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In questo numero: Poesia Satira Arte Periodico della parrocchia San Bernardino Realino in Lecce 7 25 Dicembre 2008 Carissimi, con domenica 30 novembre abbiamo dato inizio al nuovo anno liturgico parrocchiale guidato, come da consuetudine, dalla lettera pastorale del nostro Arcivescovo, che quest’anno ha come titolo: “Il Battesimo porta della fede”. Nel documento il Vescovo esorta noi tutti alla: “riscoperta del nostro Battesimo, …alla riscoperta della fede, …che porta a tre risultati visibili: la preghiera, la messa domenicale, la testimonianza di carità”. Tale sollecitazione ci sprona a dare al nostro Natale una nuova impronta programmatica ed esistenziale in dissonanza con la consuetudine del mondo consumistico. Se riuscissimo in questo tempo di grazia a riscoprire la gioia della preghiera cristiana, sia semplice che supportata dalla Parola di Dio, scopriremmo il Mistero dell’Incarnazione nella sua grandezza e complessità. Con l’adesione a Dio di una ragazzina, Maria, che rischiava la lapidazione, il tormento angosciante di un uomo, Giuseppe, che non sa come liberarsi di una ragazza, promessa sposa, non più illibata. Il rifiuto dei locali di Betlemme, nati per accogliere e ospitare, che non hanno posto per una coppia con una gestante che necessita di cure. La pretesa dei pastori ai margini della opulenta società di credere all’invito: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”, un Salvatore, il Signore, impotente e vulnerabile come un bimbo necessita di cure senza casa e confort. Talmente euforici che divenendo i primi missionari del Verbo di Dio “tutti quelli che udirono si stupirono delle cose che i pastori dicevano”. Se riuscissimo in questo tempo di grazia a riscoprire la gioia della domenica nella sua massima espressione, la Messa, dove Dio si rende pane e nutrimento per la nostra salvezza. Un Dio presente nell’Ostia così friabile e vulnerabile da essere posta sulle nostre mani potenti, così da poterla gestire a nostro piacimento. Un Dio che si fida di noi e chiede di mangiarlo “prendete e mangiatene questo è il mio corpo” superando le leggi della ragione umana. Un Dio che invita alla sua Mensa senza obbligo di firma o di obliterazione di nessun tesserino di appartenenza, ricordandoci che siamo suoi figli e fratelli tra di noi, dove ogni domenica ripropone instancabilmente l’offerta di se:“sono venuto per i peccatori”. Se riuscissimo in questo tempo di grazia a riscoprire la testimonianza di carità: “Amerai il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso”costituisce il distintivo di ogni battezzato ed è la regola di vita, alla quale dobbiamo uniformare i nostri comportamenti, ci ricorda il nostro Vescovo. Lo scandalo persiste nel percorso tortuoso di Dio che chiede stili di vita irraggiungibili dove l’Amore contrasta col profitto, l’efficienza che non rispetta la persona, l’individualismo, l’originalità dell’offerta ecc., che il mondo di oggi affannosamente insegue e propone nello scintillio fioco dei maquillage come piena realizzazione. Dove il debole, l’ultimo, l’emarginato, il povero, l’ammalato che sono improduttivi divengono scomodi, di peso e contrastano di netto con la perfezione maniacale dei ritocchi estetici per una eternità di immagine che ha perso in se l’immagine di Dio. Lo scandalo persiste nel percorso tortuoso di Dio che sceglie di scuoterci: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, cioè l’attenzione agli ultimi. Cara comunità di San Bernardino il tempo di Natale può essere tempo di grazia se assume una connotazione veramente nuova, se vissuta con questi presupposti dove la preghiera, la messa domenicale, la testimonianza di carità, divenendo risultati visibili della riscoperta del battesimo e della fede, danno così nuovo sapore alla quotidianità. FELICE NATALE CARA COMUNITA’. don Michele Felice Natale, cara comunità

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Poesia Satira Arte Periodico della parrocchia San Bernardino Realino in Lecce N° 7 In questo numero: 1 Gennaio 2009: 42° Giornata Mondiale della Pace Fuecu nesciu 7 pg 2 LA CARITA’, IL TESSUTO CRISTIANO Fuecu nesciu 7 pg 3

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In questo numero:

PoesiaSatiraArte

Periodicodella parrocchia SanBernardinoRealino in Lecce

N° 725 Dicembre

2008

Carissimi, con domenica 30 novembre abbiamo dato inizio al nuovo anno liturgico parrocchiale guidato, come da consuetudine, dalla lettera pastorale del nostro Arcivescovo, che quest’anno ha come titolo: “Il Battesimo porta della fede”. Nel documento il Vescovo esorta noi tutti alla: “riscoperta del nostro Battesimo, …alla riscoperta della fede, …che porta a tre risultati visibili: la preghiera, la messa domenicale, la testimonianza di carità”. Tale sollecitazione ci sprona a dare al nostro Natale una nuova impronta programmatica ed esistenziale in dissonanza con la consuetudine del mondo consumistico. Se riuscissimo in questo tempo di grazia a riscoprire la gioia della preghiera cristiana, sia semplice che supportata dalla Parola di Dio, scopriremmo il Mistero dell’Incarnazione nella sua grandezza e complessità. Con l’adesione a Dio di una ragazzina, Maria, che rischiava la lapidazione, il tormento angosciante di un uomo, Giuseppe, che non sa come liberarsi di una ragazza, promessa sposa, non più illibata. Il rifi uto dei locali di Betlemme, nati per accogliere e ospitare, che non hanno posto per una coppia con una gestante che necessita di cure. La pretesa dei pastori ai margini della opulenta società di credere all’invito: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”, un Salvatore, il Signore, impotente e vulnerabile come un bimbo necessita di cure senza casa e confort. Talmente euforici che divenendo i primi missionari del Verbo di Dio “tutti quelli che udirono si stupirono delle cose che i pastori dicevano”. Se riuscissimo in questo tempo di grazia a riscoprire la gioia della domenica nella sua massima espressione, la Messa, dove Dio si rende pane e nutrimento per la nostra salvezza. Un Dio presente nell’Ostia così friabile e vulnerabile da essere posta sulle nostre mani potenti, così da poterla gestire a nostro piacimento. Un Dio che si fi da di noi e chiede di mangiarlo “prendete e mangiatene questo è il mio corpo” superando le leggi della ragione umana. Un Dio che invita alla sua Mensa senza obbligo di fi rma o di obliterazione di nessun tesserino di appartenenza, ricordandoci che siamo suoi fi gli e fratelli tra di noi, dove ogni domenica ripropone instancabilmente l’off erta di se:“sono venuto per i peccatori”. Se riuscissimo in questo tempo di grazia a riscoprire la testimonianza di carità: “Amerai il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso”costituisce il distintivo di ogni battezzato ed è la regola di vita, alla quale dobbiamo uniformare i nostri comportamenti, ci ricorda il nostro Vescovo. Lo scandalo persiste nel percorso tortuoso di Dio che chiede stili di vita irraggiungibili dove l’Amore contrasta col profi tto, l’effi cienza che non rispetta la persona, l’individualismo, l’originalità dell’off erta ecc., che il mondo di oggi aff annosamente insegue e propone nello scintillio fi oco dei maquillage come piena realizzazione. Dove il debole, l’ultimo, l’emarginato, il povero, l’ammalato che sono improduttivi divengono scomodi, di peso e contrastano di netto con la perfezione maniacale dei ritocchi estetici per una eternità di immagine che ha perso in se l’immagine di Dio. Lo scandalo persiste nel percorso tortuoso di Dio che sceglie di scuoterci: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, cioè l’attenzione agli ultimi. Cara comunità di San Bernardino il tempo di Natale può essere tempo di grazia se assume una connotazione veramente nuova, se vissuta con questi presupposti dove la preghiera, la messa domenicale, la testimonianza di carità, divenendo risultati visibili della riscoperta del battesimo e della fede, danno così nuovo sapore alla quotidianità. FELICE NATALE CARA COMUNITA’. don Michele

