi interpretazione con almeno due elementi andrebbeugualmente bene, ∀x∃y(x 6= y) e in particolare ∃y(0 6= y), ∃y(1 6= y), ∃y(1 +1 6= y), come pure ∃y(x2 6= y) o ∃y(z 6= y).

Se pero si sostituisce a x la variabile y allora non si ha piu la stessaproprieta affermata per y, come prima lo era per x, o per z o per x2, ma siha ∃y(y 6= y), che a parte che e falsa, non ha piu lo stesso significato.

Un esempio tratto, forzosamente, dal linguaggio comune potrebbe essereil seguente, dove si suppone di usare “Tizio” e “Caio” come variabili: invecedi dire che ognuno ha un padre, si dica “ogni Tizio ha un Caio per padre”;particolarizzando, non si puo dedurre “Caio ha Caio per padre”.

Le sostituzioni richiedono cautela anche al di fuori del contesto della par-ticolarizzazione; ad esempio, posto che x|y ↔ ∃z(y = x · z) significa che x

4In verita una notazione corretta per il risultato della sostituzione di t a tutte le oc-correnze libere di x in A sarebbe A[t/x], perche altrimenti con la scomparsa di x non sicapisce a quale variabile sia stato sostituito t. Ma nei contesti come quello della legge diparticolarizzazione non c’e rischio di confusione.

Si noti che A[t/x] ha senso anche se x non ha occorrenze libere in A e il risultato allorae A stesso. Anche la legge di particolarizzazione vale inquesto caso, ma ∀xA → A[t/x] siriduce a A → A.

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divide y, allora (2x)|y significa che 2x divide y, 1|y che 1 divide y, 0|y che0 divide y, u|y che u divide y, ma ∃z(y = z · z) significherebbe che y e unquadrato.

Quando si applica la legge di particolarizzazione per dedurre A(t) da !!!∀xA(x) percio, t per essere ammissibile non deve essere e non deve contenerevariabili quantificate in A e tali che qualche occorrenza libera di x cade nelraggio d’azione dei loro quantificatori. I termini chiusi sono sempre ammis-sibili.

Le applicazioni della legge sono frequenti; gli assiomi di una teoria sono ingenere enunciati che iniziano con un quantificatore universale (oppure sonopresentati come formule valide, supponendo tacitamente una possibilita disostituzione di termini qualsiasi alle variabili che e di fatto un’applicazionedella particolarizzazione).

Si trovano sia esempi di applicazioni in cui t e chiuso sia esempi in cuicontiene variabili.

EsempioLa legge boleana dell’unicita dell’elemento neutro dell’addizione

∀x(x + y = x) → y = 0

si puo dimostrare in questi due modi.Applicando a ∀x(x+y = x) la particolarizzazione con 0 si ottiene 0+y = 0

da cui con trasformazioni algebriche, utilizzando y + 0 = y, si arriva a y = 0.Applicando invece a ∀x(x+y = x) la particolarizzazione con −y si ottiene

−y + y = −y, quindi 1 = −y e y = 0.

Nell’esempio la formula quantificata universalmente e del tipo ∀xA(x, y),e −y e ovviamente ammissibile perche A(x, y) non contiene quantificatori.

Una legge simmetrica rispetto a quella di particolarizzazione, che si chiamaanche di generalizzazione esistenziale, o di indebolimento esistenziale, af-ferma che e logicamente valida

A(t) → ∃xA(x),

con le stesse restrizioni su t.Ad esempio, siccome y +(−y) = 0 vale negli interi, si puo dedurre ∃x(y +

x = 0); qui bisogna pensare che A(t) e y + (−y) = 0, con −y per t, e chee ottenuta da y + x = 0 per sostituzione di −y a x. Ma potrebbe essere

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stata ottenuta per sostituzione di −y a z in y + z = 0 e si puo altrettantocorrettamente dedurre ∃z(y + z = 0).

Un’applicazione di questa regola appare nella dimostrazione che se duenumeri sono divisibili per 3 anche la loro somma lo e: dato due numeri n edm, per ipotesi esistono i e j tali che n = 3i e m = 3j, quindi n+m = 3(i+ j)da cui ∃k(n + m = 3k).

Se si combinano in serie particolarizzazione e generalizzazione esistenzialesi ottiene

∀xA(x) → ∃xA(x),

che e valida in quanto si considerano solo sempre interpretazioni in cuil’universo non e vuoto5.

Sono leggi logiche anche le leggi di rinomina delle variabili vincolate,

∀xA(x) ≡ ∀yA(y)

e

∃xA(x) ≡ ∃yA(y),

dove y e una variabile che non occorre in A(x)6. E come se in italiano unafrase venisse espressa una volta con un “tutti” una volta con “chiunque” oaltro costrutto, una volta come “Ogni Tizio . . . ” e una volta come “OgniCaio . . . ”.

Le leggi di rinomina seguono dalla legge di particolarizzazione e dalleprossime leggi riguardanti condizionale e quantificatori (esercizio).

Altre leggi stabiliscono dei rapporti tra connettivi e quantificatori chepermettono di trasformare le formule in altre equivalenti con un diverso segnologico principale:

∀x(A ∧B) ≡ ∀xA ∧ ∀xB distributivita di ∀ su ∧∃x(A ∨B) ≡ ∃xA ∨ ∃xB distributivita di ∃ su ∨

5Se si scegliesse come U l’insieme di tutte le creature della fantasia, non si potrebbepretendere, come non si pretende, che ivi valgano tutte le leggi della logica. Lo stessonell’universo di quei filosofi che dicono che tutto e apparenza.

6Sarebbero possibili condizioni meno forti sull’eventuale presenza di y in A(x), chetuttavia devono sempre evitare che si verifichi il fenomeno di stravolgimento di sensoillustrato a proposito della particolarizzazione, e che non e il caso di approfondire.

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sono immediate conseguenze del significato dei simboli logici.Mentre e pure ovvio che siano logicamente valide

∀xA ∨ ∀xB → ∀x(A ∨B)∃x(A ∧B) → ∃xA ∧ ∃xB,

non valgono le implicazioni inverse.Se ad esempio U e un insieme con due elementi {a, b} e l’interpretazione

di P e {a} e l’interpretazione di Q e {b}, allora in questa interpretazione∀x(P (x) ∨Q(x)) e vero, mentre sono falsi sia ∀xP (x) (l’insieme di verita diP (x) non e tutto U) sia ∀xQ(x).

Esercizio. Si trovi un’interpretazione in cui ∃xA∧∃xB e vero e ∃x(A∧B)e falso.

Sono particolarmente importanti le leggi che regolano i rapporti tra quan-tificatori e condizionale. Mentre e facile convincersi che la distributivita di ∀su →

∀x(A → B) → (∀xA → ∀xB)

e logicamente valida, l’inversa non lo e. Per trovare un controesempio, sideve pensare ad un’interpretazione in cui ∀xP (x) → ∀xQ(x) sia vero sem-plicemente perche ∀xP (x) e falso, mentre non e vero ∀x(P (x) → Q(x)).L’insieme U = {a, b, c} con {a, b} per l’insieme di verita di P (x) e {b, c} perl’insieme di verita di Q(x) risponde allo scopo.

La non validita di

(∀xA → ∀xB) → ∀x(A → B)

e il motivo per cui A |= B non equivale a |= A → B se A e B sono formule !!!aperte, ma solo se sono enunciati.

Se A non contiene x libera, allora

∀x(A → B(x)) ≡ A → ∀xB(x)

e

∃x(A → B(x)) ≡ A → ∃xB(x).

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Per verificare la prima, dato un U qualsiasi e supposto per semplicita che Asia un enunciato, distinguiamo due casi. Se A e falso, A → ∀xB(x) e vero,ma d’altra parte anche ∀x(A → B(x)) e vero perche l’insieme di verita diA → B(x), che e sempre soddisfatta se A e falso, e tutto U .

Se A e vero, l’insieme di verita di A → B(x) e uguale all’insieme di veritadi B(x). Se e uguale a U , ∀x(A → B(x)) e vero, ma anche ∀xB(x) lo e, ecosı pure A → ∀xB(x). Se non e uguale a U si ha falso da entrambi i lati. 2

Queste leggi esprimono un caso particolare della possibilita di mettere ilquantificatore nella posizione in cui il suo raggio d’azione esplica la sua fun-zione effettiva, sulle occorrenze libere della variabile (spostarlo all’indentro).

Altri casi analoghi, e non indipendenti dai precedenti, sono le leggi

∀x(A ∨B(x)) ≡ A ∨ ∀xB(x)

e

∃x(A ∧B(x)) ≡ A ∧ ∃xB(x)

se x non occorre libera in A.Ovviamente, per la commutativita di ∧ e ∨, la formula senza la variabile

libera puo essere sia la prima sia la seconda della congiunzione e rispetti-vamente disgiunzione. Invece il condizionale non e commutativo. Tuttaviaesistono leggi riguardanti i quantificatori nell’antecedente, ma forse piu sor- !!!prendenti:

∀x(A(x) → B) ≡ ∃xA(x) → B

e

∃x(A(x) → B) ≡ ∀xA(x) → B

se x non occorre libera in B.La prima legge corrisponde al seguente uso linguistico: quando si dice

che qualche cosa, espressa da B, dipende solo dal fatto che (l’insieme diverita di) A non sia vuoto, e non da un particolare elemento (come sarebbese x occorresse in B e dovesse soddisfarla), allora si puo enfatizzare chequalunque elemento va bene. Se si afferma “se uno ha un amico e felice” -∃xA(x, y) → F (y) - si vuol dire che qualunque sia l’amico, anche un cane,porta felicita (a y).

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Per la dimostrazione, si supponga ∃xA(x) → B vero, quindi B vero o∃xA(x) falso. Se B e vero, allora l’insieme di verita di A(x) → B e tuttol’universo, perche per ogni elemento il condizionale ha il conseguente vero. Se∃xA(x) e falso, di nuovo l’insieme di verita di A(x) → B e tutto l’universo,perche per ogni elemento il condizionale ha l’antecedente falso.

Se invece ∃xA(x) → B e falso, allora B e falso e ∃xA(x) e vero, quindialmeno un elemento soddisfa A. Quando si esamina la formula A(x) → B,per questo elemento si ha vero-falso per il condizionale, che risulta falso, equindi l’insieme di verita di A(x) → B non e tutto l’universo e ∀x(A(x) → B)e falso. 2

L’altra analoga legge si ricava nello stesso modo; se ∃x(A(x) → B) e veroin U , allora qualche elemento di U soddisfa A(x) → B; se B e vero, anche∀xA(x) → B lo e; se A(x) non e soddisfatto da questo elemento, allora∀xA(x) e falso e ∀xA(x) → B e vero.

Se ∃x(A(x) → B) e falso, per qualunque elemento A(x) → B non esoddisfatta, quindi il calcolo del condizionale porta a un vero-falso, e A(x)deve essere soddisfatta e B deve essere falso; ma allora ∀xA(x) e vero e B efalso e ∀xA(x) → B falso. 2

Le equivalenze che permettono di spostare all’interno i quantificatori per- !!!mettono anche di spostarli all’esterno; si ottiene cosı che ogni formula eequivalente ad una formula in cui tutti i quantificatori sono all’inizio - eformano il cosiddetto prefisso - seguiti da una formula senza quantificatori -detta matrice; una formula scritta in questo modo di dice in forma prenessa7.

Ad esempio

∀xP (x) ∨ ∀xQ(x) → ∀x(P (x) ∨Q(x))

e equivalente (esercizio) a

∃x∃y∀z(P (x) ∨Q(y) → P (z) ∨Q(z))

ma anche a

∀z∃x∃y(P (x) ∨Q(y) → P (z) ∨Q(z))

ed esistono altre forme prenesse della stessa formula, a seconda dell’ordinein cui si esportano i quantificatori.

7L’interesse di tale trasformazione sta nel suo essere il passo preliminare diun’elaborazione su cui si basano i dimostratori automatici piu efficienti.

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Si noti lo scambio dei quantificatori universali ed esistenziali nei due pre-fissi; lo scambio di solito non e permesso, non e valido in generale, ma capitacon prefissi diversi di due forme premesse equivalenti di una stessa formula.

Le regole viste, ed elencate nella tabella di sotto, sono sufficienti a trasfor-mare ogni formula in forma prenessa.

Leggi logiche notevoli 2

∀x¬A ↔ ¬∃xA De Morgan generalizzata¬∀x¬A ↔ ∃xA ”∀xA ↔ ¬∃x¬A ”∀xA(x) → A(t) particolarizzazione (t ammissibile)A(t) → ∃xA(x) generalizzazione esistenziale ”∀xA(x) ↔ ∀yA(y) rinomina∃xA(x) ↔ ∃yA(y) rinomina∀x(A ∧B) ↔ ∀xA ∧ ∀xB distributivita di ∀ su ∧∃x(A ∨B) ↔ ∃xA ∨ ∃xB distributivita di ∃ su ∨∀xA ∨ ∀xB → ∀x(A ∨B) distributivita parziale di ∀ su ∨∃x(A ∧B) → ∃xA ∧ ∃xB distributivita parziale di ∃ su ∧∀x(A → B) → ∀xA → ∀xB distributivita parziale di ∀ su →∀x(A → B(x)) ↔ A → ∀xB(x) (x non libera in A)∃x(A → B(x)) ↔ A → ∃xB(x) (x non libera in A)∀x(A ∨B(x)) ↔ A ∨ ∀xB(x) (x non libera in A)∃x(A ∧B(x)) ↔ A ∧ ∃xB(x) (x non libera in A)∀x(A(x) → B) ↔ ∃xA(x) → B (x non libera in B)∃x(A(x) → B) ↔ ∀xA(x) → B (x non libera in B)∀x∀yA(x, y) ↔ ∀y∀xA(x, y) scambio dei quantificatori∃x∃yA(x, y) ↔ ∃y∃xA(x, y) scambio dei quantificatori

Tuttavia alcune ulteriori leggi utili si derivano da esse con l’uso dellarinomina delle variabili vincolate. Ad esempio dalla distributivita di ∀ su∧ segue ∀xA ∧ B ≡ ∀x(A ∧ B) se x non libera in B, e analogamente dalladistributivita di ∃ su ∨ segue ∃xA ∨B ≡ ∃x(A ∨B) se x non libera in B.

Per trasformare in forma prenessa ∀xA(x) ∧ ∃xB(x) si puo allora ot-tenere prima ∃x(∀xA(x)∧B(x)); quindi poiche x e libera in B(x) si sostitu-

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isce ∀xA(x) ∧ B(x) con l’equivalente ∀z(A(z) ∧ B(x)), dopo la rinomina di∀xA(x) ∧B(x) in ∀zA(z) ∧B(x);

Si ottiene infine ∀xA(x) ∧ ∃xB(x) ≡ ∃x∀z(A(z) ∧B(x)), oppure in altromodo (esercizio) ∀xA(x) ∧ ∃xB(x) ≡ ∀x∃z(A(x) ∧B(z)).

9.1 Esercizi

1. Dedurre la generalizzazione esistenziale dalla particolarizzazione uni-versale e da De Morgan generalizzata.

2. Dedurre le leggi di rinomina dalla legge di particolarizzazione e dalleleggi relative a condizionale e quantificatori.

3. Dedurre le une dalle altre le leggi riguardanti ∀ e ∨, ∃ e ∧, ∀ e →.

4. Trasformare in forma prenessa le seguenti formule:

∀x∃yR(x, y) ∧ (∃xP (x) ∨ ∃xQ(x))

∀x∃yR(x, y) ∨ (∃xP (x) ∧ ∃xQ(x))

∀xP (x) ∨ ∀x(Q(x) → ∃zR(x, z))

∀x(P (x) ∨ ∀xQ(x)) → ∃x(P (x) ∨Q(x)).

9.2 Quantificatori e dimostrazioni

Completata la presentazione del linguaggio dei predicati e delle principalileggi logiche, possiamo vedere come intervengono nelle dimostrazioni; disolito in queste si glissa sulla gestione delle variabili.

Le frasi matematiche presenti nelle premesse e conclusioni di una di-mostrazione sono rappresentate da enunciati di linguaggi predicativi, mentrei passaggi intermedi di solito sono formule, formule algebriche8 o loro com-binazioni proposizionali, con variabili libere; si tratta di vedere come si fa atogliere e (ri)mettere i quantificatori.

Queste mosse sono le sole da aggiungere; per il resto restano valide tuttele regole logiche e le strategie proposizionali, visto che le regole di inferenza

8Una definizione generale di “formula algebrica” potrebbe essere “formula atomica conpredicato = o < e termini complessi”.

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che rispettano la relazione di conseguenza logica valgono anche quando lelettere indicano formule di linguaggi predicativi.

Consideriamo l’esempio gia menzionato di

il successore di un numero pari e dispari,

che in simboli diventa

∀x(∃y(x = 2 · y) → ¬∃y(x + 1 = 2 · y)).

Per dimostrare questo enunciato, dimostriamo la formula

∃y(x = 2 · y) → ¬∃y(x + 1 = 2 · y),

quantificando alla fine universalmente la variabile x trattata in senso univer-sale nel corso della dimostrazione.

Per dimostrare un condizionale, assumiamo come premessa l’antecedentee deduciamo il conseguente.

Data ∃y(x = 2 · y), diciamo “sia c un elemento tale che x = 2 · c” escriviamo

x = 2 · c,

dove c e una nuova costante.Si dice che x = 2 ·c e ottenuta per esemplificazione esistenziale. La mossa

riassume il ragionamento “introduciamo un nome temporaneo per uno9 diquesti elementi che soddisfano la formula x = 2 · y”, nome che non puoessere uno di quelli disponibili nell’alfabeto perche non si sa quale sia questoelemento10.

Ora da x = 2 · c occorre dedurre ¬∃y(x + 1 = 2 · y). La forma negativasuggerisce di fare una dimostrazione per assurdo; si assume quindi

∃y(x + 1 = 2 · y).

9In questo esempio particolare ce ne puo essere solo uno, ma in generale, col quantifi-catore esistenziale, non si sa quanti ≥ 1 ce ne sono.

10Siccome c dipende da x, si dovrebbe piuttosto avere una funzione di x, o una notazionedel tipo cx, che pero sarebbe inutilmente pesante.

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Di nuovo, sia d una nuova costante, per cui x + 1 = 2 · d. d non solodeve essere nuova non solo rispetto a quelle del linguaggio originario, maanche rispetto a quelle introdotte nel corso dell’argomentazione; in attesa diulteriori elaborazioni non si sa infatti e non si puo dire se l’elemento sia lostesso o diverso11.

Ora occorre svolgere le conseguenze di x = 2 · c ∧ x + 1 = 2 · d. c e dvengono da due mosse indipendenti che non permettono di sapere come sonofra loro i due elementi cosı denotati; si devono quindi considerare tutte lepossibilita, che c = d, che c < d, che d < c.

c = d porta a una contraddizione x = x + 1; d < c porta a una contrad-dizione x + 1 < x; c < d porta, per sottrazione, a 1 = 2 · (d− c) ≥ 2; in ognicaso una contraddizione, a partire da ∃y(x + 1 = 2 · y), e da x = 2 · c, quindi¬∃y(x + 1 = 2 · y), come si voleva dimostrare12.

¬∃y(x+1 = 2 ·y) e stata dedotta da x = 2 ·c, ma nella conclusione non siparla di c, utilizzata come appoggio nel ragionamento; il che e bene, perchenon sarebbe opportuno concludere un teorema con una formula in cui occorreun elemento sconosciuto. D’altra parte l’obiettivo della dimostrazione, fissatoall’inizio, non contemplava elementi sconosciuti, ma enunciati determinati.E infine nella dimostrazione non si e usata alcuna proprieta di c, se non ilfatto che x = 2 · c.

Si conclude allora che ¬∃y(x + 1 = 2 · y) e stata in realta dedotta da∃y(x = 2 · y). 213

Quest’ultimo passaggio tecnicamente chiude l’applicazione della regoladell’esemplificazione esistenziale, che copre tutti i passi dal momento in cuisi dice “sia c un elemento tale che x = 2c” fino a quando scompare la c. Essopuo sembrare diverso da una meccanica applicazione di una regola sintattica(che ha una o due premesse e una conclusione immediata).

