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JESUS DOSSIER 1 L’organismo pastorale, fortemente voluto da Paolo VI e che trova nello spirito conciliare le sue radici, compie quarant’anni. Memoria, fedeltà e profezia hanno caratterizzato la sua storia. Che guarda al futuro con rinnovato impegno. a cura di ANNACHIARA VALLE G. GIULIANI/CATHOLIC PRESS PHOTO/PERIODICI SAN PAOLO P. FERRARI/STUDIO FN/PERIODICI SAN PAOLO G. GIULIANI/CATHOLIC PRESS PHOTO/PERIODICI SAN PAOLO Caritas: 40 anni sulla frontiera J Novembre 2011 NOVEMBRE 2011 - 41

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JESUS DOSSIER

1

L’organismopastorale,

fortementevoluto da Paolo VI

e che trovanello spirito

conciliarele sue radici,

compie quarant’anni.Memoria, fedeltàe profezia hanno

caratterizzato la suastoria. Che guarda

al futuro conrinnovato impegno.

a cura di ANNACHIARA VALLE

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P. FERRARI/STUDIO FN/PERIODICI SAN PAOLO

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Caritas: 40 annisulla frontiera

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Il filo rosso dellacarità

DOSSIER

Ad Ascoli Piceno, lo scorso otto-bre, hanno inaugurato il super-mercato “Madonna delle Gra-zie” dove le persone grave-mente disagiate possono fare

la spesa gratis. A Roma è arrivato alla XIXedizione il corso base di medicina delle mi-grazioni, per formare gli operatori sanitarisulle patologie e sulla salute di chi viene daPaesi lontani. A Torino è stato rilanciato, fi-no al prossimo 31 dicembre, il progetto“1.936,27 buoni motivi per combattere lapovertà”, cioè una raccolta di vecchie lireche si possono ancora consegnare negli uffi-ci della Caritas che provvederà a convertir-le in valuta corrente in favore degli indigen-ti. A Bergamo si sono “inventati” un ufficio

di giustizia riparativa per aiutare a risolvere,con l’aiuto di esperti e mediatori, i conflittitra amici, colleghi, compagni di scuola, adul-ti e ragazzi, vittime e autori di reato. A Mila-no è stato aperto un poliambulatorio eco-nomicamente sostenibile che offre presta-zioni rapide e di qualità a prezzi accessibiliper il ceto medio colpito dalla crisi. AdAvezzano il “Centro San Martino” allestiscemercatini dove poter acquistare vestiti aprezzi modici, così che le persone in difficol-tà possano mantenere la dignità del com-prare, seppure a basso costo, piuttosto chedover mendicare. A Brescia si è attivato ilfondo “Briciole lucenti”, che in pochi mesiha raccolto oltre 140 mila euro, per aiutarele famiglie in difficoltà. A Siracusa si è appe-

A quarant’annidalla sua nascita,l’impegno dellaCaritas italiana non èmutato. Anzi,oggi più che mai,continua a esserenecessaria la suafunzione pedagogicaanche attraversole opere. Per farcrescere, nell’amore,tutta la comunitàecclesiale. L’ascoltodegli ultimi infatti èstato il banco diprova di una Chiesaautenticamenteevangelica.

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na concluso il concorso fotografico “In unaterra ospitale, educhiamo all’accoglienza”.Da Lampedusa fino a Bolzano, è un susse-guirsi di iniziative, progetti, attenzioni al terri-torio e alle persone che vi abitano. Un filorosso che unisce Nord e Sud. E che fa dellacarità lo strumento per far crescere tutta lacomunità ecclesiale.

Come ebbe a dire don Luigi Di Lie-gro nella sua ultima omelia pubblica – era ilsettembre 1997 – pronunciata in occasionedel decennale dell’ambulatorio Caritas invia Marsala, a Roma, «il rinnovamento dellaChiesa passa attraverso la riscoperta corag-giosa della povertà evangelica che non puòrimanere riservata ad alcuni, ma deve esse-re uno stato di vita di ogni cristiano, della co-munità nella sua globalità». Qualche annoprima, nel 1993, aveva scritto: «Se la comu-nità ecclesiale ha una missione, questa consi-ste nell’identificare quei calvari che ci sono

nei nostri territori parrocchiali, dove Cristocontinua a salire da solo senza che ci sianodei cirenei che l’aiutino a portare la croce».

Non assistenza, ma giustizia, si è sem-pre detto. Un camminare insieme,un portare gli uni i pesi degli altri. Pa-

role che non sempre sono state capite econdivise. Anche in qualche contesto eccle-siale. Eppure in questi anni la Caritas ha con-tinuato a esserci, a operare, ad animare ilterritorio. Si è radicata, ha posto solide basinelle diocesi e nelle parrocchie. E anche neimomenti in cui è sembrato che avesse me-no visibilità a livello nazionale, in realtà, dallabase, ha continuato a operare sulle frontie-re più difficili, continuando a praticare quel-la carità che «tende a liberare le personedal bisogno e quindi a renderle protagoni-ste della propria vita».

Lo ha fatto anche dotandosi di stru-menti per capire la realtà. La solidarietà nonpuò essere improvvisata: lo sanno bene glioperatori che tutti i giorni devono confron-tarsi con i volti e le voci di chi è nel disagio enella necessità. La carità, è stato ribadito apiù riprese nel corso di questi primi qua-rant’anni di vita dell’organismo ecclesiale,non può nascere da un’emozione del cuoreo da un sentimento estemporaneo. C’è bi-sogno di preparazione e studio. Già PaoloVI aveva indicato alla Caritas questa direzio-ne. E la Caritas ne ha fatto tesoro. Ne sonoprova le tante pubblicazioni, frutto di appro-fondimento, di studio, di analisi.

Innanzitutto il Dossier immigrazione,pubblicato per la prima volta nel 1991 conl’obiettivo di capire meglio, partendo dai da-ti statistici e dai numeri, il fenomeno che an-dava emergendo, è oggi diventato un pun-to di riferimento per lo stesso Ministerodell’interno. «In Italia», riassume Franco Pit-tau, che è il coordinatore della ricerca con-dotta insieme con Migrantes, «l’immigrazio-ne è arrivata a 5 milioni di presenze regolarie incide per il 7,5 per cento della popolazio-ne. Nelle nostre ricerche abbiamo constata-to che, di pari passo, è cresciuto l’atteggia-mento di chiusura nei confronti degli immi-grati, sia da parte dei vertici politici sia daparte della base, complice da ultimo anche

In queste foto, dall’alto:centro di accoglienza

per immigrati aCastellaneta Mare;

distribuzione divestiario alla Caritas diNovara; un momento

dell’iniziativa di giustiziariparativa alla Caritas

di Bergamo. Nella fotogrande: riunione

dei volontari accorsiin Abruzzo dopo

il terremoto del 2009.

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la crisi economica e occupazionale». Una cri-si da cui si può uscire solo insieme, come re-cita anche lo slogan di copertina dell’ultimoDossier presentato lo scorso 27 ottobre.Dati alla mano, però, le Caritas sparse sul ter-ritorio nazionale cercano di far capire «aquanti sono portati a ritenere gli immigratiun male supplementare per l’Italia che l’av-versione nei loro confronti non solo si disco-sta dalla dottrina sociale della Chiesa cattoli-ca, ma va anche contro gli interessi del Pae-se». Non sono tesi “buoniste”. All’analisi e al-le parole seguono – o a volte persino vengo-no prima – i fatti. Sul versante immigrazione

spicca l’attivazione di un luogo permanentedi dialogo tra le Caritas del Mediterraneo, alfine di rafforzarne le pratiche di collaborazio-ne. Un processo condiviso con Caritas Euro-pa e Caritas Internationalis, che ha portato,nel giugno dello scorso anno, a Trapani, allanascita di MigraMed Forum. Senza contare ilsostegno concreto ai profughi giunti a più ri-prese a Lampedusa e poi “smistati” nel re-sto d’Italia, quasi sempre in alloggi o casemesse a disposizione dalle Caritas locali.

Inumeri dell’impegno delle 220 Caritasdiocesane sparse in tutta Italia diconoche il 97 per cento di loro hanno attiva-

to un centro di ascolto, che l’87 per centoha allestito un Osservatorio delle povertà el’89 il Laboratorio Caritas parrocchiali. An-tenne, orecchie e cuori sul territorio, checontribuiscono al funzionamento di oltre 14mila servizi socio-sanitari della Chiesa.Un’opera importante, soprattutto in questotempo di crisi nel quale, come è stato dettolo scorso ottobre presentando il Rapportoannuale sulla povertà, «un lavoro non è piùgaranzia di benessere economico». Il Rap-porto, che la Caritas italiana cura ogni annoinsieme con la Fondazione Zancan, registrache negli ultimi quattro anni i centri di ascol-to hanno censito ben il 13,8 per cento in piùdi nuovi poveri. Percentuale che al Sud è unrecord e che arriva al 74 per cento. Il volu-me, che quest’anno è stato intitolato Poveri

DOSSIER

Sogno di Paolo VI, frutto del Concilio

ARCHIVIO CARITAS ITALIANA

Quando, nel 1971, nasce ufficialmentela Caritas italiana, la discussioneconciliare sulla Chiesa dei poveri, che

Paolo VI (nella foto con monsignor Gio-vanni Nervo) aveva ripreso nel ’67 nellaPopulorum progressio, trova immediata-mente la sua concretizzazione. Il grido deipoveri a cui il Papa tende l’orecchio è lostesso del quale la Chiesa italiana si facarico. E il tema della povertà, mai disgiun-to da quello della pace, diventa fondamen-tale nella vita della comunità ecclesiale. «Lacarità è sempre necessaria, come stimolo ecompletamento della giustizia stessa», diràPaolo VI il 28 settembre 1972 ai delegatidelle Caritas diocesane, convenuti a Romaper il loro primo convegno nazionale. «Delresto», li esorta il Papa, «una crescita delPopolo di Dio nello spirito del Concilio Vati-cano II non è concepibile senza una mag-gior presa di coscienza da parte di tutta lacomunità cristiana delle proprie responsabi-lità nei confronti dei bisogni dei suoi mem-bri. La carità resterà sempre per la Chiesail banco di prova della sua credibilità nelmondo: “Da questo riconosceranno tuttiche siete dei miei”». Il sogno di Montini diuna Chiesa che trova nei poveri e con ipoveri il senso della sua missione muove isuoi primi passi e la Caritas si presentacome «l’unico strumento ufficialmente

riconosciuto a disposizione dell’episcopatoitaliano per promuovere, coordinare epotenziare l’attività assistenziale nell’ambi-to della comunità ecclesiale italiana». Aessa il Papa dà un mandato chiaro: «Lavostra azione non può esaurire i suoi compi-ti nella pura distribuzione di aiuto ai fratellibisognosi. Al di sopra di questo aspettopuramente materiale, deve emergere lasua prevalente funzione pedagogica, il suoaspetto spirituale che non si misura concifre e bilanci, ma con la capacità che essaha di sensibilizzare le Chiese locali e i singo-li fedeli al senso e al dovere della carità». �

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di diritti, sottolinea che, a pagare maggior-mente le conseguenze di questa situazionesono soprattutto i giovani (59,6 per cento inpiù di richieste d’aiuto) e le famiglie (circa il20 per cento in più). Particolarmente vulne-rabili si confermano gli stranieri, che rappre-sentano il 70 per cento delle persone che sirivolgono ai centri. Le mense stanno erogan-do oltre 16.500 pasti al giorno e sono statiattivati progetti di microcredito socio-assi-stenziale in 133 diverse diocesi italiane.

Solo per restare ai numeri, la Caritasitaliana ha realizzato in 56 Paesi decine diprogetti e 297 microprogetti, mentre 140sono state le iniziative condotte da un centi-naio di Caritas in Italia nell’ambito della cam-pagna Zero Poverty, in occasione del 2010Anno europeo di lotta alla povertà. Ma die-tro ai numeri le Caritas non hanno mai di-menticato, in questi quarant’anni, che ci so-no persone che si aspettano ascolto e pro-mozione. Per questo, senza mai dismetteregli interventi spiccioli, le mense, i dormitori,i servizi di ogni genere, le Caritas hannosempre cercato di interpellare e stimolarele istituzioni, di programmare a lunga sca-denza e di intercettare, grazie proprio alleloro antenne, i problemi prima ancora chediventassero emergenze. Lo hanno fattocon l’immigrazione, promuovendo, già nel

1986 a Roma il convegno “Immigrati terzo-mondiali: dal rifiuto all’accoglienza”. Lo han-no fatto premendo, come si ricorda in que-ste pagine, prima perché fosse riconosciutal’obiezione di coscienza e poi perché il servi-zio civile fosse gestito correttamente da par-te del Ministero della difesa.

Econ una preveggenza assoluta ri-spetto a quanto stiamo vedendo inquesti ultimi anni, nel 1974 la Cari-

tas italiana si era già allertatata sul tema delMezzogiorno e della “Comunione tra leChiese locali”. Sempre pronta, come fecefin dall’inizio, a correre sul nostro territorioe a guardare anche fuori dai confini d’Italia.Dal terremoto del Friuli del 1976 – che fe-ce nascere anche i gemellaggi tra le diocesie i centri della comunità in quasi tutti i co-muni colpiti dal sisma – fino ai giorni nostri,la Caritas italiana è sempre stata all’erta sul-le emergenze. Non a caso, anche in occa-sione dell’ultimo terremoto dell’Abruzzo, iprimi soccorsi hanno potuto contare suquest’esercito di giovani e meno giovaniche subito si è attivato. Senza dimenticare,nel tempo, chi era rimasto nelle difficoltà. Ecosì, tra centri di comunità, edilizia socialee scuole, la Caritas ha realizzato 25 struttu-re, investendo oltre 17 milioni di euro. Ri-

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La mensa alla stazioneTermini della Caritasdiocesana di Roma.