Felice Natale, cara comunità

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La Domenica è il giorno del Signore, non è solo la memoria di un evento passato, la Risurrezione di Cri-sto, ma è la celebrazione della viva presenza del Risorto in mezzo a noi. Per noi cattolici non è più domenica senza la partecipazione alla Santa Messa, essa non è un dovere e nemmeno un obbligo, ma una necessità, un bisogno interiore che il cristiano, in quanto battezzato, sente di vivere non solo come persona, ma anche come famiglia di Dio. Non possiamo vivere il cristianesimo da soli, né possiamo diventare cristiani da autodidatti; la fede non può essere appresa dai libri, essa deve essere vissuta e sperimentata nella comunità dei credenti. Il cristiano rinato dall’acqua del Battesimo deve riscoprire la sua identità cristiana, perché, come afferma San Cirillo di Gerusalemme, con il Battesimo noi siamo diventati fedeli: fedeli a Dio che ci ha chiamati alla comunio-ne del Suo Figlio. La Domenica è il giorno dell’incontro con Gesù, Maestro di Verità e di Vita, giorno che deve essere vissuto in pienezza, con la partecipazione alla duplice mensa: quella della Parola e quella del Pane di Vita. Questa partecipazione dovrebbe impegnare ognuno di noi a portare nella quotidianità, cioè in famiglia, nelle relazioni sociali, nelle occasioni di svago, uno stile di vita che faccia emergere la pace e la gioia, testi-moniando il Risorto. L’assemblea domenicale è luogo privilegiato di unità, in essa le famiglie, che sono “chiese domestiche”, partecipano insieme con i fi gli alla mensa della Parola e del Pane di Vita. A tale proposito spetta innanzitutto ai genitori educare i loro fi gli alla partecipazione alla Messa domenicale, aiutati dai catechisti che devono inserire l’iniziazione alla Messa nel cammino formativo dei fanciulli loro affi dati. Non bisogna dimenticare, però che, a volte, ci possono essere dei rischi e dei pericoli che “minacciano” la Domenica. L’esodo della popolazione dalla città per il week-end comporta che un gran numero di cristiani si allontani dalla propria parrocchia. Giovanni Paolo II aveva avvertito tutto ciò a causa dei cambiamenti sociali del nostro tempo, che tendono, a volte, a far perdere il vero signifi cato della Domenica, sostituendolo sia con la fuga nel privato, sia con nuovi riti di massa: lo sport, il turismo, e altro. Si è passati dal “giorno del Signore” al week-end, dal “primo giorno della settimana” al fi ne settimana; nessuna di queste realtà è di per se stessa illegittima, però tutto questo potrebbe causare il pericolo della perdita della dimensione religiosa, il giorno del Signore potrebbe ridursi a semplice giorno dell’uomo. Bisogna cogliere gli aspetti positivi del modo di vivere la Domenica, per valorizzarli e per consentire che i cristiani possano sempre celebrare degnamente il giorno del Signore ed essere testimoni di Cristo Risorto. Nella lettera apostolica Dies Domini leggiamo che la Domenica è anche un nostro diritto, ed è nostro diritto mantenerla con le sue caratteristiche, dobbiamo essere consapevoli che abbiamo ereditato un grande tesoro e dobbiamo metterlo a frutto, mettendo il giorno del Signore al centro della nostra vita e cioè Dio al primo posto. Concetta Baglivo

NON POSSIAMO VIVERE SENZA LA DOMENICA

Nei giorni scorsi è stato presentato il messaggio di Papa Benedetto XVI per la 42° giornata mondiale della pace che sarà il 1° gennaio 2009. Il messaggio di quest’anno, dal titolo “Combattere la povertà, costruire la pace”, è tutto interessato a mostrare, in ogni suo passaggio, come il problema della povertà non sia prima di tutto di ordine economico, cioè quantitativo e materiale, ma sia di ordine morale e perfi no religioso. Capita, infatti, che ci siano povertà profonde anche nelle società ricche. Sottolineando questo, Benedetto XVI, non si riferisce solo alle povertà materiali esistenti anche da noi, ma a quelle spirituali: il disagio, la solitudine, l’angoscia, la mancanza di senso pur in mezzo a mille cose possedute, o forse proprio per questo. E questo vuoto frutto della povertà spirituale è, a sua volta, causa di molte povertà materiali dentro e fuori il nostro mondo. Ulteriori ambiti di preoccupazione che individua il Pontefi ce sono le malattie pandemiche, compresa l’aids, con, a volte, l’irrazionale politica di controllo delle nascite, e l’attuale livello globale di spesa militare. Approfondendo il tema tra disarmo e sviluppo, il Papa ha sottolineato che “le ingenti risorse materiali e umane impiegate per le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto”. Citando la famosa frase di Paola VI “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, Benedetto XVI invita gli stati ad una seria rifl essione sulle più profonde ragioni dei confl itti, spesso accesi dall’ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocritica. Il Papa sottolinea, inoltre, la necessità di un codice etico comune affi nché si abbia una globalizzazione fi nalizzata agli interessi della grande famiglia umana. Secondo il Papa, infatti, “la marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse annesse”. Per questo il Pontefi ce propone una serie di iniziative, tra cui un’integrazione delle economie, e lancia un appello perché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mondiale, evitando esclusioni e marginalizzazione, soprattutto tra i Paese africani. Le politiche marcatamente assistenzialistiche sono all’origine di molti fallimenti nell’aiuto ai Paesi poveri. Investire nella formazione delle persone e sviluppare una specifi ca cultura dell’iniziativa, sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine. Va sgombrato il campo dall’illusione che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera defi nitiva. Il Papa conclude dicendo che “la lotta alla povertà ha bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano”. Nell’attuale mondo globale è sempre più evidente che si costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ragionevole. Papa Benedetto XVI, a conclusione del suo messaggio, all’inizio di un nuovo anno, rivolge un caldo invito ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro

soccorso, perché, afferma il Papa, “resta incontestabilmente vero l’assioma secondo cui combattere la povertà è costruire la pace”. Gabriella Licheri

