Francesco Prosperi -...

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1 Francesco Prosperi L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista (*) Sommario: 1. Premessa metodologica e delimitazione dell’indagine. – 2. L’abuso del diritto tributario nell’evoluzione giurisprudenziale. – 3. Abuso del diritto tributario, frode alla legge e simulazione. 4. La nullità del contratto tipico elusivo per mancanza di causa: inconfigurabilità. 5. L’abuso del diritto quale principio inespresso di rilevanza costituzionale e il fondamento costituzionale dell’abuso del diritto tributario. 6. Abuso del diritto tributario e adeguatezza del rimedio dell’inopponibilità dell’atto elusivo all’a mministrazione finanziaria. 7. Il contratto elusivo quale abuso della libertà contrattuale. 8. Il falso problema dell’inconciliabilità dell’abuso del diritto con la certezza del diritto oggettivo e l’auspicio di un intervento del legislatore. (*) Il lavoro è destinato agli Scritti in memoria della prof.ssa Giuliana Ciocca e riprende, con taluni approfondimenti e l’aggiunta delle note, la relazione tenuta al Convegno L’abuso del diritto: tra diritto e abuso, organizzato dalla Fondazione Antonio Uckmar con il patrocinio dell’Università di Macerata, svoltosi a Macerata nei giorni 29 e 30 giugno 2012. 1. E’ indubbio che l’elaborazione moderna dell’abuso del diritto si deve alla dottrina e alla giurisprudenza civilistica francese 1 , così come è certo che i numerosi ordinamenti dell’Europa continentale che hanno provveduto a positivizzare il principio lo hanno fatto nell’ambito dei codici civili 2 . Ingenuo sarebbe, tuttavia, ipotizzare che il civilista sia depositario di una competenza superiore a quella di qualsiasi giurista positivo circa l’utilizzazione della figura 3 . Intanto perché la nozione 1 Cfr., per la prima, J. CHARMONT, L’abus de droit, in Rev. trim. droit civ., 1902, p. 113 ; ID., Le droit et l’ésprit démocratique, Montpellier, 1908, p. 88 ; R. SALEILLES, De l’abus de droit, in Bull. soc. étud. legisl., 1905, n. 325 ; L. JOSSERAND, De l’abus de droit, Paris, 1905. Per la seconda, v. la nota decisione della Cour de Cassation 3 agosto 1915, in Dalloz, 1917, I, 705, Coquerel c/Clèment- Bayard. Per l’opinione secondo cui le radici della nozione andrebbero ravvisate nel diritto romano, v., peraltro, G. LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993, p. 120 ss., ritenendo l’abuso del diritto complementare all’exceptio doli. Diversamente, G. GROSSO, Abuso del diritto (Diritto romano) , in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 161 ss. 2 La figura dell’abuso del diritto è regolamentata, tra gli altri, nell’ordinamento tedesco 226 BGB), in quello greco (art. 281 c.c.), dove è stato addirittura costituzionalizzato (art. 25, § 3 della Costituzione del 1975), in quello portoghese (art. 334 c.c.), in quello svizzero (art. 2 c.c.), in quello olandese (art. 13 c.c.) e in quello spagnolo (art. 7 disp. prel. c.c.). Per più ampi ragguagli, v. M. GESTRI, Abuso del diritto e frode alla legge nell’ordinamento comunitario , Milano, 2003, p. 24 ss.; G. VETTORI, L’abuso del diritto. Distingue frequenter, in Obbligazioni e Contratti, 2010, p. 168 ss.). 3 Si condivide, dunque, pienamente l’osservazione che non esiste un primato del diritto civile rispetto al diritto tributario espressa da E. DE MITA, Diritto tributario e diritto civile: profili

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Francesco Prosperi

L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista (*)

Sommario: 1. Premessa metodologica e delimitazione dell’indagine. – 2. L’abuso del diritto tributario nell’evoluzione giurisprudenziale. – 3. Abuso del diritto

tributario, frode alla legge e simulazione. – 4. La nullità del contratto tipico elusivo

per mancanza di causa: inconfigurabilità. – 5. L’abuso del diritto quale principio

inespresso di rilevanza costituzionale e il fondamento costituzionale dell’abuso del diritto tributario. – 6. Abuso del diritto tributario e adeguatezza del rimedio

dell’inopponibilità dell’atto elusivo all’amministrazione finanziaria. – 7. Il contratto

elusivo quale abuso della libertà contrattuale. – 8. Il falso problema dell’inconciliabilità dell’abuso del diritto con la certezza del diritto oggettivo e

l’auspicio di un intervento del legislatore.

(*) Il lavoro è destinato agli Scritti in memoria della prof.ssa Giuliana Ciocca e riprende, con taluni

approfondimenti e l’aggiunta delle note, la relazione tenuta al Convegno L’abuso del diritto: tra

diritto e abuso, organizzato dalla Fondazione Antonio Uckmar con il patrocinio dell’Università di

Macerata, svoltosi a Macerata nei giorni 29 e 30 giugno 2012.

1. E’ indubbio che l’elaborazione moderna dell’abuso del diritto si deve alla

dottrina e alla giurisprudenza civilistica francese1, così come è certo che i numerosi

ordinamenti dell’Europa continentale che hanno provveduto a positivizzare il principio lo hanno fatto nell’ambito dei codici civili

2. Ingenuo sarebbe, tuttavia,

ipotizzare che il civilista sia depositario di una competenza superiore a quella di

qualsiasi giurista positivo circa l’utilizzazione della figura3. Intanto perché la nozione

1 Cfr., per la prima, J. CHARMONT, L’abus de droit, in Rev. trim. droit civ., 1902, p. 113 ; ID., Le

droit et l’ésprit démocratique, Montpellier, 1908, p. 88 ; R. SALEILLES, De l’abus de droit, in Bull.

soc. étud. legisl., 1905, n. 325 ; L. JOSSERAND, De l’abus de droit, Paris, 1905. Per la seconda, v. la

nota decisione della Cour de Cassation 3 agosto 1915, in Dalloz, 1917, I, 705, Coquerel c/Clèment-

Bayard. Per l’opinione secondo cui le radici della nozione andrebbero ravvisate nel diritto romano,

v., peraltro, G. LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993, p. 120 ss., ritenendo l’abuso del diritto

complementare all’exceptio doli. Diversamente, G. GROSSO, Abuso del diritto (Diritto romano), in

Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 161 ss.

2 La figura dell’abuso del diritto è regolamentata, tra gli altri, nell’ordinamento tedesco (§ 226

BGB), in quello greco (art. 281 c.c.), dove è stato addirittura costituzionalizzato (art. 25, § 3 della

Costituzione del 1975), in quello portoghese (art. 334 c.c.), in quello svizzero (art. 2 c.c.), in quello

olandese (art. 13 c.c.) e in quello spagnolo (art. 7 disp. prel. c.c.). Per più ampi ragguagli, v. M.

GESTRI, Abuso del diritto e frode alla legge nell’ordinamento comunitario, Milano, 2003, p. 24 ss.;

G. VETTORI, L’abuso del diritto. Distingue frequenter, in Obbligazioni e Contratti, 2010, p. 168

ss.). 3 Si condivide, dunque, pienamente l’osservazione che non esiste un primato del diritto civile

rispetto al diritto tributario espressa da E. DE MITA, Diritto tributario e diritto civile: profili

2

dell’abuso del diritto investe questioni di teoria generale nei confronti delle quali la

sensibilità e la formazione del civilista non è molto diversa da quella di ogni altro giurista. Inoltre per la ragione che, in assenza di una sua previsione esplicita, la

dottrina civilistica italiana è molto divisa sul modo di intendere un tale principio e

sulla sua stessa configurabilità dal punto di vista logico, cessando evidentemente il diritto dove sia configurabile l’abuso

4.

L’impiego incisivo che dell’abuso del diritto di recente ha fatto la Cassazione in

materia tributaria sollecita, quindi, il civilista a riflettere sul significato e sulla portata

di una nozione tanto controversa, rivolgendo particolare attenzione ai contribuiti offerti al riguardo dai tributaristi.

L’ingresso in ambito tributario dell’abuso del diritto costituisce, del resto,

un’ulteriore prova dell’artificiosità della tradizionale contrapposizione tra diritto pubblico e diritto privato, basata sull’idea profondamente radicata quanto errata che

istituzionali, in Riv. dir. trib., 1995, p. 146. Ancorché alla dottrina civilistica si debba

merito storico di aver elaborato le categorie generali del diritto.

4 “Le droit cesse où l’abus commence”, secondo la nota massima di M. PLANIOL, Traité

élémentaire de droit civil, II, Paris, 1900, p. 269. Nello stesso senso, M. ROTONDI, L’abuso di

diritto, in Riv. dir. civ., 1923, p. 114; F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine di diritto civile, Napoli,

1954 (4° ed.), p. 60 ss.; nonché, recentemente, M. ORLANDI, Contro l’abuso del diritto, in Riv. dir.

civ., 2010, II, p. 147 ss. Formula, peraltro, spesso equivocata, poiché rilevare che l’abuso comincia

dove il diritto finisce non significa negare la configurabilità del fenomeno, ma affermarla, sia pur

riconducendola nell’ambito dell’illecito. V., infatti, F. SANTORO PASSARELLI, o.c., p. 76, il quale,

pur considerando che gli atti che non rientrano nel contenuto del diritto non costituiscono un abuso

del diritto, ma un eccesso dal diritto, ritiene che il contenuto del diritto soggettivo sia delimitato non

soltanto dalle puntuali previsioni di legge (limiti esterni), ma anche da limiti che ineriscono

all’interna struttura del diritto (limiti interni), che sono rappresentati dall’”interesse concreto del

titolare, nel senso che il potere è attribuito a questo […] fin dove con l’interesse astratto coincide

l’interesse concreto; nonché dal principio di solidarietà fra i due soggetti del rapporto, come

partecipi entrambi della stessa comunità”. Per la considerazione che “La dottrina dell’abuso non

contiene contraddizioni né errori”, v., comunque, R. SACCO, L’esercizio e l’abuso del diritto, in G.

ALPA, M. GRAZIADEI, A. GUARNERI, U. MATTEI, P.G. MONATERI, R. SACCO, Il diritto soggettivo,

Torino, 2001, p. 373. In effetti, è stato ben chiarito al riguardo che il riconoscimento (o

l’attribuzione) del diritto e l’esercizio del diritto si pongono su piani diversi, sì che il principio

logico di non contraddizione impone soltanto di escludere che il diritto possa essere al contempo

riconosciuto (o attribuito) e non riconosciuto (o non attribuito), non risultando affatto

contraddittorio ritenere che il profilo dell’esercizio del diritto sia sottoposto ad un giudizio pratico

(governato dal principio della ragionevolezza), poiché non è detto che “l’astratta titolarità di un

diritto […] copra ogni modalità operativa che pretenda di essere suo esercizio” (F. DI MARZIO,

Teoria dell’abuso e contratti del consumatore, in Riv. dir. civ., I, 2007, p. 686). Del resto, l’ipotesi

che un diritto possa essere esercitato al fine di conseguire vantaggi ingiusti risulta positivizzata

dall’art. 1348 c.c. Più dell’ammissibilità sul piano logico della nozione, di cui non dubita neppure la

Corte costituzionale (Corte cost., 5 maggio 1983, n. 132, in Giur. cost., 1983, I, p. 789), si può,

quindi, legittimamente dubitare della sua reale utilità. Cfr., infatti, in senso critico, per tutti, C.

SALVI, Abuso del diritto. I) Diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988, p. 5, secondo il quale l’abuso

del diritto sarebbe un’inutile sovrastruttura aggiuntiva rispetto alla disciplina positiva, essendo

l’attenuazione degli squilibri derivanti dall’esercizio dei diritti soggettivi “già operabile attraverso le

clausole generali contenute nel codice”.

3

l’interesse pubblico sia un interesse giuridicamente superiore a quello privato e non,

invece, un interesse di un ente strumentale preposto alla soddisfazione di interessi finali riferibili sempre e necessariamente ai cittadini o, comunque, a persone fisiche.

Negli ultimi anni, comunque, i punti di contatto tra diritto pubblico e diritto

privato si sono talmente accresciuti che, con specifico riferimento ai poteri di controllo ed iniziativa attribuiti ai cittadini

5, nonché all’evoluzione del processo

amministrativo6, si è giustamente parlato di “civilizzazione” del diritto

amministrativo, immagine che può utilmente richiamarsi anche a proposito della

codificazione dei contratti pubblici, essendo largamente permeata da principi negoziali privatistici.

Proprio in quanto l’ordinamento giuridico deve necessariamente concepirsi come

unitario e coerente, essendo ogni settore tenuto al rispetto dei principi fondamentali dettati dalla Costituzione (e, ormai, dai Trattati europei), suscita più di una perplessità

l’idea che possa applicarsi allo studio della normativa fiscale un metodo

interpretativo proprio, come, invece, sostenuto, sulla scia della dottrina tedesca, dalla

Scuola pavese di Benedetto Griziotti negli anni Quaranta del secolo scorso7. Metodo

definito “funzionale” e in applicazione del quale la soluzione del problema

dell’elusione fiscale era risolto in radice senza far ricorso ad alcun principio generale,

espresso o inespresso che fosse, ma semplicemente muovendo dall’assunto che il tributo è un fatto essenzialmente economico, sì che esso andrebbe applicato avendo

riguardo unicamente alla sostanza economica delle operazioni e non alla loro forma

contrattuale civilistica. Per quanto, infatti, i metodi interpretativi possano essere

diversi, in relazione alla particolare concezione filosofico-politica che si abbia dell’organizzazione giuridica, la scelta relativa deve essere assunta come valida per

l’intero ordinamento giuridico, almeno fin tanto che l’ordinamento si consideri

unitariamente. Ciò detto, va anche sottolineato che l’indicazione prospettata dall’interpretazione

“funzionale” del diritto tributario appare come la risposta più adeguata al problema

5 Cfr., al riguardo, A. FEDERICO, Autonomia negoziale e discrezionalità amministrativa. Gli

“accordi” tra privati e pubbliche amministrazioni, Napoli, 1999, spec. p. 49 ss. 6 V. già M. RENNA, Giusto processo ed effettività della tutela in un cinquantennio di

giurisprudenza costituzionale sulla giustizia amministrativa: la disciplina del processo

amministrativo tra autonomia e "civilizzazione", in Diritto amministrativo e Corte costituzionale, a

cura di G. della Cananea e M. Dugato, Napoli, 2006, p. 505 ss., ed ora il Codice del processo

amministrativo introdotto dal d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

7 B. GRIZIOTTI, Lo studio funzionale dei fatti finanziari, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1940, I, p. 306;

ID., Saggi sul rinnovamento dello studio della scienza delle finanze e del diritto finanziario, Milano,

1953, p. 417 ss.; ID., Pragmatismo e giurisprudenza fiscale, in Il pensiero americano

contemporaneo, Milano, 1958, p. 171. Cfr., altresì, D. JARACH, Le considerazioni del contenuto

economico nell'interpretazione delle leggi di imposta, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1937, II, p. 54 ss.; ID.,

Metodo e risultati nello studio delle imposte di registro, in Dir. prat. trib., 1938, p. 93 ss. In senso

critico, ritenendo che in tal modo si finisca per consentire l’applicazione del tributo a casi non

previsti dalla legge, v. A. UCKMAR, Interpretazione funzionale delle norme tributarie, in Dir. Prat.

Trib., 1949, p. 185.