Sotto: don VittorioNozza nel campo

allestito per il terremotoin Abruzzo.

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sposte adeguate al territorio e a chi lo abita.Come quelle che le Caritas calabresi stannoelaborando per arginare il fenomeno dellacriminalità organizzata. «La ’ndrangheta», di-cono, «è una piaga della società calabreseche produce false, disoneste e illusorie ric-chezze per pochi; reali e spesso drammati-che povertà per molti». Per questo non puòlasciare indifferente chi ogni giorno vede glieffetti di questa piaga sulla popolazione.

Torna qui l’importanza dell’educare,dell’impegno pedagogico senza ilquale le opere resterebbero mon-

che. Campo d’azione, tutto ciò che riguar-da l’essere umano, la sua storia, le sue debo-lezze. Tra i primi a occuparsi di zingari e dibaraccopoli, a entrare nelle carceri con i vo-lontari e le volontarie, a capire quale trappo-la potesse essere il gioco d’azzardo, a stimo-lare l’istituzione di fondazioni antiusura, adaccudire barboni e senza fissa dimora, ad al-zare la voce contro il commercio delle ar-mi, a battersi per la tutela ambientale, la Ca-ritas ha sempre cercato di tener fede al suomandato. Di rispondere adeguatamente aicompiti che la stessa Conferenza episcopa-le le ha assegnato approvandone lo Statu-to. Che all’articolo 3 dice esplicitamente: «Icompiti della Caritas italiana sono i seguen-ti: collaborare con i vescovi nel promuove-re nelle Chiese particolari l’animazione delsenso della carità verso le persone e le co-

Nell’anno del suo quarantesimo anniver-sario, la Caritas ricorda anche don

Luigi Di Liegro (nella foto sotto), direttoree anima, per oltre vent’anni, della Caritasdiocesana di Roma. Morto il 12 ottobre del1997, di lui restano indelebili le battagliecontro la povertà, l’emarginazione e l’indif-ferenza. Ricordiamo anche la nascita, conlui, dei primi centri di ascolto, degli ambula-tori, degli ostelli, delle mense per i senzafissa dimora. «La nostra azione», ricordavadon Luigi, «è caratterizzata anche dallapressione nei confronti della politica, chediventa se necessario denuncia dei ritardi edelle inadempienze: solidarietà concreta,quindi, intesa come giustizia, lavoro per ilbene comune». E aggiungeva perciò che «èd’obbligo prendere coscienza di quello cheavviene, del dolore, delle povertà e delleprecarietà dell’esistenza. Mobilitare tuttele energie che vogliono ridare speranza».

Parole ancora attualissime, che han-no lasciato alla comunità cristiana un gran-de impegno in eredità: pensare e progetta-re la pastorale e la testimonianza dellacomunità ecclesiale come risposta al dono

di amore che Cristo ci offre ogni giorno.Dalla sua testimonianza nascono anchealcuni percorsi educativi. Innanzitutto lascelta delle relazioni, che impegna a ridise-gnare la pastorale della carità non soloattraverso la “conta” delle opere e deiservizi, ma attraverso luoghi, strumenti,occasioni di incontro e ascolto con le perso-ne, soprattutto quelle in situazione di fragili-tà. In secondo luogo l’uso dei beni: la cittàva arricchita di esperienze di servizio, vastimolata al consumo solidale e responsabi-le, al risparmio etico, a investimenti attentiagli aspetti sociali, alla cooperazione inter-nazionale e al rispetto del Creato. E, anco-ra, non si può dimenticare il ritorno allapartecipazione, alla corresponsabilità e allacittadinanza; l’interculturalità come sceltadi nuove strade di condivisione, con lecomunità impegnate a essere laboratori diincontro, confronto e scambio per un viverecomune che non voglia escludere nessuno.Infine, l’altra grande lezione di don Luigi: lapromozione di nuovi stili di vita come as-sunzione della “questione morale” e comerecupero della legalità. f.f.

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La solidarietà concreta di don Luigi

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munità in situazioni di difficoltà, e del dove-re di tradurlo in interventi concreti con ca-rattere promozionale e, ove possibile, pre-ventivo; curare il coordinamento delle inizia-tive e delle opere caritative e assistenziali diispirazione cristiana; indire, organizzare ecoordinare interventi di emergenza in casodi pubbliche calamità, che si verifichino siain Italia che all’estero; in collaborazione conaltri organismi di ispirazione cristiana realiz-zare studi e ricerche sui bisogni per aiutarea scoprirne le cause, per preparare piani diintervento sia curativo che preventivo (...) eper stimolare l’azione delle istituzioni civili euna adeguata legislazione».

Il percorso che porta le Caritas dioce-sane a incontrarsi a Fiuggi per il convegnocelebrativo dei quarant’anni, ha approfondi-to questi temi. Nei dieci appuntamenti pre-paratori che si sono susseguiti a partire daluglio, la Caritas italiana ha dispiegato la suastoria. Fatta di progetti e persone che daNord a Sud non hanno smesso di sentirsicristiani e di praticare la fede nell’unico mo-do possibile: amando. E ricordando ancheche si tratta di un amore esi-gente, che chiede condivi-sione. «Non si può amare adistanza, restando fuori dal-la mischia, senza sporcarsile mani, non si può amaresenza condividere», dicevasempre Di Liegro. Aggrap-pandosi a questi testimoni,continuando a sporcarsi lemani per e con i poveri, leCaritas diocesane e quellaitaliana continuano il lorocammino.

E scelgono, per ricor-dare questi primi quattrodecenni, tre parole chiave: memoria, fedeltàe profezia. Una memoria ricca, una fedeltàassoluta, una profezia che continua a soste-nerla e ad animarla. Con l’obiettivo – comedicono gli organizzatori degli eventi celebra-tivi che si concluderanno con l’udienza a Ro-ma dal Papa il 24 novembre – «di continua-re anche in futuro a scrivere nuove paginedi testimonianza della carità in contesti checambiano». Annachiara Valle

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In quarant’anni di vita, la Caritas italiana, come organismo pastorale conprevalente funzione pedagogica, ha cercato di operare in senso educativo,

affinché ogni gesto di carità, compiuto dal singolo e dalla comunità, avesseun’anima, uno stile, la capacità di trasmettere la bella notizia dell’amoregratuito di Dio per ogni persona, soprattutto per chi è in difficoltà. Pertanto,a fronte di qualsiasi situazione di sofferenza, più che il semplice “cosa” farela cura della Caritas ha riguardato il “come” fare.

Il volume Quarant’anni di Caritas (Edb, pp. 200, H 13), prendendoin considerazione l’attuale sfida educativa per tutta la pastorale, proponequanto la Caritas ha maturato in quarant’anni di lavoro in questo ambito.

Oggetto principale di attenzione del sussidio è infatti il metodoche la Caritas ha assunto in questi anni.

Queste pagine ripercorrono la storia e approfondiscono ipresupposti teologici e pastorali, l’identità, il ruolo e le funzioni, nelquadro della missione ampia di educare alla carità. La pubblicazio-ne si articola in tre parti. La prima è una riflessione sull’azionepastorale nel suo insieme, in vista di promuovere una pastoraleintegrata, in risposta all’odierna società complessa e in continuaevoluzione.

La seconda parte illustra il metodo assunto dalle Caritas,ma valido per tutta la pastorale, quello dell’ascoltare, osservare ediscernere per educare e animare, con i relativi strumenti, il Cen-tro di ascolto, l’Osservatorio delle povertà e delle risorse e il Labo-ratorio per la promozione delle Caritas parrocchiali.

L’ultima parte presenta l’esperienza di dieci Caritas diocesa-ne che hanno avviato e consolidato i tre strumenti pastorali. Ha lo

scopo di far conoscere buone prassi che possono essere assunte anche daaltri, considerando che la realtà delle Caritas diocesane è molto variegata,proprio in rispetto alle differenze che caratterizzano il nostro territorio.

Dunque un vademecum per la riflessione e per le attuazioni pratichenel quadro della missione ampia di educare alla carità, avendo per destinata-ri sia la comunità ecclesiale che la società civile, verso la quale la Chiesatutta ha «una missione di verità» da compiere per contribuire alla costruzio-ne di una «città dell’uomo» improntata sul diritto e la giustizia. Salvatore Ferdinandi

Quarant’anni vissuti sul confine

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Non c’è fedese non c’è la caritàDa un lato l’onda post-conciliare,

dall’altro quella lunga della nascitadella Repubblica, fondata su una

Costituzione sintesi delle migliori tradizionipolitico-culturali del tempo. È questo il cli-ma nel quale, il 2 luglio 1971, con decretodel cardinale Antonio Poma, presidente del-la Conferenza episcopale italiana, la Caritasitaliana comincia il proprio cammino.

Fino a quel momento in Italia opera-va un grande organismo assistenziale, laPoa (Pontificia opera di assistenza), eroga-tore di beni e di servizi alle diocesi, che di-pendeva dalla Santa Sede, con articolazionidiocesane (le Oda) che invece rispondeva-no ai vescovi. Era questo lo strumento delPapa per far arrivare ai poveri, attraverso leChiese diocesane, gli aiuti dei cattolici ame-ricani durante la guerra e durante il periododella ricostruzione. Gli aiuti consistevano in

ingenti quantità di generi alimentari, in ac-quisto e messa a disposizione di sedi, in for-mazione di assistenti sociali a servizio dellediocesi. Nel1970 Paolo VI sciolse la Poa equando, nel 1971, la Conferenza episcopa-le italiana istituì la Caritas italiana, l’organi-smo fu pensato come strumento post-con-ciliare di rinnovamento dell’impegno carita-tivo della comunità ecclesiale.

Uno strumento pastorale di animazio-ne di tutta la comunità all’esercizio della cari-tà, dunque. Questo identikit della Caritas ita-liana è stato espresso in modo molto effica-ce da Paolo VI nel primo convegno naziona-le delle Caritas diocesane nel settembre del1972: «Una crescita del popolo di Dio nellospirito del Concilio Vaticano II non è conce-pibile senza una maggior presa di coscienzada parte di tutta la comunità cristiana delleproprie responsabilità nei confronti dei biso-

A. MARI/OSSERVATORE ROMANO

Dall’elemosinaalla carità,dall’assistenzaalla giustizia.La Caritas italiananasce per educarea prestareattenzione ai fratellipiù poveri e debolie per aprire lacomunità ai bisognidi tutti. La caritàfa parte dell’identitàstessa del cristianoe nutre la sua fede.

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gni dei suoi membri». Tali principi si ritrova-no con uguale chiarezza all’interno dello Sta-tuto della Caritas italiana, in particolare all’ar-ticolo 1, che ne definisce la natura: «Caritasitaliana», si legge, «è l’organismo pastoralecostituito dalla Conferenza episcopale italia-na al fine di promuovere, anche in collabora-zione con altri organismi, la testimonianzadella carità della comunità ecclesiale italiana,in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vi-sta dello sviluppo integrale dell’uomo, dellagiustizia sociale e della pace, con particolareattenzione agli ultimi e con prevalente fun-zione pedagogica».

L’essenza della Caritas è proprio qui.Ma per far questo occorreva un cambia-mento radicale nella mentalità e nel costu-me delle Chiese in Italia. Un cambiamentodi sensibilità e visione ecclesiologica: la cari-tà è parte dell’identità del cristiano e dellacomunità, dunque non può essere delegata.Da qui la novità strutturale: la prevalentefunzione pedagogica, la qualificazione istitu-zionale, il compito del coordinamento. Pro-prio la prevalente funzione pedagogica, l’at-tenzione educativa è stata la stella polare

che ha orientato l’azione della Caritas inquesti quattro decenni e si è articolata a par-tire da due considerazioni.

La prima è l’inscindibile legame tra fe-de e carità quale forza umile che ha reso erenderà possibile continuare in questa dire-zione. La fede in Gesù Cristo, fonte e causaesemplare della carità cristiana: «Amatevicome io vi ho amato». Di qui l’attenzione aevidenziare le caratteristiche del suo amoreche sono quelle che reggono ogni indicazio-ne cristiana: un rapporto di persona, l’atten-zione privilegiata ai poveri, ai sofferenti edemarginati, l’invito alla responsabilità e alla li-bertà, l’alimentazione della comunità cristia-na e civile, e i nessi necessari fra carità e co-munione, carità e giustizia, carità e liberazio-ne, carità e politica, carità ed economia... Laseconda considerazioneriguarda la necessi-tà di un impegno costante nell’incarnare tut-to questo nelle situazioni storiche dei varitempi e contesti.