1 Gennaio 2009: 42° Giornata Mondiale della PaceCombattere la povertà, costruire la pace

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l 10 dicembre 1948, a Ginevra, l’assemblea delle Nazioni Unite approvava e proclamava la DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO. Era una conquista nuova dell’umanità.Infatti nell’art.l si afferma: tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Più di 2000 anni fa nasceva Gesù, l’uomo nuovo, l’uomo rivoluzionario,straordinario, attento alla sofferenza umana, pieno di amore per i poveri, i malati, gli emarginati. Gesù risorto dona nuova dignità all’uomo e apre il cuore alla fede, alla speranza, alla carità. La Chiesa ha sempre attuato gli insegnamenti evangelici tant’é che, dopo la secon-da guerra mondiale, per sostenere la popolazione italiana impoverita dal confl itto, istituì la POA, Pontifi cia Opera di Assistenza. I1 2 luglio 1971 la Conferenza Episcopale Italiana, superando il concetto di assistenza istituiva, per espresso volere del Pontefi ce Paolo VI, la Caritas, come organo di animazione della comunità cristiana col fi ne di promuovere iniziative di solidarietà, partendo dalla conoscenza dei bisogni del territorio.Nello spirito del Concilio Vaticano II tutta la comunità cristiana (parrocchiale, diocesana e italiana) deve prendere co-scienza delle proprie responsabilità nei confronti dei bisognosi per rimanere nell’amore di DIO. Maria Palma

“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bron-zo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bru-ciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente e benigna, la carità non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfi a, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1°Cor 13,1-7). Parlando della carità, c’è la possibilità di generalizzare, di essere evasivi; la si può scambiare per un sentimento o uno slancio affettivo o per un intenerimento, ma non è nulla di tutto questo. Prima di tutto, cos’è la carità? La carità è l’amore che Dio riversa continuamente su ciascuno di noi perché Dio stesso è AMORE. Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Dio che ci ha amato per primo . “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione dei nostri peccati” (1° Gv 4,10). Questo ci fa comprendere quanto è incommensurabile l’amore di Dio nei confronti di tutta l’Umanità. E Gesù cosa ci ha detto riguardo alla Carità? Un dottore della legge interrogò Gesù, mettendolo alla prova, dicendogli: “Maestro, qual è il più grande comandamento della Legge?” Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente.” Questo è il più grande e il primo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i Profeti” (Mt_22,34-40). E’ qualcosa di straordinario quello che Gesù ci dice. Egli ci propone di incentrare tutta la nostra vita di Cristiani nel comandamento dell’amore. Noi Cristiani dobbiamo avere una visione di Dio che è quella di un padre misericordioso lento all’ira e grande nell’amore (Es 34,6; Sai 86-15), non di un Dio vendicativo, iroso, che vuole il nostro male, la nostra morte. Allora si tratta di fi ssare lo sguardo in Dio come Padre e guardare a ciascuno come fi glio dell’unico Padre e, quindi, fratello nostro in Gesù. Chi è il mio prossimo? Il prossimo è l’estraneo che incontro, e con il quale, sovente, posso anche scontrarmi, ogni giorno sul mio cammino. Per amare questo prossimo, questo fratello, occorre “morire” a sé stessi , intendendo, “per morire” a sé stessi, sacrifi carsi per l’altro, rinunciare a qualcosa di proprio per farne dono all’altro. Perdonare chi è stato sleale nei propri confronti, rinunciare al poco tempo libero, che magari si vorrebbe dedicare a sé stessi e spenderlo per gli altri che hanno bisogno, sono piccoli e semplici esempi che, però, servono al loro scopo, ovvero a chiarire il signifi cato di “morire” a sé stessi. Solo in questo modo, cioè “morendo a sé stessi”, si può metter in pratica quel comandamento di Gesù che dice: “Ama il prossimo tuo come tè stesso”. C’è un proverbio cinese che dice che non bisogna esprimere nessuna valutazione sull’altro prima di avere camminato una settimana nelle sue scarpe. Questo breve esempio di saggezza popolare esorta ad essere cauti, a non esprimere facili giudizi sugli altri senza prima essersi immedesimati nella loro vita e nella loro condizione. Se noi cogliessimo questo aspetto penitenziale della carità comprenderemmo quello che dice Pietro che la carità copre un moltitudine di peccati (1° Pietro 4,8). Quindi amarsi è farsi uno con l’altro, spogliarsi di sé stesso per entrare nell’altro. Amare, quindi, è vedere Gesù stesso nell’altro. Que-ste sono, in fondo, le caratteristiche tipiche dell’amore cristiano, quelle che si fanno proprie mettendole in pratica. Colgo l’occasione per fare a tutta la comunità di “San Bernardino Realino” gli auguri di buon Natale e Felice anno nuovo. Diacono Giuseppe Baglivi.

LA CARITA’, IL TESSUTO CRISTIANO

I DIRITTI DELL’UOMO E LA CARITAS

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ELOGIO DEL PRESEPE

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Si avvicina il Natale... Vi sono gesti semplici e belli che secondo me aiutano a vivere in pienezza il clima particolare di questa festa. Certo, prima d’ogni cosa è importantissimo prepararsi il cuore, sciogliere antichi nodi di risentimento verso alcune persone, prendere atto dei propri limiti, delle proprie mancanze davanti a Dio e vivere nel proposito deciso di porvi rimedio. Ma anche la vita interiore è aiutata a volte da fatti umili e concreti. Per esempio a Natale si può preparare in casa il proprio presepe. Non è molto diffi cile allestirlo e, la gioia che se ne ricava, indipendentemente dal risultato estetico è davvero viva e vera: qualcosa che riesce a scaldare il cuore. In commercio ci sono un’infi nità di decorazioni natalizie; festoni, alberi, palline grandi e piccole, ghirlande, babbi natale, pupazzi di neve e candele e luci, ecc. ecc. Ma il vero simbolo chiave del Natale rimane comunque il presepe. Ci si può pur accontentare di un presepe prefatto, se proprio non si ha l’ardire di cimentarsi a costruirlo o il tempo necessario a farlo, ma vi assicuro che non dà la stessa soddisfazione. Anche perché nel “fare” il presepe se si è in famiglia, vengono, naturalmente, coinvolti soprattutto i bambini, e loro sono sempre dei collaboratori entusiasti quando si tratta di partecipare alla costruzione del presepe. Forse siamo stati noi ad avere assopito nei nostri fi gli la spiritualità genuina che abita nel loro piccolo cuore. Forse, con il nostro cristianesimo sbiadito li abbiamo privati di ciò che la vita riserva a tutti di più bello; ed è lo stupore, la meraviglia verso il sacro. Questo Dio che tanto ci ha amato da prendere, per stare con noi, il corpo di un bambino, questo Dio che arriva dal Cielo non in pompa magna ma, anzi in modo così struggentemente frugale; consideriamo che non possiede una comoda casa, quando nasce né una soffi ce culletta. Questo Dio che per dichiararci il suo amore, noi lo sappiamo, le ha provate proprio tutte fi no alla fi ne. Questo Gesù che ci rivela il suo amore per noi in modo inconfutabile e strabiliante; si presenta ora, nell’evento del Natale, con la pelle delicata di un neonato. Forse vagisce, timidamente, nel freddo della notte stellata. Ed è allora che arrivano le schiere degli angeli a solcare il cielo, dispiegando nell’aria il loro canto armonioso “Gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”. Ma Dio, se Dio è Amore, ama già da parte sua tutti gli uomini che ha creato. Ed è giusto quindi leggere ancora oggi, ogni Natale come un invito del Cielo a lasciarci amare, a lasciare che Dio ci ami. Apriamo il nostro cuore alla cascata di luce soprannaturale che sgorga copiosa dal dolce mistero della Notte Santa. In Gesù, infatti, a tutta l’umanità è dato il dono prezioso dell’amicizia con Dio; perché dunque approfi ttando della festa del Natale, non dirlo chiaramente ai nostri fi gli? Perché non far scoprire anche a loro che hanno, e più vicino di quanto si immagini, un grande, potente, dolcissimo amico? Se ad un genitore, a causa di un banale mal di testa, capita talvolta che non abbia voglia di ascoltare il proprio bambino, se può darsi che una mamma affaccendata o un papà preoccupato diventino a volte un po’ bruschi, davanti all’esuberanza infantile dei propri fi gli, certo invece per Gesù tutto questo è impossibile, perché Egli tiene già intimamente stretti al suo cuore, tutti i pensieri, i sorrisi e le lacrimucce di ogni bambino. Facciamo, dunque, sapere ai nostri fi gli che hanno un Amico, il quale nell’amore supera di gran lunga ogni umana aspettativa, che nella pazienza, nel perdono, nella cura è sicuramente più sollecito di noi. Facciamo, tutti insieme, nelle nostre case il presepe con l’intenzione che, fi nalmente il piccolo Gesù riesca a nascere sul serio dentro la nostra anima schiusa alla Grazia. Così, la tenera, forte, inarrestabile luce divina della Natività vivifi cherà tutta la nostra storia comune, lanciando, perché no, i suoi bagliori anche sulla grande storia del mondo. Piera Basenti