4

dell’elusione fiscale8. Lo dimostra non soltanto il fatto che la prevalente

giurisprudenza di legittimità ritiene che l’art. 20 del D.P.R. 131/1986 sull’imposta di

registro consenta di dare prevalenza agli effetti economici rispetto alle forme

civilistiche dei contratti9, ma ancor più la circostanza che, a veder bene, ai medesimi

risultati perseguiti dall’interpretazione funzionale si perviene per il tramite del ricorso

all’abuso del diritto. Non v’è dubbio, infatti, che considerando abusivo il contratto

volto a conseguire un risparmio fiscale in assenza di ragioni economiche che

giustifichino l’operazione si consente la disapplicazione della norma fiscale più aderente alla tipologia civilistica dell’atto posto in essere in favore dell’applicazione

della diversa e più sfavorevole disciplina fiscale conforme agli effetti economici che

l’atto stesso è diretto a realizzare10

. Delineata in tal modo la prospettiva dell’indagine che si intende svolgere, è

opportuno precisare subito anche quale ne sarà l’oggetto. In primo luogo si cercherà

di chiarire se la teorica dell’abuso del diritto, così come si è sviluppata in ambito

civilistico, si possa considerare utile a risolvere il problema dell’elusione fiscale o se,

8 Basti pensare che in modo analogo operano i principi dell’economic substance doctrine e

del business purpose elaborati dalla giurisprudenza statunitense fin dagli anni Trenta del secolo

scorso per reprimere l’elusione fiscale (leading case, U.S. Supreme Court Gregoring v.

Helvering, in U.S. Supreme Court Reporter, 293, 1935, p. 465) e che sono stati recentemente

codificati nell’ambito della riforma sanitaria del 2010 (Health Care and Education

Reconciliation Act of 2010), la cui Sezione 1409 ha introdotto una nuova Sezione (la 7701),

nell’U.S. Code. Infatti, l’orientamento della giurisprudenza statunitense al riguardo può

sinteticamente riassumersi nel senso seguente: affinché non si verifichi elusione, con la

conseguente negazione di risparmi d’imposta, l’operazione deve avere una motivazione

economica reale e sostanziale (economic substance) e la relativa finalità (business purpose)

deve realizzare un vantaggio economico a prescindere dal risparmio di imposta.

9 Cfr., da ultimo, Cass., Sez. trib., 30 giugno 2011, n. 14367. Per un’efficace e completa sintesi

degli ordinamenti giurisprudenziali in proposito, G. CORASANITI, L’interpretazione degli atti e

l’elusione fiscale nel sistema dell’imposta di registro, in L’abuso del diritto: tra “diritto” e

“abuso”, Atti preparatori del Convegno dell’Università di Macerata organizzato dalla Fondazione

Uckmar, Macerata, 29-30 giugno 2012, in I “Venerdì di Diritto e pratica tributaria”, p. 89 ss.,

secondo il quale la norma dovrebbe, invece essere interpretata nel senso che l’ufficio deve

procedere, attraverso un’indagine complessiva dell’atto e delle relative clausole, all’individuazione

della reale natura giuridica del medesimo, senza fermarsi all’intitolazione dello stesso ed alla mera

interpretazione letterale, e senza essere vincolato da un’inesatta qualificazione operata dalle parti, e

quindi dal nomen iuris da esse attribuito all’atto, ma non gli è consentito di andare al di là della

qualificazione civilistica e degli effetti giuridici desumibili da un’interpretazione complessiva

dell’atto. E’, peraltro, evidente che la tesi opposta fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità,

secondo la quale la norma prescrive di valutare il profilo sostanziale del negozio realizzato tra le

parti, estendendo l’attività interpretativa anche a elementi extratestuali o al collegamento tra più atti,

risulta rafforzata alla luce dell’esistenza del principio generale di abuso del diritto in materia

fiscale, di cui l’art. 20 del D.P.R. 131/1986 sarebbe una mera applicazione. 10

Che questo sia il risultato cui conduce l’argomento dell’abuso, risultato non ottenibile

attraverso l’interpretazione della lettera della legge in conformità della sua ratio, è chiaramente

sottolineato da A. GENTILI, Abuso del diritto, giurisprudenza tributaria e categorie civilistiche,

in IANUS, 1, 2009, p. 11 s.

5

invece, il suo impiego a tale scopo risulti improprio e, quindi, inadeguato a

sorreggere le conclusioni cui la giurisprudenza è in merito pervenuta. Si procederà poi ad esaminare se il contratto elusivo costituisca una forma di

abuso, oltre che del diritto tributario o, meglio, del diritto soggettivo al risparmio

fiscale, anche della libertà di determinare il contenuto del contratto e, dunque, se il divieto di abuso del diritto riguardi anche gli atti di autonomia privata.

Verranno, infine, dedicate alcune sintetiche considerazioni alla questione, sempre

ricorrente quando si affronta il tema dell’abuso del diritto, se il suo accoglimento sia

compatibile con la certezza del diritto (oggettivo). 2. Quale punto di partenza può essere assunto il concetto essenziale di abuso del

diritto generalmente condiviso, secondo cui esso concerne l’ipotesi in cui un

comportamento, pur integrando formalmente gli estremi dell’esercizio di un diritto soggettivo (o di altra situazione giuridica soggettiva), deve ritenersi, sulla base di

criteri sostanziali, privo di tutela giuridica11

. Sui criteri in base ai quali effettuare una

tale valutazione le posizioni rinvenibili sono, in realtà, molto diversificate, essendosi

fatto appello a criteri psicologici (l’animus nocendi)12

, tecnici (la colpa nell’esercizio del diritto)

13, etico-morali (l’ingiustizia)

14, teleologici (la deviazione del diritto dalla

11 Cfr. in argomento, oltre gli aa. già citati ante, sub note 1 e 4, in particolare, R. MÜLLER

ERZBACH, L’abuso del diritto secondo la dottrina teleologica, in Riv. dir. comm., 1950, I, p. 89 ss.;

SALV. ROMANO, Abuso del diritto: c) diritto attuale, in Enc.dir., I, Milano, 1958, p. 166 ss.; U.

NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano,

in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 37 ss.; V. GIORGIANNI, L’abuso del diritto nella teoria della

norma giuridica, Milano, 1963; P. RESCIGNO, L’abuso di diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 ss.

(ora in L’abuso di diritto, Bologna, 1998, e da qui le ulteriori citazioni); C.M. MAZZONI, Atti

emulativi, utilità sociale e abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1969, II, p. 601 ss.; M. DOSSETTI,

Orientamenti giurisprudenziali in tema di abuso del diritto, in Giur. it., 1969, I, 1, p. 1573 ss.; S.

PATTI, Abuso del diritto, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1987, p. 2 ss.; D. MESSINETTI, Abuso del

diritto, in Enc. del diritto, Aggiorn. II, Milano,1998, p. 1 ss.; A. GAMBARO, Abuso del diritto. II)

Diritto comparato e straniero, in Enc. giur., I, Roma, 1988, ad vocem; U. BRECCIA, L’abuso del

diritto, in L’abuso del diritto, I quaderni di Diritto privato 1997, a cura di M. Furgiuele, III,

Padova, 1998, p. 5 ss.; M. MESSINA, L’abuso del diritto, Napoli, 2004, passim; G. PINO, Il diritto e

il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso del diritto, in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 25 ss.;

C. RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano 2007, passim; AA. VV., Abuso

del diritto e buona fede nei contratti, a cura di S. Pagliantini, Torino, 2010; F. LOSURDO, Il divieto

dell’abuso del diritto nell’ordinamento europeo. Storia e giurisprudenza , Torino, 2011. In materia

fiscale, v., per tutti, P. PISTONE, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995, passim; P.

PIANTAVIGNA, Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, in Studi di diritto tributario,

diretto da G. Tabet e F. Tesauro, Torino, 2011, passim.

12

A. PIROVANO, L’abus de droit dans la doctrine er la jurisrudence francaise, in L'abus de

droit, Inchieste di diritto comparato, a cura di M. Rotondi, 7, Padova 1979, p. 67.

13

J. CARBONNIER, Droit civil: les obligations, Paris, 1985, n. 95. Tesi che conduce a ritenere

che l’abuso costituisca un caso di atto illecito, ma qualificato dalla particolarità della violazione.

Così, in particolare, J. GHESTIN, G. GOBEAUX con il concorso di M. FABRE MAGNAN, Traité de

droit civil. Introduction générale, in Traité de Droit civil, sous la direction de J. Ghestin, Paris,

1994, n. 781.

6

sua funzione sociale)15

, economici (il pregiudizio per i terzi o per la società)16

. Anche

in questo caso si può, peraltro, far riferimento all’opinione più accreditata, e certamente più attendibile, secondo la quale il comportamento del titolare del diritto,

per essere considerato abusivo, deve risultare contrario all’interesse in vista del quale

il diritto è stato attribuito17

, di modo che non trovi giustificazione la lesione provocata all’interesse altrui

18.

In questa chiave va, dunque, valutata la coerenza dell’utilizzo fatto dalla

giurisprudenza della Cassazione dell’abuso del diritto in ambito tributario e, in

particolare, delle decisioni delle Sezioni Unite del 200819

. A parere delle quali, com’è noto, il divieto di abuso del diritto costituisce un principio generale

antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento dei vantaggi fiscali

ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio

d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino

l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Principio antielusivo il

cui fondamento viene rinvenuto nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.) e giudicato conforme al principio

della riserva di legge (art. 23 Cost.), non traducendosi nell’imposizione di obblighi

patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali.

La conseguenza che le Sezioni Unite collegano all’abuso del diritto è quella

dell’inopponibilità del negozio all’amministrazione finanziaria, ritenendo ragionevole

estendere la soluzione adottata dal legislatore in numerose norme specifiche di carattere antielusivo ad ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il

contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da

quelli tipici eventualmente presi in considerazione da norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione.

14

G. LEVI, Mala fede e abuso del diritto, in Sul concetto di buona fede. Appunti intorno ai

limiti etici del diritto soggettivo, Genova, 1912, p. 87 ss.; G. RIPERT, Abus ou relativité des

droits, in Rev. crit. législ. et jur., 1929, p. 33 ss.; J. DABIN, Le droit subjectif, Paris, 1952, p.

295. 1515

L. DUGUIT, Traité de droit constitutionnel, Paris, 1923, p. 295; L. JOSSERAND, De l’esprit des

droits et de leur relativité: théorie dite “de l’abus des droits”, Paris, 1939. 16

P.G. MONATERI, Abuso del diritto e simmetria della proprietà (un saggio di comparative

law and economics), in L’abuso del diritto, I quaderni di diritto privato, cit., p. 116: solo

“quando l’abuso di una parte produce degli spillover effects dannosi per i terzi o per la società,

allora soltanto la teoria dell’abuso può servire come strumento di riallocazione delle prerogative

proprietarie”. 17

U. NATOLI, o.c., p. 26

18

Cfr., in particolare, P. RESCIGNO, o.c., p. 86: “La dottrina dell’abuso di diritto avverte i legami

che corrono tra l’abuso e la mancanza di giusta causa; essa sottolinea come la giusta causa, il

motivo legittimo siano la ‘pietra di paragone’ o l’‘antidoto’ dell’abuso”. 19

Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057, in Corr. trib., 2009, p. 411

ss.

7

Il ricorso all’abuso del diritto si pone, quindi, in questo senso, nel solco della norma

antielusiva c.d. generale prevista dall'art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973 (introdotto dall’art. 7 del d. lgs. 8 ottobre 1997, n. 358), secondo la quale sono, per l’appunto,

inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, fatti e negozi, anche collegati tra

di loro, che siano contemporaneamente privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare norme tributarie e volti ad ottenere una riduzione del carico fiscale altrimenti

indebita. Con l’effetto sostanziale di assoluto rilievo, peraltro, di estenderne la portata

oltre i presupposti specificamente indicati dal terzo comma, che vengono in tal modo

ad assumere carattere esemplificativo e non tassativo20

. In analogia a quanto avvenuto in Francia, dove, a partire dal 2006, si è affermato un orientamento

giurisprudenziale secondo cui anche le operazioni non ricadenti nell’ambito di

applicazione dell’art. 64 del Livre de procédures fiscales potevano essere censurate dall’amministrazione finanziaria sulla base del principio generale del divieto di frode

alla legge tributaria21

. Orientamento che ha indotto il legislatore a riscrivere

integralmente la disposizione, estendendo il divieto di frode alla legge tributaria ad

ogni condotta elusiva di qualunque imposta22

.

20 La norma viene, in particolare, considerata da Cass., Sez. trib., 25 maggio 2009, n. 12042, in

Boll. trib., 2009, 15, p. 1223, con nota di F. BRIGHENTI, una species del genus più ampio dell’abuso

del diritto e, dunque, una disposizione meramente ricognitiva di un principio generale già insito

nell’ordinamento. Rilevano, peraltro, che l’ampliamento della portata della norma dovrebbe

avvenire per via legislativa, M. BASILAVECCHIA, Norma antielusione e relatività delle operazioni

imponibili IVA, in Corr trib., 2005, 1466; M. BEGHIN, Note critiche a proposito di un recente

orientamento giurisprudenziale, in Riv. dir. trib., II, 2008, 467, 472: F. AMATUCCI, L’abuso del

diritto nell’ordinamento tributario nazionale, in Corr. giur., 2009, 4, p. 557. Ritiene, inoltre, che la

decisione della Cassazione costituisca un’interpretazione abrogatrice della norma, nella parte in cui

limita l’applicazione del principio antielusivo alle operazioni ivi tassativamente indicate, F.

TESAURO, La motivazione degli atti di accertamento antielusivi ed i suoi riflessi processuali , in Corr. triib ., 2009,

p. 3634. I principi, tuttavia, non sono semplicemente la somma o la sintesi delle regole che ne

costituiscono l’applicazione, rappresentando la ragione giustificativa delle stesse. Sì che le regole

devono essere interpretate in conformità del principio di cui sono espressione. Cfr., per un tal modo

di operare dei principi, G. PINO, Principi e argomentazione giuridica, in Ars Interpretandi.

Annuario di ermeneutica giuridica, 2009, p. 131 ss., il quale, alla nota 16, cita a tal proposito, tra gli

altri, M. ATIENZA, J. RUIZ MANERO, Ilícitos atípicos. Sobre el abuso del derecho, el fraude de ley y

la desviación de poder, Trotta, Madrid, 2000.

21

Con una significativa coincidenza con l'esperienza italiana, infatti, il Conseil d’État ha

esplicitamente affermato la tesi secondo cui è immanente nell’ordinamento tributario francese un

principio generale che vieta gli atti in frode alla legge fiscale in una serie di casi di dividend

washing. Cfr., al riguardo, in particolare, Cons. d'Ét., 27 septembre 2006, req. 260050, Sté Janfin in

Droit fisc., 2006, n. 47, comm. 744, e Cons. d'Ét., 29 décembre 2006, n. 283314, Bank of Scotland

in Droit fisc., n. 4, comm. 87, entrambe su www. legifrance.gouv.fr.

22

L’attuale versione della norma, introdotta dalla Loi n.° 2008-1443 du 30 décembre 2008, art.