In questo sforzo, la storia della Caritasitaliana si intreccia e si fonde nella fittatrama delle Caritas diocesane, in primis

attraverso la «pedagogia dei fatti» che impe-gna le comunità a partire dai problemi, daifenomeni di povertà, dalle sofferenze dellepersone, dalle lacerazioni presenti sul terri-torio, per costruire insieme a loro rispostedi prossimità, di solidarietà e per allargare ilcostume della partecipazione e della corre-sponsabilità. Su questi binari si è sviluppatauna presenza dentro i normali cammini del-le Chiese locali. Molte le scelte significativeche in questi quarant’anni hanno aiutato leCaritas e le Chiese locali a cogliere il nessostretto tra carità, giustizia e pace: obiezionedi coscienza e servizio civile, Anno di volon-tariato sociale (Avs) – come palestra educa-tiva, che abbinava insieme l’educazione allapace e alla nonviolenza con il servizio ai po-veri –, sostegno al volontariato familiare, at-tenzione alle fasce più deboli, alle povertàvecchie e nuove, cammini di pastorale unita-ria, promozione e accompagnamento delleCaritas parrocchiali, formazione dei semina-risti e del clero, presenza nei mezzi di comu-nicazione di massa dei temi della povertà edella solidarietà, accentuazione del compi-

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I prefabbricati allestitidalla Caritas di NoceraUmbra per il terremoto.

Sopra: una bambinadavanti alle maceriedell’asilo interetnico

promosso dalla Caritasdi Roma e incendiatonel gennaio del 1991.Nelle due foto grandi:Giovanni Paolo II nel

1993 e Benedetto XVInel 2010 in visita

alla Caritas di Roma.

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to educativo e pedagogico, ricerca di unamolteplicità di scelte e stili di vita di solida-rietà nel quotidiano, impegno nella coope-razione con il Sud del mondo, attenzione aiconflitti, anche i più dimenticati, e alle causeche li generano, l’approccio globale al com-plesso fenomeno delle migrazioni, l’atten-zione alla globalizzazione.

Una presenza, dunque, che si è svi-luppata anche in termini dialettici, avolte fermento inquietante, e ha ini-

ziato ad articolarsi, in particolare, su tresentieri portanti: l’aiuto alle numeroseespressioni del volontariato, nate e svilup-patesi nel post-Concilio, a saldare insiemeil servizio di condivisione, l’impegno di ri-mozione delle cause della povertà e la pre-senza politica. Attenzioni, queste, divenutepresto patrimonio culturale di tutto il vo-lontariato organizzato. L’impegno a favori-re gemellaggi tra Chiese sorelle, educando-le a leggere i bisogni e a impegnarsi in for-ma stabile e con caratteri di reciprocità, apartire da avvenimenti nazionali e interna-zionali quali le emergenze (terremoti, allu-vioni, siccità, guerre...).

Il costante stimolo per la crescita e lavitalità delle Caritas diocesane e parrocchia-li nel territorio, occupate quotidianamentenella promozione, formazione e animazio-ne alla testimonianza comunitaria della cari-tà. In particolare, centrale è stato e restaquest’ultimo punto: il sostegno e l’accom-pagnamento delle Caritas diocesane, conl’obiettivo di condividere un metodo (ope-rando in modo ordinario nell’ascolto,nell’osservazione e nel discernimento), indi-viduare le azioni prioritarie tra emergenzae quotidianità (sviluppando sempre più lapedagogia dei fatti), promuovere comunicammini esperienziali ed educativi alla pa-ce, alla giustizia, alla cura del Creato (raffor-zando la prevalente funzione pedagogica),attuare in modo deciso la scelta di far lievi-tare una testimonianza comunitaria, facen-do così crescere la prossimità ai poveri co-me servizio di animazione alla carità dell’in-tera comunità.

Questo ha voluto dire favorire signifi-cativamente lo sviluppo di cinque grandi

compiti: conoscere i bisogni noti e menonoti, espressi e inespressi; analizzare le risor-se disponibili per rispondere alle reali esi-genze, evidenti e non; educare alla carità l’in-tera comunità; formare gli operatori pasto-rali della carità e i cristiani impegnati nei ser-vizi sociali pubblici e privati e nelle attività dipromozione umana; coordinare le varieopere e servizi caritativi e assistenziali di ispi-razione cristiana, aiutandoli a lavorare insie-me e a esprimersi come Chiesa.

Si è trattato anzitutto di sostenere leCaritas diocesane sul piano metodologico,nell’ascolto dei poveri, nell’osservazione enello studio dei fenomeni di povertà e nel-la cura e promozione delle risorse, nel di-scernimento di azioni e proposte da porrein essere per sollecitare la comunità eccle-siale e la società civile. Non è raro che an-che le Caritas diocesane manifestino unapercezione del proprio mandato più orien-tata a gestire e fare, che ad agire e promuo-vere e animare. A tale riguardo è opportu-no insistere sull’importanza che in ogni Ca-ritas siano presenti – ed efficacemente fun-zionanti – tre strumenti pastorali senza i

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Ad Avezzano volontaricon gli aiuti destinati auna missione in Albania.Sopra: volontari Caritasin Basilicata nel 1981.

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quali è impossibile rispondere con fedeltàal mandato di servizio ai poveri e di anima-zione della comunità e del territorio.

Innanzitutto, il centro di ascolto, qua-le luogo in cui i poveri sono accolti, incon-trati e conosciuti. È l’antenna sulle povertàlocali, centro di relazioni, strumento pasto-rale della comunità cristiana per farsi prossi-ma ai bisogni. In secondo luogo, l’osserva-torio delle povertà e delle risorse, che ga-rantisce la tenuta delle informazioni ricevu-te dai centri di ascolto, componendole conquelle provenienti da altre fonti, finalizzan-do lo studio alla comprensione dei fenome-ni delle povertà e alla ricerca delle cause,delle risorse e delle risposte ai molteplici bi-sogni. Infine, il laboratorio per la promozio-ne e l’accompagnamento delle Caritas par-rocchiali, quale strumento per l’animazio-ne e ambito ordinario dell’attività pastora-le della collettività cristiana, ove coordina-re e promuovere l’impegno caritativo, apartire dalla comprensione dei contesti lo-cali. A queste attenzioni va aggiunta una si-gnificativa attività di comunicazione, docu-mentazione e sussidiazione finalizzata prin-

cipalmente a strumentare le riflessioni e leiniziative delle Caritas diocesane.

Un secondo ambito prioritario di so-stegno alle Caritas diocesane è sta-to quello relativo alla promozione

di servizi alla persona, soprattutto rispettoalle povertà emergenti e trascurate, proget-tati e realizzati come opere-segno; alla valu-tazione delle politiche sociali – ovviamenteal fine di tutelare i diritti dei poveri – e al dia-logo con le realtà ecclesiali e civili impegna-te nella promozione umana sul territorio; al-la crescita del volontariato, alla formazionedegli operatori dei servizi in ambito ecclesia-le e civile, alla costruzione di particolari per-corsi educativi basati sulla prossimità almondo dei poveri.

Un terzo ambito in cui si è articolatol’impegno di promozione e accompagna-mento delle Caritas diocesane è quello rela-tivo alle emergenze, in Italia, in Europa e nelmondo, e alla realizzazione di progetti dicooperazione. Quattro in particolare i livel-li: la progettazione di interventi in rapportoai singoli continenti e regioni, in stretta rela-

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Un ospite, ritrattonel 1991, a Villa Glori,

la Casa per malatidi Aids aperta a Romada don Luigi Di Liegro.

Sopra: il laboratoriodi sartoria per donnerom attivo a Milano.

Nella foto grande: cenadi Natale all’ostello

della Caritas di Roma.

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zione e a servizio delle Chiese sorelle, in ba-se alla quale coordinare anche l’attività del-le Caritas diocesane; la produzione di mate-riale e documenti per orientare le Caritasdiocesane, elaborando una visione com-plessiva di quanto avviene in loco; l’accom-pagnamento delle Caritas diocesane nellamessa in rete e nel coordinamento dellerealtà (della propria diocesi) che realizzanoprogetti di cooperazione e sviluppo e di for-mazione sui temi della mondialità; la realiz-zazione di occasioni di approfondimentosu tematiche specifiche inerenti la pace, latutela dei diritti, le emergenze e lo svilupponel mondo.

Importante è l’aver incentivato l’assun-zione di un ruolo di coordinamento e ac-compagnamento del lavoro a rete delle real-tà socio-assistenziali presenti in diocesi an-che in vista di più efficaci rapporti con le isti-tuzioni pubbliche, così come la costituzionedella consulta o rete o tavolo diocesano de-gli organismi e opere socio-assistenziali. Ana-loghe consulte sono state avviate a livello re-gionale, come strumento di cammino eccle-siale in campo caritativo, e come metodoper creare una presenza di carità più efficaceed efficiente. Negli ultimi tempi, la crescita e

lo sviluppo delle Caritas diocesane e la ne-cessità di poter contare su occasioni di incon-tro stabile per ascoltarne i bisogni, orientarele scelte e coordinare le attività in riferimen-to ad alcuni ambiti, hanno spinto la Caritasitaliana a costruire diversi luoghi e opportuni-tà di partecipazione e confronto, anche in re-lazione allo spazio intermedio, a partire dalleDelegazioni regionali Caritas.

Lo Statuto della Caritas italiana, infat-ti, riconosce alla figura del delegatoregionale Caritas il compito di tene-

re i collegamenti tra le Caritas diocesanedella rispettiva Regione ecclesiastica, assi-sterle nella loro attività, guidarne le iniziati-ve comuni, specialmente quelle di carattereformativo. Si tratta di una serie di azioni chepresuppongono la possibilità di incontraree far incontrare con sistematicità le Caritasdiocesane. Questo incontrarsi ha assuntonel tempo caratteristiche di stabilità e orga-nizzazione ed è andato sempre più configu-randosi come luogo di relazione, confrontoe reciproco sostegno tra le Caritas diocesa-ne: è diventato vita ordinaria della Delega-zione regionale Caritas.

Un altro aspetto che si potrebbe defi-nire vocazionale è quello relativo all’osmosidella pastorale, a partire dal triplice compi-to pastorale dell’annuncio della Parola, cele-brazione dei Sacramenti e servizio della Ca-rità. La Chiesa infatti evangelizza attraversoquello che dice (parole: annuncia la carità diDio); è (segni: celebra la carità di Dio); fa(opere: testimonia la carità di Dio). Al ri-guardo si è lavorato parecchio in questi de-cenni, ma occorre intensificare gli sforzi peril pieno inserimento della dimensione carita-tiva nella pastorale organica della Chiesa lo-cale. Sono state attivate, negli anni, interes-santi esperienze di collaborazione anche a li-vello nazionale, come i sussidi per l’anima-zione dei tempi forti. Si avverte, però, l’esi-genza di favorire sempre più luoghi (dioce-sani, regionali, nazionali) in cui tentare dipensare ed elaborare insieme offerte forma-tive unitarie per gli animatori pastorali e co-struire in rete progetti di animazione da rea-lizzare anche a livello parrocchiale. Ferruccio Ferrante e Vittorio Nozza

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Ragazzi coinvoltinel progetto Ticdi Caltanissetta,per sensibilizzareall’uso dei media.Sopra: monsignorGiovanni Nervo in unaimmagine del 1985.

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La mia Caritasal passo con i tempiLa celebrazione dei quarant’anni della

Caritas italiana aiuta a richiamare ilpassato e a progettare il futuro. Su

questo filo si snodano alcune riflessioni deitre sacerdoti che ne hanno guidato il cam-mino prima dell’attuale direttore.

Giovanni Nervo:«I miei sei suggerimenti»

Cambiata la situazione del Paese, Pao-lo VI nel 1970 sciolse la Pontificia opera assi-stenza (Poa) e sollecitò la Conferenza epi-scopale italiana a dar vita a un proprio orga-nismo, che fosse promotore e coordinato-re delle attività caritative e assistenziali dellaChiesa. Nel 1971 la Cei istituì la Caritas ita-liana. Questo richiedeva un profondo cam-biamento, anzitutto culturale: occorreva, in-fatti, passare dal costume del ricevere al co-stume del dare. Lo Spirito, però, operavanei piccoli e nei poveri questo cambiamen-to. Ricordo che quando, nel settembre del1972, organizzammo alla Domus Mariae, aRoma, il primo convegno nazionale delleCaritas diocesane, una donna anziana, vesti-ta dimessamente, mi mise in mano una bu-sta con un milione e 200 mila lire e mi disse

che erano gli arretrati della sua pensione so-ciale. Per me fu un messaggio importantesulla strada da seguire.

Richiamo alcuni punti che ritengo fon-damentali: la prevalente funzione pedagogi-ca della Caritas, che non esclude le operecaritative, ma attraverso di esse deve educa-re alla carità; il coinvolgimento di tutta la co-munità nel farsi carico dei poveri e dei lorobisogni; la stretta connessione fra carità egiustizia. La realtà ci ha aiutati a camminareconcretamente alla luce di questi principi. Ilterremoto del Friuli del 1976, ad esempio,ci ha aiutati a vivere, con i gemellaggi, unaforte esperienza di comunione ecclesiale; ilproblema dei profughi vietnamiti ci ha aiuta-ti a vivere concretamente il valore dell’acco-glienza; il fenomeno del servizio civile degliobiettori di coscienza ha aiutato le Caritasdiocesane e le comunità ecclesiali a viverein modo diffuso il valore della pace.

Quali stimoli ci possono venire daqueste esperienze e dalla realtà attuale dellanostra Chiesa e della società civile per i pros-simi decenni di vita della Caritas? Io vedo al-meno sei possibili indicazioni. Innanzituttooccorre continuare e accentuare la sua pre-valente funzione pedagogica. In secondoluogo vanno coordinate le attività caritative

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Don Giovanni Nervo,alla guida di Caritas

italiana dallanascita fino al 1986.