Dalla fervida memoria di Angiolina Rollo raccolgo con infi nita gratitudine e rispetto un brano della tradizione in vernacolo traman-dato in forma orale e che solo scrivendolo potrà essere debitamente immortalato come un carme natalizio data la grande intensità che vi è contenuta.

Mmammineddhu miu te ticu la verità:su nu picca tratitoreli uagnuni pari mei me li otu intra fore,a ci ni tau scaffe e a ci ni tau scaffunise bbinchianu usu puerci a botte de furcunie fi lu cu nci pensanu cu fannu la riunione,ca superchiu, cu me trou na stozza de bastonee puru cu ne mintenu inti e puru anche trentali stompa lu murtaru e puru a usu menta.

Lecce, 23-11-2008In questo brano si intravede come una confessione al Bambino Gesù di un adolescente che opera maltrattamenti sui coetanei, un po’ come il “ bulletto” dei tempi moderni.

Notte de NataleQuandu rria la notte de Natalenci suntu ‘ntra le case e le chiesetante uci,musiche canti e luci mpise.

Maria e Giuseppe stannucu llu mmamminieddru tantu bbuenu e tantu beddru.

Sta famiglia puereddraè riunita dall’amore,e stu donu nui chiedimuallu nostru Salvatore Marinella Serafi ni

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Ommu `llecruSignore, t’aggiu direna cosa `ntra la ricchia:de tanta grazia toane ulia sulu na ‘nticchiae no cu fazzu feraa mmenzu li cristiani,cu tegnu facce bbonape tanta cuntittezzae cu stau sempre de susua tutta sta munnizza.

E ci maisia se ttaccanemiserie e tantaziuninu core de lionedamme pe la bisognaca tie, Signore, saiquante su’ l’occasionicu ccappu ‘ntra li cuai,e llassali cu passenetutti sti trumentica doppu se ne su sciutinun ci rrumane nienti.

By SAPER

(Dialetto di Giuggianello-LE)

Lu tiempu t’Avventu se ncigna’ cu la nuena te la Maculata, ca alle cinque e menza te la matina le campane sunavanu all’autu (Gloria), c’era missa solenne (in latinu); Quanti strei estuti te chierichetti da 7 fi nu a 16 anni, facianu a gara a cinca ia fare lu ggenzieri, la navetta me la ccuzzettavanu sempre a mie ca era lu chiù picciccu. Alla vigilia te la Maculata iamu fare lu tesciunu, cussì ne essia lu tente te oru, ca a mie nu m’ha mai essutu nienti. Topu la Maculata a casa mia se cominciava a fare lu presepiu cu cceppuni te igna e carta te sacchetti te cementu e ponnula fatta te farina cotta nu picca, causce squaiata cu autri culuri, se ntamascava tuttu lu presepiu; la mescia era mama, iutata te li frati mei ca eranu cchiù ranni, ieu scartava li pupi te crita te l’annu passatu, cu le cannile piccicche per risparmiare la luce, percè li sordi eranu picca. Poi mama, fascennu fascennu, ni cuntava li sunetti (Mamminieddhru mmuff ulatu, ieni a mie ca su lu primu, se nun me tai do pittulicche te lu spinnu dhru cutinu ecc. ecc) e tanti autri comu “Scenzi”, “Le mmatenate” (serenate). A nnu certu orariu fraima lu rande disse: “Mamma nu mangiamu?!”; mama respuse:”Prima li Patarnosci!”; iddhru turciu li musi; fraima lu menzanu respuse:”Mamma, me li mangiu tutti ieu!!.”; disse:”Ane e piiali, stanu an capu lu liettu!”. Quandu sciu, nun truau quiddhru ca ulia iddhru, ma la corona te lu rosariu, percé s’ia dire prima lu rusariu e poi se mangiava qualche cosa. Finitu lu presepiu faciamu li purceddhruzzi. Se facianu varie forme, le carteddhate, ci fatiava cu la furcina, la ratta casu, cu na chiai te stipu. A mie ca era lu picciccu, me mandavanu alla putea cu la libretta, cu ccattu lu mele, li anesini e candellini. Li frati mei pulizzavanu li pigni per le

TIEMPI TE ‘NA FIATA

mendulicche (pinoli). Se facianu li ff ocacatti e nu picca te rosoli per quarche cristianu ca enia per l’auguri te le feste. La sira te la vigilia se mangiava pasta cu lu baccalà, rape nfucate, pittule fatte te vari modi e fenucchi, cori te cecore, quarche mandarinu; cu se rria a tritici pasti se cuntaa puru lu pane. Quandu rriavanu le undici te la notte s’ia scire alla chiesa per la “Notte Santa”. Lu giurnu te Natale missa cantata (sempre in latinu). A mezzatia sutta llu piattu te lu sire se mentia la letterina cu le varie promesse, cusì lu papà ne rigalava 50 lire, cusì la sira se putia sciucare a carte; poi sciamu cu li cuscini mei a casa la nonna e li zei cu ni tamu l’auguri, ca poi ne ricalavanu sordi, ci 5 lire e ci 10 e nui tutti cuttenti ne li turnavamu a casa. La sira te capudannu spettavamo l’annu neu sciucandu a carte, a mazzetti o a tombola, poi ne li sciamu a curcare percé la matina iamu scire a “missa prima”, dopu ni giravamu ntorna le zie e le nonne per l’auguri.Rriata la Befana, la sira prima se girava per lu paise, cu truamu li sonaturi ca purtavanu le mmatenate (serenate) e se la porta se apria e buscavanu quarche cosa, ne tianu puru a nui quarche caramella. Quandu ne ritiravamu a casa, prima ppenniamu lu quasettu a lu focalire. La matina truamu quarche mendula riccia e candellini e muti cenere e carboni. Macari ca faciamu lettere alla Befana, li giocattoli nu beranu pe’ nui, eranu pe’ li fi i te papà, pe nui, tecia mamma, li sordi servianu cu pagamu la putea te quiddhru ca mangiavamo. Giurni prima te Candelora, alla sira, ne faciamu ulare lu mamminu, chiamamu li vicini te casa. Cu li cuscini mei, fasciamu le riff e te quarche fruttu ca c’era sullu presepiu; mama mentia manderini, quarche sita o fi calinda e caramelle, ca le buscava alla frabbeca te lu tabaccu, a du facia quarche sciurnata.

