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FRONTALI; E PROFILO Il passaggio dalla posizione «frontale» a quella di tre- quarti nell'iconografìa medioevale è tema affrontato da Meyer Shapiro in tre sintetici interventi riuniti recente- mente in volume. A partire dall'episodio biblico della preghiera di Mose durante la battaglia contro gli Amala- chiti, lo studioso ha prima di tutto preso in esame il carat- tere «figurale» delle braccia del patriarca, richiamanti il ge- sto del dio crocifisso; successivamente sono messi in di- scussione due problemi strettamente attinenti all'imma- ginario attualmente in discussione: quello della posizione del protagonista rispetto all'osservatore e quello rispetto alle ulteriori presenze nella scena rappresentata. Come è evidente i due nessi sono strettamente correlati fra loro: l'indifferenza del soggetto rispetto a quanto avviene nella scena, caratterizzato dalla posizione frontale del corpo e del volto, o solamente di quest'ultimo, si intreccia con il rapporto diretto fra l'icona e l'osservatore; nello stesso tempo l'indifferenza della posizione di profilo dei com- primari rispetto all'osservatore definisce una concezione dell'immagine come illustrazione, come documentazione della storia e non dell'attualità, fortemente differenziata rispetto alla precedente. Commentando una miniatura appartenente a una bibbia dell'epoca di Luigi I X re d i Francia, Shapiro individua i diversi atteggiamenti, di fronte e di profilo, accordati al patriarca e ai soldati nella tradizione (se ne vedano gli esempi della Bibbia di Farfa, ms. lat. 5729, Biblioteca Vaticana o dei Discorsi di Grego- rio Nazianzeno, ms. grec. 510, della Biblioteca nazionale di Parigi) e l'omogeneità di tre quarti e di profilo utilizza- ta nella miniatura citata: «Il cambiamento dalla posizione frontale a quella di profilo di Mose si può spiegare con una caratteristica dell'arte di quel periodo: con l'accre- sciuto interesse per l'azione in quanto attività oggettiva, in cui gli attori si muovono in un proprio spazio comune e sono attenti l'uno all'altro senza avere rapporti con l'os- servatore dell'immagine, al contrario di quanto accade in un soggetto statico» (Shapiro, p. 17). Le categorie della «storia» e della «staticità» possono essere riferibili in un caso alla loro autonomia rispetto all'osservatore, all'auto- sufficienza che può sfiorare la dimensione decorativa, di contorno, sia pure fortemente fabulativo, nei confronti del pubblico; nel secondo ponendo fortemente l'aspetto statico dell'immagine in stretto rapporto con la singolari- dell'individuo riguardante. Il pieno volto, il «volto in maestà» per usare un'espres- sione del Dolce, del Cristo pantocratore, o la stessa posi- zione delle Vergini in trono, nella rigida frontalità del rapporto corpo/volto, il medesimo atteggiamento repli- cato nel figlio sedente sulle ginocchia della madre, appar- tengono a una «teoria» dell'immagine che sembra supera- re lo stretto passaggio evoluzionistico, dal romanico al gotico per interderci, rispondendo appunto a una diversa funzionalità dell'immagine. Risulta da questo punto di vista impossibile costringere nelle «regole» teoriche di una griglia funzionale i diversi casi che la posizione del soggetto può assumere, dal volto pieno appunto, ai tre- quarti, al quasi profilo, al profilo come vorrebbe Shapiro, risultando fortemente penalizzante concedere nella dura- ta una continuità di funzioni; più facile evidentemente la- vorare sul sincronico, o meglio ancora nel singolo docu- mento, dove La «convenzione» degli atteggiamenti dei personaggi si in-tegra con la specificità della scena rappre- sentata. Si parlava comunque dell'immagine, sia essa scolpita o dipinta, e della sua funzione divaricante, quella della sua complementarietà drammatica con lo spettatore, e quella invece relativa a una funzione illustrativa, memorativa di avvenimenti o episodi, passati o futuri, che non coinvol- gono emotivamente lo spettatore nell'appello diretto: la posizione frontale e lo sguardo diretto della statua o dell'immagine bidimensionale, dall'Icona della Vergine delle catacombe romane alla dimensione ambientale del «Cristo pantocratore» o del Cristo giudice, nell'isolamen- to architettonico o nella collocazione dell'immagine all'interno di una scena più complessa, è fin dalla tradizio- ne bizantina - in questo dovendo riconoscere una conti- nuità rispetto al mondo classico che già conosceva tale so- luzione - la soluzione iconografica rispondente alla supe- riorità dell'immagine, appunto fìssa in un atteggiamento dialogante immutabile, in diretto contatto con il singolo riguardante: la figura, nella esaltazione di uno sguardo che si completa aldilà della scena, che oltretutto a essa volge le spalle o comunque lo sguardo, lascia una profon- dità per aggredire il variabile intervallo intermedio, que- sta volta fisico e reale, che la distanzia dal secondo osser- vatore. Il rapporto fra l'immagine e lo spettatore diventa allora il necessario compimento della rappresentazione: la «vera icona», dell'imperatore o della divinità pagana prima, del Salvatore o della madre nell'iconografia cristia- na - ma una indagine sull'immagine «primitiva», dell'in- 52

