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A11 xxx Frontiere in(di)visibili D al 1492, anno della scoperta dell’America e dell’unificazione della Spagna, al 1609, anno dell’espulsione dei moriscos, intercorre un secolo tormen- tato da guerre e scontri tra due comunità fino ad allora abituate a convivere nello stesso territorio. L’espulsione dei Mori è stata forse il prezzo da pagare per una fittizia uniformità politica e religiosa? O il nuovo Impero aveva biso- gno di incamerare i beni dei ricchi professionisti musulmani? Quale profon- da connessione passa tra le due Colonne d’Ercole, tra gli islamici del Magh- reb e i cristiani di Spagna? Il volume ripercorre la storia dei moriscos sia per comprendere le ragioni dell’epurazione attuata da Filippo III sia per sottolineare il loro forte legame con la madrepatria. La diaspora dei Mori nel Mediterra- neo e l’inevitabile crisi dell’economia spagnola del XVII secolo sembrano te- stimoniare, allora come oggi, che la paura dell’Altro e la mancata integrazio- ne portano alla sconfitta culturale e civile di un’intera società. F abrizio Dal Passo (Roma 1974) insegna Storia moderna e Sto- ria delle istituzioni politiche presso la «Sapienza» Università di Roma. Negli ultimi anni ha svolto attività didattica e di ricer- ca in Europa e negli Stati Uniti. Dal 1998 collabora con la Pre- sidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, del- l’Università e della ricerca e il Consiglio di Stato nei settori del- la legislazione scolastica e universitaria. S ara Randolfi (Roma 1985), interprete di lingua araba e spa- gnola, è docente di Inglese scientifico presso la «Sapienza» Università di Roma. Ha studiato presso l’Universidad Interna- cional Menénedez y Pelayo di Santander e il Pontificio Istituto Biblico di Roma. In copertina Faro di Tarifa (Spagna). ARACNE euro xx,00 ISBN 978-88-548-xxxx-x Fabrizio Dal Passo Sara Randolfi FRONTIERE IN(DI)VISIBILI I MORISCOS TRA LA SPAGNA E IL MEDITERRANEO NEL XVI E XVII SECOLO COPERTINA: STUDIO BG Dal Passo / Randolfi Frontiere in(di)visibili

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Frontiere in(di)visibili

Dal 1492, anno della scoperta dell’America e dell’unificazione della Spagna,al 1609, anno dell’espulsione dei moriscos, intercorre un secolo tormen-

tato da guerre e scontri tra due comunità fino ad allora abituate a conviverenello stesso territorio. L’espulsione dei Mori è stata forse il prezzo da pagareper una fittizia uniformità politica e religiosa? O il nuovo Impero aveva biso-gno di incamerare i beni dei ricchi professionisti musulmani? Quale profon-da connessione passa tra le due Colonne d’Ercole, tra gli islamici del Magh-reb e i cristiani di Spagna? Il volume ripercorre la storia dei moriscos sia percomprendere le ragioni dell’epurazione attuata da Filippo III sia per sottolineareil loro forte legame con la madrepatria. La diaspora dei Mori nel Mediterra-neo e l’inevitabile crisi dell’economia spagnola del XVII secolo sembrano te-stimoniare, allora come oggi, che la paura dell’Altro e la mancata integrazio-ne portano alla sconfitta culturale e civile di un’intera società.

Fabrizio Dal Passo (Roma 1974) insegna Storia moderna e Sto-ria delle istituzioni politiche presso la «Sapienza» Università

di Roma. Negli ultimi anni ha svolto attività didattica e di ricer-ca in Europa e negli Stati Uniti. Dal 1998 collabora con la Pre-sidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, del-l’Università e della ricerca e il Consiglio di Stato nei settori del-la legislazione scolastica e universitaria.

Sara Randolfi (Roma 1985), interprete di lingua araba e spa-gnola, è docente di Inglese scientifico presso la «Sapienza»

Università di Roma. Ha studiato presso l’Universidad Interna-cional Menénedez y Pelayo di Santander e il Pontificio IstitutoBiblico di Roma.

In copertinaFaro di Tarifa (Spagna).

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euro xx,00

ISBN 978-88-548-xxxx-x

Fabrizio Dal PassoSara Randolfi

FRONTIEREIN(DI)VISIBILI

I MORISCOS TRA LA SPAGNAE IL MEDITERRANEO

NEL XVI E XVII SECOLO

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Fabrizio Dal PassoSara Randolfi

FRONTIEREIN(DI)VISIBILI

I MORISCOS TRA LA SPAGNAE IL MEDITERRANEO

NEL XVI E XVII SECOLO

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Copyright © MMXIARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma(06) 93781065

ISBN 978–88–548–xxx–x

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 2011

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ال ًايبرع ،قولخمب سيل ًانآرق.زعألا يبر ملآ الإ جرخ الو ةلخد

«Un Corán no creado, árabe, en el que no [hay] entrada ni salida sino las palabras de mi Señor el más poderoso».

Bartolomé Dorador, Archivo Histórico Diocesano de Guadix, 1554

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Indice

11 Capitolo I I moriscos nella Spagna del XVI secolo

1.1. Quadro storico – 1.2. Linee generali –1.3. Convivenza fra moriscos e cristianos viejos – 1.4. Il Regno di Granada – 1.5. Il Regno di Castiglia – 1.6. Il Regno di Aragona

27 Capitolo II Cristianizzazione e castiglianizzazione

2.1. Moriscos fra Germanías e persuasione – 2.2. I moriscos e l’Inquisizione – 2.3. Il trentennio 1526-1568 – 2.4. La rottura del patto sociale, la missione Santiago e la prima ripopolazione – 2.5. Il Libro de Apeos y Repartimientos – 2.6. L’alternativa all’espulsione: la reclusione

53 Capitolo III Le espulsioni del XVII secolo

3.1. L’espulsione da Valencia (1609) – 3.2. L’espulsione dalla Castiglia (1610), dall’Andalusia (1610), dall’Aragona (1611) – 3.3. L’espulsione tota-le – 3.4. Il dramma dei morisquillos – 3.5. Terrorismo psicologico o terrori-smo sovversivo?– 3.6. Chi fu responsabile dell’espulsione? – 3.7. Il secon-do ripopolamento – 3.8. La Spagna dopo l’espulsione

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77 Capitolo IV I moriscos nel Mediterraneo

4.1. Quanto è stata concreta l’espulsione? – 4.2. I moriscos dopo gli editti di espulsione: le migrazioni in America, Europa e Maghreb – 4.3. La storio-grafia sulla questione moresca – 4.4. L’epilogo: un gruppo inassimilabile – 4.5. Conclusione

95 Appendice 1Bando de la expulsion de los moriscos del reino de Valencia, publicado en la capi-tal el dia 22 de setiembre de 1609, segun se conserva en el folio 34 de la Mano 50 de Mandamientos y embargos de la córte civil de Valencia del año 1611 (Madrid, Biblioteca Nacional, Manuscrito Mss/23133, S. XVII)

101 Appendice 2Carta que en 4 de Agosto de 1609 escribió el Rey Don Felipe 3° al Beato Juan de Ribera Arzob° de Valencia; segun la publicó el P. F. Juan Ximenez en el n° 23. de la Adicion à la Vida de otro Beato (Madrid, Biblioteca Nacional, Expediente 808, Manuscrito 8)

107 TavolePragmáticas sobre los moriscos y privilegio a favor de los nuevos pobladores del Reino de Granada (Madrid, Biblioteca Nacional, segnatura: DL/1321201, España Rey Felipe II 1556-1598)

143 Bibliografia

163 Indice delle fonti

165 Indice dei nomi

Le competenze di questo lavoro sono così suddivise: a Fabrizio Dal Passo si devono i capitoli II (par. 2.4, 2.5, 2.6), III e IV,a Sara Randolfi i capitoli I e II (par. 2.1, 2.2, 2.3).

8 Indice

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I

Presentazione

Il contributo della cultura araba attraverso i sette secoli della domina-zione islamica in Spagna e anche nelle epoche successive non è stato sem-pre ben messo in evidenza, anche se nel Medioevo un famoso pontefice, Silvestro II (Gerberto di Aurillac, ca. 950–1003), fosse molto vicino alla cultura araba soprattutto per quanto riguarda la matematica, la filosofia, l’astronomia e la medicina.

Il nostro Dante confina nel Limbo Ibn Rushd, meglio conosciuto come Averroé (Inferno, IV, 144: «Averrois, che ’l gran comento feo») insieme ad altri illustri filosofi islamici, sottolineandone l’enorme contributo nella trasmissione del pensiero aristotelico. Nello stesso periodo le Crociate non furono del tutto sfavorevoli agli incontri tra le predette due culture nonostante i numerosi conflitti ai quali diedero luogo. Le imprese per la liberazione del sepolcro di Cristo furono cantate dal Tasso con accenti non sempre di ostilità (si ricordi l’episodio di Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme Liberata, XII, 52-62 e 64-68).

Nel settore delle esplorazioni geografiche lo scambio di mappe, carte, informazioni tra l’Occidente e il mondo islamico è stato costante: Ibn Bat-tuta, che viaggiò attraverso l’Asia dal 1325 al 1354 trascrivendone un pre-zioso resoconto nella Rihla, prese notevoli spunti dal Milione del mercante veneziano Marco Polo, che partì per la Cina nel 1271 e tornò nel 1291.

Dal punto di vista linguistico l’incontro tra il Castigliano e l’Arabo die-de luogo al Mozarabico che esprime la perfetta sintesi tra i due linguaggi venuti a contatto per svariati secoli.

Anche dopo la definitiva Reconquista del 1492 gli artigiani e gli artisti arabi continuarono a lavorare in Spagna contribuendo alla diffusione dello stile plateresco, che con una raffinatezza simile a quella dell’argento ador-nò molti edifici pubblici della Penisola iberica.

Grazie anche a questo originale incontro di cultura gli Arabi studiaro-no e tradussero le opere di Tolomeo e molti scritti di medicina greci che

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senza di loro non sarebbero giunti fino a noi. Significativo fu il contributo di Abu Bakr Mohammad Ibn Zakariya al-Razi, noto con il nome di Rhazes (Rey, 864-930), scienziato islamico persiano, nella storia della medicina. Alla cultura islamico-persiana si deve inoltre l’istituzione del bimaristan, ospedale modello, che fu ispiratore in Italia della celebre scuola medica salernitana.

Insieme con le imprese navali dei Portoghesi, gli Arabi diedero un grande contributo alla storia della navigazione, tanto che Vasco de Gama utilizzò piloti moreschi nell’attraversamento a mare aperto (pileggio) per il braccio di mare tra l’Africa e la Penisola arabica.

La costante e sottile fusione tra la cultura cristiano-giudaica e quella islamica ha pertanto fortemente contribuito alla formazione della cultura europea, come testimonia, tra l’altro, anche la presenza in Sicilia, in Pro-venza, in Spagna ed in altre regioni d’Europa della toponomastica araba: uno splendido amalgama toponomastico è rappresentato dal Mongibello (Etna), parola formata dai due termini ‘Mon’ e ‘‘لبج’ (ġabal), il primo italiano ed il secondo arabo, indicanti lo stesso concetto di ‘monte’.

Pertanto i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo, nonostante nu-merosi conflitti (tra gli altri la battaglia di Lepanto del 1571) e le recenti lotte per la pesca ed i respingimenti, sono sempre stati improntati ad una collaborazione culturale (a livello artistico, scientifico, tecnico, gastrono-mico ecc.), testimoniati, tra l’altro, dal rispetto riservato alle sinagoghe e alle chiese da parte delle popolazioni dell’Egitto e del Maghreb.

All’interno di questo contesto il volume che qui presento mi pare un ottimo contributo alla migliore rivisitazione storica di un’epoca, di una cultura e di una società – quale quella moresca – che ha illuminato con i suoi riflessi culturali l’intera civiltà occidentale.

Cosimo Palagiano(Professore Emerito della «Sapienza» Università di Roma)

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Capitolo I

I moriscos nella Spagna del XVI secolo

1.1. Quadro storico

Il 1469 indica una data di svolta per la Spagna: il matrimonio fra Fer-dinando e Isabella univa le due corone di Castiglia e di Aragona e se-gnava la prima tappa del progetto di unificazione del paese. Si trattava di un’unificazione che, per la varietà geografica, politica, economica, demografica e linguistica della Penisola iberica, risultava estremamente complessa. Soprattutto, essa avveniva ‘dall’alto’ e non trovava un effetti-vo riscontro nelle esigenze della società civile. Per i nuovi sovrani era in-dispensabile trovare riferimenti ideali per rafforzare i nuovi ceti dirigenti e dei nemici in grado di catalizzare l’aggressività e il malcontento della popolazione. Pertanto l’unificazione spagnola si identificò pienamente sotto il vessillo dell’autentica fede cristiana e della difesa strenua del cat-tolicesimo contro gli infedeli. Chi professava altre fedi assunse allora le sembianze del ‘nemico’, diventando un elemento destabilizzante da eliminare o assimilare, come gli judíos (gli ebrei) ed i moros (musulmani).

Seconda tappa fondamentale del percorso è stato l’anno 1492: la caduta di Granada, ultima roccaforte moresca, trasformò la Spagna da un coacer-vo di regni ad uno stato territorialmente unificato1. Nello stesso anno, con

1. Sulla storia del Regno di Granada si vedano M.A. Ladero Quesada, Granada. Historia de un país islámico (1232-1571), Gredos, Madrid 1979; R. Arié, L’Espagne musulmane au temps des Nasri-des (1232-1492), De Boccard, Paris 1973; J. Caro Baroja, Los moriscos del Reino de Granada, Instituto de estudios políticos, Madrid 1957. Sulle vicende di Granada dopo la Reconquista si veda M.A. La-dero Quesada, Granada después de la conquista. Repobladores y mudéjares, Deputación Provincial de Granada, Granada 1988.

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il raggiungimento delle coste dell’America da parte di Cristoforo Colom-bo, si avviava la costruzione dell’Impero d’Oltreoceano.

Nel 1500 prese inizio, quindi, l’opera di evangelizzazione della comu-nità islamica rimasta all’interno della penisola: i mudéjares2 – gli islamici in-sediatisi in Spagna durante la dominazione omayyade – ben presto furono costretti a convertirsi per evitare l’espulsione. Nello stesso anno si verificò una rivolta nella zona delle Alpujarras, cui seguirono altre tre rivolte (l’ul-tima a Ronda), al cui termine i mudéjares furono costretti a convertirsi in massa al cristianesimo3.

Il processo di assimilazione e cristianizzazione della comunità islamica può essere pertanto fatto risalire a quell’anno, fino alla definitiva espulsione4 dei moriscos avvenuta nel 1609.

1.2. Linee generali

Nel complesso tessuto della società spagnola del secolo XVI, i moriscos o cristianos nuevos de moros erano quei musulmani che, a séguito dell’editto

2. Con il termine mudéjares si indicavano gli islamici residenti in territorio cristiano: «la pa-labra mudéjar es un arabismo, es decir, que es una palabra castellana de origen o etimología árabe. Proviene de la raíz árabe d-y-n, que tiene un sentido general de “permanecer”, “estar arraigado”. El participio mudayyan se puede traducir por “aquel a quien se ha permitido quedarse” en territo-rio cristiano, mediante el pago de un tributo, por lo que en un diccionario árabe-latino granadino de principios del siglo XVI se traducirá por tributarium» (R. Dozy, Suppléments aux dictionnaires arabes, E.J. Brill, Leiden 1881, t. 1, p. 425).

3. A. Domínguez Ortiz-B. Vincent, Historia de los moriscos. Vida y tragedia de una minoría, Alianza, Madrid 1985, p. 19.

4. Per una bibliografia di base sulla questione dei moriscos cfr. M.A. De Bunes Ibarra, Los moriscos en pensamento histórico, Cátedra, Madrid 1983 e F. Márquez Villanueva, El problema historiográfico de los moriscos, «Bulletin Hispanique», 86 (1984), pp. 61-135, con un ampio resoconto sulle pubblicazioni più recenti sull’argomento. Per quanto riguarda più specificatamente il rappor-to tra la Compagnia di Gesù e i moriscos granadini si vedano J. López MartÍn, Don Pedro Guerrero como obispo del tiempo de la Contrarreforma, «Archivo Teológico Granadino», 31 (1968), pp. 193-333 e Id., El arzobispo de Granada Don Pedro Guerrero y la Compañía de Jesus, «Anthologica Annua», 24-25 (1977-1978), e soprattutto F. Borja de Medina, La Compañía de Jesús y la minoría morisca (1545-1614), «Archivum Romanum Societatis Iesu», LVII (1988). Per un confronto culturale tra le due comunità cfr. N. Griffin, Un muro invisible: Moriscos y cristianos viejos in Granada in V. Bernard (a cura di), Minorías y marginados en la España del siglo XVI, Diputación Provincial de Granada, Granada 1987, in particolare il capitolo intitolato Jesuitas y moriscos (1545-1570), pp. 101-118.

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 13

firmato dal cardinale Jiménez de Cisneros5 nel 1502, furono costretti ad espatriare o a convertirsi al cristianesimo per poter restare in Spagna. Questi ultimi, netta minoranza rispetto a coloro che optarono per l’emi-grazione dal paese, subirono persecuzioni, esili e violenze tesi all’elimi-nazione completa della loro comunità6.

In realtà la Spagna si era già preparata durante la Reconquista7 a fis-sare alcuni principi vòlti a salvaguardare la fede cristiana, sia per giu-stificare il potere della monarchia, sia per unificare il regno su base re-ligiosa. Nel 1465 lo statuto di Cordova8 sancì il principio della limpieza de sangre a fondamento della società spagnola: in sostanza potevano godere dei diritti civili ed essere ammesse alle magistrature pubbliche, ecclesiastiche e accademiche solo ed esclusivamente le persone in gra-do di testimoniare una fede cristiana indiscussa, discendenti da lignaggi di puro sangue cristiano senza alcun grado di parentela con famiglie ebraiche o islamiche9.

5. Dapprima confessore privato e consigliere degli affari di stato di Isabella di Castiglia, Francisco Jiménez de Cisneros ricoprì le cariche di arcivescovo di Toledo, poi di inquisitore ge-nerale con ruoli attivi anche nella vita politica spagnola. Nei primi anni di attività si dedicò alla riforma dell’ordine francescano, anticipando di circa mezzo secolo i movimenti della Controri-forma. Nel 1499 iniziò l’opera di conversione coatta dei Mori di Granada. Fu, inoltre, reggente al trono di Castiglia per ben due volte e promotore della cultura umanista all’Università di Alcalá de Henares. Opera letteraria più celebre di Cisneros è la Biblia Políglota (cfr. F.G. de Cortázar, J.M. González Vesga, Storia della Spagna. Dalle origini al ritorno della democrazia, Bompiani, Mila-no 1995, pp. 189, 191, 213, 220 e 251).

6. Cfr. M. de Epalza, Principes chrétiens et principes musulmans face au problème morisque, in L. Cardaillac., Les Morisques et l’Inquisition, Publisud, Paris 1990, pp. 37-50.

7. Si definisce Reconquista il recupero da parte dei cristiani dei territori spagnoli in mano ai musulmani attraverso guerre che si sono succedute a partire dal Medioevo. Cfr. P. Dressen-doerfer, Los Moros y la Reconquista: la dimensión histórica de un malentendido fundamental, in Ch. Strosetzki-M. Tietz (a cura di), Einheit und Vielfalt der Iberoromania. Geschichte und Gegenwart: Akten des Deutschen Hispanistentages, Buske, Hamburg 1989.

8. Lo statuto di Cordova fu approvato da Paolo III nel 1548, ma esteso all’intera comunità cristiana solo nel 1555 da Paolo IV, grazie all’intercessione di Juan Martínez Silíceo (Villagarcía de la Torre, 1486 – Toledo, 31 maggio 1557), arcivescovo cattolico e matematico spagnolo. Papa Paolo IV lo elevò al rango di cardinale nel concistoro del 20 dicembre 1555. Cfr. A. Sicroff, Los Estatutos de Limpieza de Sangre, Taurus Ediciones, Madrid 1985.

9. R. de Zayas, Los moriscos y el racismo de estado: creación, persecución y deportación (1499-1612), Almuzara, Cordóba 2006, pp. 70-71; A. Domínguez Ortiz, Los judeoconversos en Espana y América, Istmo, Madrid 1971, p. 98.

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Già a partire dal 1500 iniziarono le prime conversioni forzate degli isla-mici, anche se il processo degenerativo venne sancito con la promulgazio-ne di leggi che prevedevano il cambiamento di status dei musulmani da mudéjares a moriscos10.

Le due comunità convivevano, ormai, da lungo tempo in Spagna nell’ambito dei rispettivi territori. Tuttavia, a partire dal 2 gennaio 1492, anno in cui i re cattolici entrarono a Granada ed espugnarono l’ultima roccaforte omayyade, iniziò per i musulmani un irreversibile processo di caduta. I conquistatori avevano garantito ufficialmente il riconoscimento di tutti i diritti civili, ma in realtà tendevano a limitare le attività pubbli-che della comunità islamica fino a eliminarne le usanze quotidiane. La coesistenza multisecolare fra cristiani e musulmani, sebbene non priva di incidenti, sfociò inevitabilmente in un conflitto che in poco più di un se-colo portò alla definitiva eliminazione dei moriscos dalla Penisola iberica.

Come attestato da diversi registri parrocchiali, con la fine della recon-quista del 1492 gli islamici – identificati come cristianos auténticos11 – si in-tegrarono perfettamente nel nuovo Regno di Spagna, anche se non man-cavano individui che dissimulavano la loro fede ottemperando al principio

10. Mikel de Epalza, riguardo all’origine del termine morisco, afferma che «la palabra moro proviene del latín “maurus”, que designaba en época romana a los habitantes del Magreb central y occidental actuales, las provincias romanas de la Mauritania Tingitana y Mauritania Caesarien-sis. Pero las crónicas europeas medievales no suelen llamar “moros” a los musulmanes hasta las invasiones magrebíes en Al-Andalus de las dinastías beréberes de Almorávides y Almohades, en los siglos XI-XIII. La denominación “moro” pasará a calificar, desde esa época hasta nuestros días, a todo lo “no-cristiano”, con cierta agresividad: los “moros y cristianos”; los “moros en la costa”, el niño “moro” o no bautizado, etc. […] El término “morisco” designa, por tanto, a los individuos de un grupo social muy determinado, en época moderna, para diferenciarlo de otros musulmanes, aunque su etimología ilumina el origen más complejo de esta palabra» (M. De Epalza, Los moriscos ante y después de su expulsión, Mapfre, Madrid 1992, pp. 7-8; si veda anche M.A. de Bunes Ibarra, La imagen de los musulmanes y del Norte de África en la España de los siglos XVI y XVII. Los caracteres de una hostilidad, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid 1989). L’espressione «morisco» si trova perfino in alcuni documenti religiosi come, ad es., nel libro parrocchiale dei battesimi di Crevillent (provincia di Alicante), che riporta l’espulsione degli ultimi moriscos dall’inizio di ottobre al dicembre 1609 (il libro è stato pubblicato recentemente da O. Carbonell i Cortés, Els últims sarraïns crevillentins, Ayuntamiento de Crevillente, Crevillente 1990).

11. I. Gironés Guillem, Los morisquillos, Cátedra de Eméritos de la Comunidad Valenciana, Valencia 2007, p. 9.

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 15

coranico della taqiyya12. Addirittura ai cristianos nuevos de moros venne con-cessa la possibilità di contrarre matrimonio con ragazze cristianas viejas, per favorire l’integrazione e la convivenza fra le due culture.

Non v’è dubbio che la convivenza fra cristiani, mudéjares e moriscos sia stata in alcuni momenti complessa e che si siano determinate situazioni tipiche di una realtà in evoluzione. Tuttavia la nuova società spagnola fon-data dai re cattolici all’inizio del XVI secolo assunse caratteri molto più rigidi di quella antecedente al 1502.

Ovviamente la conflittualità sociale aumentava in proporzione al cre-scente dominio dei cristiani e al minore potere degli islamici: dal 1502 al 1508 si moltiplicarono i regi decreti che imponevano la riconoscibilità dei moriscos attraverso l’abbigliamento, oltre a leggi e regolamenti vòlti a cancellare ogni elemento di identità della comunità, al fine di assimilarla completamente alla matrice ispano-cattolica.

La missione risultava particolarmente ardua anche per la complessità della comunità moresca. Javier Castillo Fernández insiste molto sulla dif-ferenziazione geografica quale elemento distintivo del carattere sociale, economico e culturale degli islamici che abitavano «le Spagne», come lo storico definisce il territorio iberico. Castillo Fernández fornisce inoltre una descrizione dettagliata delle tipologie sociali che componevano la co-munità islamica spagnola:

La ricchezza e la complessità sociale delle comunità moresche, e di altre ca-tegorie simili, era ampissima e andava dall’aristocrazia assimilata, passando per l’oligarchia politica locale, i ricchi mercanti delle città, i riscossori delle imposte, proprietari terrieri più o meno importanti nella Terra di Granada, i gestori del-le coltivazioni di zucchero sulla costa, i proprietari di bestiame degli Altipiani,

12. La taqiyya, prevista espressamente nel Corano, consentiva ai musulmani di dissimulare la propria fede nel caso di rischio della vita: «i credenti non si scelgano a patroni gli infedeli a prefe-renza dei fedeli; chi fa questo non è da Dio; a meno che non abbiate motivi di timore da parte loro […]. Di’: Sia che nascondiate quel che avete nel cuore, o che lo manifestiate, Iddio lo conosce […]» (Corano III, 28-29). «Chi rinnega Dio dopo aver creduto è perso; eccetto coloro che vi sono stati costretti con la forza, il cuor loro è tranquillo nella fede» (Cor. XVI, 106). Cfr. A. Bausani (a cura di), Il Corano, Rizzoli, Milano 2004. Questo principio è confermato anche nel Detto del Profeta: «Il profeta disse: può darsi che agli occhi del mondo una persona sembri compiere opere paradisiache, mentre in realtà è degna dell’inferno. E può darsi che una persona sembri compiere opere infernali, mentre in realtà è degna del paradiso» (T. Clery, La saggezza del Profeta. I detti di Maometto, trad. it., Mondadori, Milano 1999, p. 88).

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16 Frontiere indivisibili

l’immensa varietà di artigiani cittadini, fino a giungere ai piccoli proprietari di terreni agricoli, lavoratori senza terra e braccianti giornalieri13.

A queste categorie vanno aggiunti anche i funzionari al servizio

dell’amministrazione castigliana, fra cui ufficiali di cancelleria, traduttori, interpreti, ufficiali della Casa de la Moneda14 o liberi professionisti, come medici e procuratori e i cristianos viejos de moros15, i quali, risultato di una strana sintesi sociale, potevano accedere all’hidalguía16 e all’esenzione fi-scale. Questi, infatti, avendo accettato il battesimo prima della promulga-zione delle leggi di conversione generale, riuscirono a eludere le restrizio-ni subite dai cristianos nuevos de moros, come il divieto di portare armi, di possedere schiavi e di andare a cavallo.

Nel 1602 morì il domenicano Jaime Bleda17, cappellano reale e fervido oppositore della comunità moresca. Prese il suo posto Diego de Mardones, autore di un informe18 in cui si sollecitava una posizione più moderata nei

13. J. Castillo Fernández, La época morisca. Estructuras Sociales, in M. Barrios Aguilera (a cura di), Historia del reino de Granada, Universitad de Granada, Granada 2000, t. II, p. 27. Si veda anche Id., Granada morisca, la convivencia negada: historia y textos, Comares, Granada 2002, p. 138.

14. La Casa de Moneda era l’istituzione statale che si occupava della fusione, fabbricazione e diffusione della moneta ufficiale: «Los oficiales de Thesoreros, monederos y obreros, y otros oficia-les qualesquier de las Casas de la moneda de uestros Reinos y Señoríos, son oficios mui necessarios y de grandes trabajos y de grande fieldad […] y mandámos, que los Alcaldes de las dichas nuestras Casas de moneda conozcan de las causas civiles y criminales de los dichos monederos y oficiales» (Diccionario de Autoridades, t. I, Gredos, Madrid 1990, p. 206).

15. M. Barrios Aguilera, Granada morisca, cit., p. 140.16. Hidalguía, lett. «figlio di qualcuno», cioè figlio di persona valente o con beni di fortuna.

Indicava lo status del gentiluomo o del nobile spagnolo. Il titolo è attestato dal Medioevo al principio dell’Età moderna con riferimento alla classe sociale che, sebbene priva di titolo nobiliare, si distin-gueva dai plebei e viveva di rendita; cfr. M. Moliner, Diccionario de uso del español, cit., p. 1477 ed anche L. Tam, Grande dizionario di spagnolo, Hoepli, Milano 2004, p. 1666.

17. Jaime Bleda era il rappresentante dell’Inquisizione a Valencia; si veda J. Bleda, Defensio fidei in causa neophytorum, sive Morischorum, [Appendix] Breve relación de la expulsión de los moriscos de Valencia, Ioannem Chrusostomum Garriz, Valencia 1610 e Id., Corónica de los moros de España dividi-da en ocho libros por el Padre Presentado Fray Iaime Bleda Predicador General de la Orden de Predicadores, Calificador de la Inquisición de Valencia Al Ilustrissimo y Excelentisssimo Señor Don Francisco de Sandoval y Rojas, Duque de Lerma, marqués de la ciudad de Denia, Cardenal de la Santa Iglesia Romana, Felipe Mey, Valencia 1618.

18. «Sabemos que Fray Diego de Mardones encargó al abogado y humanista Pedro de Va-lencia (1555-1620), vecino de Zafra, un informe sobre la cuestión morisca, cuyo manuscrito se ha publicado hace unos años y que debe haber sido escrito antes del año 1606, puesto que el escrito

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 17

riguardi dei moriscos. Nel documento Mardones riconosceva ai moriscos il diritto di considerarsi Árabes (Mori), di mantenere la propria cultura e di potersi distinguere dai cristiani. Egli riconosceva altresì ai moriscos il diritto di considerare la Spagna come patria naturale, ritenendo ingiusto privarli della cittadinanza e dell’onore civile.

1.3. Convivenza fra moriscos e cristianos viejos

Álvaro Castillo ha effettuato un’analisi sulla convivenza tra moriscos e cristianos viejos su due livelli; uno giuridico, ossia l’azione repressiva ope-rata dalle grandi istituzioni dei dominatori: la Chiesa, l’Inquisizione, la Chancillería19 e la Capitanía General20 e un livello civile, corrispondente alle

de Valencia, de casi 160 folios, va precedido de una carta al confesor del Rey Felipe III, Diego de Mardones, fechada el 25 de enero de 1606, enviándosele. En este se trata sobre la mayor fecundidad de los moriscos en comparación con los cristianos viejos. Entre muchos consejos, Valencia sugiere rechazar todo tipo de fuerza en el trato con los moriscos, pero obligarles enseñar la doctrina católica de forma amable y no expulsarles» (si veda G.Westerveld, Miguel de Cervantes Saavedra, Ana Félix y el morisco Ricote del Valle de Ricote en “Don Quijote II” del año 1615, Academia de Estudios Humanísticos de Blanca (Valle de Ricote) 2007). Cfr. a tale proposito l’autografo di P. de Valencia, Tratado acerca de los moriscos (composto nel periodo 1605-1606), in Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 7845, pp. 3-160, studiato in via preliminare da Joaquín Gil Sanjuán nel 1997. Nell’Informe Mardones affermava che «Conviene que, esparcidos, se trate con amor y caridad, que vean ellos que les queremos bien, para que se fién de nosotros; los que fuesen naciendo de matrimonios de cristianos y moriscos, no sean tratados ni tenidos por moriscos; que a los unos ni a los otros no los afrontemos ni despreciemos. Así procurarán mezclarse con cristianos viejos, y lo alcanzarán y preciarán de cristianos y de honrados. [....] Sean compelidos con penas a dejar de usar las ceremonias, trajes y costumbres de moros, con tal que esta compulsión haya de ser mansa, no rigorosa, pero ordinaria y sin intermisión, no hecha por el Tribunal de el Santo oficio de la Inquisición, porque con el proceder tan exacto se obstinan» (passo citato in A. Alcalà, El humanista y cronista real Pedro de Valencia, in P. Civil (a cura di), Siglos Dorados. Homenaje a Augustín Redondo, t. I, Castalia, Madrid 2004, pp. 1-14).