In alto: convegnodelle Caritas a San

Benedetto del Tronto.

Dalla fondazioneai giorni nostri: i tresacerdoti “storici”

della Caritas italiana(don Giovanni

Nervo, donGiuseppe Pasini

e don Elvio Damoli)ripercorrono le

tappe fondamentalidei lori mandati

e offrono stimoliper il futuro.

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e assistenziali in comunione con tutte le pre-senze e le attività della Chiesa locale. Va cu-rata maggiormente la promozione e la for-mazione di autentiche Caritas parrocchiali,così come va fatta un’analisi attenta dei biso-gni emergenti, per essere puntualmente sti-molo e completamento della giustizia. Co-me quinta indicazione mi sembra che vadacoinvolta, con una informazione tempestivae costante, la Chiesa e la comunità naziona-le sulle grandi calamità. Anche per questo,ed è il sesto suggerimento, bisogna curarebene l’informazione, usando sapientementei nuovi strumenti della comunicazione.

Giuseppe Pasini: «Abbiamoraggiunto gli obiettivi?»

La Caritas italiana, come molte altrerealtà ecclesiali, ha conosciuto nel corso deltempo un’evoluzione, passando da una faseiniziale, più carismatica, caratterizzata dauna forte spinta pionieristica, a una fase piùistituzionale, nella quale ha cercato un equili-brio tra la carica ideale originaria e le realipossibilità di una sua traduzione nelle mute-voli circostanze storiche nelle quali si è tro-vata ad agire. Il cambiamento è inevitabile eanche doveroso, poiché sono cambiate lesituazioni. L’importante è che la Caritas ita-liana mantenga la sua identità originaria enon divenga, con il passare degli anni, “al-tro” rispetto al fine per cui fu istituita.

È naturale, pertanto, che dopo quat-tro decenni dalla sua istituzione, essa si pon-ga alcuni interrogativi: sono stati raggiunti ein che misura gli obiettivi per cui la Caritas èstata istituita? Come è recepita la sua pre-senza nelle comunità cristiane e nella socie-tà civile? È cresciuta, e quanto, la convinzio-ne che la carità verso il prossimo costitui-sce un preciso dovere dei cristiani? Infine, illavoro educativo sviluppato dalle Caritasha inciso, e in quale misura, nelle politichesociali? Ha modificato, e in quale modo, legravi disuguaglianze sociali, la ricerca del pri-vilegio? Le ricorrenze storiche servono an-che a questo.

Vorrei fare una sottolineatura su tut-te. Ho l’impressione che, nel corso di questiprimi decenni, l’animazione comunitaria siarisultata l’impegno più difficile e si sia corsoil rischio, anche sotto la spinta delle innume-revoli emergenze verificatesi, di concentrar-si prevalentemente sull’organizzazione diservizi. Bisogna ricuperare e rafforzare que-sto impegno pedagogico, continuando asensibilizzare «le Chiese locali e i singoli fe-deli». Mi sembra di poter cogliere, in questaespressione, le due strade complementariper perseguire l’obiettivo. La prima è dicoinvolgere un numero crescente di fedeliin iniziative personali di carità: volontariato,solidarietà con i vicini di casa, condivisioneabituale di una percentuale del proprio red-dito, aiuto alle persone che hanno perdutoil lavoro, sostegno alle famiglie di immigrati

Don Giuseppe Pasini,alla guida di Caritasitaliana dal 1986al 1996. Sotto: volontaria Brindisi. Nella fotoa destra: l’areasanitaria allestitadalla Caritas a Roma.

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o di carcerati, difesa dei più deboli, e via di-cendo. La seconda strada è quella dei “servi-zi segno” realizzati dalla Caritas diocesana oparrocchiale, che diventano segno solo seesprimono l’impegno, anche formale, dellaparrocchia e della diocesi.

Sono convinto, infine, che ambeduequeste strade devono essere accompagna-te da una forte educazione alla giustizia.

Elvio Damoli: «Che i poverisi sentano persone amate»

Avevo da poco assunto l’incarico di di-rettore della Caritas di Napoli e, da due me-si, di delegato regionale. Il terremoto dell’Ir-pinia, la sera del 23 novembre 1980, scon-volse tutti i piani. Già di prima mattina del lu-nedì 24, le strade brulicavano di volontaridal Nord e dal Sud. Moltissimi quelli delleCaritas: erano degli apripista, con zaino esacco a pelo. La proposta dei gemellaggi,già sperimentata in Friuli, e intorno alla qua-le muoveranno tutti gli altri interventi per lepopolazioni terremotate, fu una scommes-sa vincente: quella di saper porsi accanto al-la gente per ascoltare e cogliere le giuste esi-genze di cambiamento e di rinnovamento.

Trovandomi poi a dirigere la Caritasitaliana, è rimasto centrale questo stile di«rapporto solidale tra Chiese sorelle», co-me si è sempre detto, anche nelle emergen-ze internazionali. Impegno che ha determi-

nato un fatto importante a livello di cresci-ta, sensibilità e coinvolgimento di molte Ca-ritas diocesane in termini di disponibilità, ca-pacità organizzativa e autonomia di risorse.Per non creare disparità tra realtà diocesa-ne piccole o grandi, povere o più facoltose,allora si fece la scelta di responsabilizzaremaggiormente le Caritas più preparate e di-sponibili a fare da capofila di progetto negliinterventi di solidarietà e sviluppo all’esterocon gemellaggi, presenza di volontari eobiettori, eccetera.

Le sfide che la Caritas si trova ora da-vanti non sono poche; tra le tante, sull’espe-rienza, ne scelgo una: «La Caritas organi-smo pastorale con prevalente funzione pe-dagogica», il cui banco di prova ci viene of-ferto nella promozione delle Caritas parroc-chiali con il compito della formazione dellacomunità cristiana. «Vi do un comandamen-to nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; comeio vi ho amato, così amatevi anche voi gliuni gli altri. Da questo tutti sapranno che sie-te miei discepoli, se avrete amore gli uniper gli altri», dice il Vangelo di Giovanni alcapitolo 13. Il compito prioritario è quellodi educare, promuovere e formare le comu-nità parrocchiali al comandamento della ca-rità, e con un «amore preferenziale per i po-veri e per gli ultimi». E il primo bisogno deipoveri e degli ultimi è, e sarà sempre, quellodi sentirsi «persona», amata e accolta: figlio,fratello, cittadino, membro della famigliaumana, di una comunità. �

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Don Elvio Damoli, allaguida di Caritas italiana

dal 1996 al 2001.Sotto: “La cittàdei ragazzi 2”,

allestita dalla Caritasa Caltanissetta.

Nella foto a sinistra:la mensa di Roma.

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Una giornata particolaretradisagioesolidarietà

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Due mondi in 800 metri. Tra la stazio-ne Termini e le strade dell’universi-tà, via Marsala è uno dei biglietti da

visita della capitale per chi arriva in treno.Man mano che si procede, sorpassati i taxifermi all’ingresso secondario della stazionee l’area di sosta dei mezzi elettrici dell’Ama,aumentano i corpi “parcheggiati” sotto ca-se di cartone, nelle rientranze dei muri.Niente bar, né turisti in questo ultimo trat-to di strada. I marciapiedi corrono lungocancellate in ferro dove si susseguono i ser-vizi per chi fa più fatica. Help Center, il cen-tro diurno Binario ’95. E, dall’88, poliambula-torio, ostello e mensa della Caritas. Porta-no l’impronta del loro fondatore, don LuigiDi Liegro: strutture “pensanti”, solide, «chepuntano all’accoglienza, ma poggiano anchesu altri tre pilastri: la conoscenza dei feno-meni, la formazione permanente degli ope-ratori e l’impegno politico», dice la dotto-

ressa Bianca Maisano, membro dell’équipearea sanitaria. Linee di impegno che Di Lie-gro aveva ben chiare e che in questi annihanno significato non solo visite mediche(500 mila dal 1983 al 2009), posti letto(188 posti all’ostello) e pasti (500 al giorno),ma anche studi e programmi per una cono-scenza scientifica degli utenti dei servizi, ri-cerca di confronto e campagne di sensibiliz-zazione verso la città e più in generale la so-cietà italiana (come ricordano gli adesivi affis-si in ambulatorio per la campagna Noi nonsegnaliamo!, nata contro il pacchetto sicurez-za del Governo che prevedeva, da parte de-gli operatori sanitari, la denuncia del malatostraniero senza permesso di soggiorno). Èda questa impostazione che, sopra i quattroambulatori che ogni giorno macinano visite,sopra la zona distribuzione farmaci e quellaper i colloqui, nasce un Centro studi, vienefuori l’input per la fondazione della Società

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Tra i locali dellemense, degli ostellie degli ambulatorisi intreccianostorie di vita:quelle di chi staai margini,ma anche quelledi chi ha decisodi dedicare unaparte della propriavita ad ascoltaree aiutare gli altri.

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In queste foto:il centro di ascoltodi una parrocchia

della capitale, l’ostelloe l’area sanitaria

della Caritas di Roma.

italiana di medicina delle migrazioni e poi ilMaster in medicina delle emarginazioni, mi-grazioni e povertà. È dall’idea di non trasfor-mare l’emergenza in ineluttabilità che nasco-no i progetti personalizzati per gli ospitidell’ostello, i “fortunati” che dai centri diascolto Caritas approdano nelle stanzettecon i letti a castello del dormitorio.

Racconta Luana, una delle operatrici,che «le liste di attesa a Roma non sichiudono mai e nei periodi di fred-

do si allungano». In realtà questo «sarebbeun centro di prima accoglienza, ma per mol-ti non ci sono risposte successive e restanoqui. Questa diventa come la loro casa»,spiega Roberta Molina, psicologa, chedall’88 è responsabile dell’ostello. La tipolo-gia degli ospiti abbraccia tutte le categoriesociali e le marginalità: malati, alcolisti, giova-ni scappati di casa, persone con disagiomentale, tossicodipendenti, anziani... «Seagli inizi gli ospiti erano in prevalenza i classi-ci “barboni” e i malati dimessi dagli ospedalipsichiatrici, oggi ci sono tanti giovani. Per lo-ro bisogna intervenire in tempi rapidi, altri-menti si cronicizzano ed entrano in uno sta-to di abbandono». A rischio è la fascia dai45 ai 60 anni, che, causa disoccupazione, se-parazioni e sfratti, si ritrova per strada senzaintravedere alcuna possibilità di futuro.

«Io chiedo un’opportunità. Perché unpovero deve essere solo un costo per la so-cietà?». Ha 42 anni Mario, un passato da me-talmeccanico e la voglia di rincorrere il do-mani con le unghie e con i denti. All’ostelloè arrivato dopo due mesi in strada senza la-voro e senza casa: quella di famiglia, la mam-ma, oggi ricoverata in una casa di riposo,per distrazione l’ha fatta saltare in aria con ilgas. «Ero dimagrito, stavo male, sapevo chequi avrei trovato un aiuto». Adolfo, l’opera-tore di turno quella sera all’ostello, il 31maggio 2010, lo fa entrare senza indugi.«Ho avuto solo due rapporti occasionalinon protetti e uno m’ha fregato», dice Ma-rio, che oggi conduce una vita normale gra-zie ai farmaci retrovirali. «Sono sieropositi-vo ma sto bene, non ho preso neanche unamalattia. Vorrei trovare un lavoro stabileper rendermi utile».

I primi mesi trascorreva le mattine inbiblioteca, dalle 9 alle 17 l’ostello infatti chiu-de. Poi è stato inserito in un progetto-labo-ratorio dei “vicini di casa” in via Marsala, ilcentro diurno di Binario ’95 della cooperati-va Europe Consulting. La sera partecipa a ungruppo teatrale. «Il lavoro aiuta, l’ozio è lacosa che ti ammazza». Anche Marcello spe-ra in una casa in affitto e un lavoro stabile.Gli è stata appena riconosciuta l’invaliditàall’80 per cento e adesso punta a un futuroche passa attraverso le liste speciali per l’in-serimento lavorativo. Un brutto incidentein moto e la scoperta di una depressionel’hanno spinto sempre più giù. «Nasco inuna famiglia benestante, i miei erano separa-ti. Anche mia madre soffriva di depressioni,sono stato partorito al reparto psichiatricodell’ospedale San Pietro. Ma questo l’hoscoperto solo a 35 anni». Oggi ne ha 44 e,con un sorriso stanco, dice: «Non mi so’ fat-to mancà niente». Ricoveri in reparti psichia-trici, alcolismo, un tentativo di suicidio – «ri-cordo ancora la sciarpa marrone di lana acostine» –, sette mesi in carcere e la botti-glia come compagna di strada. «Si viene quiperché si hanno dei problemi. Per me è unpunto importante per rimettermi in corsa».

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Camminare in cordata, sulla scia deglistessi valori: la Caritas italiana ha

promosso tra il 1995 e il ’97 al TeatroTenda di Firenze – assieme a Cnca, Grup-po Abele (nella foto il fondatore, donLuigi Ciotti), la rivista Il Regno e altresigle del mondo cattolico – tre iniziativepubbliche. I temi scelti: Annunciare lacarità, pensare la solidarietà; Annuncia-re la carità, pensare la speranza; Cerca-re la verità. Amare la giustizia. Filorosso degli eventi, la connessione traspiritualità, economia e cittadinanza,assieme al «desiderio di dare patria agli“incroci pericolosi” che, a partire dallestorie di marginalità e sofferenza vissutedalle persone che i gruppi incontrano nelloro agire quotidiano, suscitavano il biso-gno di nuovi sguardi politici, etici, ecclesia-li. La stessa modalità degli incontri è stataoccasione di “incrocio” di molte dellefigure significative di quegli anni, nei piùdiversi ambiti di azione e riflessione: uomi-ni e donne con alte responsabilità di Sta-to, economisti, teologi, sociologi, giornali-sti, filosofi, vescovi, operatori sociali, reli-giosi...», spiegano gli organizzatori.