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F R O N T A L I ; E PROFILO

Il passaggio dalla posizione «frontale» a quella di tre­quarti nell'iconografìa medioevale è tema affrontato da Meyer Shapiro in tre sintetici interventi r iunit i recente­mente in volume. A partire dall'episodio biblico della preghiera di Mose durante la battaglia contro g l i Amala-chiti , lo studioso ha prima di tutto preso in esame i l carat­tere «figurale» delle braccia del patriarca, richiamanti i l ge­sto del dio crocifisso; successivamente sono messi in di ­scussione due problemi strettamente attinenti all'imma­ginario attualmente in discussione: quello della posizione del protagonista rispetto all'osservatore e quello rispetto alle ulteriori presenze nella scena rappresentata. Come è evidente i due nessi sono strettamente correlati fra loro: l'indifferenza del soggetto rispetto a quanto avviene nella scena, caratterizzato dalla posizione frontale del corpo e del volto, o solamente di quest'ultimo, si intreccia con i l rapporto diretto fra l'icona e l'osservatore; nello stesso tempo l'indifferenza della posizione di profi lo dei com­primari rispetto all'osservatore definisce una concezione dell'immagine come illustrazione, come documentazione della storia e non dell'attualità, fortemente differenziata rispetto alla precedente. Commentando una miniatura appartenente a una bibbia dell'epoca di Luigi I X re di Francia, Shapiro individua i diversi atteggiamenti, di fronte e di profilo, accordati al patriarca e ai soldati nella tradizione (se ne vedano gli esempi della Bibbia di Farfa, ms. lat. 5729, Biblioteca Vaticana o dei Discorsi di Grego­rio Nazianzeno, ms. grec. 510, della Biblioteca nazionale di Parigi) e l'omogeneità di tre quarti e di profilo utilizza­ta nella miniatura citata: «Il cambiamento dalla posizione frontale a quella di profilo di Mose si può spiegare con una caratteristica dell'arte di quel periodo: con l'accre­sciuto interesse per l'azione in quanto attività oggettiva, in cui gl i attori si muovono in un proprio spazio comune e sono attenti l 'uno all'altro senza avere rapporti con l'os­servatore dell'immagine, al contrario di quanto accade in un soggetto statico» (Shapiro, p. 17). Le categorie della «storia» e della «staticità» possono essere riferibili in un caso alla loro autonomia rispetto all'osservatore, all'auto­sufficienza che può sfiorare la dimensione decorativa, di contorno, sia pure fortemente fabulativo, nei confronti del pubblico; nel secondo ponendo fortemente l'aspetto statico dell'immagine in stretto rapporto con la singolari­tà dell ' individuo riguardante.