19. La Chancillería era il tribunale superiore di giustizia, cui erano avocate in appello le sentenze penali e civili dei tribunali di tutte le provincie nel territorio di competenza. Il fiume Tago divideva la giurisdizione delle Chancillerías che si trovavano in Spagna: tutti i territori che si estendevano verso la Mancha appartenevano alla giurisdizione di Granada, mentre quelli che guar-davano verso la Castiglia appartenevano a quella di Valladolid. La Chancillería emanava sentenze in nome del re, mentre l’Audiencia in nome del reggente o del giudice supremo del tribunale (cfr. Diccionario de Autoridades, cit., t. I, p. 303; M. Moliner, Diccionario de uso del español, cit., p. 601).

20. La Capitanía General indicava il luogo di residenza del capitano generale di una regione militare o dipartimento marittimo; nelle Americhe indicava il territorio governato dal viceré. Cfr. M. Moliner, Diccionario de uso del español, cit., p. 510.

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18 Frontiere indivisibili

relazioni tra i componenti dell’una e dell’altra comunità, già logorate dai conflitti sociali interni21. La comunità moresca, ormai gruppo sociale sot-tomesso, tentava di garantirsi un livello economico minimo per far fronte al regime fiscale particolarmente oppressivo dei nuovi dominatori.

I tribunali locali operavano vietando i costumi moreschi, persegui-tando e condannando a umiliazioni pubbliche i moriscos per reati prete-stuosi, violando la libertà personale e operando il terrore con l’ausilio di giudici e ufficiali giudiziari, ma anche di sacerdoti e parroci. Se, da un lato, questo favorì la formazione di una resistenza attiva, dall’altro costrinse all’emarginazione sociale le classi meno agiate della comuni-tà moresca, mentre la forte pressione fiscale ne alimentava l’indigenza economica. Questa realtà fomentava forti tensioni nelle aree a comunità mista, in particolare nel territorio del Regno di Granada, dove le mo-rerías22 furono costrette a spostarsi in zone remote, come la pianura di Almería e Guadix.

Julio Caro Baroja invita a riflettere su una questione fondamentale: «se i moriscos, come tali, avessero avuto contro la totalità dei cristiani, non avrebbero potuto tollerare ciò che hanno tollerato»23. La comunità cristia-na era generalmente ostile al popolo dei cristianos nuevos, anche se certa-mente non mancano le testimonianze di relazioni più che positive, tanto da suscitare, soprattutto in ambienti urbani, un sentimento di confiden-za e di fiducia reciproca. È altrettanto vero che queste relazioni celavano un’ambiguità di fondo: una confidenza, un gesto più familiare potevano portare il morisco direttamente davanti all’Inquisizione24. Il controllo so-ciale esercitato dalla popolazione cristiana derivava da una diffidenza che,

21. A. Castillo, La España Morisca, «Hispania», XX (1960), 60, pp. 578-585.22. Le Morerías erano i quartieri islamici all’interno dei recinti urbani (cfr. M. Romero Sáiz,

Mudéjares y moriscos en Castilla-La Mancha: aproximación a su estudio, Llanura, Piedrabuena 2007, p. 41).

23. J. Caro Baroja, Los moriscos en el Reino de Granada: ensayo de historia social, Istmo, Madrid 1976, p. 133.

24. Si veda M. García-Arenal, Los Moriscos, Editora Nacional, Madrid, 1975 ed Id., Inqui-sición y moriscos. Los procesos del tribunal de Cuenca (Tesis doctoral), Madrid 1983; A. Domínguez Ortiz, La Inquisición en Andalucia, in A. Luis Cortes Pena, M.L. López-Guadalupe (a cura di), Estudios sobre Iglesia y societad en Andalucia en la Edad Moderna, Università di Granada, Granada 1999.

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 19

anche a causa della propaganda negativa portata avanti dal Santo Uffizio, spesso si trasformava in odio.

A partire dal 1508 Ferdinando II di Aragona sancì il divieto della con-versione coatta e della carcerazione senza processo nei casi di rifiuto del battesimo, sollecitando la conversione volontaria degli infedeli. Il sovrano sperava sottilmente che l’adesione al cristianesimo avvenisse in maniera spontanea con lo strumento della persuasione; tuttavia, anche se i Mori che rifiutavano di adeguarsi alle abitudini religiose e civili dei cristiani non potevano essere perseguiti legalmente, iniziò un lento processo persecu-torio nei loro riguardi.

All’inevitabile indebolimento della comunità moresca corrispose anche una progressiva decadenza della cultura. Caso eclatante è quello della pro-fessione medica, particolarmente diffusa fra i giudeo-conversi e i moriscos: all’improvviso i cristianos viejos iniziarono a non fidarsi più dei medici cri-stianos nuevos sospettandoli di attentare alla vita dei malati. Inoltre il Santo Uffizio diffuse la credenza che la gloriosa capacità medica dei moriscos fosse frutto, come quella degli judíos, di patti diabolici e che pertanto essi tendes-sero a dannare l’anima delle persone che avevano in cura25.

In aggiunta a questa situazione, l’aumento della pressione sui moriscos rese faticosa la loro stessa sopravvivenza, non essendo mai stata confer-mata la perequazione fiscale promessa dalla Corona nel 1480. Anche la coltura del baco e la lavorazione della seta, fonti di reddito e di prestigio per gran parte del Regno di Granada26, subirono, a partire dal 1550, la competizione delle manifatture tessili murciane, gestite da cristianos viejos e gravate da una tassazione meno pesante. Questo ulteriore danno alla co-munità moresca colpì soprattutto i piccoli coltivatori dell’Alta Andalusia.

Oltre all’insostenibile pressione fiscale, la Corona fece ricadere unica-mente sui moriscos le spese sostenute per le opere di interesse pubblico, come la riparazione dei ponti e il riattamento delle strade. I cristianos nue-

25. Cfr. J. CavignaC, Dictionnaire du Judaïsme bordelais aux XVIIIème et XIXème siècles: biogra-phies, généalogies, professions, institutions, Éditions de les archives départamentales de la Gironde, Bordeaux 1987.

26. In zone come l’Alpujarra la coltivazione del baco da seta era una sorta di monocoltura e occupava migliaia di operai urbani: si veda K. Garrad, La industria sedera granadina en el siglo XVI y su conexión con el levantamiento de Las Alpujarras, «Miscelánea de Estudios Árabes y Hebraicos», V (1956), pp. 73-104.

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20 Frontiere indivisibili

vos furono inoltre costretti a pagare il sale, bene di monopolio pubblico, ad un prezzo molto più elevato dei cristianos viejos. Un regime fiscale così sfavorevole obbligò i moriscos a cercare di massimizzare i guadagni, of-frendo la propria mano d’opera ad un prezzo più basso del consueto, cosa che li rese ancora più invisi e detestabili agli occhi dei braccianti agricoli cristiani.

I parroci, dal canto loro, infliggevano pene pecuniarie a tutti coloro che non si presentavano alla messa domenicale, anche se infermi, mentre i giudici consentivano irruzioni nelle case dei moriscos senza mandato e senza ragione e facevano confiscare mobili e abiti, talvolta introducendo di soppiatto armi nelle abitazioni per comminare una sanzione o costrin-gere i sospetti al carcere. Questa arbitrarietà, quasi legalizzata, imprigionò lentamente i moriscos in una rete di estorsioni senza fine27.

1.4. Il Regno di Granada

Il Regno di Granada, annesso al Regno di Spagna nel 1492, mantene-va una comunità islamica ancora ben definita, addirittura in alcune zone maggioritaria rispetto a quella cristiana28. La società granadina era forte-

27. Cfr. J.B. Tueller, Good and Faithful Christians: Moriscos and Catholics in Early Modern Spain, University Press of the South, New Orleans 2002; A. García Pedraza, Actitudes ante la muer-te en la Granada del siglo XVI: los moriscos que quisieron salvarse, El Legado Andalusí, Granada 2002. Sull’attitudine dei moriscos al suicidio per evitare le persecuzioni si veda il recente lavoro di M.A. VÁzquez, Desde la penumbra de la fosa. La concepción de la muerte en la literatura aljamiado morisca, Trotta, Madrid 2007.

28. Sulla demografia e la sociologia della comunità moresca a Siviglia, si veda R. Pike, An urban minority: the moriscos of Seville, «International Journal of Middle East Studies», 2 (1971), pp. 368-375; A.L. Cortés Peña ha esposto alcune questioni sulla integrazione della minoranza islamica a Siviglia nel saggio Una consecuencia del exilio: los moriscos granadinos en Sevilla, in E. Belenguer CebriÁ (a cura di), Felipe II y el Mediterráneo, Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Cen-tenarios de Felipe II y Carlos V, Madrid 1999, pp. 537-552. Sull’esodo e sulla reazione delle autorità ecclesiastiche e civili in Andalusia si veda M. Boeglin, De Granada a Sevilla: itinerario y destino de la minoría morisca en la Bética (1570-1580), «Sharq al-Andalus», 17 (2003-2007). Sugli aspetti demogra-fici si rimanda a Id., La población morisca de Sevilla en la segunda mitad del siglo XVI. Los granadinos en 1589, «Chronica Nova», 33 (2007), pp. 195-221. Si consultino anche R. Pérez García e M.F. Fer-nández Chaves, La Iglesia y los moriscos en Sevilla. El retroceso de una frontera cultural (1569-1609), in F. Ceballos Toro-A. Linage Conde (a cura di), Abadía: homenaje a Don José Rodríguez Molina. Jornadas

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 21

mente compressa nei parametri dell’Ancien Régime, con una divisione so-ciale sostanzialmente tripartita in nobiltà (spesso di origine nazarí)29, clero e terzo stato, cui si aggiungevano gli hidalgos, gli estantes e gli schiavi. La maggioranza dei moriscos, come pure i giudeo-conversi, numerosi in que-sta zona geografica, era occupata quasi esclusivamente nei lavori artigia-nali, nel commercio e nell’agricoltura.

Dalla riconquista di Granada al 1570 l’intensa opera di castiglianiz-zazione e cristianizzazione venne supportata, da un lato, dai messi co-munali che intermediavano fra le comunità cittadine e i re cattolici, dall’altro dall’opera di evangelizzazione dei sacerdoti inviati dall’Inqui-sizione.

In quegli anni Carlo V e Filippo II concessero diversi señoríos30 in An-dalusia per ricompensare le famiglie castigliane e i membri dell’ammini-strazione palatina che si erano impegnati nella riconquista del Regno. I señoríos assegnati dai re cattolici nel Regno di Granada erano di piccole dimensioni, poco remunerativi e lontani dai domini principali, per evita-re di rompere l’equilibrio fra le diverse famiglie e la Corona31. La politica dei monarchi scontentò quelle famiglie andaluse che nella guerra contro Granada avevano investito ingenti risorse economiche e umane nella spe-ranza di unire i propri possedimenti con quelli ottenuti dalla Reconquista.

celebradas en Alcalá la Real, 19 y 20 de noviembre de 2004, Diputación provincial de Jaén, Jaén 2005, pp. 621-631 ed Iid., Expulsados en tierras extrañas. El destino de los moriscos almerienses en Sevilla, «Farua», 9-10 (2006-2007), pp. 69-85 ed anche C. López Martínez, Mudéjares y moriscos sevillanos, Editorial Renacimiento, Sevilla 1999. I documenti relativi ai moriscos nell’Archivo Municipal de Sevilla sono poco numerosi salvo le «Referencias escuetas en las actas capitulares» (Sevilla, Archivo Municipal, Sección X, t. 5759 s/f ).

29. «El reino de Granada era, desde el siglo XIII, el único territorio de soberanía musulmana que quedaba en la Península Ibérica. Su soberano, de la dinastía de los Banu-Nasr o nazaríes, era la cabeza visible del Islam de Al-Andalus. En Granada se reconocían todos los musulmanes mudéja-res, que se hacían denominar “andalusíes” o “granadinos” (también “tagarenos” o “zegríes”, gen-tes de la frontera del Islam), cuando estaban fuera de la peninsula» (in M. De Epalza, Los moriscos ante y después de su expulsión, Mapfre, Madrid 1992, p. 30). Sul Regno di Granada cfr. M. A. Ladero Quesada, Granada. Historia de un país islámico (1232-1571), Gredos, Madrid 1979; Id., Granada des-pués de la conquista. Repobladores y mudéjares, Diputación Provincial de Granada, Granada 1988 e R. Ariè, L’Espagne musulmane au temps des Nasrides (1232-1492), De Boccard, Paris 1973.

30. Señorío ovvero ‘feudo, territorio che appartiene ad un señor’ (cfr. M. Moliner, Dicciona-rio de uso del español, cit., p. 1062).

31. M. Barrios Aguilera, Granada morisca, cit., p. 131.

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22 Frontiere indivisibili

I nobili granadini furono costretti, pertanto, a cedere i territori conqui-stati ai figli, ad assegnarli come doti alle donne o a rivenderli a terzi, ge-neralmente commercianti stranieri. La parcellizzazione delle proprietà fondiarie esasperò il malcontento dei señores verso la Corona spingendoli ad agire con una certa autonomia da Madrid. In tal senso i señores non disdegnavano di sfruttare la mano d’opera moresca a basso costo e di garantire una maggiore tolleranza e rispetto per le pratiche religiose e culturali della comunità islamica.

1.5. Il Regno di Castiglia

Nel Regno di Castiglia la situazione risultava assai diversa dalle altre regioni a forte presenza moresca. Anche se i musulmani furono espulsi da quasi tutti i territori della Castiglia e della Mancha, Alfonso VI aveva concesso alle comuni-tà mudéjares di Toledo e di Cuenca uno statuto particolarmente vantaggioso32. Il regime eccezionale di cui godevano i moriscos nell’arcivescovado toledano è confermato sia dal mantenimento della moschea, sia dall’usufrutto dei territori previsti dallo statuto. Questo confermava il Regno di Toledo come il primo grande centro mudéjar della Castiglia. Le comunità islamiche disponevano inol-tre di giudici, sindaci e alcaldes33 per risolvere al proprio interno le dispute civili. A capo dell’alcaldía era posto il Viejo Mayor, così denominato sotto la legislatura di Alfonso X, poi rinominato Alcalde Mayor sotto Enrico II. I mudéjares mantene-vano, altresì, l’istituzione dell’alfaquí34, sebbene i documenti approvati da que-sta figura giuridica dovessero essere comunque ratificati dalle autorità statali35.

32. M.A. Ladero Quesada, Los mudéjares de Castilla en tiempos de Isabel I, Instituto “Isabel la Católica” de Historia Eclesiástica,Valladolid 1969; J.C. De Miguel Rodriguez, Los mudéjares de la Corona de Castilla, «Cuadernos de Investigación Medieval», 8 (1988).

33. Alcalde: sindaco, la persona investita dell’autorità di giudice per amministrare la giusti-zia del Pueblo di cui teneva la giurisdizione. Voce araba, da Cadi, che significa giudice, governatore, cui è stato aggiunto l’articolo ‘Al’: «Ricos omes, quando los pone el Rey tierra, o quando fece Al-ferez, ó Mayordómo, ó Adelantado, ó Meríno, ó Alcalde» ( J. Torres Fontes, El alcalde Mayor de las aljamas de moros en Castilla, «Anuario de Historia del Derecho Español», 32 (1962), pp. 131-182).

34. L’alfaquí era l’insegnante di diritto musulmano, l’esperto di diritto islamico. 35. M. Romero Sáiz, Mudéjares y moriscos en Castilla-La Mancha, cit., p. 43. Si veda anche

M.A. Ladero Quesada, Los mudéjares de Castilla en tiempos de Isabel I, Instituto “Isabel la Católica”

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 23

Nonostante la fedeltà dimostrata a Ferdinando il Cattolico, anche i mo-riscos castigliani il 12 febbraio 1502 furono costretti a scegliere fra la con-versione e l’esilio.

La popolazione moresca nel Regno di Castiglia36 è stata così calcolata:

1609Vecchia e Nuova Castiglia, La Mancha, Estremadura 45.000Murcia 16.000

Andalusia 30.000Granada 3.000

Tabella 1. Popolazione moresca nel Regno di Castiglia.

1.6. Il Regno di Aragona

I territori del Regno d’Aragona, che comprendevano l’Aragona, la Va-lencia e il Principato di Catalogna erano considerati delle entità a parte: essi conservavano le antiche libertà feudali in modo notevolmente maggiore rispetto agli altri territori peninsulari. Le classi dirigenti avevano in grande considerazione i vassalli Mori ed i prestiti in favore dei ghetti costituivano l’investimento principale dei prelati e delle fondazioni ecclesiastiche37. La classe dirigente, temendo una perdita economica, si mobilitò subito per

de Historia Eclesiástica,Valladolid 1969.36. Cfr. M.A. Ladero Quesada, Los mudéjares de Castilla, cit., pp. 17-21.37. Sulla condizione politica e sociale dei moriscos in Aragona si vedano: A. Abadia Irache,

La enajenación de rentas señoriales en Aragón en el siglo XVI, «Revista Jerónimo Zurita», 58 (1988), pp. 61-100; L. Aguado, Los moriscos aragoneses y las libertades de Aragón, «Historia y Vida», 88 (1975); A. Álvarez VÁzquez, Notas sobre la población morisca de Aragón a fines del siglo XVI, «Estudios del Depar-tamento de Historia Moderna», s.n., 1976, pp. 148-158; J. Caro Baroja, Los moriscos aragoneses según un autor del siglo XVII, Razas, Pueblos y Linajes, Madrid 1957, pp. 81-98; M.S. Carrasco Urgoiti, El problema morisco en Aragón al comienzo del reinado de Felipe II, «Estudios de Hispanófila», 62 (1969), pp. 29-30; G. Colas Latorre, Los moriscos aragoneses y su expulsión, Institución Fernando el Católico, Zaragoza 1988, pp. 189-216; R. FernÁndez Ordoñez, Primer gran trauma de la historia de Aragón. Los 60.000 moriscos del reino estaban bien integrados con el resto de la población, «Pueblo Aragón», 28-XII-1976; J.I. Gomez Zorraquino, Consecuencias económicas de la expulsión de los moriscos aragoneses: los censales. Actas de el III simposio de Mudéjarismo, Teruel 1984, pp. 269-275; M.L. Ledesma Rubio,

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24 Frontiere indivisibili

scongiurare qualsiasi cambiamento della condizione giuridica dei mori-scos. In effetti, se i Mori fossero stati sottoposti al battesimo forzato anche in Aragona, sarebbero stati equiparati a livello tributario ai cristianos viejos, con conseguenze molto gravi per le rendite dei signori locali. I señores, che costituivano un partito estremamente forte e presente capillarmente sul territorio, reagirono pertanto in maniera decisa e chiesero per l’Aragona la conferma del fuero (statuto) già ottenuto dalla Castiglia e da Granada precedentemente alle Cortes del 1495, in virtù del quale il monarca si im-pegnava a non consentire le espulsioni dei Mori.

A séguito della pubblicazione dell’editto del 1502 in Castiglia, Ferdi-nando II confermò il compromesso con i señores nelle Cortes di Barcellona del 1503 e di Monzón del 1510, giurando solennemente che non avrebbe preteso di convertire i Mori con la forza, né avrebbe intralciato la loro con-vivenza con i cristiani, anche se con l’ascesa di Carlo V al trono nel 1518 si rese necessaria una nuova ratifica del giuramento38.

La popolazione moresca nel Regno di Aragona è stata così calcolata:

1568-1575 1609Valencia 85.000 135.000Aragona 48.713 61.000Catalogna 7.000 8.000

Tabella 2. Popolazione moresca nel Regno di Aragona.

Questi dati confermerebbero le statistiche di espulsione39 studiate da Hen-ri Lapeyre:

Los mudéjares aragoneses: de la convivencia a la ruptura in Aa. Vv., Destierros Aragoneses. I. Judíos y Moriscos, Institución Fernando el Católico, Zaragoza 1988, pp. 171-188; M.J. Viguera Molins, Do-cumentos mudéjares aragoneses, «Quaderni di Studi Arabi», 5-6 (1987-1988), pp. 786-790.

38. H.C. Lea, Los moriscos españoles: su conversión y expulsión, Instituto de Cultura Juan Gil-Albert, Alicante 1990, pp. 131-132.

39. Si vedano B. Vincent, Demografía morisca, in A. Domínguez Ortiz, Historia de los moris-cos, cit., pp. 77-90 e H. Lapeyre, Géographie de l’Espagne morisque, S.E.V.P.E.N., Paris 1959.

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1. I moriscos nella Spagna del xvi secolo 25

1609Valencia 135.000Aragona 61.000Catalogna 5.000

Tabella 3. Popolazione espulsa dal Regno di Aragona

Figura 1. La Penisola iberica tra il 1270 ed il 1492.

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Capitolo II

Cristianizzazione e castiglianizzazione

2.1. Moriscos fra Germanías e persuasione

Nel Regno di Valencia l’antagonismo fra la comunità cristiana e quella islamica era da sempre molto vivo. Il movimento delle Germanías servì da un lato come detonatore e dall’altro come rilevatore della situazione so-ciale. La Germanía o Hermanedad fu una rivolta della popolazione cristiana rurale valenzana, scoppiata nel 1520, contro l’oppressione e la crudeltà della nobiltà locale1. Essa iniziò in un primo momento come movimento di rivolta, tollerato anche dal cardinale Adriano di Utrecht2 (reggente di Carlo V) ma presto sfociò in una vera e propria guerra civile. I Mori se-guirono il partito dei señores: formarono un terzo della fanteria agli ordini del viceré Diego Hurtado de Mendoza nella tragica sconfitta di Gandía e costituirono una forza considerevole con cui il duca di Segorbe vinse la battaglia di Orpesa e Almenara nel giugno 1521. Queste circostanze ravvi-varono l’odio popolare e spinsero i capi della Germanía a battezzare i Mori con la forza, consapevoli del fatto che la condizione di cristianos nuevos de moros avrebbe privato i señores della loro fedeltà3.

Dopo la vittoria di Gandía gli agermanados catturarono i mudéjares e li portarono con la forza nelle chiese per battezzarli. A Valencia si ripe-

1. Germanía è un termine sorto nel secolo XVI, appartenente al gergo della malavita spag-nola; storicamente indica una confraternita o corporazione dell’antica Valencia. Si veda J. Pas-tor, Aproximación a la situación religiosa de los moriscos después de las Germanías, «Apud Dianium», I (1982), pp. 219-236.

2. Il cardinale divenne in seguito Papa Adriano VI. Nato Adriaan Florenszoon Boeyens (Utrecht, 2 marzo 1459 – Roma, 14 settembre 1523), ottenne il pontificato dal 9 gennaio 1522 alla morte, avvenuta il 14 settembre 1523.

3. H.C. Lea, Los moriscos, cit., pp. 135-137.

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28 Frontiere indivisibili

tevano scene orribili: corpi di musulmani uccisi ai margini delle strade, morerías incendiate e sacerdoti che imponevano il battesimo o la morte sotto il controllo e la protezione degli agermanados. Passato il pericolo, i moriscos superstiti, incoraggiati dai señores, ripresero a praticare i propri riti religiosi e le normali abitudini di vita4.

La Germanía venne debellata definitivamente nel 1522. Da quel mo-mento l’Inquisizione iniziò una lunga serie di processi contro i moriscos, non sempre condotti nella legalità: la testimonianza di un cristiano viejo era tenuta in maggior considerazione rispetto a quella di un morisco, che aveva anche lo svantaggio di essere processato in spagnolo e pertanto alla mercé di interpreti e testimoni spesso pagati per rilasciare una versione dei fatti non sempre obiettiva.

Resosi conto della situazione, il cardinale Adriano di Utrecht optò per una politica più distensiva, mentre il Vaticano decise di proclamare un’am-nistia generale per i condannati di apostasia.

Al termine dei moti delle Germanías del 1522 il problema morisco era di-ventato ormai di evidente gravità. I cristianos nuevos, tornati alla loro vecchia fede, costrinsero il governo a prendere nuovi provvedimenti. L’inquisitore generale, Alonso Manrique, affrontò la questione e nel gennaio del 1524 riunì un’assemblea per trattare la questione dei mudéjares convertitisi dopo il 1521. Le sessioni iniziarono nel febbraio del 1525 e terminarono nel giugno dello stesso anno: la conclusione finale confermava la validità del battesimo e l’obbligo, per tutti i moriscos che lo avessero contratto, di comportarsi da buoni cristiani. Venne inoltre disposta la nomina di alcuni commissari per il Regno di Valencia con il compito di riportare i moriscos alla «vera fede».

2.2. I moriscos e l’Inquisizione

I re cattolici compresero il potere della religione per legare alla Corona i diversi regni della Penisola iberica e riconobbero la Chiesa come principa-le alleato nel progetto di unificazione della Spagna.

4. Ivi, pp. 142-144. Altri moriscos preferirono emigrare in Nord Africa: Henri Lapeyre ha stimato un numero di circa 25.000 individui.

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 29

Nell’opera di repressione dei moriscos iniziata nel XVI secolo è stato rile-vante il ruolo di padre Hernando de Talavera5. Questi, appoggiato da Fer-dinando il Cattolico, tentò di estirpare completamente la cultura moresca dalla Spagna con l’adozione di rescritti ed ordinanze che obbligavano i musulmani a gettare al rogo tutti i libri scritti in lingua araba o che tratta-vano temi propri dell’Islam.

Dopo la morte di Isabella la Cattolica e le dimissioni dell’Inquisitore Generale Diego de Deza6, Ferdinando il Cattolico decise di dividere l’am-ministrazione suprema dell’Inquisizione in due rami paralleli, quello di Castiglia, erede della Suprema Inquisición e quello di Aragona (separazione poi annullata il 14 marzo 1518 da Carlo V). A partire dal 1498, pertanto, l’Inquisizione spagnola cessò di dipendere da un’autorità centrale presie-duta da un solo Inquisitore generale7.

Successivamente Carlo V si rivolse a papa Clemente VII per impedire ai ministri del culto di imporre con la forza la conversione ai musulmani e aprire un dibattito sulla validità dei sacramenti coatti, al quale invitò

5. Padre Hernando de Talavera (1428-1507) era il vescovo di Granada. Padre Jerónimo de Madrid (come riportato da Miguel Mir nell’introduzione al tomo degli Escritores místicos españoles) nella sua Breve suma de la santa vida del reverendísimo y bienaventurado Fray Hernando de Talavera affer-mava che: «[Hernando de Talavera] pedricaba él de manera que, aunque decía cosas arduas é muy sotiles y de grandes misterios, la más simple viejecita del auditorio las entendía tan bien como el que más sabía: todo su intento era la salud de las ánimas… por esto sus sermones parecían tan llanos» (M. Mir, Escritores místicos españoles, Bailly-Bailliére, Madrid 1911 e J. Gao, Escritores místicos españo-les, Fray Luis de Granada, Santa Teresa de Jesús, Fray Luis de León, Océano Grupo Editorial, Barcelona 1998, p. 6).

6. L’Inquisitore generale Diego de Deza è stato il predecessore del cardinal Cisneros. Si ve-dano: A. Cotarelo Valledor, Fray Diego de Deza. Ensayo biográfico, Perales y Martínez, Madrid 1902; M. Alcocer Martínez, Fray Diego de Deza y su intervención en el descubrimiento de América, Imprenta de la Casa social católica a cargo de V. Franco, Valladolid 1927; V. BeltrÁn de Heredia, Historia de la Reforma de la Provincia Dominicana de España, S. Salive, Roma 1932, t. I, pp. 16-19; T. Herrero del Collado, El proceso inquisitorial por delito de herejía contra Hernando de Talavera, «Anuario de Historia del Derecho Español», 39 (1969), pp. 671-702; F. Marcos, voce corrispondente in Q. Aldea Vaquero, T. Marín Martínez, J. Vives Gatell, Diccionario de Historia Eclesiástica de España, Instituto Enrique Flórez, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid 1972, t. I, pp. 746-748.

7. Per i rapporti tra l’Inquisizione e la comunità moresca si veda F. de Borja de Medina, La Compañía de Jesús y la minoría morisca (1545-1614), «Archivum Historicum Societatis Iesu», LVIII (1988), p. 110.

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30 Frontiere indivisibili

anche teologi e giuristi8. Alcuni dottori sostenevano che il battesimo non sentito con pienezza di fede non poteva considerarsi valido e che si sareb-be commesso un sacrilegio nell’obbligare i Mori a sottoporsi al sacramen-to, anche quando i mudéjares in questione fossero stati bambini. Altri, al contrario, affermavano la assoluta validità del sacramento in re ipsa, al di là della volontà di chi lo riceveva.

Di fronte alla resistenza della minoranza moresca, non sempre passi-va, era ormai necessario definire una condotta conforme alla dottrina del-la Chiesa: lo strumento non poteva che essere l’Inquisizione9. Tuttavia la macchina inquisitoriale non rappresentava affatto l’autentica natura della fede popolare: alcuni ordini, tra cui la Compagnia di Gesù di Ignacio López de Loyola, svolgevano un ruolo di collegamento con le comunità provin-ciali e cittadine e spesso si avvicinavano alle posizioni della nobiltà arago-nese. Quest’ultima, che rappresentava l’estremo baluardo del feudalesimo ed era distante dai calcoli della Razón de Estado tipica dei re cattolici, era considerata avversaria dall’Inquisizione, sfruttatrice ed insolente dai gesuiti ed, infine, pericolosa competitrice per l’amministrazione del Tesoro.

Nonostante gli sforzi del Santo Uffizio, i processi non raggiunsero tutta la comunità moresca, dato che l’Inquisizione non disponeva, da un punto di vista strettamente amministrativo, di mezzi umani e tecnici sufficienti per condurre in modo capillare un’impresa di tale portata. I moriscos all’ini-zio del XVII secolo rappresentavano, infatti, circa il 17% della popolazione spagnola e l’Inquisizione impiegò circa centotrenta anni per raccogliere i frutti della campagna epurativa10.

8. F. Bernabé Pons, Carlos V: ¿un rey ideal para los moriscos?, in Carlos V. Los moriscos y el Islam. Congreso Internacional (Alicante 20-25 de noviembre de 2000), Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos V, Madrid 2001, pp. 102-112.

9. Si vedano i recenti lavori di S. Pastore, Il Vangelo e la spada. L’Inquisizione di Castiglia e i suoi critici (1460-1598), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2003; Ead., Un’eresia spagnola. Spiri-tualità conversa, alumbradismo e Inquisizione (1449-1559), Olschki, Firenze 2004.

10. Ovvero dal 2 gennaio 1481 al 4 agosto 1609. Cfr. R. de Zayas, Los moriscos, cit., p. 78. Tra le categorie di crimine e numero di accusati condannati dall’Inquisizione spagnola nel perio-do 1540-1700, appaiono le seguenti cifre e percentuali: Eresie Maggiori, Aragona: Giudaismo 942 (3.6%), Islamismo 7.472 (28.8%), Luteranesimo 2.284 (8.8%), Illuminismo 61 (0.2%) per un totale di 10.759 accusati (41.5%). Eresie Maggiori, Castiglia: Giudaismo 3.455 (17.8%), Islamismo 3.345 (17.8%), Luteranesimo 1.219 (605%), Illuminismo 82 (0.4%) per un totale di 8.101 accusati (43.1%). Il Totale dei casi corrisponde alle seguenti cifre e percentuali: Giudaismo 4.397 (9.8%), Islamismo

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 31

Nell’Informe citato in precedenza, Mardones asseriva che la stirpe dei moriscos rappresentava un pericolo per la comunità cristiana già per un principio di discendenza. Secondo la dottrina biblica, infatti, i musulmani procedevano dalla stirpe di Ismaele, procreato dall’unione della schiava Agar con Abramo, e non da Isacco, figlio di Sarah: questo rendeva auto-maticamente i moriscos inferiori ai cristiani11. Nel periodo storico in cui Mardones scriveva l’Informe la convivenza fra moriscos e cristianos viejos era già notevolmente compromessa, tanto che gli islamici erano consi-derati – da soli o con l’appoggio di altre forze sociali – un pericolo per lo stato. Mardones notava altresì che i moriscos concedevano alle loro don-ne solo un piccolo corredo, mentre i cristianos viejos spesso impedivano il matrimonio alle loro figlie per non dover elargire doti elevate: l’avarizia era uno dei cliché dei cristianos nuevos e figurava fra le principali accuse che la comunità cristiana muoveva contro la minoranza islamica. In tal senso Cervantes ne El coloquio de los perros rappresentò i moriscos granadi-ni espulsi e deportati in Castiglia come persone intente ad accumulare e nascondere fortune allo scopo di apparire agli occhi della gente come dei poveri disgraziati12.