11Se alla fine dovesse risultare che d e uguale a c, vuol dire che si sono attributi duenomi allo stesso elemento, che non e inusuale, sia nella vita comune sia in matematica,ogni volta che si dimostra che due termini sono uguali, ad esempio 0 = 0 + 0.

12Ripasso di logica proposizonale: se da p e q segue una contraddizione C, p ∧ q → C,ne segue ¬(p ∧ q), le due proposizioni sono incompatibili, ma quale salvare? ¬(p ∧ q) eequivalente sia a p → ¬q sia a q → ¬p. Tuttavia dallo svolgimento della dimostrazione sivede che in realta si e dimostrato l’equivalente, per importazione/esportazione, p → (q →C), da cui p → (¬C → ¬q) e quindi p → ¬q (perche?), e la scelta e dunque implicitanell’impostazione della dimostrazione.

13La dimostrazione termina poi scrivendo prima ∃y(x = 2 · y) → ¬∃y(x + 1 = 2 · y) equindi poiche x era qualunque, ∀x(∃y(x = 2 · y) → ¬∃y(x + 1 = 2 · y)).

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Prima di discutere questo fatto, vediamo un altro caso di esemplificazioneesistenziale: dimostriamo che se un numero e divisibile per 4 allora e divisibileper 2. In questo caso l’elemento sconosciuto apparentemente si mantienefino alla fine, nella conclusione, ed allora deve essere eliminato da questa conun’applicazione della generalizzazione esistenziale.

Da

∃y(x = 4 · y)

si passa a

x = 4 · cx = (2 · 2) · cx = 2 · (2 · c)

Di qui si vede che x e divisibile per 2, ma non si puo terminare con questaformula. Per generalizzazione esistenziale invece, considerata la formula x =2 · (2 · c) come formula del tipo A[2 · c/y], con A(y) uguale a x = 2 · y, si puoallora dedurre

∃y(x = 2 · y),

per concludere

∃y(x = 4 · y) → ∃y(x = 2 · y)

e quindi

∀x(∃y(x = 4 · y) → ∃y(x = 2 · y)). 2

Il problema logico della regola di esemplificazione esistenziale consiste nelfatto che A(c) non e conseguenza logica di ∃yA(y), e quindi nella successionedi formule che costituiscono la proposta dimostrazione non e piu vero cheogni formula e conseguenza logica delle precedenti (o un assioma del dominioin oggetto o una legge logica).

A(c) non e conseguenza logica di ∃yA(y) perche puo succedere che inun’interpretazione ∃yA(y) sia vero ma c non sia uno degli elementi che sod-disfano A. Ad esempio ∃y(0 < y) e vero in N, ma se c denota 0 allora 0 < ce falso. E vero che noi affermiamo A(c), ma questa si presenta come unanuova assunzione su c, non come una conseguenza di ∃yA(y).

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Si puo tuttavia dimostrare che, nelle condizioni della regola applicata a !!!∃yA(y), se B e una formula che non contiene c, e se B e conseguenza logicadi A(c) allora B e conseguenza logica di ∃yA(y) - nonostante A(c) non siaconseguenza logica di ∃yA(y).

La spiegazione, in breve, e la seguente. Posto che B segua da A(c), dovec non occorre in B, si ha

A(c) → B.

Ma di c non si sa nulla, a parte il fatto A(c). Qualunque elemento denoti cva bene, e soddisfa A(c) → B. Questo sembra potersi esprimere come

∀c(A(c) → B)

a parte l’errore sintattico di quantificare un simbolo che abbiamo chiam-ato costante. Ma se l’avessimo chiamato variabile, se avessimo usato unavariabile w della nostra disponibilita illimitata di variabili, una che non oc-corresse altrimenti nella dimostrazione (in modo da non avere vincoli che nonci devono essere, salvo A(w)), avremmo concluso

A(w) → B

con w non in B, quindi

∀w(A(w) → B)

e infine

∃wA(w) → B.

Torneremo in seguito sul problema.Ora ci limitiamo a far vedere che la regola di esemplificazione esistenziale

si puo giustificare con una serie di regole logiche usuali, nel senso che le sueapplicazioni possono essere sostituite da altri ragionamenti che non ne fannouso.

Consideriamo di nuovo l’esempio di

∃y(x = 2 · y) → ¬∃y(x + 1 = 2 · y).

Poiche y non e libera nel conseguente, si puo scrivere in modo equivalente

∀y(x = 2 · y → ¬∃y(x + 1 = 2 · y));

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Page 154: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

come nell’esempio dell’amico che rende felici, che puo essere qualunque, ancheora si dice che y puo essere qualunque, purche soddisfi poi l’antecedentex = 2 · y.

Allora la y di x = 2 · y e trattata in questa versione della dimostrazionecome una variabile universale. Data una y qualunque, occorre dimostrareche

x = 2 · y → ¬∃y(x + 1 = 2 · y),

ovvero

x = 2 · y → ∀y(x + 1 6= 2 · y).

Il quantificatore del conseguente puo essere spostato nel prefisso, dopo avereseguito un’opportuna rinomina, e la formula da dimostrare e equivalente a

∀z(x = 2 · y → x + 1 6= 2 · z);

quindi possiamo provare a dimostrare

x = 2 · y → x + 1 6= 2 · z,

con tutte le variabili intese in senso universale.Per assurdo, assumiamo la negazione del condizionale, quindi

x = 2 · y ∧ x + 1 = 2 · z,

e con gli stessi calcoli fatti sopra, con y e z al posto rispettivamente di c e d,arriviamo a una contraddizione.

Abbiamo quindi

x = 2 · y → x + 1 6= 2 · z,

e quantificando universalmente

∀x∀y∀z(x = 2 · y → x + 1 6= 2 · z),

da cui con le leggi logiche pertinenti

∀x(∃y(x = 2 · y) → ∀z(x + 1 6= 2 · z)). 2

Si noti che di solito nel gergo matematico, dove non si usa indicare iquantificatori, attraverso un’interpretazione (corretta) dell’enunciato da di-mostrare si imposta direttamente proprio

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Page 155: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

se x = 2 · y, allora x + 1 6= 2 · z.

Altro esempio. Per dimostrare

∃y(x = 4 · y) → ∃y(x = 2 · y)

si trasformi la formula nell’equivalente

∀y(x = 4 · y → ∃y(x = 2 · y))

e si provi a dimostrare

x = 4 · y → ∃y(x = 2 · y).

Partendo da x = 4 · y si fanno gli stessi passaggi di prima, x = (2 · 2) · y,x = 2 · (2 · y) e quindi con la generalizzazione esistenziale ∃y(x = 2 · y). 2

Un problema delle esemplificazioni esistenziali, non logico ma pratico, e che nonc’e l’abitudine di usare coerentemente costanti, ma spesso si utilizzano le variabili.

In riferimento all’esempio precedente, dato ∃y(x = 2 · y) si propone: “sia y unelemento tale che x = 2 · y”.

L’uso di variabili e legittimo, ma richiede diverse cautele.La variabile y di “sia y tale che A(y)”, a seguito di ∃yA(y), non deve comparire

libera in eventuali altre formule gia utilizzate nella dimostrazione, e che pongonovincoli sull’elemento denotato da y, mentre di questo si sa solo, e si vuole usare soloil fatto che soddisfa A(y). Nel caso in esame, ∃y(x = 2 ·y) e la prima assunzione dacui si parte, quindi non si presenta questo problema, altrimenti si deve usare unanuova variabile e dire “sia w tale che A(w)” - o fare prima una rinomina di ∃yA(y).Questo ha anche il vantaggio, se la variabile e insolita, di ricordare il suo statusspeciale. Il termine usato per l’esemplificazione esistenziale deve essere appunto untermine, vale a dire un’espressione che denota un elemento (sconosciuto salvo peril fatto che deve soddisfare A) delle interpretazioni. Che il simbolo nuovo sia unc non presente nell’alfabeto, o un simbolo w presente nell’alfabeto ma mai usato,e si chiami di conseguenza costante o variabile non fa nessuna differenza, se lo sigestisce in modo corretto. Se e una variabile, questa variabile libera ha un sensoparticolare, non universale, condizione che deve essere tenuta presente nel corso ditutta la dimostrazione, finche essa non scompare.

La variabile introdotta in un’esemplificazione esistenziale scompare nello stessomodo come abbiamo visto scomparire la c, ad esempio per generalizzazione esisten-ziale14.

14E in genere il destino piu comune delle variabili introdotte a partire da un quantifica-tore esistenziale.

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Page 156: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Da “sia y un elemento tale che x = 2 ·y” la dimostrazione prosegue come sopra:si deve dimostrare che da x = 2 · y segue ¬∃y(x + 1 = 2 · y).

Per assurdo, si assume x = 2 · y e ∃y(x + 1 = 2 · y) e di nuovo si applical’esemplificazione esistenziale. La regola richiede che si utilizzi una variabile diversada quelle che occorrono libere nella parte precedente, in questo caso da y.

Si perviene cosı a x = 2 · y ∧ x + 1 = 2 · z da cui segue una contraddizione congli stessi calcoli di sopra, con y e z al posto rispettivamente di c e d. 2

Altro esempio. La dimostrazione di ∃y(x = 4 · y) → ∃y(x = 2 · y) si svolgecome sopra assumendo ∃y(x = 4 · y) ed esemplifcando: sia y uno di questi, per cui

x = 4 · yx = (2 · 2) · yx = 2 · (2 · y)∃y(x = 2 · y),

quest’ultima per generalizzazione esistenziale. 2

E come se il quantificatore ∃y, staccato dall’ipotesi, restasse a seguire dall’altoi vari passi e trasformazioni della sua y, in questo caso in 2 · y, per poi alla fineripiombare nella posizione dovuta.

L’uso delle variabili faciliterebbe, come abbiamo visto sopra, la giustificazionelogica della regola di esemplificazione esistenziale.

Noi useremo sempre le costanti per le esemplificazioni esistenziali, ma si deveessere avvertiti della possibilita di incontrare l’uso di variabili. Talvolta si incon-trano soluzioni intermedie, ad esempio simboli come x0, k che sembrano diversidalle variabili15.

La regola relativa all’eliminazione temporanea del quantificatore esisten-ziale afferma dunque che si puo esemplificare un’affermazione esistenziale∃yA(y) con A(c) o A(w) se per questa via si perviene a una conclusioneche non contiene la costante o non contiene libera la variabile usata perl’esemplificazione.

Tuttavia le cautele e le restrizioni per questa regola non sono ancora finite.Finche la costante o la variabile introdotte come esemplificazione di un

quantificatore esistenziale non sono scomparse, l’argomento e incompleto, enon terminato, come in sospeso, per il riferimento a questo elemento sconosci-uto. La costante o variabile puo scomparire o per passaggi proposizionali

15“Teorema: se esiste un massimo interno al dominio, esiste un punto in cui la derivatasi annulla. Dimostrazione: sia x0 un punto di massimo . . . ”. “Teorema: se x e pari allora. . . Dimostrazione: sia x = 2 · k . . . ”.

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Page 157: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

(come sopra, una dimostrazione per assurdo di un altro enunciato, oppureper il taglio di un modus ponens), o per generalizzazione esistenziale16.

Quello che bisogna assolutamente evitare e di quantificare universalmente !!!una variabile che sia stata introdotta come esemplificazione di un quantifica-tore esistenziale (in questo l’uso di una costante ha ovvi vantaggi).

Un esempio di errore clamoroso dovuto a una simile disattenzione e laseguente dimostrazione di ∃x∀y(x < y) a partire da ∀x∃y(x < y).

Assunto ∀x∃y(x < y), per particolarizzazione si ha ∃y(x < y); per es-emplificazione esistenziale, sia y tale che x < y. Se ora dimenticandosi dellanatura esistenziale di y si affermasse ∀y(x < y) si potrebbe concludere pergeneralizzazione esistenziale che ∃x∀y(x < y).

Ma questa conclusione non e conseguenza della premessa, come si vededal fatto che la premessa e ad esempio vera negli interi, mentre la conclusionenon lo e.

Anche la gestione della introduzione del quantificatore universale e piudelicata di quanto finora abbiamo lasciato intendere. Si possono legittima-mente (ri)quantificare universalmente le variabili libere che derivano per par-ticolarizzazione da un quantificatore universale, ma non e questa tutta lastoria. A volte sembra di lavorare con varibili libere che non derivano dauna particolarizzazione, e che pure hanno un significato universale. La veracondizione e che le variabili non occorrano libere nelle premesse. !!!

Ad esempio, se si parte da 0 < x e con un argomento corretto, utilizzandole proprieta dei numeri reali, si conclude ∃y(x = y2), non si puo affermare∀x∃y(x = y2) - c’e una condizione restrittiva su x stabilita dalla premessa.In realta l’argomento che porta da 0 < x a ∃y(x = y2) stabilisce 0 < x →∃y(x = y2) per x qualunque, senza alcuna premessa (salvo le proprieta deinumeri reali espresse da enunciati, senza variabili libere). Quindi x non elibera nelle premesse della derivazione di quest’ultima formula, che non cisono, e si puo correttamente quantificarla in ∀x(0 < x → ∃y(x = y2)).

Un altro caso del genere si ha nell’esempio precedente “se x e pari allorax+1 e dispari”. La dimostrazione che da “x e pari” porta a “x+1 e dispari”stabilisce “x e pari → x + 1 e dispari” senza premesse che non siano gli

16L’affermazione ∃yA(y) introdotta per generalizzazione esistenziale comportaun’affermazione apparentemente piu debole, generica, rispetto a A(t), che sembra indi-care esplicitamente un elemento con la proprieta A, ma nelle applicazioni come si e visto,se t deriva da un’esemplificazione esistenziale, allora in realta anche la sua denotazione evaga.

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Page 158: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

assiomi dei numeri naturali, espressi da enunciati. Quindi si puo quantificareuniversalmente la x.

Infine esiste un problema con la generalizzazione universale all’internodella esemplificazione esistenziale.

Un esempio di errore dovuto a cattiva gestione della quantificazione uni-versale e il seguente. Da ∀x∃y(x < y) per particolarizzazione si ha ∃y(x < y)e per esemplificazione, sia c tale che x < c. Se ora si quantifica universalmentex si ottiene ∀x(x < c) e per generalizzazione esistenziale ∃y∀x(x < y). Laconclusione, che afferma l’esistenza di un massimo per <, e palesemente falsanei naturali, dove invece la premessa e vera. Ma la premessa e un enunciato, esembrerebbe quindi che non vi fossero variabili libere nelle premesse e tuttele regole fossero applicate correttamente. La spiegazione sta nel fatto che !!!quanto si dice “sia c tale che x < c” inizia, come abbiamo detto sopra, un ar-gomento particolare, una sorta di dimostrazione a parte che non si consideraconclusa finche tale c non sparisce legittimamente. In questa dimostrazionesubordinata, x < c e una premessa, e x e libera in x < c, e non e lecito percioquantificare universalmente la x.

Due altre possibili spiegazioni della restrizione sono le seguenti. Si immagini dinon usare la regola di esemplificazione esistenziale, quindi di provare a dimostrare

∀x∃y(x < y) → ∃y∀x(x < y)

come

∃x∀y(x < y → ∃y∀x(x < y)).

Dopo i preliminari “sia x tale che . . . ” si deve cercare di dedurre partendo da x < yprima ∀x(x < y) e quindi ∃y∀x(x < y). Ma l’assunzione x < y non puo esserequantificata universalmente, e una premessa della derivazione del condizionale.

Oppure si puo pensare che quando si passa da ∃y(x < y) a x < c il termine cdipenda da x (si scriva cx per ricordarlo, potrebbe essere addirittura proprio untermine c(x), c nuovo simbolo funzionale). Allora l’applicazione della regola digeneralizzazione esistenziale per ottenere ∃z∀x(x < z) da ∀x(x < cx) non sarebbelecita in quanto cc non sarebbe ammissibile per ∀x(x < z).

Queste sottigliezze sono precisate e rese di agevole applicazione nei sis-temi di regole che costituiscono i calcoli logici per i linguaggi predicativi, adesempio il calcolo della deduzione naturale, che rientrano negli argomenti nonpropedeutici.

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10 Sillogismi

I sillogismi sono forme di ragionamento studiate fin dall’antichita che coin-volgono enunciati di linguaggi predicativi, ancorche di un tipo semplificato;molti argomenti del linguaggio comune si presentano in tale forma, e rapp-resentano percio un utile esercizio, sia di formalizzazione sia di deduzione,anche al di fuori della matematica.

Gli enunciati che intervengono nei sillogismi contengono solo predicatimonadici, a un posto, e inoltre sono di una forma particolare.

Gli enunciati presi in considerazione e combinati tra loro affermano sem-pre una delle seguenti circostanze: che tutti quelli che hanno una proprietaP hanno anche la proprieta Q; che nessuno di quelli che hanno una proprietaP hanno la proprieta Q; oppure che qualcuno che ha la proprieta P ha ancheQ, o infine che qualcuno con la proprieta P non ha Q.

Enunciati di questa forma si chiamano, nella tradizione logica, propo-sizioni categoriche1.

A prima vista si direbbe che il loro studio costituisca un’analisi dei quan-tificatori, ma e forse piu corretto dire che mette in evidenza e sfrutta alcunerelazioni insiemistiche della sola intersezione, e precisamente

A ∩B = A, ovvero A ⊆ BA ∩B = ∅, ovvero A e B sono disgiuntiA ∩B 6= ∅, ovvero A e B non sono disgiunti.

Le proposizioni categoriche venivano scritte e lette nel seguente modo,dove a fianco mettiamo la versione insiemistica e quella logica moderna:

A Tutti i P sono Q P ⊆ Q ∀x(P (x) → Q(x))E Nessun P e Q P ∩Q = ∅ ∀x(P (x) → ¬Q(x))I Qualche P e Q P ∩Q 6= ∅ ∃x(P (x) ∧Q(x))O Qualche P non e Q P 6⊆ Q ∃x(P (x) ∧ ¬Q(x)).

Le lettere a sinistra sono la sigla con cui venivano indicate le corrispondenti

1Si ammetteva un’estensione a proposizioni contenenti termini singolari come “Socrate”introducendo un predicato S per “socraticita”, con un unico elemento, e traducendo“Socrate e mortale” con “Tutti quelli che hanno la proprieta S sono mortali”.

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proposizioni2: A ed E sono proposizioni affermative, rispettivamente uni-versale ed esistenziale; I e O sono negative, rispettivamente universale edesistenziale.

Le parole “tutti”, “nessuno”, “qualche” diventavano superflue, sostituitedalla sigla prefissa; scrivendo “A : P Q” si intendeva la frase “tutti i P sonoQ”, con “I : P Q” la frase “qualche P e Q”, e cosı via. Il simbolismo logicocome si vede ha una lunga storia.

Siccome c’era sempre solo una variabile individuale, non si e sentital’esigenza di indicarla. Il verbo era sempre il verbo “essere”; noi dobbiamodistinguere i casi universali che richiedono condizionale e quelli particolari,resi da una congiunzione.

10.1 Sillogismi categorici

I sillogismi categorici3 sono inferenze in cui occorrono due premesse e unaconclusione, tutte e tre proposizioni categoriche, costruite con tre predicati,di cui uno inevitabilmente occorre due volte nelle premesse, per stabilire unlegame, e si possono presentare ad esempio nel seguente modo:

I : P ME : S MO : S P .

Il predicato S si chiama di solito soggetto, il predicato P predicato e ilpredicato M termine medio.

Un sillogismo e valido se la conclusione e conseguenza logica delle pre- !!!messe.

Tutti i possibili sillogismi si caratterizzano per due aspetti; il primo eil tipo di proposizioni categoriche che nell’ordine lo costituiscono, si chiamamodo, ed e rappresentato da tre lettere; ad esempio il modo del sillogismo disopra e I E O.

