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Francisco Varela, scienziato e filosofo di Francesca E. Magni È scomparso all'età di 54 anni uno dei ricercatori più fecondi e creativi del nostro tempo Ci sono persone che lasciano netta la sensazione di essere morte troppo presto, nonostante abbiano prodotto nel loro campo di studi molto di più della maggioranza dei propri contemporanei. Francisco Varela, neurobiologo ed epistemologo cileno, ultimamente dirigeva a Parigi il gruppo di ricerca "Dinamiche dei sistemi neuronali" del laboratorio di neuroscienze e Brain Imaging del Cnrs (National Institute for Scientific Research) presso l'ospedale universitario della Salpêtrière e insegnava scienze cognitive ed epistemologia all'École Polytechnique. Nato il 7 settembre 1946, aveva studiato medicina e scienze all'Università del Cile a Santiago, aveva ottenuto il Ph. D. in biologia all'Università di Harvard nel 1970 e in seguito aveva insegnato e condotto attività di ricerca in molti e prestigiosi Centri di ricerca e Università, come le Università di California di Berkeley, di New York, del Cile, del Costarica, del Colorado, il Max Planck Institut for Brain Research di Francoforte, il Polytechnical Institut di Zurigo, per citarne solo alcuni. Autopoiesi, Autonomia dei sistemi viventi, Chiusura operazionale La Francisco Varela's Home Page (nella quale recuperare articoli delle più prestigiose riviste scientifiche, come uno de La Recherche ma anche di giornali come Le Monde ) Una pagina web con materiale biografico e scientifico su Varela, dalla quale è possibile raggiungere un'altra pagina sulla teoria dell'autopoiesi Un sito in italiano dedicato all'opera di Humberto Maturana e Francisco Varela, nel quale reperire altri link Un breve articolo in italiano, che sintetizza la teoria dei sistemi autopoietici L'intervista per l'Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche I contributi che Francisco Varela ha portato nei campi delle neuroscienze, della biologia teorica, dell'immunologia, della cibernetica, dell'intelligenza artificiale, della teoria dei sistemi complessi e dell'epistemologia hanno avuto e hanno tuttora una portata fondamentale per lo sviluppo e la conoscenza di queste discipline. Basti pensare al concetto fondamentale di autopoiesi elaborato insieme al suo maestro Humberto Maturana, e proposto - oltre che negli articoli scientifici - anche in un loro famoso libro "L'albero della conoscenza". Il termine "autopoiesi" deriva dal greco "auto" (sé) e "poiesis" (creazione) ed è stato utilizzato da Maturana e Varela per indicare quella che per loro è la caratteristica fondamentale di sistemi viventi e cioè il fatto di possedere una struttura organizzata capace di mantenere e rigenerare nel tempo la propria unità e la propria autonomia rispetto alle continue variazioni dell'ambiente circostante, tramite la creazione delle proprie parti costituenti, che a loro volta contribuiscono alla generazione dell'intero sistema. I sistemi viventi quindi mantengono se stessi grazie alla produzione dei propri "sottosistemi" che

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Francisco Varela, scienziato e filosofodi Francesca E. Magni

È scomparso all'età di 54 anni uno dei ricercatori più fecondi e creativi del nostro tempo

Ci sono persone che lasciano netta la sensazione di essere morte troppo presto, nonostante abbiano prodotto nel loro campo di studi molto di più della maggioranza dei propri contemporanei. Francisco Varela, neurobiologo ed epistemologo cileno, ultimamente dirigeva a Parigi il gruppo di ricerca "Dinamiche dei sistemi neuronali" del laboratorio di neuroscienze e Brain Imaging del Cnrs (National Institute for Scientific Research) presso l'ospedale universitario della Salpêtrière e insegnava scienze cognitive ed epistemologia all'École Polytechnique. Nato il 7 settembre 1946, aveva studiato medicina e scienze all'Università del Cile a Santiago, aveva ottenuto il Ph. D. in biologia all'Università di Harvard nel 1970 e in seguito aveva insegnato e condotto attività di ricerca in molti e prestigiosi Centri di ricerca e Università, come le Università di California di Berkeley, di New York, del Cile, del Costarica, del Colorado, il Max Planck Institut for Brain Research di Francoforte, il Polytechnical Institut di Zurigo, per citarne solo alcuni.

Autopoiesi, Autonomia dei sistemi viventi, Chiusura operazionale

• La Francisco Varela's Home Page (nella quale recuperare articoli delle più prestigiose riviste scientifiche, come uno de La Recherche ma anche di giornali come Le Monde)

• Una pagina web con materiale biografico e scientifico su Varela, dalla quale è possibile raggiungere un'altra pagina sulla teoria dell'autopoiesi

• Un sito in italiano dedicato all'opera di Humberto Maturana e Francisco Varela, nel quale reperire altri link• Un breve articolo in italiano, che sintetizza la teoria dei sistemi autopoietici• L'intervista per l'Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche

I contributi che Francisco Varela ha portato nei campi delle neuroscienze, della biologia teorica, dell'immunologia, della cibernetica, dell'intelligenza artificiale, della teoria dei sistemi complessi e dell'epistemologia hanno avuto e hanno tuttora una portata fondamentale per lo sviluppo e la conoscenza di queste discipline. Basti pensare al concetto fondamentale di autopoiesi elaborato insieme al suo maestro Humberto Maturana, e proposto - oltre che negli articoli scientifici - anche in un loro famoso libro "L'albero della conoscenza". Il termine "autopoiesi" deriva dal greco "auto" (sé) e "poiesis" (creazione) ed è stato utilizzato da Maturana e Varela per indicare quella che per loro è la caratteristica fondamentale di sistemi viventi e cioè il fatto di possedere una struttura organizzata capace di mantenere e rigenerare nel tempo la propria unità e la propria autonomia rispetto alle continue variazioni dell'ambiente circostante, tramite la creazione delle proprie parti costituenti, che a loro volta contribuiscono alla generazione dell'intero sistema. I sistemi viventi quindi mantengono se stessi grazie alla produzione dei propri "sottosistemi" che

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producono a loro volta l'organizzazione strutturale globale necessaria per mantenerli e produrli. I sistemi viventi sono visti come strutture autonome e dodate di chiusura operazionale, in cui il sistema si trova in una situazione di completo autoriferimento, in cui cioè pensa solo al proprio mantenimento e tutte le azioni che sembra compiere verso l'esterno sono in realtà atte a mantenere la propria integrità rispetto alle perturbazioni ambientali. Famosa è la frase di Varela:

Le conseguenze delle operazioni del sistema sono le operazioni del sistema

che bene presenta il concetto di chiusura operazionale, che non vuol dire per nulla isolamento, ma è legato a un autocomportamento in cui le operazioni di un sistema complesso, costituito da elementi interconnessi, hanno come risultato un'operazione che cade ancora entro i confini del sistema stesso e della propria dinamica interna. Punto di vista quello di Varela, detto dei "sistemi autonomi", che si contrappone - anche se non totalmente e con la ferma intenzione di conciliarsi - a quello classico dei "sistemi eteronomi" in cui la logica di relazione fra le parti è di corrispondenza (mentre quella di Varela è di coerenza), in cui il tipo di organizzazione è di input/output (al contrario degli autocomportamenti della chiusura operazionale) e in cui soprattutto il modo di interazione è di tipo istruttivo e rappresentazionale, mentre quello di Varela implica la produzione di un mondo, la creazione di un senso; significato che non esisteva prima dell'attività del sistema e che è come un "effetto collaterale", che emerge imprevedibile e inseparabile dall'attività sistemica stessa. Sistemi autonomi sono, oltre agli organismi pluricellulari, anche il sistema nervoso e quello immunitario (la "teoria della rete autonoma" di Varela considera l'io del sistema immunitario come definito dalla dinamica della rete immunitaria stessa, che ignora tutto ciò che non rientra nel proprio dominio cognitivo e che ha una propria attività autonoma) e non ultime la cognizione e la coscienza, studiate da Varela come veri e propri fenomeni biologici.

"il cervello non è un computer"

"la coscienza non è nella testa"

In un'intervista a "Le Monde" del 18 febbraio 1999, Varela dichiara:

dall'età di 9 o 10 anni, una sola domanda mi tormentava: come comprendere il rapporto fra il corpo, così "fisico", così pesante e il mentale, vissuto come effimero quasi "atmosferico"

Il dualismo fra mente e corpo è superato da un'ottica che considera le relazioni, come si legge in un'altra intervista per l'Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche del 7 gennaio 2001:

La nostra identità in quanto individui è di una natura del tutto peculiare. Da un lato si può dire che esiste. Mi dicono: Buongiorno, Francesco, ed io sono capace di rispondere, di avere delle relazioni con gli altri. Dunque c'è una specie di interfaccia, di collegamento [couplage] col mondo, che dà l'impressione di un certo livello di identità e di esistenza. Ma al tempo stesso questo processo è di natura tale che appunto, come in tutti i processi emergenti, io non posso localizzare questa identità, non posso dire che si trovi qui piuttosto che là, la sua esistenza non ha un locus, non ha una collocazione spazio-temporale. È difficile capire che si tratta di una identità puramente relazionale e così nasce la tendenza a cercare i correlati neuronali della coscienza, per trovarli nel neurone 25 o nel circuito 27. Ma non è possibile, perché si tratta di una identità relazionale, che esiste solo come pattern relazionale, ma è priva di esistenza sostanziale e materiale. Il pensiero che tutto quello che esiste deve avere esistenza sostanziale e materiale è il modo di pensare più antico della tradizione occidentale ed è molto difficile cambiarlo.