10.817 (24.2%), Luteranesimo 3.503 (7.8%), Illuminismo 143 (0.3%) per un totale di 18.860 accusati (42.2%). Per quanto concerne le Eresie Minori figurano i seguenti dati e percentuali: Aragona: Proposizioni 5.888 (22.7%), Bigamia 1.591 (6.1%), Sollecitazione 695 (2.7%), Atti contrari all’Inqui-sizione 2.139 (8.3%), Superstizione 2.571 (9.9%), Miscellanea 2.247 (8.6%), Totale 15.131 (58.4%). Castiglia: Proposizioni 6.229 (33.2%), Bigamia 1.054 (5.6%), Sollecitazione 436 (2.3%), Atti contra-ri all’Inquisizione 1.232 (6.6%), Superstizione 961 (5.1%), Miscellanea 771 (4.1%), Totale 10.683 (56.9%). Il Totale corrisponde al seguente numero di condanne: Proposizioni 12.117 (27.1%), Bi-gamia 2.645 (5.9%), Sollecitazione 1.131 (2.5%), Atti contrari all’Inquisizione 3.371 (7.5%), Super-stizione 3.532 (7.9%), Miscellanea 3.018 (6.7%), Totale 25.814 (57.7%). I Dati Totali per le Eresie Maggiori e Minori corrispondono al seguente numero di condanne: Aragona 25.890 (100%), Casti-glia 18.784 (100%), Totale 44.674 (100%). Le sentenze di morte corrispondono alle seguenti cifre: Sentenze di morte in persona – Aragona 520 (2.0%), Castiglia 306 (1.6%), Totale 826 (1.8%). Sentenze di morte in effigie – Aragona 291 (1.1%), Castiglia 487 (2.6%), Totale 778 (1.7%). Cfr. la tabella in G. Henningsen, J. Tedeschi, C. Amiels, The Inquisition in Early Modern Europe. Studies on Sources and Methods, Northern Illinois University Press, Illinois 1986, p. 114.

11. A. Domínguez Ortiz - B. Vincent, Historia de los moriscos, cit., p. 131.12. Cfr. l’interessante analisi di R. Labarre, Tres antiparadojas sobre Cervantes, «Criticón», 54

(1992). Sull’opinione dei contemporanei che giustificavano l’espulsione dei moriscos si veda P.A. De Cardona, Expulsión justificada de los moriscos españoles y suma de las excellencias Christianas de Felipe Tercero, Pedro Cabarte, Huesca 1612; J. de Ribera, Instancia para la expulsión de los moriscos, Barcelona 1612; J.L. de Rojas, Relaciones de algunos sucesos postreros de Berbería. Salida de los moriscos

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32 Frontiere indivisibili

Secondo Mardones la soluzione migliore per risolvere la questione mo-resca consisteva nel suddividere i musulmani in piccoli gruppi lontano dai luoghi d’origine, forzandone l’assimilazione. Tuttavia, già alla metà del XVII secolo, la comunità moresca era stata decimata da multe, confische, requisizioni e condanne.

Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero, prima di imbarcarsi per l’Italia per riconquistare Milano, ricevette una lettera ano-nima (il 21 maggio 1521) in cui gli si chiedeva di riformare l’Inquisizione e sostituire i giudici corrotti con altri di rispettabile integrità. I firmatari della proposta offrivano un sussidio per i nuovi giudici e quattrocentomila ducati d’oro per la vendita ad perpetuum dei diritti della Corona sulle ter-re confiscate dall’Inquisizione, previo assenso del Papa. Inoltre i firmatari richiedevano un salvacondotto firmato dal re e dal cardinale Adriano di Utrecht al fine di garantire la propria incolumità.

Nonostante il re fosse incline ad accettare le proposte, anche al fine di rim-pinguare le casse dello Stato e pagare i debiti della Corona, era impensabile che Leone X o il suo successore, Adriano VI, accettassero di abolire l’Inquisizione.

La lettera di denuncia riportata da Juan Gil sul meccanismo di espropri attuato dall’Inquisizione è eloquente:

Todo comienza con una delegación, guardada en el anonimato, tal y como acostumbraba a suceder en la primera fase de los juicios de residencia, que consistía en la averiguación y presentación de los cargos al gobiernos saliente. A la primera denuncia se pone en marcha el mecanismo del Santo Oficio. Nue-vos avisos, secretos o no, se reciben después, en el momento en el que se trate de evaluar la cuantía de los bienes del acusado.

Con una cierta periodicidad los inquisidores promulgan carta de edicto (el llamado «edicto de fe»), que se lee en la catedral en los días señalados, invitan-do a denunciar en un plazo de trinta (y después de nueve) días los crímenes contra la fe contenidos en el decreto. A la herejía se añdieron con el tiempo nuevos delitos. En 1563 hubo rumores de que algunos confesores proponían actos deshonestos a las mujeres durante la confesión: la llamada eufemística-mente «solicitación» (solicitatio ad libidem). Nadie abría la boca hasta que se publicó el edicto, que obró el milagro de poner lenguas al pueblo: «An acudido

de España y entrega de Alarache, Jorge Rodríguez Comas, Lisboa 1613; D. Fonseca, Justa expulsión de los moriscos de España, con la instrucción, apostasía y traición deüos, y respuesta a las dudas que se ofrecie-ron acerca desta materia, Iacomo Mascardo, Roma 1612.

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 33

tantas personas a denunçiar de confesores que en esto an delinquido, que nos hemos visto en grande travajo de poderlos despachar y darnos a manos»13.

Il 29 maggio 1553 l’inquisitore Rojo, riferendosi alle denuncie sosteneva che le persone erano «tan ignorantes de que heran obligados a manifestar en el Sant Oficio como en lugares adonde no se sabe qué cosa sea la Inquisición»14.

Nel 1526 la Corona decise di avvicinare l’Inquisizione ai moriscos di Granada, spostando il tribunale di Jaén nella capitale dell’antico Regno Nazarí. Durante l’estate del 1526 Carlo V visitò Granada per la prima vol-ta: i granadini, ormai preoccupati per l’arbitrarietà del Tribunale del dia-volo15 – come era denominato – inviarono al re un memoriale anonimo in cui denunciavano gli abusi dell’Inquisizione sulle donne e i bambini. Con questo memoriale i moriscos granadini volevano indurre l’imperatore ad investigare su ventisette anni di processi illegittimi:

13. J. Gil, Los conversos y la Inquisición sevillana, Fundación El Monte, Sevilla 2000, pp. 159-160; trad.: «Tutto inizia con una delegazione, salvaguardata dall’anonimato, come accadeva solitamente nella prima fase dei giudizi di residenza, che consisteva nella verifica e nella presentazione degli incari-chi al governatore uscente. Con la prima denuncia si mette in moto il meccanismo del Santo Uffizio. Nuovi avvisi, segreti o meno, erano ricevuti dopo, nel momento in cui ci si trovava a valutare la quantità di beni dell’accusato. Con una certa periodicità gli inquisitori promulgavano editti, chiamati edictos de fè, enunciati nelle cattedrali in giorni appositi, con cui si invitavano i fedeli a denunciare entro trenta giorni (poi ridotti a nove) i crimini contro la fede. In base ad una testimonianza del 1563 sembra addirittura che alcuni confessori proponessero atti disonesti alle donne durante la confessione: quella chiamata eufemisticamente “sollecitazione” (solicitatio ad libidem). Nessuno prese ufficialmente posi-zione fin quando un editto ridiede voce alle istanze popolari: “Tante persone sono accorse a denun-ciare confessori che hanno commesso reati, per darci una mano in modo da poterli licenziare”».

14. Ibid.; trad.: «così ignoranti da essere obbligati a manifestare al Santo Uffizio come nei luoghi dove non si sa cosa sia l’Inquisizione».

15. L. Cardaillac, Moriscos y cristianos: un enfrentamiento polémico (1492-1640), Fondo de Cultura Económica Madrid, 1979, p. 98. Come ha evidenziato Szmolka Clares: «El Tribunal del Santo Oficio no se estableció en Granada hasta el 5 de noviembre de 1526, ya con anterioridad hay huellas de la acción Inquisitorial en estas tierras, bien de forma extraordinaria como en 1500, cuan-do el arzobispo Cisneros vino a Granada con poderes inquisitoriales para tratar de la conversión de los elches, bien dependiendo del tribunal de Córdoba que fue, en estos primeros años del qui-nientos, el encargado de velar por el mantenimiento de la ortodoxia en el antiguo reino nazarita. Hemos de señalar que en estos años la Inquisición no se preocupa de los moriscos, el caso de los elches era distinto, pues la Corona comprendía que, dadas las circunstancias que condicionaron su conversión, no cabía exigirles mucha sinceridad y pureza en el ejercicio que su nueva religión» ( J. Szmolka Clares El nuevo régimen administrativo granadino tras la conversión de los mudéjares. Proble-mas que plantea, Actas II Coloquio de Historia de Andalucía Andalucía Moderna, t. II, Publicaciones del Monte de Piedad y Caja de Ahorros de Córdoba, Granada 1983, p. 174).

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34 Frontiere indivisibili

Vuestra Magestad manda è à mandado poner la Sancta Inquisición en esta Ciudad y Reino de Granada, lo qual es muy loable y muy santo por que se vea de creer que la intención y voluta de Vuestra Magestad es que los malos christianos sean castigados y los bonos sean conocidos, y por que en la manera de proceder en el Sancto Officio pasan más peligros los que buenos son que los que mal biben, asy de ser presos como condenados sin culpa según que muchas veces a acaecido, todos los que bien biben y son católicos christianos suplican a Vuestra Magestad mande enmendar la manera de proceder en que los testigos y cárceles sean públi-cos como lo son en el pecado abominable y contra natura, que como en éste son conocidos y castigados los malos asy lo serán en este otro, y los que sono buenos y biben bien estarán seguros de ser acusados falsamente, y por que Vuestra Ma-gestad use de tan justa petición y misericordia con los que buenos son, de sólo este pequeño Reino de Granada, servirán a Vuestra Magestad con cinquenta mil ducados para los gastos de este tan sancto viage sin lo que más Vuestra Magestad podrá aver de los otros Reinos y Señoríos […] escusará Vuestra Magestad los in-combiententes de decado siguientes.

Lo primero que si los jueces son malos como puede acaecer por ser hombres humanos y no Santos como lo es el Officio, quando prenden donzella y casata de buenos justos y moças, ó quando las mandan venir segretamente ante sí como el Officio requiere en su mano sepan usar de ellos como cosa suya, lo qual ya liberamente ya sentirán con el gran temor que lleban, y esto no habrá lugar de se hacer en juicio público.

Y la otra, que los escribanos de este secreto y los officiales que en este secre-to tienen mano, seyendo mancebos, como algunas partes lo son, tienen ó casi han de hacer lo mismo con hijas ó mujeres ó parientas de presos […]. también tienen ocasión de bender por dineros este secreto, […] lo qual todo se quita con hacer la justicia pública.

E lo otro que para que el que falsamente se acusa no tenga remedio, pué-dense buscar los testigos por dineros, los quales por estos decado se hallan oy con poco trabajo16.

16. Simancas, Archivo General, Patronato Real, Inquisición, legajo único, f. 55; trad.: «Vo-stra Maestà comanda ed ha ordinato di mettere la Santa Inquisizione in questa Città e Regno di Granada, che è degno di lode e molto santo per quanto si ha motivo di credere. Le intenzioni e la volontà di Vostra Maestà sono che i cattivi cristiani siano castigati e i buoni riconosciuti, e che, poi-ché nella maniera di procedere del Santo Uffizio, corrono molti più rischi coloro che sono buoni, piuttosto che coloro che hanno una cattiva condotta di vita, così da essere catturati e condannati senza colpa, come già molte altre volte accaduto, tutti coloro che vivono bene e che sono cattolici cristiani supplicano Vostra Maestà di modificare la maniera di procedere affinché le testimonianze e i processi siano pubblici, come lo sono per altri peccati abominevoli e contro natura, e che come questi colpevoli sono riconosciuti e puniti lo siano anche in questi casi e che i buoni e coloro che vivono onestamente siano sicuri di non essere accusati falsamente. Affinché Vostra Maestà usi questa giusta petizione e abbia misericordia dei buoni di questo piccolo Regno di Granada, questi

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 35

L’Inquisizione venne insediata a Granada conservando la denomina-zione di Tribunal de Cordoba y Jaén fino al 1545, anno in cui venne resa indi-pendente e denominata Tribunal de Granada. I processi e gli interrogatori non erano pubblici e spesso si perpetravano abusi e violenze a danno di persone innocenti. Ad ogni modo Carlo V accettò ottantamila ducati dalla comunità moresca in cambio della revoca delle ordinanze restrittive delle usanze civili e culturali.

Riprendendo le parole di Rodrigo de Zayas:

No merece la pena insistir en este punto sino para señalar la indipendencia (léase impunidad) creciente de la administración inquisitorial es el seno del Esta-do español, pese a que sus funcionarios fuesen nombrado por el rey. La simbiosis Iglesia – Estado se ejercía plenamente en cuanto al control de la población, pero la extorción de bienes y demás abusos sádicos y sexuales se ejercían de modo totalmente paralelo e independiente17.

Non poche erano le comunità islamiche che collaboravano con le auto-rità dietro compensi in denaro, pertanto dopo il 1526 l’Inquisizione inten-sificò le campagne di evangelizzazione e organizzò in maniera meticolosa la catechesi dei nuovi adepti, anche se i moriscos erano considerati islamici

serviranno Vostra Maestà con cinquantamila ducati per le spese di questo santo viaggio che sono più di quanto si potrebbe ottenere da altri Regni o Señoríos, […] scuserà Vostra Maestà gli inconve-nienti dei peccati seguenti. Il primo che se i giudici sono cattivi, come può accadere in quanto esseri umani e non Santi come l’Uffizio, quando prendono donne giovani o ammogliate di bell’aspetto o poco più che ragazzine, comandano che queste si presentino al loro cospetto segretamente, come richiede l’Uffizio, e ne facciano ciò che desiderano come fossero oggetti di loro appartenenza, cosa che immaginiamo Vi dispiacerà e che non potrebbe accadere durante un giudizio pubblico. L’altra questione è [n.d.t.] che i segretari depositari di questi segreti e gli ufficiali a conoscenza di questi fatti, essendo per lo più giovani e scapoli, si sentono in dovere di fare lo stesso con figlie, donne e parenti degli inquisiti[…]. Non è, inoltre, raro, che i detentori di questi segreti, vendano il loro silenzio. Tutto ciò sarebbe impossibile se il processo fosse pubblico. Inoltre affinché colui che è falsamente accusato non possa scampare [n.d.t.] la condanna, oggi giorno si possono trovare con poca fatica testimoni pagati, [n.d.t.] persone disposte a commettere questi peccati».

17. R. de Zayas, Los moriscos, cit. pp. 66-69; trad.: «Non vale la pena neppure insistere su que-sto punto se non per segnalare l’indipendenza (o meglio l’impunità) crescente dell’amministrazio-ne dell’Inquisizione nel seno dello Stato spagnolo, giacché i funzionari erano comunque nominati dal re. La simbiosi Chiesa – Stato si esercitava pienamente in merito al controllo della popolazione, ma l’estorsione di beni e la pratica [n.d.t.] di abusi sadici e sessuali erano praticati da entrambe le istituzioni [n.d.t.] in modo parallelo e indipendente».

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recidivi sia per l’indiscutibile capacità di resistenza, sia per la ferrea volontà di autodeterminazione.

In seguito al Concilio di Trento, tanto sollecitato da Carlo V già a parti-re dal 1530, l’Inquisizione costituiva ormai un potere dominante. I padri del Concilio erano in maggioranza spagnoli e l’influenza di questa nazio-ne marcò profondamente la Chiesa della Controriforma. Evidentemente la straordinaria concentrazione di potere che deteneva Carlo V (Impero germanico, Spagna, Impero d’Oltremare, Paesi Bassi spagnoli e Regno di Napoli) esercitava una pressione enorme su tutta l’Europa, ad eccezione della Francia e dell’Inghilterra. Per risolvere la questione moresca l’impe-ratore coinvolse intellettuali, giurisperiti e sacerdoti, utilizzando la facoltà regia di nominare vescovi per specifiche diocesi.

I sacerdoti e i vescovi del Regno di Granada, amareggiati per i prece-denti tentativi di evangelizzazione, convocarono nella città andalusa un sinodo nel 1565 in cui imposero diversi divieti ai moriscos per costringerli a rinunciare ad ogni particolarismo18. In séguito le richieste del sinodo fu-rono presentate ed accolte da un collegio di teologi, giuristi e militari a Madrid nel 1566.

L’Inquisizione si inseriva in ogni contesto della vita quotidiana richieden-do l’aiuto dei cristianos viejos per denunciare eventuali illeciti o eresie com-messe dai moriscos. L’attività del Santo Uffizio si basava sulla persuasione, unita a metodi coercitivi e a una costanza eccezionale da parte dei predica-tori. I Mori recriminavano l’arbitrarietà del supremo tribunale ecclesiastico denunciando la pratica ordinaria del sequestro dei beni e delle pene pecu-niarie, spesso inflitte per ragioni pretestuose. In effetti il numero di condan-ne a morte per maomettismo da parte del Santo Uffizio era relativamente esiguo, mentre la conciliazione, accompagnata dalla confisca dei beni, era il principale tipo di condanna che l’Inquisizione riservava ai moriscos19.

La conferenza convocata a San Pedro Martín de Toledo dal 4 al 27 feb-braio 1539 manifestò chiaramente la persistenza di tensioni insostenibili.

18. Cfr. A. Marín Ocete, El Concilio Provincial de Granada de 1565, «Archivo Teológico Gra-nadino», 25 (1962), pp. 23-178 ed Id., El arzobispo don Pedro Guerrero y la política conciliar española del siglo XVI, 2 voll., CSIC-Universidad de Granada, Madrid 1970.

19. Si veda J. Gil Sanjuan, Ofensiva final antimorisca de la inquisición granadina, «Baetica», 12 (1989).

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Il consesso avrebbe dovuto rispondere alle richieste formulate dai moriscos granadini sull’Inquisizione: essi chiedevano la distinzione fra cerimonie giudaiche e cerimonie musulmane, la comunicazione ufficiale delle accu-se rivolte agli imputati e l’amnistia per i delitti pregressi. I membri rico-nobbero solo la distinzione cerimoniale e la tolleranza per la zambra, ma respinsero tutte le altre petizioni e chiesero nuovamente l’eliminazione di ogni elemento distintivo della comunità moresca20. Il modus vivendi stabili-to dopo gli avvenimenti del 1525-26 era ormai diventato precario e vicino alla rottura.

In generale, ovunque i moriscos costituissero la maggioranza della po-polazione, essi riuscirono a conservare la propria identità culturale e ad arginare l’attività repressiva dell’Inquisizione (Granada, Valencia ed Ara-gona), mentre nelle aree in cui costituivano solo una minoranza furono presto costretti all’assimilazione (Castiglia, León).

Figura 2. L’Impero spagnolo e l’Europa all’epoca di Carlo V.

20. La zambra era una tipica danza musulmana (cfr. A. Domínguez Ortiz-B. Vincent, Histo-ria de los moriscos, cit., p. 102).

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38 Frontiere indivisibili

2.3. Il trentennio 1526 – 1568

Nel 1526 una giunta convocata a Granada per iniziativa regia, pubblicò tutte le decisioni prese il 7 dicembre dello stesso anno in un unico docu-mento che reprimeva completamente il particolarismo moresco: gli arti-coli proibivano o limitavano l’uso dell’arabo scritto e orale, l’uso di alcuni capi di abbigliamento e di qualsiasi altro simbolo islamico; vietavano la circoncisione e la mattanza rituale degli animali da consumo; negavano ai moriscos la facoltà di possedere schiavi ed armi e vigilavano sui movimenti sociali ed i matrimoni. Per evitare, inoltre, qualsiasi infrazione alle regole predette, il decreto istituiva ufficialmente una sede del tribunale dell’In-quisizione a Granada21.

Questo documento fondamentale era il primo catalogo di usi e co-stumi della minoranza moresca e divenne il punto di riferimento per la nuova politica di assimilazione portata avanti dalla Corona. Con questo testo si formulava una nuova definizione di Islam sul suolo spagnolo: erano considerati musulmani non solo coloro che negavano la fede cri-stiana, ma anche quelli che conservavano un minimo legame con la religione di Maometto. I vincitori cristiani, che in un primo momento si erano interessati solo all’aspetto puramente religioso e sembravano inclini alla tolleranza verso le espressioni culturali islamiche, finirono per scoprirne l’importanza e stilarono un ‘prontuario’ per estirparle completamente.

In questo clima di intolleranza si intensificò la produzione artistica e letteraria tipicamente moresca: la letteratura aljamiada, scritta in caratteri arabi, ma con un lessico spagnolo (anche nelle sue varianti quali il gallego ed il catalano) era la dimostrazione della ferma volontà dei moriscos di mantenere le proprie tradizioni. La diglossia espressa dalla comunità, che

21. Si vedano J. Caro Baroja, Los moriscos del Reino de Granada, Madrid 1976; A. Redondo, El primer plan sistemático de asimilación de los moriscos granadinos: el del doctor Carvajal (1526), in Aa. Vv., Les morisques et leur temps. Table ronde internationale (Montpellier, 4-7 juillet 1981), CNRS, Paris 1983, pp. 111-123; A. Garrido Aranda, Papel de la Iglesia de Granada en la asimilación de la so-ciedad morisca, «Anuario de historia moderna y contemporánea», 2-3 (1975-1976), pp. 69-103; K. Garrad, La Inquisición y los moriscos granadinos, «Bulletin Hispanique», LXVII (1965), pp. 63-77; J.M. García Fuentes, La Inquisición en Granada en el siglo XVI, Ediciones José Porrúa Turanzas, Madrid 1978.

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parlava lingua aljamiada in famiglia e all’interno della comunità moresca e lo spagnolo con gli estranei, fece dell’idioma un tratto distintivo22.

Anche se la comunità moresca era socialmente ed economicamente diversificata e contribuiva attivamente al benessere nazionale, non ave-va alcun rappresentante presso le categorie sociali che avrebbero dovuto tutelarla. Questo la rendeva una minoranza esclusa dal paese cui apparte-neva: tale situazione non poteva che acuire i conflitti sociali ed il malcon-tento per la mancata partecipazione al processo di costruzione statale di cui si è parlato.

Pertanto la comunità moresca era destinata a soccombere, prima o poi, alla pressione dei più potenti cristianos viejos. I ruoli ricoperti dai moriscos nella società spagnola del XVI secolo evidenziano questa posizione subal-terna rispetto alle altre classi sociali. Già alla fine del 1526 non risultano, secondo le fonti ufficiali, musulmani residenti sul suolo spagnolo: in un solo quarto di secolo la Spagna aveva raggiunto, oltre all’unità religiosa, anche l’omologazione culturale dei moriscos.

Si è osservato che in quello stesso anno Carlo V, in visita a Granada, ricevette una lettere anonima in cui la comunità musulmana denunciava gli abusi dell’Inquisizione. L’imperatore decise allora di avviare un’inchiesta – affidata a tre rappresentanti dello Stato e a due della Chiesa – conclusasi

22. M. Romero Sáiz, Mudéjares y moriscos en Castilla-La Mancha, cit., pp. 54-59. Tra i cataloghi che conservano le principali collezioni di manoscritti in lingua aljamiada si veda E. Saavedra, Índice general de la literatura aljamiada, in J. Castro y Serrano (de), Discursos leidos ante la Real academia espanola en la recepción publica de Don Jose de Castro y Serrano el dia 8 de diciembre de 1889, «Memorias de la Real Academia Española», 6 (1889), pp. 140-328; F. Guillén Robles, Catálogo de los manuscritos árabes existentes en la Biblioteca Nacional de Madrid, Imprenta y Fundación de M. Tello, Madrid 1889; J. Ribera, M. Asín, Catálogo de los manuscritos árabes de la Biblioteca de la Junta, Madrid 1912; E. Terés Sádaba, Los manuscritos árabes de la Real Academia de la Historia, Madrid 1975. Sull’origine e sullo sviluppo della letteratura aljamiada si veda R. Menéndez Pidal, Poesía juglaresca y origenes de las literaturas románicas, Madrid 1957, pp. 383-384; Id., Lengua y estilo de la literatura aljamiado-morisca, «Nueva Revista de Filología Hispánica», 1 (1981), pp. 420-440; Id., La literatura española aljamiado-morisco, in Grundiss der Romanischen Literaturen des Mittelaters, Winter, Heidelberg 1985, vol. IX, t. 1, pp. 117-132. Sulla storia della lingua aljamiada si veda M.J. Viguera, Les Mudéjars et leurs documents écrits en arabe, «La Revue du Monde Musulman et de la Méditerranée», 63-64 (1992/1-2), pp. 155-163; Ead., Introducción, in F. Corriente Córdoba, Relatos píos y profanos del ms. aljamiado de Urrea de Jalón, Institución Fernando el Católico, Zaragoza 1990, pp. 9-41; L. López Baralí, Crónica de la destrucción de un mundo: la literatura aljamiado-morisca, «Bulletin Hispanique», 1 (1980), pp. 16-58; S. Asperti, Origini Romanze, Viella, Roma, 2006.

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nel settembre dello stesso anno: il 29 settembre, nella Cappella Reale di Gra-nada, Carlo firmò quaranta decreti che condannavano le ingiurie, le spolia-zioni, le umiliazioni e le eccessive esazioni sui musulmani e accettò il paga-mento di 90.000 ducati ripartiti in sei anni come contributo speciale da parte dei moriscos. Al contempo don Pedro de Alba, arcivescovo di Granada, diede alcune disposizioni per procedere alla cristianizzazione della minoranza23.

A seguito delle decretazioni di Granada ed alla sospensione dei proces-si, moriscos e cristianos viejos convissero per altri trent’anni mantenendo i patti definiti nel 1526, oscillando tra la repressione e l’assimilazione24. A metà del XVI secolo, tuttavia, la comunità moresca aveva già perso in-fluenza: la maggioranza dei moriscos non comprendeva più l’arabo e non praticava le cinque orazioni giornaliere. Anche se alcune celebrazioni, come il Ramadan, erano ancora testimoniate all’inizio del Seicento, in Ca-stiglia e in Catalogna i moriscos furono presto cristianizzati e costretti ad abbandonare i propri usi, mentre in Aragona ed a Valencia riuscirono a resistere più a lungo grazie alla presenza degli alfaquí e ad una maggiore tolleranza dei señores.

23. «El Emperador Don Carlos, durante su estancia en Granada en el año 1526, mandó ha-cer junta de prelados en la Capilla Real, quienes Mandaronles quitar la lengua y el hábìto morisco y los baños: que tuviesen las puertas de sus casas abiertas los días de fiesta, y los dias de viernes y sábado: que no usasen las leylas y zambras á la morisca: que no se pusiesen alheña en los pies, ni en las manos, ni en la cabeza las mugeres: que en los desposaros y casamientos no usasen de cerimonias de Moros, como lo hacían, sino que se hiciese todo conforme á lo que nuestra santa Iglesia lo tiene ordenado: que el dia de la boda tuviesen las casas abiertas, y fuesen a oyr misa» (L. del MÁrmol Carvajal, Historia del rebelión y castigo de los moriscos del Reino de Granada, in C. Rosell (a cura di), Historiadores de sucesos particulares, Rivadeneyra, Madrid 1852, p. 123).

24. Gli accordi del 1526 non furono sempre rispettati: fra il 1528 e il 1529 l’Inquisizione continuò a perseguitare i moriscos a Valencia e a Granada, mentre i señores continuarono a rifiutare l’equiparazione fiscale fra moriscos e cristianos viejos.

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Figura 3. Presenza dei moriscos in base ai censimenti e date dei censimenti (orig. di Henri Lapeyre).

2.4. La rottura del patto sociale, la missione Santiago e la prima ripo-polazione

Il cronico aumento della tensione da parte delle due comunità mostra-va il fallimento della politica assimilatrice: i Mori reagivano con inusitata tenacia ai tentativi della Corona e dell’Inquisizione di estirpare la cultura islamica e nel corso degli anni la linea che separava cristianos nuevos e cri-stianos viejos diventò sempre più marcata. Nel 1559 Filippo II, preoccupato della continua crescita della comunità islamica in Andalusia, affidò ad un rappresentante della Chancillería di Valencia, il doctor Santiago, una missio-ne per la verifica dei limiti delle proprietà terriere e dei titoli appartenenti ai moriscos. La missione aveva il compito di scompaginare la comunità moresca granadina disseminandola nelle altre regioni spagnole, in modo da romperne la coesione ed obbligarla ad assimilarsi25. La Comisión pote-va condannare ad una pena pecuniaria i moriscos che non fossero riusciti ad esibire i certificati di proprietà e addirittura, nel caso di insolvenza dei

25. Si vedano D. Vassberg, La venta de tierras baldías. El comunitarismo agrario y la Corona de Castilla durante el siglo XVI, Ministerio de Agricultura, Madrid 1983; E. Pérez Boyero, La permisivi-dad señorial y el fracaso de la política de asimilación religiosa y cultural de los moriscos granadinos, in Actas del VII Simposio de Mudéjarismo, Instituto de Estudios Turolenses, Teruel 1999, pp. 475-496.

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pagamenti, confiscarne e rivenderne gli immobili. Attraverso l’opera della Comisión Santiago circa centomila ettari di terreno cambiarono proprieta-rio: fra i maggiori beneficiari figurarono proprio i membri della burocra-zia granadina e i conventi della città, anche se alcuni latifondisti si oppo-sero alle espulsioni temendo di dover cercare nuova manodopera per la coltivazione dei campi26.

Come reazione alle espropriazioni della missione, i moriscos iniziarono ad organizzare nella zona delle Alpujarras una rivolta destinata ad esten-dersi a tutti i territori granadini: la ribellione scoppiò il 24 dicembre 1568 e venne sedata con difficoltà solo due anni dopo27.

Enrique Soria Mesa colloca nel 1570, anno della prima deporta-zione dei moriscos, l’indebolimento dei rapporti tra i latifondisti e i vassalli, dato che i señores non avevano più come interlocutori dei coltivatori discriminati e perseguitati, ma dei coloni cristianos nuevos consapevoli delle proprie prerogative28. Questa situazione pregiudicò notevolmente il benessere del regno di Filippo II: la ripopolazione del-le terre abbandonate causò la formazione di una nuova classe sociale e l’acuirsi delle antiche lotte fra feudi confinanti. Da questi conflitti

26. M. Barrios Aguilera, Granada morisca, cit., p. 130. 27. Si veda in Archivo General de Simancas, Consejo Real, legajo 257 expediente 4, ff. 8-I a

8-III il fascicolo di documenti relativi alla ribellione dei moriscos intitolato: Cartas para el Consejo del Asistente de Sevilla y corregidores del Andalucía sobre los moriscos de Sevilla (C.R. 174-175). Parte di que-sto fondo è stato analizzato da B. Vincent, Les rumeurs de Séville, in D. Pérez Sánchez (a cura di), Vivir el Siglo de Oro. Poder cultura e historia en la época moderna, Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca 1993, pp. 165-177. Nel 1595 venne proibito ai moriscos di rientrare nelle proprie case du-rante il saccheggio di Cadice da parte degli Inglesi, ivi, p. 162; il 16 maggio 1600, «un aviso [...] decía que se querían levantar los moriscos de esta ciudad de Sevilla con los de Córdoba [...] el asistente [...] mandó echar bando que ninguna persona fuese osada a decir ni hacer mal a los moriscos», si veda F. De Ariño, Sucesos de Sevilla, de 1592 a 1604, Imprenta de Rafael Tarascó y Lassa, Sevilla 1873, p. 112. Per altro materiale relativo alla deportazione di circa 80.000 moriscos granadini in Castiglia a seguito della rivolta delle Alpujarras si vedano B. Vincent, L’expulsión des morisques du royaume de Grenade et leur repartition en Castille (1570-1571), «Mélanges de la Casa de Velázquez», VI (1970), pp. 210-246, ed Id., Combien de Morisques ont été expulsés du royaume de Grenade?, «Mélanges de la Casa de Velázquez», VII (1971), pp. 187-222. Tra le cronache contemporanee si veda L. del Mármol Carva-jal, Historia de la rebelión y castigo de los moriscos del reino de Granada, Linkgua Ediciones, Barcelona 2009 (1ª ed. Málaga 1600).