35 (V), così recita: Afin d'en restituer le véritable caractère, l'administration est en droit d'écarter,

comme ne lui étant pas opposables, les actes constitutifs d'un abus de droit, soit que ces actes ont

un caractère fictif, soit que, recherchant le bénéfice d'une application littérale des textes ou de

décisions à l'encontre des objectifs poursuivis par leurs auteurs, ils n'ont pu être inspirés par aucun

autre motif que celui d'éluder ou d'atténuer les charges fiscales que l'intéressé, si ces actes

8

Da altro angolo visuale, valutando l’esito cui sono pervenute la Sezioni Unite in

prospettiva diacronica, si può scorgere una linea evolutiva del sistema nel contrasto all’elusione contributiva certamente coerente e necessaria per far fronte alla

progressiva diffusione dei comportamenti elusivi dei contribuenti, che hanno nel

tempo assunto forme e contenuti sempre più sofisticati e che si avvalgono della facilitazione dei collegamenti transnazionali consentita dalla globalizzazione

finanziaria. Si è, infatti, passati da un ordinamento che ignorava una clausola generale

antielusiva e affidava la reazione all’elusione a specifiche disposizioni23

, alla

previsione di una nozione generale di elusione, pur limitata a particolari situazioni, dapprima per effetto dell’art. 10, l. n. 408 del 1990 e successivamente, come si è

detto, dell’art. 7 del d. lgs. n. 358 del 1997, per finire con l’individuazione, per opera

della giurisprudenza, di un principio generale antielusivo, desumibile dal divieto di abuso del diritto, e, in quanto tale, svincolato da ogni riferimento a fattispecie

tipizzate.

Quadro cui deve aggiungersi, per completezza, il recente orientamento della

Cassazione penale, che ha sancito la punibilità della condotta elusiva che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressamente prevista dalla legge, purché sia

stata superata la soglia minima di punibilità prevista per l'evasione fiscale24

.

Prima, peraltro, di passare ad analizzare l’impianto argomentativo della soluzione indicata dalle Sezioni Unite, mi sembra sia utile ricordare brevemente il contesto che

l’ha originata.

L’intervento delle Sezioni Unite fa, in particolare, seguito ad alcune decisioni

delle Sezioni Tributarie della Cassazione che avevano già fatto ricorso al divieto dell’abuso del diritto in funzione antielusiva, abbandonando il precedente

orientamento espresso dalla sua stessa giurisprudenza, secondo il quale il contratto

elusivo si sarebbe dovuto ritenere nullo per mancanza di causa o per frode alla legge. Benché non si mancasse di segnalare anche in tale ottica “l'emergenza di un principio

tendenziale, che – in attesa di ulteriori specificazioni della giurisprudenza

comunitaria – deve spingere l'interprete alla ricerca di appropriati mezzi all'interno

dell'ordinamento nazionale per contrastare il diffuso fenomeno dell'abuso del diritto, in specie del diritto tributario”

25.

n'avaient pas été passés ou réalisés, aurait normalement supportées eu égard à sa situation ou à ses

activités réelles.

En cas de désaccord sur les rectifications notifiées sur le fondement du présent article, le litige est

soumis, à la demande du contribuable, à l'avis du comité de l'abus de droit fiscal pour la répression

des abus de droit. L'administration peut également soumettre le litige à l'avis du comité.

Si l'administration ne s'est pas conformée à l'avis du comité, elle doit apporter la preuve du bien-

fondé de la rectification.

Les avis rendus font l'objet d'un rapport annuel qui est rendu public. 23

V., al riguardo, C. SCAILTEUR, La frode legale, in Dir. e prat. trib., 1955, I, p. 269 ss.; V.

UCKMAR, La società a ristretta base azionaria, Padova, 1966, pp. 164 e 188 ss. 24

Cass. pen, 28 febbraio 2012, n. 7739, in http://www.cortedicassazione.it

25

Il passaggio è contenuto in Cass., 21 ottobre 2005, n. 20398 in Dir. e giustizia, 2005, 43, p.

21, con nota di D. PLACIDO. Nello stesso senso, Cass., 26 ottobre 2005, n. 20816, in Riv. dir. trib.,

9

Il mutamento di prospettiva è avvenuto sotto la spinta della decisione della Corte

di Giustizia sul caso Halifax26

, secondo la quale «la sesta direttiva in materia tributaria deve essere interpretata come contraria al diritto del soggetto passivo di

detrarre l’iva assolta a monte, allorché le operazioni che fondano tale diritto integrino

un comportamento abusivo»27

. Con la precisazione che affinché “possa parlarsi di comportamento abusivo le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione

formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva, e

della legislazione nazionale che le traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui

concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni” e deve “altresì risultare, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni

hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale”. Con la conseguenza

che «ove si constati un comportamento abusivo, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le

operazioni che quel comportamento hanno fondato».

In quanto le statuizioni della Corte di Giustizia hanno, al pari delle norme

comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni, la Cassazione non poteva che adeguarsi ad una tale indicazione.

Ciò ha fatto con la sentenza del 5 maggio 2006, n. 10353, nella quale si afferma che

«la sesta direttiva aggiunge nell’ordinamento comunitario, direttamente applicabile in quello nazionale, alla tradizionale bipartizione dei comportamenti dei contribuenti in

2006, II, p. 691, con nota contraria di F.M. GIULIANI, Su talune categorie privatistiche evocate da

tre pronunce del Supremo Collegio in tema di elusione-evasione. In termini ancor più chiari si

esprime Cass., 14 novembre 2005, n. 22932, in Giur. trib., 2006, p. 212, con commento critico di

M. BEGHIN, L’usufrutto azionario tra lecita pianificazione fiscale, elusione tributaria e

interrogativi in ordine alla funzione giurisdizionale, a parere della quale emerge dall’art. 37 bis

D.P.R. n. 600/1973 «un principio tendenziale, desumibile dalle fonti comunitarie, e dal concetto di

abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui non possono trarsi

benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale”. La

conclusione che se ne faceva derivare era, peraltro, il “difetto di causa che dà luogo alla nullità del

contratto, non conseguendo dallo stesso alcun vantaggio economico per una parte ma solo un

risparmio fiscale per l’altra». Le decisioni riguardavano tutte il ricorso al dividend washing.

26

Corte Giust., 21 febbraio 2006, nel procedimento C-255/02 Halifax plc e altri c.

Commissioners of Customs & Excise, in Riv. dir. trib., 2007, p. 17 ss., con nota di P. PISTONE,

L'elusione fiscale come abuso del diritto: certezza giuridica oltre le imprecisioni terminologiche

della Corte di Giustizia Europea in tema di Iva; nonché in Rass. trib., 2006, p. 1040 ss., con nota di

C. PICCOLO, Abuso del diritto ed Iva: tra interpretazione comunitaria ed applicazione nazionale; in

Riv. dir. trib., 2006, fasc. 5, pag. 122, con nota di M. POGGIOLI, La Corte di Giustizia elabora il

concetto di "comportamento abusivo" in materia d'Iva e ne tratteggia le conseguenze sul piano

impositivo: epifania di una clausola generale antielusiva di matrice comunitaria?

27

Ricorda opportunamente A. GENTILI, Abuso del diritto, cit., p. 4, che nella Direttiva

77/388/CEE, in G.U.C.E. 13 giugno 1977, n. L 145, “l’elusione fiscale attraverso l’abuso di forme

giuridiche impiegate surrettiziamente, è ripetutamente prevista, ma con metodo casistico, e quindi

con effetti limitati ai casi previsti. Il generale divieto di abuso del diritto comunitario ha però avuto

successivamente una consacrazione come principio generale nell’art. 54 della Carta di Nizza. Ciò

ha favorito un’interpretazione trascendente la casistica. Con la sentenza Halifax, per la prima volta,

questo principio operante come tale anche al di fuori dei casi edittali”.

10

tema di iva, in fisiologici e patologici (propri delle frodi fiscali), una sorta di tertium

genus in dipendenza del comportamento abusivo ed elusivo del contribuente, volto a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale ed autonoma ragione

economica giustificatrice delle operazioni economiche che risultano eseguite in forma

solo apparentemente corretta ma in realtà elusiva»28

. Orientamento che è stato confermato dalla giurisprudenza successiva, la quale ha

avuto modo anche di precisare che: i) «il disconoscimento del diritto alla deduzione

per oneri derivanti da meccanismi elusivi […] prescinde dall’accertamento della

simulazione o del carattere fraudolento dell’operazione»29

; ii) non sono idonee ad escludere l’abusività del comportamento «ragioni economiche meramente marginali e

teoriche, inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al

mero risparmio fiscale»30

; iii) «incombe sul contribuente fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non

meramente marginale o teorico»31

.

A puntualizzare l’opinione della Corte di Giustizia in merito è, poi, intervenuta la

sentenza sul caso Part Service S.r.l.32

, la quale, alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione

33 - per sapere se la nozione di abuso

del diritto, definita dalla sentenza Halifax come “operazione essenzialmente compiuta

ai fini di conseguire un vantaggio fiscale”, fosse da intendere nel senso che l’ abuso di diritto ricorre solo quando la finalità del risparmio di imposta sia l’unica che

giustifica l’operazione, o anche quando questa finalità si accompagni a ragioni

economiche pur assolutamente marginali od irrilevanti -, ha risposto che l’esistenza

di una pratica abusiva può essere affermata anche qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale, ancorché non esclusivo. A parere

dei giudici europei, infatti, l’abuso non è impedito allorché nell’operazione

concorrano - pur marginalmente - altre ragioni economiche, come quelle, ad esempio, ispirate da considerazioni di marketing, di organizzazione e di garanzia.

28

Cass., sez. trib., 5 maggio 2006, n. 10353, in Dialoghi di dir. trib., 2006, p. 741, con nota di

D. STEVANATO, R. LUPI.

29

Cass., Sez. trib., 29 settembre 2006, n. 21221, in Dir. e prat. trib., 2007, II, p. 723, con

commento di A. LOVISOLO, Il principio di matrice comunitaria dell’“abuso” del diritto entra

nell’ordinamento giuridico italiano: norma antielusiva di chiusura o clausola generale antielusiva?

L’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte. 30

Cass., sez. trib., 5 maggio 2006, n. 10353, cit.

31

Cass., Sez. trib., 16 gennaio 2008, n. 8772, in Riv. giur. trib., 2008, p. 695, con commento

critico di S. ORSINI, L’abuso del diritto rende l’atto inefficace: sul contribuente l’onere della

prova.; Cass., Sez. trib., 21 aprile 2008, n. 10257, in Riv. dir. trib., 2008, II, p. 448, con nota di M.

BEGHIN, Note critiche a proposito di un recente orientamento giurisprudenziale incentrato sulla

diretta applicazione in campo domestico, nel comparto delle imposte sul reddito, del principio

comunitario del divieto di abuso del diritto.

32

Corte di Giustizia, 21 febbraio 2008, n. C-425/06, Part Service S.r.l., in Riv. dir. trib., 2008,

IV, 103 con nota di V. LIPRINO, Il difficile equilibrio tra libertà di gestione e abuso di diritto nella

giurisprudenza della Corte di Giustizia: il caso Part Service. 33

Cass., ord., 4 ottobre 2006, n. 21371, in Obbl. e Contr., 2006, p. 1047.

11

L’estensione dell’abuso del diritto alle imposte sui redditi era, quindi già stata

operata dalle sezioni tributarie della Cassazione, ma facendo esclusivamente riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia sul caso Halifax e, dunque, al solo

diritto europeo.

Le Sezioni Unite hanno, pertanto, semplicemente avallato un tale indirizzo, sebbene, come già sottolineato, con l’importante precisazione che l’esistenza del

principio generale antielusivo in tema di tributi non armonizzati deve essere

rinvenuta, come già sottolineato, non nella giurisprudenza comunitaria, bensì “negli

stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano e, in particolare, nei principi di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione»

di cui all'art. 53 Cost.

Con conseguenze notevoli anche sotto il profilo processuale, determinando il rango costituzionale del principio, come del resto il rango comunitario

34, l’obbligo di

applicazione d’ufficio anche nel giudizio di legittimità35

. Sì che l’abuso del diritto in

funzione antielusiva risulta applicabile a prescindere dall’attuazione della procedura

prevista dall’art. 37 bis più volte citato. Esito ritenuto incompatibile con la natura stessa del contenzioso tributario

36 e considerato un “abuso dell’abuso del diritto”

37,

ma che pure risulta meno lesivo del diritto di difesa di quanto appaia se si tiene

dovutamente conto della possibilità di estendere al contenzioso tributario le norme del codice di procedura civile, in virtù del rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del d.

lgs. n. 546/1992. Rinvio che, in particolare, consente di applicare al contenzioso

tributario sia l’art. 183, comma 4, c.p.c., in base al quale il giudice è tenuto ad

indicare alle parti la questione rilevabile d’ufficio, sia il disposto dell’art. 101, ultimo comma, del c.p.c., secondo cui, qualora il giudice ritenga di porre a fondamento della

decisione una questione rilevata d’ufficio, si riserva la decisione assegnando alle

parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta

34

Cfr., con riferimento ad una norma del diritto inglese che avrebbe vietato al giudice britannico

di sospendere in via cautelare l’applicazione di una disposizione interna finché non fosse accertata

la compatibilità con il diritto dell’Unione, Corte Giust., 19 giugno 1990, causa C-213/89,

Factortame, in Giust. civ., 1992, I, p. 851. Analogamente, in relazione ad una norma processuale

belga che precludeva al giudice nazionale la possibilità di valutare d’ufficio la compatibilità di un

provvedimento di diritto nazionale con una disposizione dell’Unione, quando quest’ultima non

fosse stata invocata dal singolo entro un determinato termine, Corte Giust., 14 dicembre 1995, causa

C-312/93, Peterbroeck, in Riv. dir. internaz., 1996, 165. 35

Cass., 21 gennaio 2011, n. 1372, in Il Fisco, 2011, 6, p. 903 ss.; Cass., 11 giugno 2010, n.

11162, in Giust. civ. Mass., 2010, p. 700; Cass., 21 aprile 2010, n. 9476, in Dir. economia

assicur., 2011, p. 378; Cass., 26 febbraio, 2010, n. 4737, in Giust. civ. Mass., 2010, 278; Cass., 21

gennaio 2009, n. 1465, in Giust. civ. Mass., 2009, p. 90; Cass., 28 giugno 2009, n. 15029, in Giust.

civ., 2010, I, p. 2848; Cass., 21 aprile 2008, n. 10257, cit.; Cass., 4 aprile 2008, n. 8772, cit.; Cass.,

17 ottobre 2008, n. 25374, in Giust. civ., 2009, I, p. 1686; Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n.

30057, ivi, 2009, I, p. 2131. 36

F. TESAURO, o.c., p. 3437. 37

G. Z I Z ZO , L’abuso dell’abuso del diritto , in GT Riv. giur. trib., 2008, 6, p. 465.

12

giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti

osservazioni sulla medesima questione38

. Il punto non può, peraltro, essere qui ulteriormente approfondito, come pur

meriterebbe39

, divagandosi altrimenti troppo dal tema di indagine. A proposito del

quale va piuttosto ricordato che all’arresto delle Sezioni Unite sono seguite altre interessanti decisioni delle sezioni tributarie della Cassazione che hanno provveduto

a chiarire e precisare i presupposti per l’applicazione del principio dell’abuso del

diritto, rimanendo, peraltro, all’interno delle indicazioni tracciate dalle Sezioni

Unite40

. Unicamente su queste, dunque, è sufficiente soffermare l’attenzione.