Il secondo parametro e la disposizione dei tre predicati nelle tre propo-sizioni, e si chiama figura. Se si standardizza le presentazione, ad esempiochiedendo che la conclusione contenga sempre la coppia S P nell’ordine - da

2I simboli per i quantificatori vengono probabilmente da questa tradizione di usare lelettere per indicare il tipo di quantificazione. In tutte le lingue dei logici moderni, italiano,inglese, tedesco, “esiste” inizia con “e”, mentre “tutti” inizia con “a” in tedesco e inglese.Le lettere A e I sono le prime vocali di affirmo, E e O quelle di nego.

3D’ora in avanti diremo soltanto “sillogismi”.

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cui il nome di questi due predicati4 -, osservando che il termine medio devesempre comparire in entrambe le premesse - altrimenti si vede facilmente cheil sillogismo non e valido5 - e che l’ordine delle premesse non e rilevante (perla terminologia, si chiama premessa maggiore quella che contiene S, e minorel’altra) si ottengono in tutto quattro figure:

S M S M M S M SP M M P M P P M.

I sillogismi possibili sono 256 (esercizio), ma quelli validi solo6 15.

Dimostrare la validita di un sillogismo equivale a dimostrare che la con-clusione e conseguenza logica delle premesse, e questo si puo fare con laderivazione della conclusione dalle premesse con passaggi che conservano laconseguenza logica. Per dimostrare che un sillogismo non e valido, quandonon lo e, non basta non riuscire a costruire la derivazione dalle premesse,occorre trovare un controesempio.

Per svolgere le dimostrazioni, occorre usare solo, sulle premesse, la regoladi particolarizzazione sugli enunciati universali e quella di esemplificazioneesistenziale sugli enunciati esistenziali; questa conviene applicarla prima dellaparticolarizzazione. Quindi si applicano leggi proposizionali e infine i quan-tificatori si reintroducono o con la generalizzazione esistenziale, se la conclu-sione e esistenziale, o con quella universale, se la conclusione e universale.

EsempiDerivazione della conclusione dalle premesse del sillogismo valido

E : P MI : S MO : S P ,

ovvero

4Sono grammaticalmente il soggetto e il predicato della conclusione.5A meno che la conclusione non coincida con una premessa.6Una lunga controversia ha riguardato il fatto di considerare o no predicati vuoti,

decisione che influenza la validita o meno di certi sillogismi. Nell’antichita si preferiva evi-tarli; nella trattazione moderna prevale l’interpretazione cosiddetta booleana, che ammettepredicati vuoti. Sono 15 i sillogismi validi nell’interpretazione booleana.

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Page 162: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

∀x(P (x) → ¬M(x))∃x(S(x) ∧M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

Presentiamo la dimostrazione nella seguente tabella, in una colonna inversione formale, con la successione di formule, nell’altra con la loro letturain linguaggio naturale.

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∃x(S(x) ∧M(x)) Qualche S e un M.

S(c) ∧M(c) Sia c un S che e anche un M.

S(c) Allora c e un S e

M(c) c e un M.

∀x(P (x) → ¬M(x)) Nessun P e M.

P (c) → ¬M(c) Se c e un P allora c non e un M, oSe c fosse un P non sarebbe un M.

per contrapposizioneM(c) → ¬P (c) Se c e un M allora non e un P.

da questo e da M(c) Ma siccome c e un M,¬P (c) allora c non e un P.

da questo e da S(c) Siccome c e un S,S(c) ∧ ¬P (c) c e un S che non e un P.

∃x(S(x) ∧ ¬P (x)) Qualche S non e un P.

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Page 163: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

In modo del tutto analogo, si dimostri (esercizio) la validita del sillogismo:

A : P MO : S MO : S P ,

ovvero

∀x(P (x) → M(x))∃x(S(x) ∧ ¬M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

Un altro esempio di sillogismo valido e il seguente:

A : M SI : M PI : S P ,

ovvero

∀x(M(x) → S(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x)).

con la dimostrazione:

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Page 164: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Dimostrazione

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∃x(M(x) ∧ P (x)) Qualche M e P.

M(c) ∧ P (c) Sia c un M che e anche un P.

M(c) c e un M.

P (c) c e un P.

∀x(M(x) → S(x)) Tutti gli M sono S.

M(c) → S(c) Se c e un M allora c e un S.

S(c) Siccome c e un M,c e un S.

S(c) ∧ P (c) Siccome c e un Pc e un S che e anche un P.

∃x(S(x) ∧ P (x)) Qualche S e un P.

Valido e anche il sillogismo

A : S MA : M PA : S P ,

ovvero

∀x(S(x) → M(x))∀x(M(x) → P (x))∀x(S(x) → P (x)),

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Page 165: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

con la seguente dimostrazione:

Dimostrazione

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∀x(S(x) → M(x)) Tutti gli S sono M.

S(x) → M(x) Uno che sia un S e anche un M.

∀x(M(x) → P (x)) Tutti gli M sono P.

M(x) → P (x) Uno che sia un M e anche un P.

per transitivita da 2 e 4S(x) → P (x) Uno che sia un S e anche un P.

∀x(S(x) → P (x)) Tutti gli S sono P.

Si noti che “Qualche S e P” sembra piu debole di “Tutti gli S sono P”, equindi si potrebbe pensare che sia conseguenza delle stesse premesse. Inveceil sillogismo

A : S MA : M PI : S P ,

ovvero

∀x(S(x) → M(x))∀x(M(x) → P (x))∃x(S(x) ∧ P (x)),

non e valido in quanto, se S e vuoto ∃x(S(x) ∧ P (x)) e falso, nonostante

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∀x(S(x) → P (x)) sia vero (da ∀x(S(x) → P (x)) segue ∃x(S(x) → P (x)) -verificato da un elemento non appartenente a S - non ∃x(S(x) ∧ P (x)))7.

Per verificare che un sillogismo non e valido occorre trovare un controe-sempio, vale a dire un’interpretazione in cui le premesse sono vere e la con-clusione falsa.

Ad esempio il sillogismo

∀x(S(x) → M(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x))

e falsificato dalla seguente interpretazione: U = {a, b, c}, S = {a}, M ={a, c}, P = {b, c}.

Un argomento in linguaggio naturale8 si dice corretto se e un caso parti-colare di un sillogismo formale valido.

Si consideri il seguente argomento:

I progressisti sono sostenitori dello stato socialeAlcuni ministri del governo sono sostenitori dello stato socialeQuindi alcuni ministri sono progressisti.

Si chiede se e corretto. Prima di proseguire, si prenda tempo (non troppo)e si dia una risposta.

La maggior parte delle persone risponde sı. Un modo tradizionale diconvincere che invece non e corretto e quello di osservare: sarebbe come direche

siccomeI cavalli sono veloci

eAlcuni asini sono veloci

alloraAlcuni asini sono cavalli.

7Questo e un esempio di un sillogismo non valido nell’interpretazione booleana, mentresarebbe valido se non fossero ammessi predicati vuoti.

8O in un formalismo interpretato, ad esempio una dimostrazione aritmetica.

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“Sarebbe come dire” significa che se il primo argomento fosse correttoallora il sillogismo

A : P MI : S MI : S P

sarebbe valido e allora anche il nuovo argomento, della stessa struttura for-male, dovrebbe essere corretto. Ma quest’ultimo ovviamente non lo e.

Che non lo sia, e quindi che si sia esibito un controesempio, non e mai deltutto chiaro se gli esempi sono fatti in linguaggio naturale. Nessun insiemedefinito nel linguaggio naturale ha i confini esattamente delimitati senza am-biguita. Per questo i controesempi devono essere insiemi astratti, dove glielementi e i non elementi sono individuati in maniera precisa e indiscutibile.

Nel caso in oggetto, un controesempio e fornito da U = {a, b, c, d} conS = {c, d}, P = {a, b} e M = {a, b, c}.

Un esempio dello stesso tipo e il seguente. L’inferenza

Nessun triangolo rettangolo e equilateroQualche triangolo isoscele e equilateroQuindi qualche triangolo rettangolo non e isoscele

e corretta?Dopo aver risposto . . . , si consideri che sarebbe come dire

Nessun cerchio quadrato e equilateroQualche triangolo e equilateroQuindi qualche cerchio quadrato non e un triangolo

conclusione che implica che esiste un cerchio quadrato. Oppure

Nessun cane e un ruminanteQualche quadrupede e un ruminanteQuindi qualche cane non e un quadrupede.

Il sillogismo

E : S MI : P MO : S P

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non e valido se S e vuoto oppure se S ⊆ P .

Nel valutare la correttezza logica di un argomento, non bisogna utilizzarenessuna conoscenza non esplicitata relativa ai predicati concreti che vi sono !!!coinvolti.

Avevamo presentato a suo tempo un argomento di Lewis Carroll:

a) I bambini sono illogicib) Le persone che sanno come trattare i coccodrilli non sono disprezzatec) Le persone illogiche sono disprezzated) Quindi i bambini non sanno trattare i coccodrilli.

Questo argomento non e in verita un sillogismo perche e formato da quat-tro proposizioni categoriche; tuttavia si puo spezzare in due sillogismi con-catenati; gli argomenti riducibili a catene di sillogismi si chiamano soriti .

L’argomento di Carroll si puo dimostrare corretto con la seguente scom-posizione. Consideriamo prima l’argomento:

b) Le persone che sanno come trattare i coccodrilli non sono disprezzatec) Le persone illogiche sono disprezzatee) Quindi le persone illogiche non sanno trattare i coccodrilli

che e un sillogismo di modo EAE, figura

P MS M

valido, con M uguale a “essere disprezzato”, S uguale a “persone illogiche”e P uguale a “saper trattare i coccodrilli”.

Combiniamo ora la conclusione e con a:

a) I bambini sono illogicie) Le persone illogiche non sanno trattare i coccodrillid) Quindi i bambini non sanno trattare i coccodrilli

ottenendo sillogismo di modo AAA valido, e si ha la conclusione d.

Dimostriamo che il sillogismo sopra considerato

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E : P MA : S ME : S P

ovvero

∀x(P (x) → ¬M(x))∀x(S(x) → M(x))∀x(S(x) → ¬P (x))

e valido:

Dimostrazione

Linguaggio predicativo Linguaggio naturale

∀x(P (x) → ¬M(x)) Nessun P e M.

P (x) → ¬M(x) Uno che sia P non e M.per contrapposizione

M(x) → ¬P (x) Allora uno che sia M non e P.

∀x(S(x) → M(x)) Ogni S e M.

S(x) → M(x) Uno che sia un S e M.per transitivita di →

S(x) → ¬P (x) Quindi uno che sia un S non e P.

∀x(S(x) → ¬P (x)) Nessun S e P.

Esercizio. Si mostri che il sorite di Lewis Carroll si puo anche spezzare indue sillogismi di cui il primo ha come premesse b) e c). Quale e la conclusioneintermedia?

10.2 Diagrammi di Venn

I tre predicati che intervengono in ogni sillogismo sono rappresentati da treinsiemi, come in figura, senza escludere a priori nessuna possibilita per quanto

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riguarda le loro intersezioni (i loro complementi sono le regioni esterne aicerchi).

&%'$

&%'$

&%'$S P

M

Nel disegno sono presenti diverse aree: S, S ∩ P , S ∩M , S ∩ P ∩M , S \ P ,S \ M , S \ (P ∪ M), . . . (completare per esercizio; quante sono e perche?).Alcune possono essere vuote, altre no, a seconda degli insiemi, e di quantosu di essi stipulano le premesse.

Le premesse dei sillogismi si riferiscono solo ad alcune delle aree e sonoequivalenti all’asserzione che certe intersezioni sono vuote o non vuote:

A : S M S ∩ (∼ M) = ∅E : S M S ∩M = ∅I : S M S ∩M 6= ∅O : S M S ∩ (∼ M) 6= ∅

e cosı le proposizioni categoriche che coinvolgono altre coppie di predicati.

Dato un sillogismo, se le aree corrispondenti ad una sua premessa risul-tano vuote le tratteggiamo, se risultano non vuote mettiamo una crocetta !!!all’interno.

EsempiConsideriamo il sillogismo:

A : P MO : S MO : S P

ovvero

166

Page 171: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

∀x(P (x) → M(x))∃x(S(x) ∧ ¬M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

La prima premessa ci fa tratteggiare P ∩ (∼ M), che deve essere vuota.La seconda premessa ci fa mettere una crocetta in S ∩ (∼ M). Quest’areasarebbe composta di due parti, quella che interseca P e quella che non lointerseca; ma la prima e tratteggiata, in quanto S∩(∼ M)∩P ⊆ P ∩(∼ M),gia considerata; quindi la crocetta si mette in S ∩ (∼ M) ∩ (∼ P ).

&%'$

&%'$

&%'$×

S P

M

����������������������������

����

Ora si interpreta quello che dice la figura, come conseguenza delle due pre-messe, confrontandolo con quello che afferma la conclusione. La conclusioneafferma che deve esserci una crocetta in S∩(∼ P ) e infatti la crocetta e statadisegnata in quell’area, come conseguenza delle due premesse; e stata messa !!!prima di guardare la conclusione.

Un altro sillogismo valido e

E : P MI : S MO : S P

ovvero∀x(P (x) → ¬M(x))∃x(S(x) ∧M(x))∃x(S(x) ∧ ¬P (x)).

La prima premessa ci fa tratteggiare l’area P ∩ M che deve essere vuota

167

Page 172: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

perche P ⊆ ∼ M . La seconda premessa ci fa mettere una crocetta nell’areaS ∩M , ma di fatto nell’area S ∩M ∩ (∼ P ) perche S ∩M ∩ P = ∅.

&%'$

&%'$

&%'$×

S P

M

Come conseguenza si ha una crocetta in S ∩ (∼ P ), che e quello che affermala conclusione: S ∩ (∼ P ) 6= ∅.

Consideriamo ora un sillogismo non valido:

A : S MI : M PI : S P

ovvero∀x(S(x) → M(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x)).

La prima premessa fa tratteggiare S ∩ (∼ M) che e vuota essendo S ⊆ M .La seconda premessa ci fa mettere una crocetta in M ∩P , ma questa e divisain due sottoaree M ∩ P ∩ S e M ∩ P ∩ (∼ S), e non sappiamo dove metterela crocetta. La si mette sulla linea di divisione delle due sottoaree, proprio !!!per indicare che non si sa in quale parte metterla.

168

Page 173: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

&%'$

&%'$

&%'$

+

S P

M

�����

��

���

���

�������

Ma la conclusione dice che dovrebbe esserci una crocetta in S ∩ P e questaindicazione precisa non e conseguenza delle premesse; la crocetta e sul bordo,non e comunque nell’interno dell’area S ∩ P , potrebbe essere in (∼ S) ∩ P .

Per certe esemplificazioni particolari dei predicati in gioco risulta in effetticosı, esiste un controesempio, anche se i diagrammi di Venn non lo esibiscono.

Esercizio. Si usino i diagrammi di Venn per verificare che il sillogismo

E : S MI : P MO : S P

non e valido e trovare se possibile un controesempio in base a quanto suggeritodal diagramma.

Per riuscire non solo a dimostrare la validita dei sillogismi, ma a trovare icontroesempi in modo meccanico, soccorre un metodo che estende gli alberidi refutazione a enunciati predicativi.

169

Page 174: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

11 Alberi di refutazione

11.1 Regole per i quantificatori

La tecnica degli alberi di refutazione si estende agli enunciati dei linguaggipredicativi aggiungendo le seguenti regole per i quantificatori, una per ∃ euna per ∀, mentre quelle per ¬∃ e per ¬∀ si riducono alle prime due graziealle leggi di De Morgan generalizzate:

• Se A e ∃xB, si introduce una nuova costante c e alla fine di ogni ramonon chiuso passante per A si appende alla foglia il successore B(c)1,come nello schema

[∃xB]

...

↓F

↓B(c)

• Se A Se A e ∀xB, allora alla fine di ogni ramo non chiuso passante perA, per tutti i termini chiusi t1, . . . , tn che occorrono in qualche enunciatodel ramo, e tali che B(ti) non occorre gia nel ramo, si appendono allafoglia n + 1 nodi in serie, prima B(t1), . . . , B(tn) e poi ancora ∀xB, !!!come nello schema

[∀xB]

...

↓F

↓B(t1)

↓1S’intende che se B non contiene la x libera B(c) e B.

170

Page 175: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

...

↓B(tn)

↓∀xB

• Se A e ¬∀xB, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siappende alla foglia il successore ∃x¬B(x), come nello schema

[¬∀xB]

...

↓F

↓∃x¬B(x)

• Se A Se A e ¬∃xB, alla fine di ogni ramo non chiuso passante per A siappende alla foglia ∀x¬B, come nello schema

[¬∃xB]

...

↓F

↓∀x¬B

Se l’albero e inizializzato con un enunciato, tutti i nodi dell’albero sonoetichettati con enunciati, di un linguaggio possibilmente arricchito con nuovecostanti. Il ruolo dei letterali e ora svolto dagli enunciati atomici e dallenegazioni degli enunciati atomici.

La prima regola corrisponde all’esemplificazione esistenziale, la secondaalla particolarizzazione.

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Page 176: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Nell’applicazione della regola per ∃xB la costante deve essere diversa daquelle che occorrono gia in enunciati del ramo - nuova perche le informazioni !!!disponibili non permettono di dire se l’elemento che esemplifica B sia uno gianoto o no - ma non necessariamente diversa da quelle che sono solo su altrirami. Ogni ramo e una strada indipendente dalle altre; tuttavia per evitareconfusioni e bene ogni volta prendere una costante che sia diversa da tuttequelle che occorrono in tutto l’albero.

Il senso della regola per ∀ e il seguente; si vorrebbe sostituire a x tutti itermini chiusi; ma questi sono in generale infiniti, e neppure ben determinati,per il fatto che successive applicazioni delle altre regole ad altri nodi possonointrodurre nuove costanti sui rami considerati; allora s’incominciano a sos-tituire i termini esplicitamente esistenti, ma si riscrive l’enunciato ∀xB inmodo che quando eventualmente (se il ramo non si e nel frattempo chiuso) sitorna a considerare l’enunciato, se nel frattempo si sono creati nuovi terminichiusi anche i nuovi vengano sostituiti (si veda l’esempio qui sotto).

Se in una prima applicazione della e regola per ∀ non esistono terminichiusi negli enunciati dell’albero, si introduce una nuova costante c e si sos-tituisce quella (ma si tratta di un’eccezione, da non confondere con la regola !!!per ∃; e come se ci fosse sempre una costante iniziale, ad esempio in c = ccongiunta alla radice; oppure e come pensare che l’universo non e mai vuoto,e c e un suo elemento).

In pratica, non c’e bisogno di riscrivere ∀xB, basta non marcarlo comegia considerato e ricordarsi di tornare periodicamente a visitarlo. E quandotutti gli altri enunciati siano stati considerati e non ci siano altri termini dasostituire, lo si marca definitivamente per terminare.

La regola per ¬∃ fa scattare in un secondo momento la regola per ∀(e analogamente per la regola relativa a ∀¬). Dato ¬∃xA, si puo alloraapplicare direttamente la particolarizzazione a ¬A, vale a dire, aggiungere¬A(t1), . . . ,¬A(tn) e riscrivere ¬∃A.

EsempiL’albero:

¬(∀x(P (x) → Q(x)) → (∀xP (x) → ∀xQ(x)))1

↓∀x(P (x) → Q(x))5

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Page 177: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

↓¬(∀xP (x) → ∀xQ(x))2

↓∀xP (x)4

↓¬∀xQ(x)3

↓¬Q(c)↓

P (c)↓

P (c) → Q(c)↙ ↘

¬P (c) Q(c)chiuso chiuso

e chiuso.

L’albero:

∃xP (x) ∧ ∀x(P (x) → ∃yQ(y)) ∧ ¬∃yQ(y)1

↓∃xP (x)2

↓∀x(P (x) → ∃yQ(y))3,7

↓¬∃yQ(y)4,8

↓P (c)↓

P (c) → ∃yQ(y)5

↓¬Q(c)↙ ↘

¬P (c) ∃yQ(y)6

chiuso ↓↓

Q(d)↓

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Page 178: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

P (d) → ∃yQ(y)↓

¬Q(d)chiuso

e chiuso. Sono state eseguite due applicazioni della regola per ∀ e ¬∃ a∀x(P (x) → ∃yQ(y)) e a ¬∃yQ(y); la seconda scatta dopo che ∃yQ(y) haprodotto Q(d), introducendo la nuova d.