Per ricollegarsi idealmente a questiappuntamenti e dare continuità al camminodi riflessione comune, si è poi svolto, nel

2006 a Milano, il seminario In cammino,tra memoria e speranza. L’incontro, orga-nizzato questa volta anche con la Federazio-ne servizi civili e sociali dei Salesiani, con ilJesuit social network e con Jesus, si realiz-zò altresì in preparazione al quarto Conve-gno ecclesiale nazionale che si sarebbetenuto a Verona otto mesi dopo. Si cerca di«rileggere la realtà alla luce dell’esperienzadi servizio agli ultimi e di promozione dellagiustizia» che accomunano le diverse realtàcoinvolte e viene lanciata la proposta di una«decrescita necessaria come condizionefondamentale per godere della trasparenza,per ritrovare la chiarezza delle linee portan-ti, la leggerezza e la flessibilità». l.bad.

I servizi sono punto di riferimento an-che nelle esistenze “normali” dei volontari.In tanti – tra ambulatorio, mensa e ostello egli altri servizi che la Caritas ha sparsi per ladiocesi – si affacciano per dedicare un po-meriggio alla settimana al volontariato. Unprete, una ragazza cinese, un giovane stu-dente americano, un ragazzo latinoamerica-no, una suora, padri di famiglia: è l’eteroge-nea formazione di volontari che questa se-ra fa accoglienza alla mensa. «È sempre co-sì», dice Roberta. «Io sono arrivata in unmomento particolare della mia vita. Volevoconoscere meglio il mondo degli stranieri,dare un contributo, capire», dice Rosy, che

fa l’impiegata, e ogni martedì pomeriggio,da cinque anni, è fissa nella hall dell’ostelloper far firmare il registro delle presenze.«Sarà banale, ma più conosci più riesci adapprezzare le cose che hai. Quante volteho pensato che il caso avrebbe potuto por-tarmi a essere una delle persone che bussa-no a questa porta...».

Sara, 24 anni, racconta che non era«più motivata a studiare Medicina.Per questo ho deciso di partecipare al

bando per il tirocinio qui all’ambulatorio». Èun piccolo pianeta quello che si riversa inquesti locali: donne musulmane, giovani ru-mene, nordafricani, asiatici. Ma anche tanti ci-nesi che, grazie a un progetto ad hoc, si so-no fidati e oggi costituiscono la seconda et-nia per presenze, dopo i rumeni. I giovaniuniversitari come Sara sono una delle fine-stre attraverso le quali la Caritas tenta di co-municare con la città. «Aiutare futuri medicia conoscere anche la realtà della salute deisenza fissa dimora e degli immigrati vuol direlavorare per un futuro migliore», commentaBianca Maisano tra i locali rinnovati dell’am-bulatorio. «Io sto qua per restituire quelloche ho ricevuto», dice con semplicità la dot-toressa Stefania Bucciarelli. Dal ’98, ogni mar-tedì pomeriggio, incontra malattie e soprat-tutto persone. Alcuni pazienti hanno il nu-mero del suo cellulare, in caso di emergen-za. «Si parte dal mal di denti, dalla febbre odall’infiammazione e poi, basta scavare unpo’, si arriva al bisogno di parlare. Anche perquesto siamo qui». Vittoria Prisciandaro

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L’ingresso di unadelle mense Caritasdi Roma dedicataa Giovanni Paolo II.

I compagni di viaggio sulla via della giustizia

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«La commissione chiede al conve-gno di fare propria la proposta difarsi carico della promozione del

servizio civile sostitutivo di quello militarenella comunità italiana, come scelta esem-plare e preferenziale dei cristiani, e di allar-gare le proposte di servizio civile anche alledonne». Roma, 1976. Al primo convegnodella Chiesa italiana, Evangelizzazione e pro-mozione umana, la proposta viene accoltadal lungo applauso dei convegnisti. Comin-cia così la storia dell’impegno della Caritasin Italia per l’obiezione di coscienza al servi-zio militare e per il servizio civile, nella dupli-ce veste, maschile e femminile.

Sarà infatti nel giugno 1977 che la Ca-ritas italiana stipulerà la convenzione col Mi-nistero della difesa per l’impiego degli obiet-tori di coscienza e il 15 settembre inizieran-no il loro servizio i primi due giovani, rispetti-vamente presso le Caritas di Milano e di Ge-nova. Alla fine dell’anno, saranno dieci gliobiettori assegnati. Col passare degli anni, leCaritas diocesane coinvolte saranno 190 eaccoglieranno quasi 5 mila obiettori ogni an-no, per un totale di circa 100 mila giovani fi-no al 2004, ultimo anno della leva obbligato-ria. A partire dagli anni Ottanta, comincia adiffondersi anche l’esperienza dell’Anno divolontariato sociale (Avs), un servizio civileal femminile, che vede spesso, nella stessadiocesi, gli obiettori obbligati alla leva accan-to a ragazze (o ragazzi militesenti) che scelgo-

no volontariamente di donare un anno dellapropria vita. La nascita, nel 2001, del Serviziocivile nazionale, al quale oggi accedono vo-lontariamente i giovani di entrambi i sessi dai18 ai 28 anni, in fondo ha le sue radici in quel-la esperienza di gratuità che le Caritas hannocondotto insieme con molte espressioni del-la vita ecclesiale e che giusto trent’anni famuoveva i primi passi in alcune diocesi.

Si può parlare di “battaglia” per l’obie-zione di coscienza e l’Avs se si guarda allastoria degli ultimi decenni, a partire dagli an-ni Cinquanta, con Aldo Capitini, e gli anniSessanta, con Ernesto Balducci, Giorgio LaPira e don Lorenzo Milani, senza dimentica-re che sono stati centinaia gli obiettori, mol-ti dei quali cattolici, finiti nelle carceri militariprima del 1972, anno della prima legge chericonosce il diritto a dire «no» al servizio mi-litare. Ma anche dopo che l’obiezione vienericonosciuta legalmente, il cammino conti-nua a essere in salita. Anzitutto a causa diuna legge che ben presto si rivela punitiva,ingiusta e illogica, imponendo, ad esempio,un servizio civile più lungo di ben 8 mesi ri-spetto al servizio militare o affidando la ge-stione del servizio civile al Ministero della di-fesa, che non aveva alcun interesse a che ilfenomeno si propagasse tra i giovani italiani.Contro questa situazione la Caritas, a livellonazionale e diocesano, ha instancabilmentefatto sentire la propria voce chiedendo unariforma della legge, che avverrà solo nel

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La grande battagliaper l’obiezione di coscienza

Sono stati circa 100mila gli obiettoriche, a partire dal

1977 e fino al 2004,hanno svolto

servizio civile inCaritas. Un esercito

di giovani (cui sisono aggiunte le

ragazze con l’annodi volontariatosociale) che hadifeso la patria

difendendo gli ultimi.

Alcuni operatori dellaCaritas di Sassari.

In alto: manifestazionedi obiettori di coscienzasvoltasi all’Altare della

patria, a Roma nell’89.

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1998, dopo un iter legislativo durato più diun decennio e dopo lo stop imposto dall’al-lora presidente della Repubblica Cossiga,che nel 1992 si rifiutò di promulgare la nuo-va legge. Oppure opponendosi a una gestio-ne spesso insensata del servizio civile da par-te delle strutture militari, che magari asse-gnavano alla Caritas l’obiettore che avevachiesto di prestare servizio al Wwf o spedi-vano a un comune a 300 chilometri di di-stanza l’obiettore che per un anno avevasvolto il tirocinio in Caritas. Memorabili, aquesto proposito, restano un paio di episo-di, l’uno del 1986 (quando ministro della Di-fesa era Spadolini) e l’altro del 1996 (con ilministro Andreatta) che videro la protestadella Caritas italiana contro la Difesa e il ri-fiuto di assumere in servizio tutti gli obietto-ri precettati d’ufficio dal Ministero.

Non sono mancati gli scontri e le in-comprensioni all’interno dello stesso mon-do del servizio civile, per far comprendere,ad esempio, l’importanza della formazione edella vita comunitaria che grande parte ave-va nell’esperienza in Caritas e che invece erasconosciuta a molti degli enti convenzionati.Oppure nel caso della gestione degli obietto-ri da parte di enti interessati più ad avere ma-no d’opera gratis che a offrire ai giovani unmomento arricchente dal punto di vista

umano e formativo: l’obiettore impiegato inComune a fare fotocopie è entrato nell’im-maginario collettivo, ritagliandosi persino unposto nella letteratura e nel cinema nostrani.

Ma la battaglia è stata anche di tipoculturale, per far comprendereall’opinione pubblica la positività

della scelta del servizio civile da parte di gio-vani che, lungi dall’essere degli «imboscati»,volevano onorare il dovere di difesa della pa-tria sancito dalla Costituzione senza ricorre-re alle armi e aiutando chi era nel bisogno.Cosa che una storica sentenza della Cortecostituzionale riconoscerà nel 1985 sancen-do, come fa l’attuale legge sul servizio civile,la pari dignità tra difesa militare e difesa civilenon armata e nonviolenta. Una difesa non-violenta che, come hanno testimoniato ledecine di caschi bianchi sparsi nel mondo ne-gli ultimi dieci anni, non conosce confini. Equando, alla fine del secolo scorso, il Parla-mento decise di fare a meno della leva obbli-gatoria, la Caritas italiana tornerà in piazzanon per difendere presunti privilegi o interes-si (il «business dei poveracci», lo aveva defini-to un noto politico italiano ancora vivente)ma per lanciare l’allarme sul rischio di «unaprogressiva “disattenzione” dello Stato neiconfronti di questa esperienza», che si tradu-ce in un «progressivo inaridimento degli spa-zi offerti ai giovani per forme di educazionealla cittadinanza e al servizio», come la stessaCei ha dichiarato qualche mese fa di fronteall’attuale situazione del servizio civile e alla ri-duzione dei finanziamenti a esso destinati.

Una battaglia, riconosciamo serena-mente, condotta anche all’interno della stes-sa comunità ecclesiale, nella quale gli obietto-ri sono stati accolti (o tollerati) più per quelloche facevano (il servizio ai poveri) che perquello che erano (contrari alla violenza e allaguerra), ma che tuttavia è servita a far matura-re l’esperienza, purificandola da eccessi ideo-logici e rendendola “preferenziale” per i gio-vani cristiani, proprio come volevano i conve-gnisti del ’76. Fino a giungere, nel 2003, alla«benedizione» del servizio civile da parte diGiovanni Paolo II, che lo definisce un «segnodei tempi», capace di far incontrare i giovanicon la pace e i con i poveri. Diego Cipriani

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Una manifestazionedi obiettori della Caritase di Pax Christi nel2000 a Roma. Nelledue foto sotto: ragazzeimpegnate nel serviziocivile alla Caritasdi Abbiategrasso.

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In Italia la storia dell’immigrazione ha co-nosciuto varie fasi e forti contrapposizio-ni politiche. Nel 1970 vi era un cittadino

straniero ogni 400 residenti, oggi gli immigra-ti sono 5 milioni. Il primo periodo, di neutrali-tà, o curiosità o per alcuni di indifferenza, èstato quello tra gli anni Settanta e la primametà degli anni Ottanta. L’Italia era ancoraun Paese di emigrazione e i flussi in entrataerano costituiti in prevalenza da richiedentiasilo e da collaboratrici familiari. Il secondoperiodo, che possiamo definire dell’emergen-za, va dalla legge del 1986 a metà degli anniNovanta. Un Paese, che nel corso di un seco-lo aveva visto un esodo di circa 28 milioni diitaliani, faceva fatica a considerarsi ricco e, co-me tale, sbocco dei flussi migratori. Le nor-me approvate in questo periodo, se confron-tate con l’atteggiamento restrittivo preminen-te a livello europeo, appaiono più aperte e,tuttavia, contrassegnate dalla mancanza diuna visione pienamente organica e di pro-spettiva. Il terzo periodo, quello attuale, si ca-ratterizza per la sempre più urgente necessi-tà di individuare una politica strutturale. Sistenta a raggiungere una visione comune an-che su aspetti di buon senso che dovrebberoportare a superare le divergenze partitiche.

La Chiesa italiana, e in essa le Caritas,quando parla di immigrazione, si riferisce aun lavoro quotidiano, orientato in questiquattro decenni al bene comune. Il primoimpegno è l’accoglienza ordinaria, che si tra-

duce prevalentemente in funzioni di ascol-to, soddisfacimento dei bisogni primari, pro-mozione della solidarietà. Accanto a questiimpegni di aiuto immediato, la Caritas italia-na e le Caritas diocesane hanno cercato diprivilegiare scelte che favoriscono semprepiù l’integrazione, offrendo opportunità diapprendimento della lingua e della cultura etradizione italiane e della legislazione italia-na, oltre che progetti di inclusione, lavoro,prevenzione. Sul fronte della sensibilizzazio-ne, gli interventi si sono concretizzati per lopiù in momenti di riflessione sul processomigratorio, rivolti innanzitutto alla comunitàcristiana, ma anche a quella civile, alle agen-zie educative, alle associazioni di giovani e di

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Emergenza immigrati:supplenti per necessità

Bimbi extracomunitarifanno doposcuola

in una chiesadi Ladispoli.