I l pieno volto, i l «volto in maestà» per usare un'espres­

sione del Dolce, del Cristo pantocratore, o la stessa posi­zione delle Vergini i n trono, nella rigida frontalità del rapporto corpo/volto, il medesimo atteggiamento repli­cato nel figlio sedente sulle ginocchia della madre, appar­tengono a una «teoria» dell'immagine che sembra supera­re lo stretto passaggio evoluzionistico, dal romanico al gotico per interderci, rispondendo appunto a una diversa funzionalità dell'immagine. Risulta da questo punto di vista impossibile costringere nelle «regole» teoriche di una griglia funzionale i diversi casi che la posizione del soggetto può assumere, dal volto pieno appunto, ai tre­quarti, al quasi profilo, al profilo come vorrebbe Shapiro, risultando fortemente penalizzante concedere nella dura­ta una continuità di funzioni ; più facile evidentemente la­vorare sul sincronico, o meglio ancora nel singolo docu­mento, dove La «convenzione» degli atteggiamenti dei personaggi si in-tegra con la specificità della scena rappre­sentata.

Si parlava comunque dell'immagine, sia essa scolpita o dipinta, e della sua funzione divaricante, quella della sua complementarietà drammatica con lo spettatore, e quella invece relativa a una funzione illustrativa, memorativa di avvenimenti o episodi, passati o futuri , che non coinvol­gono emotivamente lo spettatore nell'appello diretto: la posizione frontale e lo sguardo diretto della statua o dell'immagine bidimensionale, dall'Icona della Vergine delle catacombe romane alla dimensione ambientale del «Cristo pantocratore» o del Cristo giudice, nell'isolamen­to architettonico o nella collocazione dell'immagine all'interno di una scena più complessa, è fin dalla tradizio­ne bizantina - in questo dovendo riconoscere una conti­nuità rispetto al mondo classico che già conosceva tale so­luzione - la soluzione iconografica rispondente alla supe­riorità dell'immagine, appunto fìssa in un atteggiamento dialogante immutabile, in diretto contatto con i l singolo riguardante: la figura, nella esaltazione di uno sguardo che si completa aldilà della scena, che oltretutto a essa volge le spalle o comunque lo sguardo, lascia una profon­dità per aggredire i l variabile intervallo intermedio, que­sta volta fisico e reale, che la distanzia dal secondo osser­vatore. I l rapporto fra l 'immagine e lo spettatore diventa allora i l necessario compimento della rappresentazione: la «vera icona», dell'imperatore o della divinità pagana prima, del Salvatore o della madre nell'iconografia cristia­na - ma una indagine sull'immagine «primitiva», dell 'in-

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fanzia del mondo porterebbe a collegamenti temporali e spaziali indubbiamente suggestivi - si foggia sulla presen­za complementare del fedele; la posizione, depressa spa­zialmente o dimensionalmente di quest'ultimo non can­cella i l carattere diretto, singolo del messaggio. Una pre­senza dell'immagine senza tempo in quanto la dimensio­ne «drammatica» del rapporto è completata appunto dalla presenza complementare dell'osservatore, giudicato in­dubbiamente, o comunque soggetto al feticcio realizzato, ma in ultima istanza protagonista essenziale della vicenda.

Lo sguardo errante del pellegrino è speculare a quello dell'icona venerata; e se quest'ultima può «seguire» con gli occhi i suoi spostamenti nello spazio, la meraviglia, già conosciuta nella letteratura classica, da Plinio a Luciano, può conoscere nell'universo medioevale una duplice let­tura. La prima è «scientifica»: nella traduzione dell'Ottica di Tolomeo a opera di Eugenio con la quale fin dal X I I se­colo viene conosciuta in occidente, si legge che «Si pensa che l'immagine di un volto dipinta su una tavola guardi l'osservatore, nonostante sia immobile, dal momento che uno sguardo si percepisce dir i t to solo grazie alla stabilità della forma del raggio visuale stesso che cade sul volto di ­pinto. . . Quando dunque l'osservatore si sposta, si sposta anche lo sguardo, mentre è lui che lo sta guardando» (Shapiro, p. 63). Alla autorità classica può anche essere posta come complementare intelligenza l'osservazione di Nikolaos Mesarites a proposito dei mosaici della chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli: parlando dell ' imma­gine del Cristo pantocratore afferma: «Il suo sguardo è gentile e assolutamente dolce, non r ivolto né a destra né a sinistra, ma diretto nello stesso tempo verso tut to e verso ogni singolo individuo» (Shapiro, p. 63).