E quasi superfluo dire che, come si e fatto nei due esempi, conviene ap- !!!plicare prima le regole per ∃ e ¬∀ e dopo le regole per ∀ e ¬∃.

Applicheremo il metodo degli alberi di refutazione solo a enunciati che noncontengono simboli funzionali, sicche i termini chiusi potenziali si riducono !!!alle costanti.

Anche con questa restrizione tuttavia non vale piu la proprieta di termi-nazione, come mostra l’albero per l’enunciato ∀x∃yR(x, y)

∀x∃yR(x, y)↓

∃yR(c, y)↓

R(c, c1)↓

∃yR(c1, y)↓

R(c1, c2)↓

∃yR(c2, y)↓...

Valgono pero le proprieta fondamentali di correttezza e completezza.

Teorema 11.1.1 (Correttezza) Se l’albero di refutazione con radice A sichiude, allora A e insoddisfacibile. 2

I precendenti esempi di alberi chiusi verificano il primo che ∀x(P (x) →Q(x)) |= ∀xP (x) → ∀xQ(x) e il secondo che ∃xP (x)∧∀x(P (x) → ∃yQ(y)) |=∃yQ(y).

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Page 179: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Teorema 11.1.2 (Completezza) Se A e insoddisfacibile, l’albero con radiceA si chiude.

La dimostrazione come nel caso proposizionale segue dal

Lemma 11.1.1 Se l’albero di refutazione con radice A non si chiude, alloraper ogni ramo non chiuso, finito e terminato, o infinito, esiste un modello diA. 2

Considereremo solo alcuni esempi per mostrare come si definiscono le inter-pretazioni per i rami non chiusi, per enunciati che non contengono simbolifunzionali.

EsempioL’albero

P (c) ∧ (∃xP (x) → ∃xQ(x)↓

P (c)↓

∃xP (x) → ∃xQ(x)↙ ↘

¬∃xP (x) ∃xQ(x)↓ ↓

¬P (c) Q(d)chiuso

mostra che l’enunciato P (c) ∧ (∃xP (x) → ∃xQ(x)) e soddisfacibile conun modello, dato dal ramo di destra, perche quello di sinistra e chiuso.L’interpretazione e definita nel seguente modo: l’universo e l’insieme dellecostanti che occorrono in enunciati del ramo, in questo caso U = {c, d}; !!!quindi i predicati sono definiti in base a quali enunciati atomici occorronosul ramo, in questo caso P = {c}, che deve rendere vero P (c), e Q = {d},che rende vero Q(d).

Le proprieta di correttezza e completezza assicurano che quando l’alberotermina, la risposta e quella giusta; inoltre, poiche se un albero si chiudeesso si chiude dopo un numero finito di passi, in tutti i casi in cui la radice einsoddisfacibile l’albero lo rivela chiudendosi; quando la radice e soddisfaci-bile, puo darsi che l’albero termini, e lo riveli, come puo darsi che continui

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Page 180: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

all’infinito, e non e detto che ci sia mai uno stadio in cui ci accorgiamo chel’albero andra avanti a crescere all’infinito (altrimenti e come se sapessimoche non si chiude).

Un metodo con queste caratteristiche si dice metodo di semidecidibilitae l’insieme degli enunciati insoddisfacibili e semidecidibile.

11.1.1 Esercizi

1. Verificare con gli alberi di refutazione tutte le leggi logiche finora in-contrate.

2. Verificare con gli alberi di refutazione che ∃xP (x)∧∃xQ(x) → ∃x(P (x)∧Q(x)) e ∀x(P (x) ∨Q(x)) → ∀x(P (x) ∨ ∀xQ(x)) non sono logicamenteveri.

3. Trovare con gli alberi di refutazione un controesempio a ∀xP (x) →∀xQ(x) |= ∀x(P (x) → Q(x)).

11.2 Applicazione ai sillogismi

Gli enunciati che contengono solo predicati monadici e non contengono sim-boli funzionali formano un linguaggio monadico.

Rientrano in questa categoria le proposizioni categoriche che intervengononei sillogismi, ma anche molti altri enunciati piu complicati.

Si puo dimostrare che l’albero con un enunciato monadico nella radicetermina sempre in un numero finito di passi.

Gli alberi di refutazione costituiscono percio un metodo effettivo per de- !!!cidere se un enunciato monadico e logicamente vero o no. Quindi la logica deilinguaggi monadici e decidibile, come quella proposizionale. In particolaregli alberi permettono di decidere se un sillogismo e valido o no.

Che un albero con un enunciato monadico nella radice termini sempre lo sipuo vedere nel seguente modo. Innanzi tutto bisogna preparare l’enunciato,se non e ancora nella forma voluta, in modo che non presenti quantifica-tori incapsulati, o nidificati, cioe nessun quantificatore cada dentro al raggiod’azione di un altro. Questa trasformazione e possibile applicando le leggilogiche sui quantificatori.

Ad esempio

∀x∃y(P (x) ∨ ∃zQ(z) → Q(y))

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Page 181: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

diventa

∀x(P (x) ∨ ∃zQ(z) → ∃yQ(y))

quindi

∃x(P (x) ∨ ∃zQ(z)) → ∃yQ(y)

e

∃xP (x) ∨ ∃zQ(z) → ∃yQ(y).

Un esempio piu difficile2 e il seguente

∀x∃y(P (x) ∨ ∀zQ(z) → P (x) ∨Q(y))

che diventa

∀x(P (x) ∨ ∀zQ(z) → ∃y(P (x) ∨Q(y)))

∀x(P (x) ∨ ∀zQ(z) → P (x) ∨ ∃yQ(y))

∀x(¬(P (x) ∨ ∀zQ(z)) ∨ P (x) ∨ ∃yQ(y))

∀x((¬P (x) ∧ ¬∀zQ(z)) ∨ P (x) ∨ ∃yQ(y))

∀x(((¬P (x) ∨ P (x)) ∧ (¬∀zQ(z) ∨ P (x))) ∨ ∃yQ(y))

∀x((¬∀zQ(z) ∨ P (x)) ∨ ∃yQ(y))

(∀x(¬∀zQ(z) ∨ P (x))) ∨ ∃yQ(y)

(¬∀zQ(z) ∨ ∀xP (x)) ∨ ∃yQ(y)

¬∀zQ(z) ∨ ∀xP (x) ∨ ∃yQ(y).

Eseguita la trasformazione si adotta la seguente euristica di sviluppo !!!dell’albero. Se alcuni enunciati inseriti nell’albero hanno un connettivo comesegno logico principale, si applicano ad essi e ai loro eventuali risultati leregole proposizionali relative, finche si perviene alla situazione in cui tutti glienunciati non ancora considerati, se non sono atomici o negazioni di atomici,iniziano con un quantificatore o con la negazione di un quantificatore.

2Non vogliamo nascondere che il risultato non e banale; per la dimostrazione occorresfruttare, come s’intravvede dall’esempio, le forme normali disgiuntive e congiuntive dellamatrice, dopo aver messo l’enunciato in forma prenessa.

177

Page 182: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

A questo punto si lavora prima sugli enunciati che iniziano con un ∃ o un¬∀, il cui effetto e quello di introdurre nuove costanti - e sono i soli che intro-ducono nuove costanti. Essi danno origine a enunciati privi di quantificatori,per l’assenza di quantificatori incapsulati.

Ora si applicano le regole agli enunciati che iniziano con ∀ o ¬∃, eseguendotutte le sostituzioni possibili delle costanti, che danno di nuovo origine aenunciati privi di quantificatori. Tali enunciati non devono essere riscritti,perche il seguito del lavoro non costringera piu a tornare su di essi; non sigenerano piu altri enunciati che iniziano con ∃ o ¬∀. Ai nuovi enunciatiprivi di quantificatori si applicano eventualmente le regole proposizionali delcaso, ma l’applicazione di regole proposizionali dopo un numero finito di passitermina.

EsempiIl sillogismo

∀x(S(x) → M(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x))

equivalente all’affermazione che

∀x(S(x) → M(x)) ∧ ∃x(M(x) ∧ P (x)) |= ∃x(S(x) ∧ P (x))

e controllato per mezzo del seguente albero:

∀x(S(x) → M(x))3

↓∃x(M(x) ∧ P (x))1

↓¬∃x(S(x) ∧ P (x))4

↓M(c) ∧ P (c)2

↓M(c)↓↓

P (c)↓

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Page 183: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

S(c) → M(c)5

↓¬(S(c) ∧ P (c))6

↙ ↘¬S(c) M(c)↙↘ ↙↘

¬S(c) ¬P (c) ¬S(c) ¬P (c)chiuso chiuso

Due rami sono chiusi; gli altri due danno le stesse informazioni, in quantocontengono entrambi M(c), P (c),¬S(c). Il controesempio fornito da questoalbero e U = {c} con M = {c}, P = {c} e S = ∅.

Questa non e l’interpretazione proposta a suo tempo come controesempio,che era stata U = {a, b, c}, S = {a}, M = {a, c}, P = {b, c}, ma ques’ultimasi ottiene dalla presente aggiungendo a e b all’universo; l’interpretazione for-nita dall’albero e minimale, e lo e sempre3.

E raro che si trovi un solo modello di un enunciato, in realta non ce ne emai uno solo, ma la dimostrazione di questo fatto e complicata4.

Il sillogismo:

∀x(M(x) → S(x))∃x(M(x) ∧ P (x))∃x(S(x) ∧ P (x))

e valido.L’albero:

∀x(M(x) → S(x))2

↓3Si potrebbe dire che e minima, a meno di biiezioni che rispettano i predicati in gioco,

e si chiamano “isomorfismi”.4Viene in mente ∀x(c = x), che sembrerebbe avere solo un tipo di modello, con un solo

elemento, ma non e cosı perche l’interpretazione di =, le cui proprieta necessarie ma anchesufficienti, se si esplicitano, sono le proprieta riflessiva, simmetrica e transitiva, oltre allasostitutivita, potrebbe essere solo una relazione di equivalenza.

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Page 184: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

∃x(M(x) ∧ P (x))1

↓¬∃x(S(x) ∧ P (x))3

↓M(c) ∧ P (c)

↓M(c)↓

P (c)↓

M(c) → S(c)4

↓¬(S(c) ∧ P (c))5

↙ ↘¬M(c) S(c)

chiuso ↙ ↘¬S(c) ¬P (c)chiuso chiuso

e chiuso.

11.2.1 Esercizi

Verificare con gli alberi di refutazione la validita o meno dei 256 sillogismi.

180

Page 185: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

12 Il principio di induzione

Come si fa a dimostrare che un enunciato universale1 ∀xA(x) vale in ununiverso infinito? Non si possono certo passare in rassegna tutti gli elementidell’universo. Alcune regole logiche sembrano utilizzabili, in particolare lariduzione all’assurdo o quelle che permettono di derivare enunciati universalida altri, gia pero noti, come la distributivita di ∀ su →:

∀x(B(x) → A(x)) ∀xB(x)∀xA(x).

Con le sole regole logiche si dimostrano solo enunciati veri in tutte le inter-pretazioni, non in una particolare.

Un insieme infinito peraltro non puo essere dato se non attraverso unadefinizione, che ne mette in evidenza alcune proprieta caratteristiche. Questesono assunte in genere come assiomi della struttura, e a partire da essi sideducono altre proprieta vere nella struttura stessa (e in tutte le eventualialtre che soddisfano gli assiomi). !!!

Le strutture numeriche classiche, che sono insiemi infiniti, hanno poi cias-cuna qualche caratteristica particolare che permette di svolgere ragionamentitipici ed esclusivi2, ad esempio la continuita per i numeri reali. La piu sem-plice struttura numerica e quella dei numeri naturali N.

12.1 I numeri naturali

I numeri naturali3

0, 1, 2, . . . , n, n′, . . .

sono descrivibili in modo compatto e uniforme come se fossero tutti generatida un primo che e lo 0. Non e raccomandabile usare all’inizio le cifre 0, 1, . . . , 9perche esse presuppongono la rappresentazione in una base, che e argomentodi la da venire. Meglio scrivere:

1Diciamo brevemente cosı per un enunciato che inizia con un quantificatore universale,anche se non e corretto; gli enunciati universali sono quelli che in forma prenessa hannosolo quantificatori universali nel prefisso.

2E questo vale anche per strutture finite, per cui sono pure disponibili tecniche parti-colari. Si veda ad esempio 12.7.

3Consideriamo anche 0 tra i numeri naturali, benche non sia molto naturale rispettoalla prima funzione dei numeri, quella di contare; talvolta i numeri naturali senza lo 0 sonoanche detti numeri di conto.

181

Page 186: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

0, 0′, 0′′, . . . , n, n′, . . .

che rappresenta visivamente il fatto che ogni numero4 n, salvo lo 0, ha un suc-cessore indicato con n′, e iterando il successore non si ottiene mai un numerogia considerato, perche i successori di due numeri diversi sono diversi5.

Queste proprieta sono esprimibili con enunciati predicativi:

∀x(0 6= x′)

∀x∀y(x 6= y → x′ 6= y′)

che costituiscono i primi assiomi dei numeri naturali6.

Si e abituati a dire che ogni numero si ottiene dal precedente con “+ 1”,ma l’operazione di addizione compare, e definita, solo nella piu ricca strutturache si ottiene sulla base della definizione fondamentale.

Quando si parte da zero7 per introdurre N, si vuol dire innanzi tutto cheN e un insieme infinito; la definizione e la seguente: un insieme X e infinitose esiste una iniezione di X su un sottoinsieme proprio di se stesso.

I tre assiomi sopra presentati esprimono questo fatto, con la funzioneiniettiva (terzo assioma) “successore” che manda tutto l’insieme N (primoassioma) nel suo sottoinsieme proprio N \ {0} (secondo assioma)8.

Ora pero N non e solo un insieme infinito: ogni suo elemento si ottieneda 0 iterando un numero finito di volte l’operazione di successore. Non cisono altri elementi al di fuori di questa catena senza fine. La condizione nonsembra facile da esprimere, perche per parlare di iterare un numero finitodi volte il successore parrebbe necessario avere gia la nozione di numeronaturale.

4Il fatto che n nella successione venga dopo i puntini, non significa che e un numerogrande; n e una variabile che indica un numero qualunque, e puo assumere anche i valori0, 1,. . .

5E lo 0 non ha nulla di magico ma e solo il primo. Meglio ancora indicare la serie con

|, ||, |||, . . .

con la cosidetta rappresentazione unaria, usata ad esempio nelle macchine di Turing.6Vale anche ∀x∃y(y = x′), che non scriviamo perche nei linguaggi predicativi si intende

che le funzioni sono totali, e quelle non ovunque definite si trattano con speciali artifici.7In tutti i sensi.8Dopo si vede che e sopra: ∀x(x 6= 0 → ∃y(x = y′)).

182

Page 187: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Tuttavia soccorre questa idea, derivata dalla precedente intuizione, chese una proprieta, espressa da una formula A(x), e tale che si trasporta nelpassaggio da n a n′, o che e invariante rispetto al successore, cioe e taleche se vale per un generico n allora vale per n′, in simboli A(n) → A(n′),allora come ogni numero si ottiene da 0 passando attraverso una catena disuccessori, cosı se A vale per 0 allora A vale per tutti i numeri.

Un’immagine comoda per rappresentarsi la situazione e quella di unasuccessione di pezzi di domino messi in piedi in equilibrio precario, distantitra loro meno della loro altezza. Cosı se un pezzo cade verso destra fa cadereverso destra quello adiacente. Se cade il primo, fa cadere il secondo, che facadere il terzo, e tutti cadono.

�������

�������-

In alternativa, si puo esprimere in termini insiemistici l’idea che N deveessere il piu piccolo insieme infinito con l’affermazione

0 ∈ X ∧ ∀x(x ∈ X → x′ ∈ X) → N ⊆ X,

che N e il piu piccolo insieme che contiene 0 ed e chiuso rispetto al successore9.Da questa condizione, pensando a X come all’insieme di verita di una

formula A(x), o dalle precedenti considerazioni intuitive, si ricava l’assiomadi induzione

A(0) ∧ ∀x(A(x) → A(x′)) → ∀xA(x),

dove A e una formula qualsiasi del linguaggio aritmetico, che all’inizio con-tiene solo 0 e ′, oltre a =.

Non sviluppiamo la costruzione sistematica dell’aritmetica a partire daquesti assiomi, che tuttavia sono sufficienti, perche tale trattazione non fa

9N e contenuto in ogni insieme che sia infinito grazie alla stessa iniezione “successore”e con lo stesso elemento non appartenente all’immagine dell’iniezione

183

Page 188: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

parte del programma. Nel seguito ci limiteremo a familiarizzarci con le con-seguenze dell’assioma di induzione in una varieta di esempi, e per far questodaremo per note alcune proprieta aritmetiche, algebriche e geometriche ele-mentari.

In particolare useremo subito il fatto che dalla definizione dell’addizione(che daremo in seguito) segue che n′ = n + 1 e adotteremo questa notazioneper il successore.

Supporremo anche definita10 la relazione d’ordine totale ≤ con minimo 0.

12.2 Il principio di induzione

Dall’assioma di induzione segue una regola dimostrativa che si chiama pro-priamente principio di induzione e che si puo schematizzare nel seguentemodo:

A(0) Base∀x(A(x) → A(x + 1)) Passo induttivo

∀xA(x).

Per dimostrare ∀xA(x) sono sufficienti due mosse: la prima consiste nel di-mostrare A(0), e la seconda nel dimostrare ∀x(A(x) → A(x + 1)).

Si dice allora che ∀xA(x) e stata dimostrata per induzione su x, e A(x)si chiama la formula d’induzione.

La base non si riferisce necessariamente solo a 0. Se a cadere verso destranon e il primo domino, ma il sesto

�������

�������

@@@R

a cadere saranno tutti i domino dal sesto in poi.

10Per mezzo dell’addizione la definizione sara: x ≤ y ↔ ∃z(x + z = y). Per ora lapossiamo pensare postulata come relazione d’ordine, per poter fare esercizi con formulefamiliari e per scrivere alcune formule in modo piu comodo.

184

Page 189: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

In corrispondenza a questa idea si ha una formulazione piu generale delprincipio di induzione:

A(k) Base∀x ≥ k (A(x) → A(x + 1)) Passo induttivo

∀x ≥ kA(x).

Se si deve dimostrare ad esempio ∀x > 0 A(x) si dimostra come base A(1).

La dimostrazione del passo induttivo e la parte piu importante e delicata;la base di solito si riduce a calcoli di verifica. Trattandosi di un enunciatouniversale, la dimostrazione di solito si imposta come dimostrazione di

A(x) → A(x + 1)

per un x generico.Si assume quindi A(x), chiamandola ipotesi induttiva e si cerca di dedurre

A(x + 1):

A(x) Ipotesi induttiva...A(x + 1).

Come abbiamo osservato in precedenza, se si riesce a dedurre A(x + 1)dall’assunzione A(x) si stabilisce A(x) → A(x + 1) senza alcuna assunzioneparticolare, a parte gli assiomi che sono enunciati, e quindi si puo quantificareuniversalmente ∀x(A(x) → A(x + 1)).

Una volta dimostrato il passo induttivo - e la base - la conclusione ∀xA(x)segue come bonus.

Errori umoristici non infrequenti: !!!da A(x), per sostituzione, A(x + 1)oppureda A(x), direttamente per generalizzazione ∀xA(x).

Qualcuno giustifica questi errori alludendo a difficolta immaginarie dovutea una pericolosa somiglianza tra quello che si deve dimostrare e quello chesi assume. Ma nella dimostrazione del passo induttivo la tesi ∀xA(x) noninterviene per nulla. Quello che si assume nel passo induttivo, A(x), e che Avalga per un elemento, ancorche non precisato; quello che si vuole dimostrare

185

Page 190: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

in grande e ∀xA(x), cioe che A vale per tutti gli elementi; in piccolo, nel passoinduttivo, si vuole solo dimostrare che A vale per un altro elemento, una belladifferenza, anche sintatticamente visibile, se si usassero i quantificatori.