3. L’orientamento ha, in verità, suscitato più critiche che consensi. Da parte di

un’attenta dottrina civilistica si è, in particolare, sostenuto che il ricorso all’argomento dell’abuso, inteso specificamente quale abuso di forme giuridiche,

risulterebbe retorico ed inutile, dato che l’inopponibilità dell’atto elusivo passerebbe

38

A. PODDIGHE, Abuso del diritto e contraddittorio processuale, in Rass. trib., 6, 2009, p. 1830 ss. 39

Interessante è, comunque, in funzione della garanzia del diritto di difesa del contribuente,

anche la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sez. XLII, 21 febbraio 2011, n.

54, in Notariato, 2011, p. 604 ss., con nota critica di A. GIANNELLI, Abuso del diritto con

garanzie procedurali, che si è pronunciata in favore della parità di trattamento delle fattispecie elusive

stabilendo che le garanzie procedimentali previste dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 devono ritenersi operanti

anche nel caso di accertamenti fondati sull’art. 20 del t.u.r. , ovvero sull’abuso del diritto.

40

Cfr., in particolare, Cass., Sez. trib., 12 novembre 2010, n. 22994, in Corr. trib., 2011, p. 13

ss., con nota di G. FRANSONI, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni,

secondo la quale la libertà economica non può essere limitata per ragioni fiscali, sì che non ricorre

l’abuso del diritto nel caso in cui esistano ragioni extra fiscali dirette a migliorare la struttura e

l’efficienza dell’impresa, non essendo tenuto il contribuente a scegliere la via più onerosa (sotto il

profilo fiscale) per realizzare le proprie finalità economiche. Ne deriva che “l’Amministrazione

Finanziaria non può imporre una misura di ristrutturazione diversa da quelle giuridicamente

possibili solo perché tale misura avrebbe comportato un maggiore carico fiscale […]” ed è, inoltre,

tenuta ad indicare nell’atto impositivo il motivo per cui la forma giuridica adottata non sia idonea

rispetto all’operazione intrapresa. In termini analoghi, soprattutto a quest’ultimo proposito, v. anche

Cass., Sez. trib., 17 ottobre 2008, n. 25374, cit.; Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465, cit.;

Cass., 21 gennaio 2011, n. 1372, cit. Cfr, altresì, per l’applicazione dell’abuso al diritto alla pratica

costruttiva di aggiramento delle disposizioni, e anche dei regolamenti comunali, circa la cubatura

degli immobili, per risparmiare sull’imposta di registro e/o pagare meno di IVA, ritenendo,

pertanto, che anche le zone dell’abitazione non abitabili (perché avente soffitto basso) devono

entrare nel calcolo della globale metratura, facendo perdere, così l’agevolazione fiscale prima casa,

Cass., sez. trib., 28 giugno 2012, n. 10807. Per l’esclusione del carattere abusivo della donazione di

un terreno effettuata dal contribuente a favore dei due figli, i quali dal ricavato acquistavano un

immobile ciascuno, atteso che sussistono ragioni economiche apprezzabili che giustificano

l’operazione economica oltre la mera aspettativa del risparmi fiscale, non potendosi dubitare della

volontà del donante di anticipare gli effetti della successione per favorire i propri figli per le scelte

del futuro, quale l’acquisto della prima casa, v., invece, la recentissima decisione di Cass., Sez.

trib., 6 luglio 2012, n. 11357.

13

necessariamente per lo svelamento della realtà economica ad esso sottesa e che l’atto

stesso dissimula e, quindi, per l’impugnativa per frode o simulazione41

. La frode alla legge di cui all’art. 1344 c.c. presenta, in effetti, molti punti di

contatto con l’abuso del diritto, tanto da doversi ritenere una sua manifestazione

sintomatica42

. La norma, infatti, essendo diretta a non consentire alle parti di perseguire un fine illecito mediante la conclusione di un contratto di per sé lecito

43, si

buon ben dire che vieti l’abuso (del diritto di determinare il contenuto) del contratto44

.

41

A. GENTILI, o.c., p. 6 ss. La critica era, in effetti, antecedente alla pronuncia delle Sezioni

Unite e, quindi, riferita all’orientamento delle Sezioni tributarie della Cassazione favorevoli

all’applicazione del divieto di abuso del diritto a fini antielusivi, ma vale, evidentemente, anche per

la decisione delle Sezioni Unite che quell’orientamento ha sostanzialmente avallato.

Sostanzialmente nello stesso senso è orientato G. FALSITTA, Spunti critici e ricostruttivi sull'errata

commistione di simulazione ed elusione nell'onnivoro contenitore detto "abuso del diritto, in Riv.

dir. trib., 2010, 6, p. 349 ss., ritenendo che l’evasione fiscale si risolva sempre in un fenomeno

simulatorio, mentre l’elusione si realizza attraverso concatenazioni di atti, fatti, negozi, architettate

per ottenere risultati "simili" a quelli conseguibili con i negozi previsti dalla norma elusa, evitando

così il più pesante trattamento tributario contemplato da tale norma, operazioni che risultano di

“controvertibile inquadramento”. Ebbene, come si dirà infra nel testo, proprio per far fronte alla

difficoltà di inquadramento delle pratiche elusive sembra utile il riferimento alla categoria

dell’abuso del diritto. 42

Già E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, II ed., ristampa corretta, in Trattato di

diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, XV, 2, Torino, p. 174 ss., identifica la frode alla legge

nell’”abuso del tipo contrattuale”. Sulla medesima linea di pensiero si colloca l’approfondita analisi

di G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla legge, Milano, 1992, spec. pp. 96

ss., 165 ss., che, tra l’altro, collega la frode alla legge all’”abuso delle forme e delle possibilità di

adattamento del diritto civile” introdotto dalla riforma tributaria tedesca del 1919 (§ 5 della

Reichsabgabenordung del 13 gennaio 1919). Giudica, peraltro, riduttiva l’assimilazione della frode

alla legge all’abuso del tipo contrattuale, U. BRECCIA, Contratto in generale, in Trattato di diritto

privato, XIII, Torino, 1999, p. 262 ss. 43

Cfr., per tutti, U. BRECCIA, o.c., p. 257 ss. Per quanto si dirà più oltre a proposito della

nozione di causa, sembra opportuno sottolineare che la norma dell’art. 1344 c.c., nonostante

l’infelice formulazione, presuppone una considerazione della causa come funzione economico-

sociale del contratto. Ciò trova conferma nell’esame del processo di formazione della disposizione.

Nel primo progetto del codice civile il testo della disposizione prevedeva, infatti, che “Il contratto è

nullo quando, pur avendo di per sé causa lecita, costituisce il mezzo per eludere una norma

imperativa o proibitiva”. La Relazione al codice civile (n. 614) precisa, inoltre, che “la legge reputa

che vi sia illiceità quando un contratto, anche di per sé lecito, è stato preordinato al fine di eludere

l’applicazione di norme imperative (art. 1344). Opera qui l’illiceità dell’intento pratico comune ad

entrambe le parti, che in via più generale è preso in considerazione dall’art. 1345”.

44

In effetti, anche quando si convenga con l’opinione secondo la quale “il giudizio sulla frode

alla legge si appunta sul risultato pratico dell’affare: sul suo esaurirsi in fatto nel conseguimento di

un risultato d’interessi che, sulla base di un’interpretazione conforme al reale fondamento pratico

della disciplina, risulti proibito dalla legge con certezza e in maniera assoluta” (U. BRECCIA, o.c., p.

267), non sembra possibile negare che la frode alla legge, intendendo evitare che ” la legalità possa

essere usata contro la legge stessa”, finisca per assolvere alla medesima funzione dell’abuso del

diritto, che è, appunto, quella di non consentire al titolare del diritto (o di altra situazione soggettiva

attiva) l’utilizzazione di uno “schermo a copertura di una condotta arbitraria” (U. BRECCIA, L’abuso

del diritto, cit., p. 13), ovvero uno schermo lecito finalizzato al perseguimento di interessi

14

La possibilità di estendere la fattispecie della frode alla legge alla frode alla legge

fiscale45

, si scontra, tuttavia, con il consolidato indirizzo giurisprudenziale46

secondo cui le norme imperative alle quali si riferisce l'art. 1344 sono unicamente le norme

civilistiche proibitive, le norme, cioè, che vietano il compimento di determinati

negozi47

, e non le norme meramente inderogabili. Convinzione che risulta suffragata dall’ultimo inciso del terzo comma dell’art. 10

dello «Statuto dei diritti del contribuente» (l. 27/07/2000, n. 212), secondo cui «Le

violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere

causa di nullità del contratto». Alla cui luce parrebbe di dover ritenere il contratto

immeritevoli di tutela. Per la considerazione della frode alla legge quale species del genus “abuso

del diritto”, v. M. GESTRI, Mutuo riconoscimento delle società comunitarie, norme di conflitto

nazionali e frode alla legge: il caso Centros, in Riv. dir. int., 2000, p. 71 ss.., spec. p. 97. Conf., P.

PIANTAVIGNA, Abuso del diritto fiscale, cit., p. 20, con la precisazione che la frode alla legge indica

il concetto di specie che ha per oggetto di abuso una norma agendi e non una facultas agendi. Ma

sembrerebbe più corretto ritenere che nella frode alla legge l’aggiramento della regola proibitiva

(norma agendi) sia lo scopo che si persegue abusando della facultas agendi, cioè dell’autonomia

privata.

45

Caso, ovviamente, ben diverso dalla “frode fiscale”, che costituisce una forma di evasione

penalmente rilevante particolarmente grave, quale l’occultamento del presupposto impositivo sotto

un’apparenza di regolarità, mentre la “frode alla legge tributaria” o elusione fiscale integra

l’aggiramento della legge fiscale, essendo volta a realizzare un risparmio fiscale indebito, in quanto

non giustificato da valide ragioni economiche, senza occultare la materia imponibile e utilizzando

mezzi in sé leciti, ma che il legislatore aveva previsto per finalità diverse V., per tutti, S. CIPOLLINA,

La legge civile e la legge fiscale. Il problema dell’elusione fiscale, Padova, 1992, spec. p. 169 .

46

Cass., Sez. III, 19 giugno 1981, n. 4024, in Giust. civ., Mass., 1981, p. 1424 s.; Cass., 27

ottobre 1984, n. 5515, in Foro it., Mass., 1984, c. 1080; Cass., 5 maggio 1989, n. 2127, in Riv. not.,

1989, p. 930; Cass., 5 novembre 1999, n. 12327, in Giust. civ., Mass., 1999, p. 2195; Cass., 3

settembre 2001, n. 11351, ivi, 2001, p. 1638; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4785, in Giust. civ., 2007,

p. 1512. In senso opposto si pone, tuttavia, Cass., 26 ottobre 2005, n. 20816, in Dir. prat. trib.,

2006, II, p. 248, con nota di G. CORASANITI, La nullità dei contratti come strumento di contrasto

alle operazioni di dividend washing nella recente giurisprudenza della Suprema Corte, e parte della

dottrina. Cfr., in particolare, F. GALLO, Elusione, risparmio di imposta e frode alla legge, in Riv.

dir. comm., 1989, I, p. 377 ss.; G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano,1993,

p. 253 s. 47

Cfr. L. CARRARO, Il negozio in frode alla legge, Padova, 1942, p. 170 ss., secondo cui le

leggi tributarie si limiterebbero a porre determinati fatti a presupposto del dovere di

contribuzione, senza imporre direttamente alcuna proibizione o alcun obbligo. Nello stesso

senso, R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. al cod. civ. a cura di A. Scialoja e

G. Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 324; F. SANTORO PASSARELLI, o.c., p. 192. Secondo altra

opinione, tuttavia, a focalizzare il fenomeno della fraudolenza sarebbe necessaria la distinzione

tra norme materiali e norme formali, intendendo per le prime le norme imperative che

proibiscono di raggiungere un certo risultato, qualunque siano i mezzi impiegati per

raggiungerlo, e per le seconde le norme imperative che proibiscono di raggiungere un risultato

con determinati mezzi, consentendo quindi implicitamente di raggiungerlo con altri mezzi. Così,

U. MORELLO, Frode alla legge, in Dig. IV, Disc. Priv., Sez. civ., VIII, 1992, pp. 501 ss. In

termini analoghi, v. già T. ASCARELLI, Il negozio indiretto e le società commerciali, in Studi di

diritto commerciale in onore di C. Vivante, Roma, 1931, p. 23 ss.

15

concluso in violazione di norme tributarie illegale e non illecito, non potendo il

contratto illecito che essere nullo (arg. ex art. 1418, comma 1 e 2, c.c.)48

. Con l’ulteriore conseguenza di dover escludere che le leggi tributarie siano di ordine

pubblico, risultando altrimenti inconcepibile la sottrazione alla sanzione della nullità

del contratto contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico49

. Il ricorso all’abuso del diritto si rende, dunque, necessario non tanto perché la

frode alla legge non costituisca essa stessa un’ipotesi di abuso del diritto, quanto

piuttosto per sanzionare gli usi del contratto immeritevoli di tutela che pur non

rientrino nella fattispecie della frode alla legge, dalla quale, appunto, come si è detto, deve essere espunto il contratto in frode alle norme fiscali.

Per quanto concerne, invece, la simulazione, essa presuppone un contrasto tra

l’atto apparentemente posto in essere dalle parti e gli effetti sostanziali dalle stesse realmente voluti, discrepanza che non sussiste nel contratto elusivo, che è diretto a

realizzare gli effetti realmente voluti, ancorché al solo fine di ottenere un risparmio

fiscale50

.

Né vale obiettare che, mancando per definizione di una sostanza economica corrispondente, altrimenti non configurandosi alcuna indebita elusione, le forme

dell’atto elusivo sono “vere e volute” solo per i fini fiscali, così come ogni atto

simulato è formalmente “voluto” almeno nella misura necessaria a poterlo opporre al terzo che simulando si tenta di ingannare

51. Si può, infatti, definire simulato soltanto

48

Per la lettura della norma che riferisce il primo comma alla fattispecie autonoma del contratto

meramente illegale per generico contrasto con norme imperative, e il secondo comma al contratto

propriamente illecito, che ricorrerebbe soltanto quando gli effetti del contratto contrastano con i

principi di ordine pubblico o con norme imperative che di per sé appartengono all’ordine pubblico,

cfr. Cass., 12 novembre 2002, n. 15880, in Guida dir., 2003, 2, p. 63. In dottrina, v., per tutti, V.

ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 746 ss., che pur ritiene maggiormente utile la distinzione tra

contratti illegali (nulli) e contratti irregolari (validi seppur sanzionati dall’ordinamento), collocando

tra questi ultimi il contratto che viola o elude norme fiscali, considerato civilmente valido e colpito

non con la cancellazione degli effetti, bensì con sanzioni fiscali o la perdita di benefici fiscali. 49

La questione ha risvolti particolarmente importanti in ambito penale, poiché ove si ritenesse

che le leggi tributarie siano di ordine pubblico, l’istigazione alla disobbedienza fiscale integrerebbe

il delitto di cui all’art. 415 c.p. Eventualità esclusa dalla giurisprudenza, la quale, mutando il proprio

orientamento, ha ritenuto che nella previsione di detta norma rientra esclusivamente la condotta

istigatrice a disobbedire alle leggi dell'ordine pubblico "di polizia", che sono quelle che tendono a

tutelare "il buon assetto e il regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono, nella

collettività, l'opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza" (Cass. pen., sez. I, 17 novembre

1989, n. 16022, in Rass. impr., 1991, p. 157. Contra, Cass. pen., sez. III, 23 novembre 1985, n. 865,

in Riv. pen., 1986, p. 598; Cass. pen., sez. I, 28 aprile 1987, n. 2769, in Rass. trib., 1988, II, p. 60,

con nota di L.D. CERQUA). Essendo, tuttavia, il concetto di ordine pubblico variabile a seconda del

contesto in cui è destinato ad operare, è evidente che una tale definizione non si può considerare di

per sé valida anche per il diritto civile. 50

Cfr., per tutti, con specifico riguardo alla distinzione tra negozio simulato e negozio in frode

alla legge, L. CARRARO, o.c., p. 104 ss.; S. PUGLIATTI, La simulazione nei negozi giuridici

unilaterali, in ID., Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica, Milano, p. 572. 51

A. GENTILI, o.c., p. 19.

16

l’atto non realmente voluto, mentre l’ipotesi dell’atto voluto ma privo della sostanza

economica corrispondente pone il diverso problema della qualificazione dell’atto, come è esemplificato dalla vendita nummo uno

52, o, al limite, della nullità dell’atto

per mancanza di causa53

.