28. Si vedano: E. Soria Mesa, Señores y oligarcas: los señoríos del reino de Granada en la Edad Moderna, Universidad de Granada, Granada 1997; E. Pérez Boyero, Moriscos y cristianos en los seño-ríos del reino de Granada (1490-1568), Universidad de Granada, Granada 1997.

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ne uscì come unico vincitore il potere locale, rappresentato dalla ricca borghesia agraria29.

Dopo molte perplessità, i dettagli della Comisión furono stabiliti in ottobre e resi pubblici con un editto il 22 novembre 1570. Nel di-cembre dello stesso anno svariate migliaia di moriscos iniziarono ad abbandonare l’Andalusia per raggiungere zone lontane da quella di origine30.

Tutti coloro che non approvavano la missione, come il marchese de Mondéjar, difensore dei moriscos, furono oggetto di una campagna di dif-famazione volta a sminuirne la credibilità e la stima popolare. Evidente-mente lo scopo di Filippo II consisteva nell’eliminare gli oppositori per mettere in atto quanto prima la soluzione radicale31.

Le città destinate ad ospitare i cristianos nuevos cercavano in ogni modo di evitare le immigrazioni adducendo un eccessivo aggravio delle spese pubbliche e le autorità dovettero lottare altri dieci anni per far rispettare le disposizioni emanate nel 1571. In tal senso furono promulgati ulteriori rescritti il 6 maggio 1576, il 21 luglio 1578, il 4 aprile 1579 e il 26 gennaio 1581 allo scopo di disciplinare la deportazione in massa dei Mori. I cristia-nos viejos assunsero una posizione nettamente contraria alla deportazione, dato che la maggioranza dei moriscos espulsi era costituita da schiavi o lavoratori domestici. A conferma di questa opposizione nel gennaio 1584 Juan Méndez de Salvatierra, arcivescovo di Granada, chiese alla Corona una riduzione del numero degli esili32.

29. Si veda M. Barrios Aguilera, La repoblación del Reino de Granada por Felipe II, in M.A. Ladero Quesada La incorporación de Granada a la Corona de Castilla, Diputación Provincial de Gra-nada, Granada 1993, p. 619.

30. Si trattava di oltre diecimila persone. Cfr. B. Vincent, Los moriscos que permanecieron en el Reino de Granada después de la expulsión de 1570, in Id., Economía y Sociedad en la Andalucía en la Edad Moderna, Granada 1984, pp. 267-286.

31. Fra i requisitori più feroci figurava Baltasar de Osuna, amministratore di San Juan de Dios, che accusò il marchese de Mondéjar di codardia, corruzione e tradimento. Cfr. E. Menenes García, Luis Hurtado de Mendoza, Marquéz de Mondéjar (1525-1566), «Cuadernos de la Alhambra» (18) 1982, pp. 143-177; E. Soria Mesa, Colaboración y recompensa. La formación de las grandes familias de Osuna. Siglos XV-XIX, in J.J. Iglesias Rodríguez, M. García Fernández (a cura di), Osuna entre los tiempos medievales y modernos. Siglos XIII-XVIII, Ayuntamiento de Osuna-Universidad de Sevilla, Sevilla 1995.

32. Tuttavia nel 1585 la Corona decretò il trasferimento coatto di 444 moriscos in Estrema-dura. Si vedano J. Fernandez Nieva, La Inquisición y los moriscos extremeños (1585-1610), Universidad

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Subito dopo la deportazione in massa dei moriscos e l’abbandono delle terre, la Corona disciplinò la ripopolazione dei territori abbandonati as-segnandoli per estrazione a nuovi coloni allo scopo di conservare il paga-mento delle imposte statali33.

2.5. Il Libro de Apeos y Repartimientos

Per raggiungere gli obiettivi preposti la Corona istituì due organismi straordinari: la Junta de Población de Madrid34 – formata da membri del Con-sejo de Castilla35 e della Hacienda36 – e il Consejo de Población de Granada37 con il compito di censire, custodire ed assegnare i beni dei moriscos e di predisporre un catasto: il Libro de Apeo y Repartimientos38. I documenti con-servati da queste giunte e consigli sono tuttora fondamentali per la rico-struzione storico-sociale di alcuni comuni spagnoli.

Il processo di spoliazione dei beni dei moriscos è stato analizzato in det-taglio da Maria Margarita Birriel Salcedo nell’opera La tierra de Almuñecar

de Extremadura, Badajoz 1979, pp. 66-68 e B. Vincent, Los moriscos de Extremadura en el siglo XVI in Id., Minorías y marginados en la España del siglo XVI, Diputación Provincial de Granada, Granada 1987, pp. 215-237.

33. Cfr. M.M. Birriel Salcedo, Las instituciones de la repoblación del Reino de Granada (1570-1592), «Anuario de la Historia del Derecho Espanol», 58 (1988), p. 199; J.A. CatalÁ Sanz e S. Ur-zainqui Sánchez, La conjura morisca de 1570: la tentativa de alzamiento en Valencia, Generalitat Valen-ciana-Conselleria de Cultura i Esport, Valencia 2009.

34. La Junta de Población de Madrid era l’organo pubblico che aveva il compito di disciplinare la ripopolazione delle aree abbandonate, con sede a Madrid.

35. Il Consejo de Castilla era un antico organo consultivo con funzioni di tribunale supremo nel contenzioso del re. Con il termine Consejo si indicava il tribunale supremo, composto dai ministri e da un presidente, posto all’interno della corte per l’amministrazione della giustizia. Per antono-masia si intendeva il Consejo de Castilla, ma sotto questo nome erano inclusi anche altri tribunali superiori, come il Consejo de las Indias, Ordenes y Hacienda (cfr. Diccionario de Autoridades, cit., t. I, p. 525).

36. L’Hacienda era l’organo che gestiva i beni fondiari dello Stato.37. Il Consejo de Población de Granada era l’organo che aveva il compito di disciplinare la ripopo-

lazione delle aree abbandonate dell’Andalusia. Cfr. Aa.Vv., Diccionario de Autoridades, cit., t. II, p. 331.38. Il Libro de Apeo y Repartimientos era una sorta di catasto, lett. «Libro della Divisione e

della Distribuzione (dei beni pubblici)».

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en tiempo de Felipe II 39. La Birriel Salcedo divide il processo in tre tappe fon-damentali: dal novembre 1570 all’ottobre 1571 la compilazione dell’elenco dei beni dei moriscos; dall’ottobre 1571 al febbraio 1577 la cessione perpe-tua dei beni ancora non destinati e infine, dal 1578 al 1595, la trasformazio-ne dei latifondi in rendite in denaro, attraverso la cartolarizzazione40.

Nel Libro de Apeos y Repartimientos, conservato presso l’archivio del Co-mune di Almogía41, sono raccolti i regi decreti e le leggi in materia di regi-strazione, divisione e distribuzione dei beni sottratti ai moriscos, nonché i rescritti e le ordinanze emanate a supporto del processo di redistribuzione delle proprietà urbane e rurali dei nuovi coloni42. I moriscos contribuiro-no alla compilazione dell’inventario documentando i propri possedimenti alla commissione diretta dal giudice Juan de Salazar.

Il procedimento di divisione e distribuzione delle terre confiscate inizia-va con l’affissione di un bando pubblico in cui erano elencate le norme del re e le azioni necessarie allo sviluppo del procedimento di aggiudicazione. Dopo gli accertamenti si passava alla riscossione della decima ed alla regi-strazione degli elementi che potevano contribuire a definire in dettaglio la condizione dei beni dei cristianos nuevos. Successivamente alla nomina di un giudice per ciascuna commissione, composta da uno scrivano e da alcuni esperti, si procedeva all’assegnazione dei beni a privati o a singoli comuni attraverso un esposto letto nella chiesa principale della città.

Il Consejo de Población de Granada disciplinava il numero di coloni cri-stiani che dovevano trasferirsi nei nuovi territori: una volta bandite le suertes per i vari comuni43, le Commissioni sorteggiavano i destinatari e trascrivevano i procedimenti nei Libros de Apeo y Repartimientos, per poi

39. M.M. Birriel Salcedo, La tierra de Almuñécar en tiempo de Felipe II: expulsión de moriscos y repoblación, Publicaciones de la Universidad de Granada, Granada 1989.

40. Ivi, p. 26.41. Si veda, ad es., il caso della città di Almogía, appartenente ad alcuni territori ceduti dai

moriscos nelle zone di Alpujarras, Sierras e Marinas. Cfr. F. Moreno Moreno, Almogía: entre moriscos y cristianos: libro de repartimientos de la villa tras la expulsión de los moriscos, Servicio de Publicaciones-Centro de Ediciones de la Diputación de Málaga, Málaga 2008, p. 43.

42. Real Cédula: un dispaccio del re in cui si promulgava una legge o si concedevano grazie o privilegi. Cfr. Diccionario de Autoridades, cit., t. I, p. 254.

43. Le suertes erano le proprietà abbandonate dai moriscos che potevano essere ridistribuite ai coloni cristiani.

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46 Frontiere indivisibili

trasmetterli all’archivio del Consejo44. Anche i cristianos viejos residenti nelle città andaluse dovevano esibire i certificati di proprietà: in caso di omissione gli immobili passavano direttamente al demanio reale e veni-vano ridistribuiti secondo le regole previste dalla nuova legislazione. In ultimo il Consejo procedeva alla compilazione del catasto generale dei beni immobiliari della Corona, dei beni della Chiesa e di quelli dei cristia-nos viejos.

Oltre a certificare le proprietà ed i nominativi dei moriscos prima dell’espulsione, il Libro de Apeo y Repartimientos disciplinava le condizioni per la cessione dei beni dei vari comuni e le modalità di pagamento delle tasse sulle case, sulle terre, sul raccolto e sul patrimonio appena acquisito. Il Libro prescriveva nel dettaglio le modalità per la presa di possesso e la di-visione di spazi e beni comuni, la ripartizione dei materiali da costruzione, la gestione dei terreni, le disposizioni per future attività di compravendita, la suddivisione, l’acquisizione per eredità o la donazione delle suertes. Le disposizioni generali, le modalità di conservazione e catalogazione della documentazione tecnico-giuridica, i procedimenti in caso di contenzioso ed i doveri degli assegnatari furono oggetto di un regio decreto inserito nella sezione Condiciones que debían cumplir los pobladores45.

Il numero dei moriscos riportato nel Libro de Apeo y Repartimientos per la città di Almogía durante il periodo della ribellione (attorno al 1568) appare contraddittorio. In queste liste compaiono solo i capofamiglia, in-testatari dei beni. Le donne risultano proprietarie solo se vedove e con funzione di capofamiglia, mentre i minori figurano come proprietari solo se orfani di entrambi i genitori46. Le relazioni fra i nuovi intestatari e i mori-scos non sembravano eccessivamente conflittuali: questi ultimi accettava-no ufficialmente la fede dei cristianos viejos e praticavano il proprio culto in nicodemismo. Questa tolleranza è testimoniata da numerosi matrimoni misti, accettati tanto a livello religioso che sociale.

Quando la Corona abbandonò il progetto di assimilazione in favore della repressione, le restrizioni si fecero tanto severe da impedire, ad es.,

44. F. Moreno Moreno, Almogía, cit., pp. 41-42.45. Trad.: «Obblighi che devono soddisfare i coloni» (cfr. F. Moreno Moreno, Almogía, cit.,

p. 38).46. Ivi, pp. 62-63.

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 47

ai moriscos di Valencia di approssimarsi al litorale senza il consenso del viceré, con una pena in caso di trasgressione di almeno tre anni di lavori forzati nelle galere. Questa nuova clausola era contenuta nella Pragmática del 1589, che inaspriva le disposizioni previste nel 1559. Un cambiamento di questo tipo non poteva non avere effetti anche nella coesistenza fra le due comunità: mentre per lungo tempo si era auspicata una fusione spon-tanea, anche attraverso matrimoni misti, da questo momento prevalse la completa separazione.

Nel periodo che va dal 1583 al 1642 furono emanati numerosi atti am-ministrativi relativi alla nuova colonizzazione dei comuni andalusi. L’11 febbraio 1583 si riunì un consiglio in cui si deliberò la restituzione delle suertes da parte dei proprietari che non ne avevano ancora preso possesso e il controllo di conformità delle proprietà assegnate47. Il Consejo, il giu-dice ed il consigliere comunale divennero ufficialmente responsabili di eventuali minori entrate da parte della Hacienda Real. I coloni, nel caso in cui avessero dimostrato disinteresse per le proprietà affidate ed avessero causato la perdita di valore degli immobili, o manifestato imperizia e si-necura, potevano ricevere un’ammenda o essere tenuti alla restituzione delle proprietà acquisite48. La vendita e il passaggio delle proprietà erano comunque categoricamente vietate.

Dopo un controllo svolto nel dicembre 1592, il 22 febbraio 1593 le città e villaggi furono obbligati a compilare e custodire un proprio Libro de Po-blación con precise istruzioni sul suo contenuto: all’esterno il Libro doveva essere impaginato in pergamena, con fogli numerati e autenticati da un segretario, mentre all’interno doveva contenere l’elenco delle divisioni, i passaggi e le assegnazioni delle terre dei moriscos. Le amministrazioni era-no tenute a controllare le case e le eredità assegnate in perpetuo dal re, la

47. Il Consiglio dell’11 febbraio 1583 fu aperto ai residenti, come pare sia accaduto ogni volta che si dovevano trattare argomenti di pubblico interesse. Cfr. F. Moreno Moreno, Almogía, cit., p. 115.

48. Tra le deliberazioni più importanti del Consiglio dell’11 febbraio 1583 era previsto l’ob-bligo di restituzione delle proprietà occupate illegittimamente. I coloni illegittimi dovevano sotto-stare al divieto di raccolta e vendita dei frutti della terra, pena una multa di 20.000 maravadí e pote-vano essere sottoposti a processo per aver occupato beni altrui. Le deliberazioni furono annotate dal segretario del Consejo nel Libro del Consejo per farle entrare in vigore contemporaneamente alla promulgazione delle ingiunzioni, pena un’ulteriore somma di 12.000 maravadí.

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48 Frontiere indivisibili

quota di terreni agricoli assegnati a ogni residente, le quote di lasciti, legati ed eredità ed i nominativi degli eredi che si succedevano nella suerte. Una volta compilato il Libro doveva essere riposto all’interno di una cassa chiu-sa con due chiavi, conservate dal giudice e dal segretario e poteva essere prelevato solo per apportarvi brevi annotazioni.

La Corona vigilava sul buon andamento della ripopolazione con l’invio di delegati che, in collaborazione con i cristianos viejos, svolgevano attività di controllo sui beni immobili e sulla società49.

Grazie al contributo dei moriscos aragonesi e granadini l’economia agri-cola delle zone popolate dai deportati conobbe un miglioramento sorpren-dente: l’attività artigianale e le intense opere di canalizzazione portarono no-tevoli vantaggi ai latifondisti che avevano ricevuto in assegnazione le suertes.

I nobili godettero dei maggiori vantaggi dall’espulsione dei cristianos nuevos de moros, dato che presero possesso dei terreni abbandonati diven-tando proprietari di ampie zone o, nel migliore dei casi, di señoríos. Al tem-po di Filippo II, il 60% dei terreni espropriati e ridistribuiti provenivano dalle aree di Granada, Malaga, Marbella, Ronda e Loja: l’espropriazione dei beni dei moriscos è stata il culmine di un processo di aristocratizzazione attuato attraverso l’assegnazione di privilegi di hidalguía ed ereditarietà delle cariche. In questo iter di ampliamento sociale e concentrazione del potere il clero ha giocato un ruolo rilevante ed in genere la alte cariche ecclesiastiche ebbero legami molto forti con i nuovi rappresentanti del potere. La connivenza fra il potere religioso e quello politico si trasfor-mò presto in un servizio reciproco: tale situazione era diffusa soprattutto nelle diocesi di Granada, Malaga, Guadix e Almería, dove i rappresentanti delle piccole diocesi svolgevano funzioni di sorveglianza per lo Stato50.

Per i rampolli della classe borghese cittadina e rurale, soprattutto nelle zone ad alta densità moresca, un ruolo importante nel clero parrocchia-

49. Vedi anche le recenti analisi di S. Prokopenko, Novedades historiográficas sobre la segunda repoblación del Reino de Granada tras la expulsión de los moriscos, Universidad Pedagógica de Uliano-vsk, Ulianovsk 2009.

50. Cfr. C.J. Garrido García, Colaboracionismo mudéjar-morisco en el Reino de Granada. El caso de la Diócesis de Guadix: los Abenaxara (1489-1580), «Miscelánea de Estudios Árabes y Hebraicos (Sec-ción Árabe-Islam)», 48 (1999), pp. 153-155. Riguardo alla schiavitù dei Mori nella diocesi di Guadix come conseguenza della ribellione del 1568-1570, si veda Id., La esclavitud en el Reino de Granada y la rebelión de los moriscos. El caso de la Diócesis de Guadix: el papel del estamento eclesiástico, «Miscelánea

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 49

le rappresentava una legittima aspirazione, data la facilità delle pratiche abusive ed estorsive ed il godimento dei diritti di presentazione offerti dal Patronado Regio51. Conventi e monasteri costituivano inoltre il riparo per le figlie dei nobili che non godevano di doti elevate per il matrimonio: a tale scopo molte famiglie di señores effettuavano donazioni ai vari ordini ecclesiastici, soprattutto domenicani, francescani e gesuiti.

Una delle principali conseguenze delle deportazioni dei moriscos all’in-terno del Regno di Castiglia, fino ad allora rimasto estraneo agli estremi-smi di altre regioni, fu l’intensificarsi dell’antagonismo fra la comunità dei cristianos viejos e la comunità mudéjar. La guerra e la deportazione cancella-rono la popolazione mista e il ripopolamento dei territori castigliani, inizia-to a partire dal 1572, sentenziò per sempre la fine di una società tollerante. L’elemento morisco si ridusse ad un decimo della popolazione totale, diven-tando una minoranza marginale all’interno del nuovo assetto statale.

2.6. L’alternativa all’espulsione: la reclusione

Prima di arrivare all’espulsione dei moriscos dal suolo spagnolo, la Co-rona e l’Inquisizione presero in considerazione altre possibilità, fra cui la formazione di ghetti all’interno dei nuclei urbani. Padre Francisco de Ri-bas, dell’ordine dei Minimi, era favorevole a questa soluzione e difendeva il libero arbitrio dei moriscos di aderire alla fede cristiana o di restare legati all’Islam. Nel primo caso Ribas sollecitava una stretta vigilanza dei cristia-nos viejos per tutto il processo di assimilazione; nel secondo caso sosteneva la chiusura dei moriscos nei ghetti sotto la sorveglianza del resto della co-munità52.

de Estudios Árabes y Hebraicos (Sección Árabe-Islam)», 49 (2000), pp. 45-88, e Id., La esclavitud mo-risca en el Reino de Granada. El caso de la villa de Fiñana (1569-1582), «Miscelánea de Estudios Árabes y Hebraicos (Sección Árabe-Islam)», 50 (2001), pp. 107-131.

51. Patronato Real ovvero il diritto che deteneva il re in quanto fondatore, reggente e protet-tore di alcune chiese, monasteri, ospedali o altre strutture atte [n.d.t.] a opere pie. La Sede apostolica riconosceva questo diritto per i servizi offerti dalla Corona di Spagna alla Chiesa cattolica ed aveva dignità maggiore di ogni altro patronato. Cfr. Aa.Vv., Diccionario de Autoridades, cit., t. III, p. 167.

52. Si veda J. Canal Morell, J. Contreras, Exilios: los éxodos políticos en la historia de España, siglo XV-XX, Silex Ediciones, Madrid 2007.

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50 Frontiere indivisibili

Anche Alonso Gutiérrez53 era favorevole alla ghettizzazione dei mo-riscos: in una lettera del 1588, inviata da Siviglia, Gutiérrez suggeriva di dividere i moriscos in duecento famiglie sotto il controllo di un je-fe54 cristiano. I cristianos nuevos non avrebbero potuto portare armi, né cambiare domicilio e dovevano portare segni distintivi (possibilmente sul volto) in modo da essere sempre riconoscibili. La minoranza, inol-tre, avrebbe dovuto pagare un ingente contributo annuale al re, cui spettava un quinto delle eredità e dei lasciti. Gutiérrez prevedeva dure sanzioni per i recidivi, che andavano dalle multe in denaro alla schia-vitù, passando per la confisca, il lavoro forzato in miniera e l’imbarco sulle galere.

Altra possibilità contemplata dai giuristi spagnoli era l’estinzione gra-duale della minoranza55. Pedro Ponce de Léon, vescovo di Plasencia, pro-poneva di inviare tutti gli uomini fra i diciotto ed i quarant’anni a lavora-re nelle galere: privata degli elementi più vigorosi, la comunità si sarebbe estinta lentamente56.

Nel 1573 Francisco de Torrijos57 ipotizzò addirittura una soluzione per i bambini: una sorta di ratto dei morisquillos, minori di sei anni, che sareb-

53. Gutiérrez era il tesoriere di Carlo V. Si veda P. Boronat y Barrachina, Los moriscos espa-ñoles y su expulsión, Vives y Mora, Valencia 1901, p. 637. Tra i documenti dell’Archivo General de Simancas, si veda il fondo Consejo Real, legajo 257, expediente 4, f. 8-II, audiencia del 9/6/1580.

54. Jefe, ovvero capo, superiore, comandante (cfr. L. Tam, Grande dizionario di spagnolo, cit., p. 598).

55. Alcuni giuristi contemplavano addirittura l’opzione di castrare i moriscos, cfr. A. Domín-guez Ortiz-B. Vincent, Historia de los moriscos, cit. p. 71.

56. Ivi, p. 70.57. «La gran cruzada de evangelización de la población morisca fue promovida a partir de

1501 y continuada a lo largo del siglo XVI. Tuvo una etapa científica y otra popular. La primera se refiere a la polémica incesante entre teólogos y musulmanes. El arabismo como el quechuismo fue además, una poderosa herramienta de imposición colonial. Aunque a diferencia de América, en Andalucía se alentó la formación de religiosos con origen islámico. Por ejemplo, Juan Martín de Figuerola, que publicó un texto anticoránico en 1519 en Valencia, había sido alfaquí, es decir, jefe de una comunidad religiosa musulmana. En 1573, el religioso Torrijos, quien al producirse el levantamiento granadino forjó un plan para hacer desaparecer [una sorta di “limpieza étnica”] a los moriscos, era hijo de un cristiano y una morisca y salvó la vida durante la rebelión, protegido por la parentela materna. Así como los párrocos de indios, los eclesiásticos conocedores del árabe, eran adscritos a pueblos moriscos» (R. Plasencia Soto, Indios y Moriscos, in IV Congreso nacional de investigaciones en antropología (Madrid 1-6 agosto 2005): il testo del contributo citato è disponibile

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ii. Cristianizzazione e castiglianizzazione 51

bero stati affidati ai cristianos viejos: il provvedimento venne effettivamen-te applicato durante l’espulsione generale del 1609.

Nella Giunta di Lisbona del 4 dicembre 1581, oltre alla nomina for-male di Filippo II a re del Portogallo58, emerse la volontà della Corona di chiudere definitivamente la questione moresca con l’espulsione colletti-va, dato che gli islamici rappresentavano un pericolo per la compattezza dello stato spagnolo e per i rapporti con le altre potenze del Mediterra-neo59. Altre giunte particolarmente attente al tema dei moriscos furono quelle del 19 giugno e del 13 settembre 1582, in cui si elaborarono con maggiore attenzione le modalità di espulsione generale, formulate suc-cessivamente nel Consiglio di Stato del 19 settembre dello stesso anno. Ogni membro delle diverse giunte aveva il compito di valutare nel merito i vantaggi ed i pericoli di questa soluzione. Gli inconvenienti maggiori sarebbero stati per lo più di tipo economico, come la diminuzione delle rendite reali e dei feudi, ma era evidente che l’espulsione avrebbe provo-cato anche conseguenze politiche o questioni diplomatiche nella fase ese-cutiva del provvedimento. Molti religiosi lamentavano la perdita defini-tiva delle anime dei moriscos. Nell’insieme, però, i vantaggi sembravano comunque maggiori per la pace e l’unità nazionale: pertanto, anche gran parte della gerarchia ecclesiastica si considerò favorevole all’espulsione. Nella giunta di Madrid del 17 giugno 1587 venne comunque deliberato un ultimo tentativo di evangelizzazione.

all’indirizzo web http://www.ibcperu.org/doc/isis/5397.pdf ). Su Francisco de Torrijos si veda anche J. Castillo Fernández, El sacerdote morisco Francisco de Torrijos: un testigo de excepción en la rebelión de las Alpujarras, «Chronica Nova», 23 (1996), pp. 465-492.

58. Si veda A. Danvila, Felipe II y la sucesión de Portugal, Espasa-Calpa, Madrid 1956, pp. 223-241. Le uniche fonti disponibili per la storia dei moriscos in Portogallo sono i documenti inquisi-toriali; si veda ad es. A. Boucharb, Spécificité du problème morisque au Portugal: une colonie étrangère re-fusant l’assimilation et souffrant d’un sentiment de déracinement et de nostalgie, in Aa. Vv., Les morisques et leur temps. Table ronde internationale 4-7 juillet 1981, Montpellier, CNRS, Paris 1983, pp. 217-233 ed Id. Convictions religieuses et vision de Dieu chez les Morisques vivant au Portugal, in A. Temimi (a cura di), Religion, Identité et Sources Documentaires sur les Morisques Andalous. Actes du II Symposium du Commité International d’Études Morisques (Tunis 1983), Tunis 1984, t. II, pp. 293-294, vol. I, pp. 67-75 ed ancora Id., Les métiers des «Morisques» du Portugal pendant le XVIe siècle, in A. Temimi (a cura di), Métiers, vie religieuse et problématique d’histoire morisque, Zaghouan 1990, pp. 51-60.

59. Si veda M.A. de Bunes Ibarra, La imagen de los musulmanes y del Norte de África en la España de los siglos XVI y XVII. Los caracteres de una hostilidad, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Madrid 1989.

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Negli stessi anni la Spagna firmava con la Francia la pace di Vervins60 (1598), prima tappa di un efficace impegno pacificatore dopo le guerre del Cinquecento, mentre l’aristocrazia latifondista di Aragona e quella di Va-lencia cominciavano a pensare ai benefici della deportazione e dell’esilio dei Mori: in buona sostanza la fine dei moriscos era ormai decisa.

60. La pace fu siglata il 2 maggio 1598, a conclusione delle guerre di religione fra il sovrano spagnolo Filippo II ed il nuovo re di Francia, Enrico IV, a Vervins in Piccardia. Con questo trattato di pace Filippo II riconobbe l’ex protestante Enrico III di Navarra quale re di Francia e ritirò le trup-pe dal suolo francese, privando così la Lega cattolica del suo appoggio. Dopo la morte di Filippo II, avvenuta il 13 settembre, il successore Filippo III confermò l’accettazione dei termini del trattato. Il duca di Savoia, Carlo Emanuele I, che si era sottratto alla firma del trattato, ne firmò successi-vamente uno apposito con Enrico IV a Lione nel 1601. Altre conseguenze del trattato furono la restituzione da parte della Spagna del Vermandois, di parte della Piccardia, di Calais e della base navale di Port-Louis, nel Morbihan (Bretagna, sull’estuario del fiume Blavet); la Francia restituì alcune piazzeforti lungo i confini, rinunciando alla sovranità su Fiandre e Artois. Si veda P. Allen, Felipe III y la Pax Hispanica. El fracaso de la gran estrategía, Alianza, Madrid 2001.

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Capitolo III

Le espulsioni del xvii secolo

3.1. L’espulsione da Valencia (1609)

Durante il regno dei primi Asburgo l’eliminazione della minoranza moresca – percepita come nazione nella nazione – era fortemente consi-derata dall’Inquisizione, che mirava a controllare le almas desviadas1. Que-sta volontà si scontrava tuttavia con gli interessi della nobiltà del Levante, che tollerava i moriscos per ragioni economiche: fatta eccezione per don Francisco Gómez de Sandoval di Lerma, i grandi latifondisti temevano fortemente l’espandersi del radicalismo in seno all’Inquisizione.

Nel 1598 Filippo III succedette al padre Filippo II di Castiglia. Il nuovo re era completamente diverso dal predecessore: ad una personalità auto-ritaria, tendente ad un potere personalista, dalla volontà ferrea e dalle in-negabili capacità di guida, si contrappose un uomo pacifista, ma anche dal blando impegno e dalla personalità vulnerabile. La religiosità del padre era sincera, al punto da ritenere di aver ricevuto da Dio la responsabilità di tutelare l’ecclesia; quella del figlio era una religiosità più comune, legata all’emotività e priva di contenuti intellettuali, fatta di pratiche e cerimonie di pura facciata.

Il vero detentore del potere reale era Don Francisco Gómez de Sando-val, marchese di Denia e duca di Lerma, esponente della nobiltà aragone-se ed esperto del problema moresco. All’inizio forte oppositore dell’espul-

1. Cfr. L’interessante lavoro ricognitivo di H. Rawlings, The Spanish Inquisition, Blackwell Publishing, Malden (Massachusetts, Usa) 2006.

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54 Frontiere indivisibili

sione, in linea con il resto della nobiltà valenciana, ne divenne in seguito, incomprensibilmente, il più agguerrito sostenitore2.

Durante il Consiglio di Stato del 3 gennaio 1602 venne proposta l’espul-sione generale dei moriscos di Valencia e del Regno di Aragona3, in virtù dei legami che essi mantenevano con i Francesi. Juan de Zúñiga y Avel-laneda, conte de Miranda, propose di inviarli tutti nella regione del Nord Africa, lasciando, però, in Spagna i bambini4.

Anche se nel Consiglio di Stato del 1607 si auspicava ancora l’evangeliz-zazione dei moriscos, nel successivo Consiglio del 30 gennaio 1608 si decise all’unanimità l’espulsione della minoranza islamica: anche coloro che due mesi prima si erano dichiarati contrari, in quella seduta votarono a favore della soluzione definitiva. Il voto che stupisce maggiormente è proprio quello del duca di Lerma, ormai convinto assertore dell’inutilità dell’evan-gelizzazione. Evidentemente i memoriali che Juan de Ribera, arcivescovo e viceré di Valencia, aveva inviato a Filippo III per allertarlo sul pericolo moresco avevano avuto effetto coercitivo anche sul duca5. L’arcivescovo Ribera convinse i membri contrari e lo stesso sovrano ad inviare i moriscos a lavorare nelle galere, ad esiliare le donne e i vecchi in Nord Africa e ad affidare i bambini ai cristianos viejos.