Se ci sono difficolta, sono le difficolta tipiche della manipolazione di vari-abili e quantificatori.

Esempio Dimostrare per induzione11 che

1 + 2 + ... + n = n(n+1)2

.

S’intende, poiche l’espressione di sinistra ha senso solo per n ≥ 1, che si devedimostrare ∀x ≥ 1 (1 + 2 + ... + x = x(x+1)

2), ma useremo la variabile n come

d’uso12.Altrimenti, si considera la formula con 0 + 1 + . . . + n a sinistra e allora

la base e 0.Chiamiamo P (n) la formula di induzione13.La dimostrazione per induzione della formula si svolge nel seguente modo:

Base: per n = 1, P (1) e 1 = 1(1+1)2

, e l’espressione di destra si riduce a 1,quindi P (1) e dimostrata;

Passo induttivo: ammesso

1 + 2 + ... + n = n(n+1)2

,

cioe P (n), aggiungendo n + 1 ad ambo i membri si ha

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = n(n+1)2

+ (n + 1)

= n(n+1)+2(n+1)2

= (n+1)(n+2)2

che e P (n + 1). 2

11Uno dei primi algoritmi che si chiede di scrivere (Horstmann, p. 45) e quello per lasomma 1 + 2 + . . . + n.

12L’uso di n come variabile libera universale per i numeri naturali e tipica della scritturamatematica; se si usano i quantificatori introducendo la notazione logica e meglio tornarealla x. Il passo induttivo puo comunque essere sempre presentato come dimostrazione diA(n) → A(n + 1).

13Usiamo P perche e una formula atomica.

186

Page 191: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Sono possibili diversi sviluppi del passo induttivo, in avanti o all’indietro;in avanti si procede come nell’esempio, si scrive l’ipotesi induttiva P (n) e poila si manipola cercando di arrivare a P (n + 1).

Nel procedimento all’indietro si puo affrontare direttamente quello che sideve dimostrare, P (n + 1), impostando l’espressione

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = ?,

di cui si vuole trovare il valore che confermi P (n + 1).Un primo passo e quello di riempire l’ignoto “?” con qualcosa di noto, ad

esempio

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = (1 + 2 + ... + n) + (n + 1),

valida per la proprieta associativa, quindi si osserva che e comparsa unasottoespressione presente nell’ipotesi induttiva

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = (1 + 2 + ... + n) + (n + 1),

e allora “per ipotesi induttiva”, cioe facendo giocare a questo punto un ruoloa P (n),

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = n(n+1)2

+ (n + 1),

e sviluppando i calcoli a destra del segno = si arriva a

1 + 2 + ... + n + (n + 1) = (n+1)(n+2)2

.

La formula P (n+1) e stata cosı dimostrata ma assumendo a un certo puntoP (n), quindi si e stabilito P (n) → P (n + 1). 2

Da sconsigliare ai principianti il procedimento all’indietro che consiste nel par- !!!tire da

1 + 2 + . . . + n + (n + 1) = (n+1)(n+2)2 ,

riscrivere questa somma come

(1 + 2 + . . . + n) + (n + 1) = (n+1)(n+2)2 ,

facendo emergere l’espressione 1 + 2 + . . . + n, quindi “per ipotesi induttiva”

n(n+1)2 + (n + 1) = (n+1)(n+2)

2 .

187

Page 192: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Verificato che quest’ultima uguaglianza e valida, perche diventa

(n+1)(n+2)2 = (n+1)(n+2)

2 ,

P (n + 1) e dimostrato. 2

Avvertenza P (n + 1) e dimostrato dai passaggi di sopra non perche da essa !!!segua un’identita; lo studente di logica sa che dal fatto che A → B sia vero e Bsia vero non segue la verita di A.

I passaggi di sopra vanno letti all’indietro partendo dall’ultima uguaglianza, etutte le uguaglianze scritte sono tra loro equivalenti (se si assume P (n)). P (n+1) econseguenza di P (n) e di n(n+1)

2 +(n+1) = (n+1)(n+2)2 , che e un’identita aritmetica.

In questa impostazione, ci sono due movimenti logici all’indietro: innanzitutto si parte dalla tesi da dimostrare P (n + 1), quindi si sviluppa una serie diuguaglianze, che tuttavia, essendo collegate da equivalenza, vanno lette nell’ordineinverso, dall’ultima identita fino a P (n + 1).

Nella dimostrazione del passo induttivo possono intervenire tutte le strate-gie dimostrative. Illustriamo un problema in cui interviene la distinzione deicasi.

Esempio Dimostrare che

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n−1 1n

e sempre strettamente positivo.S’intende che si deve dimostrare che per ogni n ≥ 1

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n−1 1n

> 0.

Dimostrazione

Base: Per n = 1 la somma e 1 e 1 > 0.

Passo induttivo: Consideriamo

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n 1n+1

e distinguiamo due casi.

Se n + 1 e dispari, allora la somma fino a n + 1, riscritta come

(1− 12

+ 13

+ . . .− 1n) + 1

n+1

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Page 193: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

si ottiene da quella fino a n sommando 1n+1

, una quantita positiva.

Siccome per ipotesi induttiva anche (1− 12

+ 13

+ . . .− 1n) > 0, si ha la

conclusione voluta.

Se n + 1 e pari, la somma

1− 12

+ 13

+ . . . + 1n− 1

n+1

si puo riscrivere

(1− 12) + (1

3− 1

4) + . . . + ( 1

n− 1

n+1)

per la proprieta associativa, e quindi osservare che e la somma di quan-tita tutte positive. 2

Si noti che l’ipotesi induttiva interviene solo in uno dei due casi in cui edistinta la dimostrazione del passo induttivo, ma comunque interviene.

Se si fosse voluto dimostrare che

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)i−1 1i+ . . .− 1

2n> 0

non ci sarebbe stato bisogno dell’induzione e si sarebbe potuto procederecome nel precedente caso pari con la sola proprieta associativa.

In verita anche questa proprieta dipende dall’induzione, perche in unatrattazione sistematica l’associativita della somma, come anche il fatto chela somma di un numero finito di addendi positivi e positiva, si dimostrano aloro volta per induzione, e lo vedremo piu avanti quando discuteremo dellasomma generalizzata.

Tutti i risultati aritmetici dipendono dall’induzione, perche questo e il soloassioma dell’aritmetica, a parte quelli riguardanti 0 e successore. Tuttaviac’e un uso prossimo e uno remoto dell’induzione; se si conoscono dei risultati(comunque a loro volta siano stati dimostrati) e li si usa in modo direttoin una dimostrazione, questa per parte sua non e una dimostrazione perinduzione.

Esistono casi in cui invece si ha una scelta tra due metodi dimostrativi,uno per induzione e uno no. Ad esempio si puo dimostrare per induzione chen3 − n e multiplo di 3: partendo da (n + 1)3 − (n + 1)

(n + 1)3 − (n + 1) = n3 + 3n2 + 3n + 1− n− 1 = (n3 − n) + 3n2 + 3n

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che e divisibile per 3 in quanto somma di addendi tutti divisibili per 3 (ilprimo per ipotesi induttiva). 2

Ma si puo anche fattorizzare n3−n in (n−1)n(n+1) e osservare che unodei tre consecutivi deve essere divisibile per 3. 2

Di solito quando sono disponibili due vie, una per induzione e una chepotremmo chiamare algebrica, la seconda da maggiori informazioni, in quantolega il problema dato con altri.

Nell’ultimo esempio abbiamo commesso un errore nell’esposizione delladimostrazione per induzione, un errore che lo studente non deve commettere, !!!quello di aver trascurato di dimostrare la base.

La leggerezza in questo caso e innocua, perche subito rimediabile: pern = 0 n3 − n vale 0 che e divisibile per 3. Ma in altri casi puo essere fatale.

Si consideri ad esempio la seguente dimostrazione sul valore della sommadei primi n pari:

2 + 4 + + 2n = n(n + 1) + 5.

Se indichiamo la somma con Sn = 2 + 4 + + 2n, e facile verificare che

Sn = n(n + 1) + 5 → Sn+1 = (n + 1)(n + 2) + 5

ma la formula e falsa. Lo si vede subito per n = 0 ed n = 1. Si potrebbepensare che valga solo da un certo punto in poi, e si puo provare con altrivalori, ma sempre con esito negativo.

Viene il dubbio che sia sempre falsa, e cosı e, ma questa affermazionerichiede a sua volta una dimostrazione (trattandosi di un’affermazione uni-versale infinita: sempre, per ogni n, Sn 6= . . .)14.

Una facile dimostrazione si trova se viene in mente di osservare che n(n+1) + 5 e sempre dispari, come somma di un pari e di un dispari, mentrela somma di pari e pari (ma le stesse considerazioni si potrebbero fare conn(n + 1) + k, k > 0 qualunque).

12.3 L’induzione empirica

Come non si deve trascurare la base, cosı non si deve trascurare il passo indut-tivo. Se non si dimostra il passo induttivo, non c’e traccia di dimostrazione

14E quindi si puo dimostrare per induzione (esercizio).

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Page 195: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

per un’asserzione del tipo ∀xA(x). Al massimo si possono verificare alcunicasi particolari iniziali, per numeri piccoli. Questa verifica e talvolta dettainduzione empirica.

Con “induzione empirica” si intende il passaggio da un numero finito, limitato,di osservazioni, alla formulazione di una legge generale; dal fatto che tutti i cigniosservati sono bianchi alla affermazione che tutti i cigni sono bianchi. L’esempio,classico nei testi di filosofia della scienza, e stupido, ma e difficile trovarne di scien-tifici, nonostante si pensi che l’induzione caratterizzi le scienze empiriche, percheforme di induzione di questo genere sono in verita del tutto estranee alla ricerca sci-entifica. La parola e usata comunque in contrasto con “deduzione”, a indicare unpassaggio dal particolare all’universale (come se la deduzione fosse, cosa che non e,se non raramente, un passaggio dall’universale al particolare15). L’induzione em-pirica e anche detta induzione per enumerazione, dizione che suggeriamo di evitareperche non faccia venire in mente i numeri.

Quando all’inizio dell’eta moderna si ebbe una ripresa della ricerca matematica,la parola “induzione” era usata nella scienza per indicare la formulazione di leggigenerali suggerite e verificate da un certo numero di casi particolari. Anche imatematici, figli del loro tempo, usavano la parola in questo modo e per esserescienziati pretendevano di usare anch’essi l’induzione. Lo si riscontra soprattuttoin quegli autori, come Eulero, che basavano le loro congetture su molti calcoli edesplorazioni delle proprieta dei numeri. Il primo autore che formulo e proposeil principio d’induzione matematica nella forma moderna fu Pascal, ed egli vollechiamare cosı questo principio, che implicitamente era stato usato gia da Euclidee da Fermat in altra versione16, considerandolo la vera forma d’induzione adattaa, o tipica della matematica . In verita non v’e alcun rapporto; e vero che conl’induzione matematica si arriva a una conclusione valida per l’infinita dei numericon due soli passaggi, ma si tratta di due dimostrazioni, non di due osservazioni.

L’esplorazione di un piccolo numero di casi non e mai sufficiente a di-mostrare ∀xA(x); al massimo puo servire a trovare un controesempio, se sie fortunati. L’induzione empirica addirittura puo essere ingannevole quandosono tanti i casi confermati; “tanti” e sempre relativo; ad esempio il polinomio

f(n) = n2 + n + 41

e tale che f(n) e un numero primo per n = 0, 1, 2, . . . , 39 (verificare qualche

15Lo e solo nelle applicazioni della particolarizzazione universale.16Il principio della discesa finita, discusso piu avanti.

191

Page 196: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

caso). La congettura che si potrebbe indurre che f(n) sia sempre primo etuttavia smentita dal controesempio

f(40) = 402 + 40 + 41 = 402 + 80 + 1 = (40 + 1)2 = 412.

Di fronte alla congettura che f(n) sia sempre primo, naturalmente vienenaturale l’idea di controllare gli eventuali zeri e scomporre il polinomio (sesi sa che gli zeri permettono una scomposizione). Il tentativo di dimostrareil passo induttivo invece fallisce per mancanza di idee.

L’esplorazione empirica e utile tuttavia e raccomandabile quando non !!!viene proposta una formula da dimostrare, ma la si deve trovare, quandocioe bisogna formulare una congettura - e poi dimostrarla.

Ad esempio se si vuole trovare una formula per

12

+ 12·3 + 1

3·4 + . . . + 1n(n+1)

,

se si calcolano i primi valori dell’espressione

n = 1 12

= 12

n = 2 12

+ 12·3 = 2

3

n = 3 12

+ 12·3 + 1

3·4 = 34

si puo arrivare alla congettura che la risposta in generale sia nn+1

, quindiprovare a dimostrarla (esercizio, e come ulteriore esercizio trovare e dimostrarela formula in modo algebrico senza induzione).

Quando come in questo caso si esegue un’induzione empirica, convienefare attenzione che i calcoli possono dire di piu che suggerire solo la con-gettura, possono anche suggerire la traccia della dimostrazione del passoinduttivo.

Consideriamo ad esempio come si possa valutare e dimostrare l’espressioneper la somma dei primi dispari

1 + 3 + ... + (2n + 1)

192

Page 197: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

I primi calcoli mostrano come risultato dei quadrati,

n = 0 1 = 1n = 1 1 + 3 = 4n = 2 1 + 3 + 5 = 9n = 3 1 + 3 + 5 + 7 = 16

ed e semplice forse il riconoscimento puro e semplice della legge, ma si puofare di meglio: se si riporta nella riga sottostante il valore ottenuto, per lasomma dei primi termini, e se si indica sempre l’ultimo addendo con 2i + 1,come suggerisce l’espressione iniziale, si ottiene:

n = 2 1 + (2 · 1 + 1) = 4n = 3 22 + (2 · 2 + 1) = 9n = 4 32 + (2 · 3 + 1) = (3 + 1)2.

All’inizio si possono avere dubbi: 4 = 22 puo essere 4 = 2 · 2, anzi lo e,ovviamente; il problema e quale scrittura sia piu suggestiva della direzionegiusta da prendere; qui diventa presto trasparente la formula del quadrato(n + 1)2 = n2 + 2n + 1.

Un ulteriore passo di conferma da

n = 5 42 + (2 · 4 + 1) = (4 + 1)5

e quello che si intravvede e lo schema del passo induttivo:

1 + 3 + + (2n− 1) + (2n + 1) =n2 + (2n + 1) = (n + 1)2.

L’uso dell’ipotesi induttiva 1 + 3 + . . . + (2n − 1) = n2 per sostituire1 + 3 + . . . + (2n− 1) con n2 in 1 + 3 + . . . + (2n− 1) + (2n + 1) corrispondenei calcoli precedenti ai successivi rimpiazzamenti di 1 + 3 con 4 = 22, di1 + 3 + 5 con 9 = 32, di 1 + 3 + 5 + 7 con 16 = 42.

La dimostrazione per induzione non e diversa dai calcoli che hanno fattointravvedere la risposta; sono gli stessi calcoli che si ripetono (non i risultatiparziali, o non solo quelli), e che passando alle variabili si trasformano nelpasso induttivo.

Per riuscire a vedere lo schema bisogna che si facciano sı i calcoli con inumeri piccoli, ma non guardando solo al risultato, bensı allo spiegamentodelle operazioni aritmetiche implicate; si ottiene il tal modo il collegamento

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o il passaggio dall’aritmetica all’algebra; l’algebra, rispetto all’aritmetica,non e altro che questa attenzione non al risultato numerico - che non puoesserci, in presenza delle variabili - ma alla struttura e all’organizzazionedelle operazioni da eseguire, e il loro trasporto alle variabili. L’importante elasciare indicate sempre le espressioni dei calcoli eseguiti.

12.4 Il ragionamento induttivo

L’induzione non e solo una tecnica di dimostrazione, ma una tecnica di ra-gionamento, che porta a trovare il risultato. Bisogna imparare a ragionare !!!per induzione.

Il ragionamento induttivo e il ragionamento che costruisce una situazionedinamica: s’immagina un insieme di n elementi e ci si chiede: cosa succedese se ne aggiunge un altro?

Consideriamo l’esempio del numero di sottoinsiemi di un insieme; se Uha 0 elementi, U = ∅, l’unico sottoinsieme di U e U , che quindi ha unsottoinsieme; se U = {a} ha un elemento, i suoi sottoinsiemi sono ∅ e {a} =U ; se U = {a, b} ha due elementi, i suoi sottoinsiemi sono ∅, {a}, {b}, {a, b}.

I conti empirici sono abbastanza complicati, da 2 in avanti; per esseresicuri di avere elencato tutti i sottoinsiemi, occorre in pratica fare il ragion-amento che presentiamo sotto, e che consiste nel considerare il passaggio daun insieme con n elementi ad uno con n + 1; il ragionamento si puo e si devefare prima di avere la risposta; questa puo essere lasciata indicata, comeincognita funzionale, con la scrittura f(n) per il numero di sottoinsiemi diun insieme con n elementi.

Il ragionamento necessario e il seguente: supponiamo che un insieme con nelementi abbia f(n) sottoinsiemi; se a un insieme U di n elementi si aggiungeun a 6∈ U , tra i sottoinsiemi di U ∪ {a} ci sono quelli che non contengono a,che sono quindi tutti i sottoinsiemi di U , e quelli che contengono a. Questituttavia si ottengono tutti da sottoinsiemi di U aggiungendo a a ciascunodi essi; o detto in altro modo, se a ciascuno di questi si sottrae a si otten-gono tutti i sottoinsiemi di U . Quindi anche i sottoinsiemi di U ∪ {a} delsecondo tipo sono tanti quanti i sottoinsiemi di U . In formule l’insieme deisottoinsiemi di U ∪ {a} e dato da

{X | X ⊆ U} ∪ {X ∪ {a} | X ⊆ U},

e la cardinalita di questo insieme e f(n) + f(n). Ne segue ovviamente che

194

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f(n + 1) = 2f(n).

Una funzione definita in questo modo, per cui il suo valore per un numeroqualsiasi si ottiene eseguendo operazioni note sul valore della funzione per ilnumero precedente, si dice che e definita ricorsivamente. Funzioni di questogenere si ottengono di solito quando si esegue un ragionemento induttivo.L’argomento delle funzioni definite ricorsivamente sara affrontato tra breve.

In alcuni casi casi, come l’attuale, da equazioni ricorsive come quella disopra, che definiscono implicitamente una funzione, si ricava un’espressioneesplicita.

Il ragionamento e di nuovo induttivo; tenendo conto anche della con-dizione di base, f(0) = 1, si ricavano i seguenti valori

n = 0 f(0) = 1n = 1 f(1) = 2n = 2 f(2) = 2 · f(1) = 2 · 2n = 3 f(3) = 2 · f(2) = 2 · 2 · 2 = 23

n = 4 f(4) = 2 · f(3) = 2 · 23 = 24

e quindi si puo non solo congetturare la risposta f(n) = 2n ma dimostrarla,con il passo induttivo

f(n + 1) = 2f(n) = 2 · 2n = 2n+1.

In alcuni casi di definizioni ricorsive l’espressione esplicita si ricava conparticolari manipolazioni algebriche. Ad esempio, se si vuole valutare lasomma della progressione geometrica di ragione 2:

1 + 2 + 22 + 23 + ... + 2n = f(n)

si puo osservare che

1 + 2 + 22 + 23 + ... + 2n = 1 + 2(1 + 2 + 22 + 23 + . . . + 2n−1)

trovando la relazione ricorsiva

f(n) = 1 + 2f(n− 1);

ma se il primo membro si scrive f(n− 1) + 2n si ha

f(n− 1) + 2n = 1 + 2f(n− 1)

195

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e quindi

f(n− 1) = 2n − 1,

da cui

1 + 2 + 22 + 23 + ... + 2n = 2n+1 − 1,

caso particolare della somma della progressione geometrica di ragione r

1 + r + r2 + . . . + rn = rn+1−1r−1

.

12.5 Esercizi

Sono diversi i campi in cui l’induzione si rivela utile. Il piu ricco di appli-cazioni naturalmente e quello della

AritmeticaSi dimostri per induzione, e anche in altro modo se possibile:

1. 12

+ 12·3 + 1

3·4 + . . . + 1n(n+1)

= nn+1

2. 1 + 4 + 9 + . . . + n2 = n(n+1)(2n+1)6

3. 2 + 4 + . . . + 2n = ?