4. Il contratto non avente altro scopo che quello di perseguire un vantaggio fiscale non sembra, tuttavia, che possa essere ritenuto nullo per mancanza di causa, come

invece affermato inizialmente dalla Cassazione nei casi di dividend washing 54

. Ciò

per la ragione che, distinguendo nettamente il codice civile la causa dai motivi anche

quando questi siano comuni alle parti e determinanti del consenso (art. 1345 c.c.), per causa deve necessariamente intendersi la funzione che il contratto è obiettivamente in

grado di svolgere a prescindere dalle ragioni concrete e contingenti che hanno spinto i

contraenti a concluderlo55

. Sì che, se il contratto tipico concluso al solo scopo di

52 Contratto che, dovendosi escludere che persegua un’effettiva finalità di scambio, andrebbe

qualificato, in conformità con la sua causa reale, come donazione. Cfr., in questo senso, G.B. FERRI,

La vendita in generale, in Trattato dir. priv. diretto da P. Rescigno, 11, Torino, 1984, p. 211; C.M.

BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ. diretto da F. Vassalli, Torino, 1993, p. 68; F.

GALGANO, Vendita (Diritto privato), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, p. 486; A. LUMINOSO, La

compravendita. Corso di diritto civile, Torino, 2005, p. 20; Cass., 24 febbraio 1968, n. 632, in

Giust. civ., 1968, I, 1475; Cass., 24 novembre 1980, n. 6235, in Rep. Foro it., 1980, voce Vendita,

n. 39. Allo stesso modo si dovrebbe procedere nei casi di dividend stripping, qualora si dovesse

ritenere che gli effetti del contratto, voluti dalle parti, siano incompatibili con la costituzione di un

usufrutto dando vita, piuttosto, ad un mutuo garantito dalla cessione di determinati dividendi futuri.

V., in questo senso, R. LUPI, Usufrutto di azioni: una norma antielusione non si può inventare, in

Rass. trib., 1995, p. 1536 ss., il quale, peraltro, esclude che nella circostanza ricorra un’antinomia

tra il momen iuris del contratto e il suo contenuto sostanziale. 53

Si pronuncia in questo senso, in relazione alla vendita nummo uno, la giurisprudenza più

recente. Cfr., in particolare, Cass., 28 agosto 1993, n. 9144, in Foro it., 1994, I, c. 2489, con

nota di F. CARINGELLA; Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, ivi, 1993, I, c. 1506; Cass., 15

giugno 1999, n. 5717, in Giust. civ., 2000, I, p. 135, ma sulla base della mancanza

nell’acquirente di una qualsiasi seria volontà di pagare il prezzo concordato. Per la dottrina

favoerevole alla nullità, v., per tutti, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, p.

1014. 54

V. le citazioni sub nota 25.

55

E’ noto che, sotto l’impulso di un’autorevole opinione (G.B. FERRI, Causa e tipo nella teoria

del negozio giuridico, Milano 1966; ID., L’”invisibile” presenza della causa del contratto, in Eur.

dir. priv. 2002, p. 897 ss.; ID., Tradizione e novità nella disciplina del negozio giuridico, in Riv. dir.

comm. 1986, I, p. 127 ss.; ID., Negozio giuridico in Dig. disc. priv. sez. civ. XI, Torino 1994, ad

vocem; ID., Equivoci e verità sul negozio giuridico e la sua causa, in Riv. int. fil. dir. 2008, p. 171

ss.), che ha riscosso ampia adesione in dottrina (cfr., fra gli altri, F. GALGANO, Il contratto, Padova

2007, p. 143 ss; F. GAZZONI, o.c., p. 807 ss.; R. SACCO, Il contratto, Torino 2004, p. 792 ss.; V.

ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv. a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2011, p. 369 ss.), nella

giurisprudenza di legittimità si è avuta una progressiva adesione alla concezione della causa come

funzione economico – individuale, ovvero della concezione della causa “in concreto” quale sintesi

degli interessi reali delle parti (v., in particolare, Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in I Contratti

2007, p. 621 ss.; Cass., 24 luglio 2007, n. 16315, in Nuova giur. civ. comm. 2008, p. 542 ss., con

commento di S. NARDI, Contratto di viaggio, “tutto compreso” e irrealizzabilità della sua funzione

concreta; Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958, in Corr. giur. 2008, p. 921, con nota sostanzialmente

17

risparmio fiscale risulta di per sé idoneo a realizzare la funzione sociale o giuridica56

che gli è propria, non può considerarsi privo di causa, né in astratto, né in concreto57

,

adesiva di F. ROLFI, Funzione concreta, inutilità della prestazione e causa concreta: la Cassazione

e la rielaborazione del concetto di causa del contratto; Cass. 24 aprile 2008, n. 10651, in Dir. del

turismo 2008, p. 349 ss., con nota critica di V. CORONA, La tipizzazione della “finalità turistica”

tra presupposizione e criteri di ripartizione del rischio; Cass., 7 ottobre 2008, n. 24769, in Giur. it.

2009, p. 1655 ss., con nota di A. GALATI, Brevi osservazioni in tema di “causa concreta” del

contratto; Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Danno resp. 2009, p. 4 ss.). Un tale

orientamento non può, tuttavia, essere condiviso, confondendo la funzione oggettiva per la quale il

contratto è stato previsto dal legislatore con gli interessi soggettivi che muovono le parti a

concluderlo, confusione che comporta un’inammissibile lettura abrogante degli artt. 1344 e 1345

c.c., essendo evidente che se le finalità di aggiramento di una norma imperativa e i motivi illeciti

che muovono le parti a concludere il contratto finissero per riflettersi sulla causa, a decretare la

nullità del contratto sarebbe sufficiente la disposizione dell’art. 1343 c.c. (v., infatti, in riferimento

alla frode alla legge, G.B. FERRI, Il negozio giuridico fra libertà e norma, Rimini, 1992, p. 190,

nota 212, per il quale il «fenomeno della fraudolenza tende […] a riassorbirsi in quello della

contrarietà alla norma: e dunque l’art. 1344 c.c. nell’art. 1343 c.c. del quale, il primo finirebbe per

rappresentare una sorta di doppione». In senso conforme, F. GAZZONI, o.c., p. 824). Né l’autonomia

della frode alla legge può rivendicarsi ritenendo che concerna l’ipotesi in cui l’atto di per sé lecito si

inserisca in una più complessa operazione economica volta a perseguire un interesse elusivo per la

cui realizzazione esso si pone come mezzo necessario (v., in questo senso, C.M. BIANCA, Diritto

civile, 3, Il contratto, Milano, 1999, p. 625 ss.), poiché nella concezione della causa quale sintesi

degli interessi reali perseguiti dalle parti sembra inevitabile che debba essere individuata nella

funzione complessiva che i singoli atti tra loro collegati sono diretti a perseguire. Sì che, se la causa

complessiva dell’operazione è illecita, l’illiceità non potrà non estendersi alle cause dei singoli

contratti ad essa strumentali, essendo in concreto diretti a perseguire una finalità illecita.

Per una penetrante critica alla concezione della causa intesa come sintesi degli interessi reali delle

parti, v., comunque, A. GALATI, La causa del contratto tra “funzione economico-sociale” e “sintesi

degli interessi individuali delle parti”, in Enc. giur. Treccani, 2009, ad vocem. 56

La definizione della causa del contratto come la funzione sociale dell’intero negozio, dei cui

elementi essenziali e costitutivi rappresenta la sintesi, si deve, com’è noto, a E. BETTI, Teoria

generale del negozio giuridico, cit., p. 170 ss., mentre la configurazione della causa come funzione

giuridica dell’atto, ovvero come sintesi degli effetti giuridici essenziali del contratto previsti dalla

norma, concezione che vale a depurare la causa da ogni connotazione politica e ideologica, è opera

di S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, in Diritto civile, cit., p. 18. 57

Una causa, intesa in senso soggettivo come ragione pratica che ha spinto le parti a concludere

il contratto, sarà, in effetti, sempre presente. Nella concezione oggettiva della causa, tuttavia, non

v’è alcuna necessità di contrapporre la causa "in concreto" alla causa in astratto o al tipo,

costituendo la causa astratta il parametro entro cui la causa concreta può e deve operare, poiché la

“ragione pratica” perseguita dalle parti non è fine a se stessa, ma rappresenta un “interesse sociale

oggettivo e socialmente controllabile […] come i diritti soggettivi, anche i poteri di autonomia non

debbono essere esercitati in contrasto con la funzione sociale cui sono destinati” (così, E. BETTI,

o.c., p. 170). Qualora, infatti, la funzione tipica del contratto non ricorresse nella causa concreta,

cioè nel particolare assetto di interessi che il contratto è diretto a realizzare, un tale contratto

sarebbe atipico, ponendosi, quindi, l’esigenza di valutarne la causa non soltanto in termini di licietà,

come richiesto dall’art. 1343 c.c., ma anche con riguardo al diverso profilo della meritevolezza di

tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. Duplicità di giudizio naturalmente negata dalla dottrina

che considera la causa come funzione economico-individuale, non essendovi possibilità in

quest’ottica di considerare la funzione dei contratti tipici in modo diverso da quella dei contratti

18

potendo soltanto sollevarsi il dubbio che sia affetto da nullità per frode alla legge o

per illiceità dei motivi, equivalendo, appunto, gli interessi particolari delle parti che nella specifica circostanza il contratto è diretto a soddisfare ai motivi e non alla causa.

Dubbio che, tuttavia, si dissolve immediatamente alla luce di quanto detto a proposito

del contratto in frode alla legge: non integrando l’elusione di norme fiscali la frode alla legge deve, evidentemente, escludersi la illiceità dei motivi di ogni contratto

orientato in tal senso.

Si può, dunque, affermare che il ricorso all’abuso del diritto in funzione

antielusiva si rivela utile a superare i limiti e le incongruenze evidenziati dai tentativi di contrastare le pratiche elusive attraverso le categorie civilistiche della nullità.

Neppure si può dubitare della intrinseca ragionevolezza della soluzione, posto che va

nel senso suggerito da tempo dalla dottrina specialistica più avvertita58

e considerato che il divieto di abuso del diritto è espressamente regolato dalla nome tributarie di

numerosi Paesi europei e, in particolare, dal § 42 della legge generale tributaria

tedesca, che prevede l’abuso di conformazione giuridica facendone derivare

l’inefficacia rispetto al fisco59

. Probabilmente è questa disposizione che ha ispirato la Corte di Giustizia

nell’opera di individuazione dell’abuso del diritto al risparmio fiscale come principio

sotteso al diritto comunitario60

. Ed è, evidentemente, a questa concezione di abuso che hanno aderito le Sezioni

Unite, che, come appunto avviene nell’ordinamento tedesco, ne hanno individuato la

conseguenza nell’inopponibilità all’erario e non nella nullità dell’atto.

5. Ciò posto, resta ovviamente da stabilire se sia consentito supplire alla mancanza nel nostro ordinamento di una norma analoga a quella contenuta nella legge tributaria

atipici, la quale è, di conseguenza, indotta ad appiattire il giudizio di meritevolezza su quello

legittimità (per tutti, G.B. FERRI, Causa e tipo, cit., p. 406 ss.), o, addirittura, su quello

volontà di vincolarsi giuridicamente (F. GAZZONI, o.c., p. 771). 58

V., in particolare, P.M. TABELLINI, L’elusione fiscale, Milano, 1988, spec. p. 123, che

riteneva fosse ricavabile dal sistema una ratio antielusione che consentiva di disconoscere gli

effetti tributari dell’operazione antielusiva.

59

Il cui testo, riformato da ultimo nel 2007 (con entrata in vigore il 1° gennaio 2008), recita: «1.

La legge tributaria non può essere elusa attraverso un abuso di conformazione giuridica. Se la

fattispecie di un negozio è prevista da una specifica norma tributaria intesa ad impedire l’elusione

fiscale, i suoi effetti saranno quelli previsti da questa norma. Negli altri casi la pretesa tributaria

deriva dalla sussistenza dell’abuso, nel significato previsto dal 2° comma, nella stessa misura in cui

sarebbe derivata se fosse stata utilizzata una conformazione giuridica adeguata alla pratica degli

affari.

2. Sussiste un abuso quando viene scelta una conformazione inadeguata, che determina per il

soggetto d’imposta o per il terzo un vantaggio fiscale non previsto ove fosse stata utilizzata una

forma adeguata. Ciò non vale ove il soggetto di imposta provi che esistono ragioni, diverse da

quelle fiscali, di particolare rilevanza nel quadro complessivo del rapporto, che giustificano la

scelta». 60

V., in questo senso, A. GENTILI, o.c., p. 18. Cfr., altresì, per più ampie valutazioni al

riguardo, P. PISTONE, L’abuso del diritto nella giurisprudenza tributaria della Corte di

Giustizia dell’Unione europea, in Dir. e prat. trib. int., 2012, 2, p. 431 ss.

19

tedesca richiamando un principio inespresso e oltremodo controverso come quello del

divieto di abuso del diritto. Che i principi, così come le norme, possano essere inespressi e, dunque, possano

essere desunti da un complesso di regole o, anche, dall’intero ordinamento, è, in

verità, pacifico61

. Del resto, lo stesso principio della certezza del diritto, che viene tradizionalmente opposto all’ammissibilità nel nostro ordinamento del divieto di

abuso del diritto, è, notoriamente, un principio inespresso62

.

Si è, tuttavia, dubitato che sia corretto desumere in via interpretativa l’operatività

del divieto di abuso del diritto in ambito fiscale direttamente dalle norme costituzionali, le quali, essendo essenzialmente rivolte a porre i parametri che devono

essere rispettati nella produzione legislativa, sarebbero inidonee a regolare concreti

rapporti fiscali, valendo, tutt’al più, a far ritenere che la mancanza di una clausola generale antielusiva costituisca, nel nostro ordinamento, una lacuna alla quale il

legislatore dovrebbe porre rimedio63

.

Una tale considerazione critica non può, tuttavia, essere accolta, trascurando,

innanzi tutto, che la Costituzione è legge fondamentale della Repubblica italiana e che, quindi, come ogni altra legge, è un atto normativo che contiene disposizioni

precettive vincolanti per tutti i cittadini oltre che per gli organi dello Stato, secondo

quanto, del resto, espressamente enunciato dall’ultimo comma dell’art. XVIII delle Disposizioni transitorie e finali della Carta

64.

61

Cfr., per tutti, V. CRISAFULLI, Disposizione (e norma), in Enciclopedia del diritto, XIII,

Milano, 1964, p. 197; R. GUASTINI, Principi di diritto, in Digesto delle discipline civilistiche, vol.

