Francesco Rabelais, La Pantagruelina Pronosticazione. Roma : A. F. Formiggini, stampa 1930

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Francesco Rabelais La Pantagruelina Pronosticazione Prima versione integrale di Gildo Passini Sodi.org

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Rabelais è famoso per le avventure degli stravaganti giganti Gargantua e Pantagruel. In quest'opera svolge la satira degli almanacchi astrologici, ma scrive anche pronostici seri.

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Francesco Rabelais

La Pantagruelina Pronosticazione

Prima versione integrale di Gildo Passini

Sodi.org

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Francesco Rabelais La Pantagruelina Pronosticazione Prima versione integrale di Gildo Passini Editore Originale : A. F. Formiggini - Modena - 1930 0 2002 - Sodi.org - [cdrOOOOl]

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Prima versione integrale di OILDO PASSINI Illusirazioni originali dell’ Avrb~e

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FRANCESCO RABELAIS

La Pantagruelina Pronosticazione Almanacchi - La Sciomachia

Lettere - Epistole - Epigrammi Les Songes drblatiques

( OPERE: Vol. VI )

Prima versione integrale di GILDO PASSINI

Illustrazioni originali dell’ AUTORE

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LA PROPRIETA LETTERARIA E ARTISTICA

degli ornamenti, delle versioni originali e delle note critiche

pubblicate in questa collezione

SPETT.4 BSCL”SI”*MENTE ALL’EUITOHE

il quale adempiuti i suoi obblighi verso la Legge e verso gli Autori,

eserciterà i suoi diritti contro chiunque e dovunque.

Copyright: by A. F. Formiggini, Rome.

MODENA - Tip. 0. FERRAGUTI 8r C. - Novembre 1930.

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PREFAZIONX

Con questo VI volume si compie la collezione delle opere originali di Francesco Rabelais. ESSO era tndispensabile a chi desideri penetr~e ~~trnu e i rapporti dello scrittore col tempo suo. Qui sono raccolti infatti, oltre i residui del bancheito panta- gruelico: pronosticazioni, frammenti di calendari, ecc,, tutti i documenti biografici rimastici di mano del Rabelais: lettere, epistole epigrammi, che per- mettono di scorgere anche t’aspetto serio della sua duplice natura.

Non stimiamo opportuno dilungarci su tali scrit- ti, chiari di per se e che abbiamo corredati di note e brevi cenni bibliografici.

Ci sia consentito invece intrattenerci sui Songes &%latiques, raccolta iconograficu singot~issima che occupa ~ultima parte del volume, sulla quale gli stu- diosi, pur dopo lunghe discussioni, sono ben lonta- ni dall’aver delto 2’ultima parola.

11 Rabelais era morto da una dozzina d’anni (ac- cettando come data della morte il 1553) quando l’e-

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6 Prefazione

ditore Richard Breton di Parigi pubblicava un vo- tumetto in 18” col seguente frontespizio:

1;ES

SONGES DROLA- TIQUES DE PASVTAQRUEL

od sont oontmm plusieurs JEguree de Pinvention de maistre Fran-

pois Rabela’c: et der&- re oenvre à’~~ln~

pour la dororéation dea bolEa

esprits.

A Paria - Par Riohard Breton, Bue 8. Jaoques, a l>Eaorevime a’ argent - M. D. LXV.

~eniv~o poi due pagì~ette di Muto aZ lettore, quindi 61 fogli non paginati con 129 disegni stam- pati su entrambe le facciate, senza nome d’autore, ne alcuna iscrizione esplicativa.

Poichk quella edizione alla fine del ‘769 era qua- si introvabile, i disegni cominciarono a esser rico- piati e ripabbli~ati pi& volte. ~oti~o~ fra l~attr~ edizioni, quella parziale, di 69 disegni, del Sailor (Parigi, 1797); poi le edizioni complete di Esman- gart ed E. Johanneau (Dalibon, Parigi, 1823); I’edi- zione J. Grag e figli (Tip. Blanchard. Ginevra, 1868); quella di E. Tross (Tip. Louis Perrin, Lione, 1869); quella di Le grand Jacques, cioè Gabriel Richard, (Libr. Les Bons, Parigi, 1869) ecc.

Solo nelle edizioni del~Esm~$~t e del Richard ogni tavola è accompagnata da tentativi di inter- pretazione.

Z Songes drolatiques, di cui il valore arfistico appare al primo sguardo, sono considerati il piìt an-

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Prefazione 7

fico monumento stipato della Gari~~uru francese e certo il più orìginale del ‘566. ~ispir~ione è ric- Ca, briosa, t~OrU gioconda, talora caustica, spesso, Secondo il postume del tempo, licenztosa~ ~ese~u~io- ne, svelta, elegaule, di mano maestra, talché se ne giov~ono ~opios~ente valorosi artisti posteriori, fra i quali il celebre CaRot e il Dorè.

Holte curiosita e moltt quesiti sorsero intorno a quei piccoli capolavori. - Da chi eseguiti? - A quali personaggi e avvenimenti collegati? - Come si formò la raccolta? - Quate il significato e misti- co e allegorico ,, come dice I’editore, d’ogni dise- gno? - Perchè pubblicati dopo la morte del Rabe- lais e proprio nel X1651...

Di questi e altri problemi ci contenteremo di toccare i principati, lieti se alcuno sarù invogliato di proseguire indagini che non sono importanti CO- me le ricerche polari, ma sono forse più divertenti e meno costose.

Anzitutto chi (3 2”autorel I Songes sono definiti dall’editore come « inven-

tion B del Rabelais il quale, dunque, dovrebbe averli ispirati, non eseguiti, chè, in tal caso, l’editore ave- va tutto I’interesse a non tacerlo.

Invece secondo Antonio Leroy (l), primo bio- grafo del Rabelais, e secondo una lunga tradizione, non solo pispirazione, ma anche i disegni sarebbe- ro opera del R.

L%smangart segue il Lerog asserendo distingue- re in quei disegni lo stile del R. dalla folie e da& I’originditC (2).

Paul Lacroix, ne2 1854 (3) scriveva che si pos- sono ammettere senza repugnanza tra le opere po- stume del R. anche i Songes drolatiques. e ~uelte composizioni ingegnosissime e piacevolissime, ag-

(1) ~ahe~~i~~ ~~g~~, (2) Edizione 17ar#oruns, 1X, p. TII. (3) ~eavre3 de Fr. IS&, J. 6ry ain%, Parigi.

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giungeva più tardi Cl), non sarebbero indegne del R., se st potesse dimostrare che sapeva maneggiare la matita come la penna B.

Ora I’ipotesi che il R. fosse abile disegnatore, se non si può affermare recìsamente, non è neanche da escludere. Scrive egli stesso nella Epistola nun- cupatoria al du Rella~ (2) come intendesse disegnu- re di sua mano la topografia di Roma. Vero è che da un disegno geonletri~o-topografico alle sapienti figure dei Songes morto ci corre. tuttavia il Lerog afferma aver visto e letto in casa di Giacomo Man- del, dottore e professore della Facoltà di medicina di Parigi, I’edizione dei primi quatiro libri del R. « illustrati dallo stesso autore B.

Si puo osservare che l’affermazione del Leroy, vissuto circa un secolo dopo il R., non avvalorata da testimonianze sincrone, non costituisce prova e lascia liberi di opinare pro e contro. Cosi mentre il Tross (3) sostiene che il R. è estraneo all’esecu- zione dei disegni, il Richard (4) si mostra convinto del contrario. Guest’ultimo rileva nella lama del pu- gnale della tavola 33 un’A e s’affretta a vederci I’ìnì- ztale di Alcofribas, pseudonimo del R... Senon& quell’A... è indubbiamente una VI... Il Richard rileva inoltre nelle tavole 14 e 105 il monogramma A. N. iniziali di Alcofribas Nasier. Ma è proprio sicuro che quegli suola& calligrafici costituiscano te de- siderate iniziali? E, anche ammesso, è proprio si- curo che costttuis~~o una prova di paternità?

~Heu~ard (5) s~ost~dosi da tutti, non sente in quei disegni odore di R. ma vi trova addirittura « tt tocco pesante di qualche artista tedesco ,.

(1) Pref. ai Songcs dml. Ginevra, 1868. (2) v. pag. 101 del pres. vol. (3) Lione, 1869. (4) Les Songes drol. p. 6. (5) R. ses voyqes en Italie sto. Parigi, 1891, p. 216 n. 1.

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Prefazione 9

Josephin Peladan, che consacrò parecchi interes- santi articoli alla Cl4 de Raelais (l), vede in questa raccolta la collaborazione di varie mani: e vi si di- scerne la matita del Rosso o di qualche italiano, dif- ferentissima da altre Conlposizioni sicuramenie frm- cesi ».

Gennaro Perfetto, uno dei pochi italiani studio- si del R. dopo un breve cenno sui Songes, conclude: « è stato dimostrato che quelle caricature non sono opera del R. ma di qualche oscuro disegnatore di quel tempo (2) B.

Come si vede, ce n’è per tutti i gusti. E, percht non manchi il trascendentale, riferiremo anche I’o- pinione recentissima del Rabelais stesso... disincar- nato.

Nel luglio del 1927 un Rabelesofilo amico nostro arteva ~opportunit~ insistere a. una seduta spiriti- ca dove si manifestavano voci dallo spazio. Una di tali voci s’era annunciata come lo spirito di Maitre Fraqois. E’ da notare che nessuno dei presenti conosceva il R. piu che di nome, salvo l’amico no- stro, il qu~e era convintissinlo che i Songes fosse- ro di mazzo dello scrittore e sarebbe stato lieto d’a- verne la conferma. Rivolse dunque la sua domanda in proposito e ottenne dallo spazio, pronunziata con uoce chiara e squillante questa risposta:

-- Ils sont concus dans mes idee,, mais ce n’est pus ma muin qui a dessiné.

Non avremo la mala creanza di pretendere che tal genere di testimonianze sia tenuto in conto dagli eruditi. Papiro vuoi essere1 Senza papiro papirolo- gante non c’è salute1 Carta canta e villan doxmil...

Ciononost~te I’amico nostro ha mutato parere. La risposta ottenuta non gli parve tanto balzana: essa <I la conferma di quanto aveva scritto l’editore

(1) Pa&, Sansot, 1905. (2) La op. di F. R., Pironti, Napoli, 1914.

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Prefazione

del 1565: +c plusieurs figures de ~‘invention de mai- stre Frangois Rabelais B.

Così il quesito sull’esecutore, o esecutori, delle c~icature rimane per ora insoluto. Esso e tule che può essere affrontato utilmente solo da chi abbia fa- migliarifù coi maestri del disegno della prima meta del cinquecento francese.

E veniamo al significato. L’editore del 1565, che avrebbe potuto dire molte

cose, nel c Saluto al lettore » non vuol compromet- tersi. Benchè il duca di Lorena fosse morto assassi- nato nel 1563, non 13 dileguato ancora il puzzo di strinato lasciato dai molti roghi accesi sotto i re- gni di Francesco I e di Enrico II e l’Ambiente t! pur sempre quello che sta maturando, dopo tanti eccidi minori, la strage di San Bartolomeo (1572). L’lnqui- sizione e i teologi della Sorbona sono sempre in ve- detta pronti a colpire i sospetti d’eterodossia. Per- ciò I”editore sornione se la cava dicendo che del si- gnificato delle tavole lui non se ne intende, che I’intenzione dell’autore lui non la conosce, che pub- blica quegli allegri i~ocentissimi disegni ad uso de’ buontemponi perchè possano ricavarne grotte- schi o mascherate carnevalesche...

Durante parecchi secoli nessuno si curò di deci- frare i Songes e solo dopo la Rivoluzione appaiono i primi tentativi Coll~Esm~g~t che vi dedico il IX volume delle opere del Rabelais.

L’Esmangart era certo innamorato del suo auto- re, ma, sprovvisto di senso critico, si lasciò alluci- nare da una delle pi& disgr~iate chiavi dell’esote- rismo rabelesiano. Raffrontando personaggi e vicen- de del Gargantua e del Pantagruele colla storia di Francia della prima meta del cinquecento, fu stupi- to, egli dice, e rallegrato di scoprire « chimamente >

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Prefazione 11

che Grangola è Luigi XII; Gargantua, Francesco I; Pantagruele, Enrico II; Gargamella, Anna di Bret@ gna; Badebec, Claudia di Frigia ecc. ecc. Dopo a- ver applicata questa chiave a interpretare (con ri- sultati strampalati) i 5 libri del Gargantua e del Pantagruele, ne estende l’applic~ione anche ai Son- ges, dove, a suo avviso, e si vedono riapparire gli stesst personaggi sia reali che allegorici ,.

La fede e l’ardore di quelle interpret~ioni sono testimoniate a ogni tavola da frasi come queste: a il est hors de doute ,, a il n’est pas douteux >, a il est i~possi~le de ne pas reconnaitre B ecc. ecc., che di fronte a un esame anche superficiale, appaiono ad- dirittura umoristiche.

E t’ipnosi, dovuta al sistema preconcetto, non si rivela soltanto nella interpretazione del significato, ma persino nell’analisi dei disegni, talchè un uomo e sfibrato per una donna, o viceversu, come nelle tavole 41, 61, 62, 86, 97 ecc.; un nano per un gi- gante (46), oppure un uomo-uccello per un cane (75) oppure un uomo in piedi per uno CS comodamente seduto x. (91), o un clistere per una lancia (5), un manico di pugnale per freccie di Vulcano (19), del- le spighe per piume (59f, una specie di mo~aio per un tamburo (GI) e, insomma, lucciole per lanterne a ogni piè sospinto.

Il secondo interprete, in ordine di tempo, dei Songes, Gabriel Richard si mostra alquanto piti av- veduto nell’analisi dei disegni, ma accetta in fondo il sistema del~~~srn~g~t e cade negli stessi errori, salvo rari casi che segnaliamo ciascuno a suo luogo.

Piir interessante e lo studio del Péladan. Egli, pu- re smettendo che c esiste una stria connessione tra i due ultimi libri del Pantagruele e i Songes, talche questi sembrano a volte Pillustrazione di quel- li ,, non accetta il sistema del~Esm~gart e propone un sistema suo che sarebbe quasi convincente se I’applicazione apparisse fruttuosa quani’è allettante la convezione. Egli parte da questa premessa~

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12 Prefizzione -

«Al tempo del U. Za COnSuetUdine #esprimersi per rebus, ciod dì rendere le idee mediante oggetti formanti pressapoco la stessa parolu, 0 una conso- nanza vicina, si manteneva ancora per ragioni di sicurezza. Ci0 che chiamiamo la libertà di stampa esisteva a condizione che il volgo non compren- desse la stampa satirica disegnata cripto~rafica- menfe (1) ».

A tale consuetudine accenna diffusamente il R. stesso nel cap. ZX del ~arg~ìtua, ma proprio per spregiarla e combatterla, come uedremo più in- nanzi (2).

Il modella dei Sonyes, prosegue il P. va ricer- cato Izell’IIypnerotornachia, il faI~~os0 Sogno di Po- liiilo di frate Francesco CoEonna. Bodeilo di com- posizione, sia ben inteso, non d’ispirazione, che « I’opera di Francesco Colonna, daIle magnifiche in- cisioni, rappresenta piuttosto un metodo trascen~Zen- tale del rebus, piuttosto una grammatica criptografi- ca che un’opera polemica ».

Quanto all’inlerpretazione delle favole, essa con- sta di due parti: Io, ~identificazioìle del personaggio rappresentato; 20, il significato degli attributi che l’accompagnano. La prima parte, dice il P. è abba- stanza facile; la rassomiylianza delle fisionomie non lascia dubbio sulfe persone. Tilttavia nessuno ha sco- perto finora il vero significato dei Songes. Per deci- frare minutumente le tavole, bisognerebbe dare le re- gole del gergo lanternese, assai affine a ciò che chìa- mian~o con~unemente rebus, vale a dire la ruppresen- tazione delle idee mediante oggetti di cui il nome forma calembour ».

Così per esempio il disegno d’una marglzerita do- vrebbe sign~ftcare: me regrette; una persona con una colluna di saisicciolti (audouilles), dovrebbe esser -~~

(1) La olic de ~~c~~a, p. 73. (2) Sslvocb?? il diaprugio un po’ troppo iwxso, non miri

a Orattrsi un alibi.

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considerato in lutto (en deuil); Eleonora d’Austria, che era chiamata I’austricaille, sarù designata da O- striche (huistre ckaille); la casa d’ringoulkme, da an”anguilla in amore (anguille aime). Bisognerà inol- tre badar bene ai blasoni: le palle indicheranno ca- sa Medici, i bisanti (besans six) indicheranno Rusan- Gay, ciak la casa di Diana di Poitiers ecc. ecc.; un: uomo can aria frasca di salice in mano (saule en main) sarà riconosciuto per Salomone. V’erano poi dei si- gnificati convenzionali noti solo agli artisti. A esem- pio, per att gioco di parole fra ancestrin e en ce- strin, un rosario composto di grani di cedro (ce- strinj, «serviva a blasonare I’incesto, sotto il pen- nello degli artisti italiani, del Tiziano in partico- lare (1) ».

Identificare i personaggi e conoscere la gram- matica e la sintassi dei rebus non basta ancora; bi- sognerà giovarsi del lume della storia; ma non già la storia ufficiale, ad uso scolastico, colla scorta del- la quale queste figure restano Inafferrabili, bensì la storia reale, diciamo cosf esoterica, coi suoi dessous, il lavorio dietro le quinte degl’interessi e dei partiti, le biografie autenliche non quelle degli apologisti ossequenti; i particolari inediti che si sussurravano all’orecchio, il g?oco segreto della tale favorita che governava il re in quel tale momento, il gioco d’al- cova della regina, i misteri d’alcova onde pullulava- no i bastardi poppanti alle mammelle di S. M. Chie- sa ecc. ecc.; poichè il contenuto dei Songes secon- do il P. è politico, come politica t? tutta l’opera del R.: si tratta insomma della sorte della Francia, del suo assetto economico, dei suoi rapporti coll’estero ecc. ecc.

Il R., secondo il P., fu uno dei grandi maestrt delle corporazioni d’arti e mestieri; la sua preoc- cupazione 4 dirigere al meglio la famiglia degli or-

(1) Op. oit., pag. 73.

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14 Prefaxione

ti& e art~gi~i, i guliardi, che il xIzovimento della Riforma dìsorganiz~ava. ft momento storico era e- stremamente dinamico e procelloso. Dopo il 1533 quattro donne fomentano tutti gl’intrighi alla Cor- te di Francia: la sorella di Carlo V, Eleonora, mo- glie ripudiata di Francesco I, Anna di Pisseleu, du- chessa ~~t~pes, favorita del re; Laterina de’ Me- dici, moglie del Delfino, Enrico Il, e Diana di Poi- tiers sua favorita. E non è a dire che questo quar- tetto si perdesse in facezie: si giocavano i destini del cattolicismo e della latinita. Anna inclinava giCt per ta Riformu; Diana cospirava in favore di En+ CO VIII d’Inghilterra; Eleonora s’adoperava in fa- vore del fralello, Carlo 8, di Caterina, nipote di Cle- mente VII, e del concilio di Trento.

Le vicende di quegl’inirighi sarebbero accenna- te, secondo il P. dai Songes che contengono a: pre- ziose rivelazioni sulla storia di Francia dal 1530 al 1550. Le corporazioni d’arti e mestieri esitarono a lungo tra il partito inglese, il partito spagnuolo e quello dei Valois e del cattolicismo... Queste esita- zioni ci sono raccontate dalle stampe dei Songes, che formano un dossier in cui ogni disegno disono- ra il suo soggetto S.

Certo nei Songes non v’è unità e continuità d’a- zione... Non formano il giornale d’un partito, ma la collezione d’una polemica ‘tra le quattro dame della Corte dì ~r~eia e il R. rappresentate delle corpo- razioni. Le quattro dame coi loro seguiti di corti- giani, artisti, poeti, dominavano a Fontainebleau, al Louvre, ad Anet e ad Auteuil. Perciò il P. affermaj che chi ha la consuetudine del disegno, può scorge- re quattro stili ben differenti... E, a mono a mano che si sfoglia la raccolta, si sente il vento della s<r-~ tira mutar direzione; spesso una tavola risponde al- l’altra; gli attacchi e le risposte di Eleonora, di Dia- na, di Caterina s’avvicendano e talora il R. stesso entra in campo specie contro Eleonora, la pesante fiamminga che rappresentava il ricordo di Pavia e

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Prefazione 15

del trattato di Madrid e che, pur ripudiata, rimase alla Corte in funzione d’agente politico facendo la spia per conto di Carlo V e del Vaticano, <‘Caterina de’ Medici, dice il P., ed Eleonora #Austria furono nefaste alla Francia ed il R. non cessa d’attaccurle araldicamente ,.

Nè è a credere che quelle tavole uscissero con re- golarita periodica, preordinate per comporre un al- bum; esse circolavano isolatamente o come stampe, o come disegni, durante il corso degli avvenimenti fra il 1530 e il 1562 e forse pììt tardi. u Quei grotte- schi, a volta a volta epigrammi sanguinosi, avverti- menti minacciosi, rivelazioni feroci, altere sfide, in- sinuazioni velenose, se ora ci fanno sorridere, al tempo loro fecero impallidire persone di salda tem- pra. Sono articoli polemici d’un’epoca in cui non c’erano ancora giornali (1) B.

Molti hanno voluto o vogliono vedere nel R. so- lamente un burlone che ama divertirsi e far ridere il pubblico con poemi sul tipo del Morgante o delle IMacaronicae di Merlin Cocai, 4: no, conclude il P., il curato di Reudon non & un vagabondo di genio, nè l’EraeRto (2) della letteratura francese; dietro la sua maschera d’ubriacone, si nasconde un uomo di Stato della piri grande levatura. Egli diresse per lungo tempo le corporazioni con una lucidezza di primo ministro in un’epoca torbida e ancora buia ai nostri occhi. La sua criptografia merita d’essere studiata e vi si chiariranno molti punti della storia e dell’arte B.

!lWto va bene e sta bene; ma dopo esserci l& sciati cullare dalla prosa nutrita del P. e sedurre dalle sue intuizioni, non possiamo non rilevare ch’e- gli procede più per aforismi che per dimostrun’oni, e che le applicazioni del suo sistema non sono sem- pre tali da lasciarci tranquilli.

(1) Op. oit., p. 78. (2) Democrito, volevo dire.

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lfì Prefazione

Anzitutto 4 vero che il R. nel citato cap. ZX deZ Gargantua accenna all’uso dei rebus, ma 6 pur vero che lo deride e lo sferza come degno d’un Q residuo di macacchì del tempo antico... B. u Dentro simili tenebre, egli aggiunge, sono immersi quei vanitosi cortigiani allegorirzatorì di nomi i quali fanno dì- pingere nel loro blasone una sfera per significare speranza (l), delle penne d’uccello per significare petie, dolori... B. +C Omonimie tutte, codeste, tanto stu- pide e insipide e rozze e barbare, che chiunque le voglia usare in Francia dopo il rinascere delle buo- ne lettere, meriterebbe gli si appendesse una coda di volpe al collo e gli sì appiccicasse al viso und maschera dì sterco vaccino B. Alle scempiaggini dei rebus il R. contrapponeva altra crìptografìa: 6: Ben diversamente procedevano un tempo ì saggi d’Egìt- to quando scrivevano con lettere che chiamavano ieroglifiche. Nessuno intendeva, se non le ìntende- va e intendeva ciascuno che Intendesse la virtzì, proprieta e natura delle cose da esse raffigurate (2). Su questa materia Oro Apollonio compose due libri in greco e Polifìlo nel Sogno d’amore ne ha esposto anche più. Zn Francia ne avete un accenno nella di- visa del signor Ammiraglio, gia adottata prima di luì da Ottaviano Augusto a.

L’Ammiraglio qui ricordato, Guglielmo dì Bonni- vet, aveva per divisa un’ancora e un delfino. Quez st’ultìmo ha come u virtu, proprietù e natura B la rapidi& l’àncora simboleggia tenacia; dall’accop- piamento dei due simboli nasce Za divisa d’dugu- sto, assunta poi anche da Aldo iWmuzìo: Fedina lente.

Ora tanto rispregio pei rebus consegnato nel Gar- gantua (1534) come si concilia coll’uso della rebus-

(1) Dalla 0onsOm~za di eupoir (ohe si leggeva 88p.w) Con spae.

(2) Ciob gl’ iniziati.

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Prefazione 11 :’

grafia in. tavole che. il P. pensa eseguite sotto ispk razione de1.R. dal 15Wal 1550, o 15621

E vogliamo esaminare un’applicazione della- do& trina del P.? ECCO: tra i compagni di Pantagruele il R. ha. messo Garpaìtm~ e Xenomane personaggt allegorici sotto cui si nascondono, forse, personaggi storici.. Cerchiamoli, u Fino ad oggi, dice il P., ì commentatori hanno scambiato Carpalim e Xenom’a- ne per uomini (1) B. .Ebbene, no. Gorpalim si scom- pone rebusgraficamente tosi : carpa1 - aime. CarpaI’ nel gergo delle: maestranze significava apprendistà: muratore; un manovale, se volete. Filiberto Delorme fu un grande, architetto del tempo... dunque il carpa1 sarà lui. Da cht era amato il Delorme? Da Diana di, Poitiers; dunque Carpalim è... Diaua di Poitiers!.‘.. Non era pitz semplice pensare che Carpalim è la gallicizzazione della parola greca carphlimos: rapt- do, veloce?...

Chi voglia avere un’idea dela rapidita di Carpu- lim legga i cap. 25 e 26 del libro I del Pantagruele; , E chi voglia avere un’idea del suo sesso, legga it passo dei citato cap. 26 dove il veloce Carpalim si propone di collaborare con Panurgo nello stambur& mento di 150 mila CC puta& belles camme Gesses B. Immaginare Diaua di Poitiers intenta a tali opera- zioni, eh sì, ci vuole una certa fantasia.

Lo stesso dicasi di Xenomane, che dovrebbe es- sere Anna di Pisseleu, la favorita di Francesco 1’ (qui se nomme Arme) laddove è così semplice ve- dervi L’accoppiamento delle due parole greche che caratterizzano appunto il gran viaggiatore in paesi stranieri.

Non’ parliamo poi delle sviste nelle qua1.i inciam- pa anche il P. tentando l’analisì di una quindiciti di tavole; Certo per talune propone solt&oni accet- tabili, ma anch’esso, è fuorviato dal suo sistema CO-

(1) Op. oit,, p. 114. 2.

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18 Prefazione

me quando scambia un monaco per una donna (tav. 54), un cardinale per una donna (79), una civetta per un pappagallo (84) ecc. ecc.

Tutto considerato nell’esegesi dei Songes s’e fat- ta ben poca strada. Per compiere qualche passo & vanti bisogna, a nostro avviso, rinunciare all’idea di risolvere ogni quesito con una chiave, romperla coi sistemi preconcetti e ricominciare a stabilire l’identificazione dei personaggi, dov’è possibile, mediante un accurato raffronto coi ritratti. a Chi rileggerà le memorie del tempo, scrtve il P&nlan, e terrà presenti alla mente i ritratti della Corte fran- cese sotto Francesco 1, scoprirà Carlo d’Orl&us, Ga- spare de Suulx - Tavannes, il connestabile, Anna di Pisseleu, la regina di Navarra, e parecchi altri v. Tra i parecchi altri non converrà trascurare quanti eb- bero parte rilevante nel movimento della Riforma: per esempio il re di Navarra e il principe di Condk suo cugino, Caluino, Teodoro de Bèze, l’Anna di Montmorency maresciallo di Francra, il Marot fug- giasco, il Dolet arso sul rogo. E perchd no il vasto gruppo dei persecutori? Il feroce inquisitore dome- nicano Giovanni da Roma, che pei suoi eccessi fu sottoposto a un’inchiesta onde risultffrono i suoi pes- simi costumi e la cupidigia dei beni protestanti? E perchd no il cancelliere cardinale Duprat? E il teo- logo Beda? E il barone Giovanni Menier di Oppede, il maggior responsabile delle stragi di Mérindol do- ve furono massacrate 4600 persone, molte donne ra- pite e vendute, 600 prigionieri imebarcati sulle ga- lere, 250 orsi sul rogo? E perchè no il cardinale di Tournon, vescovo di Lione, che in quelle stragi non ebbe piccola parte e cui il R. era debitore del suo. famoso u: quart d%eure ,? E perchè no i principali dottori sorbonagri quali il Maillard e il Ptcard che ai condannati al rogo consigliavano pietosamente dì recitare un’Ave Maria per godere il beneficio d’es- ser prima impiccati? E perchè no Nicolas le Clerc, decano della facoltà di teologia, e il giudice Lire&

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Prefazione 19

presidente del P@lamenio dì Parigi, dalle mani lor- de dì sangue, e il Puìts Herbaut contro il quale il R. sì scaglia con tanta veemenza? E perchè no tanti altri personaggi della corte di Roma, dove il R. sog- giorno a lungo più volte, e detta Corte del vice& dt Torino, dove dimoro ,oltre un anno?...

Iduando sia bene accertato il soggetto della pro- posizione, restera facilitata la lettura del verbo, de- gli attributi, dei comptementì, alla comprensione dei quali gioverà tuttavia una specie di glossarto che occorre compilare di sana pianta. Vediamo nelle 120 tavole molti di quegli attributi e complementi ripe- tuti più volte: sono becchi d’uccello, chiavi, coltel- li, cucchiai, forbici, incensieri, moccoli, moscerini o vespe, piume dì varia forma e lunghezza, pugna- letti, calzari a poulaine, rosari, scope, spighe, spade, sproni, tamburi, torcie, uccelli, pesci, delfini, rone ecc. ecc. Di tutte queste figure occorre definire il significato convenzionale e non gìd quello che pote- rono assumere nei secoti precedenti, o seguenti, ma proprio quello della prima meta del ‘500, o poco ob tre, poichè anche il gergo dei simboli ha la sua evo- Juzione.

Diamo un esempio. Molti dei personaggi dei Son- ges sono ornati dì calzari a poulaine, t&wi con punta corta, altri lunga, altri lunghissima. Ebbene, Je variazioni di lunghezza nari sono un capriccio calligrafico del disegnatore, ma hanno nn sìgnificu- fo. Q: La punta delle poulaines, scrive un contempo- raneo, era lunga mezzo piede pel volgo, un piede pei ricchi, due piedi pei principi (1) B.

Parimenti vedremo personaggi con abiti, o ma- niche, o collari foderati, od orlati di pelliccie. Nel ‘500 sono segni che offrono preziosi connotati di riconoscimento. Q L’ermellino, scrive il Baìzac (21,

(1) JilQzerai: Vis as Charka VlI. (2) Catherinr de M&ù&.

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20

era permesso solo ai.nobiii, il vaio solo ai re, ducht e- signori rivestiti di certe alte, cariche >. .

Così alle tavole 51, 53, 96 troviamo al mento di certi personaggi dei, bavaglini~ dì i cui invano cerche- remmo traccia nei ritratti dei musei. ~Quel partico- tare è uno degli elementi delta toilette di chi praticu- va in camere ben riscaldate (estgves), la cura dell’un- guento mercuriale; rivelano insomma che il perso? naggio è afflitto dal mal francese. Componendo dun- que con tutti gti oggetti significativi un glossario derivato dallo studio di usi, costumi, mode ecc. ecc., grarie ad esso quelle figure che sembrano a un pro- fano solo fantastiche e bizzarre, cominceranno G ri- velare certi segreti e permetteranno di stabilire mol- to approssimativamente anche il tempo in cui il di- segno fu composto.

Bisognerà tener conto anche delle figure che si rassomigliano tra loro. Grazie all’analisi compara- tiva, abbtamo accertato, salvo errore, alcune eden- tiftcaziont che. erano sfuggite ai commentatori pre- cedenti come il gruppo di 5 Carlo V (tav. 28, 33, 77, 91, 106); il gruppo di 3 Enrico II (tav. 81, 96, 108); il gruppo dei 3 anfibi (tav. 39, 83, 101); il gruppo delle donne incinte (tav. 30, 71, 97) ecc.

Certo è pochino; ma questi puzzle d’alto fusto, domandano tempo e pazienza che non sempre, nè a tutti sono concessi. D’altra parte non c’è fretta Ci contentiamo che la raccolta sia decifrata per intero entro I’anno 2000, e se altri vorrà collaborare tanto meglio. Cent’occhi vedono più di due, Siamo lietì intanto d’annunziare che, a quanto assicura l’edi- tore munifico, il nostro amico Carnegie la settima- na prossima, salvo imprevisti, istituirà una grossu borsa d’incoraggiamento pei volenterosi.

g. P-

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LA PANTAGRUELINA

PRONOSTICAZIONE (1)

(1) Fu pubblioata la prima volta, aenza indioazione di luogo, sul finire del 1532 « per l’anno 1533 ». Poi nel 1533 * per l’anno 1534 » e così negli anni seguenti fino al 1542 in mi l’edizione di Fr. Juste di Lione reoa: «pour Van per- pstuel ».

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PANTAGRUELINA PRONOSTICAZIONE CERTA, VERA E INFALLIBILE

PER

L’ ANNO PERPETUO

COMPOSTA FRESCA FRESCA A PROFITTO

E ISTRUZIONE DEI

BALORDI E GINGILLONI PER NATURA

DA

MASTRO ALCOFRIBAS

ARCITRICLINICO DEL DBTTO PANTAGRUELE

DEL NUMERO D'ORO NON DICITUR (1)

Non ne trovo punto qm3sVanno per quanti calcoli ubbia compiuti.

Paariamo oltre

VERTE FOLIUM (2)

(1) Non ei sparla. - Nei oalendari si segnava, in oro il nu- mero del cielo lunare di 19 anni. Il primo cielo era oompu- tat0 a cominoiare da un anno prima dell’era volgare.

(2) PoZta pagina.

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AL LETTORE BEA%‘VOLO salute e pace in Gesti il Cristo.

.Considemndo @infiniti abusi ,perpetratì causa un mucchio dì. Pronosticazioni di bovanio (1), -na- ,te W’ombra d’un bìcchier di vino, .ìo .ne ho ora cat- colata una, la pi& sicura e verace che sìasi mai vi- sta, come .l*esperienza mostre&

Non lieve peccato senza dubbio, visto cid che -dice il regate Profeta (2): .e Tu distruggerai guanti dioono menzogna,, non lieve peccato (3 mentire scientemente e ingannare -i poveri diavoli curiosi dì saper cose nuove, come in ogni tempo furono siri- golarmente i Francesi secondo .scrive Cesare nei Commentari (3) e Jean de Gravo& nelle Mitologie galliche.

(1) L’antico oentro ‘di studi del Brabante, celebre pei suoi moxinmenti artistioi distrutti in gran parte nel 1914 dall’inva&one tedesoa. Ivi si etampavano ogni anno alma- naoohi diffueissimi oome i nostri Barbauwa, Peaodore dì Chiarava& em.

(21 ‘Dsvid, almo V, 7: a Tu farai perire quanti parlano ‘OM( nwnmgna; iZ Sigmrs abbomina gZi uomini Si vanguc e dì frud.9 ».

(3) a 32 ~0rmb6tudin9 mZZa GuZZia ~outrìag6re ì a+iqgiatitori 4 fermarti anoha 88 *on ne hanno voglia, e sfriader ‘Zero 00 ohs abbiano santito dire e ueduto ». D. B. G. IV, 6.

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26 Francesco Rabelais

Ciò si risconfra tuftora ognì giorno in Francia, dove le prime domande agli arrkrafi di fresco SOR queste: - Qmdi notizie?... - Nulla di nuovo?... - Che si dice?... - Quali voci corrono pel mon- do?... E tanfo di novitd SOR avidi che prendono in uggia e chìamano vitelli e idioti quanti giungono da paesi stranieri senza recare le bisaccie ricolme d’ìnf ormazìonì.