4. 2 + 6 + 12 + . . . + (n2 − n) = n3−n3

5. 2 + 2 · 3 + 3 · 4 + . . . + n(n + 1) = n(n+1)(n+2)3

6. n3 + 3n2 + 2n e divisibile per 6

7. n5 + 4n + 10 e divisibile per 5

8. n ≥ 3 → (n + 1)2 < 2n2

9. n > 0 → 2n | (n + 1)(n + 2) · · · (2n)

10. 1 + r + r2 + . . . + rn = rn+1−1r−1

.

11. Calcolare il posto del termine t

m︷︸︸︷′′ . . .′n nell’enumerazione dei termini vista

nell’esempio del paragrafo 8.2

196

Page 201: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Problemi divertenti

12. Ammettiamo di avere francobolli da 3 e da 5 centesimi. Far vedere chequalsiasi tassa postale maggiore di 7 puo essere pagata con bolli da 3e 5.

Suggerimento: prima si suppone che per n si sia usato almeno un bolloda 5; poi, se si sono usati solo bolli da 3, si osserva che n deve esserealmeno 9.

Alternativa: distinguere i tre casi: n = 3k, n = 3k + 1, n = 3k + 2.

13. Lo stesso con

bolli da 2 e 3, tutti gli n maggiori di 1,

bolli da 3 e 7, tutti quelli maggiori di 11,

bolli da 2 e da 2k + 1, tutti quelli maggiori di 2k − 1.

Esercizi di geometria

14. Quante rette passano per n punti (di cui mai tre allineati)?

Suggerimento: impostare un ragionamento induttivo “se si aggiungeun punto . . . ”.

15. Quante sono le diagonali di un poligono convesso di n lati?

16. Quante diagonali non intersecantesi occorrono per dividere un poligonoconvesso di n lati in triangoli disgiunti?

17. La somma degli angoli interni di un poligono convesso con n lati eπ(n− 2).

Argomenti di analisi

18. Se n intervalli su una retta sono a due a due non disgiunti, la lorointersezione non e vuota.

Suggerimento: anche se la base e n = 2, nella dimostrazione del passoinduttivo occorre (almeno nell’impostazione in mente a chi scrive) uti-lizzare il caso n = 3, che va dimostrato a parte, sfruttando proprieta diconnessione degli intervalli (se due punti appartengono a un intervallo,tutti i punti intermedi anche vi appartengono).

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Combinatoria

19. Quante sono le funzioni da un insieme con n elementi in un insieme conm elementi?

Suggerimento. Per induzione su n, con un ragionamento induttivo.Supposto di conoscere quante sono le funzioni da un insieme X con nelementi in un insieme Y con m elementi, si aggiunga a X un elementoa 6∈ X. Le funzioni di dominio X ∪ {a} si ottengono da quelle didominio X aggiungendo una coppia 〈a, y〉 con y ∈ Y .

20. Quanti sono i sottoinsiemi di un insieme con n elementi?

21. Quante sono le relazioni tra un insieme con m elementi e un insiemecon n elementi?

22. Quante sono le permutazioni di un insieme con n elementi?

23. In una festa, le buone maniere richiedono che ogni persona saluti con un“Buona sera” ogni altra persona, una sola volta; se ci sono n persone,quanti “Buona sera” sono pronunciati? E se ci si da la mano, quantestrette di mano occorrono?

24. Con quale degli esercizi precedenti si e gia risolto il problema 23?

Facciamo osservare che molti problemi in cui il passo induttivo, ses’imposta un ragionamento per induzione, consiste in un +n, come al-cuni di quelli di sopra, si possono risolvere anche direttamente con unconto del numero di eventi rilevanti, che porta non a caso a risultatiin forma di prodotto; e un’applicazione del cosiddetto principio fonda-mentale del conteggio che vedremo piu avanti.

Teoria degli algoritmi

25. La Torre di Hanoi. Ci sono tre aste verticali; all’inizio su di una sonoinfilzati n dischi con un buco nel centro, di raggio decrescente dal bassoverso l’alto. Bisogna spostare la pila in un’altra asta, muovendo undisco alla volta da una pila e infilzandolo in un’altra, servendosi anchedella terza asta come passaggio. La condizione e che in nessun momentosu nessuna pila ci sia un disco al di sotto del quale ce ne e uno di raggiominore.

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Dimostrare che lo spostamento e possibile, per induzione su n, risol-vendo prima n = 3, e calcolare quante mosse (ogni mossa e lo sposta-mento di un disco) sono necessarie.

Fondamenti

26. Dimostrare che la funzione successore N −→ N \ {0} e suriettiva, osopra N \ {0}.Osservazione. Questo equivale a dimostrare che ∀x(x = 0∨∃y(x = y′)).

12.6 Definizioni ricorsive

Supponiamo di conoscere due funzioni numeriche17 e consideriamo la seguentecoppia di equazioni: {

f(x1, 0) = g(x1)f(x1, x

′) = h(x1, f(x1, x)).

Per ogni m ed n il valore f(m, n) puo essere calcolato in modo effettivoattraverso la seguente successione di valori:

f(m, 0) = g(m)f(m, 1) = h(m, f(m, 0))f(m, 2) = h(m, f(m, 1))

e cosı via fino a f(m, n).Lo abbiamo gia visto in un paragrafo precedente a proposito della funzione

definita da {f(0) = 1f(n′) = 2f(n).

17Con “funzione numerica” intendiamo ora una funzione f : N −→ N, o f : N×N −→ N,o anche a piu argomenti.

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Qui abbiamo considerato il caso di una funzione a due argomenti, di cui unofunge da parametro.

Piu in generale, se sono date due funzioni: g(x1, . . . , xr) a r argomentie h(x1, . . . , xr, x, y) a r + 2 argomenti18, dove r puo essere 0, la coppia diequazioni {

f(x1, . . . , xr, 0) = g(x1, . . . , xr)f(x1, . . . , xr, x

′) = h(x1, . . . , xr, x, f(x1, . . . , xr, x))

definisce ricorsivamente f(x1, . . . , xr, x) a partire da g e h.Questa forma di ricorsione si chiama propriamente ricorsione primitiva,

ma noi non cosidereremo le forme piu generali di ricorsione19.In una ricorsione primitiva, il valore di f ( con valori fissati dei parametri)

per ogni numero x′ maggiore di 0 dipende, attraverso operazioni note, dalvalore di f per il predecessore x. x si chiama anche variabile di ricorsione.

E ovvia la differenza rispetto alle definizioni esplicite; l’equazione di ri-corsione f(x1, . . . , xr, x

′) = h(x1, . . . , xr, x, f(x1, . . . , xr, x)) non e del tipof(~x) = . . . 20 dove . . .non contiene f , come richiesto dalla definibilita es-plicita, al contrario la definizione appare circolare.

Un teorema generale, che dipende solo dalla struttura fondamentale diN, cioe dagli assiomi che abbiamo proposto, afferma tuttavia che questo tipodi definizione individua una e una sola funzione che soddisfa le equazioni diricorsione per tutti i possibili argomenti.

Dal precedente esempio, e chiaro come si possa ottenere ogni valore conun numero finito di passi.

L’unicita della funzione si dimostra nel seguente modo. Supponiamo chedue funzioni f1 ed f2 soddisfino entrambe le equazioni. Dimostriamo perinduzione su x che f1 e f2 hanno sempre lo stesso valore:

Base: f1(x1, . . . , xr, 0) = g(x1, . . . , xr) = f2(x1, . . . , xr, 0).

Passo induttivo: Se f1(x1, . . . , xr, x) = f2(x1, . . . , xr, x), allora

f1(x1, . . . , xr, x′) = h((x1, . . . , xr, x, f1(x1, . . . , xr, x))

= h((x1, . . . , xr, x, f2(x1, . . . , xr, x))= f2((x1, . . . , xr, x

′).2

18In verita, per considerare tutti i casi possibili, g ed h non devono avere necessariamentelo stesso numero di parametri, e h puo non dipendere da x.

19L’argomento rientra in un’introduzione alla teoria della calcolabilita.20~x sta per una n-upla di elementi, n imprecisato.

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Con ovvie modifiche si definiscono ricorsivamente funzioni il cui dominioe l’insieme dei numeri ≥ k, f : N \ {0, . . . , k − 1} −→ N, con equazioni deltipo {

f(k) = n0

f(x′) = h(x, f(x)) x ≥ k.

Con una semplice ricorsione primitiva si definisce l’addizione:

{x + 0 = xx + y′ = (x + y)′.

In queste equazioni + e il nuovo simbolo per la funzione da definire, a dueargomenti; x funge da parametro e y da variabile di ricorsione. Le funzionidate sono per la prima equazione la funzione identita x 7→ x e per la secondala funzione successore.

Si vede che, se con 1 si indica 0′, allora x + 1 = x + 0′ = (x + 0)′ = x′. !!!

Con l’addizione a disposizione si definisce ricorsivamente la moltiplicazionecome una iterazione dell’addizione con le equazioni:{

x · 0 = 0x · y′ = x · y + x.

In modo analogo si definiscono la potenza, come iterazione del prodotto,e altre operazioni aritmetiche. Ad esempio il fattoriale{

0! = 1x′! = x! · x′.

La definizione del prodotto permette di dimostrare che la cardinalita21

c(X × Y ) del prodotto cartesiano di due insiemi X e Y e c(X) · c(Y ).Siano X e Y due insiemi di cardinalita rispettivamente n ed m. Se a Y

si aggiunge un elemento a 6∈ Y , allora

X × (Y ∪ {a}) = (X × Y ) ∪ {〈x, a〉 | x ∈ X}.

Ma ovviamente c({〈x, a〉 | x ∈ X}) = c(X) = n, ed inoltre X × Y e {〈x, a〉 |x ∈ X} sono disgiunti; allora la cardinalita dell’unione e la somma dellecardinalita (vedi esercizio 1 di 12.6.1), per cui

21Il numero di elementi.

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c(X × (Y ∪ {a})) = n ·m + n = n · (m + 1). 2

A questo risultato si da addirittura il nome di Fundamental Counting Prin-ciple per la sua utilita in combinatoria, gia menzionata.

Quando una funzione e definita per ricorsione, la dimostrazione delle sueproprieta e svolta nel modo piu naturale per induzione. Ad esempio dimos-triamo la proprieta associativa dell’addizione:

(x + y) + z = x + (y + z),

per induzione su z.

Base: (x + y) + 0 = x + y = x + (y + 0).

Passo induttivo: Se (x + y) + z = (x + (y + z), allora

(x + y) + z′ = ((x + y) + z)′

= (x + (y + z))′

= x + (y + z)′

= x + (y + z′).2

Con la ricorsione non si definiscono solo funzioni numeriche, ma anchefunzioni non numeriche che dipendono da un parametro numerico. Ad esem-pio l’unione e l’intersezione generalizzata di n insiemi A1, . . . , An si possonodefinire con

⋃1i=1 Ai = A1⋃n+1i=1 Ai = (

⋃ni=1 Ai) ∪ An+1

e rispettivamente ⋂1

i=1 Ai = A1⋂n+1i=1 Ai = (

⋂ni=1 Ai) ∩ An+1.

Se gli insiemi sono dati come A0, . . . , An l’unione si definisce come⋃0

i=0 Ai = A0⋃ni=0 Ai = (

⋃n−1i=0 Ai) ∪ An

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e analogamente per l’intersezione.

Se invece si vuole definire un’unione generalizzata su infiniti insiemi⋃i∈N Xi,

o ⋃∞i=0 Xi,

si ricorre come si e visto alla generalizzazione della definizione originaria:x ∈

⋃i∈N Xi se e solo se esiste un i ∈ N tale che x ∈ Xi.

Analogamente per l’intersezione.

In modo ricorsivo si definisce anche la somma generalizzata, o sommatoriada 1 a n (per la sommatoria da 0 a n si applicano agli indici le stesse modifichedi sopra per l’unione):

∑1i=1 ai = a1∑n+1i=1 ai = (

∑ni=1 ai) + an+1,

o piu in generale∑n

i=k ai, per n ≥ k ≥ 0, con∑k

i=k ai = ak∑n+1i=k ai = (

∑ni=k ai) + an+1.

La sommatoria infinita∑∞

i=0 ai rientra negll’argomento delle serie, studi-ate in Analisi.

Anche le relazioni possono essere definite per ricorsione, sostituendo bi-condizionali alle uguaglianze, ad esempio{

x < 0 ↔ x 6= xx < y′ ↔ x < y ∨ x = y,

o con un altro metodo che vedremo in seguito e che utilizza anche nellanotazione la definizione di relazione come insieme di coppie ordinate.

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La ricorsione primitiva puo essere combinata con altre forme di definizione,come la definizione per casi, o essere usata per definire simultaneamente duefunzioni.

Un esempio e la seguente definizione di quoziente e resto per la divisionedi m per n, con m ≥ n > 0 (n e fissato, la ricorsione e su m).

qm+1 =

{qm se rm < n− 1qm + 1 se rm = n− 1

rm+1 =

{rm + 1 se rm < n− 10 se rm = n− 1

(qm e un’altra notazione per q(m); si dovrebbe scrivere q(m,n) o qm,n, manon e il caso di appesantire la notazione).

Come base della ricorsione si pone, per m = n, qn = 1 e rn = 0. Sidimostra (esercizio) per induzione su m, con base m = n, che

m = nqm + rm con 0 ≤ rm < n,

ottenendo quindi il teorema fondamentale della divisione

∃q∃r(m = nq + r ∧ 0 ≤ r < n).

Alcune forme frequenti di ricorsione non hanno apparentemente il formatodella ricorsione primitiva; ad esempio la successione22 dei numeri di Fibonaccie definita in modo che, a parte i primi due, arbitrari, ogni elemento dipendedai due immediati predecessori23:

a0 = 1a1 = 1an+2 = an + an+1.

Tali forme di ricorsione sono di fatto riconducibili alla ricorsione primitiva,e le proprieta di una successione come quella di Fibonacci possono esseremeglio dimostrate con un’induzione appropriata, come vedremo, oltre checon quella normale.

22Una successione a0, a1, . . . di elementi di un insieme U non e altro che una funzioneN −→ U tale che n 7→ an, e si indica {an | n ∈ N} o brevemente {an}.

23Horstmann, p. 273 e p. 646.

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12.6.1 Esercizi

1. Dimostrare per induzione che se due insiemi finiti X e Y sono disgiunti,c(X ∪ Y ) = c(X) + c(Y ).

Suggerimento: l’induzione e su c(Y ), ma occorre dimostrare a parte ilcaso in cui c(Y ) = 1, cioe che se a X si aggiunge un elemento a 6∈ Xallora c(X ∪ {a}) = c(X) + 1 (e questo e l’unico momento della di-mostrazione in cui interviene la condizione che gli insiemi siano dis-giunti). La dimostrazione richiede il teorema 12.7.1, ne e un immediatocorollario.

2. Dimostrare la proprieta distributiva x·(y+z) = x·y+x·z per induzionesu z.

3. Dimostrare per induzione la proprieta associativa della moltiplicazione.

4. Definire ricorsivamente mn (vedi esercizio 19 di 12.5) e dimostraremp+q = mp ·mq.

5. Dimostrare per induzione che n > 3 → n2 < n!.

6. Dimostrare per induzione che n > ? → n3 < n!.

7. Dimostrare per induzione che n > ? → 2n < n!.

8. Dimostrare per induzione che x ∈⋃n

i=1 Ai se e solo se x appartiene adalmeno uno degli Ai (l’unione generalizzata era stata introdotta propriocon questa definizione, che ora va dimenticata a favore di quella ricor-siva; oppure si veda l’esercizio come una dimostrazione dell’equivalenzadelle due definizioni).

9. Dimostrare per induzione che x ∈⋂n

i=1 Ai se e solo se x appartiene atutti gli Ai.

10. Dimostrare che∑n

i=1 m = m · n, dove∑n

i=1 m significa∑n

i=1 ai contutti gli ai = m.

11. Trovare e dimostrare per induzione la formula per la somma dei primitermini della progressione aritmetica di ragione k:

∑ni=0(a + ik).

Suggerimento: le somme, gia considerate, dei primi n numeri, dei primin pari e dei primi n dispari sono casi di somme di progressioni arit-metiche, le piu semplici, di ragione 1 e 2 a partire da a = 0 o a = 1.

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12. Definire ricorsivamente il prodotto generalizzato∏n

i=1 ai e dimostrareche se gli ai sono numeri interi allora

∏ni=1 ai = 1 se e solo se ai = 1

per ogni i = 1, . . . , n.

13. Dimostrare per induzione che se ai ≥ 0 per ogni i = 1, . . . , n, allora∑ni=1 ai ≥ 0.

14. Dimostrare per induzione che∑n

i=1 a2i = 0 se e solo se ai = 0 per ogni

i = 1, . . . , n.

15. Dimostrare che∑n

i=1 ai =∑k

i=1 ai +∑n

i=k+1 ai per ogni 1 ≤ k < n.

16. Data la definizione ricorsiva di < del testo, dimostrare che x < y eequivalente a ∃z 6= 0(x + z = y).

17. Definire ricorsivamente ≤ e dimostrare che x ≤ y ↔ ∃z(x + z = y).

18. Dimostrare che per la successione di Fibonacci, per ogni n > 0∑ni=0 ai = an+2 − 1.

12.7 Il principio del minimo

Abbiamo detto che un insieme X e infinito se esiste una iniezione di X suun sottinsieme proprio di se stesso. Il motivo per cui questa proprieta, che sichiama anche riflessivita di X, e stata assunta come definizione di “infinito”e che essa e intuitivamente falsa per gli insiemi finiti.

La sua negazione e una caratteristica positiva degli insiemi finiti, che eutile nelle dimostrazioni che li riguardano, e in combinatoria24 e nota comeil principio dei cassetti (in inglese Pigeonhole Principle):

se si distribuiscono m oggetti in n cassetti, con m > n, in almeno uncassetto c’e piu di un oggetto.

In altre parole, non esiste una iniezione di un insieme con m elementi inun insieme con n < m elementi, o ancora: ogni funzione da un insieme conm elementi in un insieme con n < m elementi non e iniettiva.

24La combinatoria e proprio lo studio degli insiemi finiti.

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In una sistemazione rigorosa dei concetti di finito ed infinito, una voltascelta la riflessivita come definizione fondamentale di “infinito”, ed aver for-mulato gli assiomi per N, il principio dei cassetti diventa dimostrabile.

Consideriamo come tipici insiemi finiti gli insiemi Nn = {0, 1, . . . , n− 1},con N0 = ∅. Un insieme si dice finito se esiste una biiezione tra di esso e unNn.

Abbiamo allora

Teorema 12.7.1 Se m > n, non esiste una iniezione di Nm in Nn.

Dimostrazione La dimostrazione e per induzione su n. Si noti che la formuladi induzione questa volta non e atomica, ma inizia a sua volta con un ∀.

Base: N0 e ∅ e non esiste nessuna funzione da un insieme non vuotonell’insieme vuoto25.

Passo induttivo: Supponiamo vero per n che per ogni m > n non esistaun’iniezione di Nm in Nn; supponiamo per assurdo che esista invece unm > n + 1 con un’iniezione di Nm in Nn+1, chiamiamola g.

Siccome Nn+1 = Nn ∪ {n}, deve essere n = g(i) per qualche i < m,altrimenti g sarebbe una iniezione di Nm in Nn.