XIV, Torino, 1996, p. 341 ss.; D. MESSINETTI, I principi generali dell’ordinamento. Il pluralismo

delle forme del linguaggio giuridico, in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 13. 62

Cfr., al riguardo, l’approfondita analisi di G. ALPA, I principi generali, Milano, 2006, p. 335

ss., la sintesi della quale sembra potersi racchiudere nella considerazione espressa a p. 344: “ […] la

certezza del diritto è un mito necessario per la sussistenza stessa del diritto ed è un problema a cui

di volta in volta legislatori e giuristi debbono dare una soluzione plausibile se vogliono mantenere

in vita lo Stato di diritto”.

63

Cfr., in questo senso, S. CIPOLLINA, Elusione fiscale ed abuso del diritto: profili interni e

comunitari, in Giur. it., 2010, I, p. 1224, secondo la quale il principio di capacità contributiva

richiede “la mediazione necessaria della norma fiscale ordinaria, che identifica la fattispecie legale e

quindi fornisce i parametri per la sua valutazione”.

64

Ciò, in effetti, risulta chiaro fin dalla prima sentenza della Corte costituzionale (14 giugno

1956, n.1, in www.giurcost.it), avendo affermato che ” la nota distinzione fra norme precettive e

norme programmatiche può essere bensì determinante per decidere della abrogazione o meno di una

legge, ma non é decisiva nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità

costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla sua non conciliabilità con

norme che si dicono programmatiche, tanto più che in questa categoria vogliono essere comprese

norme costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a tracciare programmi generici

di futura ed incerta attuazione, perché subordinata al verificarsi di situazioni che la consentano, a

norme dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che non può non vincolare

immediatamente il legislatore, ripercuotersi sulla interpretazione della legislazione precedente e

sulla perdurante efficacia di alcune parti di questa; vi sono pure norme le quali fissano principi

fondamentali, che anche essi si riverberano sull'intera legislazione”.

20

Si dimentica, inoltre, che la presenza di lacune costituisce una delle ipotesi meno

discusse di applicazione diretta delle norme costituzionali da parte del giudice comune

65, dato che, esprimendo tali norme principi generali dell’ordinamento

giuridico, esse, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 12, comma 2, delle

disposizioni preliminari del codice civile, soccorrono ove la soluzione del caso non previsto non sia individuabile con il ricorso all’analogia legis

66.

Emblematica è, in tale senso, la decisione della Cassazione sul caso Englaro67

, che, in

presenza di un chiaro caso di persistente lacuna normativa, enucleando il principio di

diritto al quale il giudice di rinvio avrebbe dovuto conformarsi, stabilì che, nei casi che implicano la tutela del diritto alla salute e del diritto alla vita, il fondamento

giuridico, e quindi la norma applicabile, va desunto direttamente dall’interpretazione

congiunta di norme di rango costituzionale, ovvero dagli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost., da cui emergerebbe l’affermazione della libertà di autodeterminazione terapeutica e

quindi della libertà di scelta per il paziente, a seguito di consenso informato, anche di

rifiutare o interrompere la terapia in tutte le fasi della vita.

Innumerevoli sono, comunque, i casi di applicazione diretta delle norme costituzionali da parte del giudice comune in presenza di lacune della legge,

soprattutto, ma non soltanto, in tema di salute e di retribuzione del lavoro

subordinato68

. Oltre ciò, va sottolineato che è lo stesso legislatore ordinario ad individuare nelle

norme costituzionali il fondamento del divieto di comportamenti fiscalmente

scorretti, affermando l’art. 1 dello Statuto del contribuente che le disposizioni ivi

contenute costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione.

Si deve, infine, ricordare che l’abuso di diritto come principio inerente a tutte le

situazioni giuridiche patrimoniali è stato giustificato dalla dottrina civilistica anche, se non soprattutto, sulla base del dettato costituzionale e, in particolare, degli artt. 2 e

65

Così, tra gli altri, E. NAVARRETTA, Complessità dell’argomentazione per principi nel

sistema del diritto privato, in Riv. dir. civ., 2001, p. 779 ss., tenendo ferma la distinzione tra

applicazione diretta della Costituzione, da limitare, appunto, ai casi di lacuna dell’ordinamento,

e suo uso interpretativo. Distinzione che, peraltro, a parere di P. PERLINGIERI, Giustizia secondo

Costituzione ed ermeneutica. L’interpretazione c.d. adeguatrice, in Interpretazione a fini

applicativi e legittimità costituzionale, a cura di P. Femia, Napoli, 2006, p. 1 ss., ha ormai

perduto qualunque significato. 66

È, peraltro, evidente che i principi generali dell’ordinamento costituzionale, in quanto

posti all’apice della gerarchia delle fonti, devono sempre guidare l’interpretazione delle

disposizioni della legge ordinaria. Cfr, in particolare, P. PERLINGIERI, L’interpretazione della

legge come sistematica ed assiologia. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo

dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, p. 1007 ss. 67

Cass., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, in Corr. giur., 2007, 12, p. 1676 ss. 68

V., per un’ampia panoramica, S. MORELLI, L'applicazione diretta della costituzione nei

rapporti interindividuali, in Giust. civ., 1997, II, p. 537 ss. e M. R. MORELLI, Materiali per una

riflessione sulla applicazione diretta delle norme costituzionali da parte dei giudici, ivi, 1999,

II, p. 1 ss.

21

3, comma 269

. Il richiamo dell’art. 53 Cost. operato dalle Sezioni Unite a

giustificazione dell’estensione del divieto di abuso ai rapporti tra contribuenti e amministrazione finanziaria si pone, dunque, lungo questa linea di pensiero e non si

può, pertanto, considerare in alcun modo metodologicamente scorretto. L’elusione

fiscale non è, infatti, che una ipotesi specifica dell’abuso del diritto, così come l’art. 53 Cost. costituisce applicazione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e

del principio di eguaglianza proclamato dall’art. 3 Cost.70

, che sono i medesimi

principi che danno fondamento costituzionale alla teorica dell’abuso del diritto.

Lo stesso percorso argomentativo è, d’altra parte, rinvenibile nella configurazione dell’abuso del processo, cui, per l’appunto, la giurisprudenza è pervenuta ritenendo

l’uso distorsivo dello strumento processuale, per un verso, lesivo dei generali canoni

della buona fede oggettiva e della correttezza relazionale - in quanto contrastante, in ottica sostanziale, con il dovere di solidarietà enucleato dall’art. 2 Cost. -, e, per altro

verso, dissonante, in ottica processuale, con la garanzia prescrittiva del giusto

processo assicurata dall’art. 111 Cost.71

.

Ciò posto, è importante sottolineare che l’ancoraggio della figura dell’abuso del diritto ai principi costituzionali consente di depurarla da ogni connotazione

soggettivistica e di fondarne, quindi, il giudizio unicamente sulla congruità dell’atto

in relazione ai valori sociali oggettivati nell’ordinamento. Si supera in tal modo l’idea che l’animus nocendi sia un elemento costitutivo della nozione di abuso del diritto e

ciò spiega perché la giurisprudenza della Cassazione, nell’applicare la figura

all’elusione fiscale, prescinda da ogni indagine sui motivi individuali che hanno

determinato il compimento dell’atto elusivo e ponga a carico del contribuente l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non

meramente marginale o teorico72

.

6. La conseguenza che le Sezioni Unite fanno derivare dall’abuso del diritto è, come già sottolineato, quella dell’inopponibilità dell’atto all’amministrazione

finanziaria, cioè dell’inefficacia relativa.

Anche una tale indicazione appare coerente con l’elaborazione dottrinale in tema

di abuso.

69

P. RESCIGNO, o.c., p. 131.

70

Cfr., al riguardo, G. FALSITTA, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come

clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali,in

Corr. giur., 2009, 3, p. 299, che considera l’interpretazione antielusiva o antiabuso una clausola di

giustizia nella ripartizione del carico tributario tra i consociati che dà concretezza al principio

costituzionale di eguaglianza. 71

Cfr., in particolare, Cass., 22 dicembre 2011, n. 28286, in www.cortedicassazione.it, che fa

conseguire all’abuso del processo l’improponibilità della domanda giudiziale; Cass., Sez. Un., 15

novembre 2007, n. 23726, in Guida al dir., 2007, 47, p. 28, con nota di critica di M. FINOCCHIARO,

Una soluzione difficile da applicare nei futuri procedimenti di merito; nonché, ma con riferimento

unicamente al generale canone della buona fede che, ispirato all’art. 2 Cost., trova applicazione

anche con riferimento alla fase processuale, Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2012, n. 1209, in Foro

amm. CdS, 2012, p. 585. 72

Cass., Sez. trib., 16 gennaio 2008, n. 8772, cit.; Cass., 21 aprile 2008, n. 10257, cit.

22

Già, infatti, in una delle prime riflessioni dedicate al problema si indicava

l’inefficacia dell’atto abusivo quale esempio di rimedio ai casi di abuso costituiti dalla simulazione e dalle clausole vessatorie, mentre altri esempi erano individuati

nella rescissione, nell’annullabilità o nella decadenza da un potere. Ciò muovendo

dalla giusta considerazione che l’estrema varietà di ipotesi in cui l’abuso del diritto può concretamente verificarsi non permette di formulare una regola generale, salvo

quella di non consentire la tutela da parte dell’ordinamento dei poteri, diritti e

interessi esercitati in modo abusivo. Direttiva, si aveva cura di precisare, che,

comunque, “richiede di essere tradotta nel particolare regolamento del diritto vigente in quanto assume, nelle singole ipotesi, aspetti profondamente diversi”

73.

Non troppo diversamente, altro autorevole insegnamento, sottolineato che “il

problema dell’abuso riguarda propriamente la comparazione di interessi che siano in conflitto nello svolgimento di un particolare rapporto o nella posizione del

regolamento di interessi”74

, identifica nell’inefficacia il rimedio generale dell’abuso

73

SALV. ROMANO, Abuso del diritto, cit., p. 166 ss. In favore dell’inefficacia dell’atto abusivo si

pronuncia anche A. GAMBARO, Abuso del diritto, cit., p. 5 ss.

74

P. RESCIGNO, o.c., p. 53. Nello stesso senso v., inoltre, S. PATTI, Abuso del diritto, cit., p.7; U.

BRECCIA, L’abuso del diritto, cit., p. 84; D. MESSINETTI, Abuso del diritto, p. 18 ss. La natura

relazionale dell’abuso del diritto non è, tuttavia, da tutti condivisa. Già contestata da V.

GIORGIANNI, L’abuso del diritto, cit., p. 193 ss., che considera l’abuso del diritto una categoria

concettuale al pari dell’illecito e del diritto soggettivo e non un problema di adeguamento della

legge alle peculiarità del caso concreto, è stata più recentemente negata da due autori che, pur

muovendo da premesse diverse, concordano nel ritenere che l’individuazione dell’abuso si risolva

in un’operazione sussuntiva tendente ad accertare se l’atto di esercizio del diritto rientri o no tra i

poteri conferiti dalla norma, prescindendo da ogni esigenza di contemperamento tra interessi

contrapposti (M. MESSINA, L’abuso del diritto, cit., spec. p. 178 s.; C. RESTIVO, Contributo, cit.,

spec. pp. 80 ss., 121 ss.). Si trascura, peraltro, che la teorica dell’abuso nasce proprio per superare il

rigore formale della legge, che ammette l’esercizio del diritto anche quando questo appaia rivolto,

per la peculiarità del caso concreto, a conseguire vantaggi ingiusti. Valutazione questa che non può

non implicare la comparazione degli interessi incisi dalla particolare modalità di esercizio del diritto

attuata dal titolare. E negare, come fanno i citati aa., che la funzione propria della teorica dell’abuso

sia quella di correggere lo strictum ius, equivale, in realtà, ad affermarne la totale inutilità. Di fatti,

nei sistemi in cui i giudici “assommano in sé il potere di distribuire e di conformare in astratto le

situazioni giuridiche soggettive di vantaggio e quello di giudicare a posteriori sulla legittimità dei

comportamenti individuali”, come nel caso del diritto romano e degli ordinamenti di common law,

della teoria dell’abuso del diritto non v’è alcun bisogno (così, A. GAMBARO, o.c.., p. 2). Negli

ordinamenti di civil law, invece, essendo ispirati al giuspositivismo, al giudice non è consentito di

superare la lettera della legge in favore di istanze superiori che non siano insite nell’ordinamento

giuridico. A tal fine soccorrono, appunto, i principi generali, siano essi espressi o impliciti, e tra i

quali va ascritto, appunto, il divieto di abuso del diritto. Mediante il quale al giudice è certamente

consentito di concretizzare a fini applicativi i principi o, se si preferisce, i valori supremi

dell’ordinamento, senza che ciò possa costituire motivo di meraviglia. I valori enunciati dai principi

fondamentali e, in particolare, dai principi costituzionali, sono, infatti, parte integrante

dell’ordinamento giuridico esprimendone, anzi, l’intima essenza (cfr., per tutti, P. PERLINGIERI, Il

diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli,

2006, spec. p. 192 ss, che parla dei valori costituzionali come valori “reali”, in quanto destinati ad

attuarsi ed a prevalere sui valori legali di rango diverso), sì che non si può ritenere che siano posti al

23

del diritto in base alla considerazione che “quando l’esercizio della libertà venga

compiuto in vista di un risultato vietato, ma ne scaturisca un’efficacia che quel risultato trascende, è sufficiente sancire l’improduttività dell’atto in ordine all’effetto

vietato: e la formulazione legislativa del principio è racchiusa nell’art. 1359 c.c.”, in

tema di finzione di avveramento della condizione75

. In ogni caso, anche a non voler accedere a tali indicazioni, resterebbe pur sempre che

nelle ipotesi non espressamente previste di abuso del diritto, come accade per le

forme di elusione fiscale non specificamente sanzionate, competa al giudice

l’individuazione del rimedio più appropriato al caso concreto, compito il cui assolvimento implica evidentemente un’attenta valutazione della natura degli

interessi in conflitto in funzione del loro massimo contemperamento. Seppur, infatti,

sia indubitabile che in astratto possa tracciarsi una netta distinzione tra il giudizio sull’abuso del diritto e la tecnica del bilanciamento, presupponendo questa il conflitto

tra due interessi egualmente meritevoli di tutela mentre l’abuso del diritto è

caratterizzato dall’immeritevolezza dell’interesse in concreto perseguito dal titolare76

,

alla prova dei fatti la distinzione è destinata a scolorire. Ciò per la ragione che l’esigenza di sottoporre al controllo di abusività l’esercizio del diritto da parte del

titolare si pone sempre e soltanto quando un tale esercizio risulti confliggente con un

interesse altrui, sì che il giudizio di abusività implica inevitabilmente la necessità per l’interprete di operare una qualche forma di bilanciamento degli interessi o dei diritti

o dei principi in conflitto77. Anche, peraltro, a voler affermare che il giudizio di abusività prescinda da ogni

esigenza i ponderazione tra interessi contrapposti, non vi sarebbe comunque motivo

per escludere l’operatività dei criteri di ragionevolezza, proporzionalità e bilanciamento nell’individuazione dei rimedi all’abuso del diritto una volta che esso

sia stato accertato78

.