2. Cfr. L.A. Marchante-Aragón, The King, the Nation, and the Moor: Imperial Spectacle and the Rejection of Hybridity in The Masque of the Expulsion of the Moriscos, «Journal for Early Modern Cultural Studies», 1 (2008), pp. 98-133. Sul duca di Lerma si vedano P. Williams, Phílip III and the Restoration of Spanish Government, 1598/1603, «English Historical Review», 88 (1973), pp. 751-769; A. Peros Carrasco, Lerma y Olivares: la práctica del valimiento en la primera mitad del Seiscientos, in J. Huxtable Elliott –A. García Sanz (a cura di), La España del Conde Duque de Olivares. Encuentro Internacional sobre la España del Conde Duque de Olivares (Toro, 15-18 sept. 1987), Secretariado de Publicaciones de la Universidad de Valladolid, Valladolid 1990, pp. 195-224 ed inoltre: B.J. Gar-cía García, La pax hispanica. Política exterior del duque de Lerma, University press, Leuven 1996; P.C. Allen, Felipe III y la pax hispanica, Alianza editorial, Madrid 2001 ed A. Feros, El duque de Lerma. Realeza y privanza en la España de Felipe III, Marcial Pons, Madrid 2002.

3. A. Vila Moreno, La expulsión de los moriscos: problemática y estado actual de la cuestión, «Academia de Cultura Valenciana. Serie Histórica», 2 (1987), pp. 48-80.

4. Si vedano i testi citati da J. Framiñán de Miguel, Manuales para el adoctrinamiento de neoconversos en el siglo XVI, «Criticón», 93 (2005), pp. 25-37.

5. San Giovanni de Ribera (Siviglia, 20 marzo 1532 – Valencia, 6 gennaio 1611) venne no-minato da papa Pio V, nel concistoro del 30 aprile 1568, patriarca di Antiochia e, due mesi dopo, ar-civescovo della grande diocesi di Valencia. È stato il fondatore dell’ordine delle agostiniane scalze. Fu nominato viceré di Valencia nel 1602 da Filippo III. Nel 1960 è stato proclamato santo da papa Giovanni XXIII.

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iii. Le espulsioni del xvii secolo 55

L’idea della espulsione totale sostenuta da Filippo III e dal duca di Ler-ma ha incontrato un processo lungo e contrastato, caratterizzato dalla mancanza di denaro pubblico e dai continui ricorsi ai prestiti privati. A partire dal 12 dicembre 1608 lo zio del Duca di Lerma, Bernardo de San-doval y Rojas, riuscì a conquistare la carica di arcivescovo di Toledo e di In-quisitore generale: da questo momento niente e nessuno poteva più salva-re i moriscos, dato che la Chiesa e lo Stato erano definitivamente uniti nel progetto di espulsione6. Tutti questi elementi concorsero alla decisione di procedere all’espulsione definitiva dei moriscos da Valencia nel 1609, che impose l’esilio immediato a circa 32.000 islamici (17.000 partirono subito verso la Francia; altri 15.000 partirono successivamente agli editti promul-gati nel 1614 dal porto di Cartagena).

Il primo bando di espulsione, datato 22 settembre 1609, faceva riferi-mento solo al Regno di Valencia, considerata zona particolarmente sen-sibile per l’ampiezza della comunità moresca ed i frequenti contatti con i regni indipendenti del Marocco e con la Francia di Enrico IV, entrambi alleati dei Turchi. Solo successivamente la deportazione dei moriscos si estese a tutta la Spagna, grazie ad uno spiegamento di forze militari senza precedenti7.

Probabilmente l’espulsione ebbe inizio da Valencia proprio allo scopo di scardinare le basi dell’ultimo baluardo signorile in territorio spagnolo: dato che i señores erano considerati elementi di disturbo dalla Corona, una simile prova di forza avrebbe messo a tacere per lungo tempo i ricchi no-tabili valenciani.

Una volta approvati i provvedimenti di espulsione, il tribunale ecclesia-stico ratificò le condanne e rimise le proprie valutazioni alla giunta, che si riunì a Valencia il 22 novembre del 1608. Le deliberazioni si protrassero fino al marzo del 1609 e la giunta decise, infine, di continuare l’opera di evangelizzazione con mezzi delicati e persuasivi. Nonostante questo Fi-lippo III, per mano del duca di Lerma, ordinò l’accelerazione del processo

6. Cfr. F. Pizarro Alcalde San Simón de Rojas y la expulsión de los moriscos (1609), «Tiempos Modernos», 19 (2009/2).

7. L’ordine reale del 22 settembre 1609 affermava «...He resuelto que se saquen todos los Moriscos de ese Reino y que se echen en Berbería»; il testo integrale del bando è riportato in Appendice 1.

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56 Frontiere indivisibili

di espulsione. Solo pochi moriscos riuscirono ad ottenere un certificato di limpieza de fè dai vescovi locali e ad eludere le autorità: si stima che su un totale di 140.000 persone, circa 130.000 furono espulse o uccise.

3.2. L’espulsione dalla Castiglia (1610), dall’Andalusia (1610), dall’Ara-gona (1611)

L’espulsione dei moriscos dalla Castiglia fu ancora più drammatica di quella avvenuta a Valencia. Gli islamici castigliani costituivano una mino-ranza non soggetta a doveri feudali e diffusa sul territorio, pertanto non in grado di organizzare una rivolta o di destare particolari preoccupazioni ai señores. In Castiglia coesistevano due distinte comunità moresche: i mori-scos propriamente detti e gli antichi mudéjares, che erano riusciti a mante-nere delle ottime relazioni con i cristianos viejos e godevano di particolari privilegi.

Il decreto di espulsione generale, firmato il 18 aprile 1610 e bandito il 29 maggio, concedeva la permanenza ai bambini moreschi fino ai quat-tro anni di età (morisquillos) con l’autorizzazione dei genitori. Le altre di-sposizioni, invece, erano analoghe a quelle dei precedenti bandi. Alcuni moriscos, coscienti del loro destino, anticiparono le decisioni del decreto e attraversarono i Pirenei per raggiungere la Francia.

In Andalusia non si verificano le scene di violenza che caratterizzarono l’esilio valenciano, anche se non mancarono abusi da parte delle autorità.

Il bando di espulsione concernente l’Andalusia e la Murcia venne fir-mato il 9 dicembre 1609 e pubblicato il 10 gennaio 1610. Rispetto a quanto predisposto per i moriscos valenciani, il bando concedeva ai moriscos anda-lusi e mursiani la possibilità di vendere i propri beni, tranne quelli devoluti direttamente alla Real Hacienda. I beni mobili, i prodotti agricoli e artigia-nali, tuttavia, non potevano essere venduti ed agli espulsi era consentito solo di portare il denaro necessario per il viaggio. Un bando chiarificatore di don Juan de Mendoza, marchese di San Germán, incaricato dell’espulsio-ne in Andalusia, specificava che i coniugi di matrimoni fra cristianos viejos e moriscas potevano restare e che la moglie cristiana di un morisco poteva

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scegliere se seguire il marito espulso o se restare in Spagna8. Potevano restare in suolo spagnolo i discendenti di Berberi e Turchi – giunti in Spagna per convertirsi –, coloro che avevano ottenuto una sentenza ese-cutoria, i moriscos convertiti che ancora avevano pendenze giuridiche sul loro riconoscimento, coloro che usufruivano delle esenzioni della farda9 e gli schiavi di Malaga. Era consentita la permanenza sul suolo spagnolo anche agli hidalgos, ai cavalieri nobili e a coloro che svolgevano funzio-ni essenziali per la comunità cristiana. Numerosi moriscos riuscirono co-munque ad evitare l’espulsione grazie alla complicità dei cristianos viejos, che spesso li aiutavano a nascondersi o a confondersi con la popolazione cristiana.

Il bando di espulsione da Granada ordinava ai moriscos di abbandonare i bambini di età inferiore a sette anni, a meno che non fossero diretti verso paesi cristiani10. Molte famiglie islamiche scelsero così di passare per la Francia per poi dirigersi verso il Nord Africa, mentre altre, d’accordo con l’equipaggio, fingevano destinazioni diverse.

8. M. De San Germán, Relación verdadera de las causas que su Magestad ha hecho averiguar para hechar los Moriscos de España, y los bandos que se publicaron en el Reyno de Andalucía por el marqués de San Germán, y de los Moros que havía en Sevilla para levantarse, Lorenzo Robles, Zaragoza 1611.

9. Con il termine farda si identificava una serie di servizi in denaro che i moriscos del Regno di Granada erano obbligati a versare alla Corona: «Bien es verdad que hay una clase que ignora las fronteras, tanto geográficas como religiosas, y cuya cohesión es evidente. La comunidad morisca tiene conciencia de ello. Por tanto protesta cuando los más poderosos están no sólo exentos del impuesto (farda) que deberían pagar todos, sino que además se benefician de rentas obtenidas de ese impuesto. Las tres fardas también sirvieron para recompensar los buenos y leales servicios de los cristianos viejos y de los moriscos. En realidad, 10.000 de los 60.000 ducados del servicio de la casa real eran reservados para ser distribuidos en forma de gratificaciones. Los beneficiados eran en su gran mayoría moriscos notables encargados de la derrama de las farda» (B.Vincent, Las rentas particulares del Reino de Granada en el siglo XVI: fardas, habices, hagüela in Id., «Andalucía en la Edad Moderna: economía y sociedad», Diputación Provincial de Granada, Granada 1985, p. 105). Come affermava nel 1557 Francisco de Belbs, vecino e regidor di Almería: «Yo soy repartidor de por mayor de las alfardas y servicios que los nuevamente convertidos de este reyno hazen a su magestad» (Ma-drid, Archivo de la Chancilleria General, ff. 302, 204 e 205 senza fascicolo). Bernardino de Reina, morisco “regidor” di Vélez Málaga, «tenia cargo de repartir la farda en la jarquía de Málaga» (L. Del Mármol Caraval, Historia del rebelión y castigo de los moriscos del reyno de Granada: dirigida a don Juan de Cárdenas y Zúñiga, Delegación Provincial de la Consejería de Cultura, Granada 1999). Si consulti anche J. Castillo Fernández, Administración y recaudación de los impuestos para la defensa del reino de Granada: la Farda de la Mar y el Servicio Ordinario (1501-1516), «Areas. Revista de Ciencias Sociales», 14 (1992), pp. 67-90.

10. I. Gironés Guillem, Los morisquillos, cit., p. 30.

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L’espulsione dei moriscos catalani venne decretata contemporaneamen-te a quella dei Mori aragonesi, con minime ripercussioni: gran parte dei moriscos riuscì a restare in Spagna grazie all’intervento dell’arcivescovo di Tortosa, Pedro Manrique, che aveva rilasciato numerosi certificati di buo-na condotta.

3.4. L’espulsione totale

Alla fine del 1611 l’espulsione dei moriscos sembrava completa. In realtà la soluzione fu solo provvisoria, giacché si moltiplicavano i rientri clande-stini. La Corona promulgò allora nuovi rescritti allo scopo di terminare l’opera. Nel rescritto del 22 marzo 1611 venne imposta l’espulsione totale dei musulmani granadini, previa verifica dell’avvenuta adesione alla reli-gione cristiana: qualora questa fosse risultata sincera, il giudice avrebbe concesso loro il permesso di riprendere automaticamente possesso dei beni e di rimanere in Spagna.

Il 12 maggio 1611 Filippo III decise di espellere tutti i moriscos senza ec-cezioni. Il 27 giugno 1611 furono imbarcati a Cartagena circa 200 islamici mentre altri 2.000 si recarono spontaneamente alla frontiera francese. In genere i piccoli commercianti e gli artigiani si diressero in Francia, ove la presenza dei moriscos era accettata previa la semplice professione di fede cattolica fatta in presenza del cardinale Sourdis; i più poveri erano caricati su barconi destinati al Marocco, mentre le famiglie più ricche si dirigevano ad Istanbul11.

Il 26 ottobre un ultimo e definitivo editto invitava tutti i moriscos a la-sciare il territorio della Corona entro quindici giorni. Ciò nonostante, i rientri illegali si moltiplicavano a dismisura. I clandestini si diressero pre-valentemente in Castiglia, soprattutto nel Campo de Calatrava e si stan-ziarono in cinque città: Almagro, residenza del governo; Villarubia de los Ojos; Daimel; Aldea del Rey; Bolaños12. Si trattava di moriscos che avevano

11. Cfr. M.A. Enan, Niháyat Al-Andalus wa-tarij al-árab al-mutanasirín (Final de Al-Andalus e historia de los árabes cristianizados), Il Cairo 1949 e L. Cardaillac, Morisques et Chrétiens: un affron-tement polémique (1492-1640), Klincksieck, Paris 2000.

12. M. Romero Sáiz, Mudéjares y moriscos en Castilla-La Mancha, cit., p. 183.

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abbracciato la fede cattolica già nel 1502 e che godevano dei privilegi con-cessi dai re cattolici. Essi vivevano da sempre in morerías, praticando lavori diversi da quelli esercitati dai cristiani e non erano soggetti al pagamento della farda.

L’intenso movimento migratorio prodotto dalle espulsioni favorì, per assurdo, il rientro di numerosi moriscos: Juan de Salazar, già nel settembre 1612, sosteneva che a Villarubia del Ojos su 730 espulsi, 600 fossero già rientrati.

Con l’intento di porre riparo alla situazione, il Duca di Lerma deci-se di inviare l’alcalde Madera per risolvere la questione dei rientri illegali. L’alcalde fece catturare tutti i moriscos trovati nelle varie città e li inviò alle galere di Cartagena, mentre le donne furono condotte in Francia per ra-gioni umanitarie13.

Tuttavia a Toledo l’alcalde Gregorio LÓpez Madera riuscì a rastrellare solo 60 persone, appartenenti a circa venti famiglie: non a caso Ginés Al-modóvar, cappellano delle carmelitane scalze di Madrid, nel suo memo-riale scriveva che la Castiglia era piena di moriscos rientrati, soprattutto a Guadalajara, Alcalá e Patrana14.

13. «El licenciado Gregorio López Madera era en esta época Alcalde de Casa y Corte y fu comisionado para muy diferentes asuntos. En Sevilla revisó los almojarifazgos, fue corregidor de Toledo hasta 1617, ocupándose del control de los facinerosos que transitaban entre la corte y Andalucía. En 1619 sería Consejero de Castilla» (F.M. Burgos EstÉban, Dificultades en la práctica de gobernar. El riego de Lorca, Murcia y Cartagena (1617-1622), «Cuadernos de Historia Moderna», 16 (1995), p. 3n.). Su López Madéra si veda anche Simancas, Archivo General, Quitaciones de Corte, legajo 22. Celebre il suo Libro Excelencias de la monarquía y reino de España, Madrid 1625.

14. Lo Stato tratteneva ai moriscos una parte delle ricchezze della comunità, come monete e gioielli: numerosi islamici, quindi, nascosero i loro tesori alle casse reali con la speranza di poter prima o poi ritornare in Spagna. In effetti alcuni riuscirono a tornare dall’Africa del Nord, portando una sorta di ‘mappa’ dei tesori nascosti. Il Regio Decreto del 24 febbraio 1571, che prevedeva la confisca dei beni dei moriscos ed il loro trasferimento alle casse dello Stato, certificava la mancanza di un’ingente somma di denaro rispetto ai calcoli della Corona. Cfr. A. Domínguez Ortiz - B. Vin-cent, Historia de los moriscos, cit., p. 259; M. Romero Sáiz, Mudéjares y moriscos en Castilla-La Mancha, cit., p. 185.

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Figura 4. Vicent Mestre, Embarcament de moriscos al port de Dènia (sec XVII).

3.5. Il dramma dei morisquillos

Nel bando di espulsione dei moriscos del Regno di Valencia, Filippo III indicò anche i metodi di allontanamento dei bambini della minoranza, ispirandosi alla proposta di Juan de Ribera di affidare i minori islamici a cristianos viejos in grado di educarli alla fede di Cristo15.

Il bando, in primis, definiva l’età dei bambini destinati all’affidamento: bisognava tenere sul suolo spagnolo solo i bambini maggiori di tre anni e minori di sette. Erano esclusi automaticamente i lattanti e gli adolescenti, dato che avrebbero potuto porre problemi alle autorità.

In un primo momento venne richiesta esclusivamente una «cessione volontaria e consentita dei genitori» probabilmente perché nella lista en-trarono bambini di età diverse rispetto a quelle previste nel bando16.

15. J. De Ribera, Catecismo para instrucción de los nuevamente convertidos de moros, Pedro Pa-tricio Mey, Valencia 1599.

16. Si tratta del Bando de la expulsion de los moriscos del reino de Valencia, publicado en la capital el dia 22 de setiembre de 1609, segun se conserva en el folio 34 de la Mano 50 de Mandamientos y embargos de la córte civil de Valencia del año 1611, Madrid, Biblioteca Nacional: il testo integrale è riportato

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Nel proseguimento dell’operazione divenne sempre più difficile deter-minare una distinzione fra i bambini ceduti volontariamente e quelli cat-turati e detenuti: molti furono catturati nelle zone di resistenza (il bando di espulsione imponeva la confisca dei beni dei ribelli e i figli erano consi-derati beni preziosi); altre volte furono gli stessi Mori in attesa di imbarco a vendere i figli in cambio di pane o di una manciata di fichi, ormai strema-ti dalla fame e dalla sete; in altri casi i bambini furono ceduti dai genitori impegnati nella guerriglia17.

Allo stato attuale delle fonti è quasi impossibile comprendere quanti dei 2.447 bambini ceduti alle autorità provenissero dall’affidamento o dal-la vendita da parte dei genitori, e quanti, invece, dalla cattura. È possibile, tuttavia, grazie al Censo del 1611, risalire alla loro provenienza e all’ultimo tutore, che ne determinava il cognome.

Il censimento rappresentò una necessità anche a séguito della tratta di morisquillos, divenuta in breve tempo un fenomeno endemico. Il commer-cio dei morisquillos nei due anni che seguirono il bando del 1609 fu così scandaloso da sollevare l’intervento di Paolo V, che sollecitò più volte la Corona di vigilare sulla conversione dei bambini e verificare lo stato della loro educazione. D’altronde, se lo scopo era quello di dare ai bambini Mori la possibilità di convertirsi alla «vera fede», non si poteva affidarne un numero troppo elevato ad un unico tutore e si stabilì definitivamente che ogni responsabile poteva avere al massimo l’affido di due morisquillos18.

Inoltre, da quanto riportato al pontefice e secondo altre fonti, molti bambini furono venduti in Francia e in Italia come mano d’opera a basso costo. D’altra parte, il bando prevedeva la riscossione di nuove imposte sulla vendita dei morisquillos (come avveniva per il traffico di schiavi adulti) e una punizione per coloro che occultavano ai censori la loro detenzione.

Il censimento venne condotto da cinque commissioni col compito di registrare i morisquillos, località per località, con l’aiuto dei comuni. Ogni commissione era composta da un commissario, da un segretario e da un ufficiale giudiziario. Il risultato di questo intenso lavoro è un dossier di

nell’Appendice 1.17. I. Gironés Guillem, Los morisquillos, cit., p. 30.18. Ivi, p. 15.

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quattrocento pagine scritte fronte-retro, diviso in cinque blocchetti, uno per ciascuna commissione.

Il commissario scriveva il nome del cristiano viejo affidatario del bam-bino, così da ottenere il vecchio nome moresco e il nuovo cognome fornito dal tutore, che da quel momento identificava il minore. Un’al-tra colonna era riservata ai nomi dei bambini: alcuni avevano ancora nomi islamici, altri – già battezzati – presentavano lo stesso nome del tutore.

Una colonna apposita riportava l’età anagrafica dei bambini, inclusi quelli minori di due anni nati dopo l’espulsione del 1609. Le ultime due colonne contenevano il luogo di provenienza dei morisquillos e la loro destinazione, fondamentali ancora oggi per ricostruire il percorso effet-tuato all’interno del paese.

Interessante è la parte dedicata alla descrizione delle caratteristiche fisiche dei minori, che presentavano quasi tutti dei segni sul corpo: pro-babilmente i genitori li avevano segnati per avere in futuro la possibilità di ritrovarli19.

3.6. Terrorismo psicologico o terrorismo sovversivo?

Fino a quando i Mori furono lasciati liberi di mantenere i propri usi, anche se sotto la maschera della taqiyya, non opposero resistenza alle au-torità e continuarono ad essere parte del tessuto socio-economico delle regioni spagnole. Quando, però, le stesse autorità tentarono di omolo-garli sottolineandone le diversità, piuttosto che i tratti comuni, o di ol-traggiarne la dignità personale, iniziarono a ribellarsi: da quel momento la convivenza divenne impossibile, da un lato per il rancore dei Mori e dall’altro per la pressione psicologica esercitata dal governo e dalla Chiesa sui cristianos viejos. La Corona, d’altra parte, non tendeva all’integrazione, ma all’assimilazione e a tale scopo mosse una serie di meccanismi psico-logici atti a sollevare un senso di diffidenza nella popolazione cristiana, al

19. Lo studio del censimento è oggi contenuto nella rivista «Almaig» annuale dell’associa-zione Nostra Terra in Ontinyent. Cfr. I. Gironés Guillem, Los morisquillos, cit., pp. 16-18, 20-22.

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fine di stravolgere direttamente dall’interno i principi su cui poggiava la convivenza civile.

Il pericolo moresco aumentava proporzionalmente alla frequenza delle relazioni tra i Mori di Spagna e i Turchi di Costantinopoli, che spesso alle-stivano delle flotte per soccorrerli (ad es. nel 1589 e nel 1591). Il governo spagnolo intercettava continuamente lettere fra gli islamici di Algeria e i moriscos valenciani e molti furono i cristianos nuevos che passarono da una parte all’altra dello stretto di Gibilterra.

Tuttavia, ciò che più preoccupava Filippo II erano le strette relazioni fra i moriscos valenciani e i protestanti del Béarn. A partire dal 1570 nume-rosi emissari dei cristianos nuevos si spostarono dall’Andalusia al Béarn per siglare un patto di alleanza. Ancora nel 1575 i Francesi proposero ai mori-scos aiuto militare in cambio di un sussidio di dieci o dodici scudi annuali: anche se la somma richiesta era elevata, i moriscos valutarono l’offerta e dichiararono di tenere nascoste le munizioni nonostante l’ordine di disar-mo emanato nel 1559.

Allo stesso tempo i Mori sollecitarono anche un aiuto economico da parte di Costantinopoli, cui inviarono un’ambasciata. Incoraggiati da que-sti appoggi esterni, ben presto decisero di passare alle vie di fatto: la prima occasione si presentò in Andalusia nel 1580. La sollevazione generale ven-ne però sventata ed ebbe come unica conseguenza quella di alimentare il senso di insicurezza da parte della popolazione cristiana, che scatenò diverse rappresaglie specialmente a Siviglia, Jaén e Malaga, dove furono incarcerati tutti gli schiavi moriscos e berberi. L’anno successivo l’inquietu-dine era ancora così forte che a Siviglia furono catturati – e rilasciati solo dopo la testimonianza di alcuni cristianos viejos – tre moriscos con il sospet-to di aver organizzato un complotto ai danni della Corona.

Il 23 gennaio 1582 la cattura a Caudel, cittadina presso Segorbe, di un morisco aragonese, chiamato Zamarrudillo, permise alle autorità di sma-scherare una rete di comunicazioni clandestine – il cui centro era l’Ara-gona – tra la Castiglia, il Béarn ed il Nord Africa. Le lettere intercettate, scritte in arabo ed in lingua aljamiada, rivelavano un piano di attacco alle coste spagnole da parte dei moriscos di Algeri.

Nel 1585 iniziò in Aragona una guerriglia, durata tre anni, fra i cristia-nos viejos abitanti delle montagne e i moriscos abitanti della pianura, cui

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fecero séguito altre manifestazioni più violente scoppiate fra il 1592-93. Tuttavia, nonostante la fitta rete diplomatica, in nessuno di questi scontri i moriscos furono in grado di operare in modo compatto ed organizzato.

Nel 1588, data la particolare estensione dell’arcivescovado di Toledo, il cardinale Cisneros ordinò un censimento dei moriscos presenti sul terri-torio, terminato nel 1589. Nello stesso periodo l’opinione pubblica si fece sempre più ostile ed esasperò l’odio anche verso quei mudéjares che si era-no integrati nel tessuto sociale castigliano. Il problema maggiore era rap-presentato dai bagarinos, cioè gli arabi che emigravano dal sud dell’Arago-na alla Meseta castigliana, più precisamente nella parte alta della Mancha. Questi Mori, dediti per lo più ad attività commerciali, conoscevano per-fettamente sia l’arabo che il castigliano e potevano facilmente intrattenere rapporti con l’altra sponda del Mediterraneo20.

Già attorno al 1568 sembrava evidente che la minoranza moresca non aveva alcuna intenzione di assimilarsi. In questo stato di cose per Filippo II diventava prioritario arginare il pericolo che questa popolazione pote-va rappresentare per la Spagna, anche attraverso l’adozione di soluzioni drastiche. L’espulsione venne intesa non solo come un rimedio contro i moriscos, ma anche come monito verso tutti i dissidenti e i destabilizzatori dell’unità nazionale.

Intanto i Turchi e i Berberi spingevano pericolosamente le proprie flotte nel Mediterraneo occidentale. All’inizio del regno di Filippo II, la Spagna possedeva solo Melilla, Orán, Mazalquivir e La Goleta sulla costa africana. In questa situazione i moriscos rappresentavano un avamposto musulma-no all’interno del territorio spagnolo, un fronte pronto ad appoggiare gli attacchi dei Turchi anche grazie ai frequenti contatti fra Istanbul, Granada e Valencia21. Ma il pericolo moresco si esprimeva soprattutto attraverso il

20. Si veda L.F. Bernabé Pons, Las emigraciones moriscas al Magreb: balance bibliográfico y perspectivas, in A.I. Planet, F. Ramos (a cura di), Relaciones Hispano-Marroquíes: Una Vecindad en Construcción, Guadarrama. Ediciones del Oriente y del Mediterráneo, Madrid 2006, pp. 63-100.

21. Tra i documenti scritti in lingua araba figurano i dispacci di alcuni ricchi moriscos (Fran-cisco Toledano, Lasarte y Amad Bejarano) recatisi a Istanbul per mettere al corrente il Sultano degli «agravios de España»; si confronti il dispaccio inviato da Parigi a Istanbul dal Amad al-a-ar, che riportava le lamentele di altri notabili islamici in J. Oliver Asín, Amad al-a-ar Bejarano. Apuntes biográficos de un morisco notable residente en Marruecos, in Id., Conferencias y apuntes inéditos, Ediciones Dolores Oliver, Agencia Española de Cooperación Internacional, Madrid 1996, pp. 151-164.

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banditismo e la pirateria: il primo, nonostante i numerosi provvedimenti presi fra il 1511 e il 1514, non accennava a diminuire, anzi subì un incre-mento fra il 1560 e il 1570; l’altro, specie fra il 1570 e il 1598, rappresentava una piaga cui restarono immuni solo alcune regioni della Penisola22.

A séguito delle deportazioni forzate numerose bande iniziarono a se-minare il terrore nel Regno di Granada e, a partire dal 1577, nelle regioni settentrionali: i componenti erano moriscos irriducibili che conoscevano il territorio e agivano indisturbati. Per le autorità era difficile riuscire a cat-turare i malviventi, dato che erano protetti e nascosti dagli altri moriscos: furono pertanto inasprite le pene e le condanne a morte. Anche nel Regno di Valencia, dove il banditismo si diffuse tra il 1580 il 1586, vennero pubbli-cate pragmatiche che stabilivano pene assai severe per i banditi.

La pirateria berbera e moresca, endemica dalla fine della reconquista, rag-giunse l’apogeo critico attorno al 1560. Il 20 luglio dello stesso anno il viceré di Valencia, Alfonso d’Aragona, duca di Segorbe, arrivò a proibire la pesca ai moriscos per il sospetto di connivenza con i pirati saraceni. Mentre il Medi-terraneo era ormai controllato dai musulmani maghrebini che minacciava-no le coste con attacchi pirateschi sempre più audaci, i moriscos delle località limitrofe alle coste approfittavano del caos per fuggire verso il Nord Africa.

I provvedimenti emanati dalla Corona portarono indubbiamente dei benefici: la pirateria e il banditismo diminuirono sensibilmente già dopo il 1585-86, anni di intensa repressione.

Tuttavia la deportazione dei moriscos granadini fuori dal Regno diede origine ad un imprevedibile processo di mobilità: a coloro che cercavano di ricongiungersi con i familiari dispersi si aggiungevano quelli che desi-deravano tornare nelle regioni da cui erano stati cacciati. In questo stato di cose Filippo II non temeva un complotto islamico, ma un’alleanza fra i nemici turchi, francesi e protestanti sotto la direzione dei moriscos. Questi sospetti, alimentati da fragili indizi, bastarono a far scoppiare una psicosi generale e ad alimentare fantasie più o meno verosimili sulle attività se-grete della minoranza moresca23.

22. E. Sola Castaño, Un Mediterráneo de piratas: corsarios, renegados y cautivos, Editorial Tec-nos, Madrid 1988, p. 13.

23. Cfr. ad es. Simancas, Archivo General, Consejo Real, legajo 257 expedientes 4 f. 8-II, Confesiones de Juan de Palma del 19 junio 1580, relativo alla confessione di un complotto ai danni della

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3.7. Chi fu responsabile dell’espulsione?

La responsabilità della Chiesa durante l’espulsione dei moriscos è da sempre oggetto di dibattito storiografico24. Il dominicano Jaime Bleda, autore della Defensio Fidei in causa neophytorum sive Morischorum Regni Va-lentiae totiusque Hispaniae e della Corónica de los moros de España25, ricevette l’incarico di occuparsi della parrocchia di Corbera, cittadina con alta pre-senza moresca: se già precedentemente il sacerdote non nutriva grande simpatia per i cristianos nuevos, era ancora meno felice di veder fallire i propri tentativi di evangelizzazione. Con l’ascesa al trono spagnolo di Fi-lippo III si moltiplicarono i memoriali e le visite di Bleda per perorare l’espulsione totale ed immediata dei Mori. Ciríaco Pérez Bustamante, con un’ampia documentazione, ha messo in luce la contrarietà di papa Paolo V nei riguardi dell’espulsione e del sostegno ad un processo di evangeliz-zazione della comunità moresca26.

Più dell’influenza moderatrice della Chiesa è probabile che le opinio-ni della regina Margherita d’Austria27 abbiano pesato in modo decisivo sull’animo titubante di Filippo III: nel sermone recitato ai suoi funerali, il priore di Sant’Agostino in Granada la elogiò per l’odio santo professato verso i moriscos, che aveva permesso alla Spagna di purificare le anime cri-stiane. Le continue pressioni del duca di Lerma, della regina Margherita

Corona da parte di alcuni moriscos. Cfr. anche B. Taylor The enemy within and without: an anatomy of fear on the Spanish Mediterranean littoral in Early Modern Society, Nap and Roberts, Manchester 1997, pp. 78-99.

24. Tra le opere contemporanee si vedano: M. de Guadalajara y Javier, Memorable expul-sión y justísimo destierro de los moriscos de España, Nicolás de Assiayn, Pamplona 1613; D. Fonseca, Justa expulsión de los moriscos de España, Iacomo Mascardo, Roma 1611 e P.A. De Cardona, Expul-sión justificada de los moriscos españoles y suma de las excellencias Christianas de Felipe Tercero, Pedro Cabarte, Huesca 1612.

25. J. Bleda, Defensio fidei, cit. e Id., Corónica de los moros de España, cit. 26. C. PÉrez Bustamante, La España de Felipe III. La política interior y los problemas internacio-

nales in Aa. Vv., La Historia de España de Menéndez Pidal, t. XXIV, Espasa-Calpe, Madrid 1988.27. Le orazioni di San Simón de Rojas sulla Regina Margherita d’Austria hanno sicuramen-

te contribuito ad esasperare la contrarietà della Corona alla permanenza dei moriscos in Spagna. Cfr. il recente articolo di F. Pizarro Alcalde, San Simón de Rojas y la expulsión de los moriscos (1609), «Tiempos Modernos», 19 (2009), 2; sulla vita di San Simón de Rojas si veda F. de Arcos, Primera par-te de la vida del venerable y reverendísimo padre maestro fray Simón de Rojas, Madrid 1670, consultabile alla Biblioteca Nacional de Madrid, coll. 2/35213.

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d’Austria, dei cattolici integralisti – e la scarsa influenza del partito contra-rio – spinsero Filippo III ad approvare la soluzione finale.