Se dtutque, come SOR pronti a domandar novel- te, altrettanto, o giti, sori facili a crederle, non sa- rebbe opportuno mettere alla entrata del Reame persone degne di fede pagate apposta e ROR d’al- tro incaricate se non di esaminare le notizie che s’importano e accertarne la veritlr? Sì, certo. E co- si ha fatto il mio buon signore Pantcrgruele in tutto ìt paese dì Utopia e Dipsodia. E glie n’e venuto tanfo bene e tanto prospera il suo territorio che non rie- SCORO a CoRsumare tutto il vino dell’annata e do- vranno versarlo per le terre, se tuttuvia non giunga rinforzo dì bevitori e buontemponi

VOleRdO pertanto soddisfare la curiosità d’ogni buon compagnone, ho scartabellato tutti i registri dei cieli, calcolato i quadrati della luna, scovato e scavato quanto hanno mai pensato gli Astrofili, I- pernefelisti, Anemofilaci, Uranopeti e Ombroforì e il tutto vagliato conferendo COR Empedocle (11, che si raccomanda alla vostra buona grazia.

E tutto il Tu aqtem (2) ho riassunto qui in po- chi capitoli, assicurandovi che ROR dico se non eid che penso, non penso se non cìd che 2, vale a dìre, in tutta veritct, ne pi& nè meno di quanto state per leggere.

(11 Il famoeo medioo, filosofo e aetronomo di Agrigento. La leggenda ohe l’aveva in vooe di mago, raooonta ohe si preoipitb nel cratere dell’Etna per non lasciar traooia di SB e farsi credere volato al oielo. MS il vulcano eepellendo in un’ernaione i anoi sandali, avrebbe rivelato il suicidio.

(2) Il engo.

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Opere 27

Tutto ciò ch’k detto come giunta sud PUSU~~O al grosso staccio per torto e per traverso e avverrik, non avverrà? Forse che si, forse che no.

D’una cosa vi avverto che se non aveste a crede- re il tutto, mi giocate un brntto tiro, per cui sarete puniti gravisstmamente, 0 quaggttk, o altrove. Le vo- stre spalle dovranno assaggiare un piatto di frusta- te condite con salsa di nervo bovino.

E fiutate pur Paria come ostriche fin che volete: fara caldo se il fornaio non s’addormenta.

Ora soffiatevi it naso, ragazzi, e voialtri, vecchi trasognati, inforcate gli occhiali e pesate le mie pa- role a peso di Vangelo.

ch’ITOI.0 f

Del governo e signoria di puesfanno.

Qualunque cosa vi dicano i matti astrologi di Lovanio, Norimberga, Tubinga, o Lione, non cre- diate vi sia in quest’anno altro governatore all’in- fuori di Dio creatore, il quale tutto modera e regge colla sua divina parola.

Per essa tutte le cose hanno la loro natura e pro- prietà e condizione; senza l’esistenza e governo di lui tutte le cose sarebbero ridotte al nulla in un mo- mento, come dal nulla, per opeta sua furono gene- rate. Da lui proviene, in lui è, per lui si perfeziona ogni essere e ogni bene, ogni vita e movimento, co- me dice la Tromba evangelica, Monsignor San Pao- lo, Rom. X1 (1).

Il governatore di quest’anno, e di tutti gli altri, secondo la nostra veridica risoluzione, sari dun- que Dio onnipotente. E non avranno virtù, effica- cia, potere o influsso alcuno ne Saturno, nè Marte,

(1) Lettera oi Rommf, X1, 36: a ConciossiaolG da lui, B per lui, e par amor di lui, ticno tutto le oow. . . D.

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$28 Francesco Rabelais

\ne Giove, ne altro pianeta, ne certo gli an$eli o i ,aanti, ne -gli uomini, ne i diavoli, se Dio di’sua buo- na grazia ~non li conferisce loro.

Anche Avicenna (1) dice che le cause seconde non hanno influsso ne azione alcuna, se la causa prima non le ispira: non .parla giusto il brav’oma- rino ?

c~PITOI.0 If

Delle edissi di quesfunno.

Quest’anno vi saranno tante eClissi di sole e di luna che ho paura, non a torto, che le nostre borse ne patiranno inanizione e i nostri sensi perturba- mento. Saturno Sara retrogrado, Venere diretta, Mercurio incostante. E un mucchio d’altri pianeti non obbediranno al vostro comando.

Onde, per quest’anno, i Cancri (2) cammineran- no di traverso e i cordari a ritroso, Gli sgabelli mon- teranno sui banchi, gli spiedi sugli alari e i berret- ti sui oappèlli; a molti ‘le coglie penderanno per di- fetto di sospensorio; le pulci saranno la ,maggior parte nere; il lardo fuggirà i piselli in Quaresi- -ma (S), il ventre andrà per davanti, il culo siederà Lper primo; non si potrà trovar la fava nella torta ‘dei Re (4); l’asso non verrà fuori al flusso (5); ‘il

(1) Medico e filosofo arabo famoso (950-1037) rioordato pih volte anohe da Dante: lwfs IV, 143; Cow. 11, 14, 15; 111, 14; IV, 21.

(2) Nome Mino dei granehi. (3) La quaresima ora osservata cos1 rigorosamente ohe

l’aver mangiato lardo in quareeimr, fu une delle impntwioni ehe oonduasero al rogo Etienne Dolet, tipogmfo e letternto fnmoso, amioo del Rabelais.

(4) La torta dell’Epifania rou una fave, o oonfetto dentro naeeosti, ohe ocmferiscono qualohe privilegio a ehi tooohino, B tnttore in uso.

(5) Gioco di carte.

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Opere 29

dado, bencbè accarezzato, non obbedirà a solleci- tazione e non .sortM~spesso il numero che si doman- da; le bestie parleranno in parecchi luoghi.

Quaresimante vincerà il. suo processo,: una par- te- degli uomini metterh la maschera per ingannar l’altra, e correranno per le strade come pazzi e ior-. sennati; non si.vide mai tale disordine in natura. E si useranno in quest’anno più di 27 verbi anomali, se Prisciano (i) non li tiene a bada. Se Dio non.ci aiuta, punto affari; ma se. per contrappunto B per noi, nulla.potrà nuocerci, come dice il ‘celeste astro- logo (2) che fu rapito fino al cielo. Rom. cap. VII: Si Deus pro nobis, quis confra nos? In fede mia, nemo, Domine; poiche è troppo buono e potente. E qui, per contraccambio, benedite il SUO santo nome.

CAPITOLO 1X1

Delle malattie di quest’anno.

Quest’anno i ciechi non vedranno che ben po- co, i sordi udranno abbastanza male, i muti non parleranno affatto, i ricchi staranno un po’ meglio dei poveri e i sani meglio dei malati. Parecchie pe- core, buoi, maiali, oche, polli e anitre moriranno; la mortalità non infierirà sì crudelmente tra scim- mie e dromedari.

La vecchiaia sarà incurabile quest’anno a ca- gione degli anni passati. 1 malati di pleurite senti- ranno un forte male al costato. Chi avra flusso di ventre andrA spesso alla seggetta; i catarri scen- deranno, quest’anno dal cervello alle membra infe- riori; il mal d’occhi sari molto dannoso alla vi- sta; le orecchie saranno corte e rare in G.tascogna

(1) Grammatico latino del VI secolo, (2) San Paolo: a Ne Dio B oon noi, ohi sarìt oontvo noi?...

.NesSUtW, Signore.

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30 Fmmesco Rabelais

pih che l’usato. E regnerà quasi universalmente una malattia ben orribile e tremenda, maligna, perver- sa, spaventevole ed odiosa, la quale IarA stupire il mondo talchè molti non sapranno che pesci pi- gliare (1), e bene spesso cadranno in farnetico sil- logizzando sulla pietra filosofale e sulle orecchie di Mida. Tremo di paura al pensarlo: poichè, sa- ra epidemica; e Averroè (VII. Colliget) (2) la chia- ma : bolletta.

E considerando la cometa dell’anno passato, e la retrogradazione di Saturno, morrà all’ospedale un gran birbante tutto catarroso e lebbroso, alla mor- te del quale sarà sedizione orribile tra gatti e sorci, cani e lepri, falchi e anitre, tra i monaci e le ova.

CAPITOLO Iv

Dei frutti e beni che crescono dalla terra.

Trovo, per via dei calcoli di Albumasar (3) nel libro della Gran Congiunzione e altrove, che que- st’annata sarà fertilissima, con prodotto d’ogni be- ne a quanti avranno roba al sole; ma il luppolo di Picardia temerà un tantino il freddo, l’avena farà gran bene ai cavalli, non si troverà piU lardo, se non di maiale, causa i pesci ascendenti (4); e sarà una grande annata di conchiglie.

Mercurio minaccia un po’ il prezzemolo, ma cio-

(1) Perchb erano oari. Come ora. (2) Naturalmente il famoso filosofo e medico arabo c< ohe

il gran commento feo B (of. 1. IV, p. 15, n. l), nel suo trat- tata Da ourattoae mo~~borwn non s’è mai sognato di studiare questa malattia. Il R. rieorda qui il ritornello di un antica popolarissima canzone: Faulta CP argent c’ed douleur no pareille.

(3) Altro filosofo e astrologo arabo del se0010 X. (4) Di prezzo. Come ora.

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Opere 31

nonostante s’avrà a.prezzo ragionevole. La viola del pensiero e l’ancolia (1) cresceranno più che l’usa- to, con abbondanza di pere d’ayoscia (2); non si vide mai tanta quantita di grano, vino, frutta e le- gumi, se i voti della povera gente saranno esauditi.

cAPITOLO v

Dello sfato d’alcune persone.

E’ la piu gran follia del mondo pensare che vi siano astri pei re, papi e grossi signori più che pei poveri e miserabili; come se fossero state create nuove stelle dopo il tempo del diluvio, o di Romo- lo, o di Faramondo e quando sorsero nuove dina- stie. Cib non affermerebbero nè Triboletto (3), nè Quaglietta, persone d’alto sapere e grande rinoman- za. Per ,avventura il detto Triboletto aveva nell’ar- ca di Noè lo stesso capostipite dei Re di Castiglia e Quaglietta comunione di sangue con Priamo (4); ma questi errori procedono per difetto di vera fede cattolica.

Tenendo dunque per certo che gli astri si cura-

(1) Nel testo B: le souoil e l’awohvlye, nomi di piante che ai prestano all’equivoco. Sowoil è quello che fu detto la@ur àu 80twi, il nostro fiorranoio. PiU fedele all’idea ohe alla lettera, per mantenere l’equivoco ho tradotto: viola del pensiero. L’aaoholie eorrispoude al ilor oappnooio /agwikgia vulga&I.

(2) Poires d’ayoicrae. Così chiamavasi una qualiti di pere di sapore asprigno 8, per analogia, uno strumento di tortura ohe si metteva in bocca al pazientu, ohe poi s’imbavagliava.

(3) BnEoni di oorta. V. Z’aatagwek, libro JII$ gap. 33. (4) Allusione a oerti oortigiani, genere adulatori, speoie

genealogisti, ohe facevano derivaro le dinwtia di Spagna per linea dritta e continua da Adamo e dave i re di Franoia oome disoendenti di Priamo. Resta di ootesta, razza tuttora un oopioso campionario.

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32 Francesco Rabelais

no così poco dei re come dei @tocchi, e dei ricchi come dei bricconi, lascerò ad altri folli prognosti- catari parlare di re e di ricchi, e parlero delle per- sone di bassa condizione e in primo luogo di quelle sottomesse all’influsso di Saturno come gli sprowi- sti di danaro, i gelosi, i farneticoni, i malpensanti, i sospettosi, i cacciatori di talpe (l), usurai, com- pratori di rendite, tiratori di corda, conciapelli, fabbricanti di tegole, fonditori di campane, media- tori di prestiti, ciabattini, gente melanconica. Essi non avranno quest’anno ciò che vorrebbero, studie- ranno sulla scoperta della Santa Croce (2), non git- teranno il loro lardo ai cani e si gratteranno spes- so anche là dove non prude.

1 sottomessi all’influsso di Giove come i bacia- pile, schiodacristi, monaci, accattoni, abbreviato- ri, scrivani, copisti, bollisti, datarii, azzeccagarbu- gli, cappuccioni, fratacchioni, eremiti, ipocriti, un- tuosi, santocchioni, zampelosi, collitorti, imbratta- carte, prelinguanti (3), chiercuti, cancellieri, tona- coni, avemarieri, paternostrieri, guastapergamene, notari, ermellinofori, suggeritori, promotori, se la passeranno secondo il loro danaro; e tanti eccle- siastici morranno che non si saprà a chi conferire i benefizi, talchè a parecchi ne toccheranno due, tre, quattro e pih. La gesuiteria spanderh ai quat- tro venti l’antica lamentazione: il mondo è diven- tato un discolaccio, traligna, non è più sciocco co- me dice Aveneagel.

(1) Detto con irrisione di coloro che cercavano tesori sotterra B non trovavano ohe tane di talpe.

(2) Probabile allusione agli ecolesiestioi ohe, al tempo oorrottissimo del Bi. speculavano sodo sulle oose saore.

(3) Inoaricati di assaggiare i cibi prima dei padroni. Detto per analogia, anche di quei giudioi ohe emettevano il loro parere prima del presidente del Tribunale.

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Opere 33

1 soggetti all’influsso di Marte come boia, assas- sini, soldati di ventura, briganti, manigoldi (l), SU-

bornatori di testimoni, poliziotti, panciafichisti (2), cavadenti, tagliacoglioni, barbacerusici, beccai, fal- si monetari, medicastri, taccuini (3) marrani, rin- negatori di Dio, incendiari, bombardieri, spazzaca- mini, guardie campestri, carbonai, alchimisti, cuo- chi, rosticcieri, salumieri, venditori di balocchi, fabbriceri, lanternieri, magnani, faranno quest’an- no buoni colpi (4); ma taluni di loro saranno SO@

getti a ricevere qualche legnata quando meno se l’aspettano. Uno dei su detti sarà fatto quest’anno vescovo di campo e darà la benedizione ai pas- santi coi piedi (5).

1 soggetti all’influsso del Sole come beoni, minia- tori di faccie scarlatte, pancioni, birrai, fienaioli, facchini, falciatori, copritetti, scassinatori, imballa- tori, pastori, boari, vaccari, porcari, uccellatori, giardinieri, muratori, ortolani, mendicanti ostia- rii (61, operai a giornata, sgrassatori di berretti, im- bottitori di basti, straccivendoli, battidenti (7), ma-

(1) Inteso nel senso autico di mastri di giustizie. (2) Xwtepaye8. Cast erano detti i soldati mareenari ohe

al primo assalto s’arrendevsno onowvoZ+nente. (3) Tao& signifioa in araba repertorio. Il medico arabo

di Carlo Magno, Buhahiliha Beogezla scrisse appunto un repertorio di malattie e relative rioette, intitolato Taouin. Farmgnt, medioo ebreo di Carlo Magno, lo tradusse in la- tino, la traduzione resta, l’originale B scompwso. Colla pa- rola taouina il R. allude probabilmente ai medicastri che non stndiilvano il malato, ma applioavano le ricette seaondo un prontuario generioo. 0 anche, semplioemente: segusoi dello vecahia medioina araba.

(4) In doppio senso. (6) CioB sar8, impiocato a una forca ooi piedi penzoloni. (6) Che stanno sulle porte delle ahiese. (7) M freddo; perciò devoti al sole.

n

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34 Francesco Rabelais

sticalardo e generalmente quanti portano la cami- cia annodata sulla spalla (1) saranno sani e arzilli e non patiranno gotta ai denti nei banchetti di nozze,

1 soggetti all’influsso di Venere come puttane, mantenute, finocchi, pederasti, bellebraghe, innapo- letanati (2), bubbonigeri, masticanotti, ruffiani, ca- gnaroni, cameriere d’albergo, nomina mulierum de- sinenlia in idre (3), come lavandare, avvocatesse, tavernare, bucatare, cenciaiole, quest’anno monte- ranno in reputazione; ma entrando il Sole in Can- cro e altri segni, dovranno guardarsi da sifilide, cancri, pisciacalda, bubboni ecc., le monacelle dif- ficilmente concepiranno senza operazione virile e ben poche vergini avranno alle mammelle latte.

1 soggetti all’influsso di Mercurio come imbro- glioni, frodatori, turlupinatori, ciarlatani, ladroni, mugnai, sfaccendati, mastri d’arte, decretisti, gri- maldellisti, ladri, versaioli, saltimbanchi, bari, in- cantatori, violinisti, poeti, scorticalatino, fabbri- canti di rebus, cartolai, fabbricanti di carta, bar- caioli, pirati fingeranno d’essere più contenti che spesso non siano, talvolta rideranno senz’averne voglia e saranno assai soggetti a far bancarotta se avranno in borsa più danaro che non occorra.

(1) Povere camicie scucite B annodate alla meglio ohe ricordano il virgiliano: Sordiàw, ex humeria nodo depem%t iwnidw. (BL VI, 301).

(2) Mal di Napoli chiamarono i reduci della spedizione di Carlo VIII, quel ricordo di guerra che da noi fu nominato mal j?anBsse. Non è ben ohiao ancora R chi spetti il merito dell’ importazione, o dell’ esportazione. In questa stagione di accese oompetizioni nazionali la mxata guaeat20 non pub re- stare insoluta, onde molti studenti ctl di qua e al di la delle Alpi stenno elaborando erudite tesi di laurea, poggiate, s’in- tende, anl metodo sperimentale.

(8) I nomi delle donne desinenti in 0% Nel testo: Jin- gièrea, adv00atiike8, tcaver~iì3res em.

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Opere 35

1 soggetti all’influsso della Luna come merciaioli, ambulanti, uccellatori, cacciatori, asturzieri, falco- nieri, corrieri, salatori, lunatici, pazzi, scervellati, bisbetici, sventati, mediatori, postiglioni, lacche, marcapunti (l), vetrai, stradioti, battellieri, mari- nai, cavallerizzi, spigolatori d’uva, quest’anno non avranno sosta. Tuttavia non pellegrineranno a San Giacomo di Galizia tanti Zifrilofri (2) come nell’an- no DXXIV. Gran quantità di Michelotti (3) scen- deri dalie montagne della Savoia e dell’Alvernia; ma Sagittario li minaccia di geloni ai talloni.

CAPITOLO VI

Dello sfato d’alcuni paesi.

Il nobile reame di Francia prospererà e trionfe- ra quest’anno fra piaceri e delizie, talchi? gli stra- nieri volentieri vi converranno. Vi fioriranno pic- coli banchetti, piccoli divertimenti, mille allegrie delle quali tutti godranno; non vi si videro mai tanti vini, ne più squisiti; molte rape nel ‘Limosi- no, molte castagne nel Perigord e nel Delfinato,

(1) Al gioco del pallone. (2) Pare siano qui designati i pellegrini tedesohi ohe,

dopo le Riforma oominoiavano a soarseggizwe, laddove erano stati numerosiseimi ne1 1524, anno del giubileo. Pareoohi oommentatori si sono domandati ohe coa& signifiohi propris- mente questo Zifrelofrccr usato pih volte del R. 11 nomignolo pare & me derivato dalla oanzonatura tedesoa dells frase: Iiww Z’o~$re. Immagino battute oome queste:

- OU. allez-vous M’ sient - Se fai8 & Saint-Sac lifrer l’offre. , .

(3) 1 pellegrini ohe andavano al santuario di San Miohele in Bretagna.

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molte olive in Linguadoca, molta sabbia nell’Olo- na (l), molti pesci in mare, molte stelle in cielo, molto sale a Brouage (2); quantità di grano, legumi, frutta, ortaglie, burro, latticini.

Nessuna peste, nessuna guerra, nessun fastidio, niente povertà, niente grattacapi, niente melanco- nia; e i vecchi doppi ducati, i nobili della rosa, gli angelotti, gli aquilotti (3), i reali e i montoni di gran lazza ritorneranno a circolare insieme con gli scha- rati (4) e scudi del sole, in abbondanza.

Tuttavia, a mezza estate sarà a temere una inva- sione di pulci nere, e zanzare della Deviniere (5) adeo nihil est ex omni parte beatum (6); ma conver- rà imbrigliarle a forza di merende vespertine,

Italia, Romagna, Napoli, Sicilia resteranno al punto ov’erano l’anno passato. Sogneranno ben pro- fondamente verso la fine di quaresima, e fantasti- cheranno talora a giorno alto.

Allemagna, Svizzera, Sassonia, Strasburgo, An- versa ecc., se non perdono, guadagneranno.

I questuanti devono starne alla larga e quest’an- no non vi si celebreranno molti anniversari.

Spagna, Castiglia, Portogallo, Aragona, saranno soggetti a subire alterazioni e avranno gran paura di morire tanto i giovani quanto i vecchi e perciò si terranno al caldo e spesso conteranno i loro scu- di, se ne hanno.

Inghilterra, Scozia, Estrelini (7) saranno pessi- mi Pantagruelisti. Il vino gioverebbe alla loro sa-

(1) In Vandea, snll’ Atlantico. (2) Paese della Charente, importante un giorno per il:

suo porto e le saline. (3) Nel testo: aigrefins, da &g&$ns, monete dì oro come

le precedenti B seguenti. (4) Nel testo seraps; monete egiziane d’oro molto fino. (5) Il podere della famiglia Rabelais, vicino a Chinon. (6) Non v’B felicità, completa. (7) Estoni.

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Opere 37

lute quanto la birra, purchè buono e frizzante. A ogni tavola la loro speranza si rifugerà in fundo (11,

San Trignano di Scozia farà miracoli tanti e più. Ma non vedrà luce per le candele che gli porteran- no, se Ariete, ascendendo dalla sua bocca, non in-, ciampi e non lo scorni ‘col suo corno.

Moscoviti, Indiani, Persiani e Trogloditi avran- no spesso il cacasangue perche non vorranno esser minchionati dai Romanisti atteso il ballo del Sa- gittario ascendente.

Boemi, Ebrei, Egiziani non saranno quest’an- no delusi. Venere li minaccia acerbamente di scro- fole alla gola; ma essi condiscenderanno al volere del Re dei Parpaglioni.

Lumaconi, Sarabaiti, Conchiglieri, e Cannibali saranno assai molestati dalle mosche bovine e po- co giocheranno di cembali e di nacchere se il guaiaco non è ricercato.

Austria, Ungheria, Turchia, in fede mia, miei bravi figlioli, non SO come staranno e ben poco me ne curo, vista la brava entrata del Sole in Capri- corno; e se più ne sapete, acqua in bocca e atten- dete la venuta dello zoppo (2).

CAPITOLO VII.

Delle quattro stagtonì dell’anno e primamente della primavera.

In tutto quest’anno non vi*sarà che una luna e inoltre non sarà punto nuova. Ne siete ben afflitti voialtri che non credete in Dio, che perseguitate la

(1) Allo menee dei pmei nordici il vino si risorvave per 1% fine del pasto.

(2) Cosi indimto il Tempo. Come ohi dicesse: chi vivrS -veal%.

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sua santa e divina parola e insieme quelli che l’os- servano. Ma, che possiate essere impiccati, quale altra luna vi sarà se non quella che Dio creo al principio del mondo e che, per effetto della detta santa e divina parola, è stata posta nel firmamento per risplendere e guidar gii uomini la notte? Non voglio, per Diana, inferirne che essa non mostri al- la terra e alle terrestri generazioni o diminuzione, o accrescimento di luce, a seconda che s’avvicinera, o allontanera dal Sole. Perche infatti? Per la stessa ragione che, ecc. ecc. (1). Per di piu non pregate che Dio la preservi dai lupi, poiche quest’anno non la toccheranno, ne son sicuro. A proposito: in que- sta stagione voi vedete fiori meta più che nelIe tre altre. E non sar8 reputato folle colui che in questo tempo farà provvista di danaro più che d’arringhe in tutto l’anno. 1 Grifoni e Marroni (2) delle monta- gne di Savoia, Delfinato e Iperboree, che vivono tra nevi perpetue, saranno privi di questa stagione e non la vedranno, secondo l’opinione di Avicenna, il quale afferma essere Primavera quando le nevi scendono dai monti. Credete all’autoriti sua. Al tempo mio si contava Ver quando il sole entrava nel primo grado di Ariete. Se ora si conta altrimen- ti avrò torto. E sto zitto.

CAPITOLO VIIl

Dell’esfate.

D’estate non SO qual tempo, nè qual vento cor- rerh; ma SO bene che dovrà far caldo e regnare ven-

(1) Il R. risparmia le ragioni ohe dovevano emx@ inse- gnate nelle wuole e couosoiute da tutti.

(2) Cos1 ~ouo designati i montanari perchi? molto si oiba- vano di marroni, e avvolti di pelli oontro il freddo, amu- movano aspetti quasi belluini.

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to marino, Tuttavia se accadesse altrimenti, non bi- sogna per questo rinnegar Dio il quale 6 più sag- gio di noi e sa quello che ci è necessario meglio di noi stessi, ve l’assicuro sull’onor mio, checchè ne dicano Aly (1) e i suoi seguaci. Farà bene stare al- legri e bere fresco; benchè taluni abbian detto che nulla è pih contrario alla sete. Lo credo. Contraria contruriis curantzzr (2).

CAPITOLO 1X

Dell’autunno.

In autunno si vendemmierà, o prima o dopo; per me i: lo stesso, purchi: ci sia vino a suffieen- za. 1 credevo (3) saranno di stagione, poichè crede- rl far vento tale che baldamente caccarellerh. Quel- li e quelle che han fatto voto di digiuno fin che siano stelle in cielo, a quest:ora, per mia concessio- ne e dispensa possono cibarsi. Anzi han tardato di molto; poichè le stelle vi sono da sedicimila e non SO quanti giorni e bene infisse, dico. E non sperate più d’ora innanzi di acchiappar le allodole alla ca- duta del cielo, poichè durante la vita nostra non ca- drà, sull’onor mio. Bigotti, ipocriti, questuanti, con- fraternite e altrettali ventremiofatticapanna, sbu- cheranno dalle tane loro (4). Se ne guardi chi vuo- le. Guardatevi anche dalle lische mangiando pesci. E dal veleno vi Pardi Iddio.

(1) Filosofo e matematico arabo del 8ec. X11. (2) 1 mali si curano coi loro contrari; l’oppoeto della

medicina omeopatica. (3) Cuideurs de vsndanye, definisce il R. coloro che u se-

kichés par le raitiw, 8c conchimt en woyast ne fak*e que ves~w s. (4) Per riscuotere le dccime e approvvigionarsi sui r&O-

COlti.

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40 Framesco Rabelais

CAPITOLO X

Dell’inverno.

D’inverno, secondo il mio piccolo intendimen- to, non saranno savi quelli che venderanno le lo- ro pelliccie per comprar legna. Cosi non facevano gli antichi, come testimonia Avenzoar. Se piove non immalinconite: tanto meno polvere avrete per la strada; tenetevi al caldo, abbiate timor dei catar- ri, bevete del migliore in attesa che il nuovo si per- fezioni, e, fatemi un favore, più d’ora innanzi non cacate a letto... Oh, oh, pollastrelle, fate i vostri ni- di così alto? (1).

(1) Come chi dioesse: Oh, signorine sd~ifiltose, non tor- cete il niffolo! Non capitò anche & voi uu tempo8 E non poh8 oapitervi ancore7

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ALMANACCHI (1)

(1) Il R. a Lione, mentre attendeva all’eseroieio della medicina B ourava pei tipografi la pabblieazione di opere gravi oome gli AJ%&G d’Ippoorate, le Epistole dal Manadi, la Xopograjia di Roma del Marliani eoo., oompilava a fin d’anno almansoohi umoristici di faoile e largo smercio. Il piU itntioo de’ suoi biografi, Antonio Le Roy, ne segnalava alouni: < MM.. e bibliothscir olarisslmorum virowm maOd Patini, Jawbi ilfanhlii, et Gabr&lb Nardaei cesscvxnt poss manibus bria potissimum aakndaria, quae qzcondam 8% o&ha proprioque ipsius Ilabekati Narte prodierw P. (RabelaGna elogia, 1, cap. 20, p. 1%).

D’aluuni di essi, quelli per gli anni 1533, 1535 e 1550 il Le Roy conservava titoli e frammenti. In una lettera da Roma al vesoovo d>Estissao, il R. stesso sorive: < . . . le Wu8

envoye aussi UM Almanaoh pour Pail qui vient 1536 B. Ero uno de’ suoi9

Sono stati ritrovati frammenti di uno per l’anno 1541. 11 titolo cl&: Almanaoao per Palrao 154f, aakwlato sul mev& diano dai% nobile città di Zkme alb aleva&ns dal polo ai 45 g9wdi e 15 miw&i ai zatituains e 26 ai Zonglkdine, pw Afustro Francesco Rabelais, dottore in medioina. Sono state pure ritro- vate traooie degli almanacchi per il 1546 e 1648. Quello per il 1550 B così intitolato: « Almanaooo ed eflemeridi per Panno di N. J’. G. C. 1550, composto e oalcolato 8% tutta I’Ewopa c-& ì% Franuwo Rabelah, me&% ordinario di Af. il r6vmm- aìdnr0 oarai~b ua Relky - Lione b. ( Rabelaerka elogia, 1, cap. 27, P- 133).

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h%ANACCO PER L'ANNO 1533 (1).

Calcolato sul meridionale della nobile Cittci di Lio- ne e sul clima del Reame di Francia composto da me Francesco Rabelais, dottore in Medicina e professore d’astrologia ecc.

LA DISPOSIZIONE DEL PRESENTE ANNO 1533.

Poiche vedo esser biasimata fra tutti i sapienti la prognostica e i giudizi desunti dall’astrologia, sia per la vanità di coloro che ne han trattato, sia per l’annuale sfumare delle loro promesse, io mi dispenserò per ora dal comunicarvi ciò che mi ri- sultava dai calcoli di Cl. Tolomeo e di altri. Oso dire tuttavia, considerate le frequenti congiunzioni della Luna con Marte, Saturno, ecc, che nel mese di maggio del detto anno non può essere che non avvenga notevole mutamento per la congiunzione di Mercurio con Saturno, ecc. Ma son segreti codesti, dell’intimo Consiglio del Re eterno, il quale tutto ciò che B e si compie, modera a suo libero arbitrio e piacimento; e va1 meglio tacerli e adorarli in si- lenzio come è detto in Tobia, X11: < E’ bene nascon- dere il segreto del Re B; e in David profeta, sal- mo CXIII, secondo la lettera caldaica: a Signore Iddio, il silenzio, fappartiene in Sipn ,. E ne dice

(1) Estretto da, Rabelnesina elogia, 1, 26, p. 127.

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la ragione nel salmo XVII: < Poichè ha posto la sua reggia nelle tenebre %.

Onde, in ogni caso, conviene umiliarci e pre- garlo, come insegnò Gesù Cristo Signor nostro, che: « Sia fatto non cid che desideriamo e domandiamo, ma ciò che gli piace e che Egli stabilì prima che fossero formati i cieli; che in tutto e per tutto sola- menie sia santificato il suo glorioso nome B.

Rimettiamoci per il resto a quanto è scritto nelle effemeridi eterne, le quali non è lecito a uomo mor- tale trattare o conoscere, com’è affermato in A. A. 1. (1): c Non è da voi conoscere i tempi e momenti che il Padre ha tenuto in suo potere >, E su questa temerità grava pena interminata secondo il savio Salomone, Proverbi XXV: c Chi vo& perscrutare la maestù sua, sarà dalla stessa oppresso, ecc. w.

ALMANACCO PEII L'ANNO 1535 (2).

calcolato sulla nobile città di Lione a 45 gradi e 15 minuti di iatìludine e 26 di longitudine all’ele- vazione del Polo da Mastro Francesco Rabelais doftore in medicina e medico del Grande Ospe- dale di Lione.

DELLA DISPOSIZIONE DI QUEST'ANNO 1535.

Gli antichi filosofi che affermarono l’immorta- lita dell’anime nostre, nessun più valido argomento ebbero a provarla e dimostrarla che l’ammonimen- to d’una inclinazione ch’è in noi e che Aristotile descrive nel libro 1 della Metafisica dicendo che tut- ti gli uomini, per natura, desiderano sapere; la na- tura cioè ha posto nell’uomo, brama, appetito e de-

(1) Acts Apostolorum. (2) Anche questo frammento =b ricnvnto dal LE ROY, Op.

oit., 1, 26, p. 133.

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opere 45 -

siderio di sapere e apprendere non solo le cose pre- senti, ma singolarmente le cose avvenire, che la conoscenza di queste è pih alta e ammirabile.

Poiche dunque in questa vita transitoria non possono condurre a perfezione tale conoscenza, non essendo l’intendimento mai sazio d’intendere, l’occhio mai senza avidità di vedere e l’orecchio d’udire (Ecclesiaste, 1) e poichè la natura nulla ha fatto senza causa, nè dato appetito e desiderio di cosa che non si possa talora ottenere (altrimenti sarebbe quell’appetito o vano, o depravato) ne se- gue che dopo la presente verra un’altra vita, nella quale quel desiderio Sara appagato.

Dico ciò perchè vi vedo sospesi, attenti e bra- mosi d’intendere ora da me lo stato e la disposizio- ne di quest’anno 1535 e reputereste vantaggio miri- fico se vi fosse predetta con certezza la verità.

Ma se volete soddisfare interamente questo fer- vido desiderio, vi conviene augurare che le vostre anime siano espulse dalla spoglia tenebrosa del corpo terreno e congiunte con Gesù Cristo. Cosi S. Paolo diceva: Cupio dissolvi et esse cum Chri- sto (1) (Lett. ai Filippesi, 1, 23). Allora cesseranno tutte le passioni, affezioni, e imperfezioni umane, poichè godendo di lui s’avra pienezza d’ogni bene, d’ogni sapere e perfezione, come cantava un tempo li re David, salmo XVI: Tzmc satiabor, cum apparue- rit gloria tua (2).

Predire altrimenti sarebbe leggerezza da parte mia, prestarvi fede, semplicità da parte vostra. Non è ancora nato uomo dalla creazione di Adamo che abbia trattato o detto cosa alla quale possiamo ri- metterci con sicurezza. Hanno bensi alcuni studio- si messo in iscritto alcune loro osservazioni fatte di mano in mano. E questo io ho sempre asserito non volendo coi miei pronostici affermare comun-

(1) Brama morire ed eeeere con Cristo. (2) &nando mi sati apparsa la tua gloria sarb eoddisf&o.

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46 Francesco Rabelais

que l’avvenire; e intendo che quanti hanno redatto le loro lunghe esperienze sugli astri, hanno inteso ed espresso come io ho scritto. E’ che può valere ciò? Certo meno che niente. Infatti dice Ippocrate: (Aforismi 1) Vita breuis, or.~ longa (1). Troppo bre- ve la vita, troppo fragile il senso dell’uomo e trop- po distratto l’intendimento per comprendere cose troppo lontane da noi. Questo diceva anche Socrate nelle sue conversazioni: Quae supra nos nihil ad nos (2).

Secondo il consiglio dunque di Platone nel Gor- gia, o, meglio, secondo la dottrina evangelica (Mat- teo, VI) non ci resta che allontanarci da questa an- siosa ricerca intorno al governo e decreto invaria- bile di Dio onnipotente, che tutto ha creato e di- spensato secondo il suo sacro arbitrio. Supplichia- mo e chiediamo che sia fatta la sua santa volanti Cosi in cielo come in terra (3).

Esponendovi sommariamente le cose di que- st’anno che ho potuto ricavare dagli autori del- l’arte, greci, arabi e latini, cominceremo, quest’an- no, a sentir parte dell’infelicità della congiunzione di Saturno con Marte, che fu l’anno passato e sara 1’ anno venturo il 25 maggio, diguisachè in que- st’anno awerranno solo le macchinazioni, agitazio- ni, i principi e semenze delle disgrazie seguenti: se abbiamo tempo buono, cio Sara indipendente dalla promessa degli astri; se abbiamo pace, non sarà per difetto d’inclinazione e preparazione di guerra, ma perchè ne mancherà l’occasione. Questo dicono que- gli autori,

Quanto a me dico che se i re, i principi e le comunità cristiane, hanno in reverenza la divina parola di Dio e secondo quella governano sb e i

(1) La vita B breve, l’arte lunga. (2) Cia ohe sta sopra noi non B di nostra pertinenze. (3) Versetto del Paternoster insegnato da 8. Matteo, VI,

9-13.

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Opere 47

sudditi, noi non vedemmo al tempo nostro, n& an- no più salubre al corpo, più tranquillo per le ani- me, più fertile di beni di questo, e vedremo la fac- cia del cielo e l’aspetto delIa terra e la condotta del popolo giocondi, allegri, piacevoli, benigni. pih che non siano stati da cinquant’anni in qua.

La lettera domenicale sarà C. Il numero d’oro XXVI. L’indizione pei romanisti, VIII. Ciclo del so- le, IV.

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LA SCIOMACKIA

4.

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LA SCIONACHIA E LE FESTE PATTE A ROMA

NEL PALAZZO DI MONSIGNOR REVERENDISSIMO

IL OARDINALE DU BELLAP

PER LA FELICE NASOITA

DI

L~KN~IGNORE D’ ORLtiANS U)

IL TUTTO ESTRATTO

DA UNA COPIA DELLE LETTERE

SURITTE A MONSIGNORE REVERENDISSII!IO

IL CARDINALE DI GUISA (2)

DA

MASTRO FRANOESCO RABELAIS

DOTTORE IN MEDICINA

(1) Il titolo ohe si usa oonferire ai secondogeniti delle 0Q8e reali di Francia.

(2) Giovanni, il quale, insieme col fratello Claudio, aveva, ottenuto alla oorte di Enrioo 11 une posizione pre- ponderante nel governo delle oose di Fraucia.

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11 3 di febbraio 1549 (1) fra le tre e le quattro del mattino, nacque al castello di Saint-Germain- en-Laye il Duca d’Grleans figlio secondogenito (2) del cristianissimo Re di Francia Enrico di Valois, secondo di questo nome, e della illustrissima Ma: dama Caterina de’ Medici, sua buona sposa.

Proprio quel giorno, in Roma, per le banche si diffuse dappertutto la voce, senza che se ne cono- sca l’autore, di questa felice nascita; non solamen- te del luogo e giorno sopra indicati, ma anche del- l’ora, cioe circa le ore nove (3) secondo il modo di contare dei Romani. Cosa prodigiosa e ammira- bile; non tuttavia per me che potrei allegare nelle storie greche e romane notizie insigni, come -di bat- taglie perdute, o vinte, giunte a cinquecento leghe di distanza, o altri casi di grande importanza dei quali s’era sparsa la voce proprio lo stesso giorno, o anche prima, senza che si sapesse da chi. Un ca- SO simile vedemmo accadere a Lione al signore di

(1) Così secondo il modo di computie l’anno a Boma, eh’8 poi l’attuale. In Francia ai usava tuttavia computare il principio dell’anno ut Pasqua, B oib spiega come tsluni atorioi segnarono questa nascita nel febbraio del 1648.

(2) Errsno gli storici che danno come seooudogenito Carlo 1X, il quale naoque tiri anno dopo, ed ebbe il titolo di duca @Orlèans alla morte del vero secondogenito avve: oUta il 24 ottobre 15%).

(3) Le 3 del mattino. Cfr. pag. 107, n. 1.

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Frmweseo Rabelais

Rochefort per la giornata di Pavia, e recentemente a Parigi il giorno (1) che combatterono i signori di Jarnac e Chataigneraye; e mille altri. E’ questo un punto sul quale i Platonici fondarono la presenza della divinità negli dei tutelari, che i nostri teologi chiamano angeli custodi. Ma tale argomento eccede- rebbe la giusta misura d’una epistola.

Il fatto B che nelle banche queste notizie acqui- starono credito così sicuro che molti di parte fran- cese, sulla sera accesero fuochi di gioia e sui loro calendari segnarono di un segno bianco la fausta e felice giornata. Sette giorni dopo, queste buone no- tizie furono pienamente accertate da alcuni corrie- ri di banca giunti gli uni da Lione, gli altri da Fer- rara.

1 miei signori, i reverendissimi cardinali france- si che sono in questa Corte di Roma, e insieme il signor d’Urfè, ambasciatore di Sua Maesti, non aven- do altro awiso particolare, tardavano sempre a pro- clamare la loro gioia e allegrezza per questa tanto desiderata nascita, finche il signor Alessandro Schivanoia,, gentiluomo mantovano, arrivò il pri- mo giorno di questo mese di marzo inviato da par-

(1) Il 10 luglio lM7. Il duello resto famoso per la qua- lità, dei contendenti, degl’interessi ohe rappresentavano, per l’importanza che vi attribuì le Corte e per la tragiea solu- zione ohe ebbe.

Tra Francesco 1 ed Enrico 11, il Delfino, erano spesso disaccordi fomentati da intrighi e gelosie tra Anna di Pis- selen, duahessa d’Etampes, favorita del padre, e Diana di Poitiers, favorita del figlio. Guido Chabot, barone di Jarnao fu il paladino di Anna, sua cognata, Franceseo de Vivonne signore de La Chataigneraye, quello di Diana. 11 duello, proibito da Francesoo 1, segui all’avvento di Enrioo 11 nel parco del oastello reale di 5. Germain-en -Laye al eospetti di tutta la Corte. Contro ogni aspettazione il Chataigneraye, .atleta e spadaoeino dei più destri e formidabili d’Europa, fu abbattuto dal celebre colpo al garretto del Jarnae. E strappatosi dalla rabbia le bende, mori poco dopo.

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Opere 55

te di Sua Maestà per accertarne il Padre Santo, i cardinali francesi e l’ambasciatore. Onde furono fatte da ogni parte feste e fuochi di gioia per tre giorni consecutivi.

R mio signore, reverendissimo cardinale Du Bel- lay, non contento di queste piccole manifestazioni popolari di letizia per la nascita di un così gran principe, destinato a cose si grandi in materia di cavalleria e gesta eroiche, come appare dal suo oro- scopo (se viene a sfuggire a un triste aspetto all’an- golo occidentale della settima magione) volle, per mo’ di dire, fare cio che fece il signor Gian Gior- dano Orsini, quando il re Francesco di felice memo- ria (1) ottenne la vittoria di Marignano (2).

La parte nemica, credendo a false informazioni aveva acceso fuochi di gioia per le vie di Roma co- me se il Re avesse perduto la battaglia; ma egli av- vertito della verita e dell’awenuta vittoria comprb cinque o sei case attigue l’una all’altra che forma- vano una specie d’isola, le fece riempire di fascet- te, fascine e botti con molta polvere da cannone poi v’appiccò il fuoco. Era una nuova alosis (31, una nuova forma di fuoco di gioia. E parimenti Monsignore il cardinale reverendissimo (4), per di- mostrare l’immensa gioia provocata dalle buone no- tizie, voleva fare, checche gli costasse, qualche co- sa degna d’esser vista e non mai vista, a nostra me- moria, in Roma. Non potendo tuttavia dare esecu- zione al desiderio secondo la sua fantasia, causa una malattia di cui soffriva in quei giorni, e pur incombendo a lui il dovere a causa delle sue fun- zioni, fu sollevato dalla perplessità grazie al signor Orazio Farnese duca di Castro (5), e ai signori Ro-

(1) Morto nel 1547. (2) Melegnano, 1515. (3) In greco: espugneCone. (4) Il Dn Bellny, naturalmente. (5) Piglio terangenito di Pier Luigi Farnese.

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Francesco Rabelais

herto Strozzi e de Maligni (1) i quali ardevano del- la stessa combustione. Misero quattro teste in un cappuccio e dopo essersi consigliati su parecchi progetti, deliberarono una sciomachia, cioè un si- mulacro e rappresentazione di battaglia sia per ac- qua che per terra.

La naumachia, vale a dire la battaglia navale, era progettata s0pr.a il ponte Elio (2), giusto davan- ti il giardino privato di Castel Sant’Angelo, che il defunto Guglielmo Du Bellay (3) signore di Langey, d’eterna memoria, aveva fortificato, protetto e dl- feso colle sue bande per assai lungo tempo contro i Lanzichenecchi che poi saccheggiarono Roma. Il combattimento doveva procedere così: cinquanta piccole navi come fuste, galeote, gondole e frega- te armate, avrebbero dovuto assalire un grande e mostruoso &leone composto di due tra i più gran- di vascelli che fossero su questo mare, e che erano stati fatti risalire da Ostia e da Porto a forza di bu- fali. E dopo molte finte, assalti, ripulse e altre ma- novre usate nelle battaglie navali, verso sera il ga- leone doveva essere incendiato,

Sarebbe stato un terribile fuoco di gioia dato il gran numero e la quantita di fuochi d’artificio onde era carico. Il galeone era già pronto per la batta- glia, i piccoli vascelli erano pronti ad assalire, tut- ti dipinti secondo i blasoni dei capitani assalitori con le pavesate e le ciurme assai graziose. Ma il combattimento fu omesso causa un’orribile pie- na del Tevere e i gorghi troppo pericolosi. Sa- pete infatti che il Tevere (5 uno dei più incostanti

(1) Così il testo; ma deve trattarsi del ziguore de Maligny (CI Marigny’l) gentiluomo e guerriero addetto al seguito del oardinale DU Belluy.

(2) Ponte S. Angelo, gi8 chiamato Elio, o Adriano da P. Elio Adriano che lo feoe costruire nel 136 d. C.

(3) Il fratello umggiore del cardinale, che il R. ricorda con smmiraziouu in pih luoghi. Cfr. L. IV, 2i.

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Opere SI

fiumi del mondo e ingrossa improvvisamente non solo per l’affluire delle acque che precipitano dalle montagne allo sciogliersi delle nevi, o per le piove, e per il traboccare dei laghi che si scaricano in es- so, ma anche, in maniera più strana, a causa dei venti australi che soffiando dritto alla foce presso Ostia, sospendendo il suo corso e non dandogli mo- do .di sboccare nel mare Etrusco, lo fanno gonfiare e tornare indietro con miserevole calamità e deva- stazione delle terre adiacenti. S’aggiunga che due giorni avanti aveva naufragato una delle gondole nella quale s’erano gettati alcuni pagliacci, inesperti del mare, i quali credevano fare i matti e buffoneg- giare sull’acqua come sogliono fare assai bene in terra ferma. La naumachia era fissata per la dome- nica, dieci di questo mese.

La sciomachia terrestre fu fatta il giovedi se- guente. Per meglio comprendere è da notare che fu scelto come campo, perchk avesse pieno svolgi- mento, la piazza dei Santi Apostoli, che dopo quel- la di Agona (l), è la piti bella e lunga di Roma, e an- che, e principalmente, perchk il palazzo del reve- rendissimo cardinale Du Bellay è situato lungo ta- le piazza.

In quella dunque, davanti al portale del palaz- zo, su disegno del capitano Gian Francesco di Mon- te Melino, fu eretto un castello di forma qua- drangolare, ciascun lato del quale lungo circa ven- ticinque passi, alto dodici e mezzo, compreso il pa- rapetto. A ciascun angolo era stato costruito un tor- rione a quattro angoli acuti, tre dei quali erano proiettati in fuori, il quarto si smorzava nell’ango- IO della muraglia del castello. In tutti i torrioni, nel rientramento degli angoli interni, in due punti, al di sopra e al di sotto del cordone, erano praticate feritoie per cannoni.

(1) Navons.

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1 torrioni col loro parapetto erano alti come la muraglia. Questa, nel lato principale, volto verso la piazza, e nel perimetro de’ suoi due torrioni era costituita di forti tavole e assi fino al cordone; la parte superiore era di mattoni per la ragione che dirò appresso. Gli altri due lati coi loro torrioni erano tutti fatti di tavole e di listelli. Il quarto lato era la muraglia di fronte al portale del palazzo. A un angolo di essa, internamente, era stata eretta una torre quadrata dello stesso materiale, alta tre volte gli altri torrioni. Esternamente tutto era ben connesso, incollato e dipinto come se fossero mu- raglie di grosse pietre tagliate alla rustica, quali si vedono nella grossa torre di Bourges.

Tutto il circuito era cinto da un fossato largo quattro passi, profondo una mezza tesa (1) e piu. La porta corrispondeva al portale del palazzo ed era piu alta della muraglia circa tre piedi a causa del caditoia. Da essa un ponte levatoio scendeva fin sulla controscarpa del fossato.

Il giorno sopra indicato, 14 di questo mese di marzo, il cielo e l’aria sembrarono favorire la fe- sta. Da molto non s’era visto un tempo tanto chia- ro, sereno e lieto come quello che duro per tutta la giornata.

Il concorso della folla era incredibile. Erano ac- corsi non solamente i signori reverendissimi car- dinali, quasi tutti i vescovi, prelati, ufficiali, si- gnori e dame e popolo minuto della città, ma alla voce che s’era diffusa di questo nuovo torneo, an- che dalle terre circonvicine a piti di cinquanta le- ghe intorno, erano convenuti in numero straordi- nario signori, duchi, conti, baroni, gentiluomini colle loro donne e famiglie, talchè nei giorni pre- cedenti, tutti i ricamatori, sarti, pennacchieri e al- tri d’altrettali mestieri furono impiegati e occupati

(1) Une tesa ara qnasi due metri.

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a finire gli abbigliamenti, richiesti dalla festa. Per modo che non solamente i palazzi, case, loggie, gal- lerie, palchi traboccavano di gente affollata, ben- chè la piazza sia tra le più grandi e spaziose che si possano vedere, ma n’eran carichi anche i tetti delle case e chiese vicine. In mezzo alla piazza peri- devano le insegne del signore d’Orl6ans in una gran cornice a doppia faccia, contornate da un gioioso festone di mirto, edera, alloro e arancio graziosa- mente intrecciati di fili d’oro, con questa iscrizione:

Cresce, infuns, fatis nec te ipse vocuntibus aufer (1).

Verso le ore diciotto, secondo il computo del paese, cioe tra l’una e le due dopo mezzogiorno, mentre i combattenti si armavano, entrarono nella piazza i capitani Colonnesi coi loro soldati arma- ti, abbastanza male in arnese. Sopravvennero gli Svizzeri della guardia del Papa col loro capitano, tutti armati d’arma bianca, colla picca in pugno e in bell’ordine per schierarsi a guardia della piaz- za, Intanto, per temporeggiare e divertire il magni- fico pubblico, furono sciolti sulla piazza quattro to- ri terribili e fieri.

Il primo e il secondo furono abbandonati ai gla- diatori e bestiarii in cappa e spada. Contro il terzo combatterono tre grandi cani corsi, e la lotta fu molto divertente. Il quarto, che sembrava troppo furioso, e avrebbe potuto far molto male tra il po- polo minuto, fu affrontato con armi lunghe: pic- che, partigiane, alabarde, giavellotti, spiedi bolo- gnesi ecc.

Abbattuti i tori e sgombrata la piazza dal pub- blico fino agli steccati, sopravvenne il Moretto ar- cibufFone italiano, montato sopra un potentissimo ronzino, che teneva in mano quattro lancie legate

(1) C%w~i, fanoiullo, e *ton sottrarti ai fati ohe ti ahiamano.

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e innestate l’una sull’altra come una Sola, vantan- dosi di romperle tutte in una corsa contro terra. E provò infatti spronando il ronzino, ma non rup- pe che l’impugnatura e s’acconcio il braccio da corridore buffonesco. Entrò quindi nella piazza a suon di pifferi e tamburi una banda di fanti tutti sfarzosamente acconciati, armati di armature qua- si tutte dorate, tanto i picchieri quanto gli schiop- pettieri, in numero di trecento e più. Seguivano quattro trombettieri e uno squadrone di cavalieri, tutti servitori di Sua Maesta e della parte francese, i più splendidi che si possano desiderare, in nume- ro di cinquanta cavalli e più. Colla visiera alzata, due volte girarono intorno alla piazza in grande allegrezza facendo piroettare, saltare, impennare i loro cavalli gli uni tra gli altri con grande conten- tezza di tutti gli spettatori.

Poi si ritirarono a un capo della piazza a sini- stra verso il monastero di San Marcello. Di quella banda il capo dei fanti era il signor Astorre Ba- glioni; le sue insegne e le sciarpe delle sue genti erano di colore bianco e azzurro. Il signor duca O- razio era capo dei cavalieri dei quali segno qui volentieri, a loro onore, i nomi.

L’Eacellenza del detto signor Domenico do Maesimis, duca, P. Luigi Capiaucoo,

Paolo Battista Fregoso, Gian Paolo della Cecoa, Flaminio de 1’ Angnillsra, Bernardino Piovene, Alessandro Cinquini, Ludovico Cosciari, Duoe d’Onano, Gian Paolo, scudiere di Sua Teobaldo della Moka, Eccellenza. Filippo di Serlupis,

Tutti portavano armature dorate ed erano mon- tanti su grossi corsieri; i loro paggi su ginnetti e cavalli turchi per il combattimento colla spada.

1 colori di Sua Eccellenza erano bianco e incar- nato e apparivano negli abiti, nelle bardature, gual- drappe, pennacchi, pennoncelli, lancie, foderi del-

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le spade, tanto dei sopra detti cavalieri quanto dei numerosi paggi e staffieri che li seguivano. 1 suoi quattro trombettieri erano vestiti di casacchine di velluto incarnato frappato e foderato di tela d’ar- gento. Sua Eccellenza era riccamente vestito sul- l’armatura d’un costume all’antica di raso incarna- to, trapunto d’oro, coperto di mezzelune di stoffa riccamente ricamata di tela e canutiglia d’argento. In modo simile erano vestiti e coperti i cavalieri sopradetti e parimenti i cavalli. Non è da omettere, che, tra le mezzelune d’argento ad alto rilievo, in certi quadri erano riccamente sbalzate con ricchi ricami di color verde, quattro mannelle intorno al- le quali era scritto questo motto: Flartescent (1). E simboleggiavano, a mio avviso, che una sua gran- de speranza era vicina a maturità e a soddisfa- zione.

Appartatesi quelle prime due bande, e rimasta sgombra la piazza, subito entrò dal fondo a destra, una compagnia di giovani e belle dame riccamente adorne, vestite alla ninfale, come si vedono le nin- fe nei monumenti antichi. La principale di esse, più eminente e alta di tutte l’altre, rappresentante Dia-

. na, portava al sommo della fronte una mezzaluna

(1) Biondsggwanro. Il R. pienamente edotto delle tratta- tive diplomatiohe in oorso tra Eurico II e Paolo 111, conoacev~~ bene le speranze di Orazio Farnese; ma vi allude con discre- zione in questo up~soolo destinato alla stsmpa. Il papa pra- pugnava il matrimonio del nipote con Diana di Franoia, allora dodicenne, figlia naturale di Eurico 11 e di una Fi- lippa Ducei, damigella torinese da lui violentata. Il re pro- pngnava la cessione al futuro genoro del ducato di Parma che doveva e88er tolto al fratello di lui, Ottavio Faroese. In quel modo il re di Francia pensava costituirsi un vaa- sa110 e un po&o avenzato per una eventuale riconqufeta del Milanese a uui in Frsnois non avevano msi oessato d’aspi- rare. Il matrimonio avvenne nel 1553, ma Orazio Farnese non ebbe mai il ducato di Parma o morì sei mesi dopo le nozze alla difesa di Hesdin presso Calaie, contro gl’imperiali.

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d’argento, la capigliatura bionda sparsa sulle spal- le e intrecciata sul capo una ghirlanda d’alloro tut- ta fiorita di rose, violette e altri bei fiori; sopra la sottana e il guardinfante era vestita di damasco ros- so cremisi a ricchi ricami, di una fine tela di Ci- pro, tutta trapunta d’oro, curiosamente pieghettata come i rocchetti dei cardinali, che discendeva fino a mezza gamba, e sopra, una pelle di leopardo ben rara e preziosa, abbottonata con grossi bottoni d’o- ro alla spalla sinistra.

1 suoi calzari dorati e frastagliati erano allac- ciati alla ninfale con cordoni di tela d’argento. II corno d’avorio le pendeva dal braccio sinistro e la faretra preziosamente ricamata e tempestata di per- le, era appesa alla spalla destra con grossi cordoni infioccati di seta bianca e incarnata. Nella destra teneva un’asta argentata. Le altre ninfe erano ac- conciate quasi allo stesso modo, ma senza la mez- zaluna d’argento sulla fronte. Ciascuna teneva in mano un arco turchesco assai bello e la faretra co- me la prima. Alcune portavano sui loro rocchetti pelli di tigri, altre di lupi cervieri, altre di martore calabresi.

Alcune conducevano levrieri al guinzaglio, al- tre suonavano le loro trombe, Era bello a vedersi. Cosi girando per la piazza in piacevoli atteggiamen- ti come se andassero alla caccia, avvenne che una del gruppo, distraendosi dalle compagne per allac- ciarsi il cordone di un calzare, fu portata via da al- cuni soldati usciti improvvisamente dal castello. Il ratto provocò nel gruppo un orribile spavento. Dia- na gridava ad alta voce che glie la restituissero e parimenti le altre ninfe con grida pietose e lamen- ti, Ma nulla fu loro risposto dal castello. E allora tirando freccie sul parapetto e fieramente minac- ciando quelli che stavano dentro, si ritirarono aI- trattanto tristi e mortificate al ritorno quanto eran gaie e allegre arrivando.

In fondo alla piazza, incontrando Sua Eccellen-

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za e la sua compagnia, si misero a gridare insieme spaventevolmente e Diana raccontò lo spiacevole caso a lui, che appariva essere il suo bello e favo- rito, come attestava il segno delle mezzalune d’ar- gento sparse sui suoi vestiti, e gli chiese aiuto, soc- corso e vendetta, ciò che le fu promesso e assicu- rato. Poi le ninfe uscirono dalla piazza.

Allora Sua Eccellenza manda un araldo alla guarnigione del castello, chiedendo gli fosse imme- diatamente restituita la ninfa rapita e minacciando forte e fermo di mettere loro e la fortezza a fuoco e a sangue in caso di rifiuto o ritardo. Quelli del ca- stello risposero che reclamavano la ninfa per si: e che se la rivolevano bisognava giocar di coltello e tutto il resto. E non solamente non cedettero all’in- timazione, ma fecero salire la ninfa al sommo della torre quadrata, in vista a quelli di fuori. Inteso il ri- fiuto dell’araldo, Sua Eccellenza tenne un consiglio sommario coi suoi capitani e fu risoluto di abbatte- re il castello e quanti v’erano dentro.

In quell’istante dal fondo della piazza, a parte destra, entrarono, al suono di quattro trombe, pif- feri e tamburi, uno squadrone di cavalieri e una banda di fanti che marciavano furiosamente come volessero entrar per forza nel castello a soccorso della guarnigione.

Il signor Ciappino Orsini comandava i fanti, tutti uomini magnifici e superbamente armati, tan- to i picchieri quanto gli arehibugeri in numero di trecento e piti. 1 colori della sua insegna e della sua sciarpa erano bianco e arancio. 1 cavalieri, in nu- mero di cinquanta cavalli e piu, tutti con armature dorate, riccamente vestisti e gualdrappati erano con- dotti dai signori Roberto Strozzi e Maligni. 1 colo- ri del signor Roberto, della sopravveste sulle armi, delle bardature, gualdrappe, pennacchi, pennoncel- li, e dei cavalieri guidati da lui, dei trombettieri, Paggi e staffieri, erano bianco, azzurro e arancio; quelli del signor de Maligni e dei cavalieri da lui

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guidati erano bianco, rosso e nero. E se quelli di Sua Eccelenza erano bene e vantaggiosamente mon- tati e riccamente acconciati, questi altri non la ce- devano loro per nulla. Cito qui a titolo d’onore e lode i nomi dei cavalieri:

Il signor Roberto Strosei, Il signor de Maligni, Il signor Avorso dell’ Anguil-

lara, Il eignor di Maliaorno il gio-

vrtne, Il signor Gian Battista da

Vittorio, Il Signore di Piebon,

Il rtignor Saipione di Piovene, Il Signore di Villeperxmy, Spagnino, Battiati, brecohiere del si-

gnor ambasoistore, Il crvallerizzo del signor Ro-

berto,

Gian Battiata Altoviti, Il signor della Guardia.

Questi due ultimi non presero parte al combatti- mento perche alcuni giorni prima della festa, eser- citandosi alle terme di Diocleziano con la compa- gnia, il primo ebbe rotta una gamba, il secondo il pollice tagliato per il lungo.

Queste due bande adunque entrate fieramente nella piazza furono incontrate da Sua Eccellenza e dalle sue schiere. Allora s’inizii> la mischia degli uni cogli altri con bravura e onore senza tuttavia che si rompessero lancie ne spade. Gli ultimi entra- ti ritirandosi sempre verso il forte, i primi sempre li .incalzavano fino a che furono presso il fossato. Allora dal castello fu un gran sparare di grossa e media artiglieria; Sua Eccellenza colle sue bande si ritirarono nel loro campo; le due bande ultime entrarono nel castello.

Finita la scaramuccia, usci dal castello un trom- bettiere inviato a Sua Eccellenza per sentire se i suoi cavalieri volessero far prova del loro valore in una monomachia o singolar tenzone, contro gli occupanti. E gli fu risposto che accettavano ben vo- lentieri. Rientrato il trombettiere, uscirono dal ca- stello due cavalieri ciascuno colla lancia in pugno e la visiera abbassata.

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E si spinsero sul rivellino del fossato di fronte agli assalitori. E dalla. parte di questi parimenti due cavalieri con lancia in pugno e visiera abbas- sata, imbracciarono lo scudo. Allora i trombettieri da una parte e dall’altra diedero nelle trombe e i cavalieri si slanciarono gli uni contro gli altri spro- nando furiosamente i destrieri. Poi, rotte le lancie da ambe le parti, misero mano alle spade e si azzuf- farono l’un l’altro così aspramente che le spade VO- larono a pezzi. Ritiratisi questi primi quattro, usci- rono altri quattro e combatterono due contro due come i precedenti e così via via combatterono tutti i cavalieri delle due bande avversarie.

Terminata questa monomachia, mentre i fanti proteggevano la ritirata, Sua Eccellenza e la sua compagnia, cambiati i cavalli, ripresero nuove lan- cie e si presentarono in schiera davanti al castello. 1 fanti sul fianco destro, protetti da alcuni rondel- lieri (l), portavano scale come per prendere il for- te all’imprevista; e già avevano appostato alcune scale dal lato della porta, quando dal castello segui- rono tante scariche d’artiglieria, furono scagliati tanti mattoni, granate, vasi e lancie di fuoco, che ne cadeva tutto intorno e non si vedeva che fuoco, fiamme e fumo, insieme col tremendo rimbombo delle cannonate; talchè quelli di fuori dovettero ri- tirarsi abbandonando le scale. Alcuni guerrieri del forte uscirono in me220 al fuoco e caricarono i fan- ti assedianti e presero due prigionieri. Poi, prose- guendo la loro fortuna, si trovarono accerchiati da qualche squadrone assediante, nascosto come in imboscata. Ma temendo che ne seguisse battaglia, si ritirarono al trotto e perdettero due dei loro che furono similmente condotti prigionieri. Al loro ri- tirarsi uscirono dal castello i cavalieri in fila cin- que per cinque, colle lancie in pugno. Gli assedian- ti mossero loro incontro e si scontrarono di corsa

(1) fhldnti armati di rond&?e, piccoli scudi rotondi. 6.

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piti volte rompendo in turba le lancie, cosa assai pericolosa. Tanto che il signor de Maligni, essen- do passato senza esser tocco dallo scudiere di Sua Eccellenza, al ritorno lo urtò con tale violenza che rovesciò a terra uomo e cavallo, e il cavallo, che era un assai bello e potente corsiero, morì sul colpo, quello del signor Maligni resti, spallato.

Mentre si tirava fuori il cavallo morto, suouaro- no con diversa e più lieta armonia le bande musi- cali collocate su parecchi palchi nella piazza, per rallegrare gli spettatori ad ogni sosta del piacevole torneo. Erano composte di oboe, cornette, trombo- ni, flauti d’Alemagna, dolcine (1), zampogne e altri strumenti.

Sgombrata la piazza, i cavalieri tanto d’una par- te come dell’altra, compreso il signor Maligni che era montato sopra un ginnetto fresco, e lo scudiere sopra un altro (poiche poco s’erano feriti) lasciate le lancie, diedero mano alle spade e si lanciarono gli uni sugli altri in una mischia fierissima talche qualcuno ruppe tre o quattro spade, e, benchè fos- sero assai ben coperti, parecchi restarono senz’ar- matura.

La fine fu che una banda d’archibngeri esterni caricarono a schioppettate gli assediati che furono costretti a ritirarsi nel forte e misero piede a ter- ra, mentre frattanto al suono della campana del castello furono sparati molti colpi d’artiglieria; co- sì si ritirarono anche gli assedianti che parimente misero piede a terra e vedendo uscir dal forte tutti gli assediati in ‘ordine di combattimento deliberaro- no di dare la battaglia.

Impugnarono dunque le picche colla punta smus- sata e spiegate le insegne, con marcia grave e lenta, si presentarono di fronte agli assediati al ~010 SUO-

no di pifferi e tamburi, i cavalieri in prima fila fiancheggiati dagli archibugeri. Poi fatti ancora

(1) Specio di flauti di suono assai dolce.

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quattro 0 cinque passi, si misero tutti in ginocchio assedianti e assediati e stettero in silenzio lo spazio di tempo che occorre per dire l’orazione domeni- cale.

Durante lo svolgimento del torneo precedente grandi erano stati il rumore e gli applausi degli spet- tatori tutto in giro; a questa preghiera un gran si- lenzio si fece da ogni parte, non senza sgomento, massimamente delle dame e di quelli che non era- no mai stati in battaglia. 1 combattenti baciata la terra, subitamente, al suono dei tamburi, si leva- rono e abbassate le picche con urli spaventevoli vennero a incontrarsi, intanto che gli archibugeri sui fianchi tiravano infaticabilmente. E vi furono tante picche spezzate che la piazza n>èra tuita co- perta. Rotte le picche, misero mano alle spade, e fu tal zuffa a torto e a traverso che una volta gli asse- diati respinsero i nemici per la lunghezza di due picche, un’altra volta furono respinti fino ai rivel- lini dei torrioni, e furono salvati dall’artiglieria che tuonando da tutti i canti del castello obbligò gli assedianti a ritirarsi.

La battaglia durò abbastanza lungamente e vi furono scalfitture di picca e di spada, ma senza odio, o cattive intenzioni.

Seguì la ritirata da una parte e dall’altra e sul campo, tra le picche rotte e le armature spezzate, non rimasero che due morti; ma erano nomini di fieno. Dei quali l’uno aveva il braccio sinistro tron- cato e il viso tutto insanguinato; l’altro aveva un troncone di picca attraverso il corpo dove finiva l’armatura.

E intorno 8 essi segui nuova ricreazione mentre la musica suonava, Infatti Frerot, col suo abbiglia- mento a forma di pipistrello, di velluto incarnato fogliettato di tela d’argento e Fabrizio, colla sua co- rona d’alloro s’avvicinarono ai morti e l’uno li am- moniva sulla salute dell’anima, li confessava e as- solveva, come gente morta per la fede; l’altro li

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palpava sotto le ascelle e alla braghetta per cercar- vi la borsa. Infine scopertili e spogliatili, mostra- rono al popolo che erano imbottiti di fieno provo- cando le piu grandi risate tra gli spettatori mera- vigliati come avessero potuto esser gettati la du- rante quel furioso combattimento.

Dopo ia ritirata, fattasi l’aria chiara e purgata dal fumo e odore delle cannonate, apparvero in mezzo alla piazza otto o dieci gabbioni in fila e cin- que cannoni sui loro carriaggi collocati durante la battaglia dai cannonieri di Sua Eccellenza. Una sen-. tinella appostata sull’alta torre del castello diede il segnale colla campanella, cui seguirono un gran trambusto e gli urli degli assediati. E allora scop- piò tanto fracasso d’artiglieria da tutte le parti del forte, con tante schioppettate, e razzi, e proiettili e lancie di fuoco contro i gabbioni, che non si sareb- be udito il rimbombo del tuono. Ciononostante l’ar- tiglieria collocata dietro i gabbioni sparò furiosa- mente due volte contro il castello con grande spa- vento degli spettatori, e fece cader gih la muraglia fino al cordone, che era, come ho detto, di mattoni. Il fossato ne restò colmato e le artiglierie del ca- stello rimasero scoperte. Un bombardiere piombo giù morto dalla grossa torre; ma era un bombardie- re imbottito di fieno. Gli assediati cominciarono a riparare rapidamente la breccia a tutta forza. Gli as- sedianti intanto prepararono una mina mediante la quale appiccarono il fuoco a due torrioni del ca- stello che rovinarono a terra per meta e produsse- ro un fracasso orribile. Uno dei due continuava a bruciare, l’altro faceva un fumo tosi nero e denso che non si poteva più vedere il castello.

Fu preparata una nuova batteria, e i cinque grossi pezzi esterni spararono ancora due volte con- tro il castello facendo cadere tutta la scarpata del- la muraglia fatta come dissi di assi e listelli, La quale, cadendo esternamente, ostruì il fossato e fe- ce come un ponte fino al rivellino. Restava sola-

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mente la barriera e il baluardo che gli assediati a- vevano eretto. Allora per impedire l’assalto degli assedianti che attende-vano in ordinanza in fondo alla piazza, furono lanciate dieci trombe di fuoco, se razzi, e palle e mattoni, e vasi di fuoco; e dal ba- luardo fu gettato sulla piazza un grosso pallone dal quale, con uno scoppio uscirono fuori trenta bocche di fuoco, più di-mille razzi e trenta bombe. Il pal- lone era stato fabbricato per invenzione di messer Vincenzo, romano, e messer Francesco, fiorentino, bombardieri del Santo Padre, e ruzzolava sulla piazza vomitando fuoco da ogni parte in modo spa- ventevole, Frerot, facendo il buon compagnone cor- reva dietro il pallone chiamandolo gola d’inferno e testa di Lucifero; ma, avendo colpito l’involucro con un mozzicone di picca, si trovo tutto coperto di fuoco e gridava come un arrabbiato fuggendo di qua ;e di la attaccando il fuoco a quanti toccava. Poi di- vento nero come un Etiope e si abbruciacchiato al viso, che gli resteranno i segni almeno per tre mesi.

Mentre il pallone finiva di consumarsi, fu dato il segnale dell’assalto da parte di Sua Eccellenza, %l quale coi suoi cavalieri appiedati, coperti di W targhe di bronzo dorato al modo antico, e segu& dal ‘resto delle sue bande si avanzo sul ponte’ sepra- detto. Gli assediati gli tennero testa dal baluatda 6 dalla barriera e ivi si combatte più fierament6 che mai. Ma gli assalitori alla fine varcarono di hta la barriera e montarono sul baluardo, In quel mo- mento si videro sull’alta torre le insegne di Stta Maestà innalzate insieme con festoni d’allegria, A destra delle quali erano quelle di Monsignor d’or- leans, a sinistra quelle di Sua Eccellenza e ciò av- venne alle due di notte (1).

La ninfa rapita fu presentata a Sua Eccellenza e restituita subito a Diana, la quale capito snlla piaz- za come tornando dalla caccia.

(1) Le 8 del pomeriggio.

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11 popolo spettatore, grande e minuto, nobili e plebei, regolari e secolari, uomini e donne piena- mente lieti, contenti e soddisfatti scoppiarono in applausi di gioia e allegrezza, gridando e cantando da ogni parte a gran voce: Viva Francia, Francia, Francia! Viva Orleans, viva Orazio Farnese! Alcuni aggiunsero: Viva Parigi, viva Bellay, viva la casa di Langey! Possiamo dire ci6 che un tempo si can- tava alle proclamazioni dei giochi secolari: < Ab- biamo visto ciò che nessun vivente vide mai in Ro- ma, e ciò che nessun vivente in Roma vedrg mai ,.

L’ora era già tarda e opportuna per la cena, che fu apprestata mentre Sua Eccellenza si disarmò e cambiò vestito insieme con tutti i valorosi campio- ni e nobili combattenti. E fu tosi sontuosa e magni- fica da oscurare i celebri banchetti di parecchi an- tichi imperatori romani e barbari, compreso il pro- verbiale Vitellio, a un banchetto del quale furono serviti in tavola mille piatti di pesce. Io non parlero del numero e delle specie rare di pesci serviti qui, che sarebbe troppo lungo. Solo vi dirò che a que- sto banchetto furono portati più di millecinqnecen- to pietanze cotte al forno, pasticci, torte e bcrlin- gozzi. Non meno copioso delle pietanze, il bere, che furono asciugate centocinquanta botti di vino e spa- rirono centocinquanta dozzine di panini, senza con- tare l’altro pane molle e comune.

La casa del mio reverendissimo Signore fu aper- ta tutto quel giorno a chiunque volesse.

Alla prima tavola della sala di mezzo furono con- tati dodici cardinali e cioè:

Il reverendiasimo cnrdinale 11. C. de Lenoncourt, Farnese, R. C. de Moudon,

R. C. di Sant’Angelo, R. C. d’Armagnac, R. C. di Santa Fiora, R. C. Pisani, R. C. Sermoneta, R. C. Cornaro, R. C. Rodolfi, R. C. Gaddi. R. C. Du Bellay,

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Opere 71.

Inoltre Sua Eccellenza, il signor Strozzi, I’am- basciatore di Venezia e tanti altri vescovi e prelati. Le altre sale, camere e gallerie del palazzo erano tutte piene di tavole e parimenti prowiste di pani, vini e carni. Levate le tovaglie, per lavarsi le mani furono presentate sulla tavola due fontane artifi- ciali, tutte adorne di fiori odorosi con comparti- menti all’antica. E sopra quelle ardeva un soave fuoco profumato composto d’acqua ardente mu- schiata. Sotto, per diversi tubi, usciva acqua d’an- gelo, acqua d’arancio e acqua di rosa. Cantato in musica onorevole, l’atto di grazia, Labbat declamò accompagnato dalla sua grande lira, l’ode che se- gne alla fine, composta dal detto Signore reveren- dissimo.

Poi, levate le tavole, tutti i signori entrarono nel- la sala maggiore ben tappezzata e adorna. Là si cre- deva fosse rappresentata una commedia; ma Cosi non fu essendo gia passata la mezzanotte. Al ban- chetto dato qualche tempo prima da Monsignore re- verendissimo il cardinale d’Armagnac ne era stata rappresentata una che invece di piacere aveva an- noiato gli spettatori sia a causa della lunghezza e delle smorfie bergamasche (1) abbastanza sciatte, sia per la scarsa immaginazione, sia per la trivia- lità dell’argomento.

Invece di commedia, al suono di cornette, oboe, zampogne ecc., entrò una compagnia di saltimhan- chi che divertirono assai tutti gli spettatori. E do- po quelli furono introdotti parecchi gruppi di ma- schere sia gentiluomini che dame d’onore, con ric- chi e sontuosi costumi. E cominciò il ballo che si protrasse fino a giorno, durante il quale, i signori reverendissimi ambasciatori e altri prelati si riti- rarono con gran giubilo e contentezza.

(1) Arloochinateb

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un quel torneo e nel festino rilevai due cose in- signi: l’una che non avvennero liti, dispute, discor- die, ne tumulto di sorta; l’altra che di tanto vasel- lame d’argento nel quale tante persone e di si di- versa condizione erano state servite, nulla fu per- duto o smarrito.

Le due sere seguenti furono fatti fuochi di gioia nella pubblica piazza davanti al palazzo del mio Signore reverendissimo, con molti spari d’artiglie- ria e tanti e tosi diversi fuochi d’artificio ch’era cosa meravigliosa: grossi palloni, grossi mortai, che lanciavano ogni volta più di cinquecento bombe, e razzi, girandole, mulini di fuoco, nuvole di fuoco piene di stelle corruscanti, scoppi di mortai, alcunj pregnanti altri reciprocanti e cento altre sorta, tut? te inventate dal detto Vincenzo e da Boys le Court, grande salpetriere del Maine.

ODE SAFFICA

del Reverendo Signore Gio. Cardinale Du Bellay.

Divo Mercurio, dei celesti nunzio, Tu che aleggiando, grato a questi e a quelli, Messaggi alterni con venusta bocca

Rapido rechi,

Ai santi Padri vieni, al Vecchio 11) vieni, Che degli dei regge il concilio e a cui L’alta progenie de’ Quiriti guarda

Siccome a nume.

(1) Perifriwticonleute indicati i cardinali e papa Paolo 111, ettantadnenne.

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Di’ quale luce, sulla Senna, ai Galli E agl’Italiani generò la Diva (1) Cui tenerella al Tevere dapprima

L’Arno affidava.

Idei di Tritoni da uno stuol scortata, Vide piti tardi la Nereide avviarsi Sul procelloso mar sicura, all’alte

Torri focesi (2).

Oh per gli Etruschi e i Franchi sacro giorno, Quando al garzon fu data la fanciulla, Dove splendeano a gara e forme e genio

E grazie e aspetto!

A quali fausti giochi, Imene, allora T’abbandonastì, a quali tu Ciprigna! E qnali faci, al giunger della vergine,

Giuno accendeva!

Notti di gioia, Caterina, a te Ella invocava, a te sereni i giorni Enrico, a entrambi e ai figli il colmo d’ogni

FelicitH.

Ad ogni parto della Diva quanto Fu la gran Dea propizia! Ed ecco il quarto (3) Ora alla madre, grazie a lei, soave

Pargolo ride.

(1) Caterina de’ Medioi, sposa di Enrico II, ora nata a Firenze dm Lorenzo de’ Medici, duca d’Urbino e, rimasta or- fana di padre e di madre un mese dopo la nascita, fu oondottsr a Roma e allovsta par cura di Clamento VI1 cugino germano del nonno di lei. Lorenzo il Magnifico era suo bisavolo.

(2) Marsiglia, dove lJavova accompagnata Clemente VI1 per celebraro le nozze in psrsona (28 0th. 1533) e per abboo- earsi eon Francesco 1.

(3) Caterina, dopo le nozze, rimasta undioi anni senza figli, si prese poi la rivinoita e, sanza perder tempo ne fab-

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14 Francetco Rabelais

Non alla Gallia solamente questo Dieder gli dei, che lo reclama in parte E a sè lo chiama con festosi cori

Gioventù nostra,

Se questa lieta gioventù chiedesse Francesco (l), quello cui il padre serba Di Gallia il trono e cui l’impero dona

Giove del mondo,

Sarebbe ingiuria agli uomini e agli dei, Sfida al destino; di brucar sol questo Secondo fiore s’appagheranno l’api

Tosche e latine.

Cogliere il primo non consentirebbe Il coro delle Grazie a Enrico amiche, NB la Ninfa (2) abitante nei sonori

Antri di Blosi.

kriob dieoi in pooo pih di dieoi anni, a dritto c a rovesoio: Franeesoo 11 (1544), Elisabetta, regina di Spagna (1546), Claudia, duohessa di Lorena (KM), Luigi, del quale B qui oelebrata la nasoita (1549), Carlo 1X (1550), Enrico 111(1551), Margherita, moglie, poi ripudiata, di Enrioo IV (1553), Fran- cesoo, duoa d’Angiò (1554), Vittoria e Giovanna, gemelle (1566); la prima campata due mesi, la seconda nata morta.

La tavola XXX dei Songss drolaliques (tav. 30 ) 8, a mio avviso, la carioatura di questa prolifica eeuberanea regale.

(1) 11 primogeuito di Enrioo 11, sposato da Maria Stuarda, salito al trono, quindicenne, nel 1559, morto 1’ anuo dopo.

(2) Diana di Poitiers, la sovrana di fatto. L’ allusione alla favorita del re, nell’ode scritta da un cardinale e dedicata al liete evento della consorte legittima, può parere a noi di soarso buon gusto se non addirittura scorretta. Ma bisogna pensare ohe Caterina nveva accettato il oonnubio a tre e si mostrava amioissima di Diana; e poi in quel tempo, in oui oardinaii e papi mantenevano concubine fertili di bastardi, ohi badava a simili inezie? E guai se il cardinale DU Bellay~ gia in disgrazia, non avesse trovato modo di ricordare colei ohe maneggiava le chiavi, dioiamo così, del ouor d’EmAo.

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Opere

NB tantomeno voi dal Lazio, o Muse, A noi chiamate ed assuefatte ormai Ai Celti Lari e gia del canto esperte

Nei patrii suoni.

75

Reclamerebbe Margherita {l), il fiore Delle fanciulle che a Minerva solo Cede, e Giovanna (2) di Navarra, della

Madre lo specchio.

E l’altra Ninfa (3) che segui il garzone Sull’eridanie basse ripe nato, Simile a Paris nell’aspetto, e al casto

Ettor nel braccio.

E quella che coll’amor suo, palese Fe l’amor tuo, preclaro Orazio (4), e che Tutti proclaman solo a te a buon diritto

Nata e dovuta.

Benche la nostra devosion ci renda D’alcun favore, o Caterina, degni, Se qua venire al tuo, siccome al nostro

Genio repugna (5),

A noi che schivi di speranze eccelse D’una mediocre sorte ci appaghiamo, Concedi almen del Lazio agli orti il tuo

Fiore recente.

(1) Figlia di Francesco 1, moglie, nel’1559, di Emanuele Filiberto di Savoia. Fanciulla e eposa veramente virtuosia- sima.

(2) Detta Giovanna d’ Albret, figlio di Margherita di Navarra, moglie di Antonio di Borbone, madre di Znrioo IV.

(3) Renata di Francia, sorella di Claudia moglie di ITran- oef~~o 1 e spoea di Ercole 11 duca, di Ferrare.

(4) Orazio Farnese. V. pag. 61, n. 1. (5) Il cardinale Du Bellay, stanco e melazzato, &VBVB

ohiesto piU volte al re di potersene tornare in Franaia.

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76 Francesco Rabelais

E se il bimbo che ancora alla mammella Pende materna, ti trattiene, forse Altre non son qui madri, pronte a offrirgli

Il loro seno?

Man& latte alla stirpe de’ RomùIidi? NB sarà scusa che il suo nome ancora I,‘acqua lustra1 non abbia confermato

Al pargoletto;

Chè se pel nome solo esiti, qua Non ti rincresca di lasciarlo alquanto: Lo chiameranno e dei e dee e tutta

Roma, Quirino.

TEA02

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LETTERE,

EPISTOLE, EPIGRAMMI@)

(1) Il R. mobile e irrequieto, girb per naturale ouriositlr, per ragion di studio, 0 di lavoro, molti paesi, osservando, mente vigile, ocohio attento, uomini e cose c vedendo quanto forse non vide niun altro del tempo suo. Penna faoile, oome la parola, la sua corrispondenza dovette esser oopiosa, aerto piacevolissima; ma molte lettere ebbe a scrivere per conto d’altri, il vcsoovo d’Estissaa e il cardinale Dn Bellay p. es.; altre pericolose e oomprometteuti in quel tempo irto di oa- pestri e di roghi, dovettero essere distrutte appena lette.

Diamo qui in ordine cronologieo gli soarsi residui salvati dal naufragio: poohe lettere francesi, alonna epistole latine miste di greoo e alouni epirammi greci e latini; doaumenti ohe gsttmo UII po’ di luce sulle vicende del mouaco, del msdioo e del letterato, e sul carattere dell’uomo.

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FRANCESCO RABELAIS FRANCESCANO AL SIC+NOR GUGLIELMO BuDF: (1) SALUTE.

11 nostro Pietro Amy, uomo, per le Grazie, amu- bilissimo se altri mai, avendo insistito perchb ti scrivessi, ed io, spinto dalle ragioni frequenti e con-

(1) E il pioniere dell’wnan0sln~o franoesa nato (I Parigi nel 1467, morto nel 1540. A lui soprtttutto si deve la fonda- zione del Collegio ~36 Fraha sorto come oontraltare alla teologioa Sorbona impregnata ai spirito retrivo e settario.

Questa lettera, probabilmente autonticu, ed autografa, passb, contest& a caro prezzo, per le mani di pareoohi bibliofili e fu pubblionta la prima volta l’anno 1860 nel Bdl~lin dw Bi- bliophil~ òelyr. L’indirizzo reca: Dodno Gulialmo Budaeo Regio seo~&wio, Paririi (si0 ) Rabelaeeus. Essn illustra un nmnetito della giovinezza del R. e i suoi rapporti col BudB.

Quattro lettere tlel Hommo ellenista oonoernono il R.: due dirette R Piorre Amy, rtmian del R. o due al R. atewo. Nella prima delle lettere roll’ Amy (14 agosto 1521) il BudB sorive: « Salutate per me il R. vostro fratello in religione e vostro oompsgno di studi B.

Nell’altra allo stesso (23 gennaio 1522) : a Salutate quattro volte il ben dotato e wtpiente R. ; IL viva voce 8e B presao Ai voi, per lettera 88 assente ».

Delle due lettere del BudB 1b1 R. una (12 zprile 1522) risponde a quella del R. qui pnbblioata; la seconda (pure

del 1522) risponde ad altra del R. che non oi B pervenuta, Questa oorriapondenza diruostra quale grande stima il maestro cinquantenne facesse del disoepolo giovinetto.

Nella traduzione diamo io oarattere romano la parb IS- tina in corsivo le frasi greohe.

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80 FranCesCO RQbdQìS

tiuue onde mi stimolava, avendo acconsentito, pre- gai e supplicai anzitutto gli dei che concedessero a questa mia audacia prospero successo. Giacchè, per quanto desiderassi ardentemente - perchè non confessarlo? - di stringere intima amicizia con te in qualche maniera, cosa della quale farei mag- gior conto che di regnare su tutta l’Asia, tutta- via avevo un po’ d’apprensione che inducendomi a cercare la tua agognata benevolenza con un osse- quio di tal fatta, a buon diritto potevo rimaner de- luso nei miei voti. Che speranza, infatti, un uomo oscuro e ignoto poteva fondare sopra una lettera incolta, rozza, barbara? Che cosa poteva ripromet- tersi un giovane incolto e oscuro, inesperto e pro- fano all’eleganza del parlare, da un uomo famosissi- mo e snperiore a tutti gti altri per virtù e ingegno? Io reputavo dunque di dover soprassedere a questa impresa finch8 avessi perfezionato un tantino il mio stile. Ma siccome Amy insisteva, mi risolsi al- fine, mettendo a rischio anche la mia reputazione, di entrare nel numero di coloro che preferiscono, sul proprio conto, prestar fede più agli altri che a si?. Scrissi dunque e ciò avvenne circa cinque mesi or sono. Ma cos1 imperitamente, che poco manca ch’io mi vergogni e mi penta d’aver scritto, poichè allo- ra non potevo sapere con sicurezza come fosse an- data a finire la faccenda; anzi pronosticavo non sa- rebbe riuscita tanto felicemente. D’altra parte, che il Budè abbia avuto a sdegno la meschinith di me solo fra tanti e abbia rigettato una lettera appena letta superficialmente, per quanto insignificante, m’impediva di crederlo l’opinione costante di tutti coloro ai quali fu dato di trattare qualche volta con lui; i quali riferivano che nel Budè, accanto alle altre virtù, si annida una straordinaria e innata bon- tà specialmente verso coloro che sono 0 periti 0 studiosi delle lettere; benchè vi sia in lui un po’ di severith e di sostenutezza verso quei cortigiani nei quali s’imbatteva e che trascinb davanti agli

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Opere 81

occhi degli uomini più colti, ritratti coi suoi viva- ci colori nel De Asse.

M’impediva pure di crederlo l’insistenza di Amy, presso il quale di quando in quando mi sfogavo come chi non sapeva l’esito della rischiosa faccen- da, poichè era stato lui a ispirarmi coraggio e per- sino temerarietà.

Da questo appunto, per Giove, è derivuta una terribile accusa che ebbi in animo di lanctw’e con- tro Amy, dalla quale non riuscirebbe a liberarsi fa- cilmente se non pagando la pena da me stabilita. Probabilmente ci rimetterebbe almeno tutti i suoi beni; è infatti il minimo a cui si può condannare. Ed io per parte mia sarei contento di presentarmi al tribunale di voi, venerandi giudici, per sostene- re la causa, perchè non mi negherete, spero, sia giusta la condanna inflttta a coloro che traggono in inganno gli uomini semplici e compromettono quel- li che non hanno alcuna colpa.

Che farai se ti dirò e mostrerò che si era d’ac- cordo fra noi? Ho in mano il contratto e tu stesso l’hai letto. Credo infatti non ti sia caduto di mente ciò che t’ho scritto. Se mi piacesse agire contro Amy a rigor di legge, non vedo a quali ripari, in quali rifugi potrebbe nascondersi. Non ti dirò quan- ti testimoni potrei invocare, degni di fede e inec- cepibili, pronti a deporre che mi sono tutelato di fronte a lui avvertendo che se la faccenda non riu- sciva, avrei potuto intentargli azione de dolo ma- lo (1). Ma certamente mi diffondo troppo in questo, mentre la verita salta agli occhi da se; chiunque può vedere e toc’car con mano. Infatti dal giorno in cui abbiamo saputo che la mia lettera ti era giun- ta, non SO dire quanto Amy, me ne sono bene ac- corto, fosse tormentato giorno e notte nell’appren- sione di una grave pena. Infatti gli ho concesso sol- tanto una proroga per scriverti di nuovo.

(1) Frode. 6.

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82 t+c~nceseo Rabelais --- _

Eccoti pertanto un’altra lettera con la quale vo- glio chiederti perdono se ribusso alla tua porta sen- za riguardo e non temo di fastidirti colle mie la- mentele, mentre ti SO oppresso dai tumulti di corte e tutto assorbito nel ripulire il Pluto (1). Il quale si vergogna (lascia ch’io mi congratuli con te qui di sfuggita) si vergogna, dico, d’essere lui solo defor- me e ridicolo mentre quasi tutte le cose de’ mortali hanno riacquistato il primo splendore. E di cib molto son solito compiacermi e vantarmi cogli a- mici, come se un dio avesse assecondato benevol- mente i miei voti. Tu sai quello che in calce alla lettera auguravo in alquanti versi greci. E anche ora auguro e invoco quel tuo Pluto, se mi accade (e talora mi accade) d’imbattermi in quei Pluti (2) che egli (3) ha preso costume di mandarci ogni diciot- to mesi ripuliti (4), ma inetti, imperiti, ignavi, igno- ranti, malvagi e come direbbe Omero: inutile peso trlla terra (5). Eppure egli ha costume di rispettar- li e di affidare per mezzo loro ad un pessimo pub- blico se stesso e il suo patrimonio d’idee e di paro- le. Perciò quando son costretto a vedere tanta inde- gnitl coi miei occhi, son solito assalirlo con insul- ti e maledizioni acerbissime, e scagliare male paro- le su lui, che, pur sentendosi cieco, com’e, e malato di mente non meno che di occhi, e poco meno che pazzo furioso, e punto idoneo a reggere con pru- denza la distribuzione dei beni, tuttavia permette che gli siano dati come tutori persone che sarebbe- ro da mettere fra i dementi. Come infatti pui, av- venire che conservino scrupolosamente i beni dei pupilli e le cose affidate alla loro fede quelli che i loro beni aviti e tutto ciò che e toccato loro per

(1) Probabilmente la noto oommedia d’ Aristohne. (2) Edizioni do1 I’ZuL’o. (3) 11 dio Pluto. (4) Tipograficamente. (5) lliade, XVIII, 104.

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diritto di eredità... hanno rovinato fino all’ultimo asse? Che se egli riacquisti il senno e si mostri pla- cato, .e se io vedo che si dolga degli errori e chie- da l’aiuto della luce, allora applaudiro, insiste&, gli suggerir0 Budè come vindice dello splendore e della luce e gb sussurrero all’orecchio alcune paro- lette greche che ero solito sussurrare, non degne di cadere sotto gli occhi di Bu’dè, ma che pure scrivo percht) tu non sospetti che degne esse siano, allo :stesso modo di quel tate impostore che nascondeva i suoi piedi per celarne la deformiti.

E tu, che dici, o Pluto, il peggiore fra tutti gli dei? Or dunque, tu pensiero ti dai della bellezza?

E vanne da Budeo rapidamente e tornerai Recando a noi la gloria d’una infinita luce.

Ma basta. Sta bene e amami. Fontenay, il 4 marzo (1522).

Il fuo, quanto di se stesso FRANCESCO RAEUZAIS

EPIGRAMMA

FRANCESCO RABELAIS ‘AD ANDREA TIRA~JUEAU (1).

Vedendo questo libro, dei campi elisei nelle case Tutti quanti gli uomini e le donne dicevano:

(1) Questi tre distioi greoi sono stati stampati la prima volta in testa all’operti intitolata: Aladreae Ilireqwlli Fonti- n+aosnais auppraefeoti ex oommentariia in Rctouum ao?zsuatudinee arectio. De legibus cwnnubialihus el iure maritali - Cum privi- &gio - Venundantw Pa&%, a Gallioti a prato in aula palatii regi sub primo pilaf-i, 1524. Il Tiraqneau, luogottnwute gene-

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84 Francesco Rabelais

Le leggi onde il famoso Andrea insegnava a’ SUOi

[Galli L’unione coniugale e l’onor delle nozze,

Se Platone le avesse insegnate, chi al mondo, tra gli [uomini

Più illustre di Platone sarebbe stato mai?

EPISTOLA

DI FRANCESCO RABELAIS A JEAN BOUCHET (1).

Quando sei partito giorni sono ci hai lasciato la speranza, la certezza anzi, che saresti presto ri- tornato. E l’attenderti ogni giorno con impazienza ci ha tenuto sin qui in trepidante agitazione.

Il veemente desiderio della lunga attesa ha im- malinconito l’anima nostra ch’è uscita dalla sua se- de e s’è tanto allontanata, rapita Cosi in alto, che

raie del bailliage di Fonte~ay-le-Comte, uomo di grande bonta e profonda dottrina sopratutto ginridiea, era uno degli amici pia Cari al R. ohe lo ricorda con affetto ne’ suoi libri. Cfr. la lettera a pag. 89 e inoltre 1. II, cap. V, psg. 26 e 1. IV, Prologo, p. 23.

(1) Avvocato e poeta, uno dei numerosi amioi conosoiuti dal R. durante la zua giovinezza, nel Poitou.

L’epistola, soritta probabilmente il 6 settembre 15% fu pubblicata dal Bouohet stesso, piu tardi, quando il R. era celebre, in un volume di Epitreu wwrakz et farnilièrer useito a Poitiers nel 1545. Nell’indice B intitolata alquanto pom- posamente così: Epicrtw de Monsieur Rabelais, dootew em d- deeine, grana Oratew e1z Creo, Latin et Fratqoìe evntenantplu- 8&3tW8 &dit&% ittdt&iee8 d tìrM’ pr&nmme ds ref&ur. * Il testo, in distiei di deoasillibi francesi rimati, pieno di ridondanze e stiraoohiature, manifesti l’improvvisazione aenza preoccupazione di stile. La diamo in prosa, ridotta alla pib semplice espressione, come documento biografico, insieme oolla risposta del Bonchet.

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le ore ci sembran giorni, i giorni anni interi e que- sti nove o dieci giorni un secolo addirittura.

Oh certo non crediamo che gli astri Cosi obbe- dienti alle loro leggi e fissi nelle loro case, abbia- no deviato dal loro giusto movimento e i giorni si siano allungati come quello quando Giosuè prese Gabaone, chè giorno simile non fu visto dopo mai; nè crediamo che le notti siano simili a quella in cui, come raccontano le favole, Giove giacque con la bella Alcmena (l), onde fu generato Ercole che andò tanto in giro per il mondo.

Ciò non crediamo, nè certo son cose credibili; ma tuttavia quando ricordiamo che promettesti tor- nare dopo una settimana, in attesa del termine fissa- to non abbiamo avuto nè gioia, nè pace, nè requie e contavamo gl’istanti, calcolavamo le ore e i mi- nuti aspettandoti da un momento all’altro. Ma dopo aver atteso si a lungo abbiamo visto deluso il no- stro intenso desiderio, e la noia e il tedio ci ha in- vaso Cosi fastidiosamente l’anima da farci apparir vero ciò che vero non B e che i sensi non credono. E’ quello che capita sull’acqua, passando in barca da un luogo all’altro: la corrente e le onde danno impressione che gli alberi della riva si muovano, camminino, danzino, cose che nb crediamo ne pos- siamo pensare.

HO voiuto informare di ciò tua Signoria affin- chè non ci lasci fantasticare piu oltre; appena po- trai lasciare i tanto amati e coltivati studi e diffe- rire le brighe delle liti e del patrocinare, non per- der tempo e messe svelto ai piedi le alette di Mer- curio, tuo patrono, abbandonati allegro e gentile al vento. Eolo non trascurera d’inviarti il buono e dolce Zefiro per trasferirti dove sei pih desidera- to, cioè, posso ben vantarmene, da noi.

Non è d’uopo, credo, ch’io ti dica con quale simpatia, con quale piena amicizia sarai accolto;

(1) Cfr. Gargantua, cap. 111, pag. 19.

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86 Francesco Rabelaìs

nell’ultima tua visita n’hai provato la metà, o qua- si. Da questa puoi congetturare il resto come sub- secutorio. Quando verrai, credilo, vedrai i nostri signori dimenticare cariche e grado per festeggiar- ti e farti stare a tuo agio. Ogni volta che se ne par- la li sento affermape e sostenere apertamente che non c’è nel Poitou, nè in tutta Francia, alcuno col quale vogliano stringere più intimi legami di fami- gliarità e affetto. Nelle ore libere dagli affari i tuoi scritti tosi dolci e melliflui son per loro insieme un giocondo passatempo per cacciar la noia, e un utile e morale ammaestramento per meritar onore.

Leggendo infatti le tue opere, mi par di scor- gervi insieme bonti e sapienza, i sommi pregi che possa conseguire un dotto.

Non ti sia grave dunque, di nuovo te ne prego, non ti sia grave, ricordalo, di venire a farci visi- ta. Se hai la fortuna di poter scappare, non scri- vere, ma porta qua tu stesso la tua faconda ed elo- quente parola, vera fontana di Pallade, ove distil- lano lor liquori le Castalie. Oppure, se ti piacera esercitare il dolce stile per scrivermi qualche let- tera, mi farai sempre cosa gradita. Ma il tuo pri- mo pensiero sia d’aver con noi la massima famiglia- rità, non esser selvatico e vieni a trovare la buona compagnia che per mio mezzo t‘e ne supplica di cuore.

Da LigugB questa mattina, sesto (1) giorno di settembre, nella mia cameretta, mentre stanno rifa- cendomi il letto,

Il tuo servitore e imito RABELAIS.

(1) La lettorn del R. dov8 giungere il ‘7 settembre CS. Poitiers e il giorno seguente il Bouohet inviava la risposta, pure in distioi di decasillabi rimati e pure evidentemente estemporanea. Nell’indioe del oitat.0 volume ò così intitolata: Epiatre wpomive dudict Bouohet audict Ilabelais, oonteaant la’ desoription @ wm belle demewe et louangea de messiews d’Esti.wao,

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Opere 87

Ne diamo, pia ohe una traduzione, un largn riassunto, grazie al valore biografifieo del documento:

4 Va, lettera, da qnesto odioso palazzo (l), a presentarti agh occhi del Rabelais. È dato agli uomini promettere, ma non sempre mantenere; qualoho sgradito impediment.0 puh oostrhgere z wbucare, tanto più chi, oome me, B soggetto per le sue funzionl a servire tanta gente. Non acousatemi pertanto di menzogna e tu sousami, Signore carissimo, tu amioo fra i pi& grandi, se non ~on0 tornato presto secondo la promessa. Se non fossero le pratiche dei clienti a oui devO attendere per vivere, mi vedresti a Ligugè almeno un giorno su tre. Quanta ‘attrattive mi vi chiamano! primo il 1uOgo ~Osf piaoevOle e per tutto alle ninfe adattissimo. Da una parte le Naiadi sul Clan, doloe riviera OV’eESè si trastullano eolle Imnidi, ristorandosi nei verdi e umidi prati ; poi tra gli alberi dei bosehi le silvestri Driadi, ornate di verde, che fan risonare alto le loro vooi; le Amadriadi e le Oreadi dei monti Oho fan sentire spesso il loro oicalecoio; poi le gentili Napee che van cantando a gara @armoni nmclxe sui castalii ruscelli e pei giardini ricohi di cespugli,

E quando 1’ Anrora si mette in gala per annnnciare il levar dal sole, tu puoi passeggiare tra il verde dimenticando fastidi e noie, e udire i doloi canti delle ninfe onde sori pieni e boschi e macohie e campi.

Chi voglia pregare Iddio, e questo io pregio, troverìl la bella chiesa dove abita San Martino qualohe tempo in oon templazione e dove fece risusoitare due, morti per furore di tempesta. Aggiungi le buone frutta e i buoni vini tanto eari a noi del Poitou (2).

Ma quel ohe pia oonta B la bontà. del reverendo vescovo di Maillezaia, signore di cotesto bel sito, amato per tutto, dagli uomini e da Dio, prelato devoto, di retta ooscienza, molto sapiente di teologia, diritto canonioo e umanesimo (3), e non ignaro dello oose mondane necessarie a re e principi per governare citta e provinoie.

Pereio egli ama i cultori delle lettere greche, latine e

(1) Probabilmente: Ie P&&: il Tribunale, dove forse il Bouchet butte giti la risposta Oome avrebbe scritto una oomparsa OOnaIn- sionale.

(9) Il B pn+ essendo di Turenna, non era certo seoondo al Bomhet in questo amore.

(3) LBttere e arti speoielmente greohe B latine.

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francesi, &e 81~mo ben parlare di storia e di teologia, t@ sopratutto che sei d’ ogni conoscenza esperto. Percib ti prese a suo servizio, onde le tua fortuna; non potevi trovar fiar- vizio migliore per fornirti d’ogni bene.

Egli scende da nobile prosapia; tutti sauno ohe i padri suoi hanno ben servito i re di Franoia, in fempo di pace, di gnerra e di dolore(l), onde il nome d’Estissac non pub esser ub dimenticato, YAK traswrato. Le loro nobili imprese militari, degne di lodi, resteranno durevoli nel mondo.

Le virtù 8 i costumi del 8uo nipote (2) aoore8oerauuo i loro onori immortali, poiohè, per dire il vero della sua per- sona, mai non vidi uomo pih idoneo all~arml, essendo oava- liere arditissimo, ben formato di corpo, braooia, gambe, di statura media, dritto, come li voleva Cesare per le battaglie, misurato uel passo, oorretto nel parlare 6 neWaspetto, tanto adorno d>eloquenza naturale che ovunque B stimato buono.

Quanto a me, sono anoora confuso della buona aoooglienea così franca e sohietta fattami, per loro grazia, dai signori e da tutte le loro geuti alla presenza di molti, poreino sulla piazza pubblioa e in privato, onde mi reeteri% indimenticabile rieordo. Che differenza tra la signorilit& loro, piena di de- ooro, di doloeeza, d’umilt&, e la rozze5za dei funzionari e borghesi tra oui vivo, arroganti, irritanti, vili, presuntuosi.

Nulla dunque, mio devotissimo oratore, nulla m’ha im- pedito di ritornare al tuo eremitaggio eccetto il mesohino guazzabuglio di arringhe, processi e cause che mi divertono assai poco, ma ohe devo sorbirmi per vivere oon mia moglie e i miei figli. Quanto preferirei i libri degli oratori e i loro piaoevoli discorsi!

Pih non mi diluugo; solo mi raooomando umilissima- mente alla nobilissima brigata dei tuoi signori, supplioando il bonodetto Spirito Santo ohe doni a tutti la lunga vita del vecohio Nestore, con onori e aenza fastidi. E che noi POR- siamo godere il loro favore e vederci spesso.. . almeno per epistole.

Da Poitiere, l’otto di eettembre, mentre Titano si ritira ne’ suoi appartamenti e la luna oominoia ad apparire.

In tutto tuo servitore JEAN BOUCEMT ».

(1) La guerra dei cento anni per liberar IS Prawia dal do- minio inglese,

W Luigi d’Estissao. Cfr. pag. 104, n. 2.

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Opere 89

EPISTOLA

AD ANDREA TIRAQUEAU (1) GIUDICE EQUISSIMO NEL POITOU.

s. p. d. (2)

Onde avviene, Tiraqueau dottissimo, che in mez- zo a tanta luce del seco1 nostro nel quale per sin- golar dono degli dei vediamo reintegrate tutte le migliori discipline, si trovino alcuni qua 6 l$ i quali 0 non vogliono 0 non possono liberar gli oc- chi dalla caligine del tempo gotico, piti densa della nebbia Cimmeria (3), e sollevarli alla splendente faccia del sole?

Forse perchè, come dice Platone nell%uiìfrone, < in ogni professione moltì sono gl’ignoranti e i da nulla, pochi i valenti e degni d’ ogni merito B?

Oppure perchè tale è la forza di quel buio, che gli occhi una volta invasi da esso ne restano irri- mediabilmente ottenebrati e accecati per modo che nB collirio, nè occhiali giovano pih, conformemen- te 8 quanto scrisse Aristotele nelle Categorie: dat possesso all’annullamento il passaggio è possibile, dal niente al possesso impossibile?

Quando penso a questo problema e cerco pesar- lo, come dicono, sulla bilancia di Critolao, parmi che questa Odissea d’errori non da altro abbia ori. gine che da quella infame filautia (4) tanto condan-

(1) Questa epistola nwaqatorèa letiua precede un volume di lettere latine così intitolato: Johanwia bfmad Ferra- rieaain mediai, Epi~t&r~n~. mediaarum torna8 ~XCUV&L~ VW~~WZ~ antea in Gallia ezcwu8 - Lugduui, apud Saba&. Grypiium, 1538. - Le frasi in corsivo, nel testo sono in greco.

(2) Le sigle della formula latina saktern Pm&, dicit. (3) Paese della Scizia, proverbiale pel freddo e l’umidith. (4) Dal greco: amore di se stesso, egoismo.

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nata dai filosofi, la quale quando colpisce gli UO- mini mal consigliati sulle cose da desiderare o da avversare, suo1 atrofizzare e fascinarne i sensi e 10 spirito per modo che vedono senza vedere e inten- dono senza intendere.

Infatti coloro che la plebe ignorante tenne in gran considerazione perchè sapevano darla a bere con certa parvenza di esotico e d’insigne perizia delle cose, se avrai tolto loro la maschera e la pelle àel leone e se avrai fatto conoscere al volgo che la splendida situazione conseguita sotto il manto del- l’arte ‘non era dovuta che a mero istrionismo e a inettissime inezie, che altro sembrerai aver fatto se non forato gli occhi alle cornacchie? (1) Quelli che sedevano prima nell’orchestra (2) a fatica po- tranno stare negli ultimi posti e moveranno infine non solo il riso, ma lo stomaco e la bile al popolino e ai fanciulli che hanno talora il naso del rinoce- ronte (3) e mal soffriranno d’esser stati turlupinati dai loro scaltri artifici.

Come suole accadere ai naufraghi i quali quan- do la nave sconquassata va a fondo, se hanno PO- tuto afferrare una trave, una veste, 0 magari una foglia, la tengono con mani serrate, senza pensare a nuotare e senz’altra cura se non che non sfugga quello che tengono in mano, finche non siano in- ghiottiti in fondo al vasto gorgo, quasi allo stesso modo noi restiamo tenacemente affezionati a quei libri ai quali fummo avvezzi fanciulli, anche se ve- diamo far acqua da ogni parte la barca infranta della menzogna; e a quelli ci teniamo attaccati con forza disperata quasiche, togliendoceli, ci toglies- sero l’anima.

(1) La frase B di Cicerone (Pro MVm?+aa, XI, 25) e significa distruggere il prestigio di ohi era reputato quasi un oracolo.

(2) 11 posto pi& ambito nei teatri antiohi. (3) La frase è di hlarziale e significa sagacia nell~avver-

tire c) mordere i difetti altrni.

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Opere 91

Cosi mentre la tua sapienza del diritto è giunta a tal segno che nulla piti manca alla restaurazione di esso, vi souo tuttavia taluni ai quali non si POS-

sono togliere dalle mani le vieta glosse dei barbari. Cosi nella nostra officina delle medicine, che

di giorno in giorno più si perfeziona, quanti sono quelli che si sforzano di conseguire frutti migliori?

Tuttavia in quasi tutte le classi s’è cominciato per fortuna a subodorare esservi certi medici, o

creduti tali, che, esaminandoli a fondo, si trovano sprovvisti di dottrina, d’onestà e di prudenza, ma pieni di arroganza, d’invidia e d’avarizia, che fan- no esperimenti ammazzando il prossimo (la vec- chia querela di Plinio ) (1) e sono anche piti peri- colosi della stessa malattia.

Ora finalmente sono apprezzati dai grandi quelli cui raccomanda la scienza della medicina antica e schietta. Se questa persuasione mette pih larga ra- dice, saran ridotti presto alla malora quei ciorla- tani e avventurieri che usavano spandere miseria in lungo e in largo sui corpi umani.

Ora tra quelli che al nostro tempo si sforzano con tutta l’anima per reStituire il suo splendore al- l’antica schietta medicina, tu solevi molto giusta- mente lodarmi, mentre vivevo costi, quel Manardi ferrarese, medico solertissimo e dottissimo, e plau- divi alle prime epistole di lui come se fossero det- tate da Peone stesso o da Esculapio.

Per la somma considerazione che ho di te, feci dunque stampare sotto l’auspicio del tuo nome le ulteriori epistole dello stesso Manardi ricevute di recente dall’Italia e curerò che siano divulgate.

Ricordo e SO infatti quanto anche l’arte medica, al progresso della quale mi son dedicato, debba a te che tanto operosamente hai celebrato le sue lodi nei tuoi libri preclari sulle leggi municipali nel Pd- tou. E vivamente prego di non tormentare più lun-

(1) aist. Nat., XXIX, 8.

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gamente gli animi degli studiosi facendole loro de- siderare.

Vale. Salutami il chiarissimo Monsignor Vesco- vo di 1,faillezais, mio -Mecenate benignissimo, se per avventura è costi.

Lione 3 giugno 1532.

EPISTOLA

Ar, CHIARISSIMO E DOTTISSIMO UOMO SIG. GOFFREDO D'ESTINAC (1)

VESCOVO DI kfAILLEZAIS FRANCESCO RABELAIS, MEDICO

s. p. d.

L’anno scorso, o prelato chiarissimo, avendo a- vuto occasione d’illustrare pubblicamente a un fol- to uditorio a Montpellier gli Aforismi d’Ippocrate e poi l’Arte medica di Galeno, avevo annotato alcuni passi nei quali gl’interpreti nou mi soddisfacevano affatto. Confrontando infatti le loro traduzioni con un esemplare greco antichissimo in lettere ioniche elegantissimamente e correttissimamente scritto, che possedevo oltre quelli che corrono per le mani di tutti, trovai che i traduttori molte cose avevano omesso, altre estranee e spurie aggiunto, altre e-

(1) Qaosta epistola uun624patotia latina è preposta sl- l’opera intitolata: Htppooratis ao Galeai libri aliquot, ex rico- gnitione PT. Babelaeai nsadioi. Lugdnni, apud Cryphiwm, 1532.

Geoffroy d’ Estisaac, coetaneo e, pare, condiscepolo dal R. adolosoente nel convento della. Busmotte, aveva ottenuto, giovanissimo, il vescovado di Maillezais nel Poitou, insieme con altri benefici. Da lui dipendeva il convento franoesoano di Pontenai-le-Conite, dove il R. passb molti anni della giovinezza e da lui, amatore della oampagua e umanista, il R. ebbe protezione, ospitalith e aiuti. Cfr. la lettera del BOUCAET, pag. 86 n. 1 e le tre lettore da Roma, pag. 103.

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Opere

spresso insufficientemente, d’altre traditori più che traduttori s’eran mostrati.

Ciò che altrove pui, passar per difetto, nei libri medici è anche delitto. Una sola parola ivi, 0 ag- giunta o soppressa, che dico? un accento, o rove- sciato, 0 preposto, 0 posposto, non raramente cau- si, la morte a migliaia di persone. Non credere ch’io voglia, con questo infamare uomini benemeriti del- le lettere, che anzi benedico perchè reputo dovere moltissimo alle fatiche loro e riconosco d’averne profittato non poco, Ma se in qualche luogo commi- sero errori, penso doversi attribuire tutta la colpa ai codici che seguivano, di quegli errori appunto macchiati.

Sebastiano Gryphe, pertanto, calcografo consu- mato e forbitissimo, avendo visto recentemente tra le mie carte quelle note e avendo già da molto tem- po in animo di stampare i libri dei medici antichi colla diligenza che adopera per gli altri, dove trove- resti difficilmente chi lo pareggf, insiste con molte parole perchè permettessi che quelle note fossero messe a servigio di tutti gli studiosi.

Ne fu difficile ottenere ci0 che io stesso d’altra parte avrei dato spontaneo. Fu laborioso invece in- tendersi sul modo, poiche egli pretendeva che que- sti appunti raccolti per me, senza nessuna intenzio- ne di pubblicarli, fossero aggiunti al libro, redatto in forma di manuale; mi sarebbe costato meno la- voro e poco più di fatica tradurre addirittura tutta l’opera in latino.

Così, poichè le note erano più diffuse del libro stesso, affinchè esso non crescesse deformemente. parve opportuno indicare solamente i luoghi qua e là dove i codici greci devono essere legittimamente completati.

Non dirò qui da qual ragione sia stato indotto u dedicarti questo lavoro qualunque esso sia. Quanto infatti sono in grado di fare, a te 1! dovuto. Tanto e con tanta benevolenza m’hai favorito, che dovunque

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giri gli occhi nessun spettacolo si presenta ai miei sensi fuori che il cielo e il mure della tua munifi- cenza. E talmente adempi all’ufficio della dignith pontificia alla quale sei stato assunto per suffragio di tutto il senato e il popolo del Poitou, che i nos- tri vescovi guardano a te come a quel celebre mo- dello di Policleto, considerandoti il più assoluto e- semplare di probita, di modestia, di umanita, ed hanno la vera idea della virtù, alla quale mirando, 0 conformano sè e i propri costumi allo specchio postosi davanti, o, come dice Persio (1) vedono la virtu e si struggono d’averla lasciata. Prodiga per- tanto ogni tua cura al bene e amami come fai.

Conservati sano o uomo degno di grande stima, e vivi felice.

Lione, 15 luglio 1532.

EPISTOLA

FRANCESCO RARELAIS AL SIG. ALMERKO BUCHARD (2) CONSIQLIERE E REFERENDARIO DBL RE.

Ti offro, illustre Almerigo, un dono esiguo in vero, se guardi alla mole, che riempie appena una

(1) Satire, 111, 38. (2) Questa epistola ruacu~~~toria latina B preposta al-

l’opuscolo intitolato: Ex mliquiis wnevardae antiquitatis: Lu& cU8pidii testameatum; itcm oontraotus venditiorie antiquis Ronca- aorum tempovibu8 Mtw. Lugduai, apud Gzyphium, 1532.

Il testamento di Luoio Cuspidio era nna contraffazione del celebre umanista Pompbniu Leto, B oosi abile, ohe molti altri editori eaddaro nel tranello, persino Aldo Manuzio, il nipote del grande Aldo, ohe lo ristamph nel 1381.

Il oontratte di vendita era state fabbricato dal Pontano che ne parla anche nel 81x0 dialogo Aetius. Ritengono alcuni, tra i quali Olindo Querrini e, sulle 8~8 traeeie, Gennaro Perfetto, che le punzecchiature del B. al Pontano (Cfr. Gat-

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mano; ma non indegno, a parer mio, che vi si fer- mino gli occhi tuoi e di qualsiasi dottissimo simile a te. E’ il testamento di quel tale Lucio Cuspidio; do- cumento scampato a miglior destino dall’incendio, dal naufragio e dalla rovina del tempo. Partendo di qua tu reputavi fosse di tate importanza da merita- re una condanna in contumacia persino davanti al Tribunale del giudice Dassio.

Non credetti ricopiarlo per te solo privatamen- te (cii, che sembrava tu preferissi) ma alla prima occasione lo diedi a stampare in duemila esempla- ri affinchè non si ignori di quale formula usassero nel redigere testamenti quegli antichi Romani, quando più fiorivano le migliori discipline.

Aspetto da un giorno all’altro il tuo nuovo libro: De architettura orbis che appare tratto dai più san- ti scrigni della filosofia.

Lione 4 settembre 1532.

gantua, oap. X1X) siano derivate dal dispetto per questa mistificazione. Ma non B ben certo ze il R. ae ne zia aooorto, o ze invece la mistificazione non sia stata exoperta dopo la saa morte oome inclina m oredare 1’Reulard.

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EPISTOLA

A IBERNARDO DI SALIGNAC (1) SALUTE PRIX30

DA Gusti CRISTO SALVATORE.

Giorgio d’Armagnac (2), l’illustrissimo vescovo di Rhodez, m’ha inviato ultimamente la Storia Giu- daica di Giuseppe Flavio sulla caduta (di Gerusa- lemme) e m’ha pregato in nome della nostra antica amicizia di fartela pervenire alla prima occasione,

, (1) Questa epistola latina fu pubblicata la prima volta ad Amsterdam nel 1702, in una raccolta ai oento epistole clarorwn virorwn.

Molti si sono domandati chi fosse questo Salignao al quale il R. oonfessa sl fervida gratitudine. E non trovando nessun Saliguac degno di tanta lode hanno concluso che le lettera eia diretta ad Er:bsmo. Jules Quioherat, (V. Oekvres de Rabebi8, edizione del Marty-Lavoux, vol. IV, pag. 380 e segg.) ricorda un Sulinnoune. frate pio e dottissimo citato a titolo d’ouore nei versi di Jean Voultè, amico del Rabelais. Io, a mia volta, in un opuscolo in versi (Disoout*a de Ea Cowt, prematè. azc Roy par M.’ CL!ancde Ch up~&s. 80% libraire et vwlet de ohambre ordinaire, Andre Roffet, Parigi, 1543) di Charles Chappuis, gia compagno del Rabelais a Roma nel 1535-36 e poi bibliotectario di Francesco 1 a Parigi, trovo e segnalo un Salignac nominato tra i più dotti referendari di Francia, tra i quali B anche il Rabelais:

ti.. Et SaEUgnac ti scavant en Hobr&, Gres et Latin, qu’entre toua se PeuZt mettre Pour bien juger ~?esporit de la letre.

Questo Sallignao non potrebbe esser lo stesso lodato dal Voulte, tant#o amato e venerato dal Rabelais?

(2) Personaggio ragguardevole divenuto poi oardinale, sroivesoovo di Tolosa e d’Avignone. Pu anohe ambasoiatore a Venezia e a Roma. Cfr. Sciomaohia, pag. 70 e pag. 117, n. 1.

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appena trovi persona degna di fiducia che venga dove sei. Volentieri pertanto, padre mio umanissi- mo, ho colto il destro propizio per mostrarti con un servigio a te gradito, con quale animo, con qua- le venerazione ti sia devoto. Padre ti ho chiamato; anche madre ti chiamerei, se la tua indulgenza lo permettesse. Ciò che ogni giorno noi vediamo in- fatti accadere di consueto alle madri gestanti, le quali nutrono il frutto del loro ventre senz’averlo mai visto, e lo proteggono dalle intemperie dell’a- ria, questo facesti per me. Pur non avendomi mai visto, pur essendo il mio nome plebeo, tu così mi educasti, così mi nutristi alle caste mammelle della tua divina dottrina, che quanto sono e valgo, tutto devo a te solo e se non lo proclamassi mi mostrerei il piu ingrato di tutti gli uomini che sono o che saranno nell’avvenire. Salve, pertanto, ancora e sempre, padre amatissimo, padre e decoro della pa- tria, difensore delle lettere, trionfatore del male (l), invitto propugnatore della verità.

Ho saputo teste da Ilario Bertolfo (2), col quale sono in stretti rapporti, che stai preparando non SO che, contro le calunnie di Gerolamo Aleandro (3j che sospetti aver scritto contro di te sotto la ma- schera di uno pseudo Scaligero. Non soffrirò che l’animo tuo resti più a lungo incerto e che sia trat- to in inganno da un falso sospetto. La Scaligero esi- ste, è di Verona, della famiglia esiliata degli Sca- ligeri, esule egli stesso. Ora esercita la medicina ad

(1) dZeosiowos. Parola cara al buon B. ohe l’applica spesso ai suoi potenti benefattori, Cfr. 1. IV, p. 19, n. 1,

(2) Segretario di Erssmo. (3) Nato a Motta nel Friuli nel 1480. Famoso per le BUB

vitate nozioni di matematica, fisica, medicina e della lingua latina, greca ed ebraica, fu chiamato in Franoia da Luigi X11 e inaegnò greco a OrMans, a Blois a a Parigi dove fu Ret- tore deIl’Univerzit&. Aleszandro VI, Leone X, Clemente VI1 e Paolo 111 gli affldzrono importanti nunziature. Fate0 cardi- nale nel 1636, mori nel 1542.

n ‘.

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98 Francesco Rabelais

Agen. L’uomo mi B noto. Lo conosco molto bene, per Giove, 4 un calunniatore. Non privo di cogni- zioni in medicina, per dire il vero; quanto at resto, punto stimabile e ateo del tutto, come nessuno fu mai.

Non m’B accaduto di vedere il suo libro, e in tanti mesi nessun esemplare fu portato qua, onde penso sia stato soppresso da quelli che a Parigi ti vogliono bene. Vale e vivi fefice.

Lione, 30 novembre 1532.

Tuo quanto di se stesso FR. RABELAESUS, medico.

EPISTOLA

FRANCESCO RABELAIS, MEDICO AL IXIIARIS.~" E DOTTIS.mo SIG. GIOVANNI DU BELLAY (1)

VESCOVO DI PARIGI CONSIGLIERE DEL CONSIGLIO PRIVATO DEL BE.

s. p. d.

L’ingente cumulo di benefici onde recentemente hai creduto aiutarmi e adornarmi, o illustre prela-

(1) Questa epistola latina mm%bfmkn%a B prepoeta al- 170perm intitolata : Xopvgraphias an%quaa Rhnae, Joanne Bar- tholonmeo Marliana auotore, Lzrgduni. apud Seb. Grypkiwn, f 534.

Il Madirtni, uobile milanese, aiutato nell’opera eua dal fiorentino Antonio Allegretti, da Luigi Fabri da Fano, da Annibal Caro o da Giacomo SimoneMa vescovo di Pesaro e sovvenzionato da Gian Domenibo Cupo, osrdinale di Troni, pubbiiob la zua Xopographia il 51 maggio 1534 B Roma presso Antonio Blado d’Asola, in Campo de’ Fiori. L’edizione lio- nese del R,, ahe riproduce quella del Marliani, salvo lievis- sime differenze, usoì verso la fine d’agosto lo stesso anno.

Giovsnni Du Bellay, it cui l’edizione era dedioeta, fre-

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to, s’è cos1 profondamente radicato nella mia me- moria, che sori certo non potrl in alcun modo mai esserne strappato, ne cadere in oblio per passar di tempo.

E piacesse al cielo mi fosse facile soddisfare al- l’immortalita delle tue lodi, chè son certo mi sde- biterei fino alla fine, delle grazie che meriti e t.i remunererei se non con pari servigi (e chi potreb- be?) ma almeno con giusto tributo d’onore e con anima memore. Infatti cib che io desiderava sovra ogni altra ‘cosa fin da quando cominciai a iniziar- mi al senso della più forbita letteratura, potere cioè ,viaggiare in Italia e visitare Roma, capitale del mondo, ciò m’hai offerto, ciò m’hai concesso con benevolenza mirifica, E non solamente visitare 1’Italia (ciò che era di per sè plausibile) ma visitar- la insieme con te, uomo dottissimo e umanisimo tra quanti ricopre il cielo, grazia questa, che non SO an- cora pregiare alla giusta misura. In verità per me più valse aver veduto te a Roma che veder Roma stessa.

Essere stato a Roma è sorte che può esser condi- visa con quanti non siano nè infermi, nè impediti in tutte le membra; ma aver visto in Roma, te fio- rente delle congratulazioni incredibili degli uomi- .ni, fu gioia; esser stato mescolato agli affari, nel tempo in cui compievi la nobile legazione (1) per

te110 di Guglielmo, Martino e Renato e zio di Gioachino dn Bellay, uno dei poeti della Pleiade, di oasato nobilissimo, fu tra i pih eminenti uomini di studio e d’aziona do1 tempo di Franoeseo 1 e di Enrico 11. Il suo nome B legato perenne- mente alla gloria del R. del quale fu il pih potente e oostante protettore ed amico. Mori e fu sepolto in Roma nel 1560.

(1) Giovanni Du Bellay, insieme col fratello Guglielmo propugnava una politica d’accordo fra Francesco 1 ed En- rioo VIII re d’Inghilterra, contro la preponderanza in Eu- ropa di Carlo V. PoiohB Enrico VI11 voleva divorziare dalla prima moglie Caterina d’Aragona, sorella di Carlo V, per sposare Anna Bolena, il Du Bellay procaaoiò oon ogui mezzo,

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cui eri stato inviato a Roma dal re nostro invittis- simo Francesco, fu gloria; esserti stato vicino quan- do pronunciasti il discorso intorno agli affari del reame di Bretagna nel consesso piu augusto e più grave della terra, fu una felicità, Quanta giocondita c’invase, quale gaudio ci esalto, quanta letizia ci rallegrò mentre ti guardavamo parlare, tra lo stupo- re dello stesso pontefice Clemente, tra la meraviglia dei porporati, giudici di quel grandissimo ordine, tutti plaudenti? Quali aculei lasciasti negli animi loro, pur dilettati dalla tua parola! Quante senten- ze argute, quale finezza nel discutere, maestà nel ri- spondere, calore nel confutare, quanta facilità splen- deva nel tuo dire! La tua dizione era così pura che sembravi quasi il solo a parlar latino nel Lazio; e la gravità accoppiata a una lepida eleganza ti dava una dignità singolare. Ricordo anzi, che, tra i piu raffinati fra tanti presenti, eri spesso vantato, se- condo la frase di Ennio (l), il fiore delle Gallie; proclamavano esser tu, a memoria d’uomo, il solo prelato parigino a parresiazein (2) e che Re Fra&-

nell’interesse della Francia, di favorire 1’ allontanamento dell’Aragonese dalla Corte d> Inghilterra. Ebbe trattative dirette con Enrico VI11 e Francesco 1, agito le universita francesi, e infine sostenne il divorzio nella magnifica ora- zione latina qui ricordata, il 29 marzo 1534. Ma sugli argo- menti addotti con tanto oalore dal Du Bellay prevaleva in Clemente VI1 e nei cardinali, memori del reoente sacco di Roma, la paura di Carlo V. Su 22 oardinali presenti, 19 vo- tarono contro il divorzio. Questo voto, del quale gl’imperiali menarono vanto, costò al Cattolicismo la perdita della Chiesa Anglicana.

(1) Flos delibutus pwpuli, suadaeque nledulla. (Citazione di CICERONE, Btwtus, 13).

(2) Gioco di parole tra parieieswem, parigino e il verbo greoo pu~cxia~eh = parlar liberamente. Altrove il R. rioor- dando il eonveuiuat rebus nomina rauye suk, si chiede ae il nome di Paria {par-rQ) non sia il più adatto alla natura ridibouda dei Parigini. (Ga9+gaMua, XVII).

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Opere 101 _-.-,.

cesto agiva assai bellamente avendo consiglieri i Bellay (1) i piu illustri per la storia, i più gravi per autorità, i pih fini per cultura di quanti ahhia la Gallia.

Molto prima che arrivassimo a Roma avevo peri- sato e fissato nella mente una specie di programma delle cose il cui desiderio colà mi traeva. Avevo sta- bilito di andare a trovare e intrattenermi famigliar- mente cogli uomini dotti in fama nei luoghi dove saremmo passati per sentire le loro opinioni intor- no ad alcuni problemi dubbiosi che da lungo tempo mi tormentavano.

In secondo luogo, ciò che era pertinente all’ar- te mia, vedere le piante, gli animali e certi medica- menti che mancavano in Francia e si diceva ab- bondassero in Italia.

In fine dipingere, usando la penna a mo’ di pen- nello, l’aspetto dell’Urbe, affinchè tornando in pa- tria dai paesi lontani nulla fosse che non potessi prontamente ricavare dai miei libri. E avevo porta- to con me una faraggine d’annotazioni su questo ar- gomento, raccolte dagli autori delle due lingue.

Il primo punto non ebbe cattivo esito benchè non dappertutto secondo i miei voti. Ma nessuna pianta e nessun animale possiede l’Italia che non a- vessi visto e conosciuto antecendentemente. Unico un platano che vedemmo presso la grotta di Diana Aricina (2). Quanto all’ultimo punto, credo averlo realizzato con tal diligenza che nessuno conosce ca- sa sua come io Roma e tutti i suoi vicoletti. E anche tu, il tempo che ti restava libero da quella tua ce- lebre e ponderosa legazione, lo davi volentieri a considerare i monumenti della città, nè ti basto a- ver visto quelli visibili, ma avesti cura anche di

(1) Questi oomplimentnsi giochi di slliterazione dobbiamo attribuirli ai prelati romani, o al R. che suole spesso dilet- tarsene?

(2) Presso il lago di Nemi.

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Francesco Rabelais

scavarne dopo aver comprato apposta una bella vi- gna. E poichb dovesti restare colà più lungamente di quanto prevedevi, e affinchè constasse qualche frutto de’ miei studi, chiamati con me Nicola Le Roi (1) e Claudio Chappuis (2) giovani onorcvolis- simi del tuo seguito e amantissimi dell’antichitl, mi diedi a preparare la topografia di Roma. Ma ecco che si comincia a stampare il libro del Marliani. Quel lavoro mi recò tal sollievo quale suole recare alle partorienti ne’ parti difficili l’apparizione di Giunone Lucina. Avevo concepito infatti anch’io lo stesso figlio, ma, a dir la verità, il partorirlo mi angustiava l’anima e gl’intimi sensi. E se l’argo- mento in sè non richiedeva difficile meditazione, non appariva facile tuttavia disporre con chiarezza ordine e armonia la rude mole della materia ac- cumulata.

Io, seguendo l’invenzione di Talete di Mileto, tracciato un gnomone, tirata una linea trasversale da oriente ad occidente e una da austro ad aquilone, dividevo la città per borghi e la disegnavo ad oc- chio. Lui invece preferì prospettarla come vista dai monti. Lungi da me l’idea di biasimare questo si- stema di topografare, anzi mi rallegro assai meco stesso che egli m’abbia preceduto nel compiere ciò che io mi sforzava di fare.

Infatti più cose egli apprestò da solo che chiun- que avesse potuto attendere da tutti gli eruditi del seco1 nostro. E così assolse il compito suo e trattò la materia cos1 conforme ai miei propositi, che non ricuso di dovergli io solo quanto gli debbono tutti gli studiosi delle oneste discipline, Fu tuttavia cosa

(1) Dottore di giurisprudents a Bowges, amico di CM- vino, dc1 Dolet e come loro simpatizzante per la Riforma; godeva fama di dottissimo.

(2) Nominato bibliotecario di Francesco 1 nel 1533, tenno questa carica per lungo tempo o lascia varie opere, auche in Versi. Cfr. pag. 96, n. 1.

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molesta che tu, richiamato dalla chiara voce del Principe e della patria, dovessi partire da Roma prima che il libro fosse condotto a termine. Curai tuttavia con diligenza che appena pubblicato .fosse inviato a Lione, sede de’ miei studi. Ciò fu fatto per opera e cura di Giovanni Sevin, uomo invero pclly- tmpo (i), ma non SO spiegarmi come sia stato in- viato senza l’epistola nuncnpatoria (2). Affinchè diinque non venisse in luce incompleto e quasi ace- fdo com’era, m’è parso bene darlo fuori sotto ‘gli auspici del tuo nome chiarissimo, Spero che grazie alla singolare tua umanità mi darai in tutto la tua approvazione.

Amami come fai. Vale.

Lione, 31 agosto 1534.

LETTERE DA ROMA (3) A MONSIONORE GIORQIO D’ESTISSAC,

VESCOVO L>I MAILLEZAIS.

Prima lettera

Il 29 novembre vi scrissi diffusamente e inviai per le vostre insalate sementi napoletane di tutte

(1) Di molte risorse. (2) Pare ohe il Marliani avesse promesso di dedioara

l’opera sua al Du Bellay; partito lui, la dedicb al cardinale di Trani, Per riparare alla mancanza il R. provvede alla edizione di Lione, oni fa preoedere questa epistola.

(3) Furono pubblicate la prima volta dai fratelli Abele e Luigi di Sainte-Marthe.con questo titolo: a Les epistres de E’rangoie Rabelais esoritas pendant mn voyage CV Italie, nouvelle- Wnt mieeo en lumière, aveo des oboswations hietoriquer.. . Paria, Ch. de &~oy, 1651 ».

1 primi edit,ori ID presentarono come sedici lettere; in

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104 Francesco Rabelais

te specie che si mangiano qua, eccetto la pimpinella, che allora non potei trovare.

Ve ne mando ora, ma non in grande quantit&, non potendone caricare più oltre il corriere in una sola volta; ma se ne volete ancora 0 per i vostri or- ti o per darne ad altri, non avete che scrivermelo e ve le manderò.

Vi avevo sixitto anche inviandovi le quattro fir- me concernenti i benefici di frate Don Filippo, ot- tenute a nome di quelli che avevate designato nel vostro promemoria, Di poi non ho ricevuto alcuna lettera vostra che facesse menzione d’aver ricevuto le dette firme. Ne ho invece una datata da Erme- nault (l), quando vi passò Madama d’Estissac (2). Mi accusavate in quella il ricevimento dei due pli- chi che vi avevo inviato, l’uno da Ferrara, l’altro da Roma con la cifra che vi scrivevo.

Ma, a quanto intendo, non avevate ancora rice- vuto il plico dove erano le dette firme.

Ora posso comunicarvi che il mio affare (3) è stato trattato e risolto molto meglio e piu sicura- mente che non sperava, essendo stato aiutato e con- sigliato da gente per bene. Massimamente dal cardi- nale de Genucci, Giudice di Paluzza e dal cardinale

realtà sono tie: la prima del 30 dicembre 1535, la seconda dc1 28 gennaio 1536, 111 terza del 15 febbraio 1636. Negl’in- tervalli tra l’una e l’altra il R. redigeva una specie di diario ohe spediva tutto insieme ad ogni partenza del oorriere di Francesco 1.

Di altre tre o quattro lettere dello stesso allo stesso, soritte da Ferrera, e da Roma non rimane traooirt all’infuori dei cenni lasoiati dal R. nelle tre presenti.

(1) Villaggio del Poitou dove il D’Estisseo (aveva poderi e un sastello.

(2) Anna di Daillon, moglie di Luigi d’Estissao, figlio d’un fratello del vescovo.

(3) Il R, gi& monaco franoesctsno ,a Fontenay-le-Comte, weva ottenuto, per oonoessione e indulto di papa Cle- menta VII, di passare nell’ordine benedettino presso la dio-

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Simonetta, Uditore della C&era, assai esperti e com- petenti in tali materie,

11 Papa era d’avviso che il detto affare fosse trat- tato dalla Camera; ma i due cardinali suggerirono invece la Corte corztenziosa, poiche la sentenza ot- tenuta in foro COntedOSO e inoppugnabile in Fran- cia; infatti quae per contradictoria trausfgentur, transeunt in rem iudicatam, quae autem per Game- rum et impugnari possunt et in judfcio veniunt (1).

Comunque ora non mi resta che far mettere le bolle sub plumbo (2).

Monsignore il cardinale Du Bellay e monsignor de Macon. (3) hanno assicurato che la sentenza mi sara fatta gratis, quantunque il papa di consueto non conceda gratis se non i giudizi per Cameram. Non ci sara da pagare che i referendari, procura- tori e altrettali imbrattapergamene. Se il denaro mi verrii meno mi raccomanderò alle vostre elemosine; credo infatti che non mi partirò di qui prima che l’Imperatore (4) se ne sia andato.

Ora egli B a Napoli, e, secondo quanto ha scrit- to al papa, ne partira il 16 gennaio. Già tutta Roma

cesi di Paillezais. Più tardi avendo, senza autorizzazione dei superiori, smesso l’abito regolare e girato il mondo in abito seoolare studiando e professando la medioina, era in- oorso nelle maoohie d’ apostasia, irregolarita e infamia.

Sulla fine del 1535, trovandosi a Roma, presenta a papa Paolo 111 una supplica domandando Passoluzioue e la riam- missione nell’ordine benodettino. 11 papa, oon breve del 1’7 gennaio 1636, oouoesse a al diletto figlio Franoesoo Rabelais z quanto chiedeva oon rinforzo d’ Apostolioa benedizione.

(1) 1 giudizi ottenuti in oontvadditorio passano oome oosa giudicata, quelli emessi dalla Camera possono essere impu- gnati e ridisoussi.

(!2) Far mettere i sigilli di piombo. (3) Carlo HBmard, vesoovo di Macon ohe fu lungo tempo

ambasoiatore ordinaria di Franoesco 1 presso il papa. Morì a Mans nel 1540.

(4) Carlo V.

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e piena di Spagnoli; e ha inviato al papa un amba- sciatore speciale, oltre l’ordinario, per avvertirlo della sua venuta. Il Papa gli cede la meta del pa- lazzo e, per le sue genti, tutto il borgo di San Pie- tro; e fa preparare tremila letti alla moda romana, vale a dire dei materassi; poichè la cittii è sprowe- duta di letti dopo il sacco dei Lanzichenecchi (1); e ha fatto prowigione di fieno, paglia, avena, spel- ta e orzo quanto ha potuto procurarsene e di tut- to il vino arrivato a Ripa. Io penso che gli costei-a caro, e ne farebbe volentieri a meno nella poverti in cui si trova, che è grande e visibile più che in qualsiasi papa da trecento anni in qua. 1 Romani non hanno ancora risoluto come devono comportar- si; spesso si sono riuniti il Senatore, i Conservatori e il Governatore; ma non riescono a mettersi d’ac- cordo.

L’Imperatore ha loro annunciato, per via del det- to ambasciatore, non intendere che le sue genti vi- vano a discrezione, cioè senza pagare, ma a discre- zione del papa; e ciò più angustia il papa il quale capisce bene come con questa frase l’Imperatore vo- glia mettere alla prova la sua affezione e vedere co- me trattera lui e le sue genti.

11 Santo Padre, per deliberazione del concistorol gli ha mandato due legati, cioè il cardinale di Sie- na e il cardinale Cesarini; in seguito vi sono andati per giunta il Salviati e il Rodolfi e Monsignor de Saintes (2). Ho saputo che si tratta dell’affare di Fi- renze per la questione tra il duca Alessandro (3) e Filippo Strozzi, del quale il duca voleva confiscare i beni, che non sono pochi; infatti dopo i Fourques

(1) Del 1527, essendo papa Clemente VII. (2) Il vescovo di Skntes, era Giuliano Soderini, appar-

tenente a una delle famiglie esiliate da Firenze e bramose di ritornarvi. Mori a Saintos nel 1544 ed è eepolto in quella cattedrale.

(3) Quello uccizo due anni dopo da Lorenzino.

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di Asburgo, in Germania, lo Strozzi è considerato il più ricco mercatante della Cristianità. Il duca aveva incaricato persone in questa città per avvele- narlo o comunque ucciderlo. Della quale intenzio- ne avvertito lo Strozzi impetro dal papa di portare armi e andava ordinariamente accompagnato da trenta soldati armati di tutto punto. Il duca di Fi- renze, saputo che lo Strozzi coi detti cardinali era andato dall’Imperatore e che gli aveva offerto quat- trocentomila ducati solo perchè incaricasse gente di informarsi sulla tirannia e malvagità del suo go- verno, partì da Firenze, lasciandovi a governarla in suo nome il cardinale Cibo, e arrivo a Roma il giorno dopo Natale, circa le 23 ore (1); entrò per la porta San Pietro accompagnato da cinquanta caval- leggeri, armati d’arma bianca e colla lancia in pu- gno, e intorno a cento archibugeri; il resto del suo seguito era scarso e in disordine. Non gli fu fatta alcuna accoglienza; solamente l’ambasciatore del- l’Imperatore gli and6 incontro alla detta porta. En- trato, si reco al palazzo ed ebbe udienza dal papa, ma breve; e fu alloggiato a palazzo San Giorgio. L’indomani mattina parti accompagnato com’era venuto.

Da otto giorni sono qui giunte notizie, e il San- to Padre nc ha ricevuto lettere da diversi luoghi, che il Sofi (2), re di Persia ha sbaragliato l’esercito del Turco. Iersera arrivò qui il nipote di Monsignor de Vely (3) ambasciatore del re (4) all’Imperatore, e

(1) Qui il R. conta le ore alla romana. Il giorno era di- viso in 24 ore, e la prima corrispondeva alle 5 di sera. Le 23 sono dunque le 0 di sera. Cfr. Scionrachin, pag. 53, nota 3.

(2) hntioo titolo del re di Persia prima che fosse ohia- mato Sci?+.

(3) Claudio Dodieu di Lione, signore di Vely. Il oardi- nale Du Bellay ohe lo attendeva al suo passaggio R Roma, gli aveva soritto pochi giorni prima: « le oow ai bienpours6u de logis pr88 de ntoy et awom vins fvanpois et ohaetaig*te8 ».

(4) Franoesoo 1.

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racconto al cardinale du Bellay che la notizia è ve- ra, e che è stata la più grande strage che siasi com- piuta da quattrocento anni in qua; di parte turca sono stati uccisi piu di quarantamila cavalli. Con- siderate quanti fanti saranno caduti, E parimenti dalla parte del detto Sofi; poichè tra genti che non amano fuggire, non solet esse incruenta victoriu (1).

La disfatta principale fu presso una piccola cit- tà chiamata Kom, poco distante dalla grande città di Tauris, che il Sofi e il Turco si disputano; il re- sto della rotta avvenne presso un luogo chiamato Betelis (2). La maniera fu questa: il Turco aveva diviso il suo esercito e una parte l’aveva inviata a prendere Kom. Il Sofi, avvertitone, piombò inaspet- tatamente su questa parte con tutto il suo esercito. Ecco la conseguenza della cattiva idea di dividere l’esercito prima d’aver vinto. 1 Francesi ne seppero qualche cosa quando il Signore d’Albania s’allon- tanò da Pavia col fiore e la forza del campo (3).

Il Barbarossa (4), intesa questa rotta e disfatta, s’e ritirato a Costantinopoli per dar sicurezza al pae- se e sacramenta per i suoi buoni dei che 15 cosa da nulla in considerazione della gran potenza del Tur- co. Ma l’Imperatore è liberalo dalla bella paura di vedere il Turco sbarcare in Sicilia, come aveva deli- berato per la primavera. La Cristianità può star tranquilla per lungo tempo e quelli che mettono le decime sulla Chiesa, col pretesto che vogliono af- forzarsi contro l’invasione del Turco, restano mal forniti d’argomenti dimostrativi.

(1) La vittoria suole costar molto sangue. (2) Tiflis. (3) Diecimila nomini che erano stati avviati alla con-

quieta di Napoli. La rotta di Pavia segui il 24 febbraio 1525.

(4) Khair-Ed-Uin, famoso pirata, ammiraglio delle ar- mate di Solimano 1. Ebbe a inoontrarsi più volte oon Andrea Doria, ammiraglio di Carlo V,

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Monsignore,

Ho ricevuto lettere da Monsignore di Saint-Sar- dos datate da Digione colle quali mi avverte del suo processo pendente qui alla Corte di Roma. Non ose- rei rispondergli senza correr rischio d’andare in- contro a gravi noie, ma sento dire che ha i migliori diritti del mondo e che gli si usa torto manifesto; dovrebbe venir qui lui in persona, poichè non v'e processo per quanto fondato sull’equità che non si perda, massimamente quando la parte contraria è forte ed ha l’autorità di minacciare i sollecitatori, se ne parlano. M’astengo dal parlarvene più diste- samente per mancanza di cifra; ma mi dispiace ve- dere ciò che vedo, poichè SO che gli siete affeziona- to e perchè in ogni tempo m’ha favorito e voluto bene. Venga dunque com’e venuto il signor di Basi- lac, consigliere di Tolosa, per questione meno im- portante pur essendo più vecchio e acciaccato di lui; e ha ottenuto risoluzione rapida e vantaggiosa.

Monsignore,

Questa mattina 2: ritornato qui il duca di Fer- rara (1) che era andato a presentarsi all’imperatore a Napoli. Non ho ancora saputo che cosa ha com- binato circa l’investitura e riconoscimento delle sue terre; ma sento dire che non B ritornato molto con- tento dell’Imperatore.

Dubito che sara costretto a dar aria agli scudi lasciatigli dal padre e il Papa e l’Imperatore 10 spenneranno a loro piacimento; tanto più perchè s’e deciso a rifiutare il partito del Re dopo aver

(1) Ercole 11. Cfr. pag. 75, n, 3 e pag. 203.

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110 Franeesco Rabelais

indugiato più di sei mesi a entrare nella lega del- l’Imperatore, nonostante le rimostranze e minaccie che glie ne venivano. Infatti il signore di Limoges, ambasciatore del Re a Ferrara, vedendo che U. du- ca s’avviava dall’Imperatore senza avvertirlo del suo proposito, è ritornato in Francia; v’e pericolo che madama Renata ne soffra noie. 11 duca le ha tolto madama di Soubise, sua governante, e la fa servire da italiane. Non B buon segno.

Monsignore,

Da tre giorni è arrivato qui per posta un in- viato della gente di Monsignore di Crisst! ad avver- tire che la banda del signor Rance che era andata in aiuto di Ginevra, è stata disfatta dalle genti del duca di Savoia. Insieme con lui veniva un corriere di Savoia che ne porta la notizia all’Imperatore. Potrebbe essere seminarium futuri belli (l), poichè facilmente queste piccole beghe tirano dietro sè grandi battaglie, com’è agevole vedere nelle anti- che istorie greche e romane e anche francesi; ad esempio la battaglia di Vireton.

Monsignore,

Da quindici giorni Andrea Doria (Z), che era an- dato a vettovagliare la guarnigione imperiale della Goletta presso Tunisi e massimamente a rifornirli d’acqua (poichè gli Arabi del luogo fanno loro una guerra continua, talchè non osano uscire dalla for-

(1) Glerme di guerra futura. (2) Il celebre ammiraglio di Carlo V era bei aonoseinto

dai Du Bellay; Guglielmo, il fratello primogenito del oar- dinale Giovanni, era stato ospite del Doria nel suo palasseo di Genova quando parteggiava per Franoeseo 1.

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tezza) è arrivato a Napoli e non è rimasto che tre giorni coll’Imperatore, poi è partito con ventinove galere. Si dice per affrontare il Giudeo e Cacciadia- volo (1) che hanno incendiato molte terre in Sarde- gna e a Minorca.

Il gran maestro di Rodi, piemontese, è morto questi ultimi giorni; è stato eletto in suo luogo il Commendatore di Forton, tra Montauban e Tolosa,

Monsignore,

Vi mando un libro di prognostici, molto ricer- cato a Roma, intitolato: De eversione Europae (2). Per parte mia non gli presto fede alcuna. Ma non si vide mai Roma tanto smaniosa di queste vanita e divinazioni com’è ora, Ciò perchA:

Mobile mutatur semper cum principe vulgus (3).

Vi mando anche un almanacko per l’anno che viene, 1536, e inoltre copia d’un breve che il San- to Padre ha decretato di recente per la venuta del- l’Imperatore. Vi mando anche L’Entratu dell’lmpe- ratore in Messina e Napoli e l’orazione funebre che fu fatta al funerale del fu duca di Milano (4).

Mi raccomando umilmente, Monsignore, quanto

(1) Due piratì famosi di quel tempo. (2) Sulle, distruzione dell>Europa. (3) Il volubile volgo muta mqwa col mwtar del pvincipa.

(4) Frauoesco Maria Sforza, secondogenito di Ludovioo il Moro, morto senza eredi la notte fra il 1.” e 2 novembre. Tale morte, riaprendo la suoaessione al ducato di Milano, tendeva vioppiù i rapporti tra Francesoo 1 e Carlo V, ohe parimente vi aspiravano. Lo lotta diplomatica diventò in quei giorni più eerruta preludendo alla guerra slls quale entrambi segretamante si preparavano.

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più posso, alla vostra buona grazia, pregando Nostro Signore di darvi buona salute e lunga vita.

A Roma, il 30 decembre (1).

41 vostro umilissimo servitore FRANCESCO RABELAIS

SECONDA LETTERA DI hANcESC0 RABELAIS

A MONSICNORR GIOHOIO D’ESTISSAC VESCOVO DI MAILLBZAIS.

Monsignore,

HO ricevuto le Iettere che vi piacque scrivermi in data 2 dicembre, dalle quali ho appreso che ave- te ricevuto i miei due plichi, l’uno del 18, l’altro del 22 ottobre, con le quattro firme che vi mandavo. In seguito vi ho scritto bene a lungo il 29 di no- vembre e il 30 dicembre. Credo che oramai questi plichi vi saranno giunti. Infatti ser Michele Par- mentier, libraio dimorante allo Scudo di Basilea, mi ha scritto il 5 di questo mese che li ha ricevuti e rispediti a Poitiers. Potete star sicuro che i pli- chi che vi mandero saranno in mani sicure di qui a Lione, poiche li metto dentro il grande pacco si- gillato, per la corrispondenza del Re. E quando il corriere arriva a Lione, il sacco è aperto dal si- gnor Governatore. Allora il suo segretario, amico mio, prende il plico, sul primo involto del quale scrivo l’indirizzo del detto Parmentier. Non v% dunque nessuna difficoltà se non da Lione a Poi- tiers. E per questo ho pensato di tassare i miei plichi perche i messaggeri, colla speranza di gua- dagnare qualche testone, compiano con più sicu-

(1) 1535, evidentemente.

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rezza il servizio. Per parte mia poi, mi tengo bue- no il Parmentier regalandogli qualche novitii di Ro- ma, a lui, o a sua moglie, afiinchè ricerchi con mag- gior premura i mercanti, o i messaggeri di Poitiers, per mandarvi i plichi. E sono anch’io dell’avviso vostro, cioi! di non consegnare la corrispondenza nelle mani dei banchieri per paura- che la dissi- gillino e l’aprano. Sono anche d’avviso che la pri- ma volta che mi scriverete, massimamente se si tratta di cosa d’importanza, scriviate una parola al Parmentier e mettiate dentro la lettera uno scudo per lui in considerazione della diligenza che pone nell’inviarmi i vostri plichi e nell’inviarvi i miei. Molti galantuomini ci restano talora obbligati per una cosa da nulla, che li rende più premurosi per I’awenire quando si presenti il caso di un messag- gio urgente.

Monsignore,

Non ho aacora consegnato le vostre lettere a Monsignor de Saintes (1) perchè non 12 ancora ri- tornato da Napoli dov’è andato coi cardinali Sal- viati e Rodolfi; dev’essere di ritorno fra un paio di giorni; gli rimetterò subito le lettere e lo sollecite- rò per la risposta, che vi manderò poi pel primo corriere che sarll inviato. Sento dire che i loro af- fari non hanno avuto dall’Imperatore la soluzione che speravano, L’Imperatore ha risposto perento- riamente che per loro richiesta e istanza, e insie- me del defunto papa Clemente, loro alleato e pros- simo parente, aveva costituito Alessandro de’ Me- dici, duca sulle terre di Firenze e di Pisa, cib che prima non aveva mai pensato di fare e non avreb- be mai fatto. Deporlo ora sarebbe azione da ciur-

(1) v. pag. 106, n. 2. 8.

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madori che fanno e disfanno, Che si dispongano pertanto a riconoscerlo come loro duca e signore, gli obbediscano come vassalli e sudditi e che non manchino a cib. Quanto alle lagnanze presentate contro il duca, egli se ne renderà conto sul posto. Infatti si propone, dopo aver soggiornato qualche tempo a Roma, di andare a Siena e di là a Firen- ze, Bologna, Milano e Genova. Cosi i detti cardi- nali e insieme Monsignor di Saintes, Strozzi e qual- che altro se ne ritornano re infecfa (1).

Il 13 di questo mese sono ritornati i cardinali di Siena e Cesarini, nominati legati all’Imperatore dal Papa e da tutto il Collegio. Tanto hanno fatto che l’Imperatore ha rinviato la sua venuta a Roma alla fine di febbraio, Se avessi tanti scudi quanti giorni di indulgenza il Papa vorrebbe concedere proprio motu de plenitudine potestutis (2) e altret- tali circostanze favorevoli a chiunque potesse rin- viare tale venuta di altri cinque o sei anni, sarei piu ricco di quanto non fu mai Giacomo Coeur (3). Si sono cominciati nella città grandi preparativi per riceverlo e per comando del Papa 6 stata fatta una strada nuova per la quale deve entrare, cioè dalla porta San Sebastiano al Champ Doly (4), tem- plum Pdcìs e l’anfiteatro (5). E si fa passare sotto gli antichi archi trionfali di Costantino, di Vespa- siano e Tito, di Numeziano e altri; poi di fianco a palazzo San Marco e di là, per Campo de’ Fiori, da- vanti a palazzo Farnese, dove soleva dimorare il Papa; poi per le banche e sotto il Castel Sant’hn- gelo. Per tracciare e spianare questa strada sono

(1) Cosa non fatta, 8enz’avec nulb ottenuto. (2) Di propria voloutà, e oon pieno potere. (3) Finanziere del tempo di Carlo VII, provverbiale per

la 8ua ricchezza. Lo ricorda anche il YILLON ( Tedmz., v. 285)

ed il R. ebbe già oooauione di nomiuurlo nel 1. 1, cap. 5. (4) Così nel testo. Evidentemente il Campidoglio. (6) Il Colosueo.

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Opere 115

state demolite, abbattute e rase al suolo piu di due- cento case e tre o quattro chiese. E cib taluni in- terpretano come tattico presagio.

11 giorno della conversione di San Paolo il no- stro Santo Padre andò a sentir la messa a San Pao- lo e diede un banchetto a tutti i cardinali. Dopo pranzo ritorno passando per la strada su detta e alloggiò a palazzo San Giorgio. Ma è una pietl ve- dere la rovina delle case demolite; e ai loro pro- prietari non B fatto alcun pagamento ne ricompen- sa alcuna.

Oggi sono arrivati qui gli ambasciatori di Vene- zia, quattro buoni vecchi tutti grigi, che vanno dal- l’Imperatore a Napoli. Il Papa ha inviato loro in- contro tutto il suo corteo; cubicolari, camerieri, giannizzeri, lanzichenecchi, ecc, 1 cardinali hanno inviato le loro mule in pontificale.

Il sette di questo mese furono parimenti rice- vuti gli ambasciatori di Siena, molto ben messi e ,dopo aver fatto la loro arringa al concistoro aperto, e che il Papa ebbe risposto brevemente in bel lati- no, sono ripartiti, diretti a Napoli. Credo che da tutte le Italie andranno ambasciatori all’Imperato- re; ed egli sa ben fare la sua parte per spillar da- nari come è stato scoperto da dieci giorni in qua, Ma non ho potuto sapere ancora esattamente la scaltrezza che ha usata a Napoli. Ve ne scriverò più avanti.

Il principe di Piemonte, figlio maggiore del du- ca di Savoia t! morto a Napoli da una quindicina di giorni; l’Imperatore gli ha fatto fare esequie molto onorevoli assistendovi in persona.

Il re di Portogallo da sei giorni ha mandato a dire al suo ambasciatore di Roma che appena rice- vuta la sua lettera, ritorni da lui in Portogallo; ciò ch’egli fece immediatamente venendo a salutare il reverendissimo cardinale Du Bellay con tanto di stivali e sproni.

Due giorni dopo è stato ucciso in pieno giorno

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presso il Ponte Sant’Angelo un gentiluomo porto- ghese che sollecitava qui a Boma per la comuniti degli ebrei battezzati sotto il re Emanuele e che do- po erano stati molestati dall’attuale re del Porto- gallo con la pretesa di ereditarne i beni alla loro. morte e altre esazioni che faceva su loro, oltre l’e-. ditto e ordinanza del sopradetto defunto re Ema- nuele. Certo in PortogalIo v’è qualche sedizione,

Monsignore,

Nell’ultimo plico inviatovi vi avvertivo come una parte dell’esercito del Turco fosse stata disfat- ta dal Sofi presso Beteli. Il Turco non ha tardato a procurarsi la rivincita; infatti due mesi dopo si B precipitato sul Sofi colla pih grande furia che sia- si mai vista; e dopo aver messo a fuoco e a sangue una vasta regione in Mesopotamia, ha ricaccialo il Sofi al di là dei monti del Tauro. Ora fa costruire molte galere sul fiume Tanai (1) per il quale po- tranno discendere a Costantinopoli. Barbarossa non è ancora partito da Costantinopoli per vigilare al-. la sicurezza della città; ed ha lasciato piccole guar- nigioni a Bona e Algeri se per avventura l’impera-. tore volesse assalirle.

Vi mando il suo ritratto colto sul vivo e insie- me il panorama di Tunisi e delle citt8 marittime d’intorno.

I lanzichenecchi che l’Imperatore mandava nel ducato di Milano per guarnire le fortezze, sono tut- ti annegati e periti in mare in numero di milledue- cento, in una delle piu grandi e belle navi dei Ge- novesi e fu presso un porto dei Lucchesi, nominato Lerzè (2).

L’occasione fu perchè s’annoiavano sul mare e

(1) Il nome latiuo del lhn, (2) Lerici I

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volevano andare a terra, ma non potendo causa le tempeste e difficoltà del tempo, pensarono che il pilota della nave volesse indugiare senza sbarcare. Perciò lo uccisero insieme con qualche altro dei capitani; uccisi i quali, la nave resto senza governo e invece di calar la vela i lanzichenecchi, gente poco pratica della marina, la alzarono e per tale disordine perirono a un trar di pietra dal detto porto.

Monsignore, ho inteso che il signore di Lavaur, che era ambasciatore del re a Venezia, ha avuto il suo congedo e se ne ritorna in Francia. In suo luo- go va Monsignore di Rodès (1) ìl quale tiene giii pronto il suo seguito a Lione per partire quando il Re gli avrà dato istruzioni.

Monsignore, mi raccomando come posso, umiI- mente, alla vostra buona grazia, pregando Nostro Signore di darvi lunga vita in buona salute.

A Roma, il 28 gennaio 1536.

12 vostro umilissimo servitore

FRANCESCO RABELAIS.

TERZA LETTERA DI FRANCESCO RABELAIS A MONSIGNOR GIORGIO D’ESTISSAC

VESCOVO DI MAILLEZAIS.

Il 28 del mese di gennaio scorso vi scrissi a lun- go tutte le novitl che sapevo spedendole per un gen- tiluomo servitore del Signore di Montreuil, chiama- to Tremelières, che veniva da Napoli dove aveva comprato qualche corsiero del reame per il suo ya-

(1) Giorgio d’Ammgnac, amico del R. Vedi epistola o Bernnrdo Salignac, pag. 96, n. 2.

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drone e se ne ritornava a lui a Lione con premura. Lo stesso giorno ricevetti il plico che vi piacque mandarmi da Leguge (1) in data 10 gennaio.

In che potete conoscere l’ordine che ho dato a Lione circa la consegna delle vostre lettere e come mi sono state recapitate con sicurezza e rapidità. Esse lettere e il plico furono consegnate allo Scud@ di Basilea il 21 gennaio; il 28 sono state recapitate qui. E per assicurarci a Lione, punto e luogo più importante, la diligenza in questa faccenda del li- braio dello Scudo di Basilea, vi ripeto ciò che vi scrivevo nel plico sopradetto. Gioverà, se per av- ventura si presentasse in seguito un caso d’urgenza- Sono d’avviso cioè che la prima volta che mi scri- vete, scriviate due righe anche al libraio, mettendo- vi dentro qualche scudo del sole, o qualche altra moneta d’oro d’una volta, come muli3 anyelotti, o suluii, ecc. in considerazione della cura e premura che egli si prende: questa inezia gli accrescerà il de- siderio di servirvi sempre meglio.

Per rispondere alle vostre lettere punto per pun- to ho fatto esaminare diligentemente i registri di Palazzo dal tempo che m’indicavate, cioè gli anni 1529, 30 e 31, per vedere se si trovasse l’atto di di- missione lasciato dal defunto don Filippo a suo ni- pote e ho dato ai chierci del registro due scudi der sole, ben poca cosa, considerato il grande e fasti- dioso lavoro compiuto. Insomma non ne hanno trovato nulla e non ho potuto mai saper notizia del- le sue procure. Onde dubito che vi sia qualche im- broglio in questa faccenda, oppure che il promemo- ria scrittomi non basti alla ricerca. Converrà, per essere più certi, che m’ inviate cuius dìocesis (2) era il fu Don Filippo sopradetto e quant’altro ab- biate inteso che serva a chiarire il caso e la mate-

(1) Priorato nel Poitou dove il d’Estissac afef’a poderi e un magnifico castello. Cfr. epistola del Boncbet, pag. ai-

(2) Di quale diocesi.

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ria, come a esempio se la dimissione avveniva PU- re et simpliciter (1) oppure wt:sn ~mnwtationis (2), ecc.

Monsignore,

Quanto alla faccenda per cui .vi scrivevo la ri- sposta datami da Monsignore il cardinale Du Bel- lay, quando gli presentai le vostre lettere, non con- viene arrabbiarsi. Monsignor di Macon vi ha scrit- tu come stanno le cose. Non c’B probabilitl d’aver presto legazioni in Francia. E’ ben vero che il He ha proposto al Papa il cardinale di Lorena; ma credo che il cardinale Du Bellay procurera con O- gni mezzo d’ottenere il posto per sè. E’ vecchio il proberbio che dice: Nemo sibi secnndus (3) e vedo certo lavorio per il quale il cardinale Du Bellay avr8 il Papa dalla sua e farà approvare la cosa dal RC. Non adontatevi pertanto se la sua risposta & stata un po’ ambigua a vostro riguardo.

Monsignore,

Quanto alle sementi inviatevi, posso assicurarvi che sono delle migliori di Napoli, di quelle che il Santo Padre fa seminare nel suo giardino privato di Belvedere (4). .4ltre sorta d’insalata non hanno qua oltre quelle inviatevi, salvo il crescione e lo spinacione. Ma quelli di Legugè mi sembrano altret- tanto buoni e alquanto più dolci e propizi allo sto- maco, massimamente al vostro; mentre quelli di Na- poli mi sembrano troppo ardenti e duri.

(1) Puramente c. eempliccmonte. (2) Per c&us5 di permutfb. (3) Nessuno sostituisce ZIC A~CSSO.

(4) Nel V&tirano.

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Quanto alla stagione del seminare, bisogne& av- vertire i vostri ortolani che non seminino troppo presto, poichè il clima costi non B così avanti in fatto di temperatura, come qua. Non potranno sba- gliare seminando le vostre insalate due volte l’an- no, cio8 in quaresima e in novembre; e i cardi po- tranno seminarli in agosto e settembre; i melloni, zucche, ecc. in marzo, e armarli al momento oppor- tuno di canne e concimare leggero e concime non totalmente fermentato quando temono le gelate. Vendono qui anche altre sementi, come garofani d’Alessandria, viole matronali, e semi d’un’erba chiamata belvedere che rinfresca Ie loro camere l’estate, e altri di piante medicinali. Ma sarebbero più adatti per Madama d’Estissac. Se vi piace non mancherò di mandarvene.

Sono però costretto a ricorrere ancora alle vo- stre elemosine. Poichè i trenta scudi che vi com- piaceste farmi consegnare qui, sono quasi finiti pur non avendo nulla speso in cose indebite, ni! per il vitto, poichè bevo e mangio ordinariamente da Monsignore il cardinale Du Bellay, o da Monsigno- re di Macon. Ma in questi scarabocchiamenti per la posta e affitto di mobili per la camera e per la cura del vestire, se ne va un mucchio di danaro pure economizzando quanto più è possibile. Se vo- leste aver la bont8 d’inviarmi qualche lettera di cambio, spero non usarne che a vostro servigio e non esservi ingrato. Del resto vedo in questa città mille piccole curiosità a buon mercato che portano da Cipro, da Candia e Costantinopoli. Se credete vi manderò ciò che vedrò di meglio che convenga tanto a voi che a Madama d’Estissac. 11 trasporto da qui a Lione non costerà nulla.

Ho sbrigato, grazie a Dio, tutta la mia faccenda e non m’è costata che la copiatura delle bolle: il Santo Padre m’ha accordato di sua propria vo- lenti il componimento. Credo che troverete il mezzo abbastanza buono; con quelle bolle non ho nulla

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impetrato che non sia civile e giuridico, Ma occor- se usare di buon consiglio per la formalila. E oso dirvi che non mi sono valso quasi per nulla di Ivfonsìgnore il cardinale Du Bellay, nr! di Monsigno- re l’ambasciatore, contuttochè di loro buona gra- zia mi si fossero offerti di adoperare non solamen- te le loro parole e il favore di cui godono, ma anche interamente il nome del Re.

Monsignore, non ho ancora consegnato le vostre prime lettere a Monsignore di Saintes perchè non è ancora tornato da Napoli, dov’era andato .come già vi scrissi, Dev’esser qui fra tre giorni. Allora gli rimettero le vostre prime lettere e, qualche giorno dopo, le seconde e lo solleciterò per la risposta.

Sento dire che nè lui, nb i cardinali Salviati e Rodolfi, nè Filippo Strozzi coi suoi scudi, hanno nulla ottenuto dall’Imperatore di quanto si propo- nevano, contuttochè gli abbiano offerto in nome di tutti i fuorusciti e banditi di Firenze, uu milione d’oro in contanti, di condurre a compimento la Bocca cominciata in Firenze e mantenerla a per- petuità con guarnigioni competenti in nome del- l’Imperatore stesso e di pagargli centomila ducati all’anno purchè egli restituisca loro i beni, le. terre e la liberta di prima.

Per contrario il duca di Firenze è stato da lui ricevuto assai onorevolmente. Appena giunto a Na- poli, l’Imperatore usci per andargli incontro et post manus oscula (1) lo fece condurre dal princi- pe di Salerno, vicerè di Napoli, dal marchese del Vasto, dal duca d’Alba e altri capi della sua Corte, a Castel Capuano in Napoli, dove alloggia la sua bastarda (21, fidanzata al duca di Firenze: il quale

(1) Il bnoiamano. (2) Margherita, tredicenne. Il duca Alessandro aveva

passato i oinquanta. Lo stupro della minorenne per opera del caprone fiorentino, previe legittime nozze, pronubo il oattolioissimo Imperatore, fu compiuto poco tempo dopo.

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stette a parlare con lei fin che volle, la bacio e CC- nò con lei, Dopo, i sopradetti cardinali, il vescovo di Saintes e lo Strozzi non cessarono di sollecita- re. L’Imperatore ha rinviato la risoluzione finale alla sua venuta a Roma.

Nella Rocca, fortezza fatta costruire a meravi- glia dal duca Alessandro in Firenze, egli ha fatto dipingere sul portone un’aquila che ha le ali grandi quanto i mulini a vento nel Mirabellese, come a proclamare e far capire che egli è creatura dell’Im- peratore.

E tanto scaltramente ha proceduto nella sua ti- rannia, che i Fiorentini hanno attestato nomine CO- munilatis (1) davanti all’Imperatore di non volere altra signore che lui. Vero è che ha ben castigato i fuorusciti e banditi. Pasquino ha fatto recente- mente una pasquinata nella quale dice: Allo Stroz- zi: Pugna pru patria (2); ad Alessandro duca di Fi- renze: Daturn serva; all’Imperatore: Quae nocifnra tenes, quumvis sint chara, relinque; al Re: Quod potes id tenta; ai due cardinali Salviati e Rodolfi: Hm brevitas sensus fecit conjungere binos.

Monsignore,

Riguardo al duca di Ferrara vi ho scritto come fosse tornato da Napoli a Ferrara. Madama Rena- ta ha partorito una bambina: ella aveva gia un’al- tra bella figliola di sei o sette anni e un bimbo di tre anni. Il duca non ha potuto mettersi d’accordo col Papa, il quale, per concedergli investitura sulle sue terre chiedeva una somma di danaro eccessiva; nonostante che gli abbia poi fatto un ribasso di cin-

(1) In nomo della oomuniti. (2) Consbatti per la patria,. . Conaerea CG che ti fw dato.. .

Lamia uiò ohe eia per woeeM, anehe ae ti è caro.. . Tenta oib ohe puoi q I . LJ imbecillità li ha uoooppiati.

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quantamila scudi per riguardo alla menzionata da- ma e ciò per l’insistenza dei cardinali Du Bellay e di Macon, per accrescere l’affezione coniugale del duca di Ferrara per lei. Questa 15 la causa per la quale Leone Jamet (1) era venuto a Roma. Non si trattava più che di centocinquantamila scudi. &Ia non poterono mettersi d’accordo perchè il Papa esi- geva che il duca riconoscesse di tenere e possedere tutte le sue terre dalla Sede Apostolica. Il duca non volle; voleva riconoscere solo quelle che suo padre aveva riconosciuto e che l’Imperatore aveva aggiu- dicato a Bologna con un decreto al tempo di fu papa Clemente.

Così il Jamet partì re infetta e se ne andò al- l’Imperatore il quale gli promise che alla sua venu- ta a Roma avrebbe fatto consentire al Papa di ri- conoscere il punto contenuto nel detto decreto e gli ha detto che torni a casa lasciandogli un’ambascia- ta a Roma per sollecitare l’affare quando arriverà qua e che non paghi la somma già convenuta se non dopo ricevuto avviso diretto da lui. Il gioco consiste in questo: l’Imperatore ha bisogno di da- naro, ne cerca da tutte le parti, taglieggia quanti può e ha preso a prestito in ogni luogo. Quando sarà giunto qui ne chiederà al Papa, è cosa ben evidente. Infatti gli dimostrerà che avendo fatte tutte quesle guerre contro il Turco e Barbarossa per dar sicurezza all’Italia e al Papa, è necessario che il Papa dal canto suo contribuisca. Il Papa ri- sponderà che non ha danaro e gli darà prova ma- nifesta della sua povertà. Allora l’Imperatore gli

(1) Poeta nato a Szbnxay, no1 Poitou, e signor0 di Boi+ Pouvreau. Era uno dei protetti del dyEstissao; ma perse- guitito per le sne idee religiose, s’era ricoverato alla Corte di Ferrara preseo la duohesfie Reuata, dove lo raggiunse enohe il Marot, ohe al compagno d’esilio dedicò il poume PEnfer. Il duca Ercole e aopratutto la ducheasn Renstrt lo utilizzavano sdibendolo B missioni diplomrtiohe.

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domanderà che, senza nulla sborsare, ceda la con- tribuzione del duca di Ferrara, la quale non dipen- de che da un fiat. Ed ecco come le faccende si rap- presentano pep misteri. Tuttavia non è cosa assicu- rata.

Voi domandate se il signor Pier Luigi Farnese & figlio legittimo o bastardo di papa Paolo. Sappia- te che il Papa non fu mai ammogliato. Dunque il figlio B bastardo. II Papa aveva una sorella meravi- gliosamente bella (1). Anche oggi si mostra nel Pa- lazzo, in quella parte del fabbricato dove sono i Sommisti, fàtto costruire da papa Alessandro, una immagine della Madonna che si dice esser stata ese- guita ritrattando lei e a sua somiglianza.

Ella poi fu maritata a un gentiluomo cugino del signor Rance (2). E mentre il marito era in guerra per la spedizione di Napoli, papa Alessandro (3) andava a visitare la moglie. Il signor Rance accer- tata la cosa, awertì il cugino rimostrandogli che non doveva permettere fosse fatta tale ingiuria al- la loro famiglia da uno Spagnuolo, papa, e se egli tollerava, non l’avrebbe tollerato lui stesso. Breve la uccise. Di questo misfatto papa Paolo terzo si dol- se a papa Alessandro, il quale per acquetare le sue lagnanze e il dolore, lo fece cardinale ben giovane ancora e gli donò altri beni.

In quel tempo il papa attuale aveva relazione con una dama romana della casa Ruffini dalla qua- le ebbe una figlia che fu maritata al signor Bauge, conte di Santa Fiora morto qui a Roma nel tempo

(1) Giulia Farnese sposa B Giulio Orsini ai Bracoiano. (2) Così nel testo. Si tratta di Renzo Orsini da Ceri,

quello che difeso, come potè, Castel Ssnt’ Angelo nel 1527, nl tempo del saooo di Roma.

(3) Borgir.

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in cui vi sono io; dal quale ebbe uno dei due cartiinaletti, che si chiama il cardinale di Santa Fiora. Ztem ebbe un figlio, il Pier Luigi (1) che mi domandaste, il quale ha sposato la figlia del conte di Servelle che gli ha riempita la casa di figlioli, tra i quali il piccolo cardinalucolo Farnese (2) che è stato fatto vice-cancelliere per la morte del fu cardinale de’ Medici. Da tutto ciò potete intendere la causa per la quale il Papa non amava il signor Rance e viceversa il signor Rance non si fidava di lui. E per la stessa ragione v’è una grossa questio- ne tra il signor Gian Paolo di Ceri, figlio del detto signor Rance e il menzionato Pier Luigi, che vuol vendicare la morte della zia.

Ma per quanto riguarda il signor Rance è bello e pari perchè B morto 1’11 di questo mese andando a caccia della quale era appassionato benchè assai vecchio.

La cosa andb così: egli aveva comperato alcu- ni cavalli turchi alla fiera di Racana e per la caccia ne aveva montato uno tenero di bocca. Avvenne che il cavallo si rovesciò su di lui e lo soffocb col- l’arcione della sella in maniera che non sopravvis- se phi d’una mezz’ora dopo l’accidente. E’ stata una grande perdita pei Francesi; il Re ha perduto un buon servitore in Italia. Si dice, si, che il signor Gian Paolo, suo figlio, non lo sarà meno in avve- nire. Ma per lungo tempo non avr8 altrettale espe- rienza delle battaglie, nè tale reputazione tra i ca- pitani e soldati come aveva il padre. Io vorrei di

(1) Il padre Paolo 111 gli costituì poi il duoato di Parma e Pisoenza. Il suo governo tiraunico provo& I’indignzzione.. Fu uooiso nel 1547 da un Anguissola e altri congiurati pia- oentini d’acaordo eon Ferrante Gonzaga governatore di Mi- lano per eonto di Carlo V.

(2) Alesnendro, fratello di Ottavio, cbe fu poi duea di Psrma e Piacsensa, e di Orazio, duca di Castro, che sposb I)isna di Franoia. V. pag. 61, II, 1.

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1% Fmnceseo Rabelais --

tutto cuore che delle sue spoglie toccasse a Monsi- gnor d’Estissac la contea di Pontoise, che si dice ab- bia una bella rendita.

Per assistere alle esequie e per consolare la marchesa sua nìoglie, Monsignor il cardinale ha in- viato fino a Ceri, distante da Roma 20 miglia, Mon- signor di Rambouillet e l’abate di St. Nicaise, pros- simo parente del defunto,(credo l’abbiate visto di scorcio: è un ometto tutto vivace, che chiamavano l’arcidiacono degli Orsini) e qualche altro de’ suoi protonotari. Parimenti ha fatto Monsignore di Ma- con.

Monsignore,

L’altra volta vi dicevo che vi avrei scritto più a lungo notizie intorno all’Imperatore, poich4. i suoi propositi non sono ancora scoperti. Egli è ancora a Napoii. Lo attendono per la fine di questo mese e fanno grossi preparativi per la sua venuta e molti archi trionfali. 1 suoi quattro marescialli d’alloggio sono già a Roma da un pezzo; due spagnuoli, un borgognone e un fiammingo.

E’ una pietà vedere le rovine delle chiese, pa- lazzi e case che il Papa ha fatto demolire e abbat- tere per tracciare e spianare la strada. E per le spese del resto ha tassato il Collegio dei signori cardinali, gli ufficiali di Corte, gli artigiani della città e persino gli acquaroli.

La città è già tutta piena di stranieri. 11 cinque del mese arrivb qui per comando del-

l’Imperatore, il cardinale di Trento, in Germania, con un gran seguito e piti sontuoso di quello del Papa.

In sua compagnia erano piti di cento Alemanni vestiti allo stesso modo, cioè di tuniche rosse con un orlo giallo e avevano ricamato sulla manica de- stra una mannella di frumento legata, intorno alla quale era scritto Unifus.

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Sento dire che propugna fortemente pace e ac- comodamento per tutta la cristiani& e, in ogni ca- so, il Concilio (1). Ero presente quando disse a Mon- signore il cardinale Du Bellay: «Il Santo Padre, i cardinali, vescovi e prelati delIa Chiesa nicchiano all’idea del Concilio e non ne vogliono sentir par- lare benchè vi siano sospinti dal braccio secolare; ma io prevedo vicino e prossimo il tempo che i prelati della Chiesa saranno costretti a domandarlo e i secolari non vorranno saperne. Ciò awerrà quando i secolari avranno tolto alla Chiesa tutti i beni e il patrimonio che le avevano donato quan- do, con frequenti Concili, gli ecclesiastici mante- nevano pace e unione tra i secolari ,.

Andrea Doria è arrivato a Roma il 3 di questo mese assai mal messo. Non gli fu fatto nessun cmo- re all’arrivo se non che il signor Pier Luigi lo con- dusse fino al palazzo del cardinale Camerlengo, che è genovese, della famiglia e casato degli Spino- la. L’indomani andò a salutare il Papa e parti il giorno seguente verso Genova, per incarico dell’Im- peratore per sentire che vento spira in Francia cir- ca la guerra.

S’è avuto qui notizia certa della morte della vec- chia regina d’Inghilterra, e si dice inoltre che sua figlia è molto malata.

Comunque sia, la bolla che si fucinava contro iI

re d’Inghilterra per « scomunicare, interdire e pro- scrivere il suo reame, come vi scrivevo, non B sta- ta portata in concistoro, causa gli articoli de com- meatìbus externorum et commerciis mntuìs (2). vi

(1) Che fu poi deliberato da Paolo 1%’ c aperto nel 1545, si protrasse attraverso varie vicencle fino al 1563.

(!) Del transito e dei mutui wmmwci aoglì stranieri. Evi- dentemente i paesi che avevano commeraio eoll’Inghilterra sarebbero stati assai danneggiati troncandolo d’uu tratto, Peroib, nonostante il loro oattolieesimo, procnravano allon- tanare la soomuuica.

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si sono opposti Monsignore il cardinale Du Bellay e Monsignore di Macon per gl’interessi del Re che di ciò si raccomandava. E tutto I? stato rinviato alla venuta dell’Imperatore.

Signor mio, molto umilmente alla vostra buo- na grazia mi raccomando e prego Nostro Signore di concedervi in salute, buona e lunga vita.

A Roma il 15 febbraio 1536.

Il vostro umilissimo servitore Pxu~c~sco RABELAIS.

INT0~hi0 AL CAVIALE

Epigramma (i).

Ti mando, ecco, il caviale ancor sconosciuto da noi, Ma che seppero un tempo tanti medici antichi.

Convien aggiunger quanto piti d’olio e d’aceto ti [piaccia,

0, invece d’olio, il burro, come alcun preferisce.

Nessun medicamento saprà meglio lo stracco [appetito

Svegliare a te che intendi assiduamente ai libri.

Nè meglio la pituita detergere del tuo ventricolo, NB più gradevolmente purgarti l’intestino.

E assaggiato il caviale, accadrà con tuo sommo [stupore

Che il salume anche più dolce piti non ti piaccia.

(1) Sono cinque distici latini inviati o Etienue Dolet probabilmente da Roma nel 1536 e pubblicati 18 prima volta nel 1536 a Lione, a pag. 75 del volume: Dolati cw-mhaa.

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SCHERZO (1) DI Fwc~sco RABELAIS ABRI~DV~L~~.

Quando avvertono i bimbi che il padre indignato [va in collera,

Eccoli scappan tosto della mamma nel grembo;

La dolcezza del grembo materno, ben essi lo sanno, E’ valida difesa, vince il furor del padre.

Così allorquando il cielo muggisce per l’ira di Cìiove Tu della madre antica ti rifugi nel seno.

(1) Questa allusio latina del R. si connette con due epi- gremmi l’uno di Antonio GFovea, letterrtto portoghese (fra- tello di Andrea, dottore slle Sorbona) l’ctltro di Briand Valli?e, presidente del Parlamento di Poitiors.

Il Govee, nelle prima odizione dei suoi E$igvarnnti (Se- bast. Cfryphe, Lione, maggio 1639) ILVW& strmpato questo distioo :

Dg Briando Valleo

Cum tona& ad oellae trepido psde Valieus imaa Au.fugit: in oellie non putat ~86 Deum.

Quando tuona, il ValNe con trepido piede in centina Rifugiasi, credendo che l& uon giunga Dio.

Era un’insinuazione pericolose, cui il VrsllBe, irritnto ribatte:

Responsi0 Vallsi ex tempore

Antanl, gewua ho ve&twm, nwrra’ua propago 1% CidO Ct OO%8 NO>1 PUtat C88e &%bm.

La vostra razza, Antonio, genia d’ebrei rinnegati, Non urede ohe Dio eia nè in aantina, nè in aielo.

Sopravviene paterno a oalmarli il R,: badate, ragazzi, sento odor di rogo, sgattaioliamo nella mitologia. 1 versi del R. soritti probabilmente verso il 1540, furono pubblicati da P. Laoroix nell’edizione di 1. Bry ain6, Parigi, 1854 e riuniti poi alle opere del R. nella edizione del Bargaud des Marets, seoouda edizione, tomo 11.

9.

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Il seno della madre antica è la cella vinaria; Non v’e contro le folgori asilo piir sicuro.

Scrosciati sui fari i dardi trisulci di Giove e sui [monti

Acrocerauni, sulle quercie e l’aeree torri;

Ma rispettan le botti recondite negl’ipogei: Dal divo Bromio il fulmine suole scoppiar lontano.

LETTERA AL SIGNOR BAILO DEL BAIM DEI BAILI

SIG. MASTRO ANTONIO HULLOT (1) SIGNORE DELLA CORTE POMPIN NELLA CRISTIANIrA

A ORLÉANS.

He, Pater reverendissiee, quomodo brulìs? Qnae nova? Parisiis non sant ova (2)? Queste parole pro-’ poste davanti a Vostra Reverenza, tradotte dal pa- telinese nel nostro volgare orleanese significano co- m’io dicessi: a Signore, che siate il ben tornato dal- le nozze, dalla festa, da Parigi! %

Se la virtù di Dio v’ispirasse di trasportare la Pa- ternità vostra fino a questo eremitaggio, ce ne rac- contereste deIle belle: e il Signore del luogo vi of- frirebbe certe specie di pesci in carpione, che fan- no venir l’acquolina alla bocca. Questo farete voi non quando vi piacera, ma quando qui vi portera il volere di quel grande, buono, pietoso Iddio il qua- le non crei, mai la quaresima, ma si, certo, le insa-

(1) Un avvo&o d’OrMans, incaricato dell’ amministra- zione della giustizia in nome del re. Queeta lettera, pubbli- eats la prima volta nel JoumaZ di L’Estoile è preceduta da questa nota: u II 22 (gennaio 1609) il sig. Dupnis m’ha dato la lettera seguente dc1 Rabelais, scherzosa ma autentica, eopiata dall’ originale *,

(2) Oh, pa&e mwendieeimo, oome aei ia aneiat QwxZi uo- witd? A ParigZ non 0’4 ot<a B Sono versi macheronici della famosa Fame de Maitrs Pathslin.

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Opere 131

late, aringhe, merluzzi, carpe, lucci, lasche, om- brine, argentini, rippe ecc. item i buoni vini e sin- golarmente quello de veteri iure enucleando (1) che .si conserva qui per la vostra venuta, come un San Graal, come una seconda, anzi quinta essenza.

Ergo veni, Domìne, ef noli turdare (2), intendo .safvis sulvandis, id est, hoc ert (3), senza incomo- darvi n& distrarvi dai vostri affari piti urgenti.

Signor mio, mi raccomando di tutto cuore alla vostra buona grazia e pregherd Nostro Signore di conservarvi in perfetta salute.

I)a Saint-Ay ,(4), il 1” di marzo (5).

Il. vostro umile architriclino servitore e umico

FRANCESCO RABELAIS, medìco.

LETTERA AL CAFDINALE DU BELLAY (6).

Se il Signor di Saint-Ay (7), avviandosi qua ul- ‘timamente avesse avuto l’opportunit8 di venire a

(1) Sull’antico diràtto $a Jia~ìw. Formula giuridica ri- ahiamata soherzosamente equivocando tra jus latino = diritto % jw, francese, = sugo. Qui sugo d’uva, vino.

(2) Vimi dunque, Signore, e mn tardare. (3) Salvo oiò che B da salvare, oio8 eco. (4) 11 oastello dell’Orleaneso, dove il R. era ospite del

ano veochio amico Etienne Lorens, signore del luogo. (5) Probabilmente del 1342. (6) La lettera B tratta da un manoscritto ora nella biblio-

teea della Faoolth di medicina di Montpellier. Il messaggero UOh pot8 reoapitare in persone la lettera

al DU Bellay e il R. non uvendo rioevuto alcun sussidio in tempo, aocettb 1’ impiego di medico aIl> ospedale di Mets ohe henne uu anno con grande soddisfazione dei oittadini.

(7) Autioo amioo del R. giA addetto alla ossa di Guglielmo Du Bellay a Torino, poi iooarioato dal cardinale Giovanni

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132 Fkmcesco Rabelais

salutarvi prima di partire, non mi troverei ora in tanto bisogno e ansieta come patri esporvi pih am- piamente. Egli mi disse che avevate la buona inten- zione di farmi un po’ d’elemosina se si fosse tro- vato uomo sicuro che venisse da queste parti. Cer- to, Monsignore, se non avete pieta di me, non SO piìr che mi debba fare se non, giunto all’estrema dispe- razione, mettermi a servizio di qualcuno di qua con danno e perdita evidente de’ miei studi.

Non è possibile vivere più frugalmente di quan- io io faccia; e per quanto poco vogliate donarmi dei tanti beni che Dio ha messo nelle vostre mani, non e possibile ch’io non me la cavi vivacchiando e mantenendomi onestamente come feci finora, a o- nore della casa dalla quale uscii partendo di Fran- cia.

Monsignore, mi raccomando umilissimamente alla vostra buona grazia e prego Nostro Signore di darvi ottima e lunga vita in perfetta salute.

Vostro umilissimo servitore FRANCESCO RABELAIS, medico.

Da Metz, il 6 febbraio (1547).

Du Bellsy di molte missioni diplomatiohe per i prinoipi protestanti di Germsuir ooi quali Franceeco 1 intratteneva oontinui negoziati.

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OPERE ATTRIBUITE

A FRANCESCO RABELAIS

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LA CRESIMA FILOSOFALE (1) DELLE QUESTIONI ENCICLOPEDICHE DI PANTAGRUELE

le quali suranno disputate sorbonìcuttficabìlitudi- nissamente nelle scuole del Decreto, presso Satnt-Denis de la Chartre a Parigi.

Se, un’idea platonica, volteggiando destramente sotto l’orifizio del caos, potrebbe scacciare gli squa- droni degli atomi democritei.

Se, i rattipennuti (2) vedendo per la transluci- dit& della porta cornea, potrebbero spionisticamen- te scoprire le visioni morfiche (3) svolgendo giro-

(1) Nel testo abbiamo philosophalle, riferendosi questa cresima CM. filosofi teste di folk di tutti i seooli, esalnso il nostro per ragioni ragionevolmente non ragionabili. Queeto frammento canzonatorio della scolastica, pedagogia e pedsn- teria di Frencia e d’altri siti, fu inoluso tra le opere del R. dopo la sua morte a cominciare dulls, edizione del 1506, Taluni oommentatori lo oonsiderano spurio. A noi pare Cut- tavia perfettamente intonato all’opera rabelasiana e pullu- lante dal oatalogo della libreria di S. Vittore ( Pant. libro 1, cap. VII) dove troviamo un trattato cos1 intitolato: &ussiW 8ott4lk8ho: Se la Chimara, 9-Od~a0 meel mwto, poaaa mangiare 88OOnaO ànt8tWàOnf. cl)i80~880 per dio& 88tthaIW nd cOndà di

Costanra). (2) Il nome provenzale dei OhaUVf?8-8OWi8 = pipistrelli. (3) 1 sogni.

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130 Francesco Rabelais

nisticamente il filo del crespo mirabile avviluppan- te le altillc dei cervelli mal calafatati.

Se, gli atomi turbinanti al suono dell’armonia ermagorica, potrebbero dare una condensazione, oppure una dissoluzione di quintessenza per la sot- trazione dei numeri pitagorici.

Se, il freddo invernale degli antipodi, passando in linea ortogonale per l’omogenea soliditi del cen- tro, potrebbe, con una àolce antiperistasia, riscalda- re la superficiale convessitl dei nostri talloni.

Se, i lembi della zona torrida potrebbero inzup- parsi talmente delle cataratte del Nilo, da poter umettare le parti phi caustiche del cielo empireo.

Se, solamente per il lungo pelo datole, l’orsa me- tamorfosata, avendo il di dietro tonduto alla bulga- ra per fare una barbuta a Tritone, potrebbe mon- tar la guardia al polo artico.

Se, una sentenza elementare potrebbe allegare prescrizione decennale contro gli animali anfibii, e se questi, per contro, potrebbero querelarsi in ca- so di sequestro e turbamento di possesso.

Se, una grammatica storica e una meteorica me- todicamente disputando della loro priorit8 e po- steriorita, per la triade degli articoli, potrebbero trovare qualche linea o carattere delle loro crona- che sulla palma (1) zenonica.

(1) Zenone, IO 8toiq soltws dire che dialettica ed elo- quenza differivrtno fra loro come il pugno chiuso 8 IS palma della mano aperta: gli oratori dilatano, i dialettici conden- mno. Cfr. CICEKONIF, De jEribw, 1. 11: Zenonis est, lileqursnb, hoo 8teioi, omn8m aia& loquendi, ~1 jam alate Ariptotelee, in duas

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Opere 137

Se, i generi generalissimi, per violenta elevazio- ne sui loro predicamenti, potrebbero arrampicarsi fino ai piani dei trascendenti e, per conseguenza lasciare non dissodate le specie speciali e predica- bili, con gran R: danno e interessi > dei mastri Carte.

Se, Proteo onniforme, facendosi cicala ed eser- citando musicalmente la sua voce nei giorni cani- colari, potrebbe con una rugiada mattutina, accu- ratamente imballata nèl mese di maggio, fare una concezione terza, davanti al corso intero della zona zodiacale.

Se, il nero scorpione (1) potrebbe soffrire solu- zione di continuità nella sua sostanza e, per l’effu- sione del suo sangue, oscurare e imbrunire la via lattea, a u danno e interessi B dei lifrilofri (2), ja- cobipeti.

FRAMMENTO (3) ESTBATTO DAL MANOSCRITTO DEL V LIBRO.

1 quattro quarti dell’Ariete che portd Elle e Pr& SO sullo stretto di Propontide.

bributam eam parte8 diosre: rhetoriBam pa.Zmi43, dialeotùmnh pugno

simibem esse dio&&, puod latiua loqwmntw rhetores, dialtwtioi autom oompre88iue.

(1) Ls costellasioue omonima. (2) Cfr. Pantagr*etioa pronoutioa.4+one, pag. 35, n. 2. (3) Quasi tutti gli editori ammettono questo frammento

tra le opere dal R. Fu trovato in un manoscritto del 1. V, in- teroslato al cap.‘* XxX111 *“, da molti commentatori giudi- osto spurio. Gli appunti frmmmentari fm tradotti 8ono pre- ceduti d&lls nota: Servato iw 4 lìbv. Panocgum ad mqtias,

onde inferisoouo taluni oho il R. si proponesse veramente di raooontare le nozze di Panurgo come aooenna sulla fine dal 1. 11, oap. 34.

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138

I due capretti della celebre capra Amaltea, uu- trite di Giove.

I cerbiatti della cerva Egeria, consigliera di Nu- ma Pompilio.

Sei ochette covate dalla degna oca Ilmatica, la quale col suo canto salvo la rocca Tarpea di Roma.

1 porcellini della troia... Il vitello della vacca Ino, mal guardata un tem-

po da Argo. Il polmone della volpe e del cane che Nettuno

e Vulcano avevano fatati (1) [vedi] Giulio Polluce in Cunibus.

Il cigno in cui si trasformò Giove per amore di Leda.

Il bue Api, di Menfi, in Egitto, che rifiuto il ci- bo offertogli dalla mano di Germanico Cesare.

1 sei buoi rubati da Caco e ricuperati da Ercole. 1 due capretti che Coridone riservava ad Ale-

Xis (2). Il cinghiale d’Erimanto, Olimpico, Calidonio. 1 cremasteri del toro tanto amato da Pasifae. Il cervo nel quale fu trasformato Atteone. Il fegato dell’orsa Caleisto (3).

(1) Cfr. 1. IV, pag. 27 e seg. (2) Virgilio, egloga 11. (3) La ninfa ohe Giove amb, Diana oonvertl in orsa e

Giove assunse in oielo nella oostellazione che de lei prese- il nome.

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LES SONUES DROLATIQUES (1)

(1) V. Prefadofle.

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AL LETTORE SALUTE

La grande famigliaritci che ebbi col defunto Francesco Rabelais, m’ha incitato, amico lettore, an- zi costrefto a mettere in luce quest’ultima dell’opere sue. Sono i diversi Sogni bizzarri dell’eccellentissi- mo mirifico Pantagruele, uomo un tempo rinoma- tissimo grazie alle eroiche gesta, delle quali le piir che veridiche istorie raccontano mirabilia. E’ que- sta la causa principale per cui, a evitare prolissità, non ho voluto farne menzione alcuna; solamente certifiche&, come di passaggio, che sono figure di si strana fattura da non trovarsi su tutta Ia terra; nt credo Panurgo ne abbia mai visto, nè conoscìu- to di più ammirevoli nei paesi dove compi& non 6 molto, le sue ultime navigazioni.

Quanto a farvi un’ampia descrizione delle quati- tci e condizioni (dei personaggi) ho lasciato questo lavoro a quelli che sono versati in materia e sono pi& competenti di me sia per dichiarare il senso mistico 0 allegorico, sia per imporre a ogni perso- naggio il nome che gli spetta.

Parimenti non ho stimato utile fare una lunga prefazione per raccomandare l’opera presente, Ia- sciando ci6 a chi voglia far volare la rinomanza sua per l’universo, poichd, come dice il comun provver- bio: vin buono non ha bisogo di frasca.

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143 Francesco Rabelais

Non ho voluto neanche divertirmi a discorrere t’intenzione dell’autore, sia perchd non fa conosco con certezza, sia per la gran difficolt& di contentu- re tanti cervelli che sono di per sè abbastanza lunu- tici. Spero tuttavia che molti resteranno soddisfatti: colui ch’e di sua natura fantastico, trouera di che fantasticare, il malinconico di che rallegrarsi, t’uo- mo allegro di che ridere per le bizzarrie qui con- tenute.

Prego ciascuno dì far buon viso a tutto e assi- curo che, mettendo in luce quest’opera, non ho inte- so che alcuno vi fosse preso di mira e ccrnzonato, quahmque sia il suo stato e condizione, ma solamcn- te ho voluto offrire UR passatempo ai giovani, SeR-

za contare che molti buoni spiriti potranno trarne ispirazione sia per comporre grotteschi, sia per ap- prestare mascherate, o per usarne come suggerisca

loro l’occasione. Ecco, in verita, cid che m’ha in- dotto a non lasciar svanire quest’operetta, pregan- doti affettuosamente d’accoglierla come fC presen- tata.

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1 SOGNI BIZZARRI DI

PANTAGRUELE DOVE SONO CONTENUTE CENTOVENTI FfGURE

INVENTATE DA

MASTRO FRANCESCO RABELAIS,

ULTIMA DELLE OPERE SUE,

A RICREAZIONE

DEI BUONI

SPIRITI.

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Opere 145

Seoondo PEsmangart questo moneoo dal becoo rapaoe che ha per toneoct une oampana e per inginocohiatoio una fortezza turrita, B rotelle, figurerebbe il papa Giulio 11, note per il suo carattere bellicoso.

Cfr. oolle tavole 14 0 118.

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146 Francesco Rabelais

L’Esm. vede io questa figura 0 uno dagli uocelli del- l’Isola Sonante che simboleggerebbero i cavalieri di Malta, ;pf;y Quaresimante presentato dal Rabolais nel cap. 29 del . .

Entrambe le ipotesi non sono nè salde, nè oonviuoenti. Il personaggio, volutamente occultato, doveva esser ricono- seiuto dai oontemporanei, grazie alla singolarità, dell’arma- tura e agli attributi della ferocia e della ghiottoneria.

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Opere 147

L’Esm, VUOI vedere qui un’altra oaricatura di Giulio 11, L’ipotesi B basata sopra un passo del 1. IV, cap. 50, dove, Pannrgo dioe ohe gli ultimi papi visti da lui non portavano in oapo la mozzetta, « ma l’elmo sormontato da una tiara persiana; e mentre tutto il mondo B in pace e silenzio, solo essi movon guerre fellone e orudeli b.

Cib non basta per far soambiare un srohibugiere per un papa. NB i lineamenti e speoialmente il naso, suggerisoono la fisionomia di Giulio 11.

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L’Esm. ama vedere in questo ventruto soldato uno degli uooelli deWIsola Sonante presentati dal Rabelais al cap. 6 del 1. V.

Valga anche qui 170sservazione fatta alla tav. 1”. L’at- tributo pih signifioativo pare il berretto frigio ohe pnb designare un personaggio dogale di Venezia, o, forse, di Genova.

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L’Eam. erede vedere qui la caricatura di Fra Gianni, il pittoresoo monaco presentato dal Rabolais nel 1. 1.

Pare a noi ohe 1’Esm. erri scambiando per lenoia... una siringa, ohe non ha ragione d’essere tra le mani di Fra Gianni.

Per l’identificazione del personaggio bisognerebbe rioer- oare tia i ritratti d’ecclesiastici del tempo, cumulanti ufflcio di guerra e d’apoteoa, cultori di Bocco e di gambe, ohe PEsm. giudica femminili e ohe noi, per difetto d’esperienza oi asteniamo dal olassifioare.

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150 Francesco Rabelais

L’Esm. in questo monaoo guerriero vede ancora la figura di Fra G;ianni, simboleggiante, saaondo lui, il oardinale Giovanni du Bellay, gran protettore del Eabelais.

No. Meglio che al oarattere del Dn Bellay, aperto e generoso, questa figura d’ ecclesiastioo subdolo e feroce si attaglia, RB mai al cardinale Carlo di Lorena, veaoovo di Reims, oosi presentato dal Baleao: « 11 cardinale di Lorena, ohiamato il papa transalpino e detto Sua Sawtitd dall’Estienne, aveva 5 sua disposizione tutti i monaoi di Franoia, trattava da pari a pari 001 Santo Padre,..$ e sorvegliava insieme Franoia e Italia mediante tre ordini religiosi ohe gli erano

assolutamente devoti, operando per lui giorno e notts e servendogli da spie e da aonsiglieri ».

<H, Balsac: Caterina aet Mea&).

Cfr. oolle tav. 9, 12, 26, 69 e altre d’ecolesiastici ma- soherati e inoappuoaiati.

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Opere 161

Che L’Esm. afferma rioonosoere qui la figura di Giulio 11.

Raffaello lo ritraesse oolla barba non ei sembra argo- mento decisivo in contrario.

Il pugnaletto a sega sarebbe, seoondo PEsm. un simbolo di continenza, messo per ironia, poi&& pare ohe Giulio 1X non fosse stinco di santo.

Egli era, seoondo Paris de Grassis, mastro di cerimonia di Leone X (r), « ood corrotto e ignorante che non sapeva leggere ne scrivere » e parlando de’ suoi malanni venerei eoggiungeva: « ab Ptmbilioo ad plantas pedxm tantumperditu8, ut neo stare, 7zeo hxdre posset ».

La tiara sarebbe una speoie d’arnia dove, secondo PEsm. le api (monaei) reoherebbero il loro bottino.

Altrove le api, o vespe, o moscerini, rappresenterebbero folate di pensieri molesti, partoriti da un oervello fervido e tumultuoso.

Cfr. le tav. 84, 104, 110, 116. Quanto alla fisionomia, of. le tav. 13, 26, 90 eco. Senza escdudere 1’ ipotesi dell’ Esmangart, inolineremmo

a vedere qui un papa posteriore. Converrebbe raffrontare oon

8 uesta figura oaratteristioa i ritratti di Leone X, Adriano VI, lemente VII, Paolo 111 e Giulio 111.

P) V. W. Roscoe, tomo 111.

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L’&m, rileve, in questa figura: testa d’asino con naso enorme, appoggiato a uu sostegno oon rotells dentata, il nappe110 cardinalizio, piedi senza soarpe volti in direzione opposta, a quella del viso, la mano sinistra in atto di bene- dire, la destra armata, di verghe e la identifioa oolla figura, di Quareaimante. (Rabelais, 1. IV, cap. 29 e segg.).

11 PBladan vede qui, oome nella tav. 51, una oarieatura di Franceeoo 1.

Pare a noi di ritrovare i caratteri fisionomioi di Fran- oeeoo 1 rtnohe nelle tav. 46, 75, 88, 106 e in qualohe altra.

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Opere 163

Secondo 1’Esm. questo eoolesiastico con oappello di oar- dinale B bandoliera, falcone sulla destra, pngnale nella si- nistra , piedi artigliati, atteggiamento energico, aguardo amorto, sarebbe Fra Gianni, alias oardinale Giovanni dn Bellay, grande amatore di oaoch

Noi propendiamo a vedervi il oardinale Carlo di Lorena. Zdentitie di statura, movimento, piedi, vestire, oappello

rileviamo nelle tav. 69; altre analogie nelle tav.: 6, 12, 16, 17, 20, 23, 25, 45, 94, 110, 117.

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154 Francesco Rabelais

L’Esm., ipnotizzato dall’idea che i Boagee siano illustra- zioni del Qcwgantua e del Pantagruele, riesoe a vedere qui il turoo ohe doveva abbruciare Panurgo, come racoonta il Rab. nel oap. 24 del 1. 11. Non solo, ma dove noi.vediamo una spada baldamente appesa al fianco sinistro, egli riesoe a vedere uno spiedo ohe trafigge il corpo.

%l da notare ohe so Pabbigliameuto B in parte turohesco, la spads, il cappello, il berretto da notte sottostante e la penna aono oristiani oattolioi.

E allora Brine enne ohe cos’è? Sara un’allusione alla politica di Francesco 1 alleato dei

Turohi ¶ 0 la oarioatnra di qualohe cardinale turchescoidet Oeroate, ceroate, amioi; chi oeroa trova. E a ohi oi dara

la soluzione dell’enigma promettiamo un pizzioo della terza parte d’ i/eo d’immortalita.

Tanto per elargire qualche riferimento, troviamo cap- pelli simili nelle tav. 22, 31, 54, 60 eoo. ; una bocoa simile alla tav. 116.

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Opere

L’ Esm. tralunando, come spesso gli avviene, vuol vedere qui 1~ oivetta-masohio ohe attrae l’attenzione di Panurgo nel oap. 8 del 1. V e ohe reppreeenterebbe, seoondo il Ri- oherd, il simbolo della cortigiana ella corte di Roma.

No. Questa oivette in veste un po’ suoointa (per quei tempi, dico), B semplioemente una donne conoentrata nel- l’osservazione di una faccenda ohe 17interewa.

%3 Caterina de’ Medioi? Chi pub sffermarlo9 Chi negarlo9

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156 Francesco Rabelais

Per PEsm. questo posoatore inoeppuooieto sarebbe Ber- rius 111, re dell’isola degli Zoocoli, dove <rnon si vive che di zuppe e di merluzzo 9. (Bab. 1. V, oap. 27).

No. Ci troviamo davanti a nu personaggio d’alto casato, oome indioano le powlaines e le maniohe P svolazzi infioccati. E questo personaggio B un ecolesiastioo come indica il resto deIYabbigliemento. Disgraziatamente la maschera sul viso gattesoo non faoilita 1’ identificazione. Non resta, che giovarsi dei simboli pih evidenti. Ma ohe signifioano in Franoitu, nel ‘500 i pesoi ohe troviamo pure nelle tav.: 18, 32, 39, 83, 928.,. Che signifioano le forbici che troviamo attribuite sola- mente a masohi nelle tav.: 25, 40, 54. 58, 68, 958...

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Per 1’Esm. questo sarebbe il cardinale Giuliano della, Rovere, nipote di Sisto IV, diventato poi Giulio 11.

Vi 50~0 in tutta la raocolta un& ventina di figure nelle quali 1’Eam. VUOI vedere questo pspe, e precisamente quelle delle tav.: 1, 3, 7, 13, 14, 20, 56, 60, 70, 76, 79, 82, 88, 94,95, 108, 110, 116, 118, 119. Ci sembrano troppe. Tanto pih se dobbiamo reputare queste tavole legate all’attività, del Ra- belais, ohe si svolge in un trentennio oirea dal 1520 al 1553, laddove Giulio 11 muore nel 1513.

Ma poi baste& accostare aloune d’esse tavole tra loro, per conolndere ohe entitk differenti fra loro non possono 088ere eguali a uua terza.

Si raffronti, a esempio il tipo delle CV. 7, oamwo e sbarbato aon quello barbuto e di naso generoso delle tav.: 56, 75, 119 eoo.

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158 Francesco Rabelais

Rooo, seoondo 1’Esm. un altro Giulio 11 simboleggiate in questo nomo-fortezza-campana- Isola Sonante, alim, Roma papale rappresentata dal Rsb. al cap. 41 del 1. IV.

I-quattro pesoi-alabardieri di guardia, (ohe YEsmangart soambia per uooelli), sarebbero i lanzicheneoohi.

Ci sembra occorra una certa dose di giooonditi per tale rioonosoimento che lasoia 1’ Esm. « senza aloun dubbio S.

Da notare ali’ orlo delle oampana la parola ORA (prega); poi una sigla dove, con un po’ di buona volont8, il Richard distingue le lettere A, N, iniziali di Alcofribas Nasier, pseu- donimo del Rabelais.

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Opere 169

L’Esm. vede qui « la nobile Bacbac » dei Oap, 42-47 del 1. v.

No. Gli attributi essenziali di questa figura femminile sono l’abito quasi pontificale, la sfera oaleste e la gravi- danza. Chi li aooumula in maggior grado di Caterina de’ Mediai, nipote di Clemente VII, dedita all’astrologia e in- cinta in permanenzs nel decennio 1543-15538

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L’Esm. pnol vedere in questa dolente figura rionrvo, me88er Quaresimante. (Cfr. Rab. oap. 29, 1. IV).

L’interpretazione ei sembra assai artifioioss. Vi Bono qui molti particolari non faoili a spiegare. Ci limitiamo a riecontrzre una certa somiglianza fisio-

nomioa oolle tav. 23 e 115, una oerts, analogia ornitologioa oolla tav. 37.

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Opere 161

i&ests figura complicata e ricca di quesiti sarebbe an- oora Quaresimante, secondo PEem.

Identifioacione non soddisfacente. Ma in mancanza d’una fisionomia non ei sa da ohe parta

rifarsi per rischiare un’ipotesi plausibile.

11.

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162 Francesco Rabelais

L’Esm. dopo aver rioonosoiuto ohe questo B un pesoe, oonolude ohe si tratta.. . d’un uccello dell’Isola Sonante desoritta dal ltab. al oap. 5 del 1. V.

Non potrebbe essere invece la caricatura di qualche oou- temporaneo dal nome di pesce? Per esempio di Jean Goujon (= ohiozzo) soultore e arohitetto tra i piU illustri del rina- seimento fram3ese.

Oppure di qualcuno soprannominato o coguominato Carpaf 0 Carpeaul...

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Opere 163

Per PEsm. quest’uomo... i? un uooello e precisamente il Papagallo (ci08 il papa) delPIsola Sonante, presentato dal Rab. al cap. 8 del 1. V.

Collo stesso acume PEsm. vede nel manico di corno cervino del ricoo pugnale ingnainato, nientemeno ohe le folgori di Vulcano.

Vero B che la testa di questa figura B un recipiente che sembra fare da abbeveratoio a quattro uccelletti d’alto bordo. Il vestire e gli adornamenti sono regali.

Il vaso (pot) costituiva una cifra che indicava, dicono, Diana di Poitiera. L’armatura di Enrico 11, oggi al Louvre, gi8 regalata da Diana al regale amante, reca appunto due vasi.

Non sarebbe forse questa una caricatura di Enrico IIP

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164 Z+ancesco Rubeiais

LJEsm, vode qui di huovo Giulio 11. Le saore ohiavi, la riooe vegetazione oardinalizia otte-

nuta mediante oopioso inaffiamento di soluzioni ammoniaoali, l’atto della benedizione abbozzato dal piede destro, palesano un papa.

LU sohiumarola indioherubbe un papa amante della buon@ ouaina; ma non B detto ohe Giulio 11 sia stato il solo papa ghiottone della prima metA del %C@.

Si vedano le considerazioni già, fatte a tav. 13.

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Opere 165

Secondo 1’Esm. questa elegante figura d’ucoello di para- diso figurerebbe . . . la oivetta pressatata dal Rabelais (oap. 8, 1. V) eome il tipo della dama di compagnia (maschio o fem- mina ad Zibilrm) del papa!

Pare a noi ohe la fisionomia abbia i earatteri realistiei d’un ritratto... ohe bisogna oereare.

11 collare d9ermellino, la corona qnasi regale sormontata dal giglio araldico dei Valois dicono ohe si tratta d’un alto personaggio. Il moccolo e 17ineensiere tenuti dal piede si- nistro rivelano un ecclesiastico ohe i cordoni infioccati desi- gnano come vescovo o eardinale.

Il piede destro infilato in un calzare di donna signifi- oherebbero elle il damerino ha funzioni femminilil In tal osso, la rassomiglianza soeeorrendo, bisognerebbe concludere ohe abbiamo qui la caricatura del cardinale di Lorena che la tradizione diceva favorito di Enrioo 11.

0 non sarebbe per avventura il galante abate-arohitetto Filiberto De 1’ Orme amante, dioono, prima di Diamb di Poitiers, poi di Caterina de’ Medici, ohe teneva i piedi in due sta&8

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166 Francesco Rabelais

L’ Eum. orede oogliere qui la figura allegoriaa di Manduzio dio dei Gastrolatri (Rab. IV, 56).

Il Peladan riconosce invece la famosa Diana di Poitierr. e Dn brsooio, egli sorive, regge la sohiumarola, l’altro, guan- iato, tiene una freccia. Inoltre il disegno rivela per via di rebus la vita intima della dama. Un filo si staoos dal suolo e giunge al berretto (jil-lie-bsrj oiU che significa Philibert. Ora sappiamo che a quell’epoca l’abate-amhitetto Filiberto De l’Orme era l’amsnte della duchessa di Valentinois D. Egli dirigeva i lavori della residenza regale di Eorioo 11 ad Anet, dove il Primaticcio era inoaricato della decorazione.

L’ipotesi del Peladan pare avvalorata da due partioolari: 8nzitutto le aperture della toque alla svizzera sono disegnste 8 oroh%&, oh’era il simbolo di Diana (i); inoltre dovunque o’i3 un v5so fpotj o’B da sospettare un’allusione alla Poitiers. Infatti ella stessa fece disegnare due vasi simboliei nelPar- matura (ora al Louvre) donata al regale amante.

(*) Cfr. Sciomnchia, pag. 61.

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Opere

LVCsm, scambia le tre penne di gallo per corna.. . e poiehè la luna he le oorna e si ahiama Diana.. . viene a oonoludere ohe questo giovanotto ohe oorre focosamente al- l’assalto, earebbe Enrioo 11, amante di Diana di Poitiers, da lui identificato 001 grande Pantagruele!. . . Riobiama a prova la tav. 46, dove sarebbe un altro Pantagruele.

Ma la fisionomia di quella tavola B ben lontana da questa ed entrambe sono ben lontane dal rappresentare giganti.

Il Riohard vede anch’esso un Pantagmele... ohe identi- ilea con Pranoesao I!...

Noi ci oontentiamo, per ora, di rilevare una rassomi- glimnza fra questa fisionomia e quelle delle tav. 16 e 116.

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lS8

L’Esm. orede vedere in questa figura Maistre Jobelin pedagogo di Cbrgantue (Bab. 1. 1, 14 t) 16).

No; questa non B un’ illnzkrazione, ma un ritratto di qualohe magiztrato o nobile personaggio del tempo cerne indioa l’ermellino del berretto e della tunioa.

In attesa di meglio oi oontentiamo di eonfrontzre questa figura oon quelle delle tavole 34 e 44.

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Opere 169

Per 1’ Esm, quoato sarebbe Pantzgrnele ohe parte in guerra contro fe anduglie. (Cfr. Rab. IV, 41).

Ma ohe di comune fra questo fantoooio e il regale gi- gante Pantzgruele ?

A nostro avviso si tratta di un personaggio di secondo piano di oui ai pus tentare l’idedifioazione quad0 sia ben stabilito il valore simbolico delle forbiai.

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170 Franesseo Rabelais

L’ Eom. vede qui l’ipotiposi dell’ Inquisizione. La mowa simboleggerebbe lo spionaggio.

A noi pare un ritratto di monaao d’azpeth sinistro di oui il mento ricorda quelli delle tavole 7 e 82.

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Opere

L’ISem. rilevato il beooo rapaoe, 1’ espressione ipoorita, la mano questuante, IS buona armonia tra rosario e. pugnale, aonolnsle *s*er questa un’altra ipotiposi dell’Inquisi5ione.

Noi propendiamo a veder qui un altro personaggio del tempo. Da notare la parentela oogli altri musi a beoco delle tavole 1, 67, 60, 87, 94.

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173

11’ Esm. vedo qui prima la oivetta u dama di compagnia. del papa D di cui parla il B. al oap. 8 del 1. V; poi, osservando le pantofole, la stola, In mozzetta orlata d’ermellino, eee. eoo., oonolude: g tutto prova oh’8 la mesohew di Giulio II!... B.

Il Péladan saorge inveoe una aarioatura di Francesoo 1. a Se restassero dubbi, egli serive, sul Ben80 della pantofola designante il matrimonio forzato del re di Francia, sarebbero dissipati da questa figura d’ uomo eon bocca di pesce ohe inghiotte una pantofola, ne innalza un’altra sopra, una canna e reca fuso e aonooohia invece di snettro (‘) ».

Noi restiamo assai perplessi e non riusciamo )I trovar qui i lineamenti di Franceseo 1, cot11 evidenti nelle tavole: 8, 4x3, 51, 75, 88, 106.

Non potrebbe essere invece l’uomo d &te ft%%, Carlo V, ohe ritroviamo, salvo errore, nella tav. 33, 7’7, 91, 1068

(1) La CU de RabeZais.

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Opere

In questa graziosa figura oomposita PEsm. « riconosoe perfettamente » uno degli uooelli deIl> Isola Sonante, ohe designano oavalieri e oommendatori di vari ordini. (Rab. V, 0ap.Y5).

Noi vediamo qui ali e antenna d’insetto, o pinne di DeBoe. wib ohe ali d’nooello. Gli attributi dell’uomo di chiesa ̂ I *

sono evidenti, ma troppi altri partioolari rimangono osouri peroh osiamo tentare un’identifioaeione.

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Secondo PEsm. questa B la figura dZ Ant@&, madre dei z metagota, oagotu, papelards ecc. B menzionati al oap. 32 del 1. IV.

Noi inoliniamo a veder qui una oarioatura della multi- para Caterina de’ Medici. E se rosì è, dal numero dei mar- mocohi possiamo assegnare al disegno la data tra il 1551 e 1552. Il marmocohio impennacchiato sarebbe il delfino, Fran- oesco 11, nato nel 1544. Seguono Elisabetta, che fu poi regina di Spagna, nata nel ‘45, Claudia, nata nel ‘47, Luigi, duca d’ Orkns, nato nel ‘49 (l), Carlo 1X, nato nel ‘50, Enrioo 111, nato nel ‘51. La regina appare anoora inointa; infatti nel ‘52 doveva nammre Margherita di Valois che doveva esser IS moglie, poi ripudiata, d’Enrico lV, celebre oo1 soprannome di Reine Mmgot.

Il duoa buigi d’OrlBans, morto di pochi mesi, sarebbe appunto il oadaverino impennacchiato ohe riposa nel risvolto della gonna.

(1) E’ il duca d’orleans di cui la nascita fu celebrata colla SciomacZda, v. pag. 49.

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Opere 175

&wndo 1’ Esm. questo sarebbe un figlio di l%i~ ohe =n~0na Antijisis afdh tsvola pr~eatde.

Il Riohard, una volta tanto, si scosta daWEsm. e pre- snme veder qui quel brieoone di Pannrgo.

Entrambe le ipotesi si equivalgono nel non essere sod- disfaoenti.

I

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176 Francesco Rabelais

In quezts acLmpans dalla lunga lingua vooiante, mentre issa in aria la en& magra pesaa, 19Esm. vede Quzresimante. (Cfr. Rsb. prol. 1. V e altrove).

A noi pare che la mezzaluna voglia indiosre Diane di Poitiers, in quale funzione non sapremmo dire.

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Opere

XXXIII

Eooo, per 1’Eam. un altro Quaresimante il quale secondo la desorieione del Eabelais (oap. 31, 1. IV) « aveva le reni oome un vaso di burro ».

Dove o’B vasi (poh) non possiamo sottreroi dal pensare a Eurioo 11; ma non affermiamo nulla.

Cfr. le tavole: 17, 19, 22, 23, 102, 108. Il naso rioorda quello delle tav. 77, 91, 106. Il Riohard nota sulla lama del pugnale un 8, ohe egli

a&rms inizisle di Alcofribae. Non A, ma V; t) probabilmente come oifra romana di

Carlo V. Conduoono a questa identificazione anohe altri par- tiooleri oome il ticnbre fdU, dello squilibrato figlio di Gio- vanna la Pazza, e il suo atteggiamento d’irrequieto incen- diario ohe porta l’inoendio della guerra in tutta 1’ Europa.

12.

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178 Francesco Rabelais

L’Esm. rioonosoe qui arbitrariamente un musico del- l’eeercito delle anduglie descritto dal Rabelais nel cap. 36 del 1. IV,

Noi ai limitiamo a confrontare questa fisionomia con quella della tav. 24 e più ancora coll’altra della tav. 64, dove troviamo pure berretto con corona e schiumarola.

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Opere 179

Seoondo 1’Esm. questa grave dema B « evidentemente B Niphleaeth regina delle anduglie desoritta dal Rabelais nei osp. 36 e 42 dal 1. IV.

Rioordiamo ohe nella, u B&fue deolav~&n~ B ohe segue, nei testi francesi, il libro IV, il Rabelais d& qneatz equs- zione: ìVìp7&seth = tnqnbre tiri2 (in ebraico).

No, questo pare a noi un ritratto di qualche dama del tempo. Forse Eleonora d’Austria9

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L’Eem. B incerto tra la regina della anduglie B la Pram- matios, Sanzione deseritta dal Rab. al oap. 39 del 1. III.

Il Riehard opta per quest’ultima. Ci limitiamo a rilevare ltt rassomiglianza negli ooohi e

nella bocca collo figure delle tavole 9 e 43 e non srrivismo pii3 in là.

t

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Opere 181

Chi B questo gobbo? - 2 Maulevrier lo zoppo!... Cos1 I’Esmangart. Luigi di Brez6, oonte di Maulevrier, ebbe alla corte di

Franoesao 1 e di Enriao 11 le due importanti cariche di a Grande Caociatore di Franoia » e di oiambellano.

Par8 ohe in camera oaritutis foese ornato anche del ti- tolo di a le pltts grand 00026 de 8on sisok h avendo ceduto b propria graziosa consorte Diana di Poitiers prima a Fran- oesco 1 (ma non & oerto) poi 8 Enrico II (notizianffioiale).

Il berretto simboleggerebbe appunto l’alto grado di oo- euage; la oarte da gioco rioorderebbe la mansione di provve- dere, come oiambellauo, ai gioobi di corta; stivali B sproni indioano il osBoiator0, 800.

Mah!... Non potrebbe eseere invece la oaricatnra di qual- ohe ohiromsnte e oiarlatano, o stimato tale, del 5001 Cornelio Agrippa, per esempio?

Questa fisionomia ne ricorda altre somigliantiesime: ta- vole 13, 73, 99.

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1811 Francesco Rabelais

Qnesto balestriere wrebba, secondo lyEem., una seoonda oariosture di Maulevrier « lo zoppo n ; prova non traaoura- bile un doppio tallone SI piede sinistro.

Ammeeso pure, quale parentela tra questo muco di ooo- oodrillo e il presunto Maulevrier della tav. prdentel

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Opere

XXXIX

188

l

Quest’anfibio pesostore-tritone sarebbe per 1’Esmtingart un’aItra iignra di Qnaresimante, prova il gagliardetto 001 segno zodiacale di marzo, mese quaresimale per eooellenza...

Si deve trattare a nostro avviso di un importante uomo di mare, forse un nmmiraglio, oome indioherebbe l’&noora dell’ insegna.

Quale ammiraglio accoppiava, insieme la paseione della pecca e della... numismatica? Forze l’ammiraglio Bonnivet ohe aveva per blasone PAncora e il delfino f... (l)

Cfr. con questo gli altri pas~otori e anfibi delle tavole 12, 83, 101.

(1) Cfr. Rabelais, 1, cap. 9.

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184 Ikuwesco Rabelais

Seoondo 1’Esm. avremmo qui 1’ ennesima personificazione di Quareaimante. Nel nastro ohe tiene fra le mani 1’Esm. vede una corda per euouar le oempane, il Riohard, invece, una diaoiplina.

Basterebbe Ir robustm statura 8 smentire l’ipotesi SII aooenneta.

Probabilmente si tratta di quulohe gagliardo inquisitore forse un membro del parlamento, munito di buona lingua, di forbioi oensorie e della oorda per impicoare. Non sarebbe forse inutile cercare i suoi lineamenti tra i ritratti del eor- bonegro Niaolae le Clero, decano de% facolti di teologia, o dei dottori Pioard e Meillerd, o del presidente del psrla- mento Lizet « aux maiw pleiws de sang » o di qualohe altro famigerato impiooatore ek&n, farinaa.

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Opere 18R

L’ Eem. rieaoe s vedere qui un monaoo e preoisamente Fra Gianni degli Squarciatori, alias, secondo lui, il oardinale du Bellay ohe sta filando... perchè amante della oaooia!... Infatti le reti 8ono fatte di filo!...

Evidentemente 1’ Esm. non 8’ b murato di vedere un ri- tratto del du Bellay, non solo, ma non 8’ è aocorto ohe questa b una donna.

Il P4laden vi riconosoe Eleonora d’ Anetria, la sorella di Carlo V, moglie ripudiata, di Francesco 1.

Di quale speoie sia il suo filo dice il pugnale legato a un rosario e infilato nella rocoa.

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186 Francesco Rabelais

In queste figun per veri segni voraoe e ra;p&ee 1’ Es. vede me8f4er Gaster, il a dio ventripotante, primo maetro d’ Orte di questo mondo D oelebreto dal Rabehiie nei oap. 57-62 del 1. IV.

Da notare ohe forse non a 0860 l’impugnatura della nega presenta la forma sraldica del giglio.

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Opere 187

L’ Esm. vede qui un tipo di franco-aroiere, solda~o di quelle speoie di guardi8 nazionale iotituita da Carlo VI1 e abolita da Luigi X1, cui il Rabelais e la tradizione attrihi- SCQIIO la divisa: Je ae eroina que lea dangera

Vien fatto di domandarsi perchè sia presentato da tergo, se il saooo simboleggi proprio l’avidith, di bottino e l’uc- cello di paradiso, la divozione.

Da notare lo spiedo infioocato come alla tavola 6, le gambe storta e il gonnellino succinto come nelle tav. 62 e 76.

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188 Frnncesco Aabelais

Seoondo 1’ Esm. avremmo qui la figura del gigante Gran- gola, padre di Gargantna, intento a un’ abbondante porzione di trippe. (V. Rabelais 1. 1, cap. 4).

MS do+ B il gigante? E onaohiaio, aono meni da gigante quelle? E le trippe?... Dove sono le trippef

Chi ha buon nano fiuti.

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Opere

L* Esm. dioe ohe questo orso ben provvisto di rosario, di fioochi e d’artigli ohe strombetta fiori B u evidentemente »..s il diavoletto presentato dal Rabelais al cap. 45 del 1. IV.

11 Riohard pensa ohe possa essere uno degli attori di diauolwie a cui Beoenna il Rabelais al oap. 19 del 1. IV.

Per noi B un owleeiastico d’alto fusto, stretto parente dei non meno artigliati e mascherati ammaestratori d’ucoelli delle tav. 9 e 69.

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190 Francesco Rabelais

XLVI

L’ Esm. orede rioonosoere in questo nano... il gigante Prtntagruele, ohe identifioa con Enrioo 11.

’ Il Riohard preferisca vedervi Francesoo 1. Aooettismo una volta tanto l’ipotesi del aiohard, ohe

oonfermano le molteplici carioatme del re probosoldato delle t8v. 8, 75, 88, 104, 119.

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Opere

In qneeta Ggura, dall’occhio falso 1’Esm. VUOI vedere Pannrgo da lui identificati 001 08rdinale di Lorena, euppo- niamo Carlo, grande inqniaitore di Francia.

No, questa figura non somiglia nB a Panurgo « dal naso un po’ aquilino, a manioo di rasoio 8 (Itab. 11, 16) nB ad alcuno dei cardinali di Lorena, che ricordavano un po’il tipo del celebre grande inquisitore di Spagna, Ximenes.

Per noi questo recipiente ohe ha per ventre e base un pulpito, o oonfessionale ohe eia, B la caric&tura di qualohe predioatore aooendiroghi di quel tempo.

Cfr. la fisionomia somigliantissima della tav. 106: ohi eo0Va 1’ uno scova 1’ altro,

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192 Francesco Rabelais

L’ Esm. riohiamando un passo del 1. IV cap. 24, che ei azzecca assai peggio dei troppo oalnnniati oavoli a merenda, vnol vedere in questo ecclesiastiao ohe « getta nel pozzo il suo breviario », aucora Panurgo.

Il Riohard si domanda se non possa essere inveoe una oarioatura della Riforma ohe getta non un breviario (ohe sarebbe troppo grande) ma qualche altro librone eoolesiastico.

Il Peladan iden tifioa questa figura 001 aardinale Carlo di Lorena. d Eocolo, egli dioe, ohe getta un libro in un pozzo del quale porta il coperchio oome oappello; e il libro esce dalla stessa borsa ohe abbiamo veduto piena d’ oro nelle mani d’ Eleonora ». (tav. 79).

Proprio dalla stessa borsa, no; ohe quello B un saoohetto oilindrico. NB la fisionomia rioorda il tipo dei Lorena.

Noi ci limitiamo a rilevare la rassomiglianza di questa figura oon quella della tav. 197.

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Opere

XLIX

193

Questo arahibugere dal grugno poroino e truoe, sarebbe, secondo 1’ Esm. il ritratto di (Tranpelo « degno oompagno dei capitani Spadaooiuo, Culobasso, Merdaglia, CM)., capitani del- 1’ eseroito di Piorooolo P. (Rabelais, 1, 26).

Interpretazione arbitraria, come quasi tutte lo altre.

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194 Francesco Rabelais

L’ Esm. vede qui 1% figura di Gratigola il quale (Ea- belai8 1, 6) minaooia una mutilazione e grida: - Fate por- tare un coltello!

Basterebbe questa battuta per smentire 1’ ipotesi, daccb8 snohe i cieobi vedono che ce 1’ ha in mano, il coltello, dico.

Noi vediamo invece un battagliero di - sputatore di cui la penna. di pavone accusa la vanità.

La fieionomia ricorda, quella di Frahoesoo 1. Cfr. colle tav. 8, 46. 51, 75, 88, 104, 119.

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opere 195

L’ Esm. trova qui una osrioetura somigliantiesima di Franoesoo 1. L’espressione e 1’ atteggiamento indicano ohe il re galante B mslsto; la coperta ohe lyavvolge e il bava- glialino attestano la aura dell’ unguento mercuriale usata oontro il male ohe i Francesi ehiemavano a napoletano D e gl’ Italiani E( francese . .

11 PBladan conoorda. E anche noi.

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196 Francesco Rabclafs

Per 1’Esm. questo sarebbe il oardinale di Lorena ohe, sorive, « era ben fatto e di nobile viso B ee~.! !

Noi non rinsoismo 8 vedervi ohe un mdineonioo signore oon due pugnali ben dritti e due gambe ben storte, ohe ri- cordano quelle delle tav. 43 e 76.

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Opere

L’ Esm. vuoi rioonosoere qui il binomio Pentagruele - Enrioo 11 in arni388 da aura merouriale.

4 11 re Enrioo 11, sorive il oontemporaneo BrantBme, era dedito oome il suo defunto padre all’amore e alle donne B.

« . . . Non ha oonservato del padre ohe il oattivo, oome gOdiIUehti e treeourc\te55a... * sorive di lui in un momento di sfogo il osrdinale du Bellmy (‘).

Per Enrioo, Veda; ma del gran re Pantagruele il RSbe- lais avav8 pib alto oonoetto.

Cfr. oon 1’ altra oarioatura d’ Enrico 11 a tav. 96.

0 Lettera a Jean Moreau, 12 maggio 1549.

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198 Francesco Rabelais

L’ Esm. riferendosi a un passo del cap. 54 1. 1, erede ravvisare Fra Gianni degli Squaroiatori: (nardinale du Bellay) in questo monaoo inoeppellato. infiocchettato e forbioifero, ohe sembra impartire lezioni musioali mal rioompenaate.

11 Pdladan vi ravvisa invece una donna(!) e preoisa- mente Diana di Poitiers che attende alI’ eduoazione di En- rio0 11.

Ipotesi per noi inaccettabili entrambe. Sara utile oonfrontare i lineamenti gattesohi di questo

personaggio oon quelli somiglientissimi della tav. 79, poi oon tutti i forbioiferi e gli ornitagoghi della raocolta e dopo sver oonfrontata, misnrsto e pesato, pensarroi un pd 8u prima di peaoare altri granohi.

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Opere 199

Seoondo 1’ Esm. queeta baule de ruy sarebbe un5 nuova figurazione di Quaresimante oapitano degl’ Ittiofagi...

Appare non a torto al Riohard che come ipotiposi della Quaresima questa figura sia uu po’ ritoudetta,

Entrambi poi soambiano questo mansueto e mollicoio ba- tu8010 di aiooia per un essere maaohile. 0 non potrebbe es- *ere la oarioatnra d’ una donna inointa. Se non fosse la dis- somiglianza del viso, penseremmo a Caterina de’ Medioi, la donna pih inointa dei reami di Francia e di Navarra.

Cfr. colle tav. 30, 71 eco.

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aoo Francesco Rabelais

L’ E~rn. affermrt ohe queeto B il ritratto a uomigliautis- eima o di Giulio 11, il pape guerriero.

Aaoettando tale ipotesi bisognerebbe ammettese oome oa- ‘riosture di Giulio 11 anohe le tav. 60, 70 e 99 somigliantis- sime IL questa e ohe vioeverse non siano tali tatti i presunti Giulio 11 delle tav. 1, 6, 7, 29, 76, 79, 82, 88, 94,95, lC8, 110, 118, 119 ohe non eomigliano punto a questo....

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Opere 201

L7 Eem. riohiamando un passo del Rabeleia (II, 5) vede in questo bslestriere il giovane Pantagruele ahe si eseroita al tiro.

111

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202 ftrnnccsco Rabelais

L’ Eam. vede qui due oorpi oon una sola teata, i quali, a 8110 dire, ( figurano ohiiramente 1’ unione di Diana di Poitiers oon Franoesoo 1, designati ellegorioamente, in Gar- ganturt, e nells, giumenta numidit di Gargantua p (Rab. 1,U).

Seoondo noi qui non 0’ B nè Gargantua, nB Franaesco, nB giumenta, nB Diana, mfb un formidabile lusauriozo ohe riunisoe in SB poteri spirituali e temporali. Se non si trrtta d’ un pepa potrebbe trattarsi d’ Enrioo VI11 d’ Inghilterra, definito da Lutero a iX pih rozzo fre tutti i porci e fra tntti gli asini ». Cercare oomunque tra i pesi maeeimi del tempo.

Cfr. questa, tavola con la tav. 78, ohe presenta quasi gli stessi attributi.

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Opere

LIX

203

t

Seoondo 1’ Esm. avremmo qui * quel grosso poroaooione d’ Eustene, forte oome quattro buoi B (Rab. LI, 24, 29 wc.) identifioato oon Eroole d’Este, marito di Benata di Franoia e generale di Inrioo 11.

Tele interpretazione domanderebbe, in manoanza d’ altro fondamento, un principio di rseaomiglianaa fiaionomioa.

Ma poi ohe signifioa lo strano cappello a oono germo- gliante spighe ohe 1’Esm. soambia per piumeT

Le forbioi sarebbero 1’ emblema della lussuria... Ma tale oannotato non risultava anohe senza forbioit

Cfr. ooi forbioiferi delle tav. 40, 95 800.

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Frmcesco Rabelais

L’ Eem. affermo ohe questo aardinale ornitagogo B Giu- liano della Rovere, ohe fu poi papa Giulio 11.

Che foeea battagliero B noto: ohe fosse di liberi ooetumi b ammesso de eontemporsuei. Il dizionario del B&yle tra 1’ altro dioe: ci Aveva una figlia che marito oon Gian Qior- dan0 Orsini... D. In un dialogo satirico oon 8. Pietro egli aonfeaea ohe E’ ere bueoato il mal franoese.

Non B ben ohiaro ohe simboleggi 1’ uooello ohe tiene eul polso.

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Opere 205

L’ Ezm. vede qni un uomo, un tamburo e il relativo bsttaoohio, une oornsmuaa, un ibis e dopo una oitazione del Rsb. (oap. 17, 1. V) oonolude ohe a evidentemente D questo B Enrioo Uotiral, allae Cornelio Agrippa il oelebre medico, alahimista, oooulista eoo. del ‘500.

Se non abbiamo le traveggole, a noi per di vedere una donna veoohia e gobba ohe sta pestando in un mortaio.

Chi e ohe rappresenti non oi sembra faoile stabilire.

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- 206 FZoncesco Rabelais

II assenza d’organi visivi e di ~enao eritieo delY Eam. e del seguace Riohard si palesano al colmo nell’interpreta- zione di questa figura, nella quale oredono vedere... San Be- nedetto ohe regge il bambin Gesti!...

Se non erriamo, anohe que&a B una donna. Il rieohissimo abbigliamento e sopratutto 1’ ermellino di-

ohiarano grafioamente il titolo di regina; le palle l’asse- gnano araldioamente a oa8a der’ Medioi. Diremmo che sia Caterina ooll’erede al trono, se non oi tenesse dubbiosi il fatto ohe non ritroviamo questo viso di bortuooia nei ri- tratti tradizionali, oome il ohiaro faaoione da badessa del museo di Chantilly, o oome la bella medaglia del museo di Cluny.

Altra diffieoltil: la gamba di legno aftibbiata a Caterina, ohe possedeva organi di looomozione, seoondo gli studiosi, ben fatti. Puh darsi ohe la carioatura sia stata eseguita al tempo in cui la regina era ferita a una gamba; oppure ohe ootesta gamba oontenesse un simbolo ohe oi sfugge.

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Opere 207

L’ Eam., prigioniero del zuo sietemw, orede veder qui il Sagrestano dell’Isola Sonante, (Ezb. V, 6).

A noi pare ohe sotto questo abbigliamento eia nasoosta uua donna, designata delle palle medioee e dai fiori per Caterina ohe ohiamavano u la Florentino ,.

Di solito il vaso fpot) B un simbolo di Diana di Poitiera. Questo rebus vorrh signifioare la triste situazione di C5&-

rina ohe si serviva enohe di Diane, 1’ amante del marito, per reggerei a Corte, sis pure, oome questa figura, sopra un solo piede8

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208 Fr~neesco RabcZafs

Y Esm. rio~norute * agevolmtmte D in queste Cgura di ghiottone il oolonello Riflaudonille del oap. 37, 1. IV del Reb.

Ne. Bisogne rioeroare 1’ idtmtit$ di questo alto e forse regale personaggio in qmalohe galleria di ritratti del%W. E oonfrontarlo intanto oolle tav. 24 f3 a4.

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Opere

LXV

L’ hm. penaoh. Quest’uomo tamburo, oon tutti gli et- tributi della oiarlataneria saril Henry Cotiral presentato dal Bab. nel oap. 18 del 1. V, alias Cornelio Agrippa, il oelebre ooonlista medioo di Luisa di Savoia e di suo figlio Fran- oeaoo 19 0 seril inveae Her Trippa del osp. 15, 1. III?

Oppure, dioiamo noi, non sarh nè 1’ uno nB 1’ altro8

14.

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Francesco Rabelais

Quest’altro oiarlatano aon una braghetta sul capo, ha- rebbe anoora Cornelio Agrippa per 1’ Esm. il quale prooede eiouro e baldanzoso senza preooouparai ae questo Cornelio eomigli agli altri due dalle tav. 61 e f%!...

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L* Esm. riconosoe u agevolmente D mastro Gaeter il quale, seoondo 1’ epopea bnrlesoa del Rab. (IV, 59) * portava sopra un lungo bastone dorato una statua di legno rozzamente soolpita... ohe ohiamavam Manduzio z.

Il Riohard riohiama la figura della tav. 42 battezzata anoh’ essa per Gaster e ohe ha con questa, se non il viso, qualohe attributo grifagno e onlinario.

Noi rileviamo le ali d’ insetto, oomc alla tav. 29; il becoo d’uooello oome nelle tav. 1, 2, 5, 7; 1’ imbuto da fornello comune oolla tav, 42... le funzioni educative come nelle tav. 9, 19, 69... e rimandiamo la oonolusione a un’altra volta.

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Frnnce.wo Rnbelnis

kwondo 1’ Esm. questo incappuociato beone sarebbe Pe- nurgo, a&aa cardinale Carlo di Lorena, soprannominato ai1 cardinale delle bottiglie D.

Pannrgo, no; non B questa la snella persona del gran briccone. 5 neanohe, probabilmente, il aardinale di Lorena, che il damerino favorito di Enrico 11 era in voce di bel- 1’ uomo.

Per noi questo personaggio va collocato nella categoria dei forbioiferi e dei pugnali a sega e per ora ci fermiamo 11.

Non B ohiaro il significato della vegetazione germo- gliante dal cappuccio; salvoche non debba intendersi ohe quel oapuccino B ben concimato.

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Opere 213

L’ Esm. attraverso varie inesattezze d’ osservazione, ri- ohiamando un passo dell’epopea rab. (IV, !2!3) conclude ohe abbiamo qui 1’ ennesima personifioazione dl Quaresimante.

Il PBladan vi soopre un alto prelato dl temperamento grifagno e astuto, simbolo 8: dei negoziati per fare accettare le deoisioni del oonoilio di Trento ».

Per noi questo B lo stesso personaggio della tav. 9, oolle identiohe funzioni ornitagogiohe e gli stessi caratteri della rapina e dello spionaggio eminenti in 8. E. il cardinale Carlo di Lorena.

Non B da esoludere tuttavia ohe si tratti di qualohe suo degno confratello oome il cardinale di Tournon famigerato accenditore di roghi nel nome di N. 5. Ceah il Crieto.

Il quesito pub essere faailmente risolto 0011~ aiuto deE 1’ ioonografia.

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214 Francesco Rabelais

L’ Eem. oita un passo dal diario di Luisa di Savoia, nel 1513: a Franpois 1, allant à Quyenna, ewt u10, mal an lo parti6 de mdte nature... P e oonolnde che abbiamo qui la fignrs di... Gargantna, aZia Franresco 1, malato.

Ricordiamo ohe Eranoesco I nel 1512 aveva 18 anni. E domandiamo ai milioni di lettori forniti d’ ocohio olinioo, ae questo arzillo ospitano ha 1’ aria di malato.

Domandiamo anche, se armi ed abbigliamento non sap- piamo di turcheetto e ae per avventura questo personaggio puma assere Hati-ed-din il pirata algerino ooooseinto col nome di Barbarossa, ammiraglio delle flotte di Solimano 1.

Il Babelais ne parla nella seeonda lettera inviata da Boma il 28 gennaio 1566 al vesoovo di Yaillezaie (l) al quale ne manda il ritratto « oolto sul vivo ».

Non affermiamo, domandiamo; domandare B leoito! Si confronti questa figura oolla oognata della tav. 56.

E perohe non anohe con quella della tav. 899

0 V. pag;. 116.

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Opere 215

Seoondo 1’ Esm. questa donna, col mento a pantofola ed entrambi i piedi infilati in un’ altra pantofola, sarebbe Anna di Bretagna, maritata prima aon Carlo VIII, poi oon Luigi X11, prototipo, sempre seo. PEsm. di Gargamella, moglie di Grangola e madre di Gargantua.

Il Péladan inveee vi rieonosee Eleonora d’*Austria so- rella di Carlo V e imposta oome moglie a Franoesoo 1, ool trattato di Madrid.

Rioordiamo ohe Anna di Bretagna mori nel 1514, data, a nostro avviso, esclusa dai limiti di questa reoeolta. Ri- oordiamo poi ohe Eleonora, ripudiata dopo la prima notte di matrimonio, non ebbe figli e, se 1’ ooohio non o’ inganna, questa donna B incinta.

Noi inolinismo a ravvisare (lucus a aca lucendo) Cate- rina de’ Medioi, ohe per un deoennio fu la pih incinta di tutte le donne e ohe, nipote di papi, non era meno impan- tofolata d> Eleonora.

Sarebbe interessante stabilire a ohe alluda l’iscrinione OBO TESTOR incisa ~11 orlo della vaste oampanaria.

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Francesco BQbdQìs

Secondo PEem. avremmo qui un’altfa Anna-Gargamelle, oome nella tav. preoedente.

Il Péladan rioonosoe, giustamente a nostro avviso, Ca- terina de’ Mediei. a L’ aoconoiature napoletana, egli sorive, le tre collane intorno al oollo, indioano l’origine pontifhle della eua potenza e la pendslopzce fatta di tourbsle o pillole del blasone medioeo, non lasciano alcun dubbio ohe questa figura rappresenti la delfina. La forma del manto B della veste a campana 1’ impareuta colla sorella di Carlo V... La volont8 di Carlo V trovava nella Medioi un’alleata pre- ziosa. 11 massacro di Mtkindol e la severiti del parlamento d’ Aix sono da attribuirsi all’influsso spagnolo B.

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Opere !al7

Questa figure riaca ili simboli rappreeents. pes 1’ Esm. un altro Enriao Ootyral, alias Cornelio Agrippa, aome gid nelle tav. 61, 85, 66.

La fisionomia, 04 pare rioordi quelle delle tav. 13, 37, 09.

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Francesco Rabelais

Queeta figura, secondo 1’ Esm. sarebbe eempre Enrico Cotyrsl, cioè Cornelio Agrippa.

Il Riohard una volta tanto non B d> aooordo e oonget- tura si tratti d’un giocoliere dn diavolaquattro.

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Opel% 219

Secondo 1’ Esm. una masohera~~) oopre qui il viso di Giulio 11. Il g cane » (!) eon testa e ciuffo d’ uccello di pa- radiso rappresenterebbe * chiaramente B (!) uno dei came- rieri italiani di Sua Santita, accusati talora di cinismo (!).

Il Riohard rileva il gran rosario o collana, formato d’ ova, « allusione diretta alla quaresima, appoggio preoipuo del governo papale ».

Il Péladan invece, più giustamente, a nostro avviso, vede in questa figura Franceseo 1 < oon un gran, mantello, il oollare di S. Miohele, il volto elefantino. Un diavoletto gli porge oon ambe le mani una pesante pantofola, ohe non B di suo gusto, ne visibilmente adatta al 8x10 piede ».

Pure astraendo dalla innegabile rassomiglianza fisiono- mioa, B certo ohe Francwco 1 dovette o per amore, o per forza impantofolarsi più volte e trangugiare la politioa va- tioana di Carlo V, macchiandosi di persecuzioni, di roghi e di sangue.

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220 ~rcmecsco Rabelais

L’ Esm. saambiando per oappelli oardinalizi tre corolle di fiori, vede qui una nuova carioatura di Giulio II.

Il Riohard, punto soddisfatto, immagina di vedere lo stesso Rabelais, minaooioso oontro i Q: dorofagi inghiottitori di nebbia P del prologo al 1. III.

Ipotesi entrambe insostenibili a nostro avviso. Ci limitiamo a rilevare uu’intima parentela tra questa

figura e quelle delle tav. 43 e 52, dove troviamo del pari gambe sbilenche, ginocchia nude, gonnellino sucointo, oon in piU la soopa e un ferro di oavallo appeso oome amuleto.

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Opere 221

Seoondo 1’Esm. avremmo qui la oariootura dì Fra Gianni, aZiaa, oerdinale du Bellay.

No. Questa figura oooulta non l’intona nB 001 oerettere aperto e giooondo ,del monaoo battagliero, nB oon quello de! nobile oerdinsle protettore e quasi fratello spirituale del Rabelais.

Cfr. questo naso, sorretto da un anello ooi nasi parenti delle tav. 33, 91, 106. In questa come nelle tre tsvole indi- oste B oostante il oarattere lussurioeo, bellicoso e ferooe ohe mise a sooquedro 1’ Europa nella prima met& del seoolo XVI: Carlo V.

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228 Francesco Rnbelms

Per 1’Esm. questo sarebbe uno dei tanti uccelli « qour- rnandeurs D presentati dal Rab. al cap. 5 del 1. V.

Per il Richard questo ghiottone è una nuova rappre- sentazione di Quaresimsnte, per antifrasi, LI’ intende.

NB l’uno nB l’altro giustifioano ragionevolmente tali interpretazioni.

Questa figura Q da confrontare con parecchie altre del genere: teste invasate, (tav. 17,19,23,3!3 ecc.) della speoie « timbree f&Bs B (tav. 33 eoo.) e dell’ altre specie: teste ve- getali (85, 115 eoo.), pancie a tamburo (2, 5, 115) e sopra- tutto col fratello carnale portabandiera - pi8 di poroo della tav. 58.

Poi, trovato un ritratto di personaggio contemporaneo che gli assomigli tentare una oonclusione.

l l

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L’ Esm. vuol vedere Ulrico Galletto che versa denaro al re Picrocolo: - ECOO, disse Galletto, 700 mila Filippi... (Rab. 1, 39 e segg.).

Il Richard lo battesima per Giulio 11. Il Péladan riesce, non SO Come, a veder qui una donna

e precisamente Eleonora d’Austria che intriga alla oorte di Francia per i Guisa e pel partito ispano-papista.

No. Questo muso gattesco, calcolatore e feroce non puo appartenere al buono e saggio Galletto, nè somiglia punto a Giulio 11, ne tantomeno ad Eleonora d’Austria.

Somiglia molto al forbicifero della tav. 54. Sar& un cardinale tesoriere? Le monete presentano molti oonii, pareachie eroci, delle palle, altre figure e lettere dell’al- fabeto che sarebbe utile studiare sui disegni originali.. . 80 esistessero.

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5324 Francesco Rabelais

L’ Esm. vede in quel becco d’uccello... una terta di serpente (!) e dice che dev’essere uno dei soliti ncoelli - CJourmandcurs.

Il Eiahard preferisce vedervi un soldato di Pantagruele, forse un capitano dall’ odorato fino.

Ipotesi non molto fondate. Certo B un incendiario che marcia ali’ as;ione preooou-

pato ai non farsi conoscere. E ci riesce. Alouni attributi lo imparentano con figure d’ altre ta-

vole: la tomia con la tav. 33, il corsetto 8llaoaiato eolle tav. 17, 29, 01; la statura e la lnssnria sopratutto colle tav. 17 e 29... M4a poi?

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L> Esm. osservatore sbadato, che ecambia per corna d’Ammone la spirale d’un gusoio di chiocciola, applica a questa ingegnosa figura composita un passo della epopea rabelesiane (V, 6) che dioe: «Non temete, eh8 vino e vi- veri non ci manoherebbero quand’ anohe il cielo fosse di bronco e la terra di ferro D. E aonclude che abbiamo una allegoria dell’isola Sonante, aliae Chiesa cattolica.

Pare a noi di scorgere una parentela fisionomiua tra questo cornuto e le due figure delle tav. 96 e 1CB e che tutte e tre presentino somiglianae coi lineamenti di En- ria0 11,

La lumaca brnoante in questo caso sarebbe Diana di Poitiers.

Resterebbe a stabilire quali allusioni nasoonda questo rebus.

16.

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226 Francesco Rabelais

Avremmo qui un’ altra carioatnra di Giulio 11, che, dice 1’ Esm. « pa& una parte della vita a soffiare il fuoco della guerra presso tutti i popoli d’ Europa B.

Certo mitria, armi, atteggiamento, designeno un alto prelato battagliero; ma quanti prelati trovarono modo di conoiliare il diavolo ~011’ aoqna santa!

Potrebbe essere un vescovo che si regge un po’ su Diana di Poitiers &&j, e un po’ su Caterina (il soffietto oolle palle medicee).

La fisionomia ricorda quelle delle tav. 7, 18, 26,67,99.

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Opere aa

L> Esm. erede riconoscere qui un altro Quaresimante, il quale secondo 1’ epopea rab. (IV, 82) a pesaara in aria e prendeva gamberi (o granchi) deonmani B...

Il nostro pescatore invece pesca proprio nell’acqua 0 prende... un delEno.

Delfino in Francia significa anche erede al trono. Per noi 1’ anfibio Tritone che pesca il delfino puh de-

signare un ammiraglio d’alto fusto. Penseremmo al 00- ligny e a Carlo 1X, se non ci tenessero considerasioni oro- nologiche e fisionomiche.

Comunque crediamo ohe questo personaggio sia lo stesso delle tav. 39, 101.

klentifioato uno, son tre picoioni a una fava,

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228 Francesco Rabelais

Per PEsm. questo bambolotto a bocca aperta, puntellato, imberetmto d’un’arnia a tre penne, oon uno scettro ohe fa da gruooia a una oivetta e oon sospeso a bandoliera un pi8 di porco, raffigurerebbe nientemeno ohe,, . 1’ Antioriato! Per arrivare a tanta interpretazione si afferra a un passo deì- l’epopea rab. ohe non calza molto: u L’ Anticristo è gia nato, a quanto mi si dice, ma per ora si limita a graffiare le sue nutrioi e governanti ». (III, 26).

Il Peladan vede in questo marmoochio Franceseo 11, il ‘primogenito di Enrico 11 e di Caterina de’ Medici, nato dopo undici anni di matrimonio da un riavvioinamento dei ooniugi, operato da un guay o guult, oioè Filiberto de L’Orme, ohe passo dal partito di Diana a quello di Caterina, dai lavori del oastello d’Anet a quelli del Louvre.

«Caterina, scrive il P., avvertita dai suoi undici anni di vedovanza materiale, che Diana aveva disegnato l’estio- sione della ranza dei Valois, s’ingsgnb, oolla oomplicita di Filiberto e del vescovo di Reims, d’isolare una sera Enrioo e ubriaoarlo ». L’ubriaoheaea è feconda: ne nacque l’erede al trono, seguito da una deaina tra eorelle e fratelli.

Che si tratti di Frauoesoo 11 ci pare probabile. E in tal oaeo questo disegno ha una data: 1535. Ma il Péladan non si mostra buon ornitologo saambiando una oivetta per un pappagallo. E che cosa simboleggia la civetta? E le allodole (o vespe) ohe accorrono B Rioordiamo ohe i protestanti erano designati col soprannome di ae@& Ma poi%..

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Opere --

LXXXV

1C’Esm. consiàerando la testa ovoide conolude che questa immagine rappresenta Qnaresimante, il grande ovofago...

Il Richard non 6 soddisfatto di questa interpretazione, ohe accetta faute de mieus.

Noi rileviamo che un concertista di oorhi pub chia- marsi aornaro e invitiamo, coi debiti riguardi, gli ameni ‘lettori ad acaostare questo cornaro aoll’altro gasterooefalo della tav. 105. Poi, raffrontati entrambi oon ritratti del tempo, con tutto agio e liberti (viva la libertA!) traggano le conclusioni.

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L’ Esm. prende vari granchi deonmani seambiando per pentole una borsa, per monete un rosario e per Panurgo, questa grossa donna sdentata, ella quale non sapremmo dare un nome.

Il Richard suppone possa essere 18 carioatura dell’ In- qnisizione.

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