La categoria della frontalità dello sguardo, associata a quella del corpo mette in relazione diretta la «figura» con l'osservante, in una replica del rapporto umano, della si­tuazione quotidiana di approccio con l'altro da sé che po­tenzia, nella diversità dei ruoli svolti dai contendenti, l'as­senza di ostacoli, di carattere fisico o psicologico, accen­tuando quel percorso simbolico àeWHinc et Nune, del ge-neralìter et specialìter su cui ci siamo precedentemente sof­fermati. E proprio ragionando in questo ambito i l suo r i ­chiamo rende ulteriormente legittima la disgressione sull'armamentario simbolico superficialmente «laterale» rispetto al tema dibattito.

Si vuol dire che i l feticcio tridimensionale, o l'icona greca, o i l mosaiaco absidale, o la gloria spagnola cono­scono alternativamente la perentorietà di una presenza che determina i l comportamento del riguardante, d'altra parte risultano realizzati in funzione di quel rapporto, nel deter rminare l'approccio fisico e nello stesso tempo nell'essere da quest'ultimo legittimati all'esistenza. Lo sguardo frontale coglie «tutto e ogni singolo individuo», realizzando nel «pieno volto» un rapporto non disturbato dall'accidente temporale, dalla dimensione della storia che può variare le condizioni ambientali: e come lo sguar­do anche la posa del corpo e delle membra sembra rispon­dere a questa necessità di una collocazione a-temporale: i l

braccio e la mano del giudice o del benedicente, l'osten­sione del libro della legge, non appartengono ai gesti del quotidiano ma alla sfera ella regalità superiore del divino.

I l riferimento alla sovranità della terra e del cielo con­densa una duplice e intrecciata conseguenza: la sovranità del Cristo realizzata nell'immaginario romanico, e la sim­metrica origine divina della carica imperiale o del sovra­no; l'intreccio è suggestivo in quanto alla corrispondenza dell'arredo che completa la figura sovrana si deve aggiun­gere una sostanziale identità dell'atteggiamento del corpo e della posizione del volto e dello sguardo. Affrontando il tema del Cristo «cronocratore» e «cosmocratore» presente nella selva di statue della cattedrale romanica, de Cham-peaux e Sterckx evidenziano tale diretta relazione: i l tro­no, lo scettro, i l globo cosmico, la corona, i l libro della legge si presentano costantemente nell'uno come nell'al­tro soggetto; e conseguentemente la posa del reggitore. Anche i l volto e lo sguardo è i l medesimo, diretto a un os­servatore incommensurabilmente inferiore rispetto al contendente, eppure diretto e singolare destinatario del messaggio.