Cussì passavamu le feste te Natale ‘na fi ata.

Geraldo Aprile

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Un opuscolo informativo del Ministero della Salute, spiega che il termine “doping deriva da “doop”, un miscuglio di sostanze energetiche che i marinai olandesi, già quattro secoli fa, ingerivano prima di affrontare le tempeste dell’oceano. Da “doop”, si è arrivati nel `900, al verbo inglese “to dope” (drogare) ed al sostantivo “doping”, cioè somministrazione illegale di sostanze ad atleti per migliorarne le prestazioni sportive. Giuridicamente, si defi nisce “doping” la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente e farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione

a pratiche mediche non giustifi cate da condizioni patologiche ed idonee a modifi care le condizioni psicofi siche o biologiche dell’organismo al fi ne di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”. Il “doping” riguarda due aspetti principali: uno legato alla frode sportiva, cioè all’uso di farmaci o tecniche di modifi cazione artifi ciale delle prestazioni; l’altro legato ai problemi di salute connessi all’uso e all’abuso di sostanze che alterano l’equilibrio psicofi sico dell’individuo.Ricorrere al doping, vuol dire: non gareggiare con lealtà, ammettere di avere paura, cercare di ottenere un risultato con l’inganno, imbrogliare l’avversario, esporre il proprio organismo a malattie, spesso irreversibili, modifi care artifi cialmente i propri percorsi di crescita e l’evoluzione del proprio corpo.I motivi che spingono al doping possono essere molteplici, ma in ogni caso, sempre strettamente personali: popolarità, successo, ricchezza, bellezza fi sica o estetica, spesso vengono considerati valori prioritari di fronte ai quali si é disposti a qualsiasi compromesso per raggiungerli o mantenerli.I sani principi etici che sostengono il sacrifi cio di lunghi e faticosi allenamenti e gli obiettivi di competere in maniera leale e senza scorrettezze, puntando più alla ricerca di un continuo miglioramento delle prestazioni personali che alla vittoria ad ogni costo, cedono gradualmente il passo a concetti come fama ed interesse economica dove l’importante è vincere, anche con mezzi illegali. Per vincere si è disposti a tutto. Vincere ad ogni costo nello sport, non vuol dire, però, vincere nella vita. Vale veramente la pena rischiare la propria salute? Al danno diretto sulla salute, il doping associa la perdita della vera essenza della cultura sportiva che è la sana attività motoria, la temperanza morale, la costanza nel perseguire il proprio miglioramento fi sico e mentale ed il rispetto delle regole e dell’avversario, nonché la fedeltà a quei principi di lealtà e correttezza che hanno da sempre differenziato il mondo degli sportivi, rendendolo unico e fonte di orgoglio per chi vi appartiene.Lo sport serve ad educare mente e corpo al miglioramento delle prestazioni atletiche con un sano stile di vita. Fare sport aiuta a crescere bene e a preservare l’organismo dai mali del sedentarismo e dell’iperalimentazione. E’ utile per contrastare alcune malattie e ridurre la necessità di ricorrere ai farmaci.Attraverso lo sport abbiamo l’opportunità di acquisire dei valori che potremmo applicare ed estendere agli altri ambiti della nostra vita, di costruire un’immagine positiva di noi a prescindere dai risultati ottenuti e di curare la salute e l’effi cienza del nostro fi sico per ottenerne il massimo rendimento.

Cercare facili scorciatoie signifi ca non credere nelle proprie capacità. Scegliere queste strade equivale ad arrendersi, ad ammettere di essere perdenti non solo nello sport, ma anche nei confronti della vita e, soprattutto, di noi stessi. Possiamo riuscire ad ingannare gli altri, ma non noi stessi!Fare sport signifi ca confrontar-si, competere e gareggiare le-almente, essere in forma fi sica, ma anche divertirsi, stare con gli amici, migliorare le proprie abilità sportive.Doparsi signifi ca, invece, dan-neggiare la propria salute.Dal punto di vista morale, una vittoria ottenuta con l’uso di sostanze vietate per doping non ha nessun valore, anzi è cosa di cui vergognarsi!!! Noi siamo d’accordo con tutto ciò e per questo diciamo: Doping? No, grazie!!!

Salvatore Centonze Associazione Sportiva San Bernardino Realino

DOPING? NO GRAZIE!!!

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Il servizio sanitario nazionale compie trenta anni. Con la legge 23 dicembre 1978 N. 833, votata a grande maggioranza dal Parlamento, la Repubblica Italiana sostituì alle preesistenti numerose mutue settoriali e professionali (in particolare l’ENPAS e l’INAM) un’unica organizzazione preposta a fornire l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini, allineandosi così ai più avanzati sistemi europei e attuando l’importante precetto costituzionale che impone allo stato di tutelare e garantire la salute delle persone. L’istituzione del servizio sanitario nazionale ha rappresentato forse l’ultima grande riforma volta a completare la modernizzazione del nostro paese nella lunga stagione storica avviata nel dopoguerra, ed è stata preceduta da un intenso confronto tra apposte visioni politiche e differenti concezioni ideologiche sulla necessità o meno di promuovere un ruolo attivo e predominante dello stata e degli organismi pubblici nella tutela e nella cura della salute dei cittadini. E’ indubbio che la politica sanitaria occupi un ruolo fondamentale nella vita di una comunità e sia inevitabilmente destinata ad incidere sul suo sviluppo economico e sociale, sul piano sia della valutazione e determinazione dei costi necessari per assicurare un effi cace funzionamento ed una estesa localizzazione delle strutture, sia dell’indubbio valore etico-civile della scelta di assicurare a tutti la tutela del bene primario della salute, anteponendo tale esigenza a considerazioni puramente economiche e

tecnico-fi nanziarie. Pur con le comprensibili riserve causate dall’espe-rienza quotidiana dei disser-vizi delle strutture sanitarie (in particolare le lunghe li-ste d’attesa, i frequenti casi di malasanità, la estrema disomogeneità dei livelli di assistenza sul territorio, a discapito, come sempre, delle regioni meridionali), il bilancio complessivo di que-sti trenta anni non può es-sere ritenuto negativo. Pur con tutti i suoi innegabili di-fetti e i suoi costi vertigino-si, spesso malamente gesti-ti can criteri di speculazione clientelare e nello sconside-rato perseguimento di in-teressi privatistici a danno delle esigenze collettive, il servizio sanitaria naziona-le é comunque divenuto un pilastro della nostra società