In alto: due immigratiseguono la visitadi Benedetto XVI

all’ostello della Caritasromana a Colle Oppio.

Da quattro decennile Caritas svolgono

con gli immigratiun lavoro paziente

di accoglienza,integrazione,

tutela dei dirittie promozionedelle persone.

Sollecitandole istituzioni a fare

la loro parte.

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adolescenti così come a quelle di lavoratori.Tra gli strumenti ha assunto rilievo crescen-te il Dossier statistico immigrazione che vienepubblicato da Caritas Italiana, FondazioneMigrantes e Caritas diocesana di Roma.

Sono stati avviati an-che progetti pilota di azio-ne interculturale e, intanto,si è cercato di dare attenzio-ne costante alle fasce piùvulnerabili di immigrati: i ri-chiedenti asilo e le donnevittime della tratta. Un lavo-ro che ha visto impegnatele 220 Caritas diocesanepresenti su tutto il territo-

rio italiano, nei luoghi di accoglienza allefrontiere del nostro Paese, nei centri diascolto e di tutela dove si incontrano le per-sone e le famiglie immigrate in difficoltà, nel-le cooperative promosse per favorire l’inse-rimento lavorativo delle persone straniere,nei progetti e percorsi di mediazione cultu-rale e sociale, nelle parrocchie e negli orato-ri, in cui giocano e crescono bambini immi-grati e italiani.

Tra le vicende che si potrebbero cita-re una è certamente quella della car-ta di soggiorno. Nel 2002 la Bossi-Fi-

ni modificò la legge quadro sull’immigrazio-ne (Turco-Napolitano) allungando il perio-do di rilascio della carta di soggiorno da cin-que a sei anni. Nel 2007 fu introdotta la co-siddetta carta “Ce” per soggiornanti di lun-go periodo di tutti i Paesi dell’area Schengenche sostituiva la carta di soggiorno e preve-deva il rilascio dopo cinque anni, superandola Bossi-Fini. Nell’arco di pochi anni abbia-mo assistito, dunque, a tre diverse situazioniche hanno pesato sulla vita dei migranti e sulfunzionamento dell’amministrazione pubbli-ca. E tutto in assenza di un quadro organiconel quale poter iscrivere un fenomeno chegià allora riguardava oltre tre milioni e mez-zo di persone regolarmente soggiornanti inItalia. Ma non è solo questione di norme e didiritto. Basti pensare, ad esempio, a tutta larecente vicenda lampedusana. Anche inquesto caso da subito la rete delle Caritas siè attivata. A oggi sono state circa 2.700 lepersone transitate nei centri di accoglienzadelle Caritas. Si è cercato il confronto con leistituzioni sulle molte criticità che si palesava-no sul fronte dell’accoglienza, sia attraversoun dialogo costante con i vari ministeri, siatramite delle proposte che nel tempo sonostate parzialmente accolte.

Appare evidente che oggi la storica at-tenzione della Caritas italiana sul frontedell’immigrazione, l’asilo e la tratta deve con-centrarsi anche nell’area del Mediterraneodove si sta giocando la partita più importan-te. C’è bisogno di collaborazione con altreCaritas e occorre unire le forze per dare ilvia a una nuova stagione di conoscenza escambio reciproco. Oliviero Forti

L’ultimo Dossierimmigrazione.Sotto: sbarchia Lampedusa e uncentro di accoglienzaa Castellaneta Mare.

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La crisi economicae la sfida dei nuovi poveriDifficoltà ad arrivare a fine mese, indi-

genza, disoccupazione: problemiche riguardano fasce sempre più

ampie della popolazione, a causa della diffici-le congiuntura economica in atto nel nostroPaese già da tempo. Criticità che colpisconoanche le persone separate o divorziate: il12,7 per cento di coloro (donne nel 66,5per cento dei casi) che si rivolgono ogni an-no alla Caritas; la metà (50,9 per cento) vivein povertà, il 13 per cento ha figli minori a ca-rico. Sulla soglia della povertà, dunque, si ri-trovano non solo emarginati o stranieri, mamigliaia di famiglie «che non possono acce-dere alla luna del “bene casa” né mantenereall’università i propri figli». La denuncia vieneda Francesco Marsico, vicedirettore dellaCaritas italiana, convinto dell’importanza diindividuare «aree di persone a rischio pover-tà, che perdendo il reddito non avrebberoalcun sostegno: dimensione riscontrata so-prattutto nelle famiglie monoreddito, uniper-sonali e monogenitoriali».

In questo scenario tutt’altro che ro-seo, la gratuità è chiamata a compiere un

deciso passo in avanti: «La dimensione deldono e della carità – dall’elemosina al volon-tariato, fino al microcredito – ha un pesoeconomico molto importante. Il nostro ruo-lo può essere quello di segnalare rischi, indi-care direzioni di sostegno, seguire pratichedi accompagnamento con strumenti di soli-darietà finanziaria messi in campo dalle dio-cesi per evitare l’indebitamento, la distribu-zione di beni alimentari. Si tratta però distrumenti parziali, non di risposte sistemi-che che possono nascere da un intrecciovirtuoso di politiche pubbliche e solidarietàdei territori», osserva Marsico.

«La famiglia rappresenta l’istituzioneda cui partire per narrare le difficoltà incon-trate, non solo dal punto di vista economi-co», fa notare don Andrea La Regina, re-sponsabile dell’Ufficio macroprogetti, che,per Caritas italiana, coordina sul territoriol’erogazione del Prestito della speranza, ilfondo nazionale straordinario istituito dallaCei e orientato a garantire prestiti bancarida concedere alle famiglie a un tasso agevo-lato. Attivato il 1˚ settembre 2009, ha una

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Dal Prestitodella speranza allaconsulenza per la

casa: si moltiplicanoin tutta Italiai progetti per

aiutare famigliee singoli in difficoltà

economica.

Sopra e a sinistra:volontari a Milano

consegnanoi pasti agli anziani

e li aiutano in casa.Sotto: l’emporio della

solidarietà a Prato.

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dotazione di 30 milioni di euro, 25 dei qualidestinati a garantire il microcredito socialee 5 mirati a sostenere il microcredito alle im-prese. La restituzione dei prestiti genera uncircolo virtuoso, rispetto al fondo perduto:le risorse che rientrano, infatti, danno la pos-sibilità di aiutare un numero sempre cre-scente di persone con altri interventi.

Le proiezioni e le analisi sintetizzatenella seconda edizione dell’Osservatorio regio-nale sul costo del credito (Orcc) – promossoda Caritas italiana e Fondazione culturale re-sponsabilità etica, realizzato in collaborazio-ne con il Centro culturale Francesco LuigiFerrari – rimarcano che «nel 2011 i soggettipiù a rischio si confermeranno le famiglie mo-nonucleari e le famiglie composte da un adul-to e da uno o più figli, con un’età inferiore ai34 anni, il grado di scolarità non supera la li-cenza elementare e dal punto di vista lavora-tivo o è un lavoratore autonomo oppure èin cerca di un’occupazione». E la débâcle fi-nanziaria, congiuntamente a disoccupazionecrescente, sembra colpire dove meno si im-maginerebbe, facendo aumentare il pericolodi cadere nella rete degli usurai: «Le famigliepiù a rischio abitano in Liguria, Abruzzo, Moli-se, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna: leregioni più esposte sono proprio quelle eco-nomicamente più dinamiche, ovvero quelle

che consentivano di scommettere maggior-mente sul futuro». In questa situazione a dirpoco preoccupante, negli ultimi tre anni leCaritas hanno messo in campo – in 203 del-le 220 diocesi in cui sono presenti – ben 806iniziative anticrisi, progetti aumentati quasidel 40 per cento nel giro di un anno per so-stenere soprattutto famiglie e piccole impre-se colpite dalla crisi.

Idati del monitoraggio nazionale delle at-tività avviate, aggiornati al maggio scor-so, riferiscono che su 133 diocesi che

hanno il microcredito per famiglie, il 76,7per cento segnala anche prassi di erogazio-ne economica a fondo perduto presso Cen-tri d’ascolto e Caritas parrocchiali. Inoltre,«su 163 diocesi che segnalano la presenzadi prassi di erogazione economica a fondoperduto presso Centri d’ascolto e Caritasparrocchiali, il 62,6 per cento può anchecontare sulla presenza di un progetto di mi-crocredito». Cifre che disegnano la fantasiadella carità, all’insegna di un doppio binariodi appoggio concreto coniugato con proget-ti di microsostegno economico: dalle astedi solidarietà alle consulenze sulla gestionedel bilancio familiare, dalla prevenzionedell’usura al supporto psicologico delle fami-glie di «nuovi poveri». Non mancano gli or-ti sociali e le fattorie solidali, come quellainaugurata l’estate scorsa a Foligno dalla Ca-ritas diocesana: gli ortaggi, cresciuti grazieall’impegno dei volontari, arrivano sulle ta-vole della mensa che distribuisce quotidia-namente fino a 80 pasti.

Ancora: adozioni tra famiglie nell’otti-ca della reciprocità e della condivisione,carrelli della spesa solidale, proposte di“adottare” una necessità concreta di perso-ne in difficoltà. E poi allestimento di botte-ghe, empori solidali e carte magnetiche dispesa, sportelli di inserimento/orientamen-to lavorativo in 120 diocesi, soprattutto alSud (89 nel 2010) e progetti di sostegno aldisagio abitativo: 55 diocesi hanno avviatospecifiche attività di consulenza per la casa.Una presenza spesso silenziosa, quella deivolontari, che cerca di allontanare la “tenta-zione” dell’assistenzialismo per ricostruireil futuro. Laura Badaracchi

Distribuzione di vestiarioin un centro Caritasdi Milano. Sotto: unacasa di accoglienzaa Catona (Rc)e l’emporio di Prato.

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La funzione della Caritas italiana, co-me viene ricordato nello Statuto, an-che nello scenario internazionale è

«prevalentemente pedagogica». Vale a direche lavora per educare alla solidarietà, perdiffondere comportamenti e stili di vita im-prontati al dono di sé, al coinvolgimento siaverso il vicino di casa come sui grandi pro-blemi del mondo. Un intervento sulle po-vertà che non prescinde mai dalla cono-scenza delle cause e dall’impegno a interve-nire su di esse per rimuoverle. Questi sonoi concetti fondamentali per presentare lo“stile Caritas” così come è stato vissuto nel-la sua quarantennale esperienza negli ampie complessi contesti internazionali.

La prima pedagogia consiste spessonel cambiare la «generosità emotiva» chenasce da una emergenza, in due direzioni: laconoscenza, nel senso di passare dalla per-cezione iniziale di un problema al contestocomplessivo in cui si colloca; la continuità,cioè il superare gesti occasionali ed episodi-ci per stabilire contatti stabili, collegarsi adaltre persone impegnate, costruire amiciziee alleanze. Nelle emergenze naturali (terre-moti, alluvioni...) o provocate dall’uomo(guerre, esodi di profughi...), un interventoben organizzato può salvare migliaia di vite

umane. Tutti questi scenari, dal Sudan adHaiti, dall’Asia centrale fino alla recente gra-ve crisi alimentare nel Corno d’Africa, inter-rogano le nostre coscienze: non bastano isoccorsi internazionali, ma occorre unosforzo più in profondità, che lavori sulla pre-venzione e sulla denuncia delle responsabili-tà, dirette e indirette.

Con l’esperienza, la Caritas italiana haricavato alcuni criteri di interventonelle emergenze internazionali. Con

il tempo, la sua linea di azione si è articolatain più punti che sinteticamente riproponia-mo. Innanzitutto non bisogna pensare sol-tanto alla prima emergenza. L’intervento disolidarietà non si esaurisce in questa fase,ma continua nel tempo, tenendo presentegli effetti diretti e indotti nel lungo periodo.

In secondo luogo occorre pensare be-ne alla destinazione dei fondi e delle risor-se. Occorre evitare il concentrarsi sullo stes-so territorio e nelle stesse settimane, soloper il fatto che sono accesi i riflettori dei me-dia. Inoltre è importante lo stile di presenza:l’ostentazione di mezzi ultramoderni o un li-vello di vita più adatto a una vacanza che aun intervento di soccorso sono gravi con-tro-testimonianze.

Il manifesto che invitaalla colletta

in favore del Cornod’Africa. Sopra: don

Vittorio Nozza portaaiuti in Indonesia.

ARC

HIV

IOC

ARI

TAS

ITA

LIA

NA

Non solo rispostaall’emergenza, ma

collaborazionecon gli organismilocali per fare da

accompagnamentonella ricostruzione

e nello sviluppo.I progetti, ormai

diffusi in tuttoil mondo, creanoun ponte stabile

tra i popolie i continenti.

L’impegno internazionale:i caschi bianchi della pace

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Un’altra attenzione fondamentale è ilricorso alle controparti locali, cioè a coloroche saranno i protagonisti dell’auspicabile ri-presa. Occorre tenere conto del contestoin cui si opera, non soppiantare le strutturelocali, ma sostenerle per un tempo definito.Una quinta linea guida riguarda il cosiddet-to «approccio di area»: l’organismo che in-terviene deve tener conto del complessodispiegarsi dell’emergenza, per evitare con-centrazioni – e quindi squilibri – e per potercogliere l’evoluzione dell’emergenza stessanelle regioni o nei Paesi vicini.