Se i = m− 1 eliminiamo la coppia 〈m− 1, n〉; altrimenti prima scam-biamo tra di loro i valori attribuiti da g a i e a m − 1, ed elimini-amo m − 1 col suo nuovo valore n; consideriamo cioe g1 cosı definita:g1(i) = g(m − 1), e g1(j) = g(j) per ogni altro j < m − 1, j 6= i.g1 risulta un’iniezione di Nm−1 in Nn, con m − 1 > n, contro l’ipotesiinduttiva. 2

La caratteristica del “finito” di non essere iniettabile propriamente in sestesso e collegata a proprieta intuitive, come il fatto che in qualunque modosi conti un insieme finito si arriva sempre allo stesso numero. Se esistesse unainiezione g di Nm in Nn, con m > n, e se contando gli elementi di un insiemesi fosse arrivati a m− 1, usando tutto Nm, si potrebbe contarli assegnando aogni oggetto il numero i < n tale che g(j) = i dove j e il numero attribuito

25Poiche X×∅ = ∅ esiste solo una relazione tra X e ∅, la relazione vuota - ∅ e un insiemedi coppie ordinate (e di ogni altra cosa) perche e vero che per ogni x, se x ∈ ∅ x e unacoppia - ma il dominio di ∅ e ∅, non X.

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all’oggetto nel precedente conteggio, e si arriverebbe a contare al massimosolo fino a n− 1.

Nonostante “finito” e “infinito” siano l’uno la negazione dell’altro, ci sonomolte analogie strutturali tra N e gli insiemi Nn. Sono insiemi totalmenteordinati e per di piu bene ordinati.

La proprieta di buon ordine per N si esprime con il principio del minimo:

∅ 6= X ⊆ N → ∃x(x ∈ X ∧ ∀y ∈ X(x ≤ y))

o equivalentemente:

∅ 6= X ⊆ N → ∃x(x ∈ X ∧ ∀y < x(y 6∈ X)).

Il principio del minimo giustifica l’induzione: se l’induzione fallisse per qualcheproprieta A(x), allora si avrebbe A(0) e ∀x(A(x) → A(x′)) ma ∃x¬A(x) equindi ¬A(c) per qualche c. Ora c 6= 0 e quindi ha un predecessore c1 taleche c′1 = c. Deve essere ¬A(c1) perche A(c1) → A(c). A sua volta c1 6= 0deve avere un predecessore c2 tale che c′2 = c1 e per cui ¬A(c2), percheA(c2) → A(c1), e cosı via. Allora l’insieme {. . . , c2, c1, c}

t t t tttt s s s s r q q qq q q r r s0 c

non avrebbe un minimo. 2

Dal principio del minimo si ricava anche un’altro principio di induzione.Se A(x) e una qualunque formula aritmetica, considerando come X il suoinsieme di verita {x ∈ N | A(x)} se ne deduce un analogo principio delminimo per formule, vale a dire che

∃xA(x) → ∃x(A(x) ∧ ∀y < x¬A(y)).

Poiche questo vale per ogni formula, possiamo considerare una formula cheinizi con una negazione, che scriveremo ¬A, e abbiamo

∃x¬A(x) → ∃x(¬A(x) ∧ ∀y < xA(y)).

Di qui, contrapponendo

¬∃x(¬A(x) ∧ ∀y < xA(y)) → ¬∃x¬A(x),

ovvero

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∀x¬(¬A(x) ∧ ∀y < xA(y)) → ∀xA(x),

e infine

∀x(∀y < xA(y) → A(x)) → ∀xA(x)26.

La validita di questo schema giustifica un’altra forma di dimostrazione perinduzione, che si chiama induzione forte, o induzione completa o piu corret-tamente induzione sul decorso dei valori .

Per dimostrare ∀xA(x) e sufficiente dimostrare che ∀x(∀y < xA(y) →A(x)), ovvero, a parole, che per ogni x la validita di A(x) segue dal fatto cheA valga per tutti gli y < x:

∀x(∀y < xA(y) → A(x)) Passo induttivo

∀xA(x).

∀y < xA(y) si puo considerare l’ipotesi induttiva, nel passo induttivo, e nonc’e piu bisogno della base.

Questo non significa che lo 0 sia trascurato; il fatto e che se si dimostrail passo induttivo nella sua generalita, cioe per ogni x, la dimostrazione valeanche per 0, per particolarizzazione, e quindi ∀y < 0A(y) → A(0). Oratuttavia ∀y < 0A(y) e sempre vero, essendo ∀y(y < 0 → A(y)), ed essendol’implicazione soddisfatta da ogni y per l’antecedente falso y < 0. Quindi sie dimostrato (qualcosa che implica) A(0).

Bisogna fare attenzione che la dimostrazione del passo induttivo non sta- !!!bilisca la validita di ∀y < xA(y) → A(x) solo per x da un certo punto inpoi, ad esempio diverso da 0, eventualita che si puo presentare, e allora iprimi casi restanti vanno trattati e dimostrati a parte. Ma non e la basedell’induzione, e una distinzione di casi all’interno del passo induttivo (siveda il terzo esempio sotto).

Se interessa dimostrare ∀x > kA(x) naturalmente e sufficiente dimostrarecome passo induttivo ∀x > k(∀y(k < y < x → A(y)) → A(x)). La giustifi-cazione consiste nel fatto che N \Nk+1 (la catena che si ottiene cominciandoda k + 1 invece che da 0) e anch’esso bene ordinato e anche per esso vale ilprincipio del minimo.

Oppure formalmente si consideri la formula B(x) ↔ (x > k → A(x)); simostri che dal passo induttivo per A

26Si faccia attenzione che qui e nel seguito ∀y < xA(y) sta per (∀y < xA(y)).

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∀x > k(∀y(k < y < x → A(y)) → A(x))

segue

∀x(∀y < xB(y) → B(x))

e quindi si applichi l’induzione forte a B per concludere da questo ∀xB(x),vale a dire ∀x> kA(x).

Nei dettagli: da ∀x > k(∀y(k < y < x → A(y)) → A(x)), per impor-tazione delle premesse, portando all’interno x > k,

∀x(∀y(k < y < x → A(y)) → (x > k → A(x))),

che si puo riscrivere, utilizzando di nuovo l’importazione delle premesse,

∀x(∀y(y < x → (y > k → A(y))) → (x > k → A(x))),

cioe proprio

∀x(∀y < xB(y) → B(x)).2

Esempio Il teorema che ogni numero naturale > 1 ammette una scompo-sizione in fattori primi27 si dimostra per induzione forte nel seguente modo:dato un numero n, o n e primo, oppure e il prodotto di due numeri minoridi n e maggiori di 1. Se la proprieta vale per tutti i numeri minori di n emaggiori di 1, per ipotesi induttiva, questi due o sono primi o ammettonouna scomposizione in fattori primi, e allora anche il loro prodotto n ammetteuna scomposizione in fattori primi. 2

Esempio Nella dimostrazione del passo induttivo per

1− 12

+ 13

+ . . . + (−1)n−1 1n

> 0

si erano distinti due casi, a seconda che n fosse pari o dispari. Con l’induzioneforte la distinzione rimane ma non porta a due dimostrazioni diverse. Si puoragionare nel seguente modo: se la disuguaglianza vale per ogni m < n allorase n e pari vale

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−2

> 0

27La formulazione concisa significa che ogni numero > 1 o e primo o e un prodotto dinumeri primi. Vale anche l’unicita della scomposizione, che non dimostriamo.

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e quindi

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−2

+ ( 1n−1

− 1n) > 0

perche ( 1n−1

− 1n) > 0, mentre se n e dispari

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−1

> 0

e quindi

1− 12

+ 13

+ . . .− 1n−1

+ 1n

> 0. 2

Esempio Consideriamo di nuovo il problema di pagare qualsiasi tassapostale maggiore di 7 con francobolli da 3 e da 5 centesimi. La dimostrazionee gia stata fatta per induzione, ma si puo fare in modo piu rapido conl’induzione forte.

Dato un numero qualunque n > 7, ammesso che la possibilita di affrancarecon bolli da 3 e 5 valga per tutti i numeri minori di n e maggiori di 7, siconsideri n− 3. Questa cifra puo essere realizzata con bolli da 3 e 5, per cuibasta aggiungere un bollo da 3.

Tuttavia il ragionamento funziona per gli n tali che n − 3 sia maggioredi 7, quindi non per 8, 9, 10. Quindi il passo induttivo come svolto sopranon copre tutti i numeri, e questi tre casi devono essere trattati a parte percompletare il passo induttivo. 2

Come si vede dal confronto, rispetto alle dimostrazioni per induzionenormale con l’induzione forte si riduce la parte prettamente aritmetica. Talepossibilita e forse la ragione della attribuzione di “forte” a questo tipo diinduzione.

Da un punto di vista logico, la giustificazione dell’appellativo “forte” eche la stessa conclusione ∀xA(x) si ottiene nell’induzione forte da un’ipotesi∀x(∀y<xA(y) → A(x)) piu debole di A(0)∧∀x(A(x) → A(x+1)). Questa ul-tima affermazione sulla forza delle rispettive ipotesi a sua volta si giustifica colfatto che una stessa conclusione A(x) si ottiene una volta con un’assunzioneforte come ∀y < xA(y) e una volta con l’assunzione piu debole che A valgasolo per il predecessore.

Si tratta tuttavia di impressioni psicologiche. Il motivo per cui la dizione“forte” non e del tutto appropriata e che l’induzione forte e equivalente aquella normale.

La conclusione ∀xA(x) a partire da ∀x(∀y <xA(y) → A(x)) si puo gius-tificare infatti formalmente nel seguente modo. Si considera la formula

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B(x) ↔ ∀y <xA(y)

e si dimostra ∀xB(x) (da cui segue ovviamente ∀xA(x)) per induzione su x,utilizzando anche ∀x(∀y < xA(y) → A(x)) nel corso della dimostrazione:

Base: B(0) e immediato perche y < 0 e falso.

Passo induttivo: Ammesso B(x), cioe ∀y <xA(y), da questa segue A(x), equindi ∀y < x′A(y) che e B(x′). 2

Viceversa l’induzione normale si giustifica in base a quella forte in questomodo. Supponiamo A(0) ∧ ∀x(A(x) → A(x′)); per ottenere ∀xA(x), in baseall’induzione forte e sufficiente dimostrare ∀x(∀y < xA(y) → A(x)).

Distinguiamo due casi; un numero o e 0, e allora abbiamo A(0) e quindi∀y < 0A(y) → A(0), oppure se e diverso da 0 e un successore e possiamoindicarlo x′, e dobbiamo dimostrare ∀y < x′A(y) → A(x′).

Ma ∀y <x′A(y) implica A(x), e con ∀x(A(x) → A(x′)) anche A(x′). 228

Il principio del minimo e anche equivalente all’affermazione che non es-istono catene discendenti infinite; se una successione {an} fosse tale che. . . < an+1 < an < . . . < a0, l’insieme {an | n ∈ N } non avrebbe min-imo. Viceversa, dato un insieme non vuoto X, preso un suo elemento a0,se non e il minimo di X si puo trovare un altro suo elemento a1 < a0, e seneanche a1 e il minimo si continua, ma siccome la successione cosı generatanon puo essere infinita, si trova un ak che e il minimo di X. 2

Al principio del minimo si da ancora un’altra formulazione nota comeprincipio della discesa finita. Esso afferma che se una proprieta P vale perun k > 0, e quando vale per un n > 0 qualunque allora vale anche per unnumero minore di n, allora P vale per 0.

Infatti in queste ipotesi, in cui l’insieme degli n che soddisfa P non evuoto, il minimo deve essere 0, perche un n > 0, non sarebbe il minimo, inquanto anche qualche numero minore soddisferebbe P .

Viceversa, ammesso il principio della discesa finita, e dato un insieme Xnon vuoto, consideriamo la proprieta P di appartenere a X. O la proprietaP vale per 0, e 0 e allora ovviamente il minimo di X, oppure 0 non ha la

28La dimostrazione formale dell’equivalenza tra induzione e induzione forte si trasportaalla dimostrazione dell’equivalenza tra il fatto che N sia bene ordinato e il fatto che N siail piu piccolo insieme che contiene 0 ed e chiuso rispetto al successore.

212

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proprieta P . In questo caso, non e vero per P che per ogni n che ha laproprieta P anche uno minore ha la proprieta P . Quindi esiste un n chesoddisfa P ma tale che nessun suo predecessore soddisfa P , ed n e il minimodi X. 2

Un’ovvia variante e che se una proprieta P vale per un h > k e quandovale per un n qualunque > k allora vale anche per un numero < n e ≥ k,allora P vale per k.

Il principio della discesa finita e alla base delle dimostrazioni di termi-nazione degli algoritmi, quando ad un algoritmo si associa una proprieta P !!!che decresce ad ogni esecuzione di un passo dell’algoritmo. Un esempio e ladimostrazione di terminazione per l’algoritmo di costruzione degli alberi direfutazione proposizionali, nel Lemma 7.2.1.

Il principio del minimo fornisce un comodo e utile metodo di definizionedi funzioni: a ogni x (o a piu elementi se si tratta di funzione a piu argomenti)si associa il minimo y tale che A(x, y), ammesso di sapere che esistono degliy tali che A(x, y), dove A(x, y) e una formula.

La definizione di minimo comune multiplo di due numeri e un esempioovvio del ricorso a tale possibilita, che e molto frequente in aritmetica, e si puocombinare con la ricorsione per definire funzioni effettivamente calcolabili.

Ad esempio si definisce per ricorsione la successione dei numeri primi{pn | n ∈ N } ponendo innanzi tutto p0 = 2, quindi osservando che se e notopn allora esiste (teorema di Euclide) un numero primo maggiore di pn, e unoche dalla dimostrazione dell’infinita dei primi si sa che e minore o uguale a2 · 3 · 4 · . . . · pn + 1.

Si definisce allora pn+1 come il minimo numero primo maggiore di pn.La definizione e corretta in base solo al principio del minimo, ma l’esistenzadi un confine superiore la rende anche effettivamente calcolabile in modoelementare (eseguendo una ricerca limitata a priori).

A ricorsione primitiva e operatore di minimo corrispondono nei linguaggidi programmazione strutturata i costrutti repeat (for i = 0 to n) e while. . . do.

12.8 Varianti dell’induzione

Tra l’induzione normale e quella forte esistono varianti intermedie, in cui perogni x la validita di A(x) e dimostrata a partire da quella di A per alcuni

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specificati predecessori. Ad esempio

A(0) BaseA(1) Base∀x(A(x) ∧ A(x′) → A(x′′)) Passo induttivo

∀xA(x).

Questa forma di induzione si giustifica, come quella forte, con l’induzionenormale, considerando la formula

B(x) ↔ A(x) ∧ A(x′)

e dimostrando ∀xB(x) (da cui ovviamente ∀xA(x)) per induzione, utilizzandole assunzioni relative ad A:

Base: B(0) segue da A(0) e A(1).

Passo induttivo: Ammesso B(x), quindi A(x) ∧ A(x′), dal passo induttivoper A si deduce A(x′′), quindi A(x′) ∧ A(x′′), cioe B(x′). 2

Varianti di questo genere corrispondono ad analoghe varianti della ricor-sione primitiva, e permettono di dimostrare le proprieta della funzioni cosıdefinite. Ad esempio la forma di induzione di sopra e quella adatta a di-mostrare proprieta della successione di Fibonacci29

0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, . . .

Esempio Mostriamo un legame inaspettato dei numeri di Fibonacci connumeri irrazionali, in particolare con la sezione aurea.

Indicate con

α = 12(1 +

√5) e β = 1

2(1−

√5)

le radici dell’equazione x2 − x− 1 = 0, o

x2 = x + 1,

dove α e la cosiddetta sezione aurea, si ha

29Nella precedente definizione si era posto a0 = a1 = 1; con questa, altrettanto usata,si premette uno 0 e gli altri valori sono solo slittati di un posto.

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an = 1√5(αn − βn).

Dimostrazione

Base: Per n = 0 la formula si riduce a a0 = 0 e per n = 1 a a1 = 1.

Passo induttivo: Poiche

an = an−1 + an−2

per ipotesi induttiva si ha

an = 1√5(αn−1 − βn−1 + αn−2 − βn−2)

quindi

an = 1√5(αn−2(α + 1)− βn−2(β + 1)).

Ma α + 1 = α2 e β + 1 = β2, per cui

an = 1√5(αn − βn). 2

L’induzione doppia e un’altra variante dell’induzione.Quando la formula da dimostrare e del tipo ∀x∀yB(x, y), se si esegue

un’induzione su x la formula di induzione e ∀yB(x, y) e nel passo induttivo,quando si deve derivare

∀yB(x, y) Ipotesi induttiva...∀yB(x′, y)

puo darsi che ∀yB(x′, y) richieda di essere derivata a sua volta per induzione(anche con l’utilizzo di ∀yB(x, y) che e l’ipotesi induttiva dell’induzione sux).

Si parla allora di induzione doppia, anche se si tratta di due appli-cazioni di un’induzione normale, solo che una e all’interno del passo induttivodell’altra; bisogna fare attenzione a indicare con pulizia le varie tappe della

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dimostrazione, perche nel passo induttivo dell’induzione su y si avra a dis-posizione l’ipotesi induttiva relativa all’induzione su y e l’ipotesi induttivarelativa all’induzione piu esterna su x.

Non e facile trovare esempi elementari in cui il ricorso all’induzione doppiae proprio necessario30. Diamo un esempio per mostrare come si organizzanoi passi della dimostrazione, scegliendo la commutativita dell’addizione, an-che se per questa proprieta l’induzione doppia si potrebbe evitare (e dopomostreremo come).

Dimostriamo quindi

∀x∀y(x + y = y + x),

e iniziamo con un’induzione su x.

Basex: Dobbiamo dimostrare

∀y(0 + y = y + 0).

ovvero

∀y(0 + y = y).

e lo dimostriamo per induzione su y:

Basey : 0 + 0 = 0.

Passo induttivoy: Ammesso 0 + y = y, si ha

0 + y′ = (0 + y)′

= y′.

Passo induttivox: Assumiamo, come ipotesi induttivax, che ∀y(x+y = y+x)e dimostriamo

∀y(x′ + y = y + x′)

per induzione su y.

30Nel primo teorema del paragrafo 14.7 abbiamo visto un esempio in cui la formulad’induzione era universale ma non ha richiesto l’induzione doppia.

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Page 221: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Basey: Da dimostrare e

x′ + 0 = 0 + x′.

Ma

0 + x′ = (0 + x)′

= (x + 0)′

(il precedente passaggio per l’ipotesi induttivax particolarizzando∀y a 0)

= x′

= x′ + 0 .

Passo induttivoy: Assumiamo l’ipotesi induttivay che x′ + y = y + x′

e dimostriamo x′ + y′ = y′ + x′.

x′ + y′ = (x′ + y)′

= (y + x′)′

= (y + x)′′

dove si e usata l’ipotesi induttivay.

D’altra parte

y′ + x′ = (y′ + x)′

= (x + y′)′

= (x + y)′′

= (y + x)′′

dove si e usata prima l’ipotesi induttivax particolarizzando ∀y ay′, e infine di nuovo l’ipotesi induttivax particolarizzando ∀y a y.

Naturalmente si sono anche usate le equazioni della definizionericorsiva dell’addizione, in particolare la seconda.

Quindi il passo induttivoy e dimostrato 2

e con la sua conclusione ∀y(x′ + y = y + x′) anche il passo induttivox.2

Vediamo ora come si dimostra piu facilmente ∀x∀y(x + y = y + x). Oc-corrono piu applicazioni dell’induzione, ma nessuna induzione doppia.

217

Page 222: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Abbiamo gia dimostrato per induzione la proprieta associativa della somma,e che ∀x(x + 0 = 0 + x), nel corso della precedente dimostrazione.

Dimostriamo ora per induzione su x che ∀x(x+1 = 1+x). Si ricordi chein base alla definizione di addizione x′ = x + 1.

Base: 0 + 1 = (0 + 0′) = (0 + 0)′ = 0′ = 1 = 1 + 0.

Passo induttivo: Ammesso x + 1 = 1 + x,

1 + x′ = (1 + x)′

= (x + 1)′

= (x + 1) + 1= x′ + 1.2

Ora infine, usando questi risultati, dimostriamo per un x generico che

∀y(x + y = y + x)

per induzione su y:

Base: x + 0 = 0 + x.

Passo induttivo: Ammesso x + y = y + x, abbiamo

x + y′ = (x + y)′ = (y + x)′

= (y + x) + 1= y + (x + 1)= y + (1 + x)= (y + 1) + x= y′ + x.2

12.9 Errori e paradossi

Alcuni errori delle dimostrazioni, come il dimenticare la base, sono stati giasegnalati. Altri possono essere piu difficili da scoprire, e alcuni portano adivertenti paradossi.