ed ha assicurato ad ogni cittadino la possibilità di accedere a prestazioni terapeutiche, diagnostiche ed ospedaliere, contribuendo non poco al miglioramento del livello generale delle condizioni di salute della comunità e al vistoso allungamento della durata di vita media delle persone. Il servizio sanitario nazionale costituisce, quindi, oggi più che mai, una conquista preziosa da difendere e consolidare, soprattutto a tutela dei più deboli, depurandolo dalle scorie della strumentaliz-zazione politica e migliorandone l’effi cienza e la presenza capillare sul territorio. Il perseguimento di tali ineludibili obiettivi, essenziali per il futuro sereno sviluppo globale della nostra comunità, richiederà una lotta senza quartiere agli sprechi e uno sforzo di sensibilizzazione dell’intera società verso la necessità di continuare ad assicurare alla sanità un adeguato fl usso di risorse economiche per la razionalizzazione delle strutture e l’incremento dei mezzi e del personale. Non va, infatti, mai dimenticato che gli investi-menti nella sanità non debbono essere valutati in termini di pura redditività o di profi tto, ma costituiscono una modalità di realizzazione di un bene primario della persona, e quindi, riguardano la tutela della vita umana. Giorgio Serafi no

TRENTÊANNI DI SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

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Come ogni anno da oltre un secolo, nelle scor-se settimane ha avuto luogo l’assegnazione dei Premi Nobel, ossia il massimo riconoscimento culturale esi-stente al mondo. E come ogni anno dobbiamo costatare la consueta assenza d’italiani tra i personaggi premiati, a conferma della ormai tradizionale scarsa considera-zione che l’Accademia del Re di Svezia riserva a1 na-stro paese nell’individuare le personalità che abbiano acquisito meriti particolari al servizio della crescita dell’umano consesso. Ciò può in parte essere spiegato can il generale non alto livello della nostra attività ac-cademica di ricerca scientifi ca e culturale, al punto che nostri valenti studiosi trovano spesso ancora all’estero la possibilità di esplicare al meglio le loro potenzialità intellettuali (come, in passato, i casi del fi sico Emilio Segre, del medico Salvatore Luria, del biologo Renato Dulbecco e dell’economista Franco Modigliani, che, trasferitisi negli Stati Uniti, alcuni a causa delle leggi razziali fasciste, svilupparono 1ì il loro lavoro e vinse-ro il Premio Nobel come cittadini americani). E’ anche vero che le scelte degli accademici svedesi e della Fondazione Nobel hanno spesso destato perplessità non solo in Italia, sia per il frequente discu-tibile valore dei personaggi premiati, sia per il valore indiscusso di molti personaggi esclusi dal riconosci-mento. Per quanto riguarda l’Italia, è francamente sor-prendente che sia stato ritenuto meritevole del Premio Nobel Dario Fo (l’ultimo nostro connazionale a fregiar-si del riconoscimento), mentre lo stesso non è accaduto

per altri nostri letterati indubbiamente prestigiosi e tuttora studiati e stimati anche all’estero (si pensi a Giovanni Verga, Benedetto Croce, Giuseppe Ungaretti, Eduardo De Filippo, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini). Passando ad altri ambiti, non si comprende perché un uomo come Giorgio La Pira non sia stato insignito del Premio Nobel per la Pace, mentre al fi sico siciliano Antonino Zichichi il premio fu quasi scippato dall’americano Sa-muel Ting (che, però, riconobbe pubblicamente di avere utilizzato il lavoro del suo collega italiano). Nella medicina è un mistero la mancata premiazione dell’oncologo milanese Umberto Veronesi, le cui ricerche sono state universalmente apprezzate e utilizzate in ambito chirurgico, mentre in economia l’autorevolezza dell’opera di Piero Sraffa giustifi cava senz’altro l’assegnazione del prestigioso riconoscimento allo studioso e accademico torinese. La perdurante scarsezza di Nobel italiani, al di là della funzione essenzialmente celebrativa del Premio, deve comunque farci rifl ettere sui ritardi e sulle carenze del nostro sistema scolastico e sull’effettiva validità della nostra vita culturale, che rischia di ritrovarsi sempre più ai margini della comunità internazionale, a dispetto della sua illustre tradi-zione retaggio dei secoli passati. Giorgio Serafi no

L’ITALIA E I MISTERI DEL NOBEL

Il Natale sopravvive a tutte le vicende umane e torna ogni anno, sempre nuovo e gradito, nella gioia immensa di sapere che Dio, per il suo amore verso gli uomini, si fa “Dio con noi”, affi nché noi possiamo essere simili a lui, facendosi umile e piccolo, come i nostri fanciulli e ragazzi del catechismo. Essi quest’anno hanno voluto accogliere il Bambino Gesù, in un momento di preghiera, con brani del Vangelo, commenti e canti: sulla storia della salvezza preparata per tutti gli uomini grazie a Maria, che accoglie l’onda vivifi catrice dell’amo-re di Dio, rispondendo all’angelo “Eccomi, avvenga di me secondo la tua parola”; sul turbamento di Giuseppe che silenziosamente si avvicina al mistero di Dio fatto uomo; sulla storia del Bambino che nasce nella stalla di Betlemme, nel quale Dio mostra la gloria dell’amore che dà in dono sé stesso e si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell’Amore; sull’entusiasmo dei pastori e dei magi consapevoli di assistere ad un grande evento: la nascita del Messia, luce del mondo che splende nelle tenebre.

Questa luce divina possa sempre splendere nei nostri cuori, questo è l’augurio che le catechiste porgono a tutta la comunità parrocchiale. Marinella Serafi ni

Il 23 Dicembre ... ASPETTANDO GESU’

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Ma guarda un poco che ti combina il gioco del destino: la settimana tra il 2 e l’8 novembre c’era una tensione in tutto il mondo per le imminenti elezioni presi-denziali negli USA ed i mezzi di comunicazione avevano sapientemente preparata l’opinione pubblica all’evento, pronti a dare la risposta giusta qualunque fosse stato l’esi-to del contendere elettorale. Ma, per giusta conoscenza, le previsioni erano già fortemente a favore del candidato della coalizione democratica; per la prima volta nella storia degli USA si profi lava l’elezione a Presidente di un cittadino di etnia con origini africane. Si stava compiendo un ciclo storico in cui l’etnia degli schiavi, storicamente parlando, esprimeva democraticamente un candidato a Presidente appartenente alla propria radice culturale. Non è mai bastevole sottolineare come la società statunitense sia costituita, in proporzioni variabili, da cittadini provenienti da tutti i continenti, con basi cultu-rali proprie, con propria religione, ecc.., è un mondo nel mondo, così come lo possiamo intendere, e tutti costoro, più o meno, convivono con i pochi superstiti della popo-lazione indigena che per secoli avevano abitato per primi quei territori sterminati, da costa a costa, da nord a sud. Bene il 4 novembre, la notizia dirompente è quella che vede Barack Obama neo-eletto Presidente degli USA, giovane, ben preparato culturalmente e politicamente a reggere le sorti di una Nazione che svolge un ruolo molto rilevante nello scacchiere politico globale: è il Presidente di una grande potenza. Come doveroso, molti Capi di Stato esprimono il loro plauso al neo-eletto Presidente, molti Capi di Governo auspicano buoni rapporti con la futura amministrazione presidenziale statunitense, ma una nota, forse goliardica, risuona in tutto il mondo quando il Capo del Governo italiano risponde ad una domanda del giornalista di turno, su cosa ne pensasse di Obama: “bello e abbronzato” è la risposta secca.