La terribilità della sproporzione fra i l personaggio rea­le e quello rappresentato, sentimento indubbiamente r i ­cercato nell'immaginario descritto, sia nell'universo ter­reno come in quello spirituale, si sposa singolarmente con l'eccezionalità d i una scelta singola che coinvolge non tanto i sudditi o i l gregge evangelico, quanto appun­to i l singolo individuo, a colloquio stringente con i l so­vrano/ giudice. Cosi è bene ricordare come i l gesto di una etichetta del potere sia omogeneo a quello del riguardan­te, che fisicamente giunge a contatto con l'immagine, o con i l sovrano reale, o con i l vicario di quello celeste, nel­lo spazio e nella osservanza di regole di rispetto altrettan­to canonizzate. La loroxonvenzionalità rende allora omo­geneo i l rapporto: i l gesto colto nel suo momento sa­liente (la mano alzata per ammaestrare o giudicare, l'ostensione o l'indicazione dello strumento di potere, ecc.) si connette con altri gesti, isolati e scanditi da una r i ­tualità appresa senza che vi possa essere libera interpre­tazione, possibile mutamento. M a l'etichetta, nella sua perentoria capacità normativa, è appunto elemento, spes­so trascurato i n una riflessione sulla funzione della rap­presentazione, che invece risulta di primaria importanza nel distinguere immagine da immagine, quella cultuale appunto, che stiamo brevemente citando, e quella all'op­posto legata a una funzione narrativa, cronachistica. E evidente che l'opposizione appena fatta può risultare dra­stica, forse anche non pertinente per un mondo capace di concatenare simbolicamente quotidiano, storia e eternità: che comunque la figura «frontale» che stiamo discutendo, abbia in ogni caso funzione diversa rispetto all'epi sodio della storia biblica, è elemento altrettanto certo, che legit­tima l'eventuale forzatura interpretativa. E i l rilievo d i ­venta evidente una volta che si osservi, come spinge a fa­re Shapiro nel percorso iconografico prima citato, la pre­senza di soluzioni «statiche», atemporali e direttamente coinvolgenti, in immagini dedicate appunto alla replica dell'episodio del passato. «La sola frontalità e simmetria

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di Mosè è un modo artistico di presentare una figura tra­scendente o un soggetto statico sacro; i l profilo ripetuto del contenuto simboleggiato è quello di un'azione che sta ancora continuando il cui carattere di rituale regolato è contrassegnato dalla sua differenza con la spontaneità e i l caos della battaglia». Così Shapiro commenta nella Bibbia moralizzata della Bodleian Library (ms. 270b) la posizio­ne differenziata dei protagonisti: in questo modo i due rapporti inizialmente indicati, quell'incrocio fra osserva­tore e posizione dei soggetti, si riassume: la staticità della posizione frontale, nella sua immediata relazione con i l r i ­guardante, accentua il carattere superiore al contingente ma continuamente rinnovabile mentre il «profilo» dei combattenti, più che una continuità nel tempo come ipo­tizzata da Shapiro, confina i medesimi nel congelamento della illustrazione, in uno spazio assolutamente estraneo all'osservatore.

Si è sottolineato in modo particolare l'importanza di questo privilegiato rapporto che la frontalità porta con sé, in quanto oltretutto fa coincidere il piano di lettura dell'immagine con i l «piano» della sua realizzazione, ma è bene ricordare come la «strada» e la collocazione fisica dell'osservante non abbiano le caratteristiche «appropria­l e » o comunque esplorative che Benvenuto Cellini cele­brerà a sostegno del primato della scultura rispetto alla pittura. La «vista» dell'immagine frontale - in questo caso parliamo dell'oggetto tridimensionale - conosce forzata­mente una soluzione unica, o comunque l imitat i percorsi di approccio determinati dalla sua «alterità» e dalla regola di rispetto che governa la frequenza fra i l feticcio religioso e i l profano. La frequenza con i l pr imo detta indagini es­plorative e conoscitive diverse rispetto a quelle laiche e estetiche di una cultura rinascimentale.

Il passaggio dalla frontalità alla rappresentazione di profilo viene comunque interpretato da Shapiro come «un più generale cambiamento dalla visione provviden­ziale cristiana a quella semplicemente empirica nell ' im-maginare le scene storiche dell 'Antico testamento, quelle stesse scene che una volta erano intese come simboli del nuovo» (p. 32). Senza escludere la possibilità di questo mutamento, che in ogni caso deve essere collegato con al­tr i «mutamenti» che si affacciano alle soglie del X I I I seco­lo in Europa, coincidente con la maturità del movimento gotico, con la coscienza di una storia ormai definitiva­mente affrancata dall'eredità classica, i due atteggiamenti della figura umana rappresentata sembrano rispondere a due differenti funzioni rispetto all'osservatore la cui con­tinuità supera l 'ambito medioevale per addentrarsi in una riflessione del fare pittura sullo sguardo «diretto» e indi ­retto rispetto all'osservatore che dalla trascendenza del Cristo pantocratore o della Sedes Sapientìae giunge alle so­glie laiche dell'autoritratto o al ritratto, nobile o borghe­se, fino alla soluzione vertiginosa dell 'autoritratto allo specchio, dove l'occhio del pittore coincide con la pro­pria immagine riflessa. Ma questo è percorso assoluta­mente diverso da quanto discusso in quest'ambito; i l suo richiamo è puramente funzionale all'osservazione della «sopravvivenza» del tema aldilà dell 'ambito cronologico