A questo punto è necessario rivolgere di nuovo lo sguardo alla ribel-lione del 1568, che ha avuto come prima conseguenza la disseminazione dei moriscos nei vari territori della Penisola iberica. La diffusione della co-munità moresca, il timore di altre ribellioni e dell’intervento di aiuti stra-nieri esasperarono l’odio dei cristiani verso gli islamici. In realtà i moriscos non avevano interesse a richiedere forze straniere per preparare un golpe, tranne che a Valencia e in Aragona: la frontiera pirenaica era da sempre motivo di timore per la Corona, soprattutto dopo l’elezione di Enrico IV di Borbone, mentre le coste valenciane erano costantemente minacciate dalle incursioni dei pirati Ottomani. Probabilmente sono proprio queste le ragioni che pesarono a favore dell’espulsione.

Poco dopo l’elezione, al termine di una visita a Valencia, Filippo III scrisse chiaramente in una lettera destinata a Juan de Ribera di credere an-cora nella possibilità di evangelizzare la minoranza moresca: questo testo prova che fino a quel momento il re non aveva preso in seria considerazio-ne l’espulsione28.

A questo punto l’arcivescovo Juan de Ribera, deluso dai risultati dell’in-tensa campagna di evangelizzazione, iniziò ad inviare al re dei memoriali in cui sollecitava dei provvedimenti più seri contro l’indomabile minoran-za islamica. In due distinti memoriali, uno della fine del 1601 e l’altro del gennaio 1602, l’arcivescovo accusava i moriscos di tradimento alla Corona e ne sollecitava l’espulsione a rischio di disfatta per la Spagna. Inoltre Ribera distingueva i cristianos nuevos dagli abitanti dei realengos29, di cui sollecitava l’espulsione o il lavoro coatto sulle galere e nelle miniere americane.

La lettura dei memoriali mette in evidenza quanto sia stata determi-nante la posizione del duca di Lerma, vero promotore dell’espulsione. Ai suoi occhi i Mori rappresentavano un pericolo non tanto per motivi reli-giosi, ma per la sicurezza dello Stato. Tuttavia, se è vero che i moriscos più emarginati e perseguitati sostenevano le vittorie dei Turchi e le incursioni

28. Trascritta in P. Boronat y Barrachina, Los moriscos españoles y su expulsión, Vives y Mora, Valencia 1901, vol. II, pp. 8-10.

29. Realengos ovvero feudi sotto la diretta giurisdizione del sovrano.

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dei pirati, quelli più integrati al tessuto sociale partecipavano con gioia alle vittorie contro le armate inglesi ed ai successi contro le truppe fran-cesi: per quanto insoddisfatti della loro condizione, i moriscos non avevano intenzione di stringere le armi contro la Spagna. D’altronde nemmeno Enrico IV aveva mai pensato di poter contare sull’appoggio logistico dei moriscos contro Filippo III, se non per una relativa attività di guerriglia.

In conclusione si può affermare che il pericolo rappresentato dai mori-scos nel 1609 non era maggiore di quanto non fosse già stato nel corso del XVI secolo. Il cambiamento di opinione del duca di Lerma, in apparenza inspiegabile, si può giustificare solo con ragioni di interesse economico, legate alla vendita e all’incameramento dei beni dei moriscos.

Intanto le testimonianze sulla cattiva sorte degli emigrati in Nord Afri-ca scatenarono la resistenza disperata dei condannati all’esilio. Antonio Domínguez Ortiz afferma che «l’espulsione della minoranza fu una scelta non indispensabile e un’esigenza non condivisa dalla popolazione cristia-na. Fu un provvedimento imposto dall’alto e accettato senza entusiasmo; talvolta, addirittura, con una resistenza passiva»30.

All’archivio delle Cortes di Castiglia non esistono memoriali in cui sia richiesto espressamente l’esilio dei moriscos: l’espulsione era solo nelle idee di alcuni consiglieri e dei fanatici della limpieza de sangre.

Uno degli episodi più clamorosi ed emblematici dello scontro tra le due comunità fu quello avvenuto nella Valle del Ricote, posta sotto la respon-sabilità di don Luis Fajardo, marchese dei Vélez. Alla data di pubblicazione del bando d’espulsione dalla Murcia, l’8 ottobre 1611, i moriscos chiesero pietà al re, professandosi cristiani. Per controllare la situazione Filippo III inviò Juan Pereda, che nel 1612 compilò un informe in cui dichiarava la sincera adesione dei moriscos del Ricote al cattolicesimo. I moriscos, all’an-nuncio dell’espulsione, iniziarono a fare processioni e si riunirono per pregare pubblicamente, mostrando di bere vino, mangiare carne suina e di non parlare né capire l’arabo. Il Consiglio di Stato e Filippo III non considerarono autentica la sincerità dei moriscos del Ricote e decretarono l’espulsione generale: nell’ottobre del 1613 i moriscos furono imbarcati per l’Italia e la Francia sotto lo sguardo del conte di Salazar. Un gruppo giunto

30. A. Domínguez Ortiz - B. Vincent, Historia de los moriscos, cit., p. 155.

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nelle Baleari chiese disperatamente di poter restare in suolo spagnolo, ma il re negò di nuovo il permesso.

I provvedimenti presi nei riguardi dei moriscos del Ricote hanno sicu-ramente suscitato lo sdegno e la perplessità dell’intera società spagnola. Probabilmente Cervantes diede il nome di «Ricote» ad un personaggio del Don Chisciotte31 per invitare l’opinione pubblica a riflettere su quanto stava accadendo nella Mancha. Francisco Márquez Villanueva, celebre critico letterario, afferma infatti:

[…] El topónimo se transforma en onomástico por la decisiva razón de que el morisco manchego es, a su vez, un paradigma de víctima inocente. Cervantes quiso que su noble personaje fuera un recuerdo vivo del último y tristísimo capítulo de aquella expulsión que veía ensalzar en su alrededor como una gloriosa hazaña32.

3.8. Il secondo ripopolamento

Dagli studi di Bernard Vincent risulta che i nuovi occupanti dei terri-tori moreschi provenivano dall’Andalusia e che si stabilirono a Granada e Malaga per contiguità territoriale. Seguivano numericamente i castigliani della Mancha, i valenciani e i murciani (per lo più stanziatisi nella parte orientale del Regno), i sopravvissuti dall’esodo gallego ed in ultimo i co-loni di altre regioni33.

31. Il morisco Ricote de El Quijote riconosce giusta l’espulsione dei falsi cristiani: «[...] Que me parece que fue la inspiración divina la que movió a Su Majestad a poner en efecto tan gallarda resolución, no porque todos fuésemos culpados, que algunos había cristianos firmes y verdaderos; pero eran tan pocos, que no se podían oponer a los que no lo eran, y no era bien criar la sierpe en el seno, teniendo los enemigos dentro de casa. Finalmente, con justa razón fuimos castigados con la pena del destierro, blanda y suave al parecer de algunos, pero al nuestro, la más temible que se nos podía dar». Si veda M. De Cervantes Saavedra, Don Quijote de la Mancha, edición, introducción y notas de Martín de Riquer, vol. II, RBA editores, Barcelona 1994, pp. 1026-1027. La prima parte del Quijote venne pubblicata nel 1605 mentre la seconda, in cui appare il nome di Ricote, nel 1615.

32. Trad.: «[…] Il toponimo si trasforma in onomastico per la decisiva ragione, secondo la quale il morisco mancego è, a sua volta, il paradigma della vittima innocente. Cervantes volle che il suo nobile personaggio fosse un ricordo vivo dell’ultimo e più triste capitolo di quell’espulsione che vedeva lodare dal mondo circostante come una gloriosa impresa». Si veda F. Márquez Villa-nueva, Personajes y temas del Quijote, Taurus, Madrid 1975, pp. 256-257.

33. B. Vincent, De la conversión a la expulsión, «Historia», 18 (1977), pp. 70-75.

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Le autorità della Vecchia Castiglia, della Cantabria, della Rioja e della Guascogna dichiararono apertamente che nessuno degli abitanti avrebbe tentato di attraversare il paese per stabilirsi nelle regioni moresche: i rischi provocati dal viaggio e l’occupazione di terre ormai devastate potevano destare interesse solo negli avventurieri e nei miserabili, più volte qualifi-cati come «feccia della Spagna».

Una volta insediatisi nel Regno di Granada, i coloni furono costretti ad affrontare una serie di problemi: oltre a ridar vita ad un territorio disastra-to dalla guerra, essi dovevano anche lottare continuamente i malcostumi della classe dirigente locale – abituata a trattare con una popolazione più sottomessa – e contrastare le continue incursioni dei pirati e dei banditi.

Nel Regno di Valencia la coltivazione dei terreni abbandonati dai mori-scos era diventata un problema sociale, dato che questi richiedevano una particolare cultura agricola sconosciuta alla maggior parte dei nuovi abi-tanti (per lo più artigiani). Nei luoghi a popolazione mista i cristianos viejos ampliarono i loro possedimenti ed estesero la superficie delle terre irrigue grazie anche al sostegno dei señores, che offrivano trattamenti di favore per la coltivazione delle terre spopolate. Altri elementi problematici erano rap-presentati dalla seconda Germanía (rivolta contadina per i diritti sulla terra) e dalla pressione fiscale esercitata dai señores, che tentavano di usare sui coloni lo stesso trattamento riservato fino a quel momento agli islamici.

Figura 5. Vicent Mestre, Autodafé di Corani (sec. XVII, dettaglio).

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3.9. La Spagna dopo l’espulsione

Le conseguenze economiche e demografiche dell’espulsione furono diverse a seconda delle aree della Penisola iberica. In generale furono scar-se per le regioni settentrionali, limitate in Castiglia, irrilevanti per la Cata-logna, gravi per l’Aragona e di notevole intensità per il Regno di Valencia, Granada e l’Andalusia. Nel complesso, insomma, non un disastro, come sostenuto dalla storiografia del secolo scorso, ma di certo il fattore di mag-gior peso per la recessione del secolo successivo.

Fernand Braudel, nella celebre opera Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, afferma che:

[…] Furono sicuramente espulsi nella quasi totalità, i moriscos delle città; in proporzione minore quelli che popolavano le realengos, le terre regie; e, con eccezioni molto più larghe, quelli delle terre signorili, i montanari, i contadini isolati34.

La scarsità di monete, causata dalla grande quantità di denaro portato via dai moriscos dall’Aragona e da Valencia, giustifica in parte la diminu-zione del conio dall’oro al rame da parte del Regno di Castiglia. Secondo Álvaro Castillo, fra il 1608 e il 1613 il fenomeno della falsificazione del denaro si intensificò notevolmente, nonostante la dura repressione della Corona. L’attività di falsificazione, condotta dai moriscos, prevedeva pene severe che variavano da una ingente sanzione pecuniaria fino alla condan-na a morte35. Queste considerazioni danno un’idea di come sia difficile quantificare con esattezza i danni causati dall’espulsione. Nell’anno più critico (1609) la situazione era ormai insostenibile: carceri piene, multe e processi pendenti, deportazioni di intere famiglie e terre spopolate. È stato stimato che nel secolo XVI migliaia di persone fuggirono dai Regni di Valencia e Granada verso il Maghreb.

34. F. Braudel, Civilità e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, vol. 2, Einaudi, Torino 1976, p. 844.

35. A. Castillo, La España Morisca, «Hispania», XX (1960), 60, pp. 578-585. Cfr. anche J. Ca-rrasco Vázquez, Contrabando, moneda y espionaje (el negocio del vellón: 1606-1620), «Hispania», n.s., 3 (1997), pp. 1081-1105.

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Al momento della decisione di espellere o meno i moriscos, comun-que, tutti gli esperti erano consapevoli dei rischi che l’economia spagnola avrebbe potuto correre. In un memoriale, Cristóbal Pérez de Herrera af-fermava che la mano d’opera a basso costo offerta dai moriscos aveva ormai sostituito completamente quella dei cristiani: l’espulsione aveva restituito d’emblée ai cristianos viejos il lavoro che avevano ceduto secoli prima36.

Filippo IV, succeduto al padre nel 1621, cambiò completamente il qua-dro dirigente dello Stato: i governatori di Filippo III caddero in disgrazia e non rivelarono mai i danni procurati alla Spagna con l’espulsione della comunità islamica.

La storiografia dell’epoca tendeva a giustificare l’aumento della pres-sione fiscale e la tendenza involutiva dell’economia spagnola proprio con l’esilio generale del 1609. Lo stesso padre Juan de Solana nel suo Discurso en siete tratados – che trattava dei mali della Spagna a distanza di qualche decennio dall’evento – sosteneva che fra le cause dello spopolamento e della povertà del Paese vi fosse l’esilio dei moriscos37.

È evidente che la tragedia dei cristianos nuevos sia divenuta un cliché per motivare gran parte delle disgrazie della Spagna: la storiografia odierna ha evidenziato come il danno economico dell’esilio sia certamente ricadu-to sulle regioni che ospitavano la maggior parte della comunità moresca e non sulle regioni aliene al fenomeno. Ma è evidente che l’espulsione co-atta ed improvvisa di una gran parte della popolazione produttiva, dedita ad attività professionali e commerciali, si sia inserita in un quadro di più generale decadenza economica della Penisola iberica.

In Murcia le ripercussioni furono molto pesanti, tanto nella capitale quanto nelle zone rurali: all’indomani della cacciata dei moriscos si ridusse drasticamente la produzione agricola, quella della seta ed il commercio marittimo.

La regione che patì maggiormente le conseguenze dell’espulsione fu tuttavia il Regno di Granada: qui la densità della popolazione moresca era altissima e i moriscos detenevano quasi il monopolio del settore agri-

36. M. Cavaillac, Noblesse et ambiguïtés au temps de Cervantès: le cas du docteur Cristobal Pérez de Herrera (1556?-1620), «Mélanges de la Casa de Velázquez», 11 (1975), pp. 565-575.

37. Joannes de Solana ( Juan de Solana), frate castigliano vissuto nel XVII secolo. Il suo Dis-curso sobre los reinos de España è conservato a Madrid, Biblioteca Nacional, ms. 2471, folio n. 149.

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colo e dell’industria della seta. I danni appaiono più evidenti se si ana-lizzano le divisioni territoriali: maggiori nella zona di Almería, minori in quella di Malaga, pesanti nelle parrocchie che basavano la propria rendita sulla decima.

Secondo i dati raccolti ed interpretati da Bernard Vincent per l’Anda-lusia, nonostante l’arrivo nelle terre abbandonate di intere famiglie estre-megne, murciane e manceghe, la popolazione complessiva si ridusse da 275.000 abitanti nel 1561 a 215.000 nel 1591: interi villaggi e frazioni re-starono completamente spopolati, soprattutto nella zona di Alpujarra. Gli stessi sacerdoti vivevano in condizioni misere: i francescani di Almería scrissero alla Junta de Población nel 1584 che la miseria era così diffusa da aver visto morire di fame due suore38.

La guerra e la guerriglia portarono alla distruzione di case, mulini, forni, attività, servizi pubblici e chiese: alla fine di questa triste vicenda il Regno era nel caos più totale. Le ripercussioni demografiche ed eco-nomiche dell’espulsione generale del 1609-1614, al di là delle differenze regionali, furono notevoli specialmente nella crisi del lavoro servile e nel-la diminuzione dei salari. Alcune professioni svolte tradizionalmente dai moriscos subirono una decadenza cronica, con gravi ripercussioni genera-li: è il caso già citato della sericoltura in Murcia e di altre attività agricole e artigianali.

Allo stato attuale manca ancora uno studio dettagliato sugli effetti dell’espulsione nel Regno di Aragona, dove la densità di moriscos aumen-

38. Cfr. i dati dell’Archivo General de Simancas, Patronato Eclesiástico, legajo 136. Anche se mancano dati specifici per il 1580, la rendita dell’arcivescovato di Siviglia, basata essenzialmente sulla produzione agricola, conferma la carestia e la crisi generale. Cfr. Archivo Histórico Nacional de Madrid, Inquisición, legajo 2947, Carta al Consejo de la Inquisición recibida en Madrid el 18.7.1580: «La esterilidad de este año es tan grande en esta ciudad y su tierra que habrá necesidad de prevenir en tiempo de trigo para alimento de los presos, que hecho el auto quedarán en las cárceles de este Santo Oficio que, como V. Señoría lo mandará ver por sus relaciones de causas serán muchos, specialmente que están de presente testificados y mandados traer otros diez o doce moriscos, que desde Cádiz se quisieron pasar a Berbería y se entiende que de cierta sospecha de rebelión de los moriscos que residen en esta ciudad y su tierra, en que va la justicia de ella haciendo averiguacio-nes, ha de resultar que se han de remitir a este Santo Oficio muchos que parecen culpados de haber hecho y dicho y escrito cosas contra nuestra santa fe». Nel 1583 le terribili carestie in Castiglia obbligarono il Governo a chiedere cereali all’estero. Furono inviati ambasciatori a Vienna e nei Paesi Bassi per ricevere aiuti dalle città anseatiche; si veda C. Gómez-Centurión Jiménez, Felipe II, la empresa de Inglaterra y el comercio septentrional (1566-1609), Naval, Madrid 1988, p. 225.

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tava nelle zone limitrofe all’Ebro e ai suoi affluenti39. In Aragona inizia-rono a mancare le professionalità moresche esperte nel dissodamento e nell’irrigazione dei terreni incolti, con conseguente diminuzione della produzione agricola, abbandono di aree coltivate e perdita finanziaria dei señoríos. Inoltre, la ripopolazione delle aree disabitate era sottoposta ad ostacoli giuridici che causarono conflitti e procedimenti legali talvolta particolarmente intricati.

José María Lacarra in Aragón en el pasado40 mette in evidenza come l’espulsione dei moriscos abbia acutizzato in Aragona un processo di deca-denza iniziato già nel secolo precedente. Il provvedimento di espulsione colpì trasversalmente l’economia di tutte le classi sociali, cui bisogna ag-giungere l’effetto complessivo prodotto dagli scambi finanziari e commer-ciali tra l’Aragona e le altre regioni spagnole. In sostanza, quindi, i gruppi dirigenti (señores) si resero conto che l’espulsione della minoranza fu un azzardo, non essendo in grado di mantenere con i coloni le stesse pretese accettate dai moriscos. Il popolo, inizialmente non convinto delle ragioni dell’esilio, iniziò a godere dei vantaggi derivati dall’assenza di competitori a buon mercato, mentre gli artigiani ed i professionisti che avevano contratto debiti con i moriscos si ritennero sciolti dalla corresponsione dei debiti41.

Lo stesso problema dell’Aragona si presentava, in modo ancora più grave, nel Regno di Valencia, dove i moriscos costituivano un terzo della popolazione. Juan de Ribera, in una lettera indirizzata a Filippo III nel 1608, metteva al corrente il sovrano delle gravi conseguenze che l’econo-mia valenciana avrebbe patito con l’espulsione degli islamici. Anche qui, come in Aragona, l’Inquisizione riuscì a farsi risarcire parte dei danni subiti e ad ottenere dei sussidi da Filippo III. Ciononostante molte confraternite chiesero con insistenza sussidi a Roma, in mancanza di aiuti dallo Stato.

L’espulsione del 1609 strinse Valencia in una crisi generale che si pro-trasse nei decenni successivi ed esasperò le differenze di classe: ne uscirono

39. Per La Rioja e la zona di Gandia si veda E. Ciscar PallarÉs, Economía y fiscalidad en los señoríos ‘pobres’ de la Casa de Gandía en la época de la expulsión de los moriscos, «Anales de la Universi-dad de Alicante», 24 (2006), pp. 123-152.

40. J.M. Lacarra, Aragón en el pasado, Espasa-Calpe, Madrid 1972.41. In realtà i debiti con i moriscos non furono cancellati: in un primo momento la Corona li

reclamò come propri, in séguito vennero richiesti come indennizzo anche dai señores. Ivi, p. 215.

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iii. Le espulsioni del xvii secolo 75

indenni i señores (che in alcuni casi si arricchirono con l’indebitamento dei coloni) e alcuni nuclei rurali; ne pagarono le conseguenze i piccoli e medi latifondisti, i cavalieri, gli ecclesiastici. Il Regno poteva ancora sostenersi con la produzione agricola, ricevendo in cambio l’argento dalla Castiglia, ma anche se le esportazioni di vino e di seta continuavano a tenere vivi i commerci interni, le guerre, le pestilenze e l’assenza di professionalità se-gnarono la crisi del País Valenciano almeno fino al 1660. Anche la Chiesa per-dette numerose entrate, soprattutto nelle zone a netta maggioranza more-sca. Il porto di Valencia, che soffriva una contrazione economica risalente già al secolo precedente, conobbe un netto peggioramento della situazione a causa dell’espulsione dei gruppi commerciali e finanziari più attivi.

Nel 1611 i señores godevano di un potere quasi assoluto: erano proprie-tari di tutti i luoghi di pubblico interesse (forni, vigne, mulini), potevano usufruire e impossessarsi dei beni mobili dei moriscos esiliati e avevano il controllo diretto ed indiretto delle raccolte di grano e delle olive. L’oppo-sizione popolare al controllo della attività economica da parte dei señores trovò sfogo nel brigantaggio e in una nuova ondata di Germanías. Alcuni señores riuscirono comunque ad ottenere un risarcimento dalle Cortes per le perdite economiche legate all’espulsione.

In sintesi le conseguenze economiche dell’espulsione dei moriscos si possono oggi ritenere molto più gravi di quelle previste all’epoca, dato che generarono un effetto finanziario a catena talmente travolgente da pregiudicare l’intero apparato economico del Paese negli anni a venire.

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Capitolo IV

I moriscos nel Mediterraneo

4.1. Quanto è stata concreta l’espulsione?

In tempi recenti la storiografia si è concentrata prevalentemente sull’ef-ficacia dell’espulsione dei moriscos e sulla conclusione del processo nel 1614. Le questioni sono sicuramente ardue e rese ancora più complesse dalla presenza di fattori religiosi, socio-economici, politici e culturali, oltre che da fonti non sempre concordanti.

Alcuni documenti attestano, ad es., che in Castiglia venne concesso il certificato di buona cristianità ad un numero considerevole di islamici, cosa che deve aver permesso a diverse famiglie moresche di evitare l’esi-lio coatto. Altre fonti attestano che a Valencia ed in Aragona numerosi moriscos decisero di restare come schiavi al servizio dei señores, mentre in Catalogna il rientro di coloro che godevano della protezione del vescovo di Tortosa avvenne nonostante la pubblicazione dei decreti di espulsione. Sembra, inoltre, che nella Valle del Ricote la popolazione moresca rimasta in clandestinità sia stata numerosa, anche grazie ai matrimoni contratti con cristianos viejos1.

In ogni caso, e sembrerà paradossale, la maggioranza dei moriscos che rimase sul suolo spagnolo era proprio granadina ed in particolare alme-riense: i moriscos andalusi, al termine della Guerra di Granada2, si riappa-cificarono con la popolazione cristiana vieja e intrapresero rapporti eco-

1. Cfr. A.I. Planet, F. Ramos (a cura di), Relaciones Hispano-Marroquíes: Una Vecindad en Construcción, Guadarrama. Ediciones del Oriente y del Mediterráneo, Madrid 2006, pp. 63-100.

2. La Guerra di Granada, iniziata nell’anno 1569 e durata alcuni mesi, scoppiò in Andalusia a seguito della ribellione delle Alpujarras.

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nomici assolutamente pacifici. Molti islamici furono nascosti dai cristianos viejos, altri restarono come schiavi e altri riuscirono addirittura a riappro-priarsi delle terre dopo diverse generazioni. A questi vanno poi aggiunti i morisquillos, affidati ai cristiani nel periodo dell’espulsione.

La politica di Bernardino de Velasco, conte di Salazar e conestabile di Castiglia, è stata ondivaga come l’atteggiamento del Governo: nel novem-bre 1612 egli rimise alle decisioni del Consiglio di Castiglia il ricorso dei moriscos che chiedevano di restare in Spagna, facilitando di fatto la loro permanenza. Nel 1613, alla luce del rientro di un gran numero di moriscos, la Filippo III commissionò a Salazar una nuova revisione dei procedimenti pendenti e delle licenze di permanenza per anzianità, conversione o altre ragioni.

Gli abusi, però, non cessarono: il conte di Salazar ed il viceré Francisco Hurbado de Mendoza y Fayardo, marchese di Almazán, cercarono più volte di espellere con la forza i moriscos dalla comarca di Tortosa per im-possessarsi dei loro beni3.

In conclusione si può sostenere che l’esperienza dell’Islam spagnolo sia terminata effettivamente fra il 1609 e il 1614 e che i superstiti all’espulsio-ne costituirono un piccolo gruppo di tenaci senza più riferimenti, né inci-denza concreta. Stando così le cose, la nuova classe dirigente di Filippo IV considerò i moriscos completamente ininfluenti. In effetti Filippo IV, pur cosciente della dissimulazione di alcuni musulmani, dichiarò di non voler pubblicare altri decreti o norme espulsive data l’esiguità della minoranza e nel 1625 restituì alcuni privilegi ai moriscos residenti nei cinque villaggi del Campo de Calatrava.

L’ultimo episodio di conflitto con gli islamici, riportato da Henry Char-les Lea, fu la scoperta di una moschea clandestina frequentata da schiavi moreschi a Cartagena nel 1769, come testimonia un documento dell’In-quisizione dell’epoca4.

3. Il conte di Salazar e il marchese di Almazán furono denunciati al re dal Consiglio di Aragona, anche se Filippo III non si preoccupò affatto di intervenire in favore della minoranza moresca. Cfr. A. Domínguez Ortiz - B. Vincent, Historia de los moriscos, cit., pp. 254-255.

4. H.C. Lea, The moriscos of Spain: Their conversion and expulsion, Greenwood Press, New York 1968.

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iv. I moriscos nel Mediterraneo 79

4.2. I moriscos dopo gli editti di espulsione: le migrazioni in America, Europa e Maghreb

Il numero dei moriscos emigrati nelle Americhe è stato ingente, seb-bene su di loro pendesse il divieto – valido anche per gli ebrei ortodos-si e quelli convertitisi al cristianesimo – di emigrare nel Nuovo Mondo in base all’ordine emanato il 15 settembre 1522 e confermato dalla Real Cédula5 del 1543.

Come accadeva per tutte le minoranze, la fuga trovava origine da un clima insostenibile in terra spagnola, dall’ansia di libertà, dal desiderio di dimenticare le proprie origini, ma anche da ragioni economiche.

Non pochi, inoltre, erano i moriscos che preferivano restare nelle terre cristiane, anche se gli ostacoli legali risultavano quasi insormontabili; altri addirittura tentavano di tornare in Spagna, nella propria terra d’origine.

Inizialmente i moriscos furono accolti con favore in Francia6, anche se la

5. Manuel Toussaint ha riportato integralmente il testo della Real Cédula del 1543 (durante il regno di Carlo V) che vietava ai moriscos di emigrare in America: «Don Carlos, por la divina cle-mencia Emperador [...] a vos, los nuestros presidentes e oidores de las nuestras Abdiencias e Chan-cillerías Reales de las nuestras Indias, islas e tierra firme del Mar Oçéano, e a cualquier nuestros gobernadores e otras justicias de las islas e provincias de las dichas nuestras Yndias e a cada uno e qualquier de vos a quien esta nuestra carta fuere mostrada [...]: Sepades que Nos somos informa-dos que a esas partes an pasado, y de cada día pasan, algunos esclavos y esclavas beberiscos e otras personas libres nuevamente convertidos de moros, e hijos dellos, estando por Nos prohibido que en ninguna manera pasen, por los muchos inconvenientes que por esperiencia an parecido que de los que an pasado se an seguido, y porque se escusen los daños que podrían hazer los que ovieren pasado y de aquí adelante pasaren, porque en vna tierra nueva como esa, donde nuevamente plán-tase la fee, conviene que se quite toda ocasión para que no se pueda sembrar e publicar en ella la seta de Mahoma, ni otra alguna en ofensa de Dios Nuestro Señor [...] visto y platicado en el nuestro Consejo de las Indias, fue acordado que debíamos mandar que todos los esclavos y esclavas berbe-riscos y personas nuevamente convertidas de moros o sus hijos, como dicho es, que en esas partes oviere, sean echados de la isla o provincia donde estovieren» (citato in M. Toussaint, Arte mudéjar en América, Porrúa, Ciudad de México 1946, p. 10).

6. Numerosi erano i giudei-conversi e i moriscos che si erano insediati in Francia già alla fine del XVI secolo. In particolare è nota la vicenda di Alonso de López, giudeo-converso che aveva grande influenza sulla comunità moresca e le autorità francesi. Si veda H. Baraude, López agent financier et confident de Richelieu, Editions de la Revue mondiale, Paris 1933; J.M. Pelorson, Le docteur Carlos García et la colonie hispano-portugaise de Paris (1613-1619), «Bulletin Hispanique», 71 (1969), pp. 518-576; J. Caro Baroja, «El último Abencerraje», Vidas poco paralelas (con perdón de Plutar-co), Turner, Madrid 1981, pp. 51-68; F. Hildesheimer, Une créature de Richelieu: Alphonse Lopez, ‘le Seigneur Hebreo’, in B. Blumenkranz, G. Dahan (a cura di), Les juifs au regard de l’histoire. Mélanges

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morte di Enrico IV nel maggio del 1610 – nel pieno delle espulsioni – creò alcuni disagi per i musulmani intenzionati ad oltrepassare i Pirenei.

Enrico IV, che non aveva mai nascosto il proprio disappunto per la deci-sione di Filippo III, accolse favorevolmente i moriscos che avevano giurato fede cattolica. Quando si rese conto di quanti fossero effettivamente gli esuli e in quali condizioni stessero per entrare in Francia – nullatenenti e spesso malati – iniziò a recedere, appoggiato da autorità locali poco inclini ad accogliere i cristianos nuevos.

Il 25 aprile il Borbone ordinò alle città del sud della Francia di accom-pagnare tutti i senza fissa dimora alle città portuali più vicine per farli imbarcare; chi avesse opposto resistenza sarebbe stato costretto a salire sulle galere.

Tenendo presenti le disposizioni giuridiche e l’ostilità manifestata dalla popolazione, era impossibile che nel sud della Francia si potesse formare un gruppo moresco di entità tale da incidere sulla società. La maggioranza dei Mori, comunque, si stanziò nella Linguadoca, ove ancora oggi è possi-bile individuare toponimi riconducibili all’arabo o alla lingua aljamiada. La loro situazione religiosa, chiave di tutti i problemi, risultava ancora abba-stanza ambigua: ufficialmente erano cristiani, sebbene ritenuti non sinceri nell’adesione al cristianesimo7. La scelta dell’esilio in Francia, comunque, lascia pensare che almeno alcuni moriscos avessero veramente aderito alla fede cristiana. D’altro canto gli esuli spagnoli trovarono il sostegno sia dei calvinisti, che li vedevano come degli alleati contro i cattolici, sia dei cattolici, che miravano a farne dei perfetti credenti. I moriscos, abituati da secoli alla dissimulazione e privi di mezzi di sostentamento, accettavano la protezione di chiunque offrisse loro aiuto. Nel sinodo protestante del

Bernard Blumenkranz, Picard, Paris 1985, pp. 293-299; R. Sauzet, Alonso Lopez, procureur des Morisques aragonais et agent de Richelieu (1582-1649), in A. Temimi (a cura di), Chrétiens et Musulmans à l’époque de la Renaissance. Actes du IIème Congrès International, Temimi Foundation for Scientific Research & Information, Zaghouan 1997, pp. 213-219; P. Santoni, Le passage des morisques en Provence (1610-1613), «Provence Historique», 185 (1996), pp. 333-383; M. de Epalza, Moriscos y andalusíes en Túnez durante el siglo XVII, «Al-Andalus», 2 (1969), pp. 247-328 e L. Cardaillac, Procès pour abus contre les morisques en Languedoc, in M. De Epalza, R. Petit, «Recueil d’études sur les Moriscos Andalous en Tunisie», Dirección General de Relaciones Culturales - Société Tunisienne de Diffusion, Madrid-Tunisi 1973.

7. Ivi, pp. 103-113. Si veda anche L. Cardaillac, Passage des Morisques en Languedoc, Tesis, Mon-tpellier 1970; Id., Morisques en Provence, «Revue des Langues Romanes», LXXIX (1971), pp. 297-315.