Un altro aspetto da tener presente èil coordinamento. La generosità improvvisa-ta di singoli o piccoli gruppi non adeguata-mente preparati alimenta situazioni di con-fusione e di sperequazione. E, infine, grandeattenzione va posta sul modo di interveni-re: non è solo importante “quanto” si è fat-to, ma anche “come” ci si è posti a servizio.

Per tornare alla dimensione pedagogi-ca, c’è da chiedersi anche come si èconcretizzata, soprattutto nell’ulti-

mo decennio, l’azione educativa della Cari-tas italiana. I criteri sopra enumerati si sonotradotti, negli anni, in modo intenso e ricco,nella cura dei rapporti con le Chiese sorellein situazioni di difficoltà, un’azione che hatrovato il modo di esprimersi con la formu-la dei rapporti solidali e con i gemellaggi,cioè cammini di accompagnamento in variambiti, con specifiche progettualità e intempi generalmente lunghi.

Questi rapporti solidali sono risultati

essere ragione di crescita e di cambiamen-to sia per le Chiese diocesane in Italia chehanno vissuto tali esperienze come motivodi verifica della propria pastorale; sia per leCaritas diocesane, alle quali hanno provoca-to una migliore configurazione dell’organi-smo, con il passaggio da una carità fatta disole cose a una carità fatta di attenzione ecoinvolgimento. Ma questi rapporti sonostati positivi, anche e forse soprattutto, perle Chiese sorelle e per le altre realtà dei ter-ritori in cui si è realizzata una presenza di ac-compagnamento di tutta una serie di pro-gettualità.

Una figura chiave degli interventi èl’animatore. Abbiamo sperimentato quantosia fondamentale la testimonianza della cari-tà offerta in prima persona da chi è in con-tatto diretto con le persone e le situazioni.Il significato di questa figura può essere rias-sunto con la preghiera con cui Graziella Fu-magalli, medico della Caritas italiana in servi-zio in Somalia e lì uccisa nel 1995, amavaconcludere le sue giornate di lavoro, sul ter-razzo dell’ospedale: «Glorifichiamo Diocon le nostre opere». Siamo certi che pagòcon la vita per la sua inflessibile onestà, ilsuo senso di giustizia e il suo amore per ipiù sofferenti tra i sofferenti, valori ai quali siera consacrata sin da giovane e che l’aveva-no ispirata anche nel suo ultimo incarico inSomalia. E quanto detto sopra, come formae stile di presenza in territori i più diversi e ipiù disastrati, mette anche in conto che lacostruzione della solidarietà può esserecontrastata, ostacolata in modo anche vio-

Una volontaria ad Haiti.Sotto: operatori Caritasappena giuntinel Paese distrutto.In alto: una donnasomala in un campoper rifugiati in Kenya.

ARCHIVIO CARITAS ITALIANA

L. SHEAHEN/CATHOLIC RELIEF SERVICES

ARCHIVIO CARITAS ITALIANA

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lento. Si può pagare con la vita il proprio im-pegno e la propria dedizione verso i piùsvantaggiati della terra.

Lo abbiamo visto in questi quarantaanni di progetti. Non è facile riassumerequanta concretezza si nasconde dietro le af-fermazioni appena dette. Non c’è emergen-za mondiale che, dal 1971 a oggi, non abbiavisto la presenza di Caritas italiana, primacome iniziatrice, ispiratrice e fonte di infor-mazione per le comunità cristiane e poi co-me elemento di coordinazione e di anima-zione per le Caritas diocesane.

Nel primo decennio l’elemento carat-teristico – non unico – è stato quel-lo delle microrealizzazioni, o micro-

progetti, piccoli interventi mirati a sostene-re precisi bisogni di comunità minori. Sonostati il primo lievito di solidarietà di moltecomunità italiane e tuttora – ne sono stati fi-nanziati più di 13 mila – sono una parte con-siderevole dell’azione Caritas.

Gli anni Ottanta vedono il consolidar-si delle Caritas diocesane e una loro mag-gior partecipazione agli interventi nelle gran-di emergenze. Gli anni Novanta generano iprimi strumenti pastorali veri e propri, qualil’inizio dei rapporti solidali tra Caritas dioce-sane e Chiese sorelle di molti Paesi del mon-do e la partenza dei primi espatriati. Nell’ulti-mo decennio prende corpo un maggior sen-so di animazione, sia attraverso la produzio-ne di opuscoli e libri, sia con il rafforzamen-to del servizio civile per i giovani, con la par-tenza di oltre 200 caschi bianchi e una mag-gior presenza di espatriati nelle grandi emer-genze. Praticamente tutti i Paesi del mondosono stati beneficiati, anche i più difficili, co-me la Cina, Myanmar o la Corea del Nord;in molti si è aiutata la nascita e il potenzia-mento delle Caritas nazionali, dall’Iran all’Al-geria a molti Paesi dell’Est Europa.

Sono migliaia i progetti di sviluppo intutti gli ambiti, sociali ed economici, che lagenerosità di tanta gente ha permesso direalizzare e si possono tradurre in una cifra:nell’ultimo decennio, sono stati spesi in tut-to il mondo oltre 120 milioni di euro. Co-me appare chiaramente, la storia della soli-darietà non si ferma. Paolo Beccegato

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DOSSIER

Occorrerà lavorare intensamente, an-cora di più di quanto non si stia giàfacendo, per arricchire di memoria,

fedeltà e futuro, l’essere, il fare e l’agire delleCaritas. Sulla base di ciò è opportuno indivi-duare la direzione, il senso da dare all’opera-re delle Caritas e le sfide in risposta alle qualiprogettare cammini futuri e azioni concretesu cui articolare un modo fedele e semprenuovo di essere per «l’organismo pastoralecostituito al fine di promuovere la testimo-nianza della carità della comunità ecclesiale».

Innanzitutto bisognerà “piantar ten-de” ovunque e sviluppare la prevalente fun-zione pedagogica. In quest’ottica le Caritasdiocesane e parrocchiali sono chiamate a da-re il loro contributo, soprattutto in riferimen-to alla conoscenza dei linguaggi della moder-nità e alla capacità di utilizzare i loro stru-menti pastorali per conoscere e studiare lasocietà, per promuovere e animare l’agiresociale e culturale. Si tratta di salvaguardareil «carattere di itineranza» delle Caritas neilinguaggi della modernità, nei territori e nel-le comunità ecclesiali. Non è possibile fer-marsi alla sola prospettiva dell’assistenza edel servizio. L’emersione della prevalentefunzione pedagogica dall’interno della vita edell’impegno delle Caritas è il nodo che necaratterizza l’essere, prima ancora del fare.

Una fatica resa tale anche dal profilo alto ein qualche misura difficile della proposta ditestimonianza della carità di cui Caritas èportatrice e che, in questi anni, non sempreha trovato terreno fertile. Alla fine, il nodo ri-corrente – destinato a stimolare le Caritasnegli anni a venire – è proprio il coniugare in-sieme servizio, intervento e azione pedago-gica, così che se ne evidenzi la specificità sen-za alimentarne la separatezza. Appare priori-tario continuare ad agire per impastare cari-tà e cultura, spiritualità e competenze socio-pastorali, far crescere il carattere di “itineran-za” delle Caritas: «di luogo in luogo», «ditempo in tempo», «di bisogno in bisogno»,«di campanello in campanello».

Occorre poi sviluppare il senso dellamisura e trasformare il fare delle opere in agi-re. Non è raro che anche le Caritas diocesa-ne manifestino ancora una percezione delproprio mandato più orientata a gestire e fa-re, che ad agire, promuovere e animare.«Opere segno» e servizi rischiano così di as-sorbire nella loro promozione e gestionemolta parte delle energie. Negli ultimi anni,provocati dai sempre più numerosi bisogni edalla contrazione delle politiche sociali, sonocresciuti i servizi e le opere, pur nella diversi-tà dei modelli gestionali adottati. L’interroga-tivo, che accompagna questa fatica nella pre-

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Una donna anziananella Casa della Carità,a Milano. In alto: Messanell’ostello di Roma.

Educare alla caritàsfida permanente

Nei prossimi annioccorre continuaread agire per“impastare”carità e cultura,spiritualitàe competenze.Per essere sempredi più all’altezzadel propriocompito: animarela caritànella comunitàecclesiale.

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La copertina dell’ultimaricerca pubblicata

dalla Caritas italiana edalla Fondazione

Zancan sulla povertà.Sotto: Famiglie romsfrattate e accolte

nella struttura Caritasdi Tor Fiscale, a Roma.

sa in considerazione della vita dei poveri, èquanto in essi emerga la forza della prevalen-te funzione pedagogica come un “di più” ocome elemento caratterizzante. Sollecitatida povertà e ingiustizie sempre più gravi e ur-genti, si rischia di dimenticare che i poveri –e non i servizi –, l’amore – e non le prestazio-ni –, sono i luoghi attraverso cui Dio parla eprovoca il mondo. E che all’organismo pasto-rale Caritas è chiesto di costruire ponti so-prattutto tra Dio, che parla e si impone attra-verso i poveri, e la comunità e il territorio.

Bisogna insistere sul tema centraledella qualificazione e fedeltà al cari-sma dei molteplici servizi. In questa

prospettiva appare prioritario: educare epromuovere scelte di essenzialità e di po-vertà; operare per accompagnare e curarel’essere e l’agire delle Caritas diocesane eparrocchiali, in particolare le più deboli; ope-rare per promuovere, animare e accompa-gnare le Caritas parrocchiali, il volontariato,gli operatori e animatori della carità, le espe-rienze di servizio educanti per i giovani, lescelte e gli stili di vita personali e comunita-ri, le strutture e gli strumenti pastorali essen-ziali. Inoltre va ricordato che la comunità e ilterritorio sono senza dubbio uno snodofondamentale del futuro dell’azione delleCaritas. Curando la dimensione parrocchia-le è chiara la necessità di coltivare e abitaresempre più e meglio il territorio.

È nel territorio che sono presenti i de-stinatari privilegiati dell’agire della Caritas: lacomunità, i poveri e le istituzioni. È nel terri-torio che si manifesta la specifica capacitàeducativa delle Caritas. Un luogo comples-so ma fondamentale che, però, sembra pre-sentare più di una criticità: chiusure, disinte-ressi, superficialità, lontananze, presunte suf-ficienze. La cura sta, forse, nel buon funzio-namento dei legami, delle reti di operativitàtra Caritas diocesane, parrocchiali e istitu-zioni. A tale riguardo è fondamentale cheogni Caritas diocesana si prenda a cuore lapromozione e la cura degli strumenti pasto-rali del suo essere e del suo agire nel territo-rio: il Centro di ascolto, l’Osservatorio dellepovertà e delle risorse e il Laboratorio dio-cesano per la promozione e l’accompagna-

mento delle Caritas parrocchiali. Certamen-te alcune tematiche e problematiche sonomeno facilmente trasferibili nelle comunità,come ad esempio l’educazione alla mondia-lità, ma anche la promozione di elementi distili di vita o di retta percezione dei fenome-ni micro e macro che ci circondano. Al ri-guardo sarà opportuno intensificare lo svi-luppo di percorsi di educazione e animazio-ne che abbiano connotazioni di concretez-za sperimentabile, come i gemellaggi con si-tuazioni a rischio in altre parti del mondo, leazioni di conoscenza e informazione, l’ac-compagnamento delle comunità al serviziopossibile, la costruzione di connessioni tramondialità e immigrazione, l’aggancio dei ra-gazzi – magari anche attraverso la scuola –per offrire loro opportunità di riflessione eimpegno per il futuro sui temi forti della pa-ce, dei diritti, dell’ambiente...

Frequentare il territorio, ma anche ilconfine. Ovvero agire per sviluppare caritànella verità. Le Caritas sono realtà di confi-ne: per natura abitano due Paesi, hannodoppia cittadinanza, stanno dentro e guar-dano fuori. È il coraggio di «trasformare iconfini in ponti», in luoghi di passaggio, inoccasioni per ritessere storie di esistenza ecammini di socialità, di vita buona secondo

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il Vangelo. Il tema del confine rimanda aquello della responsabilità che, a sua volta,impegna nella costruzione della cittadinan-za che presuppone e genera al contempol’ethos e la dimensione del dono e della gra-tuità. Una dimensione profonda che inter-pella in molte aree la vita delle Caritas. Inquest’ottica vanno privilegiate idee forti, co-me innanzitutto l’accompagnamento deimondi giovanili e le progettualità che mira-no a coinvolgerli aprendo a forme nuove dicollaborazione e di buoni rapporti intraec-clesiali in percorsi complessivi, capaci di coa-gulare tappe diverse e proposte differentiintorno al tema dell’oblatività, moltiplican-do le opportunità di vivere la comune voca-zione cristiana al servizio e al servire.

Un altro ambito di responsabilità èl’accompagnamento dei mondi del volonta-riato, come ganglio nodale da promuoveree recuperare in tutto il suo spessore, pur incontesti di vita fortemente cambiati, enell’impegno delle prassi delle Caritas. Pras-si che hanno visto le Caritas in prima lineanella promozione dell’esperienza dei volon-tari ma che, con il passare degli anni e il mu-tare dei contesti di vita, ha accusato battutedi rallentamento. Quei mondi del volonta-riato che, con la loro valenza educativa e

con la loro intrinseca capacità di preveniree anticipare situazioni, sono un attore edu-cativo di prim’ordine alla vita cristiana anzi-tutto e alla genuinità dell’esperienza umana.