Si consideri il seguente

Teorema 12.9.1 Tutte le mele hanno lo stesso colore.

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Dimostrazione Basta dimostrare che, comunque si prendano n mele, questehanno tutte lo stesso colore. Se prendiamo una mela, tutte le mele nell’insiemehanno lo stesso colore. Sia dato un insieme di n + 1 mele. Se togliamo unamela a, otteniamo un insieme di n mele che per ipotesi induttiva hanno lostesso colore. Ma se rimettiamo a nel mucchio e ne togliamo un’altra b, ab-biamo un altro insieme di n mele che devono avere tutte lo stesso colore;quindi b ha il colore di mele che hanno lo stesso colore di a, quindi a ha lostesso colore delle altre. 2

Mentre nella precedente dimostrazione e presente un vero errore, diverso eil caso di ragionamenti come i seguenti, che lo studente e invitato a discutere.Sul primo non sarebbero d’accordo i sollevatori di pesi.

Teorema 12.9.2 Chiunque e in grado di sollevare un mucchio di sabbia pe-sante quanto si vuole.

Dimostrazione Dato un granello di sabbia, chiunque e in grado di soll-evarlo. Se una persona e in grado si sollevare un mucchio di sabbia, e almucchio si aggiunge un granello, la stessa persona e in grado di sollevare ilnuovo mucchio. Qualunque mucchio di sabbia, di qualsiasi peso, si ottieneaccumulando un numero sufficiente di granelli di sabbia. 2

Sul prossimo sarebbero d’accordo i matematici, e non si puo dire che siaun errore, ne un paradosso, sembra solo paradossale.

Teorema 12.9.3 Ogni numero e interessante.

Dimostrazione Iniziamo con un’induzione empirica. 0 e interessante, al puntoche si continuano a scrivere libri su di esso, rappresenta il vuoto, il nulla. . . 1 e molto interessante, genera tutti gli altri. 2 e il primo numero pari, erappresenta tutte le dicotomie che danno origine alla vita, la divisione nellacoppia, maschio e femmina, il bene e il male . . . , 3 e la trinita, il primonumero primo dispari, somma dei suoi predecessori . . . , 4 e il primo numerocomposto, ci sono i quattro cavalieri dell’Apocalisse . . . , 5 in effetti nonsembra avere nessuna caratteristica unica; beh, questo e interessante di 5,che e il primo numero non interessante . . .

Si vede ora come svolgere la dimostrazione, nella forma del principio delminimo: l’insieme dei numeri non interessanti e vuoto, perche se no avrebbeun primo elemento, e questo sarebbe interessante, come primo numero noninteressante. 2

Non sembra invece accettabile

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Teorema 12.9.4 Ogni numero e piccolo.

Dimostrazione 0 e piccolo, e se n e piccolo anche n + 1 e piccolo. 2

Una dimostrazione per induzione forte che contiene evidentemente unerrore e la seguente, secondo cui le derivate di una qualunque potenza xn

sarebbero tutte nulle, cosı come Dx0 = 0, la derivata di una costante:

Per la regola del prodotto, e usando l’ipotesi induttiva che la derivata dixi sia identicamente 0 per ogni i < n + 1,

Dxn+1 = (Dx1) · xn + x · (Dxn) = 0 · xn + x · 0 = 0.

12.10 Definizioni induttive

Le definizioni induttive sono quelle che si appoggiano ai numeri naturali,ma si riferiscono ad altri enti; definiscono funzioni con dominio N ma valoridiversi dai numeri, in generale insiemi, relazioni. La formulazione piu gen-erale quindi si da in termini insiemistici; una tipica definizione induttiva sipresenta nella forma seguente.

Dato un insieme B e una funzione F che manda insiemi in insiemi, sipone {

I0 = BIn+1 = F (In),

oppure, nella forma cumulativa, che garantisce che In ⊆ In+1 per ogni n,{I0 = BIn+1 = In ∪ F (In).

Quindi si pone

I =⋃{In | n ∈ N}

o

I =⋃∞

i=0{In}

e si dice che I e definito induttivamente, o per induzione, mediante F , conbase B.

I puo risultare un insieme qualunque, dipende da B e F , puo anche essereun insieme di coppie, o un insieme di altre strutture.

220

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F anche e una funzione qualunque, ma in generale si prende crescente,rispetto all’inclusione, nel senso che se X ⊆ Y allora F (X) ⊆ F (Y ), econtinua, rispetto all’unione, nel senso che “F della unione uguale unionedegli F”:

F (⋃{Xj | j ∈ J }) =

⋃{F (Xj) | j ∈ J }.

Si puo sempre fare in modo che la funzione sia crescente utilizzando F ′(X) =X ∪ F (X) invece della data F .

Se F e continua, e F (∅) = B, la definizione cumulativa si puo ancheesprimere con la sola

In = F (⋃

i<n Ii)

avendo posto

⋃i<n Xi =

⋃n−1

i=0 Xi se n > 0

∅ se n = 0.

EsempiL’insieme dei polinomi in x a coefficienti reali si puo definire con{

P0 = RPn+1 = {x · p + c | p ∈ Pn, c ∈ R}

e

P =⋃{Pn | n ∈ N }.

(Esercizio: Esaminare quali siano gli elementi di P1 e P2.)

Come si vede dall’esempio, la base B non e necessariamente un insiemefinito. La funzione F in questo caso e

F (X) = {x · p + c | p ∈ X, c ∈ R},che si vede facilmente essere crescente e continua, come sara anche negliesempi successivi.

L’insieme dei termini T costruiti con 0, 1, x, + e · si puo definire con{T0 = {0, 1, x}Tn+1 = Tn ∪ {t1 + t2 | t1, t2 ∈ Tn} ∪ {t1 · t2 | t1, t2 ∈ Tn}

e

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T =⋃{Tn | n ∈ N }.

L’insieme I definito induttivamente mediante F , con base B, e caratter-izzato dalla seguente proprieta:

I e il piu piccolo insieme che contiene B ed e chiuso rispetto a F , !!!

dove si dice che un insieme X e chiuso rispetto a F se per ogni Y se Y ⊆ Xallora F (Y ) ⊆ X; con “piu piccolo” s’intende che se J e un insieme checontiene B ed e chiuso rispetto a F allora I ⊆ J .

I due tipi di definizione si dicono anche definizione dal basso (quella in-duttiva con l’unione) e dall’alto, per intersezione.

Un modo di esprimere in simboli il fatto che un insieme X e il piu pic-colo insieme che ha una certa proprieta P e infatti quello di dire che X el’intersezione (generalizzata) di tutti gli Y tali che P (Y ), quando l’intersezioneha ancora la proprieta P . !!!

Questo succede ad esempio se la proprieta P consiste, come nel casoattuale, nel contenere un dato insieme o nell’essere chiusi rispetto a unafunzione. Non e sempre cosı, ad esempio nel campo reale l’intersezione di tuttigli intervalli che contengono propriamente l’intervallo (−1, 1) e l’intervallochiuso [−1, 1] (estremi inclusi), che ha ancora la stessa proprieta; invecel’intersezione di tutti gli intervalli aperti (−x, x) e l’insieme {0}, che non eun intervallo aperto31.

Facciamo vedere che le due definizioni di I sono equivalenti, se si usal’induzione cumulativa ed F e crescente e continua, e a questo scopo chiami-amo J l’insieme definito dall’alto:

J =⋂{X | B ⊆ X ∧ ∀Y (Y ⊆ X → F (Y ) ⊆ X)}.

Dobbiamo dimostrare che I = J .Per I ⊆ J basta far vedere che per ogni n In ⊆ J , cioe che se X e tale che

B ⊆ X ∧ ∀Y (Y ⊆ X → F (Y ) ⊆ X) allora In ⊆ X. Lo si verifica facilmenteper induzione (esercizio). Ne segue che I ⊆ J per la proprieta di minimalitadell’unione.

31Con intervallo aperto (−x, x) intendiamo {y | −x < y < x}.

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Page 227: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

Per J ⊆ I basta far vedere che I e uno degli insiemi di cui J e l’intersezione,quindi che B ⊆ I e I e chiuso rispetto a F . B ⊆ I e ovvio.

E sufficiente controllare la proprieta di chiusura per sottoinsiemi finitidi I. Infatti ogni Y ⊆ I, ogni Y in verita, e l’unione dei suoi sottoinsiemifiniti, Y =

⋃{Z ⊆ Y | Z finito}, e se F e continua F (Y ) =

⋃{F (Z) | Z ⊆

Y e Z finito}.Ora se Z ⊆ I e Z e finito, allora Z ⊆ In per qualche n32, e F (Z) ⊆

F (In) ⊆ In+1, quindi F (Z) ⊆ I. 2

Questo e il motivo per cui si sceglie la forma cumulativa dell’induzioneanche quando non sarebbe necessario; in tal modo si garantiscono le proprietarichieste dalla dimostrazione, e le supporremo sempre verificate anche se lapresentazione della definizione induttiva non lo mostra esplicitamente.

Di solito infatti la funzione F e precisata da una serie di operazioni dacompiere sugli elementi dell’insieme In per ottenere In+1 e allora per ognioperazione si ha una clausola induttiva separata.

La definizione del precedente insieme di termini T si presenta nel seguentemodo:

Base: 0, 1, x sono terminiClausola induttiva 1: Se t1 e t2 sono termini, anche t1 + t2 e un termine.Clausola induttiva 2: Se t1 e t2 sono termini, anche t1 · t2 e un termine.

Qualche volta si aggiunge, ma piu spesso si trascura, una

Clausola di chiusura: Null’altro e un termine.

Per dare una definizione induttiva di un insieme I in sostanza, prima sidice esplicitamente che certi elementi appartengono a I; quindi si afferma chese certi elementi, di una determinata forma, appartengono a I, anche altri,di altra forma collegata, appartengono a I.

La clausola di chiusura e da intendersi nel senso che non solo I contiene glielementi della base ed e chiuso rispetto alle operazioni indicate dalle clausoleinduttive, ma e il piu piccolo insieme del genere. Quindi e uguale all’insieme⋃{In | n ∈ N } e qualcosa e in I se e soltanto se e in un In, cioe lo e in

base all’applicazione iterata un numero finito di volte delle clausole di basee induttive.

32Perche Ir ⊆ Ir+1: allora ogni elemento di Z e in qualche Ir, e tutti sono quindi nelmassimo di questi.

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Page 228: G. Lolli - Corso Di Logica Matematica

EsempiLa definizione delle proposizioni P aveva la forma induttiva

Base: Una proposizione atomica e una proposizione.

Clausola induttiva 1: Se A e una proposizione, anche (¬A) lo e.

Clausola induttiva 2: Se • e un connettivo binario, e se A e B sono propo-sizioni, anche (A •B) lo e.

Si tratta di una definizione per induzione cumulativa: quando (A • B) einserito in In+1, A e B non sono necessariamente entrambe in In, ma in unoqualsiasi dei livelli precedenti.

Definiamo l’insieme A degli alberi binari finiti (qui brevemente “alberi”),intesi come insiemi finiti con un ordine parziale:

Base: Un singoletto {•} e un albero, che e radice, in quanto non ha prede-cessori immediati, ed e foglia in quanto non ha successori immediati (ofigli).

Clausola induttiva: Dato un albero, se ad alcune sue foglie si aggiungonouno o due successori immediati si ha un albero.

Vediamo come sono formati alcuni primi livelli di A.La base A0 contiene solo l’albero

mentre A1 contiene

• • •↓ ↙↘• • •

e A2 oltre a quelli di A1

224

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• • •↓ ↓ ↙↘• • • •↓ ↙↘ ↓• • • •

• • •↙↘ ↙↘ ↙↘• • • • • •

↓ ↙↘ ↓ ↙↘• • • • • •

• • •↙↘ ↙↘ ↙↘• • • • • •

↙↘ ↙↘ ↓ ↙↘ ↙↘• • • • • • • • •

Infine mostriamo come si definisce una relazione, come insieme di coppie,anche se spesso per le relazioni si adottano equivalenze di tipo ricorsivo, comeabbiamo visto per <. Proprio la relazione < si puo definire con{

I0 = {〈x, x′〉 | x ∈ N }In+1 = In ∪ {〈x, y′〉 | 〈x, y〉 ∈ In },

e I = <, che mostra come < sia l’iterazione della relazione “successore” (chee la base I0).

La definizione ricorsiva che abbiamo visto in precedenza, da cui segue

x < y ↔ ∃z 6= 0(x + z = y),

mostra anch’essa come < sia l’iterazione del successore, dal momento chel’addizione e l’iterazione del successore; quest’ultima equivalenza peraltro epiuttosto la definizione di una formula, che a sua volta definisce la relazione,che non la definizione della relazione come insieme.

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Un altro modo di presentare la relazione < e quello di definirla come lachiusura transitiva della relazione successore S = {〈x, x′〉 | x ∈ N }.

La chiusura transitiva di una relazione S e la piu piccola relazione cheestende S ed e transitiva; se scriviamo

Trans(R) per ∀x, y, z(〈x, y〉 ∈ R ∧ 〈y, z〉 ∈ R → 〈x, z〉 ∈ R),

e TC(S) per “chiusura transitiva di S” allora

TC(S) =⋂{R | S ⊆ R e Trans(R) }.

L’intersezione non e fatta sull’insieme vuoto, perche esiste sempre almenouna R soddisfacente le condizioni richieste, ad esempio la relazione totale.

Anche la chiusura transitiva di S ammette in generale una definizioneinduttiva dal basso (come quella vista sopra per <), data da{

I0 = SIn+1 = In ∪ {〈x, y〉 | ∃z(〈x, z〉 ∈ In ∧ 〈z, y〉 ∈ S)},

e TC(S) =⋃∞

i=0{In}.

EsempiLa relazione d’ordine parziale negli alberi e la chiusura transitiva della

relazione di successore immediato che e inclusa nella definizione ricorsivadegli alberi.

La relazione “B e una sottoproposizione di A” e la chiusura transitivadella relazione “B e una sottoproposizione immediata di A” della definizionedel paragrafo 3.2.1.

Quando un insieme I e definito induttivamente, per dimostrare che ognielemento di I ha una proprieta P si puo usare l’induzione.

Ad ogni elemento x ∈ I e associato un numero, il piu piccolo n tale chex ∈ In. Chiamiamo altezza di x questo numero33.

33Nella definizione delle proposizioni del paragrafo 3.2.1 le proposizioni atomiche avevanoaltezza 1, mentre nella terminologia attuale hanno altezza 0; lo stesso per gli alberi, secondola definizione del paragrafo 3.2.2 l’albero • aveva altezza 1, mentre ora ha altezza 0; nonci sarebbe alcuna difficolta ad adattare la notazione delle definizioni induttive in mododa ristabilire l’accordo, usando N \ {0} o N \ Nk invece di N.Tuttavia nella trattazionegenerale delle definizioni induttive, non c’e motivo per non usare tutti i numeri, incluso 0.La precedente definizione di altezza di un albero si giustificava intuitivamente in base allanozione di lunghezza dei rami.

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Esempio L’altezza di un polinomio rispetto alla definizione induttiva diP e il grado del polinomio.

Un’induzione sull’altezza di x e un’induzione su n, che tuttavia prende in !!!esame non solo tutti i numeri naturali, ma tutti gli elementi di tutti i livelli In

della gerarchia in cui e strutturato I. Essa si presenta nella seguente forma:

Base: Ogni elemento di altezza 0, cioe ogni elemento di I0, ha la proprietaP .

Passo induttivo: Ammesso che ogni elemento di altezza n abbia la proprietaP , si dimostra che ogni elemento di altezza n + 1 ha la proprieta P .

Gli elementi di altezza n sono gli elementi di In \⋃n−1

i=0 Ii. Se si vuole chel’ipotesi induttiva riguardi tutto In occorre utilizzare l’induzione forte:

Passo induttivo: Ammesso che ogni elemento di altezza minore di n abbia laproprieta P , si dimostra che ogni elemento di altezza n ha la proprietaP .

Esempio Dimostriamo che :

Ogni proposizione ha un numero pari di parentesi.

Dimostrazione Per induzione forte. Supponiamo che tutte le proposizioni dialtezza minore di n abbiano un numero pari di parentesi. Indichiamo con ]Ail numero di parentesi di A.

Sia A una proposizione di altezza n. Se n = 0, la proposizione e atomica,della forma (p), e ha due parentesi.

Se n > 0, A e una proposizione composta, e il fatto cruciale e che le suecomponenti hanno altezza minore di quella di A. Si danno due casi.

Se A e (¬B), per ipotesi induttiva ]B e un numero pari e ]A = ]B + 2 eanch’esso pari.

Se A e (B •C) composta con un connettivo binario, per ipotesi induttiva]B e ]C sono pari e ]A = ]B + ]C + 2 e anch’esso pari. 2

Insieme alle dimostrazioni induttive, anche le definizioni ricorsive si esten-dono agli insiemi definiti induttivamente. L’estensione di un’interpretazionei a una valutazione i∗ del linguaggio proposizionale (paragrafo 3.3) e una !!!definizione ricorsiva sull’altezza delle proposizioni.

Altre volte si usano misure di complessita diverse dall’altezza. Per poterfare dimostrazioni induttive per tutti gli elementi di un insieme X, quello che

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importa e che X si possa rappresentare come⋃∞

i=k Xi, indipendentemente dacome e stato originariamente definito.

Esempio L’algoritmo di trasformazione di una proposizione in forma nor-male congiuntiva (o disgiuntiva) del paragrafo 6.3 presentava una ricorsionesulla lunghezza delle proposizioni. L’esecuzione delle operazioni sintatticheda compiere su una proposizione era riportata, attraverso l’applicazione delleleggi distributive, a proposizioni di lunghezza minore: da A∨B ≡ (C∧D)∨Bvia (C ∨B)∧ (D∨B) a C ∨B e D∨B. Data una forma normale congiuntivaper queste ultime, si ha una forma normale congiuntiva anche per A ∨B.

Si noti che C ∨ B e D ∨ B potrebbero avere invece la stessa altezza diA ∨B, se prevale l’altezza di B.

La misura di complessita associata in modo naturale alla definizione delleproposizioni e l’altezza dell’albero di parsing , ma vale anche

P =⋃∞

i=3 Li

dove Li e l’insieme delle proposizioni che hanno (come liste) lunghezza i(alcuni Li sono vuoti, vedi esercizi), o la gerarchia cumulativa

P =⋃∞

i=3 L≤i

dove L≤i e l’insieme delle proposizioni che hanno lunghezza ≤ i.

12.10.1 Esercizi

1. Dimostrare per induzione doppia che per ogni m esiste un punto f(m)tale che ∀n(n > f(m) → nm < n!).

2. Dimostrare per induzione:

(a) Ogni proposizione contiene almeno una parentesi.

(b) Ogni proposizione inizia con una parentesi sinistra e termina conuna parentesi destra.

(c) In ogni proposizione il numero di parentesi sinistre e uguale alnumero di parentesi destre.

(d) Se si considera una sottosequenza iniziale propria di una propo-sizione, in essa il numero di parentesi sinistre e maggiore di quellodelle parentesi destre.

Questo risultato e quello che giustifica il fatto che il contatore di !!!parentesi torna a zero solo alla fine di una formula.

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(e) Ogni proposizione ha lunghezza (come lista) maggiore o uguale a3.

(f) In nessuna proposizione occorrono due connettivi consecutivi.

(g) In ogni proposizione non atomica occorre almeno un connettivo.

(h) In nessuna proposizione occorre la sottosequenza “()”, ne “)p”.

(i) In ogni proposizione la sua lunghezza e maggiore della sua altezza.

3. Se Li e l’insieme delle proposizioni di lunghezza i, trovare quali sonogli i che sono lunghezze di proposizioni (per cui cioe Li 6= ∅).

4. Dimostrare per induzione sul numero di lettere che il numero delleinterpretazioni delle proposizioni A[p1, . . . , pn] e 2n.

5. Determinare e dimostrare quanti sono gli alberi di altezza n.

6. Determinare e dimostrare quante sono, al massimo, le foglie e i rami diun albero di altezza n.

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