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1617, svoltosi a Vitré8, alcuni protestanti sollevarono la questione sulla vera intenzione dei moriscos: in realtà, sempre dai documenti dello stesso sinodo, emerge che numerosi Mori fossero emigrati nuovamente verso le terre dell’Islam. Si stima che dei circa 30.000 moriscos emigrati in Francia, solo poche migliaia rimasero sul suolo francese, praticando il commercio, l’arte medica e la coltivazione della terra.

Altro rifugio per i moriscos che accettavano (o fingevano) di vivere come cristiani era l’Italia, anche se la penisola rappresentava per lo più una terra di transito verso la Tunisia, l’Algeria e la Turchia9. Gli Asburgo avevano proibito ai moriscos di risiedere nei loro possedimenti italiani, ma alcune signorie (come il Granducato di Toscana, che già ospitava un fitto gruppo di ebrei spagnoli) si resero disponibili ad accogliere i moriscos che fossero disposti a fare da braccianti agricoli. Altri, infine, si rifugiarono a Venezia, nodo cruciale del viaggio verso Istanbul.

La traversata verso la Turchia era un viaggio lungo ed economicamen-te molto dispendioso quindi non accessibile a tutti gli esuli. Inoltre, dopo la battaglia di Lepanto (1571) sia i Turchi che gli Spagnoli trascurarono le rotte marittime del ‘nemico’ perché occupati su altri fronti: l’Impero ottomano impegnava le proprie risorse contro la Persia, mentre la Spagna contrastava l’Inghilterra per il predominio delle rotte atlantiche. Questo provocò una perdita del peso politico e commerciale dei Berberi dell’Alge-ria e della Tunisia. In queste regioni il Bey, eletto direttamente dalle classi

8. Victor Bujeaud ha trascritto il verbale dell’assemblea dei ministri di culto protestanti convocata a Vitré nel 1617: «The moors came, expelled from Spain. A certain number of families have settled on the coasts of Saintonge, and in the Maritime cities of the western Provinces». L’Articolo II del sinodo «advise the churches to take guard of the Moors of Spain, not to receive them too lightly and one will give them no certificate until after a thorough examination of their life and belief and those which have been already received and remain in the Church will also be carefully examined and when the testimonies are given, one will make mention of their baptism and the number of their children also specifying at what age they were baptized». L’Articolo III affermava che «The deputies of the province of Saintonge have asked if these Moors and other infidels expelled from their countries, and placed in Christianity and baptized by the clergy with-out having received a single instruction on the dogma and fundamental points of the Christian religion, should be rebaptized» (in V. Bujeaud, Chronique Protestante de l’Angoumois XVI, XVII, XVIII siècles, Edition de la Tour de Gile, Péronas 1998, p. 83).

9. Si veda M.L. Plaisant, Note sull’esodo dei Moriscos dai possedimenti spagnoli, «Annali della facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero di Cagliari», XXXIII (1970).

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dirigenti locali, diventò una mera figura decorativa, soppiantata dal Sulta-no e dai vizir ottomani. L’esilio in Africa, soprattutto dei granadini, diede tuttavia nuova vitalità alla pirateria.

La meta preferita dai moriscos per l’esilio restava comunque il Magh-reb: regione prossima alla Penisola iberica, dal territorio abbastanza simi-le ed etnicamente affine, con una lunga tradizione di accoglienza verso gli islamici granadini. Il numero di cristianos nuevos che dalla caduta di Granada scelsero di emigrare in quelle zone spiegherebbe la diffusione del castigliano, usato perfino a livello diplomatico alla corte del Bey. In realtà solo il Marocco poteva offrire una condizione sociale accettabile, dato che il resto del Maghreb era ancora avvolto da una impalcatura sta-tale e sociale rudimentale.

Le coste del Maghreb erano delle vere e proprie ‘terre di nessuno’ e le condizioni di vita in quelle regioni erano difficili: così i moriscos più ricchi decisero di restare nelle terre cristiane, mentre i piccoli agricoltori e gli ar-tigiani, spinti dal desiderio di libertà e dalla necessità di ritrovare le proprie radici, decisero di stabilirvisi10. Seppure in un contesto di relativa omogenei-tà culturale e religiosa, i moriscos apparivano agli islamici posti al di là dello stretto di Gibilterra come i ‘Cristiani di Castiglia’: parlavano castigliano, vestivano alla spagnola, portavano nomi per metà arabi e per metà latini.

A Rabat-Salé i moriscos formarono una sorta di repubblica indipenden-te di corsari: essa poté godere per lungo tempo di un certo benessere, ma fallì per dissidi interni11. Intorno al 1630, quando presero inizio le prime discordie, i repubblicani di Rabat-Salé scrissero a Filippo IV per chiedergli

10. Si veda N. As-Sa’ídUni, Al-yâliya Al-Andalusiyya bi-1-Yazâ’ir. Musâhamatuhâ al-’urmâniyya wa-nasâtu-hâ al-iqtisâdi wa-wad’u-hâ al-iytimâ’î (La colonia andalusì en Argelia: su importancia demográ-fica, actividad económica, situación social), «Awrâq», 4 (1981), pp. 111-124, 234. Uno scrittore algerino contemporaneo alla grande espulsione, Al-Maqqari de Tremecén, alla fine della sua monumentale Historia de los musulmanes de Al-Ándalus, descrisse l’insediamento dei moriscos con queste parole: «Sa-lieron millares para Fez [Marruecos] y otros millares para Tremecén [Argelia], a partir de Oran, y masas de ellos para Túnez [Tunisia]. En sus itinerarios terrestres, se apoderaron de ellos beduinos y gente que no teme a Dios, en tierras de Tremecén y Fez; les quitaron sus riquezas y pocos se vieron libres de estos males; en cambio los que fueron hacia Túnez y sus alrededores, llegaron casi todos sano. […] Un grupo llegó a Estambul, a Egipto y ala Gran Siria, así como a otras regiones musulma-nas. Actualmente así están los andalusíes» (in M. de Epalza, Los moriscos antes y después, cit., p. 148).

11. Si veda M. Razuq, Al-Andalusyyûn wa-hiyâtu-hum ilà Al-Magrib jilâl al-qarnayn 16-17, Ca-sablanca 1989.

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di poter rientrare godendo delle esenzioni fiscali già accordate in passato, anche a costo di pagare un indennizzo ai nuovi coloni. Tra le altre richieste sottoscritte al re, i moriscos chiedevano la presenza concordata di sacerdoti addetti alla catechesi, il beneplacito dell’Inquisizione ad accogliere i nati nel Maghreb e la restituzione dei figli rimasti in Spagna. In cambio la co-munità avrebbe donato alla Corona la flotta navale, sessantotto cannoni e una compagnia di cento uomini.

I valenciani che preferirono le coste algerine non trovarono una felice accoglienza, mentre quelli giunti in Tunisia ebbero una sorte migliore12. I nuovi arrivati furono divisi in tre gruppi: l’élite, composta dai ricchi e dai membri delle corporazioni urbane, si insediò in una zona di Tunisi già precedentemente occupata da musulmani spagnoli e chiamata calle de los andaluces; i piccoli possidenti e gli artigiani si stabilirono fuori dai centri urbani; i contadini, che rappresentavano il gruppo più numeroso, si stan-ziarono nelle aree agricole abbandonate o nelle antiche cittadelle romane, a guardia delle incursioni dei nomadi del deserto13.

Pur essendo rispettati ed integrati nella nuova società i moriscos man-tennero comunque la propria individualità, sia nella lingua sia nelle abitu-dini di vita, dando origine a delle contaminazioni culturali molto originali. Sebbene le fonti attestino, alla metà del XVII secolo, la presenza di perso-ne in grado di scrivere in caratteri latini o in lingua aljamiada, intorno alla metà del secolo XVIII i moriscos erano ormai completamente assimilati alla cultura araba originale.

In ogni caso non pochi furono i moriscos catturati come schiavi nel Ma-ghreb e rivenduti: gli autoctoni vedevano con diffidenza questi musulma-ni che avevano rinnegato la propria fede e provavano un forte senso di risentimento nei loro confronti.

12. Cfr. N. As-Sa’idUni, Al-yâliya Al-Andalusiyya bi-1-Yazâ’ir, cit., p. 234; M. de Epalza, R. Petit, Recueil d’études sur les Morisques Andalous en Tunisie, ediciones del Ministerio de Asuntos Exteriores, Madrid 1973 e S.M. Zbiss, A.H. Gafsi, M. Boughanmi, M. de Epalza, Etudes sur les Morisques Andalous, El-Asria, Tunisi 1983. Per la bibliografia sulla presenza dei moriscos nell’Africa settentrionale si veda M. de Epalza, Nuevos documentos sobre descendientes de moriscos en Túnez en el siglo XVIII, in Aa.Vv, Studia Historica et Philologica in honorem M. Batllori, Instituto Español de Cultura, Roma 1984, pp. 195-228.

13. Cfr. M. De Epalza e R. Petit, Études sur les moriscos, cit. e M. De Epalza, Sidi Bulgayz, protector de los moriscos exiliados en Túnez (s. XVII). Nuevos documentos traducidos y estudiados, «Sharq Al-Andalus», 16-17 (1999-2002), pp. 141-172.

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I percorsi seguiti dai moriscos per mettersi in salvo ci sono noti grazie ad un itinerario del secolo XVI contenuto in un manoscritto in lingua alja-miada conservato presso la Bibliothéque Nationale François Mitterrand di Parigi, scoperto da Silvestre de Sacy nel secolo XIX: tale testo risulta essere un vero e proprio manuale del viaggiatore, con indicazioni geografiche, ma anche altre informazioni utili14.

In generale, comunque, si può affermare che i moriscos portarono gran-di vantaggi economici e tecnici ai paesi che offrirono loro accoglienza. Il discorso cambia in merito all’integrazione: i moriscos non riuscirono ad assimilarsi neppure nelle terre di tradizione islamica, dato che manteneva-no una specifica identità e una cultura ibrida15. Pur essendo legati alle loro origini restavano inassimilabili, covando un recondito e perenne desiderio di tornare nella madrepatria e continuando a sentirsi i ‘Mori di Spagna’.

Figura 6. Le principali direzioni di fuga dei moriscos a seguito dell’espulsione generale del 1609.

14. Si veda J.N. Lincoln, An itinerary for Moriscos Refugees from Sixteenth Century Spain, «Geo-graphical Review», 3 (1939), pp. 483-487 ed anche in «Estudios Geográficos», VII (1949), pp. 139-141.

15. Cfr. il contributo di G. Wiegers, European converts to Islam in the Maghrib and the polemical writings of the Moriscos in M. García-Arenal (a cura di), Conversions islamiques/Islamic Conversions (Identités religieuses en Islam méditerranéen/Religious Identities in Mediterranean Islam), Maisonneuve et Larose, Paris 2001, pp. 207-223.

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Figura 7. I moriscos e la creazione del Regno di Rabat-Salè.

4.3. La storiografia sulla questione moresca

La storiografia dei secoli successivi all’esilio, specie quella dei secoli XVII e XVIII, si è poco interessata della tragedia dei moriscos e non sempre eccelle in obiettività, tendendo spesso ad occultare le conseguenze dell’espulsio-ne, a volte volontariamente, altre per mancanza di strumenti in grado di favorire una valutazione complessiva degli eventi. La storiografia dell’Illu-minismo ha considerato l’espulsione come una delle tragedie nel percorso progressivo della storia, mentre quella dell’Ottocento ha spesso esagerato sul numero delle vittime come pure nella valutazione dei danni procurati alla Spagna. La storiografia contemporanea, invece, sembra aver ritrovato una certa obiettività grazie ad uno studio più attento delle fonti.

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Manuel Danvila y Collado, durante un ciclo di conferenze tenutosi nel febbraio 1889, espose alcune interessanti valutazioni sulla questione mo-resca. Dietro il Patto di Cervera del 7 gennaio 1469, che sanciva l’unificazio-ne della Castiglia e dell’Aragona si nascondeva – secondo lo storico – una guerra di sterminio contro la razza mora. Si decise di eliminare fisicamen-te una razza, come la chiamava Danvila, che aveva condiviso con la comu-nità cristiana fino ad allora la storia del paese16. Questo era il momento in cui il clero, la nobiltà e la Corona iniziarono a legarsi indissolubilmente negli interessi e negli atti.

Manuel Danvila non negava gli abusi praticati dal Santo Uffizio, ma tendeva a sminuirne la portata ed a giustificarli con l’azione di alcuni in-transigenti e fanatici inquisitori, aggiungendo che il Consiglio Supremo dell’Inquisizione fungeva proprio da garanzia contro gli abusi. Il lessico usato da Danvila lascia trapelare una metodologia più soggettiva che og-gettiva: l’intervento più volte citato della Provvidenza nella storia, l’uso del vocabolo razza riferito alle comunità moresca e a quella giudaica; i decreti provvidenziali emanati da una Corona illuminata, lo sterminio della setta ma-omettana ecc.

Danvila sottolineava che, nel rispetto delle leggi emanate sugli ebrei e sugli islamici, questi ultimi potevano comunque considerarsi liberi, anche se all’interno di ghetti; inoltre affermava che a Granada erano proprio i cristiani ad avere vita difficile sotto il controllo giuridico degli alfaquí:

[…] Y por fin no podían hacer cosa alguna los cristianos mientras los moros lo podían hacer todo. Esta fue la capitulación de Granada; decidme ahora si una concordia de este género podía existir; decidme si desde el momento en que se vió defraudada la esperanza de los Reyes Católicos y aquella raza no se convirtió la religión cristiana ni se fundió con la raza vencedora, era posible dejarla con las libertades que le concedían; decidme si no habían de nacer lu-chas de intereses entre los cristianos que se veían perjudicados relativamente a los derechos que a los moros se concedían. Había, por consiguiente, dentro

16. Cit. in M. Danvila Y Collaldo, La expulsión de los moriscos españoles, Fernando Fe, Madrid 1889, pp. 140-146. Si veda altresì Id., Desarme de los moriscos en 1563, «Biblioteca de la Real Academia de Historia», X (1887) ed Id., Ajuar de una morisca de Teruel en 1563, «Biblioteca de la Real Academia de Historia», VI (1885).

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de esta capitulación un origen de desorden, una causa originaria de perturba-ción; era imposible que todas estas condiciones se cumplieran, y por eso no se cumplieron17.

In sintesi, Danvila riteneva che gli scontri tra le due comunità non fu-rono causati dalla divisione dei territori, ma dalla mancata volontà dei moriscos di sottomettersi ai dominatori e alla religione cattolica: ciò giusti-ficava le leggi razziali e la definitiva espulsione dei Mori.

Come per la guerra di Alpujarra, Danvila dipingeva le battaglie orga-nizzate e condotte dai cristiani come spedizioni punitive per contrastare la ribellione nei villaggi islamici, mai come minaccia di sottomissione, come, invece, ha evidenziato la storiografia moderna: «[…] la razza mora cacciò i nostri avi e i nostri prossimi; ed è giusto, ora che possiamo, che noi cac-ciamo loro; è necessario prevenire per non castigare dopo; la conversione di questi Mori non è sincera e rende necessaria l’espulsione». Aggiungeva, però, nei passaggi successivi:

[…] Non sono lontano dal credere, come sostengono anche altri scrittori, che la tolleranza dell’arabo con il cristiano fu maggiore di quella che il cristiano usò con l’arabo, poiché dai mozárabes dei primi tempi, quel contesto, quella tran-quillità e soprattutto la durata della Riconquista non si spiega se non per questa ragione; se il cristiano si fosse visto vessato, disprezzato e perseguitato, se avesse vissuto l’umiliazione, dove mai si incontra la pace, non sarebbe stato possibile nello spazio di almeno sette secoli, se non più, salvaguardare la razza mora.

[…] Però alla fine del XV secolo si realizza, e questo spiega anche l’origi-ne dell’intolleranza religiosa di cui tanto si è parlato in Spagna, che i Turchi cominciarono non solo a maltrattare, ma addirittura a perseguitare i cristiani; e già agli albori del secolo XVI, come vedremo nella conferenza successiva, a questo cattivo trattamento che i cristiani ricevettero si unì anche la propagan-da protestante che apparve prontamente sul nostro suolo.

17. Trad.: «[…] E, alla fine, i cristiani non potevano fare nulla, mentre i Mori potevano tutto. Questa fu la capitolazione di Granada; ditemi, ora, se una convivenza di questo genere potesse sussistere; ditemi se dal momento in cui i re cattolici si videro defraudati della speranza, nella non volontà [ndt] della razza mora di convertirsi alla religione cristiana né di assimilarsi alla razza vincitrice, ditemi [ndt] come si poteva concederle la libertà di cui avevano goduto fino a quel momento. Ditemi se non sarebbero sorti conflitti di interesse fra cristiani, che si vedevano danneggiati dai diritti concessi ai Mori. C’era, dunque, in questa capitolazione una causa origi-nale di disturbo; era impossibile che tutte queste condizioni potessero compiersi e infatti non si compirono» (ivi, pp. 81-82).

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[…] La tendenza generale d’Europa di sostituire al sistema feudale un si-stema di unità, contribuirono ad esagerare la centralizzazione del carattere del potere reale, il dispotismo, tutto ciò che vorrete, però era necessario sostituire il principio dell’unità al principio di frazionamento, che era la via della società e del mondo feudale.

[…] C’era, poi, un sentimento religioso, che era l’essenza della Riconqui-sta; questo sentimento religioso era stato esagerato, era giunto fino all’esigere la morte dell’apostata; l’Inquisizione aveva favorito questa tendenza e il fa-natismo religioso era stato creato come conseguenza di tutti questi fatti. […] L’intolleranza si sovrappose alla ragione; per questo si ruppero quelle capitola-zioni di Granada, pagine memorabili di generosità, ma generosità impossibile, attraverso cui si dichiarò l’incompatibilità della razza cristiana e della razza mora. Ovviamente il regno dei re cattolici non può meritare dalle mie labbra altro che grandi elogi, poiché, sebbene tutta questa storia sia verità, conside-rate come i re cattolici ricevettero e lasciarono il potere. […] Completarono l’unità politica e religiosa, l’opera più grande, dopo otto secoli di battaglie, che neppure il più grande talento poteva immaginare; […] gli organismi nazionali furono normalizzati; la nobiltà manteneva il suo posto; il clero continuava a pregare, il terzo stato era in possesso dei suoi diritti; la giustizia applicata in modo retto, amministrata personalmente dal Monarca, esempio delle sue virtù e dei fatti.

[…] Nel suo glorioso regno, si realizzò nulla più che l’ideale di unità politi-ca e religiosa, e lasciarono dietro di sé un popolo virilmente organizzato in cui tutti gli organismi si svolgevano e si sviluppavano preparandosi per realizzare nel secolo seguente quelle prodezze militari e raggiungere quelle glorie che furono, ovviamente, causa immediata delle nostre successive disgrazie. […]. L’unità politica della Spagna e quella religiosa è la grande opera dei re cattolici […] che va ad aggiungersi alla scoperta del Nuovo Mondo18.

Gli storici spagnoli contemporanei sono tornati ad occuparsi della que-stione moresca anche grazie ad una maggiore disponibilità di documenti d’archivio19. Secondo Rodrigo de Zayas, l’atto conclusivo della deporta-

18. M. Danvila Y Collaldo, La expulsión de los moriscos, cit., p. 146.19. Tra le opere più significative sui moriscos si segnalano: H. Lapeyre, Géographie de l’Espa-

gne morisque, S.E.V.P.E.N., Paris 1959; J. Caro Baroja, Los moriscos en el Reino de Granada: ensayo de historia social, Istmo, Madrid 1976 (1ª ed. 1957); J. Reglá, Estudios sobre moriscos, Ariel, Barcelona 1974. A. Magraner Rodrigo, La expulsión de los moriscos, sus razones jurídicas y consecuencias econó-micas para la región valenciana, Instituto Valenciano de Estudios Históricos, Valencia 1975. Il più volte citato A. Domínguez Ortiz e B. Vincent, Historia de los moriscos. Vida y tragedia de una minoría, Biblioteca Revista de Occidente, Madrid 1978; B. Vincent, Minorías y marginados en la España del siglo XVI, Diputación Provincial de Granada, Granada 1987; L. Cardaillac, Moros y cristianos: un

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zione di massa della comunità moresca trova ragione fondamentale nella decadenza della Spagna, che aveva bisogno di trovare un capro espiatorio contro cui riversare il disagio sociale. L’espulsione può essere considerata come il primo esperimento di uno stato ‘epuratore’ indissolubilmente le-gato alla Chiesa e all’Inquisizione20.

Álvaro Castillo ed Henri Lapeyre21 introducono anche ragioni di tipo socio-economico, quale la rivalità produttiva fra moriscos e cristiani, soprat-tutto nel regno di Valencia. Per questo in nessuna Junta de Población è sta-to mai sollevato il problema moresco, né tanto meno è stato predisposto un piano di espulsione. I moriscos, affermano i due storici, diedero prova del loro attaccamento alla Spagna proprio nel momento dell’espulsione. Lapeyre dimostra che le perdite umane fra il 1609 e il 1610 ammontano a circa 300.000 individui, il 4% circa della popolazione spagnola dell’epoca. La percentuale è sicuramente più alta se si considera solo la popolazione attiva e si escludono gli hidalgos, i pícaros, i sacerdoti e i senza dimora.

Fernand Braudel ha visto nei moriscos non tanto una minoranza razzia-le, ma una realtà socio-culturale:

[...] La Spagna li espulse [n.d.r.] prima di tutto perché il Morisco era ri-sultato inassimilabile; lo fece non per odio di razza (che da questa lotta sem-bra quasi assente) ma per odio di civiltà, di religione. E l’esplosione dell’odio, l’espulsione, fu la confessione della sua impotenza. La prova è che il Morisco, dopo uno, due, tre secoli, a seconda dei casi, era restato il Moro di un tempo: costume, religione, lingua, case sprangate, bagni… Aveva conservato tutto.

enfrentamiento polémico (1492-1640), Fondo de Cultura Económica, Madrid 1979; M.A. De Bunes Ibarra, Los moriscos en el pensamento histórico: historiografía de un grupo marginado, Cátedra, Madrid 1983; T. HalperÍn Dongui, Un conflicto nacional: moriscos y cristianos viejos en Valencia, Institución Alfonso El Magnánimo, Valencia 1982; F. Márquez Villanueva, El problema morisco (desde otras la-deras), Libertarias/Prodhufi, Madrid 1991; M. De Epalza, Los moriscos antes y después de la expulsión, Mapfre, Madrid 1994; J. Villalmanzo, N. Blaya, M. Ardit, La expulsión de los moriscos del Reino de Va-lencia, Fundación Bancaja, Valencia 1997; G. MaraÑÓn, Expulsión y diáspora de los moriscos españoles, Taurus, Madrid 2004; J. Contreras, Judíos y moriscos: herejes, Debate, Barcelona 2005; B. Vincent, El río morisco, Universidad de Valencia, Valencia 2006; F.J. Moreno DÍaz, Los moriscos de La Mancha. Sociedad, economía y modos de vida de una minoría en la Castilla moderna, CSIC, Madrid 2009.

20. R. de Zayas, Los moriscos, cit., p. 79.21. H. Lapeyre, Géographie de l’Espagne morisque, cit. e A. Castillo, La España Morisca, «Hi-

spania», XX (1960), 60, pp. 578-585.

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Si era rifiutato alla civiltà occidentale.[…] Il Morisco era rimasto legato col cuore a un mondo immenso, che si estendeva, in Spagna lo si sapeva, fino alla lontana Persia22.

Pierre Chaunu sostiene, invece, che l’espulsione rappresenti uno dei punti più critici della storia spagnola, tale da condurre il paese alla rovina della congiuntura ispano-atlantica:

È probabile che, fra gli altri fattori, come conseguenza immediata dell’espulsione per ciò che concerne il livello di volume dei traffici sulla via delle Indie, nel ciclo 1614-1622, questi non raggiungeranno i record del ciclo 1605-1613. […] Quando si conosce la decisione, nell’ottobre 1609, è accolta con grande soddisfazione dal popolo cristiano. Nessuna voce disinteressata si eleva in favore dei moriscos. […] La popolarità immediata del provvedimento è comparabile solo al discredito in cui cade quando, più tardi, si comprende il prezzo che si è pagato23.

Antonio Domínguez Ortiz, dal canto suo, afferma:

Tutte queste opinioni (e molte altre se ne potrebbero aggiungere) pecca-no per avere una visione troppo attualizzata; parlare di economia spagnola nel XVII secolo è un’anticipazione indebita ciò che esisteva, piuttosto, era una serie di economie regionali che si muovevano con una certa indipendenza, sebbene i condizionamenti di ordine politico stabilirono fra di loro una certa relazione. […] Vi sono regioni particolarmente chiuse in se stesse, con una elevata proporzione di autoconsumo ed una scarsa circolazione monetaria. Se aggiungiamo a ciò che vi erano zone con intensa densità di popolazione moresca e altre dove la presenza di quest’ultima era ridotta, quando addirittu-ra nulla, ci renderemmo conto di quanto azzardato possa essere parlare della ripercussione dell’esodo moresco su questo termine, abbastanza astratto, che è (o era) l’economia spagnola24.

22. F. Braudel, op. cit., p. 843.23. P. Chaunu, Minorité et Conjoncture. L’expulsion des morisques en 1609, «Revue Historique»,

457 (1961), pp. 81-98. 24. A. Domínguez Ortiz - B. Vincent, Historia de los moriscos, cit., p. 203.

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iv. I moriscos nel Mediterraneo 91

4.4. L’epilogo: un gruppo inassimilabile

Ad una lettura degli avvenimenti fatta con lo sguardo della contem-poraneità, le vicende dei moriscos dimostrano quanto fosse forte il lega-me delle comunità islamiche con la terra di adozione, al di là della fede religiosa. I cristianos nuevos si sentivano parte delle Spagne: essi rappre-sentavano una cultura di ponte fra l’Oriente e l’Occidente, una fusione perfetta fra le due sponde del Mediterraneo, come raramente è accaduto in altri periodi storici. La loro adesione all’Islam non escludeva il senso di appartenenza alla comunità spagnola: piuttosto i moriscos favorivano un contesto multiculturale, pur mantenendo salda la propria identità. Il loro dramma derivava proprio dall’essere in bilico fra due culture: al di là del-lo stretto di Gibilterra i moriscos esportarono molti elementi della realtà spagnola, senza mai riuscire ad ambientarsi nei paesi ove la loro cultura aveva preso origine.

Con il tempo la comunità moresca e quella cristiana riuscirono ad in-staurare un accettabile livello di convivenza, soprattutto perché i moriscos rivendicarono con orgoglio la propria hispanidad. I gruppi di cristianos nue-vos maggiormente predisposti all’integrazione preferirono, comunque, continuare a vivere in zone, strade e quartieri omogenei, dedicandosi ad occupazioni diverse da quelle dei cristiani per mantenere la propria singo-larità e garantire un buon livello di convivenza. I moriscos accettarono la conversione al cattolicesimo manifestando la volontà di aderire alle leggi dello Stato e per la stessa ragione cercarono di tornare in Spagna anche a seguito delle espulsioni.

La ragione della dura persecuzione e dell’esilio coatto perpetrato dagli Asburgo e dall’Inquisizione risiede probabilmente nelle stesse origini poli-tiche e culturali dell’unificazione: la Reconquista, lo spirito cavalleresco ed il forte attaccamento alla fede cattolica rappresentavano per gli Asburgo un ideale in grado di unificare la società spagnola e di darle uno scopo, una missione politica. La comunità islamica rappresentava un ostacolo ideo-logico e soprattutto un problema sociale, dato che costituiva un’etnia con una cultura ed un raggio d’azione economico non sempre controllabili.

La Corona commise però un grave errore sottovalutando l’importanza della minoranza ed imponendo leggi e restrizioni prive di un reale fonda-

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mento: nessuno dei funzionari reali era a conoscenza della taqiyya, ovvero del principio coranico in base al quale i Mori potevano aderire alle leggi statali (promulgate da Filippo II e dai suoi successori) senza per questo dover rinunciare alla fede islamica. Tale mancata valutazione ha causa-to anni di lotte intestine all’interno della società e spese inutili da parte dello Stato, con la conseguenza di peggiorare ancora di più la situazione economico-finanziaria della Spagna del Seicento.

4.5. Conclusione

Come in tutti i casi di espulsioni forzate, di conversioni in massa o di tentativi di omologazione ad un unicum culturale, politico e sociale, l’emi-grazione dei moriscos costituisce uno degli esempi più evidenti del falli-mento dei tentativi di convivenza fra comunità eterogenee, e soprattutto, da un punto di vista sociologico, dell’accettazione dell’«Altro-da-Sé» all’in-terno di una comunità organizzata25. Purtroppo le vicende dei moriscos, in buona parte riscoperte e rivisitate proprio ai nostri giorni, costituiscono solo un primo esempio di successive – ed a volte più cruente – espulsioni nella storia dell’età moderna e contemporanea. Si può facilmente pensare che alcune forme di omologazione culturale dell’Altro, del Diverso, siano state superate con l’evoluzione dei sistemi politici e con la progressiva espansione dei regimi democratici, specie in tempi più recenti. Ma non è così. Il pericolo del vuoto interiore, del silenzio mentale, dell’oblio dei di-ritti non è affatto passato, ma è vivo e presente nelle nostre vite ed in quel-le delle comunità umane, anche di quelle apparentemente più organiche e preparate all’accoglienza. Il problema dell’accettazione, che sembrerebbe una questione collettiva, sociale, politica, è soprattutto un problema indi-viduale: sta al singolo, all’uomo, prima che al cittadino, imparare ad ac-cettare se stesso nella propria unicità, e conseguentemente l’Altro, come parte di una collettività non più solo tollerante, ma multiculturale26. La garanzia dei diritti, ammesso che sia effettiva ed efficace negli ordinamenti

25. Sul concetto di «Altro-da sé» si veda J. Baudrillard, L’ altro visto da sé (trad. it.), Costa & Nolan, Milano 1997.

26. Cfr. P. Savidan, Il multiculturalismo, Il Mulino, Bologna 2010.

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iv. I moriscos nel Mediterraneo 93

giuridici più evoluti, è solo il primo passo per una successiva integrazione sociale dell’Altro. In questo i moriscos hanno insegnato ai posteri a riflette-re sull’utilità – e sull’umanità – dell’espulsione. Una comunità che non in-tende integrare los Extraños se non attraverso l’abiura, la negazione (di una fede, di una lingua, di una condotta morale o sociale) e che si accontenta della finzione pur di non ammettere l’esistenza della diversità, è destinata a fallire. Il fallimento, prima economico, poi culturale e in ultimo sociale, segna allo stesso modo la vita degli esuli e quella dei conniventi. La storia è piena di esempi di integrazioni fallite, di migrazioni di massa, di fughe di intelletti, di persecuzioni religiose, politiche ed etniche. Ma è anche ricca di esempi opposti, di progressi incredibili degli uomini verso una società aperta, in cui la popolazione diventa massa critica, opinione pubblica atti-va e partecipe, in grado di accogliere e di difendere i diritti dei più deboli o degli esclusi. La vicenda dei moriscos sembra affermare che solo chi ha paura del Diverso fallisce, chi non è pronto ad un confronto, ad una messa in discussione della propria identità.

La storia si ricostruisce tentando di ricomporre i frammenti di vite passate, di terre abitate da uomini non più vivi. E in tal senso potrebbe sembrare una voce lontana, distante, confusa nel frastuono della contem-poranità. Ma la storia è viva ogni volta che si torna a guardare al passato con occhi umili ed attenti. Tutto insegna a riflettere nuovamente sugli errori commessi e sulle soluzioni trovate davanti a problemi e questioni che si ripresentano ai nuovi attori del Mondo. Sta ad ognuno di noi ca-pire e difendere oggi il morisco, lo judío, l’esule, il diverso. Forse perché in tempi peggiori, anche noi potremmo sembrare, agli occhi degli altri, uno di loro.