In questa intervista Varela affronta anche il tema della coscienza:

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Non posso separare la vita mentale, la vita della coscienza, la vita del linguaggio o la vita mediata dal linguaggio, l'intero ciclo dell'interazione empatica socialmente mediato, da ciò che chiamo coscienza. Dunque ancora una volta tutto questo si svolge non all'interno della mia testa, ma in modo decentrato, nel ciclo. Il problema del Neuronal Correlate of Consciousness è mal posto perché la coscienza non è nella testa. Insomma, la coscienza è un'emergenza che richiede l'esistenza di questi tre fenomeni o cicli: con il corpo, con il mondo e con gli altri. Naturalmente il cervello mantiene un ruolo centrale, poiché costituisce la condizione di possibilità di tutto il resto, il che però non toglie che, così come era impossibile parlare di una relazione materiale in senso proprio a proposito della rete immunitaria, allo stesso modo è impossibile credere che in questo o in quel circuito cerebrale risieda la coscienza.

Francisco Varela ha in ogni momento accompagnato l'attività di ricerca scientifica con una corrispondente filosofica, di matrice fenomenologica, nonostante gli anni trascorsi negli Stati Uniti in un ambiente fondamentalmente analitico. Siamo di fronte a una personalità di altissimo valore intellettuale e creativo, che negli anni Ottanta ha perfino studiato l'attività cerebrale di monaci tibetani in meditazione, per approfondire i propri studi cognitivi e che ultimamente stava lavorando su pazienti epilettici per cercare di capire il fenomeno e di trovare un'eventuale cura. Uno scienziato che confidava di poter un giorno ricostruire artificialmente la vita per poter avere la prova sperimentale definitiva della correttezza delle proprie teorie su di essa. Ora che la vita lo ha abbandonato, si spera che continuino a esistere intelligenze simili alla sua capaci di portare avanti tali ricerche scientifiche e filosofiche.

Hyperlink Documento: Intervista a Varela

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Humberto Maturana

(Santiago del Cile, 14 settembre 1928) è un biologo e filosofo cileno.

"Quando si mette l’oggettività tra due parentesi, tutte le vedute, tutte le direzioni nella multidirezionalità sono ugualmente valide. Se capiamo questo, perdiamo la passione per il cambiamento dell’altro. Uno dei risultati è che si può apparire indifferenti alle altre persone. Invece chi non vive con l’oggettività tra parentesi ha una vera passione per cambiare l’altro. Quindi loro hanno questa passione e tu no. Nell’Università dove lavoro, ad esempio, la gente dice. "Humberto non è veramente interessato a niente!" E questo perchè io non ho una passione dello stesso orientamento di quella della gente che vive con l’oggettività senza parentesi. Penso che questa sia la maggiore difficoltà. Ad altre persone puoi sembrare troppo tollerante. Tuttavia, se anche gli altri mettono l’oggettività tra parentesi, puoi scoprire che il disaccordo può essere risolto entrando in un dominio di Co-inspirazione, nel quale le cose vengono fatte insieme perchè i partecipanti vogliono siano fatte. Con l’oggettività tra parentesi è facile fare le cose assieme perchè l’uno non squalifica l’altro nel processo di farle."

Humberto Maturana -Intervista- 1985

* * *

Humberto Maturana [1928 ] Biologo; Cibernetico, Scienziato, ha inventato la sua teoria dell’autopoiesi proseguendo sul percorso di Bateson, Wittgenstein, G.B. Vico con la sua teoria dei Corsi e Ricorsi, Paul Weiss con la nozione di Autoproduzione, e di molti altri. Ha trascorso la sua

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carriera elaborando questa teoria attraverso un programma di ricerca biologica nel suo laboratorio di Santiago del Chile (sulla cui entrata è scritto ‘Laboratorio sperimentale di epistemologia). Conosciuto in tutto il mondo come Humberto (eccetto in Italia ove è ‘Umberto’), continua ad elaborare la sua teoria generando evidenza sperimentale che assecondi la tesi secondo cui la realtà è una costruzione consensuale della comunità nel momento in cui appare "oggettivamente" esistere. La nozione di "oggettività" è sostituita da quella di "costruttivismo".

Maturana è uno dei più importanti scienziati e ricercatori che studiano il pensiero e il comportamento individuale e sociale nell'integrazione tra corpo e mente. Studioso e teorico di biologia e cibernetica, sviluppò la teoria originale dell'autopoiesi (il termine autopoiesi fu inventato da Maturana parlando con suo amico del dilemma di don Chisciotte che consisteva nello scegliere tra il sentiero delle armi praxis e quello delle lettere poiesis). Per questo sono state importanti le idee di autori come Gregory Bateson, Ludwig Wittgenstein, Giambattista Vico, Paul Weiss e altri, integrando scienza, filosofia e umanistica. Il suo lavoro consiste in una ricerca di epistemologia sperimentale con la tesi che la realtà sia una esperienza dell'osservatore che spiega - per così dire - a sé stesso l'esperienza del "sé stesso" da quella del "non sé stesso": come si esprime nel suo stesso linguaggio criptico Maturana: "Il sè nasce linguisticamente nella ricorsività linguistica che costruisce l'osservatore come entità spiegandone il funzionamento entro un dominio di distinzioni consensuali. L'autocoscienza nasce linguistamente nella ricorsività linguistica che costruisce la distinzione del sè come entità quando spiega il funzionamento dell'osservatore che, in un dominio consensuale di distinzioni, distingue il se da altre entità. Dunque la realtà sorge insieme con l'autocoscienza linguisticamente come spiegazione della distinzione tra sè e non-sè nella prassi dell'osservatore. Il sè, l'autocoscienza e la realtà esistono nel linguaggio come spiegazione dell'esperienza immediata dell'osservatore." (Maturana H., Autocoscienza e Realtà, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993); per tale ragione il concetto di oggettività è stato sostituito da Maturana con quello di "Multiversum", termine che indica come la "realtà" sia un percorso cognitivo che spiega la prassi dell'osservatore e pone dunque tra parentesi la pretesa di un'oggettività da descrivere indipendentemente da chi la osserva (Maturana, H.R., Varela, F.J., 1987, L'albero della conoscenza, Milano, Garzanti).

Bibliografia

Ha pubblicato in Italia insieme a Francisco Varela:• Maturana, H.R., Varela, F.J., 1985, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente,

Venezia, Marsilio [Autopoiesis and Cognition. The Realization of the Living, 1980]• Maturana, H.R., Varela, F.J., 1987, L'albero della conoscenza, Milano, Garzanti [El árbol

del conocimiento, 1984]

Da solo, ha pubblicato in Italia:• Maturana H., Autocoscienza e Realtà, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993

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Steve Jobs. Ha trasformato vita tecnologia e consumi degli ultimi 30 anni. Così bravo a vendere le sue idee che quando pronuncia la parola business tutti sentono la parola amore.

"Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario." Così amava parlare Steve jobs e i fatti lo hanno dimostrato. Nelle nuove tecnologie è stato un autentico pioniere e lo stesso dicasi per l'universo Pixar, casa cinematografica d'animazione autentica e autoriale fabbrica di sogni che ha stupito il mondo dai primi anni '90 a oggi.

Tutti a dire quanto è stato grande, quanto ha influito sul mondo di ieri, di oggi e di domani. Ma quali sono le tappe principali della carriera folgorante di Steve Jobs, tale da spararlo nell’Olimpo della tecnologia? Ok, citarne una manciata è poco, ne taglia fuori tante, ognuno probabilmente ha le sue, noi abbiamo provato a stilare le nostre. E no, non parliamo solo del decorso della malattia: lo stanno facendo già in troppi, così si rischia di dimenticarsi di tutto il resto.

1955Steven Paul Jobs nasce il 24 Febbraio a San Francisco, da Joanne Simpson e Abdulfattah Jandali. Viene dato in adozione a Paul e Clara Jobs, di Mountain View.

1974Dopo gli studi, Jobs è assunto come tecnico ad Atari: il suo obiettivo è guadagnare denaro per ritirarsi spiritualmente in India per qualche tmepo, cosa che fa poco dopo.

1976Steven Paul Jobs, all’età di 21 anni, fonda Apple con l’amico Steve Wozniak. La leggenda vuole che per farlo abbia venduto il suo amato furgoncino Volkswagen.

1976

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Apple lancia quasi subito, sul mercato, il suo primo computer: Apple I. progettato dal magico duo, ha un prezzo di 666,66 dollari, perché Wozniak ama le cifre ripetitive.

1977Il buon successo commerciale (più di 1000 esemplari venduti) convince Jobs a lanciare Apple II.

1978Nasce la prima figlia di Jobs, Lisa Brannan-Jobs, avuta dalla fidanzata di allora: la pittrice Chrisann Brennan.

1980Apple diventa una società per azioni: il suo valore schizza del 700%, toccando quota 139 milioni di dollari. Un’enormità.

1985Jobs lascia la posizione di CEO dell’azienda da lui fondata, sulla scia di alcuni problemi patiti dai ultimi computer lanciati sul mercato. Fonda NeXT, altra azienda informatica dedicata al mondo professionale.

1986Jobs acquisisce una divisione di Lucasfilm dedicata alla computer grafica. È una certa Pixar Animation Studios, che rivenderà poi a Walt Disney Company vent’anni più tardi.

1991Jobs si sposa il 18 Marzo, con Laurene Powell, con rito buddista.

1996Apple, dopo anni fallimentari (perdite per due miliardi negli ultimi due anni) acquisisce NeXT per 429 milioni di dollari e rimette Jobs a capo del gruppo, in qualità di CEO “ad interim”. Jobs si attiva subito: semplifica il processo di produzione e riprogetta tutta la gamma. Con un occhio sul mercato domestico.

1998Apple lancia iMac, un computer “tutto in uno”, che unisce cabinet e monitor, e vanta colorazioni sgargianti. Le azioni dell’azienda, per la prima volta dopo tanti anni, schizzano.

2000Steve diventa CEO a tutti gli effetti, mentre Apple lancia il fortunato Mac G4 Cube.

2001Due date ravvicinate: il 18 Ottobre Apple annuncia un crollo di fatturato del 61%, tre giorni dopo è lo stesso Jobs a presenta al mondo l’iPod. C’è spazio per 1000 canzoni e un’autonomia che arriva a 10 ore. Steve uccide in un sol colpo il CD.

2002Al Macworld Jobs presenta il portatile iBook e una nuova versione di iMac.La risposta del mercato, però, è tiepida.

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2003Jobs introduce il negozio di musica online iTunes: l’industria discografica ci intravede lo strumento per bloccare la pirateria, gettandosi a capofitto nel progetto (a dirla tutta, non le è andata proprio benissimo).

2004Jobs annuncia ai suoi dipendenti la malattia: cancro al pancreas. Dopo una cura, decide di operarsi nelo stesso anno, risolvendo in apparenza il problema.

2005Steve Jobs viene chiamato a tenere il “commencement speech”, il discorso di apertura dell’anno accademico, nell’università di Stanford. È qui che recita il suo discorso passato alla storia.

2006La sua apparizione alla Wordwide Developers Conference lo rivela ancora sofferente, sebbene Apple si affretti a comunicare che è in buona salute.

2007Apple, sotto la spinta di Jobs, entra in modo epocale nel mercato della telefonia: è il momento di iPhone.

2010L’ultimo, grande, colpo di Steve: iPad. Il concorrente di Kindle smuove un settore, quello dei tablet, che mai era riuscito ad affermarsi.

2011Jobs lascia la carica di CEO di Apple.

“Stay hungry, stay foolish”

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http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=UF8uR6Z6KLc

“Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è sull’unire i puntini.

Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato?

E’ cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere adottato da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero all’ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete voi?” Loro risposero: “Certamente”. Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accetto di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.

Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che

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spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta la loro vita. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio Hare Krishna: l’unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.

Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la miglior formazione del Paese relativamente alla calligrafia. Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.

Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita.La mia seconda storia è a proposito dell’amore e della perdita

Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un’azienda con noi due e un garage in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima avevamo appena realizzato la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato licenziato. Come si fa a venir licenziati dall’azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene.

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Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa.

Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creatvi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT e poi un’altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia.

Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E’ stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realimente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate.La mia terza storia è a proposto della morte

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il

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modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi “addio”.

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie – che era là – mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento chirurgico e adesso sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della Vita. E’ l’agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità.

Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E’ stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. E’ stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E’ stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate

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affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.

Stay Hungry. Stay Foolish.

Grazie a tutti.”

fonte: MacBlog

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Fritjof CapraDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Fritjof Capra

Fritjof Capra (Vienna, 1º febbraio 1939) è un fisico e saggista austriaco. Fisico e teorico dei sistemi con tendenze mistiche di ascendenza orientale, è saggista di fama internazionale. Diventato immediatamente famoso con Il Tao della fisica, del 1975, tradotto in italiano nel 1982 (Adelphi) ha visto la sua fama aumentare con la ristampa del 1989. Si è occupato anche di sviluppo sostenibile, ecologia e teoria della complessità. Così egli ha descritto la sua intuizione della realtà spirituale:

« Cinque anni fa ebbi una magnfica esperienza che mi avviò sulla strada che doveva condurmi a scrivere questo libro. In un pomeriggio di fine estate, seduto in riva all’oceano, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando all’improvviso ebbi la consapevolezza che tutto intorno a me prendeva parte a una gigantesca danza cosmica. […] Sedendo su quella spiaggia, le mie esperienze precedenti presero vita; “vidi” scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e si distruggevano particelle con ritmi pulsanti; “vidi” gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a quella danza cosmica di energia; percepii il siuo ritmo e ne “sentii” la musica: e in quel momento “seppi” che questa era la danza di Śiva, il Dio dei Danzatori adottato dagli Indù. »

( Il Tao della fisica,ed.Adelphi 1993, pag.11 )Capra parte dall'osservazione che la fisica moderna, con la teoria della relatività di Albert Einstein e la meccanica quantistica (interpretata in maniera mistica), presenta un quadro diverso da quello materialistico, con forti elementi spiritualistici. Le "particelle" subatomiche sono in realtà concentrazioni di energia pura in vibrazione piuttosto che vere e proprie entità materiali. Secondo Capra il fisico non deve osservare ma partecipare:

« L’idea di “partecipazione invece di osservazione” è stata formulata solo recentemente nella fisica moderna, ma è un’idea ben nota a qualsiasi studioso di misticismo. La conoscenza mistica non può mai essere raggiunta solo con l’osservazione, ma unicamente mediante la totale partecipazione con tutto il proprio essere. »

( Il Tao della fisica,ed.Adelphi 1993, pag.161 )Secondo Capra il fisico deve avere una visione mistica della realtà:

« I fisici, come abbiamo visto prima, si accontentano di una conoscenza approssimata della natura. I mistici orientali, viceversa, non sono interessati alla conoscenza approssimata, “relativa”, ma vogliono raggiungere la conoscenza “assoluta”, la quale comporta una conoscenza della totalità della vita. ……Un’ulteriore somiglianza tra la via del fisico e quella del mistico è il fatto che le loro osservazioni avvengono in campi

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che sono inaccessibili ai sensi ordinari: per la fisica moderna, il campo del mondo atomico e subatomico; per il misticismo gli stati non ordinari di coscienza, nei quali il mondo dei sensi viene trasceso. »

( Il Tao della fisica,ed.Adelphi 1993, pag.354-355)

Il pensiero

Già nel libro Il Tao della fisica (Adelphi), che ha avuto grande successo ed è stato ristampato in varie lingue, l’autore critica il modello di scientificità (di derivazione cartesiana) prevalente nel mondo moderno occidentale, in quanto contrassegnato da un’impostazione meccanicistica, quantitativa e riduzionistica, che non corrisponde alla complessità del reale. Il suo successo sarebbe dovuto non alla portata teoretica, bensì ai risvolti pratici, in quanto tale paradigma scientifico avrebbe facilitato e potenziato il predominio dell’uomo sulla natura, così come auspicato da Cartesio, da F. Bacone e da altri “padri” della modernità.

Secondo Capra, vi è un intimo legame tra la gravissima crisi ambientale del nostro tempo e il tipo di cultura anti-ecologica affermatasi in Occidente negli ultimi secoli. Egli teorizza l’avvento di un nuovo paradigma, ricavabile dagli sviluppi della “nuova fisica” (e di altri settori della scienza contemporanea), ma anche dal misticismo orientale (Taoismo in primo luogo) e da varie altre saggezze premoderne orientate ecologicamente. Si tratta di elaborare un nuovo pensiero, caratterizzato in senso olistico, o meglio sistemico: esso viene così denominato perché privilegia il sistema, cioè la rete complessa costituita dalle molteplici interrelazioni, e non le singole unità costitutive (come voleva l’approccio analitico di stampo cartesiano). Seguendo tale orientamento che privilegia la “rete della vita” (immagine di grande efficacia più volte impiegata da Capra) e le interconnessioni cosmiche, l’uomo stesso è visto come parte della natura (e non in contrapposizione ad essa). Le implicazioni che ne discendono sono innumerevoli: qui ci limitiamo a sottolineare che la natura non è più ridotta ad oggetto di arbitrarie manipolazioni tecnologiche; al contrario, Capra osserva che noi dobbiamo imparare dai cicli della natura e dai principi organizzativi degli ecosistemi, anche con lo scopo improrogabile di costruire delle comunità sostenibili, capaci di ridurre l’impatto ecologico. Questo obiettivo non è più rinviabile, data la gravità della crisi ambientale a livello planetario: in funzione di ciò, Capra ha fondato a Berkeley il Center for Ecoliteracy, che come suggerisce il nome, si propone di promuovere l’ecoalfabetizzazione, la cui portata e urgenza è così delineata dallo stesso Capra: “…l’ecoalfabetizzazione è una dote essenziale per i politici, gli uomini d’affari e i professionisti in tutti i campi. Di più, l’ecoalfabetizzazione sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità nel suo insieme, quindi costituirà la parte più importante dell’educazione a ogni livello”. Nel presentare il valore formativo dell’educazione ecologica, Capra si ispira all’ecologia profonda, nel mentre prende le distanze dall’ecologia superficiale, in quanto caratterizzata in senso antropocentrico ed efficientistico; infatti “nell’ecologia superficiale gli esseri umani sono posti al di sopra e al di fuori della natura e, ovviamente, questa prospettiva si accorda con il dominio sulla natura…alla natura si attribuisce esclusivamente un valore d’uso, un valore strumentale. L’ecologia profonda vede gli esseri umani come parte integrante della natura, come nient’altro che un filo speciale nel tessuto della vita” [1].

Il Tao della fisica

Nel libro Il Tao della fisica Capra elenca una vasta serie di "affinità" tra il quadro che sembra emergere dalla fisica contemporanea e gli insegnamenti delle religioni orientali (Induismo,

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Buddhismo, Taoismo) e i relativi sistemi filosofici. L'universo sarebbe la manifestazione di un unico campo astratto di intelligenza universale, che darebbe origine ad ogni forma e le sue parti sarebbero intimamente connesse a formare un grande organismo unitario. In questa visione, importanza decisiva viene attribuita alle onde e al concetto di vibrazione, che sostituisce il concetto tradizionale e statico di materia (che di fatti è superato dall'attuale fisica nucleare e subnucleare).

Il punto di svolta e successivi

Nel libro Il punto di svolta e nei successivi, Capra si allontana dagli argomenti prettamente scientifici e filosofici per affrontare temi politici, economici ed ecologici, che secondo lui deriverebbero in modo naturale dalla nuova concezione scientifica. Tali sviluppi hanno ispirato lo sviluppo di nuove discipline come l'ecopsicologia e sono stati ripresi da saggisti come la psicologa italiana Marcella Danon ma non sono stati seguiti o condivisi da altri scienziati che pure si trovavano in sintonia con i temi de Il Tao della fisica, come ad esempio John Hagelin.

Critiche al mercato globale del capitale

Quanto segue è un riassunto delle teorie espresse ne Il punto di svolta e altri lavori di Capra. Capra pone le seguenti critiche al commercio globale condivise anche da altri economisti:

• Il trasporto e la produzione di un bene costano sì in termini di lavoro, ma anche e soprattutto di consumo di risorse e di inquinamento. Il prezzo reale del prodotto dovrebbe riflettere il danno ambientale dovuto sia al consumo delle risorse durante la produzione (foresta, territorio), sia all'inquinamento dovuti al trasporto.

• Al momento, i paesi del G7, circa il 20% della popolazione, usano l'80% delle risorse. Mantenendo la stessa efficienza, per portare tutti allo stesso livello occorrerebbero il 400% delle risorse. Dato che al massimo abbiamo il 100%, bisognerà ridurre ad un quarto o meno la necessità di materie prime per la produzione.

• Per portare tutto il mondo al reddito procapite medio dell'Europa o degli USA sarebbe necessario raggiungere un rapporto reddito procapite/risorse utilizzate insostenibile.

In generale, quanto sopra vale anche per le categorie svantaggiate che vivono nei paesi ricchi, in quanto è sempre necessario aumentare reddito e risorse utilizzate (dal nulla nulla si produce). Inoltre, si ha come corollario che per far progredire i paesi sottosviluppati è meglio dar loro conoscenze avanzate, piuttosto che far loro ripercorrere lo sviluppo dei paesi più ricchi, passando per legna - carbone - petrolio, e spingerli ad utilizzare tecnologie sostenibili: gas naturale, energia solare, eolica, etc.

Riassumendo le critiche, costruire una rete commerciale che non sia sostenibile, ossia che porti all'esaurimento delle risorse, per far sviluppare i paesi poveri, è svantaggioso principalmente per due motivi:

• perché al più farebbero aumentare il reddito per pochi decenni• perché le risorse si esaurirebbero, con lo svantaggio di aver aumentato l'inquinamento e

precluso la strada ad altri metodi di sviluppo, avendo impoverito il territorio.Secondo questo punto di vista, così come impostato il commercio equo-solidale non è sostenibile, perché il prezzo reale dovrebbe riflettere i costi necessari per riparare ai danni all'ecosistema causati dalla produzione, trasporto e vendita di un bene. Per di più, la mancanza di risorse necessarie per ripercorrere il processo di sviluppo tecnologico dei paesi e delle categorie svantaggiate rendono

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inadatti i processi e le economie attuali, non abbastanza flessibili per poter garantire il livello di rendimento richiesto.

Va dunque ripensata la base delle interazioni economiche e dei processi produttivi. Questo non significa che le categorie e i paesi svantaggiati debbano patire la fame, la sete, le malattie o rimanere al livello del neolitico, ma che si debbano utilizzare altri tipi di processi produttivi.

Capra fa l'esempio delle "Economic Networks", ossia reti di sistemi produttivi che utilizzano l'uno gli scarti dell'altro come materia prima, che sono molto più competitive e tendono ad ottimizzare complessivamente le produzioni, utilizzando teoricamente la sola luce del sole. Si tratta in pratica di ecosistemi di fabbriche, studiati dallo ZERI (Zero Emissions Research and Initiatives). Non sono l'unico tipo di progetti simili, denominati genericamente Zero Emissions, tuttavia sono l'unico, al momento, che sia già stato sperimentato con successo, in Benin, Brasile, Colombia, Figi, Namibia e Zimbabwe, senza l'apporto di capitali stranieri, potendo vendere i loro prodotti a prezzi di mercato, e soprattutto grazie al solo impegno delle comunità locali - nessun apporto tecnologico non riproducibile in loco.

La critica fondamentale è che sembra irragionevole essere solidali con qualcuno comprando beni prodotti e trasportati con dei metodi che non possano essere utilizzati nel lungo periodo, che siano dannosi o che siano peggiori di altri e che siano alla portata delle categorie più svantaggiate come le carceri o comunità di recupero.

Opere

• Il Tao della fisica, Adelphi, 1982, ISBN 8845906892 (The Tao of physics, 1975)• Il punto di svolta, Feltrinelli, 1984, ISBN 8807811170 (The turning point, 1982)• La rete della vita, Rizzoli, 2001, ISBN 8817126802• La scienza della vita, Rizzoli, 2002, ISBN 8817869961• La scienza universale. Arte e natura nel genio di Leonardo, Rizzoli, 2007, ISBN

881701775-6• Verso una nuova saggezza• L’universo come dimora (con Steindl-Rast)• Ecoalfabeto• La botanica di Leonardo. Un discorso sulla scienza delle qualità, Aboca: International

Lectures on Nature and Ecology, 2009 ISBN 978-88-95642-22-2

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Michael Tomasello

Michael Tomasello è codirettore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia. Tra le sue pubblicazioni "Le origini culturali della cognizione umana" (il Mulino, 2005).

Tomasello was born in Bartow, Florida. He received his bachelor's degree from Duke University and his doctorate from University of Georgia.[1] He was a professor of psychology at Emory University in Atlanta, Georgia during the 1980s and 1990s[1] before moving to Germany.

He has worked to identify the unique cognitive and cultural processes that distinguish humans from their nearest primate relatives, the great apes. He studies the social cognition of great apes at the Wolfgang Köhler Primate Research Center in Leipzig. In his developmental research he has focused on how human children become members of cultural groups, focusing in recent years on uniquely human skills and motivations for shared intentionality: joint intentions, joint attention, prosocial motives, and social norms.

Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccolidi Michael Tomasello

Contenuto del libro

Siamo angeli di generosità o diavoli di egoismo? Come guardiamo al nostro prossimo? E cosa ci distingue dagli altri animali? Sono domande antiche, interrogativi che rappresentano una sfida difficile per noi tutti. In questo libro, lo psicologo Michael Tomasello cerca nuove risposte, affrontando un tema a prima vista molto complesso a partire da un'osservazione semplice e quotidiana: qualsiasi bambino è naturalmente socievole e disposto all'aiuto, ben prima che i genitori gli insegnino a riconoscere quello spazio definito e omogeneo che siamo abituati a chiamare "buona educazione". Per capire se questo carattere è davvero innato, Tomasello ha deciso di studiare con esperimenti di laboratorio il comportamento dei bambini tra il primo e il secondo anno di vita. I risultati sono stati sorprendenti. Sì, perché i piccoli di uomo sembrano davvero unici nella loro tendenza, fin dalle primissime fasi dell'esistenza, ad aiutare il prossimo, mettendo da parte il vantaggio individuale. Con prodigiosa chiarezza, Tomasello non solo ci spiega i meccanismi psicologici che guidano le prime manifestazioni di collaborazione, ma ci fa anche capire meglio le straordinarie forme di organizzazione e di civiltà che caratterizzano l'esistenza dell'uomo. Il mondo

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in cui viviamo, le norme culturali, le leggi, le istituzioni: niente di tutto questo esisterebbe senza tolleranza e fiducia, che sono probabilmente l'unico vero grande vantaggio evolutivo della specie umana.

“Le origini culturali della cognizione umane”

di Michael Tomasello

recensione di Luisa Sampugnaro, marzo 2009

Se poniamo mente alla cognitività umana, ovvero al livello specie-specifico di complessità che essa attualmente esibisce e alle abilità di cui è costituita, come non domandarsi se tutto questo sia frutto dei soli meccanismi di variazione genetica e selezione naturale? Michael Tomasello (Le Origini Culturali della Cognizione Umana, trad. it. di M. Ricucci, Il Mulino, Bologna 2003) sostiene che la soluzione all’enigma posto dalla comprensione della cognitività umana contenga anche altre importantissime variabili, ed una in particolare. Tenuto conto che il tempo evolutivo che separa la nostra specie dalle grandi scimmie antropomorfe (rispetto ad un comune antenato) è di soli sei milioni di anni, bisogna comprendere come in questo tempo relativamente breve la specie umana abbia messo in moto una vera e propria rivoluzione cognitiva, la quale si manifesta in abilità del tutto specie-specifiche, come inventare e mantenere comunicazione, strumenti, forme di rappresentazione simbolica e artefatti culturali complessi e condivisi. Secondo l’autore «vi è un solo meccanismo biologico noto che possa produrre in così breve tempo cambiamenti comportamentali e cognitivi come questi: [...] la trasmissione sociale o culturale, che opera su scale temporali inferiori (rispetto alla filogenesi)» (Ivi, pagg. 21-22).

L’idea che informa tutto il testo è che un solo adattamento biologico abbia prodotto nell’uomo una nuova forma di cognizione sociale, abilitando processi culturali i quali non fanno sorgere nuove abilità cognitive, bensì volgono le preesistenti (che l’uomo condivide con gli altri primati) verso nuovi esiti, inserendo la cognizione umana in una dimensione altamente sociale e collettiva, per il resto sconosciuta al resto del mondo animale. L’adattamento biologico in oggetto è la “comprensione dei conspecifici come essere intenzionali al pari del Sé”.

In che modo la cognizione dell’uomo differisce da quella degli altri primati?

La personale risposta dell’autore a questa domanda si va dispiegando per il testo attraverso due direttrici fondamentali: innanzitutto la riconsiderazione sotto una giusta luce delle cosiddette forme culturali presso i primati non umani, soprattutto gli scimpanzé; secondariamente una riconsiderazione del ruolo dell’ontogenesi nella costituzione delle specifiche abilità cognitive umane.

Tra tutte le scimmie antropomorfe, quelle che sono state ritenute avere forme “culturali” più complesse ed evidenti sono gli scimpanzé (Pan troglodytes), i quali hanno una serie di tradizioni comportamentali popolazione-specifiche che vengono tramandate di padre in figlio, riguardanti l’uso di segnali, di strumenti, e alcuni gusti alimentari. La trasmissione di forme culturali si fonda sull’imitazione e lo scopo di Tomasello è dimostrare che presso gli scimpanzé siano in atto altre forme rispetto all’apprendimento imitativo, e che per questo non si possa parlare di fenomeni culturali così come sono generalmente intesi per gli esseri umani. Il discrimine fondamentale da cui discende l’impossibilità di imitazione presso i primati non umani è che essi non colgono l’intenzionalità sottesa delle azioni, per cui sostanzialmente apprendono attraverso l’emulazione ed

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eventualmente sono protagonisti di “ritualizzazione ontogenetica”. Nell’apprendimento emulativo lo scimpanzé eccelle nel cogliere le proprietà dinamiche di un oggetto, scoperto attraverso l’uso che ne fanno gli altri, ma non risulta in grado di apprendere una strategia comportamentale in quanto tale; un esempio su tutti, rispetto a questo tipo di apprendimento, è il famigerato lavaggio delle patate presso alcune famiglie di macachi giapponesi.1 Nella ritualizzazione ontogenetica, cui si fa riferimento soprattutto nello studio della comunicazione gestuale tra gli scimpanzé, «due individui creano un segnale comunicativo modellando l’uno il comportamento dell’altro attraverso la ripetizione di una interazione sociale» (Ivi, pag. 50), ma anche qui senza un’interpretazione del comportamento degli altri in termini di distinzione mezzi/scopi.

L’apprendimento imitativo sancisce un altro livello di consapevolezza intenzionale, per cui il soggetto vede al di fuori di sé un’azione (comprendendone lo scopo sotteso) e riproduce quel comportamento, essendo dotato dello stesso scopo di colui che l’ha eseguito.

È abbastanza significativo che le uniche forme di apprendimento imitativo che la letteratura annovera per quanto riguarda gli scimpanzé siano state osservate in soggetti iperesposti alla cultura umana, ovvero in scimpanzé appartenenti a colonie allevate in cattività, continuamente in rapporto con sperimentatori umani e con la comunicazione linguistica2. Negli ambienti umani gli scimpanzé sono protagonisti di una “socializzazione dell’attenzione”, continuamente incalzati da tentativi di attrarre la loro attenzione, stimolando risposte a problemi e creando triangoli referenziali tra l’uomo, la scimmia e una terza entità. Nel loro habitat naturale ci sono cose che significativamente le scimmie non fanno, come indicare o fare gesti esterni a beneficio di altri, esibire oggetti di modo che siano visti, insegnare comportamenti agli altri. Per Tomasello non lo fanno, e mai potrebbero, perché «sono esseri intenzionali e causali, ma non comprendono il mondo in termini intenzionali e causali» (Ivi, pag. 37).

L’apprendimento imitativo, di contro, è la colla della dimensione cognitiva umana, della sua relazione con il mondo e con i conspecifici; solo grazie ad esso (e all’adattamento biologico che lo rende possibile) può esistere l’evoluzione culturale cumulativa tipica della specie umana, la cui forma è quella del cosiddetto effetto “dente d’arresto” (ratchet effect). Questo è l’effetto per cui «alcune tradizioni culturali, con l’accumularsi di modificazioni apportate nel tempo da altri individui, diventano complesse e in grado di far fronte ad una più ampia varietà di funzioni adattative» (Ivi, pag. 56); sostanzialmente esso si fonda sull’innovazione e sull’imitazione. Quando un individuo ha di fronte un artefatto culturale ereditato e una situazione in cui esso non appare del tutto appropriato, accade che egli valuti il modo in cui secondo l’intenzione dell’inventore dovrebbe funzionare e lo modifichi adattandolo alle sue esigenze. Tale meccanismo è lo stesso sia che si parli di strumenti che di linguaggio come anche di altre forme simboliche, e avviene solo perché nell’imitazione umana c’è un alto grado di fedeltà nella trasmissione, ciò permettendo alla nuova variante di non cadere e di essere la base di nuove modificazioni cumulative.

Come si collega tutto questo con l’ontogenesi?

L’ontogenesi è un processo molto differente nelle varie specie animali. Se in alcune di queste è importante che sin da subito i piccoli sappiano cavarsela da soli, al fine di massimizzare le probabilità di sopravvivenza e riproduzione (e ciò spiega anche perché presso gli scimpanzé, ad esempio, non ci sono casi di insegnamento attivo da parte della madre), nella specie umana una lunga ontogenesi che lasci molto spazio all’apprendimento individuale (e soprattutto a forme di istruzione esplicita da parte degli adulti) risulta una strategia vitale. È nel corso dell’ontogenesi che i bambini si appropriano della cultura, ma non come qualcosa di estrinseco e secondario, bensì come elemento essenziale della relazione umana con il mondo. L’organismo eredita anche l’ambiente oltre ai geni e l’essere umano è fatto per vivere immerso in un certo tipo di ambiente

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sociale, come il pesce nell’acqua; questo ambiente noi lo chiamiamo cultura ed è la “nicchia ontogenetica” specie-specifica in cui avviene lo sviluppo umano. «L’importanza dell’eredità biologica nello sviluppo ontogenetico è sottolineata dalle difficoltà dei bambini autistici, che non posseggono in forma compiuta l’adattamento biologico umano che servirebbe loro per identificarsi con le altre persone, e perciò non hanno un normale sviluppo funzionale come agenti culturali» (Ivi, pag. 252).

Il testo traccia un percorso attraverso le varie tappe dell’ontogenesi nella specie umana mostrando come, sin da piccolissimi, i bambini siano già in grado di esibire un abbozzo di comprensione degli altri, la quale poi si manifesta in maniera esplicita però solo all’età di nove mesi. Da quel momento essi iniziano ad impegnarsi in scene di “attenzione congiunta”. Fino ad allora, tipicamente, il bambino era stato protagonista di interazioni diadiche con oggetti o persone, ma trascurando totalmente il contesto. A nove mesi avviene la rivoluzione della triangolazione referenziale cosciente, per cui si è in grado si seguire, controllare ed orientare l’attenzione di qualcun altro rispetto ad entità esterne. L’attenzione congiunta si configura come la base essenziale per lo sviluppo delle abilità linguistiche, poiché il riferimento linguistico, dice l’autore, è un atto sociale in cui un soggetto tenta di far focalizzare l’attenzione di un’altro su un aspetto del mondo. Tutto questo assume un’importanza profonda in riferimento alla natura specifica dei simboli linguistici umani, i quali sono intersoggettivi e prospettici. La conquista essenziale che l’apprendimento del linguaggio permette è difatti la capacità di assumere molteplici prospettive su un’entità o evento. Ma c’è di più. Acquisire una lingua, qualsiasi essa sia, ha effetti significativi sulla natura delle rappresentazioni cognitive individuali, proprio come la conoscenza percettivo-motoria. Nella comprensione degli oggetti sia fisici che sociali non si può prescindere dalla considerazione di determinati processi socio-culturali e linguistici, ovvero la struttura portante su cui si edifica la cognizione umana. L’ontogenesi di questa attraversa tre fasi, che nel testo sono spiegate dilungandosi minuziosamente sull’emergere delle abilità linguistiche nei bambini, soprattutto attraverso ampio uso di risultati di studi di genere, ma di cui in questa sede è funzionale solo accennare le caratteristiche. L’unica forma di comprensione degli altri che gli esseri umani condividono con gli altri primati ha per oggetto la comprensione dei conspecifici come agenti animati, dotati di movimento autonomo e potere. Anche per questo essi non possono esibire apprendimento imitativo, e come tali essi «possono soltanto emulare i risultati esteriori prodotti dal comportamento e ripeterne la forma sensomotoria» (Ivi, pag. 107). Le altre due forme dipendono dall’adattamento biologico peculiare della specie umana, configurandosi come estrinseche rispetto alla prospettiva cognitiva dello scimpanzé, e sono: la comprensione degli altri come agenti intenzionali, ovvero sia la comprensione del comportamento dotato di scopo, sia la capacità di attirare e seguire l’attenzione altrui (che si sviluppa tra i 9 e i 12 mesi); ultimativamente la comprensione degli altri come agenti mentali, ovvero la piena consapevolezza che in essi ci sono sia processi attentivi e intenzionali che sfociano nel comportamento manifesto, sia credenze che possono anche non trovare riscontro nel comportamento, pur influenzandolo (che si compie definitivamente intorno ai 5 anni).

La pratica attiva dell’interazione discorsiva è ciò che permette in definitiva l’emergere di queste abilità, per cui il bambino scopre prospettive sul mondo differenti rispetto alla propria, approfondendo la sua conoscenza soprattutto nei casi di interruzione, ripristino, negoziazione del significato, che conducono alla “riformulazione delle rappresentazioni”3. In altre parole, la crescente capacità di vedere un’entità da più prospettive simultanee e la capacità di riflettere sui propri processi intenzionali a livello comportamentale e cognitivo, oltre che di ridescriverli a livello rappresentazionale, è ciò che permette al bambino di poter fruire le conoscenze di cui il proprio ambiente è foriero.

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La prima cosa che s’incontra sfogliando il testo di Tomasello è una frase di Charles Sanders Pierce, che recita: “Tutte le maggiori conquiste della mente sono state al di là delle possibilità di individui isolati”. Credo che questa citazione non apra casualmente il testo ed esprima il punto di vista dell’autore sull’importanza della dimensione sociale nella vita umana, sulla sua strutturante pervasività dal punto di vista cognitivo, sull’approfondimento teorico inerente al rapporto osmotico della mente individuale con l’ambiente, nel corso dell’ontogenesi.

Nelle intenzioni di Tomasello questo libro vuole disegnare una strada complementare per lo studio della cognizione umana, senza cedere a quello che egli chiama “facile determinismo genetico” – poiché, come si afferma nelle ultime battute, i geni raccontano una parte importante della storia dell’evoluzione cognitiva umana, forse la più importante, ma non tutta la storia -, e ribadendo il concetto che non esiste una natura umana indipendente dalla cultura, poiché, per definizione, la natura umana è culturalmente situata.

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1 Cfr. Kawamura, S., The process of sub-culture propagation among Japanese macaques, in «Primates», 2, 1959, pagg. 53-60; Kawai, M., Newly-acquired pre-cultural behaviour of the natural troop of Japanese monkeys on Koshima Islet, in «Primates», 6, 1965, pagg. 1-30.

2 Nel testo si cita uno studio in cui venivano messe a confronto le abilità di apprendimento imitativo di scimpanzé allevati in cattività dalla madre, di scimpanzé “culturalizzati” (allevati come bambini ed esposti al linguaggio) e di bambini di due anni. Durante l’esperimento venivano mostrate 24 azioni differenti (sconosciute), e il comportamento dei soggetti era valutato a seconda che fossero riprodotti fedelmente sia il risultato finale dell’azione sia i mezzi comportamentali impiegati dal dimostratore. I risultati mostrano che gli scimpanzé allevati dalla madre in cattività non riuscivano quasi mai a riprodurre sia i fini che i mezzi delle azioni, cosa che invece riusciva assai di frequente sia alle scimmie culturalizzate che ai bambini (Tomasello, M., Savage-Rumbaugh, E. S. e Kruger, A. C., Imitative learnig of actions on objects by children, chimpazees, and enculturated chimpanzees, in «Child Development», 64, 1993, pagg. 1688-1705.

3 Cfr. Karmiloff-Smith, A., Beyond Modularity: A developmental perspective on cognitive science, Cambridge 1992, Mass., MIT Press; trad. it. Oltre la mente modulare, Bologna, Il Mulino, 1995.

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Erich HückelDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Erich Armand Arthur Joseph Hückel (Berlino, 9 agosto 1896 – Marburgo, 16 febbraio 1980) è stato un chimico e fisico tedesco. Viene ricordato principalmente per lo sviluppo della teoria di Debye-Hückel per le soluzioni di elettroliti e del metodo di Hückel per il calcolo approssimato degli orbitali molecolari di sistemi π.

Hückel nacque a Charlottenburg, un sobborgo di Berlino. Studiò fisica e matematica dal 1914 al 1921 all'Università di Gottinga. Conseguito il dottorato con una tesi sullo "scattering di raggi X per mezzo di liquidi anisotropi", divenne assistente a Gottinga, ma presto si trasferì a Zurigo per assistere Peter Debye. Fu in questo periodo, nel 1923, che lui e Debye svilupparono la loro teoria per le soluzioni di elettroliti spiegandone la conduttività sulla base dell'instaurarsi di forze interioniche. Dopo essere stato negli anni 1928-1929 in Inghilterra e in Danimarca, lavorando brevemente anche con Niels Bohr, Hückel si unì alla Facoltà dell'Università Tecnica di Stoccarda. Nel 1935 si spostò a Marburgo dove insegnò fino al suo ritiro nel 1961.

Hückel è famoso per avere sviluppato metodi quantomeccanici semplificati utilizzati per lo studio di molecole organiche insaturi planari. Nel 1930 propose una teoria per spiegare la difficoltà di rotazione del doppio legame C=C degli alcheni sulla base della differenza fra i legami σ e π. Secondo Hückel solo il legame σ dell'etilene ha simmetria assiale lungo i due atomi di carbonio, mentre il legame π si estende sopra e sotto il piano in cui giace l'asse di legame carbonio-carbonio e risultando rigido impedisce la libera rotazione. Nel 1931 generalizzò i suoi studi formulando, tramite l'utilizzo del legame di valenza e degli orbitali molecolari, delle descrizioni strutturali della molecola del benzene e di altri idrocarburi ciclici coniugati. Sebbene il suo lavoro nell'ambito chimico organico sia stato fondamentale per i moderni sviluppi di questa branca chimica, i concetti enunciati da Hückel si diffusero solamente dopo due decadi principalmente a causa di suoi difetti in ambito comunicativo. La famosa regola di Hückel per determinare l'eventuale aromaticità di molecole cicliche insature deriva dall'applicazione del metodo di Hückel.

Era sposato con Annemarie Zsigmondy, figlia del premio Nobel per la chimica Richard Zsigmondy. Insieme ebbero quattro figli.

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Peter DebyeDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Nobel per la chimica 1936Peter Debye (Maastricht, 24 marzo 1884 – Ithaca (New York), 2 novembre 1966) è stato un chimico, fisico e ingegnere olandese, vincitore del Premio Nobel per la chimica nel 1936 per «i suoi contributi alla conoscenza della struttura molecolare, attraverso lo studio dei dipoli elettrici e della diffrazione dei raggi X e degli elettroni nei gas». È stato uno dei pionieri nell'indagine della struttura delle molecole e dei cristalli.[1]

Prima del Nobel

La sua formazione scientifica cominciò alla Technische Hochschule (politecnico) di Aquisgrana, studiando fisica teorica con Arnold Sommerfeld, che in seguito dichiarò che Debye era stata la sua più grande scoperta. Al politecnico Debye si diplomò in ingegneria elettrica nel 1905 e lavorò per due anni come assistente, prima di trasferirsi all'Università di Monaco di Baviera, dove conseguì il dottorato in fisica nel 1908, e divenne libero docente nel 1910. Nello stesso anno derivò in maniera più semplice la legge della radiazione del corpo nero già ricavata da Max Planck.

I successivi spostamenti come professore di fisica toccarono in successione Zurigo (1911), Utrecht (1912), Gottinga (1913), nuovamente Zurigo (1920), Lipsia (1927) e infine Berlino (1934), dove diventò direttore del Kaiser-Wilhelm-Institut, che contribuì a trasformare nell'attuale Max-Planck-Institut nel 1938. Nel 1913 sposò Mathilde Alberer, da cui ebbe due figli, uno dei quali divenne fisico e collaborò col padre in alcune delle sue ricerche.

Attività scientifica prima del Nobel

• Il suo primo contributo importante, nel 1912, fu l'applicazione del concetto di momento di dipolo alla distribuzione della carica elettrica alle molecole asimmetriche, con lo sviluppo di equazioni che legavano il momento di dipolo alla temperatura, alla costante dielettrica, al rilassamento, ecc.

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• Nel 1912 estese la teoria del calore specifico di Einstein alle basse temperature, includendo il contributo dei fononi di bassa frequenza (modello di Debye).

• Nel 1913 estese la teoria della struttura atomica di Bohr introducendo le orbite ellittiche• Fra 1914 e 1915, calcolò insieme a Paul Scherrer l'effetto della temperatura sui pattern di

diffrazione dei raggi X prodotti dai cristalli.• Nel 1923, insieme al suo assistente Erich Hückel, migliorò la teoria della conduttività delle

soluzioni di elettroliti, dovuta a Svante Arrhenius. Nonostante la legge di Debye-Hückel sia stata modificata pochi anni dopo da Lars Onsager, è ancora considerata una pietra miliare nella comprensione delle soluzioni elettrolitiche.

• Sempre nel 1923, formulò una teoria per spiegare l'effetto Compton, lo spostamento in energia dei raggi X a causa dell'interazione con elettroni.

Il premio Nobel e oltre

Nel 1936, Debye venne insignito del Premio Nobel per la Chimica "per il suo contributo allo studio della struttura molecolare", dovuto soprattutto ai suoi lavori sulla diffrazione e sui dipoli elettrici.

Nel 1938, il governo nazista fece pressione su Debye perché lasciasse la cittadinanza olandese in favore di quella tedesca. Debye, approfittando di un invito della Cornell University, preferì emigrare negli Stati Uniti, dove si stabilì vicino a New York. Alla Cornell University, dove fu direttore del dipartimento di chimica per dieci anni, si dedicò alle tecniche di scattering di luce per determinare dimensioni e peso molecolare dei polimeri: questa linea di ricerca si estese poi allo studio di proteine e di altre macromolecole. Nel 1946 prese la cittadinanza americana e si ritirò dall'insegnamento nel 1952, anche se continuò a dedicarsi alla ricerca fino alla morte.

Equazioni ed espressioni intitolate a Peter Debye

• schermaggio di Debye - in fisica del plasma, processo per cui il plasma scherma una carica elettrica redistribuendo intorno ad essa le sue particelle cariche

• lunghezza di Debye - distanza necessaria per un completo schermaggio di Debye• modello di Debye - modello per la capacità termica nei solidi in funzione della temperatura• Debye - unità di momento di dipolo elettrico• equazione di Debye - formula per il calcolo di un pattern di diffrazione da polveri• rilassamento di Debye - rilassamento di una popolazione di dipoli non interagenti in risposta

a un campo elettrico alternato esterno• legge di Debye-Hückel - metodo di calcolo dei coefficienti di attività in una soluzione

elettrolitica reale.• funzione di Debye - funzione usata nel calcolo della capacità termica.• fattore di Debye-Waller - misura del disordine in un reticolo cristallino

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Walther NernstDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Walther Hermann Nernst

Nobel per la chimica 1920Walther Hermann Nernst (Briesen, 25 giugno 1864 – Zibelle, 18 novembre 1941) è stato un chimico tedesco. Aiutò ad affermare il moderno campo della chimica fisica, contribuì all'elettrochimica, alla termodinamica, alla chimica dello stato solido e alla fotochimica. Egli è inoltre conosciuto per aver scoperto l'equazione di Nernst.

Biografia

Nernst nacque a Briesen, Prussia (odierna Wąbrzeźno in Polonia). Studiò fisica e matematica nelle Università di Zurigo, Berlino e Graz. Dopo un po' di lavoro a Lipsia, egli fondò l'Istituto di Chimica Fisica ed Elettrochimica a Gottinga. Nernst inventò, nel 1898, la lampadina di Nernst, una lampadina elettrica che usa una barretta di ceramica incandescente (il successore della lampadina a filamento di carbone e il precursore della lampada ad incandescenza). Nernst fece ricerche sulla pressione osmotica e sull'elettrochimica. Intorno al 1906 egli stabilì un "teorema del calore", più tardi conosciuto come la terza legge della termodinamica (che descrive il comportamento della materia a temperature prossime allo zero assoluto).

Nel 1920, egli ricevette il premio Nobel per la chimica in riconoscimento per i suoi lavori nella termochimica. Nel 1924 diventò direttore del Physikalisch-Chemisches Institut a Berlino, una posizione dalla quale si ritirò nel 1933. Nernst continuò a lavorare all'elettroacustica e all'astrofisica.

Nernst inventò un piano elettrico, nel 1930, sostituendo la tavola sonora con un amplificatore radio. Il piano usava fonorivelatori per produrre elettronicamente il suono modificato e amplificato assomigliando a quello di una chitarra elettrica.

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Simon StevinDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Simon Stevin

Simone Stevino, noto anche come Simon Stevin o Simone di Bruges, (Bruges, 1548 – L'Aia, 1620), è stato un ingegnere, fisico e matematico fiammingo, pre-galileiano.

Stevino nacque a Bruges nel 1548. Egli era un figlio illegittimo così fu allevato dalla madre, Cathelijne van der Poort. il nome di suo padre era Antheunis Stevin. Da giovane lavorò ad Anversa per una casa di commercio e compì lunghi viaggi in Europa. Si oppose al dominio spagnolo delle Fiandre e per sfuggire alle vessazioni si stabilì nei Paesi Bassi. Qui lavorò come ingegnere idraulico nella progettazione e costruzione di dighe e canali. Il principe Maurizio di Nassau lo nominò intendente generale dei lavori pubblici delle Province Unite.

Il maggior contributo alla fisica dato dallo Stevino consiste nell'ingegnoso studio sulle condizioni di equilibrio di due pesi collegati e posti su due piani inclinati di pendenza diversa, risultato fondamentale della statica. Nella sua opera sulla statica Stevino deduce in modo indipendente la legge di composizione delle forze.

In campo matematico, a Stevino è dovuta l'introduzione di una nuova notazione per i numeri decimali, che permetteva di estendere a tali numeri le normali operazioni algebriche sui numeri interi, anziché usare la notazione frazionaria. L'innovazione di Stevino (1585) ha aperto la strada alla notazione decimale moderna e al concetto di "numero reale".

Pubblicò 11 volumi, poi ristampati a cura di Snellius, con contributi su trigonometria, meccanica, prospettiva (geometria descrittiva), architettura, teoria musicale, geografia e navigazione, secondo il costume di cultura poliedrica del tempo.

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Sir George Stokes, 1st BaronetFrom Wikipedia, the free encyclopedia

Born13 August 1819Skreen, County Sligo, IrelandDied1 February 1903 (aged 83)Cambridge, EnglandNationalityUnited Kingdom of Great Britain and IrelandFieldsMathematics and physicsInstitutionsUniversity of CambridgeAlma materPembroke College, CambridgeAcademic advisorsWilliam HopkinsNotable studentsHorace LambKnown forStokes' lawStokes' theoremStokes lineStokes numberStokes relationsStokes shiftNavier–Stokes equationsNotable awardsRumford Medal (1852)Copley Medal (1893)

Signature

Sir George Gabriel Stokes, 1st Baronet FRS (13 August 1819–1 February 1903), was a mathematician and physicist, who at Cambridge made important contributions to fluid dynamics (including the Navier–Stokes equations), optics, and mathematical physics. He was secretary, then president, of the Royal Society.

Biography

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George Stokes was the youngest son of the Reverend Gabriel Stokes, rector of Skreen, County Sligo, Ireland, where he was born and brought up in an evangelical Protestant family. After attending schools in Skreen, Dublin, and Bristol, he matriculated in 1837 at Pembroke College, Cambridge, where four years later, on graduating as senior wrangler and first Smith's prizeman, he was elected to a fellowship.[1] In accordance with the college statutes, he had to resign the fellowship when he married in 1857, but twelve years later, under new statutes, he was re-elected. He retained his place on the foundation until 1902, when on the day before his 83rd birthday, he was elected to the mastership. He did not hold this position for long, for he died at Cambridge on 1 February the following year, and was buried in the Mill Road cemetery.

Career

In 1849, Stokes was appointed to the Lucasian professorship of mathematics at Cambridge, a position he held until his death in 1903. On June 1, 1899, the jubilee of this appointment was celebrated there in a ceremony, which was attended by numerous delegates from European and American universities. A commemorative gold medal was presented to Stokes by the chancellor of the university, and marble busts of Stokes by Hamo Thornycroft were formally offered to Pembroke College and to the university by Lord Kelvin. Stokes, who was made a baronet in 1889, further served his university by representing it in parliament from 1887 to 1892 as one of the two members for the Cambridge University constituency. During a portion of this period (1885–1890) he also was president of the Royal Society, of which he had been one of the secretaries since 1854. Since he was also Lucasian Professor at this time, Stokes was the first person to hold all three positions simultaneously; Newton held the same three, although not at the same time.

Stokes was the oldest of the trio of natural philosophers, James Clerk Maxwell and Lord Kelvin being the other two, who especially contributed to the fame of the Cambridge school of mathematical physics in the middle of the 19th century. Stokes's original work began about 1840, and from that date onwards the great extent of his output was only less remarkable than the brilliance of its quality. The Royal Society's catalogue of scientific papers gives the titles of over a hundred memoirs by him published down to 1883. Some of these are only brief notes, others are short controversial or corrective statements, but many are long and elaborate treatises.

Contributions to science

In content his work is distinguished by a certain definiteness and finality, and even of problems which, when he attacked them, were scarcely thought amenable to mathematical analysis, he has in many cases given solutions which once and for all settle the main principles. This fact must be ascribed to his extraordinary combination of mathematical power with experimental skill. From the time when in about 1840 he fitted up some simple physical apparatus in his rooms in Pembroke College, mathematics and experiment ever went hand in hand, aiding and checking each other. In scope his work covered a wide range of physical inquiry, but, as Marie Alfred Cornu remarked in his Rede lecture of 1899, the greater part of it was concerned with waves and the transformations imposed on them during their passage through various media.

Fluid dynamics

His first published papers, which appeared in 1842 and 1843, were on the steady motion of incompressible fluids and some cases of fluid motion. These were followed in 1845 by one on the friction of fluids in motion and the equilibrium and motion of elastic solids, and in 1850 by another

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on the effects of the internal friction of fluids on the motion of pendulums. To the theory of sound he made several contributions, including a discussion of the effect of wind on the intensity of sound and an explanation of how the intensity is influenced by the nature of the gas in which the sound is produced. These inquiries together put the science of fluid dynamics on a new footing, and provided a key not only to the explanation of many natural phenomena, such as the suspension of clouds in air, and the subsidence of ripples and waves in water, but also to the solution of practical problems, such as the flow of water in rivers and channels, and the skin resistance of ships.

Creeping flow

Main article: Stokes' law

Creeping flow past a sphere: streamlines and forces.His work on fluid motion and viscosity led to his calculating the terminal velocity for a sphere falling in a viscous medium. This became known as Stokes' law. He derived an expression for the frictional force (also called drag force) exerted on spherical objects with very small Reynolds numbers.

His work is the basis of the falling sphere viscometer, in which the fluid is stationary in a vertical glass tube. A sphere of known size and density is allowed to descend through the liquid. If correctly selected, it reaches terminal velocity, which can be measured by the time it takes to pass two marks on the tube. Electronic sensing can be used for opaque fluids. Knowing the terminal velocity, the size and density of the sphere, and the density of the liquid, Stokes' law can be used to calculate the viscosity of the fluid. A series of steel ball bearings of different diameter is normally used in the classic experiment to improve the accuracy of the calculation. The school experiment uses glycerine as the fluid, and the technique is used industrially to check the viscosity of fluids used in processes.

The same theory explains why small water droplets (or ice crystals) can remain suspended in air (as clouds) until they grow to a critical size and start falling as rain (or snow and hail). Similar use of the equation can be made in the settlement of fine particles in water or other fluids.

The CGS unit of kinematic viscosity was named "stokes" in recognition of his work.

Light

Perhaps his best-known researches are those which deal with the wave theory of light. His optical work began at an early period in his scientific career. His first papers on the aberration of light appeared in 1845 and 1846, and were followed in 1848 by one on the theory of certain bands seen in the spectrum.

In 1849 he published a long paper on the dynamical theory of diffraction, in which he showed that the plane of polarization must be perpendicular to the direction of propagation. Two years later he discussed the colours of thick plates.

Fluorescence

Fluorspar

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In 1852, in his famous paper on the change of wavelength of light, he described the phenomenon of fluorescence, as exhibited by fluorspar and uranium glass, materials which he viewed as having the power to convert invisible ultra-violet radiation into radiation of longer wavelengths that are visible. The Stokes shift, which describes this conversion, is named in Stokes' honor. A mechanical model, illustrating the dynamical principle of Stokes's explanation was shown. The offshoot of this, Stokes line, is the basis of Raman scattering. In 1883, during a lecture at the Royal Institution, Lord Kelvin said he had heard an account of it from Stokes many years before, and had repeatedly but vainly begged him to publish it.

Polarization

A calcite crystal laid upon a paper with some letters showing the double refractionIn the same year, 1852, there appeared the paper on the composition and resolution of streams of polarized light from different sources, and in 1853 an investigation of the metallic reflection exhibited by certain non-metallic substances. The research was to highlight the phenomenon of light polarization. About 1860 he was engaged in an inquiry on the intensity of light reflected from, or transmitted through, a pile of plates; and in 1862 he prepared for the British Association a valuable report on double refraction, a phenomenon where certain crystals show different refractive indices along different axes. Perhaps the best known crystal is Iceland spar, transparent calcite crystals.

A paper on the long spectrum of the electric light bears the same date, and was followed by an inquiry into the absorption spectrum of blood.

Chemical analysis

The identification of organic bodies by their optical properties was treated in 1864; and later, in conjunction with the Rev. William Vernon Harcourt, he investigated the relation between the chemical composition and the optical properties of various glasses, with reference to the conditions of transparency and the improvement of achromatic telescopes. A still later paper connected with the construction of optical instruments discussed the theoretical limits to the aperture of microscope objectives.

Other work

Crookes RadiometerIn other departments of physics may be mentioned his paper on the conduction of heat in crystals (1851) and his inquiries in connection with Crookes radiometer; his explanation of the light border frequently noticed in photographs just outside the outline of a dark body seen against the sky (1883); and, still later, his theory of the x-rays, which he suggested might be transverse waves travelling as innumerable solitary waves, not in regular trains. Two long papers published in 1840—one on attractions and Clairaut's theorem, and the other on the variation of gravity at the surface of the earth—also demand notice, as do his mathematical memoirs on the critical values of sums of periodic series (1847) and on the numerical calculation of a class of definite integrals and infinite series (1850) and his discussion of a differential equation relating to the breaking of railway bridges

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(1849), research related to his evidence given to the Royal Commission on the Use of Iron in Railway structures after the Dee bridge disaster of 1847.

Unpublished research

But large as is the tale of Stokes's published work, it by no means represents the whole of his services in the advancement of science. Many of his discoveries were not published, or at least were only touched upon in the course of his oral lectures. An excellent example is his work in the theory of spectroscopy.

Lord KelvinIn his presidential address to the British Association in 1871, Lord Kelvin stated his belief that the application of the prismatic analysis of light to solar and stellar chemistry had never been suggested directly or indirectly by anyone else when Stokes taught it to him at Cambridge University some time prior to the summer of 1852, and he set forth the conclusions, theoretical and practical, which he learnt from Stokes at that time, and which he afterwards gave regularly in his public lectures at Glasgow.

KirchhoffThese statements, containing as they do the physical basis on which spectroscopy rests, and the way in which it is applicable to the identification of substances existing in the sun and stars, make it appear that Stokes anticipated Kirchhoff by at least seven or eight years. Stokes, however, in a letter published some years after the delivery of this address, stated that he had failed to take one essential step in the argument—not perceiving that emission of light of definite wavelength not merely permitted, but necessitated, absorption of light of the same wavelength. He modestly disclaimed "any part of Kirchhoff's admirable discovery," adding that he felt some of his friends had been over-zealous in his cause. It must be said, however, that English men of science have not accepted this disclaimer in all its fullness, and still attribute to Stokes the credit of having first enunciated the fundamental principles of spectroscopy.

In another way, too, Stokes did much for the progress of mathematical physics. Soon after he was elected to the Lucasian chair he announced that he regarded it as part of his professional duties to help any member of the university in difficulties he might encounter in his mathematical studies, and the assistance rendered was so real that pupils were glad to consult him, even after they had become colleagues, on mathematical and physical problems in which they found themselves at a loss. Then during the thirty years he acted as secretary of the Royal Society he exercised an enormous if inconspicuous influence on the advancement of mathematical and physical science, not only directly by his own investigations, but indirectly by suggesting problems for inquiry and inciting men to attack them, and by his readiness to give encouragement and help.

Contributions to engineering

The Dee bridge after its collapse

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Stokes was involved in several investigations into railway accidents, especially the Dee bridge disaster in May 1847, and he served as a member of the subsequent Royal Commission into the use of cast iron in railway structures. He contributed to the calculation of the forces exerted by moving engines on bridges. The bridge failed because a cast iron beam was used to support the loads of passing trains. Cast iron is brittle in tension or bending, and many other similar bridges had to be demolished or reinforced.

Fallen Tay Bridge from the northHe appeared as an expert witness at the Tay Bridge disaster, where he gave evidence about the effects of wind loads on the bridge. The centre section of the bridge (known as the High Girders) was completely destroyed during a storm on December 28, 1879, while an express train was in the section, and everyone aboard died (more than 75 victims). The Board of Inquiry listened to many expert witnesses, and concluded that the bridge was "badly designed, badly built and badly maintained".[2]

As a result of his evidence, he was appointed a member of the subsequent Royal Commission into the effect of wind pressure on structures. The effects of high winds on large structures had been neglected at that time, and the commission conducted a series of measurements across Britain to gain an appreciation of wind speeds during storms, and the pressures they exerted on exposed surfaces.

Contributions to Christianity

Stokes held conservative religious values and beliefs. In 1886, Stokes became president of the Victoria Institute, a Christian institute founded in response to the evolutionary movement of the 1860s. He gave the 1891 Gifford lectures.[3] He was also the vice president of the British and Foreign Bible Society and was active in foreign missions doctrinal issues.[4]