Conosciamo bene le battute sagaci del Presidente Berlusconi e le sue gaffes. A queste parole provocatorie l’op-posizione ha espresso, poi, moltissime note di indignazione e la stampa internazionale ha fatto da cassa di risonanza, ma il diretto interessato degli aggettivi si è prudentemente astenuto dal proferire commenti, tanto se li potranno scam-biare a quattr’occhi. Poi arriva la domenica 9 novembre in cui coincidono il giorno della memoria, per quanto riguarda il mondo civile, ed il giorno della dedicazione della Basilica Lateranense, per il mondo cattolico, ed in proposito la liturgia domenicale prevede nella prima lettura, tratta da Ezechiele 47, 1, con la narrazione di una visione in cui una sorgente scaturiva sulla soglia del tempio di Gerusalerrrme ed il tutto avveniva in presenza di una fi gura umana dalla pelle color di bronzo. A questo punto non è azzardato tracciare una forte interconnessione tra gli eventi terreni e gli eventi celesti, non prevedibili da menti umane ma certamente non a caso, dal momento che la liturgia viene regolarmente stabilita in un tempo di gran lunga antecedente gli eventi temporali, perciò si può intravedere una specie di presagio, come se la Divina Provvidenza avesse disposto per questi giorni del 2008 il verifi carsi di una svolta esemplare nel vivere sociale e politico di una nazione che potrebbe essere addirittura un esempio per tutti. Ed il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi pronunziando una battuta, in ri-sposta ad una banale domanda giornalistica, non si rendeva conto che stava esprimendo un riferimento già presente nella Sacra Scrittura. E’ proprio vero che le vie del Signore sono infi nite, ma anche variopinte; forse sarà questo il motivo per cui i Magi che si recarono alla grotta di Betlemme erano uominii di varia estrazione etnica e con differente colorazione sulla pelle. Buon Natale, Buon Anno, Buona Epifania. Salvatore Perfetto

“BELLO E ABBRONZATO”

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hanno ricevuto il Battesimo:

Rizzo EdoardoMazzei AlessioSomma DaniloPaglialonga GiorgioTenore Jamal IvanCaione FrancescaPeluso DavidePezzuto AuroraLezzi BenedettaSignore AuroraPascali AndreaMaruccia Cristian AntonioIngrosso Tamara CamillaFiorentino ChiaraAgrimi MarcoRomano amaliaDe Vitis DavideGiausa SamueleChimenti Federica

hanno celebrato il sacramento del Matrimonio:

Zecca Cristian - Conte Chiara

son ritornati nella casa del Padre:

Buttazzo BenitoFesta FabioMicella AddolorataDell’Anna RosariaColafelice MariaRizzo AntonioLeone MariaZampino CristianBruno AntoniettaButtazzo Carmela

Nell’ultimo anno liturgico

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SPAZIO GIOVANI

Amicizia un valore profondo? Siccome non viviamo fuori dal mondo, è alla luce di quanto accade intorno a noi che conviene meditare sul valore che oggi viene conferito all’amicizia. Innanzitutto dobbiamo chiederci cosa s’intende per amicizia. Ci sono infatti diversi modi per viverla, alcuni molti diff usi di questi tempi che possiamo defi nire “di comodo”, in altre parole di convenienza che si basa esclusivamente sulle cose materiali e non che si possono ricavare, ad esempio i favoritismi. A me però piace pensare all’amicizia come a qualcosa di diverso, di più profondo, mi piace considerarla come un valore. Quando pensiamo a un valore, pensiamo alla famiglia, alla sincerità, alla lealtà e all’amicizia appunto. Ma chi è un amico? Come si distingue dalle altre persone che ci circondano? “È una persona che si intrufola in punta di piedi nel tuo cuore e un giorno, quasi senza accorgertene, lo trovi lì e questo ti fa sentire felice, perché sai che quel piccolo ladruncolo, che si è impossessato senza il tuo permesso di una piccola parte del tuo cuore, sarà vicino a te, quando ne avrai bisogno, ti sarà fedele sempre e gli darai tutto perché sai che lui farà lo stesso per te”. È questa la vera amicizia!! Senza di essa a chi confi deremmo i nostri problemi, le nostre gioie, i dolori e le paure? Sicuramente se non avessimo questo sostegno rischeremmo di perderci nelle vicende della vita stessa. Ci sono persone che invece non danno molto peso all’amicizia, chiusi come sono nel loro mondo, cinici verso i rapporti con le altre persone. Non è possibile trascorrere una vita senza poter parlare delle nostre sfortune con una persona che riteniamo sincera, verso la quale riponiamo tutta la nostra fi ducia, con la quale ci confi diamo, a volte solo per essere ascoltati e capiti. Il natale è alle porte, ma già da diverso tempo il consumismo interviene nelle nostre vite, nelle nostre tradizioni, ci distoglie dalle cose veramente importanti. Presi dagli acquisti per i nostri cari e i nostri amici, quasi ci dimentichiamo che i regali sono destinati a loro, forse non ricordando che il dono più bello che possa esistere sono i sentimenti, l’amicizia. Questo ci fa comprendere come sempre nella nostra vita sia importante un amico e quanto noi siamo fortunati per lui, senza bisogno di inutili regali perché come dice una canzone “o è natale tutti i giorni o non è natale mai”. Alessia Paladini

Credere nell’amicizia

”Natale: giorno in cui si festeggia la natività di Cristo, ricorrente ogni 25 dicembre.” È questa la defi nizione riportata sul vocabolario che ho consultato.Minima eff ettivamente, ma d’altra parte un dizionario è un dizionario: si limita a dare defi nizioni e informazioni in modo oggettivo. Ovviamente sappiamo che sul Natale c’è ben altro da dire.Vediamo: 2008 anni fa, in una grotta a Betlemme ... No, questa storia la conosciamo già e raccontarla un’altra volta vorrebbe dire comportarsi come quel famoso vocabolario e abbiamo detto che c’è altro da dire, da capire, da raccontare. Cosa?Noi, la nostra vita e quella degli altri, argomento che va oltre il signifi cato religioso di questa ricorrenza.Mi è sempre piaciuto pensare al Natale come ad una festività universale!Perché, cristiani o no, dovrebbe aiutare tutti a rifl ettere ... rifl ettere su quello che siamo, su quello che facciamo, su come agiamo. Certo il gran da fare con i regali, i negozi, gli acquisti spesso lo impediscono, anche se almeno in questo periodo dovrebbero dominare altri sentimenti, che tutti conosciamo e sentiamo pronunciare, ma di cui molte volte non capiamo il signifi cato. Di cosa si tratta?Dell’amore, dell’amicizia, del rispetto per se stessi e per gli altri.È vero, questi sono temi ricorrenti durante il periodo natalizio e forse a qualcuno questo darà un po’ fastidio, ma rifl ettendoci su non è poi così complicato capire che il problema di fondo è propria questo. Verrebbe quasi da chiedersi: e il resto dell’anno? Non importa quanto sia ripetitivo, o noioso per qualcuno, parlare di quei sentimenti che sono alla base della vita, non di quella che si vive a dicembre, ma di quella che si vive ogni giorno. Valori come l’amore, l’amicizia e il rispetto non sono relativi o “direttamente proporzionali” alle festività (la matematica rende sempre bene l’idea), perché sono parte integrante di ciascun essere umano. Da questa rifl essione deriva la concezione di Natale come festa universale, e soprattutto da questa rifl essione deriva anche l’idea di Natale tutti i giorni dell’anno. Perché è importante non perdere tutte quelle tradizioni legate a questo periodo, ma è altrettanto importante non dimenticare che sono le nostre scelte, le nostre azioni, le nostre idee e convinzioni a fare di noi quello che siamo, ma, in modo particolare, i sentimenti e le emozioni che possono diventare più sentiti a Natale, ma che