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Appendice 1

Bando de la expulsion de los moriscos del reino de Valencia, publicado en la ca-pital el dia 22 de setiembre de 1609, segun se conserva en el folio 34 de la Mano 50 de Mandamientos y embargos de la córte civil de Valencia del año 1611 (Madrid, Biblioteca Nacional, Manuscrito Mss/23133, sec. XVII).

«El Rey y por S.M.D. Luis Carrillo de Toledo, Marqués de Caracena, Señor de la villas de Pinto y Inés, y Comendador de Chinclana y Monti-son, Virey y Lugarteniente y Capitan General en esta ciudad y reino de Valencia, por el Rey nuestro Señor. A los Grandes, Prelados, Titulados,

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96 Appendice 1

Barones, Caballeros, Justicias, Jurados de las ciudades, villas y lugares, Bailes, Gobernadores y otros cualesquiera Ministros de S.M., ciudadanos, vecinos particulares de este dicho Reino.

S.M. en una su Real carta de cuatro de agosto pasado deste año, firma-da por su Real mano, y refrendada de Andrés de Prada, su Secretario de Estado, nos escribe lo siguiente.

Marqués de Caracena, primo, mi Lugarteniente y Capitan General de mi reino de Valencia. Entendido teneis lo que por tan largo discurso de años he procurado la conversion de los moriscos de ese reino y del de Cas-tilla, y los edictos de gracia que se les concedieron, y las diligencias que se han hecho para instruillos en nuestra santa fe, y lo poco que todo ello ha aprovechado, pues no se ha visto que ninguno se haya convertido, ántes ha crecido su obstinacion; y aunque el peligro y irreparables daños que en disimular con ellos podia suceder, se me representó dias há por muchos y muy doctos y santos hombres, exhortándome al breve remedio, á que en conciencia estaba obligado para aplacar á nuestro Señor, que tan ofendido está desta gente, asigurándome que podia sin ningun escrúpulo castigán-doles en las vidas y haciendas, porque la continuación de sus delitos los tenia convencidos de herejes, apóstatas y proditores de lesa Majestad di-vina y humana; y aunque podia proceder contra ellos con el rigor que sus culpas merecian, todavía, deseando reducirlos

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Bando de la expulsion de los moriscos de el reino de Valencia 97

por medios suaves y blandos, mandé hacer en esa ciudad la junta que sa-beis, en que concurrísteis vos, el Patriarca, y otros Prelados y personas doctas, para ver si se podia excusar el sacallos destos reinos. Pero habién-dose sabido que los dese y los de Castilla pasaban adelante con su dañado intento, y he entendido por avisos ciertos y verdaderos que continuando su apostasía y prodicion, han procurado y procuran por medio de sus em-bajadores y por otros caminos el daño y perturbacion de nuestros reinos; y deseando cumplir con la obligacion que tengo de su conservacion y se-guridad, y en particular la de ese reino de Valencia, y de los buenos y fieles súbditos dél por ser mas evidente su peligro, y que cese la herejía y apostasía; y habiéndolo hecho encomendar á nuestro Señor, y confiado en su divino favor por lo que toca á su honra y gloria, he resuelto que se saquen todos los moriscos de ese reino, y que se echen en Barbería. Y para que se ejecute y tenga debido efecto lo que S.M. manda, hemos mandado publicar el bando siguiente.

Primeramente, que todos los moriscos deste reino, así hombres como mugeres, con sus hijos, dentro de tres dias de como fuere publicado este bando en los lugares donde cada uno vive y tiene su casa, salgan dél, y vayan á embarcarse á la parte donde el comisario, que fuere á tratar desto, les ordenare, siguiendole y sus órdenes; llevando consigo de sus hacien-das los muebles, lo que pudieren en sus personas, para embarcarse en las galeras y navíos, que están aprestados para pasarlos á Barbería, á donde los desembarcarán, sin que reciban mal tratamiento, ni molestia en sus personas, ni lo que llevaren, de obra ni de palabra, advirtiendo que se les proveerá en ellos del bastimiento que necesario fuere para su sustento durante la embarcacion, y ellos de por sí lleven tambien el que pudieren. Y el que no lo cumpliere, y excediere en un punto de lo contenido en este bando, incurra en pena de la vida, que se ejecutará irremisiblemente.

Que cualquiera de los dichos moriscos que publicado este bando, y cumplidos los tres dias fuese hallado desmandado fuera de su propio lu-gar, por caminos ó otros lugares hasta que sea hecha la primera embarca-cion, pueda cualquiera persona, sin incurrir en pena alguna, prenderle y desbalijarle, entregándole al Justicia del lugar mas cercano, y si se defen-diere lo pueda matar.

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98 Appendice 1

Que so la misma pena ningun morisco, habiéndose publicado este di-cho bando, como dicho es, salga de su lugar á otro ninguno, sino que es-tén quedos hasta que el comisario que les ha de conducir á la embarcacion llegue por ellos.

Item que cualquiera de los dichos moriscos que escondiere ó enterra-se ninguna de la hacienda que tuviere por no la poder llevar consigo, ó la pusiere fuego, y á las casas, sembrados, huertas ó arboledas, incurran en la dicha pena de muerte los vecinos del lugar donde esto sucediere. Y mandamos se ejecute en ellos por cuanto S.M. ha tenido por bien de hacer merced de estas haciendas, raices y muebles, que no pueden llevar consi-go, á los Señores cuyos vasallos fueren.

Y para que se conserven las casas, ingenios de azúcar, cosechas de arroz, y los regadíos, y puedan dar noticia á los nuevos pobladores que vinieren, ha sido S.M. servido á peticion nuestra, que en cada lugar de cien casas, queden seis con los hijos y muger que tuvieren, como los hijos no sean casados, ni lo hayan sido, sino que esto se entienda con los que son por ca-sar, y estuvieren debajo del dominio y proteccion de sus padres; y en esta conformidad mas ó menos, segun los que cada lugar tuviere sin exceder, y que el nombrar las casas que han de quedar en los tales lugares, como queda dicho, esté á eleccion de los Señores de ellos, los cuales tengan obli-gacion despues á darnos cuenta de las personas que hubieren nombrado; y en cuanto á los que hubieren de quedar en lugares de S.M., á la nuestra, advirtiendo que en los unos y en los otros han de ser los mas viejos, y que solo tienen por oficio cultivar la tierra, y que sean de los que mas muestras hubieren dado de cristianos, y mas satisfacion se tenga de que se reducirán á nuestra Santa Fe Católica.

Que ningun cristiano viejo ni soldado, ansí natural de este reino como fuera dél, sea osado á tratar mal de obra ni de palabra, ni llegar á sus haciendas á ninguno de los dichos moriscos, á sus mugeres ni hijos, ni á persona dellos.≈

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Bando de la expulsion de los moriscos de el reino de Valencia 99

Que ansimismo no les oculten en sus casas, encubran ni den ayuda para ello ni para que se ausenten, so pena de seis años de galeras, que se ejecutarán en los tales irremisiblemente, y otras que reservamos á nuestro arbitrio.

Y para que entiendan los moriscos que la intencion de S.M. es solo echallos de sus reinos, y que no se les hace vejacion en el viaje, y que se les pone en tierra en la costa de Berbería, permitimos que diez de los dichos moriscos que se embarquen en el primer viaje, vuelvan para que den no-ticia dello á los demás, y que en cada embarcacion se haga lo mismo: que

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100 Appendice 1

se escribirá á los Capitanes Generales de las galeras y armada de navíos lo ordenen así, y que no permitan que ninguno soldado o marinero les trate mal de obra ni de palabra.

Que los mochachos y mochachas menores de cuatro años de edad que quisieren quedarse, y sus padres y curadores, siendo huérfanos, lo tuvie-ren por bien, no serán expelidos.

Item, los mochachos y mochachas menores de seis años, que fueren hijos de cristianos viejos, se han de quedar, y sus madres con ellos aunque sean moriscas; pero si el padre fuere morisco y ella cristiana vieja, él sea expelido, y los hijos menores de seis años quedarán con la madre.Item, los que de tiempo atrás considerable, como seria de dos años, vivie-ren entre cristianos, sin acudir á las juntas de las aljamas.Item, los que recibieren el Santísimo Sacramento con licencia de sus Pre-lados, lo cual se entenderá de los retores de los lugares donde tienen su habitacion.

Item, S.M. es servido y tiene por bien que si algunos de los dichos mo-riscos quisieren pasarse á otros reinos, lo puedan hacer sin entrar por nin-guno de los de España, saliendo para ello de sus lugares dentro del dicho término que les es dado; que tal es la Real y determinada voluntad de S.M., y que las penas de este dicho bando se ejecuten, como se ejecutarán irremisiblemente. Y para que venga á noticia de todos se manda publicar en la forma acostumbrada. Datis en el Real de Valencia á veinte y dos dias del mes de setiembre del anyo mil seiscientos nueve. - El Marqués de Ca-racena. - Por mandato de su Excelencia. - Manuel de Espinosa.»

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Appendice 2

Carta que en 4 de Agosto de 1609 escribió el Rey Don Felipe 3° al Beato Juan de Ribera Arzob° de Valencia; segun la publicó el P. F. Juan Ximenez en el n° 23. de la Adicion à la Vida de otro Beato (Madrid, Biblioteca Nacional, Expediente 808, Manuscrito 8).

« El Rey. = Muy Reverendo en Christo Padre,

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102 Appendice 2

«Patriarca, Arzobispo de Valencia, de mi Consejo. Memoria tendreis que de los diversos Papeles vuestros, movidos de piagoso y religiosos zelo, me sabei representado acerca de lo mucho que convenia poner remedio en la Heteregía y Apostasía de los Moriscos de esse Reyno, de que Nues-tro Señor era tan ofendido, que haviendo vos pensado mucho, que causa podia haver havido para los malos sucesos de la Jornada de Inglaterra y Argel no avides hallado otra, sino el sufrir y disimularofensas tan publicas y graves como las que esa gente avia comitido y comitia cada dia, viviendo en su Secta, y esercitando los ritos y la cerimonia della, exortandone el remedio dello: presupuesto, que yo podria mandar hazer de sus personas y azienda lo que quisiese, pue la gravedad y notoriedad y continuacion de sus delitos, los tenian convencidos de crimen de lesa Magestad divina e humana. Yo lei los dichos Papeles con mucha atencion, y con la misma se trató de la moreria por personas graves muy zelosas del servicio de Dios y

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Carta 4 de agosto de 1609 103

mio, y de la conservacion y seguridad de estos Reynos: y deseando todavia reduci resa gente por medios suaves y blandos (no obstante que à vos y à otros parecia que su diabolica obstinacion los tenia totalmente privados deste bien) mandé hazer la Junta que haveis visto: Pero aviendose despues sabido por diversas y muy certa vías, que los Moriscos de esse Reyno y los de Castilla han enbiado personas al Turco, y à Merruecos, al Rey Muley Cidán y à otros Principes enemigos nuestros; pidiendoles, que el año que viene, vengan en su socorro y ayuda, asegurandoles que hallará cierto y cinquenta mil tan Moros, como los de Berbería que les acudirán con sus personas y azienda; representandoles, para moverlos à ello, quan falsos están estos Reynos de gente militar y quan mal apercibidos de armas y municiones, y todos le han ofrecido de hacerlo.

2. -----,, Y considerando la desconfianza que todos vienen y en partico-lar la que vos haveis mostrado de la conversion de essa gen(te)»

«gente; y que quando bien se pudieran esperar de la nuevas diligencias este fruto, avia de ir tan à la larga, que en este medio se desembarazará el Turco de la guerra de Persia, y de sus rebeldes, porque segun los ultimos

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104 Appendice 2

avisos, estaba ya de acuerdo con todos, y Muley Cídan, que aora reyna en Berbería, y se ha mostrado capital enemigo de Christianos, establecerá su reynado, y entablarán las otras negociaciones de otros Principes enemi-gos; y que cargando todos à un mismo tiempo nos pondiran en el peligro, que se dexa considerar. Por todas estas causas, y principalmente por lo que deseo servir y agradar à nuestro Señor, y que en mi tiempo se dè fin à tan graves ofensas suyas, como las que esta gente comete; y junto con esto por mucho que amo y deseo procurar el bien y seguridad de los buenos Subditos de este Reyno, despues de averle encomendado y hecho enco-mendar mucho este negocio, confiando en su divino favor he resuelto que toda esa mala gente se saque de ese Reyno por ser el que está à mayor peli-gro; y se eche de el; como mas particolarmente lo entendereís del Maestro de Campo Don Agustin Mexia de mi Consejo de Guerra, que esta os dara, y os dirálo que para esta resolucion he mandado provéér.

3. ----,, Vos veis, que esta resolucion no es menos saludable que forzo-sa; porque asi como otros negocios se suelen mejorar con el tiempo, este quanto mas se dilatare, mas se ha de empeorar; y asi no se ha de gastar ni una sola hora en Re presentar dificultades, ni proponer otros medios, sino en vencerlas, y poner en esto el cuidado, que se suele, quando se ofrece peligro de vida para salvarla: ni será necesario encarecer la importancia del negocio, ni el servicio que hareis à Nuestro Señor en procurar que se facilite; ni encargaros acudai à el, pues sé, que teneis muy entendido lo primero, y que en los segundos os emplareis con el zelo que siempre haveis tenido del servicio de Dios y mio, y aumento de nuestra santa Fe, y el bien

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Carta 4 de agosto de 1609 105

desto Reyno. Y yo prometo, que en la mayor dificultad que se ofrece en la explusion de essa gente, que es la de los Señores de vassallo Moriscos, ha de ver de mucho momento vuestra autoridad y persuasion: en lo qual os encargo mucho useis del candal que Dios os ha dado de letras y vir-tud, pues la cosa es en sí tan clara y manifiesta, que no se puede poner en duda, ni disputa, que no solo es conveniente, pero forzosa; y que sería gran temeridad y tentar à Dios, perder el todo por la parte, como sin duda sucedería, si se dilatase la execucion de lo resuelto. Y aunque sea assi, que della ha de resultar menoscabo de hacienda y descomodidad à los Dueños de Moriscos, esto tiene reparo, y lo otro no, y una vez libres desta mala semilla, y del peligro que traė consigo el conservarla, se atenderá el bene-ficio de los interesados, y por mi parte lo procudaré por todos los caminos que pudiere.

4. ---,, Recibiré particolar contentamiento de que deís entero credíto à lo que Don Agustin Mexia os dixiere de mi parte, y le asistais en lo que

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106 Appendice 2

pudieredes, como de vos confió. Y por lo que importa el secreto deste negocio, y que hasta la execucion ve el, no se sepa, ni pueda imaginar el intento que se lleva, he acordado, que la ida de Don Agustin à essa Ciudad y Reyno, sea à titulo de que và à visitar las fortificaciones de el, para saber el estado en que están, y lo que convendrá provéér, para que se pongan en perfeccion.

y assi no os encargo lo que à esto toca, pues con vuestra gran pruden-cia echareis de ver lo que convenga, y que el solo consiste el bueno y breve fin de lo que se desse

De Segovia à quatro de Agosto de 1609 = Yo el Rey. = Andres de Prada.»

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107

Tavole

Pragmáticas sobre los moriscos y privilegio a favor de los nuevos pobladores del Reino de Granada (Madrid, Biblioteca Nacional, segnatura: DL/1321201, España Rey Felipe II 1556-1598).

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108 Tavole

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Pragmáticas 109

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Id., Minorías y marginados en la España del siglo XVI, Diputación Provincial de Granada, Granada 1987. Id., El río morisco, Universitat de València, Valencia 2006.Westerveld Govert Miguel de, Blanca, “El Ricote” de Don Quijote, Beniel, Blanca 2001.Westerveld Govert Miguel de, Cervantes Saavedra, Ana Félix y el morisco Ricote del Valle de Ricote en “Don Quijote II” del año 1615: capítulos 54, 55, 63, 64 y 65, Academia de Estudios Humanísticos de Blanca (Valle de Ricote), Blanca 2007.Zayas Rodrigo de, Los moriscos y el racismo de estado: creación, persecución y deportación (1499-1612), Almuzara, Cordóba 2006.Zbiss Slimane Mostefa, Gafsi Abdel-Hakim, Boughanmi Mohiedine, De Epalza Mikel De, Études sur les Morisques Andalous, El-Asria, Tunis 1983.

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163

Indice delle fonti

Città del Vaticano, Roma, Archivio Segreto VaticanoSegreteria di Stato, Spagna (Segr. Stato, Spagna).

Guadix, Archivo Histórico Diocesano Caja 83, legajo 11, pieza C.

Madrid, Archivo Histórico Nacional Inquisición, legajo 2947, Carta al Consejo de la Inquisición recibida en Madrid el 18.7.1580.

Madrid, Biblioteca NacionalBando de la expulsion de los moriscos del reino de Valencia, publicado en la capital el dia 22 de setiembre de 1609, segun se conserva en el folio 34 de la Mano 50 de Mandamientos y embargos de la córte civil de Valencia del año 1611 (Mss/23133, S. XVII).Carta que en 4 de Agosto de 1609 escribió el Rey Don Felipe 3° al Beato Juan de Ribera Arzob° de Valencia; segun la publicó el P. F. Juan Ximenez en el n° 23. de la Adicion à la Vida de otro Beato (Expediente 808, Manuscrito 8).Sección Manuscritos (ms.): Manuscritos 1318: 191; manuscritos 2349: 99; manuscritos 2749: 191.

Sevilla, Archivo Municipal Secciòn X, t. 5759 (s/f ) «Referencias escuetas en las actas capitulares».

Simancas, Archivo General Patronato Real, Inquisición, legajo único, folio 55.Consejo Real, legajo 257, expediente 4, folio 8-II, audiencia del 9/6/1580.Consejo Real, legajo 257, expediente 4, folio 8-II, «Confesiones de Juan de Palma del 19 junio 1580».

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164 Frontiere indivisibili

Consejo Real, legajo 257, expediente 4, folios 8-I/8-III: fascicolo di docu-menti relativi alla ribellione dei moriscos intitolato: Cartas para el Consejo del Asistente de Sevilla y corregidores del Andaluzía sobre los moriscos de Sevilla (Consejo Real 174-5).Quitaciones de Corte, legajo 22. Patronato Eclesiástico, legajo 136.Secretaría de Estado, legajo 973: CII, 169, 174, 177, 179; legajo 971: 215; legajo 963: 214.

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Indice dei nomi*

* A cura di Fabrizio Dal Passo.

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166 Frontiere indivisibili

Abadia Irache A. 23n, 143, Abramo (personaggio biblico) 31 Adriano di Utrecht (Adriaan Floren-

szoon Boeyens, papa Adriano VI) 27, 27n, 28, 32

Agar (personaggio biblico) 31Aguado L. 23n, 143 Alcalá A. 17n Alcocer Martínez M. 29n, 154Aldea Vaquero Q. 29n Alfonso d’Aragona (duca di Segorbe e

viceré di Valencia) 65 Alfonso VI (re di Castiglia) 22Alfonso X (re di Castiglia) 22Allen P.C. 52n, 54n, 154Al-Maqqari de Tremecén 82nAlmodóvar Ginés (cappellano) 59Alvarez Vázquez A. 23n, 143Amiels C. 31n, 158Arcos F. (de) 66n, 156Ardit M. 89n, 143, 161Arié R. 11n, 21n, 154Asín M. 39n, 64n, 150As-Sa’ídUni N. 82n, 83n, 143

Barrios Aguilera M. 16n, 21n, 42n, 43n, 145, 154

Baudrillard J. 92nBausani A. 15n, 154Bejarano Amad 64n, 150, 160Belbs Francisco (de) 57n Belenguer Cebrià E. 20n, 146, 154Beltran de Heredia V. 29n, 154Bernabé Pons F. 30n, 64n, 144Bernard V. 12n, 69, 69n, 73, 148, 153,

157, 161 Birriel Salcedo M.M. 44, 44n, 45, 45n,

144, 154Blaya N. 89n, 161

Bleda Jaime 16, 16n, 66, 66n, 154 Blumenkranz B. 79n, 80n, 148Boeglin M. 20n, 144Borja de Medina F. (de) 12n, 29n, 144 Boronat y Barrachina P. 50n, 67n, 155 Boucharb A. 51n, 144 Boughanmi M. 83n, 162Braudel F. 71, 71n, 89, 90n, 155 Bujeaud V. 81n, 155Bunes Ibarra M.A. (de) 12n, 14n, 51n,

89, 145, 155 Burgos Esteban F.M. 59n, 145

Canal Morell J. 49n Carbonell i Cortés O. 14n, 155 Cardaillac L. 13n, 33n, 58n, 80n, 88n,

145, 147, 155 Cardona P.A. (de) 31n, 66n, 154 Carlo Emanuele I (duca di Savoia) 52n Carlo V (imperatore del Sacro Roma-

no Impero) 21, 24, 27, 29, 32, 33, 35, 36, 37 (fig. 2), 39, 50n, 79n

Caro Baroja J. 11n, 18, 18n, 23n, 38n, 79n, 88n, 155

Carrasco Urgoiti M.S. 23n, 145Carrasco Vázquez J. 71n, 145Castillo A. 17, 18n, 71, 71n, 89, 89n,

145 Castillo Fernández J. 15, 16n, 51n, 57n,

145Castro y Serrano J. (de) 39n, 152Català Sanz J.A. 44n, 156Cavaillac M. 72n, 146Cavignac J. 19n, 146Ceballos Toro F. 20n Cervantes de Saavedra Miguel (de)

17n, 31, 31n, 69, 69n, 72n, 146, 149, 156, 162

Chaunu P. 90, 90n, 146

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Indice dei nomi 167

Ciscar Pallarés E. 74n, 146Cisneros, Francisco Jiménez (de) (arci-

vescovo di Toledo, Inquisitore ge-nerale) 13, 13n, 29n, 33n, 64

Civil P. 17n Clemente VII (papa, Giulio di Giuliano

de’ Medici) 29 Clery T. 15n, 156Colas Latorre G. 23n, 146, 156Colombo Cristoforo (esploratore) 12 Contreras J. 49n, 89n, 155, 156Corriente Córdoba F. 39n, 156Cortázar F.G. (de) 13n, 156Cortés Peña A.L. 18n, 20n, 146Cotarelo Valledor A. 29n, 156

Dahan G. 79n, 148Danvila A. 51n, 156Danvila Y Collaldo M. 86, 87, 88n, 146,

156De Ariño F. 42n Deza Diego (de) (inquisitore generale)

29, 29n, 154, 156 Domínguez Ortiz A. 12n, 13n, 18n,

24n, 31n, 37n, 50n, 59n, 68, 68n, 78n, 88n, 90, 90n, 146, 157

Dorador Bartolomé IncipitDozy R. 12n, 157Dressendoerfer P. 13n, 146

Enan M.A. 58n, 157Enrico II (re di Castiglia) 22Enrico III di Navarra 52nEnrico IV (re di Francia) 52n, 55, 67,

68, 80Epalza M. (de) 13n, 14n, 21n, 80n, 82n,

83n, 89n, 145, 147, 157, 162Espinosa Manuel (de) 100

Fajardo Luis (marchese di Vélez) 68Ferdinando II (re d’Aragona) 19, 24Fernández Chaves M.F. 20n, 151Fernández Nieva J. 43n, 157Fernández Ordoñez R. 23n, 147Feros A. 54n, 157Figuerola Juan Martín (de) 50n Filippo II d’Asburgo (re di Spagna) 21,

41, 42, 43, 48, 51, 52n, 53, 63, 64, 65, 71, 71n, 92, 155

Filippo III d’Asburgo (re di Spagna) 52n, 53, 54, 54n, 55, 58, 60, 66, 67, 68, 72, 74, 78, 78n, 80

Filippo IV d’Asburgo (re di Spagna) 72, 78, 82

Fonseca D. 32n, 66n, 157 Framiñán de Miguel J. 54n, 147

Gafsi A.H. 83n, 162Gao J. 29n, 157García Arenal M. 18n, 84n, 153, 157 García Carlos 79n, 150García Fernández M. 43n, 152García Fuentes J.M. 38n, 157García García B.J. 54n, 157García Pedraza A. 20n, 158García Sanz A. 54n, 151 Garrad K. 19n, 38n, 148Garrido Aranda A. 38n, 148Garrido García C.J. 48n, 148Gil J. 32, 33, 158Gil Sanjuán J. 17n, 36n, 148Giovanni XXIII (papa, Angelo Giusep-

pe Roncalli) 54nGironés Guillem I. 14n, 57n, 61n, 62n,

158Gómez Zorraquino J.I. 23n, 148Gómez Centurión Jiménez C. 73n,

158

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168 Frontiere indivisibili

González Vesga J.M. 13n, 156Griffin N. 12n, 148Guadalajara y Javier M. (de) 66n, 158Guillén Robles F. 39n, 158Gutiérrez Alonso (tesoriere di Carlo

V) 50, 50n

Halperín Dongui T. 89n, 158Henningsen G. 31n, 158Herrero del Collado T. 29n, 148Hildesheimer F. 79n, 148Huxtable Elliott J. 54n, 151

Iglesias Rodríguez J.J. 43n, 152Isabella la Cattolica (regina di Spagna)

11, 13n, 29 Isacco (personaggio biblico) 31

Jerónimo de Madrid (sacerdote) 29n

Labarre R. 31n, 149Lacarra J.M. 74, 74n, 158Ladero Quesada M.A. 11n, 21n, 22n,

23n, 43n, 158Lapeyre H. 24, 24n, 28n, 41 (fig. 3),

88n, 89, 89n, 159 Lasarte 64n Lea H.C. 24n, 27n, 78, 78n, 159Ledesma Rubio M.L. 23n, 159Leone X (papa, Giovanni di Lorenzo

de’ Medici) 32Linage Conde A. 20n, 151Lincoln J.N. 84n López Alonso (de) 79n, 80n, 148, 152,

154López Baralí L. 39n, 149López Guadalupe M.L. 18n, 146López Martín J. 12n, 149López Martínez C. 21n, 159

Loyola Ignacio López (de) (santo) 30 Luis de Granada (frate) 29n, 157Luis de León (frate) 29n, 157

Madera Gregorio López (alcalde) 59, 59n

Magraner Rodrigo A. 88n, 159Manrique Alonso (inquisitore genera-

le) 28Manrique Pedro (arcivescovo di Torto-

sa) 58Maometto 15n, 38, 156Marañón G. 89n, 159Marchante Aragón (L.A.) 54n, 149Marcos F. 29n Mardones Diego (de) (frate) 16, 16n,

17, 17n, 31, 32Margherita d’Austria (regina di Spa-

gna) 66, 66n Marín Martínez T. 29n Marín Ocete A. 36n, 149, 159Mármol Carvajal L. (del) 40n, 42n,

159Márquez Villanueva F. 12n, 69, 69n,

89n, 149, 159Mendoza Diego Hurtado (de) (conte

di Mélito, viceré di Valencia) 27Mendoza Francisco Hurtado (de)

(marchese di Almazán, viceré di Catalogna) 78

Menéndez Pidal R. 39n, 66n, 149, 150, 151

Menenes García E. 43n Mestre Vicent (artista) 60 (fig. 4), 70

(fig. 5)Mexia Agustín 104, 105Miguel Rodríguez J.C. (de) 22n, 146Mir M. 29n, 159Miranda (de) (conte) 54

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Indice dei nomi 169

Moliner M. 16n, 17n, 21nMoliner Prada A. 143, 145, 146, 147Moreno Díaz F.J. 89n, 149, 159Moreno Moreno F. 45n, 46n, 47n, 150,

160

Olivares Gaspar de Guzmán y Pimentel (conte duca) 54n, 151

Oliver Asín J. 64n, 150, 160Osuna Baltasar (de) 43n

Paolo III (papa, Alessandro Farnese) 13n

Paolo IV (papa, Giovanni Pietro Cara-fa) 13n

Paolo V (papa, Camillo Borghese) 61, 66

Pastore S. 30n, 160Pedro de Alba (arcivescovo di Grana-

da) 40Pedro Guerrero (arcivescovo di Grana-

da) 12n, 36n, 149, 159Pereda Juan 68 Pérez Boyero E. 41n, 42n, 150, 160Pérez Bustamante C. 66, 66n, 150Pérez de Herrera Cristóbal 72, 72n, 146Pérez García R. 20n,151Pérez Sánchez D. 42n, 153, 160Peros Carrasco A. 54n, 151Petit R. 80n, 83n, 145, 157Pike R. 20n, 151Pio V (papa, Michele Ghislieri) 54nPizarro Alcalde F. 55n, 66n, 151Plaisant M.L. 81n, 151Planet A.I. 64n, 77n, 144, 160Plasencia Soto R. 50n, 151Ponce de Léon Pedro (vescovo di Pla-

sencia) 50Prokopenko S. 48n, 160

Ramos F. 64n, 77n, 144, 160Rawlings H. 53n, 160Razuq M. 82n, 160Redondo A. 17n, 38n, 151Reglá J. 88n, 160Reina Bernardino (de) 57n Ribas Francisco (de) (sacerdote) 49Ribera J. (de) 39n, 54, 54n, 60, 60n, 67,

74, 101, 152, 156, 163Richelieu Armand-Jean du Plessis (car-

dinale) 79n, 80n, 148, 152, 154Rojas J.L. (de) 31n, 156Rojo Antonius (inquisitore) 33Romero Sáiz M. 18n, 22n, 39n, 58n,

59n, 160Rosell C. 40n, 161

Saavedra E. 39n, 152Sacy Silvestre (de) 84Salvatierra Juan Méndez (de) (arcives-

covo di Granada) 43San Germán (marchese) 56, 57n,

156Sandoval y Rojas Francisco (de) (duca

di Lerma, inquisitore generale) 16n, 55, 154

Santiago (doctor) 41, 42Santoni P. 80n, 152Sarah (personaggio biblico) 31Sauzet R. 80n, 152Savidan P. 92nSicroff A. 13n, 161Silíceo Juan Martínez 13n Sola Castaño E. 65n, 161Solana Juan (de) 72, 72n Soria Mesa E. 42, 42n, 43n, 152, 161Strosetzki Ch. 13n, 146Szmolka Clares J. 33n, 152

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170 Frontiere indivisibili

Talavera Hernando (de) (vescovo di Granada) 29, 29n, 148

Tam L. 16n, 50n Taylor B. 66n, 161Tedeschi J. 31n, 158Temimi A. 51n, 80n, 144, 152Terés Sádaba E. 39n, 152Teresa de Jesús (santa) 29n, 157Tietz M. 13n, 146Toledano Francisco 64n Toledo Luis Carrillo (de) (marchese di

Caracena) 95Torres Fontes J. 22n, 152Torrijos Francisco (de) 50, 50n, 51n Toussaint M. 79, 79n, 161Tueller J.B. 20n, 161

Urzainqui Sánchez S. 44n, 156

Valencia Pedro (de) 16n, 17n, Vassberg D. 41n, 161Vázquez M.A. 20n, 161

Velasco Bernardino (de) (conte di Salazar, conestabile di Castiglia) 78

Viguera Molins M.J. 24n, 153Vila Moreno A. 54n, 153Villalmanzo J. 89n, 161Vincent B. 12n, 24n, 31n, 37n, 42n,

43n, 44n, 50n, 57n, 58n, 68n, 69, 69n, 73, 78n, 88n, 89n, 90n, 148, 153, 157, 161

Vives Gatell J. 29n

Westerveld G. 17n, 162Wiegers G. 84n, 153Williams P. 54n, 153

Ximénez Juan 101, 163

Zamarrudillo 63Zayas R. (de) 13n, 30n, 35, 35n, 88, 89n,

162Zbiss S.M. 83n, 162

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

AREA 01 – Scienze matematiche e informatiche

AREA 02 – Scienze fisiche

AREA 03 – Scienze chimiche

AREA 04 – Scienze della terra

AREA 05 – Scienze biologiche

AREA 06 – Scienze mediche

AREA 07 – Scienze agrarie e veterinarie

AREA 08 – Ingegneria civile e Architettura

AREA 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

AREA 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

AREA 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

AREA 12 – Scienze giuridiche

AREA 13 – Scienze economiche e statistiche

AREA 14 – Scienze politiche e sociali

Il catalogo delle pubblicazioni di Aracne editrice è su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di marzo del 2011dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.»00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma