Francesco Varanini Di chi Sono le storie. Ancora a proposito di storytelling
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5/11/2018 Francesco Varanini Di chi Sono le storie. Ancora a proposito di storytelling - slidepdf.com
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Di chi sono le storie
di Francesco Varanini
La narrazione rappresenta un potentissimo strumento di organizzazione del senso. La vita ha senso
perché ‘ce la raccontiamo’.
Guardiamo alle storie che si raccontano le persone che lavorano insieme. Queste storie sono la
prima fonte del Knowledge Management . Attraverso storie, narrazioni -conversando, raccontando barzellette o scrivendo e-mail- portiamo alla luce le esperienze, le conoscenze di cui non sappiamo
parlare altrimenti. Trasformiamo ciò che è tacito e latente in qualcosa di vivo.
Eppure accade di frequente che chi si occupa di Knowledge Management trascuri del tutto le
narrazioni. E accade anche che si intenda per storytelling non le narrazioni spontanee di persone che
vivono nell’organizzazione, ma narrazioni create ad hoc da pretesi esperti, tese a convincere i
lavoratori di qualcosa. Le narrazioni aziendali sono così ridotte ad una nuova forma di propaganda o
di indottrinamento.
Beninteso, il punto di vista dell’interprete, dell’esperto, dell’osservatore ‘professionista’, non è
certo privo di importanza. Eppure, lo sguardo dell’osservatore ‘professionista’ non è che uno
sguardo in una pluralità di sguardi. Dovremmo sempre ricordare che lo sguardo dell’osservatore
‘professionista’ rischia sempre di essere viziato dalla pretesa di pensare a nome degli altri, disussumere la comunità dei parlanti e dei viventi a una non richiesta guida. Dovremmo sempre
chiederci se l’esperto ‘professionista’ rispetta la libertà di autori e lettori. O se pretende invece di
imporre loro un proprio controllo.
Wittgestein, in una prefazione da lui stesso preparata per le Ricerche filosofiche -libro, come si sa,
che l’autore non riuscì in realtà a scrivere pienamente, a organizzare, a terminare- afferma: “Non
vorrei, con questo mio scritto, risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile,
stimolare qualcuno a pensare da sé”.1
Dobbiamo credere che le interpretazioni autorevoli aggiungano conoscenza, ma dobbiamo anche
porci, in quanto ricercatori sociali, il problema del limite: la nostra autorevole lettura può finire col
fornire agli altri l’alibi per non pensare da sé.
Pensare, costruire conoscenza, narrare: questo è il nucleo generatore. Ricordiamo come l’etimo lega
narrazione a conoscenza, knowledge, können, ci parla dell’‘accorgersi’ ciò che osserviamo ed
accade, e ci permette di considerare la carenza di narrazioni come ignoranza.
Di fronte a questo nucleo generatore, l’accanimento definitorio non aggiunge poi molto. Si può
certo, volendo, distinguere storytelling e narrative argomentando che narrative guarda a testi
canonizzati, organizzati in una forma ritenuta definitiva; mentre storytelling guarda a storie che non
hanno ancora l’organizzazione e la coerenza di una narrazione, storie ancora provvisorie, che stanno
venendo alla luce. Ma già la distinzione assume un senso diverso se passiamo dall’inglese
all’italiano. Come possiamo tradurre storytelling ?Il termine inglese può ben denominare un prodotto che il consulente può vendere a qualche azienda.
Ma la distinzione tra narrative e storytelling perde senso se appena allarghiamo lo sguardo oltre lediscipline manageriali e guardiamo alla storia e alla teoria della letteratura.
Ciò che può apparire nuovo nell’ambito del management, era già stato detto da studiosi di critica
del testo e teoria della letteratura. E non c’è nemmeno bisogno, per trovare studiosi che ci
forniscano le chiavi interpretative, di restare nell’ambito di contemporanei esegeti, legati allo
strutturalismo e alla semiotica. Tutto era già chiaro agli occhi di studiosi che alla moderna critica à
la page piace considerare superato vecchiume. Penso a Ramón Menéndez Pidal: “tradizione è la
trasmissione di conoscenze e pratiche di interessi sociale o collettivi fatta in tutto o in gran parte
oralmente, dai vecchi ai giovani, di generazione in generazione”. Ogni narrazione è trasmissione di
conoscenze e pratiche, trasmissione di interessi sociale o collettivi fatta in tutto o in gran parte
oralmente. Di fronte a un testo preesistente ognuno “inventa ciò che non ricorda più bene”, “rifà ciò
che non gli piace”, e “in questa rielaborazione rapida e quasi involontaria, ognuno può avere un
1Ludwing Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1953; cito dal Ludwig Wittgenstein, Werkausgabe, Band I,
Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1989. Vorwort, p. 231-232; trad. it. Ricerche filosofiche , Einaudi, 1967. Prefazione dell'autore, pp. 3-4.