non possono e non devono avere limiti di tempo. Agnese Centonze

Natale 4ever

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GIOVANI ARTISTI

MARIA STYLE, Paola Rollo90 x 70 cm, acrilico su tela, 2008(opera fi nalista Premio Celeste ‘08, esposizione in novembre presso Fabbrica Borroni, Mi)

Maria Style è l’opera più rappresentati-va (almeno per il momento) di una mia personale ricerca pittorica sull’oggettistica sacra e la riprodu-zione seriale dell’icona religiosa. L’opera propone un’inusuale rappresen-tazione della Madonna tesa a mostrarla non come entità spirituale, bensì in una delle tante forme in cui più spesso abbiamo a che fare con la sua fi gu-ra: quella oggettuale e materiale. La più importante fi gura femminile della cristianità (insieme e molte altre) si mostra infatti, al comune occhio mortale, in forma di statua, statuetta o stampa, riprodotta in infi nite forme e dimensioni nei più svariati mate-riali e colori. Ho realizzato quest’opera partendo appunto dall’osservazione attenta di una di queste riproduzioni, una statuetta simile a molte altre. E’ ovvio che lo sguardo religioso arricchisce e nobilita l’oggetto caricandolo di un valore spirituale perso-nale estraneo a chi invece lo studia nella sua ogget-tività fi sica, come io personalmente ho fatto; ma ho voluto aprire una rifl essione che travalicasse qualunque posizione religiosa.

Maria Style non rappresenta la Madonna ma, simbolicamente, rappresenta la rappresentazione stessa della Madonna, l’oggetto, il simulacro; la riproduzione che è sempre di più copia della copia, riproduzione industriale in serie, prodotto che inevitabilmente allontana dalla forma originale e, soprattutto, dal valore originale, dal signifi cato più autentico. Di conseguenza, il rosa shocking che ho volutamente cercato e usato in questo quadro ha un preciso valore di signifi cato, così come lo sfondo riccamente decorato. Questo colore, piacevole eppure stucchevole, vuole creare un senso di disturbo e di inadeguatezza che male si addice alla purezza e alla delicatezza con cui comunemente si descrive Maria. E’ un rosa pop, artifi ciale, che ricorda i giocattoli per bambine. Così ho immaginato questa Madonna: prodotto da bancarella, pezzo singolo di una serie, in vendita insieme a milioni di altri oggetti d’importazione. Anche lo sfarzo “barocco” sullo sfondo, carico di chincaglierie, ornamenti e fregi irregolari concorre a ”confezionare” l’oggetto/madonna in una cor-nice kitsch che maggiormente ne sottolinea la vacuità.

Mi preme però specifi care che l’opera non ha alcun intento antireligioso.

Anche se non posso negare lo spirito critico da cui è nata, Maria Style vuole avvicinare chiunque, qualunque sia la sua disposizione spirituale: chi indiscutibilmente ama con devozione la fi gura di Maria; chi, se pur nella fede, coglie la contraddizione profonda che sta tra un così nobile soggetto e l’oggetto che lo rappresenta; ma anche chi, più vicino a me autrice, lontano da qualsiasi spirito religioso, voglia cogliere in quest’opera la critica sociale che sobriamente apre e, soprattutto, le domande che pone.

Paola Rollo

[email protected]

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Numeri utiliParrocchia San Bernardino Realino

Via degli Oropellai,1073100 Lecce

tel 0832/359014cellulare 3389769293

email [email protected]

Sito internet parrocchialewww.sanbernardinorealino.com

Fuecu nesciu 7 pg 12 Impaginazione Giovanni Contino

Continua nella nostra parrocchia la raccolta dei tappi di plastica del progetto ‘KENDA’ per la realizzazione in Africa di alcuni pozzi d’acqua.

Orario delle Sante Messe

Domenica ore 8,30 10,30 18,30giorni ferialiore 18,30

Centro d’ascolto Charitas

1° e 4° Martedi di ogni mese dalle ore 16,30 alle ore 18,30

Disponibilità per le confessioni

Ogni Venerdi ad eccezione della mattinata del 1° Venerdì di ogni mese

dalle ore 9,00 alle 12,00dalle ore 16,30 alle 18,30

Lectio Divina

Ogni Venerdi alle ore 20,00

Prove di Canto

Ogni Martedi dalle ore 19,00 alle 20,00

Il Presepe vivente alla VI edizione E’ giunto alla sesta edizione il Presepe vivente, organizzato dal gruppo Arte e cultura Aria Sana-San Cesario, in collaborazione can la nostra parrocchia San. Bernar-dino Realino e con il patrocinio dell’amministrazione comunale di San Cesario. La classica rappresentazione della Natività é ambientata, tra antiche culture rurali e moderni stati d’animo, nell’antica masseria Cervola, nei pressi della nostra parrocchia. Suggestivi gli ambienti che ospitano le trasposizioni di mestieri oramaii scomparsii e in disuso; in particolare le famiglie del “Massaru”, dei contadini, dei brac-cianti agricoli, dei pastori, con le stalle, le aie, i cortili, i forni rimessi nelle condizioni di funzionare alla stessa maniera dei tempi andati. E così, gli organizzatori hanno pensato bene di valorizzare gli aspetti caratteristici della cucina salentina, con il proposito di far conoscere ed apprezzare, alle nuove generazioni, le ricette che le nostre nonne prepa-ravano con pochi ingredienti ma con grandi sacrifi ci, proponendo ai visitatori il pane cotto al forno di pietra, le pittule, la pasta fatta a casa, e tanti altri prodotti della cucina tipica locale. La sacra rievocazione della Natività, dopo la serata inaugurale che si avrà la vi-gilia di Natale al termine della celebrazione eucaristica, rimarrà aperta al pubblico dalle ore 16.00 alle 21.00, nei giorni 25, 26, 28 dicembre e 3, 4 e 6 gennaio. In quest’ultima giornata è previsto l’arrivo dei Magi e della befana per i bambini. Agostino Rollo

La redazione di Fuecu Nesciu augura BUONE FESTE!

BBuuoonnee FFeessttee