Favorire il passaggio del testimone, ov-vero promuovere un tessuto socialecoeso, è un’altra delle sfide che ci at-

tendono. Agire per esserci e per farci esse-re altri, l’intera comunità. Occorre sviluppa-re comunione e incoraggiare testimonianzacostruendo un rapporto di fiducia e di sti-molo critico fra quanti, nella comunità, assu-mono un ruolo di servizio, di animazione ca-ritativo, sociale e politico e la comunità stes-sa in tutte le sue espressioni. Un aspettoparticolarmente significativo per l’attivitàdelle Caritas diocesane e parrocchiali èquello relativo all’osmosi tra l’annuncio del-la Parola, la celebrazione dei Sacramenti e ilservizio della Carità. È un nodo rilevante so-prattutto se riferito al servizio che, in termi-ni di animazione, formazione e accompa-gnamento, le Caritas diocesane sono chia-mate a rendere alle comunità parrocchiali eai loro territori perché le comunità cristianesiano «compiutamente se stesse».

«La parrocchia rappresenta la comuni-tà educante più completa in ordine alla fe-de. Mediante l’evangelizzazione e la cate-chesi, la liturgia e la preghiera, la vita di co-munione nella carità, essa offre gli elementiessenziali del cammino del credente versola pienezza della vita in Cristo», si legge al n.39 del documento Educare alla vita buonadel Vangelo. Eppure, trovare tempi e modali-tà per costruire tali prassi sembra rappre-sentare una considerevole fatica per le Cari-tas diocesane. Alle Caritas è richiesta una te-stimonianza di Chiesa, capace di portare laParola e l’Eucaristia nelle situazioni, e le si-tuazioni all’altare della Parola e dell’Eucari-stia. In questo senso i percorsi educativi pos-sono rappresentare anche un’occasione im-portante di coagulo e di osmosi tra le tre di-mensioni ecclesiali, oltre che rappresenta-re, per la Chiesa, una importante sfida sulpiano culturale.

È il caso specifico del metodo ascolta-re, osservare, discernere per animare che – sal-damente fondato nella tradizione conciliare

P. FERRARI/PERIODICI SAN PAOLO

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Dall’alto: una mensaa Sassari e l’iniziativa“Spazzolino time”,pensata dalla Caritasdi Caltanissetta.Sotto: le casettein legno per iterremotati dell’Umbria.

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– non entra in collisione con altri ambiti eprospettive delle Chiese locali, ma può esse-re positivamente sinergizzato.

Questa strada chiede e provoca lamessa in atto di alcuni percorsi edu-cativi per salvaguardare e assicurare«l’esserci per farci essere altri», per

garantire il «passaggio del mantello» dell’ani-mazione alla testimonianza comunitaria del-la carità, dalla Caritas all’intera comunità ec-clesiale e territoriale: la scelta pastorale del-le relazioni; l’uso dei beni e l’assunzione del-la gratuità nella vita personale e comunita-ria; l’andare alla scuola dei poveri per impa-rare a umanizzare la vita; il ritorno alla parte-cipazione e alla corresponsabilità; la promo-zione dell’interculturalità e la crescita di nuo-vi stili e scelte di vita. Ancora, bisogna svilup-pare l’impegno a camminare verso grandimete. È tempo di lasciarci afferrare dallo Spi-rito per frequentare una pluralità di “luoghi”nei “deserti” dei nostri territori e per rende-re visibile l’agire di Dio nell’opera di testimo-nianza perché «vedano le vostre opere buo-ne e rendano gloria a Dio che è nei cieli»(Mt 5,16). Ciò chiede di assumere, in modoconvinto e continuativo, l’impegno a supera-re la facile autoreferenzialità, il trascinamen-to a volte stanco dentro prassi e progettuali-tà, la ripetitività di riflessioni povere di fanta-sia e profezia, la cronicizzazione di dinami-che e prassi, la fatica a mettersi a servizio del-la bontà e della bellezza di tutte le opere dicarità della Chiesa per curarne l’ecclesialità.

Infine servono opere che siano “se-gno”, e della Parola e dell’Eucaristia e della

Carità di Dio. La paura, l’insicurezza, la sfidu-cia, l’abbandono si vincono solo guardandoa mete grandi, ardue, ma possibili. Occorro-no testimoni di speranza, uomini e donnecapaci di pensare in grande e di agire nel pic-colo della ferialità, di osare per una metabella e alta, di pagare il prezzo anche a livel-lo personale per il conseguimento di un fi-ne che valga la pena. Come scrive Benedet-to XVI nella Spe salvi: «Il presente, anche unpresente faticoso, può essere vissuto e ac-cettato se conduce verso una meta e se diquesta meta noi possiamo essere sicuri, sequesta meta è così grande da giustificare lafatica del cammino». Vittorio Nozza

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La fila davantia una mensa

a Roma. Sotto: anzianigiocano a tombola

nei locali della Casadella carità, a Milano,fondata dal direttorestorico della Caritas

ambrosiana, donVirginio Colmegna.

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Negli ultimi anni si è andata afferman-do una cultura che potremmo defi-nire «dell’egoismo». Monsignor

Giuseppe Merisi parla di «individualismo ededonismo in un clima di secolarizzazione».Come vescovo di Lodi, presidente dellaCommissione episcopale per il servizio del-la Carità e la salute e presidente di Caritasitaliana, è impegnato in prima persona acontrastare questa mentalità. «La Caritas»,sottolinea, «è organismo pastorale della co-munità cristiana e si pone di fronte a questaderiva con l’impegno della testimonianzache nasce dal Vangelo e che parla di ascoltodella Parola e di dedizione per il bene deglialtri a partire dagli ultimi. Il n. 39 degli Orien-tamenti pastorali dei vescovi italiani sul temadell’educare, parlando di “pedagogia dei fat-ti”, chiede che le nuove generazioni venga-no aiutate a orientarsi verso l’amore,sull’esempio di Gesù, anche attraverso ini-

ziative di gratuità e di volontariato nei cam-pi della solidarietà e del servizio».

Si dice che carità fa rima con giustizia...«Più che parlare di rima parlerei di du-

plice appello alla responsabilità di chi saguardare agli altri con occhio buono e giu-sto. Il Magistero sociale della Chiesa, ultima-mente con le encicliche di papa BenedettoXVI, ci aiuta a pensare e ad agire con capaci-tà di amore e di solidarietà, nel rispetto del-la distinzione fra ecclesiale e civile, mai peròcon il cuore diviso, sapendo che la societàcivile deve proporsi obiettivi di giustizia e diequanimità, con attenzione prioritaria ver-so i meno favoriti e che la comunità cristia-na, per sé ogni persona dotata di coscienzavigile, deve vivere ogni scelta con la capaci-tà di amore che viene dal Vangelo».

Quali sono le sfide dei prossimi anni?«Sono tante le sfide di questo no-

stro tempo a cui Caritas italiana e le Cari-tas diocesane tentano di rispondere dall’in-terno della comunità ecclesiale, con le “an-tenne” costituite dagli osservatori delle po-vertà e dai centri di ascolto diffusi su tuttoil territorio nazionale. Cito la crisi finanzia-ria ed economica con la necessità di rispo-ste anche strutturali che modifichino i mo-delli di sviluppo della società nella globaliz-zazione che va governata con senso di de-mocrazia e di solidarietà. Cito il camminodell’Europa che deve fare un salto di quali-tà nella direzione di una comune politicaeconomica. Cito, in altro campo, l’esigen-za di maggior coordinamento fra le realtàimpegnate nel volontariato, soprattutto intempi difficili come gli attuali. Cito ancorail tema della formazione giustamente rac-comandato dai nostri vescovi nel decen-nio sull’educare. E all’interno della comuni-tà cristiana l’esigenza che la Caritas sia pre-sente in ogni parrocchia almeno con un

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Immigrazione,povertà, educazionedelle nuovegenerazioni.Il presidente diCaritas italiana,monsignor GiuseppeMerisi, insistesull’impegnofondamentaleper orientareal bene le personee le comunità.

Una mensa per senzafissa dimora apertain Spagna. A destra:il presidentedella RepubblicaGiorgio Napolitanocon monsignor GiuseppeMerisi, presidentedella Caritas italiana.

Amore per gli ultimiimpegno da rilanciare

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animatore parrocchiale. I temi del quotidia-no impegno sulle antiche e nuove povertà(in primo piano l’immigrazione), con la pre-senza diffusa sul territorio, sempre nel ri-spetto delle diverse responsabilità, trove-ranno più facilmente soluzione o positivoorientamento se tutti si impegneranno a fa-re spazio, nella propria vita, all’ascolto deipoveri e degli ultimi».

Ha parlato di immigrazione. Lei è statoanche a Lampedusa. Cosa si chiede alla comu-nità cristiana riguardo a questo fenomeno?

«A Lampedusa ci sono tutti i drammiche conosciamo e per i quali ci sentiamo vi-cini a quella comunità e a tutta la diocesi diAgrigento, con l’arcivescovo monsignorMontenegro, già presidente di Caritas italia-na. A tutte le comunità cristiane italianechiediamo attenzione, accoglienza nella le-galità, impegno per l’integrazione con i dirit-ti e i doveri connessi, nel rispetto delle re-sponsabilità delle istituzioni ma con capacitàdi testimonianza e di parresìa evangelica».

Sulla crisi economica: quale impegno equali suggerimenti alla politica?

«È stato detto autorevolmente che lacrisi, insieme con i provvedimenti congiun-turali necessari, chiede riflessione e alla finecambiamento dei modelli di sviluppo pre-senti nella nostra vita economica e sociale.Ai responsabili della vita politica ed econo-mica chiediamo, con tutto ciò che da molteparti viene richiesto, anche una riflessioneche aiuti a guardare in modo profetico ver-so il futuro a partire dal terzo capitolodell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in ve-

ritate, che parla di fraternità e di dono an-che dentro la trama dei rapporti e dei luo-ghi della decisione operativa».

Un organismo come la Caritas riesce acoinvolgere i giovani nelle sue attività?

«A tutti i livelli territoriali si sta riflet-tendo sull’impegno dei giovani a partire dalcapitolo degli Orientamenti pastorali che hocitato. Se penso alla Giornata mondiale del-la gioventù di Madrid e all’entusiasmo deigiovani, credo che non sia difficile proporreai ragazzi delle nostre comunità orizzonti diimpegno nei campi della solidarietà e dellagratuità. Siamo ancora nell’Anno europeodel volontariato che speriamo possa con-sentire qualche maggior coordinamento,appunto europeo, fra e nei confronti delleiniziative volontarie di solidarietà. In ogni ca-so a tutti i livelli ecclesiali, Caritas e aggrega-zioni di ispirazione cristiana sono impegna-te ad accogliere e a orientare le giovani ge-nerazioni aiutandole a fare della attenzionenei confronti degli altri una legge di vita ali-mentata dal Vangelo».

Cosa si augura in occasione di questiprimi quarant’anni?

«Che l’udienza del Papa del 24 no-vembre, che conclude le celebrazioni, pos-sa rinnovare e rilanciare l’impegno a favoredei poveri e degli ultimi aiutando tutte le co-munità a misurare con l’amore vero la pro-pria appartenenza ecclesiale, tanto più intempi come i nostri in cui siamo invitati giu-stamente all’impegno di “nuova evangelizza-zione” in questi nostri territori di antica tra-dizione cristiana». Annachiara Valle

Per saperne di più sulle attività dellaCaritas basta consultare il sito

internet, all’indirizzo www.caritasita-liana.it, aggiornato quotidianamente.Tra le altre pubblicazioni segnaliamo,insieme con il Centro europeo risorseumane, l’esperienza di produzione conMultimedia San Paolo di audiolibri,nella collana Phonostorie (libro+cd ),dedicati a testimoni della carità e dellagiustizia nel ventesimo secolo. Tra lepubblicazioni principali ci sono: ItaliaCaritas, la rivista nazionale, diffusa incirca 35 mila copie; la Newsletter,con informazioni sui progetti promossiin ambito internazionale; Informacari-tas, il quindicinale scaricabile dall’areariservata del sito di Caritas italiana.Tra i programmi radio, Fatti prossimi,settimanale radiofonico di Caritasitaliana, in onda su Radio inBlu eriascoltabile sul sito di Caritas italiana.Ancora su internet www.conflittidi-menticati.it, strumento di informazio-ne realizzato assieme a Pax Christi enato in continuità con le tre ricerche,curate da Caritas italiana, sui conflitti“dimenticati”; www.esseciblog.it,blog del Tavolo ecclesiale sul serviziocivile, giunto al suo sesto anno di vita eincentrato sull’informazione rivolta aigiovani e alle realtà interessate alServizio civile nazionale.

Tra i sussidi, presentati in manie-ra approfondita sul sito ufficiale, sonoda segnalare quelli sull’Avvento-Natalee sulla Quaresima-Pasqua (EdizioniCittà Nuova). Sono inoltre diventatistrumenti attesi e apprezzati il Dos-sier statistico sull’immigrazione(Caritas italiana, Caritas di Roma eFondazione Migrantes), giunto alla21ª edizione e il Rapporto su pover-tà ed esclusione sociale in Italia,pubblicato dal 1996 da Caritas italia-na e Fondazione Zancan. �

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