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momento creatore felice”.2
Come nel Libro del buen amor la narrazione, sia orale che scritta, va di mano in mano, come palla
nelle mani di ragazze che giocano; bravo chi saprà afferrarlo, aggiungendoci magari qualcosa di
suo: “Chiunque sia che lo ascolti/ può aggiungere dell'altro/ vada di mano in mano/ come palle alle
ragazze/ se ben cantare sapesse,/ e emendare quello che volesse;/ a chiunque lo chiedesse,/ lo
prenda chi ci riesca.”3
Ciò che conta è il modo di osservare il mondo e di vivere la produzione di conoscenza. Sidistingueva già prima del 1500 tra mester de juglaría e mester de clerecía: due tipi di 'mestiere', tra
loro contrapposti. Da un lato il cantore per lo più anonimo, o comunque disinteressato ad affermare
l'univocità della propria voce, legato a radici popolari, a suo agio nel ruolo di erede del giullare,
trovatore, cantastorie. E dall'altro il chierico, che afferma in partenza la propria diversità dal mondo
degli altri, i fruitori, gli ascoltatori o lettori, e considera elemento fondante della letteratura il
proprio intervento dotto ed elaborato.
Ritroviamo la divaricazione tra i due ‘mestieri’ in ambiti diversissimi. Prendiamo ad esempio un
classico della sociologia del Ventesimo Secolo. Il Polish Peasant ,4 di Thomas e Znaniecki, è un
testo unico nel suo genere. Si pone lo scopo di narrare la storia dell’emigrazione polacca negli Stati
Uniti. Lo scopo potrebbe essere raggiunto nel mondo consueto: il ricercatore lavora su fonti e
materiali documentari, cita le fonti, ma espone al lettore solo la sua interpretazione. Invece, il PolishPeasant ci presenta una grande novità narrativa: offre in lettura i documenti, e cioè una ricchissima
raccolta di narrazioni: lettere di emigrati e di loro familiari, storie di vita autografe, norme e
procedure amministrative, articoli giornalistici, ecc.
Qui ciò che hanno saputo dare i due studiosi è precisamente porre limiti al proprio ruolo. Ben
prima dell’interpretare e dell'inquadrare, per loro veniva il raccogliere le lettere degli emigranti,
l’offrirle alla nostra lettura. Anche se Znaniecki non le avessero lette accuratamente tutte le lettere,
come qualche ‘esperto’ commentatore afferma, non sarebbe poi un gran danno. Perché la narrazione
arriva sotto i nostri occhi. Noi che leggiamo possiamo prendere per buona l’interpretazione di
Thomas e Znaniecki. Ma in ogni caso, possiamo ‘farci una nostra idea’. Insomma: leggendo il
Polish Peasant , non soffriamo di nessuna ‘nostalgia del testo’, perché il testo c’è.
Allargando di nuovo lo sguardo, potremmo dire che la cura filologica ed i commenti di Gianfranco
Contini e di Giorgio Petrocchi e ci aiutano certo a leggere la Divina Commedia. Ma la loro resta
una interpretazione, una delle interpretazioni possibili. Nessuna autorevole interpretazione è tanto
buona da rendere inutile la personale lettura di ognuno di noi. E sopratutto, nessuna interpretazione
può sostituire il testo dantesco, la fonte che veramente ci arricchisce.
2Ramón Menéndez Pidal, Poesía juglaresca y orígenes de las literaturas románicas, Madrid, 1957, p. 364. (Sesta ed ultima ed. di Poesía
juglaresca y juglares, Madrid, 1924).3
"Qualquier omne que lo oya,/ puede más añadir/ ande de mano en mano/ como pella a las dueñas/ si ben trobar sopiere,/ è enmendar lo que
quisiere;/ a quien quier quel pidiere,/ tómelo quien podiere." Juan Ruiz Archipreste de Hita, El libro del buen amor , ed. di Joan Corminas,Madrid, Gredos, 1967.
4 William I. Thomas, e Florian Znaniecki, The Polish Peasant in Europe and America, 5 voll. Boston, Richard G. Badger, 1918-20 (vol. I e II
originariamente pubblicati da The University of Chicago Press, 1918; seconda ed., 2 voll., New York, Alfred A. Knopf, 1927); trad. it. Il
contadino polacco in Europa e in America, Milano Comunità, 1968.
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