del mondo medioevale. Sguardo diretto all'osservatore e congelamento del ge­

sto nella figura d'etichetta più eloquente sono comunque i «luoghi» da cui occorre partire non tralasciando i l parti­colare vincolo che anche la scultura a tutto tondo dei se­coli del Romanico contrae con la dimensione ambientale. L'edifìcio sacro è elemento vivente, riassuntivo della sto­ria e delle testimonianze della salvezza; è anche «conteni­tore» come i l trono su cui è seduta la Vergine «contiene» la madre celeste, a sua volta ritratta in una posa avvolgen­te rispetto al figlio: che poi, nella frontalità del gesto e dello sguardo dei due protagonisti l'effetto sembra essere quello di una pura e semplice giustapposizione meccanica della donna sul sedile e del bambino sulla madre, questo è impressione condizionata da un pregiudizio stilistico o ancora della più perniciosa interpretazione «psicologica» dei personaggi e delle pose, assolutamente estranea all'universo di cui stiamo discutendo, almeno nella sua fa­se aurorale.

Se infatti si prende in esame l'immaginario scolpito che dai cicli delle cattedrali francesi si irradia in tutta Eu­ropa, proponendo una koiné assolutamente attenta ai va­lori plastici della tradizione indigena, i l passaggio cruciale da segnalare è quello della trasformazione del riguardante da attore direttamente coinvolto nel dialogo muto con l'immagine a spettatore: la quinta architettonica reale o allusa dalla pittura si trasforma in un palcoscenico in cui «avviene» un dramma. La volontà «narrativa» che aveva conosciuto nel romanico la figura dell'elenco, della suc­cessione non relazionata di figure o di singoli episodi, an­che quella dell'accumulo o della sovrapposizione, essen­do la legge dominante quella della «presenza» più che quella della relazione fra le parti, si trasforma in un ridise­gno che omogeneizza le diversità. I l vocabolario «teatra­le» cui si è fatto riferimento sembra a t u t t i g l i effetti asso­lutamente proprio : la soglia del palcoscenico, che distin­gue, in una convenzionale divisione di luoghi e di azioni, pubblico e attori, risponde all'esigenza di una verosimi­glianza della scena ritrattata nella scultura come nella pit­tura in quanto un nuovo senso della storia, non più ap­piattita in un «ieri-oggi» che prevede un domani prossi­mo e risolutivo ma dilatata nella durata dell'oggi, si affer­ma perentoriamente coinvolgendo i l grande come i l pic­colo gruppo, fino al dialogo in t imo e affettuoso fra la ma­dre e i l figlio. Alla varietà e all'intensità delle pose che ani­mano profeti, santi e sovrani della cattedrale di Naumburg si deve associare la versione «umanizzata» del gruppo del­la Vergine e del Bambino e la espansione dei soggetti sa­cri, che dilatano l ' immaginario recependo, dalla storia sa­cra, i soggetti più adeguati alla nuova sensibilità. Decisivo a questo effetto risulta essere i l già richiamato carattere «teatrale» che l 'immagine religiosa acquista: la soluzione del vincolo diretto fra lo spettatore e la statua ne libera at­teggiamenti e fisionomia: la dimensione dell'effettività del sacro, prima limitata all'inseguimento e al giudizio, si amplifica i n un ventaglio di atteggiamenti che progressi­vamente diventano indicazioni normative per la colletti­vità dei credenti.