Ebbene, se ciò è, non sembra seriamente dubitabile che l’inopponibilità

all’amministrazione finanziaria del contratto diretto essenzialmente ad ottenere un vantaggio fiscale - che è, del resto, la soluzione adottata dal legislatore in specifiche

norme antielusive e, in particolare, dall’art. 37 bis del D.P.R. n. 600/1973 -, sia il

rimedio più idoneo a bilanciare gli interessi in conflitto nel caso di specie: quello del contribuente a conservare comunque gli effetti giuridici del contratto e quello del

di là del dato normativo (così, invece, C. RESTIVO, o.c., pp. 123, 126), ma, semmai, al di là della

lettera della legge.

75

P. RESCIGNO, o.c., p. 135.

76

Cfr., al riguardo, per più ampie considerazioni, F. LOSURDO, Il divieto dell’abuso del diritto

nell’ordinamento europeo, cit., spec. capp. IV, V, il quale sottolinea comunque che il riferimento a

principi di giustizia costituisce un aspetto comune delle due tecniche giudiziali e ritiene opportuna

l’estensione della tecnica dell’abuso alla soluzione del conflitto tra diritti fondamentali, in quanto

idonea ad assicurare il coretto equilibrio tra diritti e doveri. 77

Così, G. PINO, L’abuso del diritto tra teoria e dogmatica (precauzioni per l’uso), in

Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, a cura di G. Maniaci, Milano, 2006, p. 146. 78

Che i rimedi rispondano a requisiti di ragionevolezza e di proporzionalità rispetto ai bisogni

che intendono soddisfare, è affermato da A. DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, p. 9.

24

fisco al superamento della forma contrattuale utilizzata a fini elusivi per far emergere

l’effettiva operazione economica ad essa sottesa. Rimedio che, tra l’altro, è anche coerente con la conseguenza generalmente prevista per il contratto concluso in frode

ai creditori (art. 2901 c.c.), cui il contratto in frode alle norme fiscali si presta,

nell’impossibilità di considerarlo in frode alla legge, ad essere sostanzialmente assimilato

79.

7. L’elusione fiscale può essere considerata una forma di abuso del diritto al

risparmio fiscale 80

. Il comportamento elusivo è, tuttavia, attuato mediante contratti

conclusi in una forma anormale rispetto alla funzione realmente perseguita dalle parti, forma adottata all’unico scopo di conseguire un risparmio fiscale che non si

sarebbe avuto se la forma del contratto fosse stata coerente con la sua funzione81

.

Si pone, dunque, in prospettiva generale, la questione se la teorica dell’abuso del diritto sia applicabile anche all’esercizio della libertà negoziale, e, in particolare,

della libertà di determinare il contenuto del contratto, che dovrebbe così considerarsi

ontologicamente e strutturalmente limitata al suo interno, oltre, quindi, i casi

espressamente previsti.

79

Conseguenza che, tra l’altro, la giurisprudenza estende all’ipotesi di contratto elusivo

della par condicio creditorum nell'ambito di procedure concorsuali. Cfr., infatti, Cass., 14 aprile

2011, n. 8541, in Guida al dir., 2011, 20, 56.

80

Che i “diritti tributari” oggetto di abuso si configurano come pretese nei confronti del fisco è

evidenziato da P. PIANTAVIGNA, o.c., p. 22, che coglie, peraltro, in ciò la prova che “il problema

del limite del diritto soggettivo nel diritto privato è distinto da quello dei confini della richiesta che

si vanta nei confronti del Fisco”. Certo il rapporto tra contribuente e fisco è disciplinato

diversamente dal rapporto tra soggetti privati, ma, non essendo dubbio che le pretese che il

contribuente vanta nei confronti del fisco sono qualificabili come diritti soggettivi, sembra che non

vi siano ragioni per ritenere che il relativo esercizio assuma caratteri differenziali relativamente

all’incidenza del divieto di abusarne. Del resto, lo stesso a. condivide le indicazioni di E.

BLUMENSTEIN, Sistema di diritto delle imposte, Milano, 1954, p. 19, e Cass., Sez. trib., 12 febbraio

2002, n. 17576, in Riv. dir. fin., 2003, II, p. 37, secondo le quali il canone generale della buona fede

oggettiva (Treu und Glauben) nella relazione fra soggetti opera come criterio di valutazione “anche

per i rapporti in materia di imposte, sia nei riguardi del contribuente come degli organi fiscali”, in

quanto la clausola “allude ad un generale dovere di correttezza, volto ad evitare, ad esempio,

comportamenti del contribuente capziosi, dilatori, sostanzialmente connotati da «abuso» di diritti

e/o tesi ad «eludere» una «giusta» pretesa tributaria”. Principio di buona fede che risulta, tra l’altro,

normato dall’art. 10, comma 1, dello Statuto del contribuente e che, come si dirà più oltre nel testo,

si integra perfettamente con il divieto di abuso del diritto. Più in generale, sull’incidenza del dovere

di buona fede nell’attività dell’Amministrazione pubblica, v. F. MERUSI, Buona fede e affidamento

nel diritto pubblico. Dagli anni “trenta” all’“alternanza”, Milano 2001, passim.

81

Ritiene, tuttavia, che si debba distinguere la frode alla legge fiscale dall’abuso dell’autonomia

negoziale, in quanto la prima è propriamente manipolazione di regole tributarie senza altre ragioni

se non quella di accedere ad un determinato regime di tassazione, la seconda è un cattivo uso del

potere di autonomia, P. PIANTAVIGNA, o.c., p. 25. Posto, però, che “la manipolazione” delle regole

tributarie avviene mediante la predisposizione di atti di autonomia rivolti ad ottenere un vantaggio

fiscale in realtà non dovuto, non si vede il motivo per cui tali atti non dovrebbero ritenersi

caratterizzati da un abuso dell’autonomia privata.

25

Ebbene, che l’abuso concerna anche le libertà è stato da tempo chiarito,

sottolineandosi che “se l’esercizio del diritto si compie (almeno per ciò che riguarda la possibilità di modificare o di estinguere un precedente rapporto negoziale)

attraverso un negozio giuridico, e cioè attraverso un atto di autonomia (e quindi di

libertà), è evidente che non si può limitare il profilo dell’abuso ai soli diritti” escludendone le libertà

82.

La possibilità che l’abuso di diritto riguardi quella peculiare manifestazione della

libertà costituita dall’autonomia contrattuale è stata, tuttavia, decisamente contestata,

rilevando che l’abuso del potere contrattuale di una parte in danno dell’altra realizza un abuso di fatto e non di diritto

83.

Ad una tale obiezione sembra, peraltro, agevole ribattere che lo squilibrio

economico che caratterizza la posizione delle parti costituisce semplicemente il presupposto materiale che consente alla parte più forte di abusare del potere di

determinare il contenuto del contratto, così come, ad esempio, la particolare

conformazione del fondo oggetto del diritto di proprietà consente al proprietario

l’esercizio distorto dei propri poteri a danno del proprietario del fondo vicino che configura l’atto emulativo di cui all’art. 833 c.c.

Né si può dubitare che il potere di determinare il contenuto del contratto sia ben

lungi dall’essere un potere “di fatto”, essendo riconosciuto dalla legge ed esercitabile entro i limiti dalla legge stessa imposti (art. 1322 c.c.). Legge che, inutile dire, va

intesa come ordinamento giuridico unitariamente e sistematicamente considerato,

comprensivo, quindi, dei principi generali espressi o impliciti che lo caratterizzano.

Sotto altro profilo, si è sostenuto che la presenza dell’accordo escluderebbe l’abuso, dato che: >>a) valutando la situazione ex ante, la circostanza che si richieda

l’accordo (e, dunque, il consenso anche dall’altra parte) esclude che la conclusione

del contratto possa essere riguardata come esercizio di un diritto da parte di ciascun contraente nei confronti dell’altro (e se non v’è “esercizio di un diritto”, non vi può

essere neanche “abuso”); b) valutando la situazione ex post […] l’eventuale lesione

che un contraente abbia subito in conseguenza dell’atto di autonomia privata risulta

(se il consenso è stato validamente prestato) da lui “consentita”, e dunque non può dar luogo a responsabilità (l’illecito è escluso dal “consenso dell’avente diritto”)>>

84.

Neppure questi rilievi appaiono insuperabili. L’abuso dell’autonomia privata non

è, infatti, configurabile nell’esercizio della mera “libertà” di concludere il contratto,

ma nell’esercizio del “potere” di determinare il contenuto del contratto, potere a cui,

82

P. RESCIGNO, o.c., p. 56. 83

Cfr., in particolare, C. RESTIVO, o.c., p. 261 ss.; G. D’AMICO, L’abuso della libertà

contrattuale: nozione e rimedi, in Abuso del diritto e buona fede nei contratti, cit., p. 9 ss. Ma già P.

RESCIGNO, o.c., p. 58, sottolineava che “Nel contratto, al quale è connaturale l’idea dell’accordo, e

quindi dell’accettazione (che ciascun contraente compie) dell’altrui esercizio dell’autonomia può

aversi “abuso della situazione economica” nel senso che il contraente economicamente più forte

può dettare all’altra parte condizioni inique; non ricorrerà “abuso del diritto” nel senso proprio

dell’espressione”. 84

G. D’AMICO, o.u.c., p. 9 s., nota 15 (il corsivo e il virgolettato sono dell’a.).

26

trattandosi di una situazione giuridica di vantaggio, ben può essere applicata la

teorica dell’abuso di diritto. Senza che sia di ostacolo la circostanza che nel contratto occorra una libera decisione di entrambe le parti, poiché, come più volte detto, il

giudizio di abusività va operato sempre a posteriori, verificando le concrete modalità

di esercizio dei diritti e/o poteri formalmente riconosciuti al titolare. Ciò che vale anche per il potere di determinare il contenuto del contratto della parte

economicamente più forte a danno della controparte.

Quanto, poi, alla considerazione che le lesioni eventualmente subite dal contraente

a seguito dell’abuso dell’autonomia privata dell’altro dovrebbero ritenersi “scriminate” dal consenso validamente prestato, essa si scontra con il carattere

inderogabile del dovere di buona fede imposto alle parti dall’art. 1337 c.c. non

soltanto nella fase delle trattative, ma anche nella formazione del contratto85

. Dovere che ha, evidentemente, un’autonoma rilevanza rispetto ai vizi della volontà e che

costituisce null’altro che la declinazione in positivo in ambito contrattuale del più

generale divieto di abuso del diritto86

.

Se ciò è vero, il problema non è tanto se sia logicamente ammissibile assimilare l’abuso della libertà contrattuale all’abuso del diritto, quanto piuttosto se una tale

operazione risulti inutile in considerazione dell’operatività della regola della buona

fede in senso oggettivo, vale a dire del dovere di correttezza87

. In effetti, la buona fede, come l’abuso del diritto, è espressione del dovere di

solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e si presta ad essere allo stesso modo considerato un

limite costitutivo dell’autonomia privata, permeando interamente la vicenda

contrattuale, dalla fase delle trattative fino al momento dell’esecuzione e presidiandone l’attività di interpretazione (cfr. artt. 1337, 1366 e 1375 c.c.).

Che i principi di buona fede e di abuso del diritto esprimano un contenuto in larga

parte sovrapponibile è, del resto, indubitabile, non potendosi certamente ritenere corretto il titolare del diritto che lo eserciti per conseguire vantaggi diversi e

85

V., al riguardo, per tutti, C.M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di

comportamento negoziale, in Riv. dir. civ., 1983, I, p. 206; ID., Diritto civile, 3, cit., p. 501, che

ritiene il dovere di buona fede un principio di ordine pubblico. In questo stesso senso, cfr., in

giurisprudenza, Cass., Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106, in Nuova giur. civ. comm., I, 2010, p.

231 ss., secondo la quale l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce “ un autonomo

dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale la cui

costituzionalizzazione è ormai pacifica. Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla

Carta Costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli inderogabili

doveri di “solidarietà sociale” imposti dall’art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell’imporre a

ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi

dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente

stabilito da singole norme di legge”. 86

Sia consentito rinviare al riguardo a F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di

dipendenza economica. Profili ricostruttivi e sistematici, Napoli, 2002, p. 322 ss. 87

Ritiene che il divieto di abuso del diritto sia una inutile superfetazione del dovere di buona fede,

R. SACCO, L’esercizio e l’abuso del diritto, in Il diritto soggettivo, Trattato di dir. civ. diretto da R.

Sacco, Torino, 2001, spec. p. 356 ss.

27

sostanzialmente immeritevoli di tutela rispetto a quelli per i quali il diritto gli è stato

attribuito dall’ordinamento88

. Tanto ciò è vero che la giurisprudenza francese, in assenza di una previsione espressa che vieti l’abuso del diritto, fa nondimeno

applicazione della nozione richiamando l’art. 1134 del Code civil, che prevede

l’obbligo delle parti del contratto di agire secondo buona fede89

. Appare, dunque, giusta la scelta di riconoscere espressamente la stretta

correlazione esistente tra le due nozioni operata in alcuni ordinamenti, come, in

particolare, in quello svizzero e in quello greco. L’art. 2 del Codice civile svizzero

prevede, infatti, al primo comma, che “Ognuno è tenuto ad agire secondo la buona fede così nell’esercizio dei propri diritti come nell’adempimento dei propri obblighi”,

aggiungendo, al secondo comma, che “ Il manifesto abuso del proprio diritto non è

protetto dalla legge. L’art. 281 del Codice civile greco stabilisce, invece, ancor più incisivamente, che l’esercizio di un diritto è vietato nel caso in cui ecceda

manifestamente i limiti derivanti dalla buona fede o dal buon costume o dalla finalità

socio-economica del diritto.

Peraltro, che si finisca per operare una commistione tra i due principi anche quando siano regolati da norme diverse è esemplarmente dimostrato dalla vicenda che ha

caratterizzato l’ordinamento tedesco, nel quale, pur in presenza di una norma che

dispone in via generale che “L’esercizio del diritto è inammissibile se può avere il solo scopo di provocare danno ad altri” (§ 226 BGB), la repressione dell’abuso del

diritto (unzulässige Mißbrauch) da parte della giurisprudenza ha trovato

principalmente il proprio fondamento normativo nel § 242 BGB, che sancisce il

principio di buona fede oggettiva (Treu und Glauben) 90

. Soluzione giustificata dalla considerazione che il divieto di abuso del diritto riguarda non il diritto in sé, bensì il

comportamento del suo titolare, condotta che, intesa in senso oggettivo, è passibile di

valutazione da parte del giudice ai sensi del § 242. Ma, in realtà, imposta

88

L’analisi storica conferma che il divieto di abuso, inteso come possibilità di sindacare

l’esercizio dell’autonomia privata, è stato inizialmente desunto dal principio di buona fede. Cfr., in

tal senso, B. CHENG, General Principles of Law as Applied by International Courts and Tribunals,

London, 1953, p. 121, second cui “the theory of abuse of rights […] is merely an application of this

principle [good faith] to the exercise of rights”.

Sotto altro profilo è stato acutamente rilevato che dire ad un soggetto di non comportarsi

abusivamente, dato che la doppia negazione afferma, equivale a dirgli di comportarsi secondo

correttezza, buona fede e più in generale nel rispetto dei principi che il legislatore ha posto (A.

GAMBARO, o.c., p. 5).

89

Cfr., ad esempio, Cour de Cassation, 5 Oct 1993, Renault c/Rouvel Automobiles, in

Juriclasseur Pèriodique, 1994.II.22224, citata da F. VIGLIONE, Il giudice riscrive il contratto per le

parti: l’autonomia negoziale stretta tra giustizia, buona fede e abuso del diritto , in Nuova giur. civ.

comm., 2010, p. 154, cui si rinvia per ulteriori considerazioni.

90

W. WEBER, Treu und Glauben, § 242 BGB, in Staudingers Kommentar zum BGB, Berlin,

1961; K. LARENZ, M. WOLF, Allgeimener Teil des deutschen burgerlichen Rechts, Munchen, 2004,

283; P. KLINDER, Il ricorso dei giudici alle clausole generali in Germania, in Contr.

Impresa/Europa, 1998, p. 662; L. KLESTA DOSI, Il controllo delle clausole abusive: la Direttiva

93/13 alla luce della giurisprudenza tedesca, francese ed inglese, in Nuova giur. civ. comm., 1994,

p. 434 ss.

28

dall’esigenza di superare l’elemento soggettivo richiesto dal § 226 per configurare

l’abuso, la cui difficoltà di prova rende sostanzialmente inapplicabile da norma. Nella giurisprudenza della nostra Cassazione emerge l’idea che il principio di

buona fede e il divieto di abuso del diritto si integrino a vicenda, “costituendo la

buona fede un canone generale di comportamento cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l’interpretazione dell’atto giuridico di autonomia

privata e prospettando l’abuso la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e

lo scopo per i quali essi sono conferiti”; con la precisazione che il divieto di abuso del

diritto “costituisce un criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede”

91. In altre occasioni, tuttavia, si assume che sia la condotta lesiva del generale

dovere di buona fede a risolversi in un abuso92

, a conferma della difficoltà di

distinguere nettamente i due concetti. Vero è che il divieto di abuso del diritto riguarda chi ha una posizione di

vantaggio, mentre il dovere di buona fede in senso oggettivo grava anche sul debitore

(art. 1175 c.c.). Tuttavia, un tale rilievo non risulta di per sé decisivo. Innanzi tutto,

perché non risolve il problema se la buona fede sia distinguibile dall’abuso del diritto per quanto riguarda l’esercizio del diritto di credito. Inoltre, per la ragione che si deve

considerare che la situazione soggettiva debitoria, così come, del resto, quella

creditoria, è una situazione complessa, nella quale sono ravvisabili posizioni di vantaggio, come, in particolare, il potere di rifiutare la modificazione del

comportamento dovuto per salvaguardare l’utilità del creditore; salvo che, per

l’appunto, un tale rifiuto non sia contrario a buona fede, ovvero sia giudicabile come

un abuso delle prerogative del debitore, trattandosi di una modificazione che non comporta un apprezzabile sacrificio del proprio interesse

93.

Neppure si può considerare pienamente convincente il pur acuto suggerimento di

individuare la distinzione tra il criterio valutativo della buona fede e quello dell’abuso del diritto nella circostanza che mentre il primo sarebbe rivolto a sindacare le

“modalità” di esercizio del diritto e non anche le “finalità” per il conseguimento delle

quali il diritto è esercitato, il secondo, invece, sarebbe diretto a colpire “i

comportamenti con cui il creditore mira, attraverso l’esercizio del diritto, ad appropriarsi di utilità che fuoriescono dal novero di quelle di cui la situazione di

vantaggio attribuitagli dall’ordinamento legittima il conseguimento”94

. Ciò in quanto,

91

Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, cit. 92

Cass., 22 dicembre 2011, n. 28286, cit., a proposito dell’abuso del processo. 93

Si accoglie qui, evidentemente, l’insegnamento di C.M. BIANCA, o.u.c., p. 500 ss.,

secondo cui la buona fede si compone del canone di lealtà e di salvaguardia, inteso quest’ultimo

come obbligo di ciascuna parte di salvaguardare l’utilità dell’altra nei limiti in cui ciò non

importi un apprezzabile sacrificio del proprio interesse.

94

G. D’AMICO, o.u.c., p. 6, nota 8. Il corsivo è dell’a., il quale ha in altra occasione precisato

(Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in I contratti, 2010, 1, p. 22 s.) che la differenza

tra le due forme di “sindacato” riposa in ciò, “che mentre l’applicazione della tecnica dell’abuso del

diritto implica […] un controllo “causale” dell’atto di esercizio del diritto (perché mira ad evitare

che quest’atto di esercizio possa ipoteticamente essere stato posto in essere per conseguire uno

scopo/risultato diverso e ulteriore rispetto alle utilità che l’ordinamento garantisce al titolare della

29

anche a voler accogliere la più riduttiva delle nozioni di buona fede e limitandola,

dunque, al dovere delle parti di un rapporto obbligatorio di comportarsi lealmente, non sussiste alcuna ragione, né di carattere normativo, né di carattere logico, per non

considerare il comportamento del creditore che miri a conseguire utilità che

esorbitano dal proprio diritto come massimamente contrario alla buona fede e, quindi, suscettibile di essere sanzionato secondo le regole che il dovere di buona fede

impongono95

.

Sembra, pertanto, di poter confermare l’adesione, già espressa in una precedente

occasione96

, all’opinione secondo cui le norme codicistiche relative alla buona fede e alla correttezza devono considerarsi alcune delle più significative espressioni del più

generale principio del divieto di abuso del diritto97

. Il quale, investendo ogni ambito

dei rapporti giuridici, si presta a sanzionare comportamenti contrattuali scorretti che sfuggono alla disciplina della buona fede e della correttezza dettata dal codice civile.

Questa, infatti, vincola soltanto i contraenti, sì che se può essere utilmente richiamata

per sanzionare i comportamenti abusivi posti in essere da una delle parti in danno

dell’altra (c.d. abuso nel contratto), ad essa sfugge l’ipotesi in cui i comportamenti abusivi siano posti in essere da entrambe le parti (c.d. abuso del contratto) a danno di

terzi98

e, in particolare, a danno del fisco, come nel caso che qui ci occupa, che ben

situazione giuridica attiva), nel caso in cui il controllo sull’esercizio del diritto viene operato

attraverso il canone della buona fede non si sindaca lo “scopo” per il quale tale esercizio è avvenuto

(scopo che, in thesi, si deve immaginare corrispondente alla finalità per la quale è avvenuta

l’attribuzione del diritto), ma si censurano piuttosto le modalità con le quali esso si è realizzato,

modalità che per l’appunto possono essere tali da fare ritenere sleale la condotta del contraente.

Si può, però, obiettare che anche nel sindacato di buona fede è ravvisabile un profilo causale,

risultando scorretto quel comportamento lesivo dell’interesse altrui che non può essere

ragionevolmente giustificato dall’esigenza di salvaguardare un interesse proprio. 95

V., infatti, il noto caso Fiuggi deciso da Cass. 20 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, I, c.

1296 ss., che ha ritenuto contraria a buona fede la clausola contrattuale che consentiva alla società

concessionaria di ridurre il prezzo di vendita delle bottiglie d’acqua minerale ad una società

controllata per beneficiare di un basso livello del canone dovuto all’Amministrazione concedente

secondo parametri collegati a quel prezzo. L’espediente era evidentemente congegnato per

assicurare alla società concessionaria un maggior profitto in danno alla controparte.

Comportamento sanzionabile sia con riferimento al dovere di buona fede, ma anche in base al

divieto di abuso del diritto, configurabile in questo caso nella pretesa di esercitare il poteri attribuiti

da una clausola contrattuale per perseguire un vantaggio ingiusto.

96

F. PROSPERI, o.c., p. 326 ss.

97

V., in questo senso, in particolare, F.D. BUSNELLI, E. NAVARRETTA, p. 171 ss.; G. MICARI, La

teorica del Rechtsmissbrauch nell’ordinamento giuridico italiano: rapporti con la buona fede e gli

atti illeciti dannosi, in Giust. civ., 2005, II, p. 357 ss.; U. BRECCIA, o.u.c., p. 34 ss. Diversamente,

ritenendo che il giudizio di buona fede implichi l’esistenza di un rapporto tra soggetti mentre il

criterio valutativo dell’abuso di diritto attiene al diverso piano dell’uso distorto da parte del titolare

del potere conferito dalla legge, M. MESSINA, o.c., p. 178 s.; C. RESTIVO, o.c., p. 147 ss. Non si

vede, tuttavia, come l’esercizio di poteri che formalmente spettato al titolare del diritto possa

valutarsi distorto se non in relazione agli effetti che produce sugli interessi di altri soggetti

considerati meritevoli di tutela. 98

Si condividono, al riguardo, le indicazioni di F. DI MARZIO, Teoria dell’abuso, cit., p. 698 ss.

30

può, invece, essere ricondotto entro l’operatività del divieto di abuso dell’autonomia

negoziale. Il punto non può essere esaurito senza sottolineare che la soggezione

dell’autonomia privata al divieto di abuso del diritto risulta positivizzata dalla norma

di chiusura ( art. 54) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, che in seguito all’entrata in vigore del Trattato di

Lisbona, ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati. La norma, rubricata

“Divieto dell’abuso del diritto”, prevede, in particolare, che “Nessuna disposizione

della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti e delle

libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni

più ampie di quelle previste dalla presente Carta”. L’intento del legislatore europeo è chiaramente quello di scongiurare un’applicazione impropria dei diritti e delle libertà

declinati dalla Carta stessa. Ivi compresa, quindi, la libertà di impresa riconosciuta

all’art. 16, che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, implica la libertà

di concorrenza e la libertà contrattuale. Si tratta di un’indicazione importante, poiché ove fosse trasposta nel nostro

ordinamento – il quale è, peraltro, ormai parte integrante di quello dell’Unione

europea -, dimostrerebbe la perfetta conciliabilità del divieto di abuso dell’autonomia privata con la protezione accordata alla libertà imprenditoriale dall’art. 41 Cost.,

norma che, proprio come l’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali, si considera

riferita anche alla libertà contrattuale, quanto meno a quella strumentale all’esercizio

dell’impresa99

. 8. Rilevato che l’utilizzo dell’abuso del diritto in funzione antielusiva operato

dalle Sezioni Unite appare giustificato da un’interpretazione sistematica

dell’ordinamento nonché coerente con l’elaborazione dottrinale della nozione, non resta che spendere alcune considerazioni sui rischi esiziali da sempre paventati per la

certezza del diritto che determinerebbe l’attribuzione al giudice di un potere così

ampio come quello di sindacare la meritevolezza dell’atto di esercizio del diritto

soggettivo. Necessariamente sintetiche come l’economia del lavoro impone. Noto è che il timore dell’arbitrio rispetto all’ordine certo rappresentato dal codice

civile è alla base della mancato recepimento del principio dell’abuso del diritto,

nonostante che esso fosse previsto dal progetto ministeriale definitivo del codice

stesso100

.

99

Limita, infatti, all’autonomia contrattuale d’impresa l’operatività dell’art. 41 Cost., P.

PERLINGIERI, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, Napoli, 2000, p. 332, ritenendo

che il fondamento costituzionale dell’autonomia negoziale vada “individuato alla luce di

molteplici supporti normativi, in ragione della natura degli interessi affidati alle singole

esplicazioni di autonomia e di valori costituzionali ai quali questi interessi sono riconducibili”.

Ulteriori approfondimenti in G. GRISI, L’autonomia privata. Diritto dei contratti e disciplina

costituzionale dell'economia, Milano, 1999, p. 130 ss. 100

L’art. 7 delle “disposizioni sulla pubblicazione e l’applicazione della legge in generale”

(espressione che designava le attuali “disposizioni sulla legge in generale”) prevedeva, infatti,

31

Il problema, tuttavia, può essere visto da una prospettiva opposta, ritenendo, cioè

che, al contrario, la certezza del diritto rischia di essere compromessa dall’assenza del principio, giacché la pretesa dell’esercizio indiscriminato del diritto soggettivo si

traduce nei fatti in una resa all’arbitrio individuale e nella negazione di ogni autorità

della legge101

. Opinione probabilmente troppo drastica, ma non priva di fondamento, essendo

evidente che i numerosi ordinamenti di civil law nei quali l’abuso del diritto è

espressamente previsto non sono sicuramente afflitti da un’incertezza del diritto

sconosciuta al nostro ordinamento, in cui l’abuso del diritto, oltre a non essere codificato, è stato impiegato dalla giurisprudenza, prima dell’inversione di tendenza

registratasi negli ultimi anni, in casi estremamente limitati.

Segno inequivoco che la discrezionalità giudiziale connessa all’applicazione del principio dell’abuso del diritto, che non si distingue, del resto, da quella concernente

l’impiego di qualunque altro principio generale – espresso o implicito che sia -, può

essere tollerata dall’ordinamento giuridico, poiché, come appare con chiarezza nella

prospettiva ampia e distaccata che caratterizza il cultore di diritto comparato, “il problema appassionante del ruolo del giudice, della certezza del diritto è [..] lontano

dal tema dell’abuso, la sua soluzione dipende infatti dal sistema di formazione e di

reclutamento dei giudici […] e da molte altre variabili la cui influenza è di molto superiore alla teoria dell’abuso”

102.

Con questo non si vuol negare l’opportunità di interventi legislativi tesi a

delimitare la discrezionalità del giudice in settori in cui, come quello tributario, la

prevedibilità delle decisioni giudiziarie appaia particolarmente importante. Posto, tuttavia, che l’operatività del divieto di abuso del diritto relativamente ai tributi

conformati dal diritto europeo non può essere posta in discussione, ragioni di

coerenza consiglierebbero di collocare l’intervento legislativo all’interno del medesimo principio.

Come, in effetti, previsto dal disegno di legge-delega sul sistema fiscale del 17

aprile 2010, che all’art. 6 (Disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale),

richiama, sostanzialmente, le conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza della Cassazione.

Negli ordinamenti stranieri non mancano, peraltro, esempi di regole ampiamente

sperimentate, come, in particolare, il già ricordato § 42 della legge generale tributaria

tedesca, il cui testo è stato peraltro rivisto alcuni anni fa103

, o approvate di recente all’esito di un acceso dibattito durato molto a lungo, come avvenuto negli Stati Uniti

che “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per cui il diritto medesimo

medesimo gli è riconosciuto”. Sulle ragioni che portarono alla soppressione della norma, v. V.

GIORGIANNI, o.c., p. 5 ss. 101

U. NATOLI, Note preliminari, cit., p. 32. Nella medesima linea di pensiero si muove V.

GIORGIANNI, L’abuso del diritto, cit., p. 166 s.; nonché, G. MICARI, o.c., p. 357 ss. 102

A. GAMBARO, o.c., p. 4. 103

V. ante, sub nota 59.

32

con la codificazione della Economic Substance Doctrine104

, ovvero varate per

rispondere alle sollecitazioni della giurisprudenza, come si è verificato in Francia con la modifica dell’art. 64 del Livre de procédures fiscales

105.

Il legislatore ha, in definitiva, tutti gli strumenti per intervenire in modo

appropriato a limitare la discrezionalità del giudice in materia fiscale, limitando l’operatività dell’abuso del diritto. Ma, in attesa delle sue decisioni, non ci si può

dolere che il giudice continui ad utilizzare il divieto di abuso del diritto così come ha

fin qui fatto, risultando un tale impiego, come si è tentato di dimostrare,

dogmaticamente corretto e giustamente orientato a dare attuazione ai principi in materia tributaria espressi dalla Costituzione e dall’ordinamento dell’Unione europea.

104

Della quale si è detto ante, sub nota 8. 105

Il cui testo si è riportato ante, sub nota 22. Critica, peraltro, la norma per aver unificato

sotto la categoria dell’abuso del diritto fenomeni totalmente diversi come la simulazione e

l’elusione, G. FALSITTA, Spunti critici, cit., p. 349 ss.